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Notiziario Archeologico vol III_compressed

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Published by gilberto montali, 2019-11-04 13:28:51

Notiziario Archeologico vol III_compressed

Notiziario Archeologico vol III_compressed

Keywords: Libia

N O T IZ IA R IO •ARCHEOLOGICO- DELAAINI5 TE R O •DE.LLE• C O L O N I E - VOL. I l i

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ANTICHITÀ DELLA REGIONE DI GURGI (Tripoli)



ANTICHITÀ
DELLA REGIONE DI GURGI (Tripoli).

La regione ad ovest della città e dell’oasi I mosaici ornavano una villa, con annessi ru­
di Tripoli, la cui solitudine era fino a pochi stici, situata proprio sul mare, sopra una du­
anni fa interrotta soltanto dalla piccola ma na alta un cinque metri circa sulla linea di
folta macchia verde dei giardini di Gurgi, e spiaggia. I mosaici da noi rinvenuti sono quat­
che oggi invece va rapidamente rivestendosi tro, raggruppati, sembra, intorno ad uno spa­
di vigneti, di orti e di frutteti, mercè l’opera zio pavimentato a semplice battuto di calce;
animosa di pochi coloni, sembra fosse in an­
tico piuttosto intensamente abitata, secondo dei muri dell’edificio quasi più alcuna traccia,
fanno fede le tracce numerose di antiche co­ all’infuori di un breve tratto, lungo un paio di
struzioni che ivi si sono rinvenute e si rinven­ metri, alto 0.40 e spesso, nel punto più lar­
gono. go, 0.15, conservato sul fianco ovest del mo­
saico orientale: muro, come al solito, co­
Già fin dal 1915 si erano riconosciuti, ad un struito in terra battuta e pietrame, che spiega
cinquecento metri circa fuori il muro di cinta con la sua struttura come tutti gli altri siano
dell’oasi di Tripoli, in prossimità di quello che
era stato per i Turchi il forte Sultanié (fortino andati facilmente perduti senza lasciare avan­
A dopo la conquista italiana), un complesso di zo di sè: pertanto non è agevole ricostruire,
mosaici vicino alla spiagga e un altro mo­ nemmeno sommariamente, la pianta della vil­
saico, indipendente dagli altri, situato più al- la. Il mosaico settentrionale, date le sue dimen­
l’intemo, sulla sinistra della carovaniera Tri-
poli-Gargàresh : i primi mosaici anzi erano sioni (8.00 (?)x3.00), sembrerebbe avere ap­
stati quasi per intero sterrati, e, nell’attesa partenuto ad un corridoio; ed un corridoio si­
di procedere al loro distacco, protetti con gi­ milmente potrebbe riconoscersi nel vano del
ro di reticolato. Gli avvenimenti susseguitisi mosaico meridionale ; i pavimenti ad ovest e ad
tennero sospeso il lavoro fino al 1919, quan­ est, di maggiore ricchezza nella composizione
do purtroppo però gli antichi pavimenti si rin­
vennero in condizioni assai meno buone di e di più varia vivezza di colori, potrebbero ri­
quelle in cui erano quattro anni prima. Fu tenersi rispettivamente quelli di un « tricli­
allora peraltro possibile condurre l’operazione nium » e di un « tablinum ».
in modo sicuro e sistematico, ciò che permise
sia di meglio riconoscere l’insieme dell’edifi­ 1 mosaici avevano come piano di posa un
cio cui i mosaici appartenevano, sia di recu­ semplice, sottile strato di calce ; al di sotto del
perare altre parti della decorazione deU’edi- mosaico est furono notati un riempimento, di
ficio stesso. (*)1 circa settanta cm. di altezza, di terra di ripor­
to, mista a molto cocciame, e due blocchi di
(1) Il lav o ro fu e se g u ito c o n l'a iu to d i so ld a ti, m essi a pietra accostati, senza alcuna relazione, sem­
d isp o siz io n e d a l C o m a n d a n te il 11° G r u p p o d i A ssa lto , a l­
lora in T ripolitania e accam pato nelle vicinanze, colon­ bra, con il resto della costruzione. Tra i piani
dei diversi pavimenti furono riscontrate note­
nello P. A nseim i. voli differenze di quota: non si può dire però
se esse esistessero anche in antico o se non

- 35 -

fossero invece la conseguenza di abbassamen­ Per la fattura, ancor più che per i motivi or­
ti e di movimenti in genere del terreno. namentali, questi mosaici di Gurgi mostrano
una notevole rassomiglianza con i mosaici
Tranne il mosaico meridionale (fig. 1), che è della villa a mare, messa in luce nefl’autunno
a solo bianco e nero, gli altri sono tutti policro­ 1914 sulla spiaggia di Porta Nuova a Tripo­
mi, e anche il disegno, che nel primo è di gran­ li: (^ e, dato che pari rassomiglianza riscon­
de semplicità e assai comune, è negli altri più treremo anche in alcuni dei frammenti di pit­
vivace e leggiadro: per quanto i motivi siano tura rinvenuti nello sterro, possiamo ritene­
quasi tutti i soliti delTornato geometrico: cer­ re, come è del resto naturale, che la decora­
chi con stelle, nodi di Salomone, pelte, gre­ zione di ambedue gli edifici sia uscita se non
che intrecciantisi, bordi a volute d’edera. Il da una stessa mano, certo da una medesima
mosaico est (figg. 2 e 3) sembra avesse tra due scuola, e circa più o meno la stessa età. (21)
fasce laterali a cerchi e greche, una grande fa­
scia mediana formata da tre quadrati eguali Gli annessi rustici della villa erano più ver­
(1.70 circa di lato), dei quali solo uno, laterale, so Torlo della collina, a nord-ovest dei mo­
rinvenimmo conservato tanto da poterne rico­ saici : quivi almeno si sono rinvenuti tratti
noscere il disegno e da poterlo restaurare per di pavimento a battuto, di ampiezza non ben
intero; esso offre una composizione meno co­ precisata, ed una cisterna quadrangolare con
mune delle altre: un triplice cerchio, a trec­ intonaco di cocciopisto. La cisterna (fig. 7), che
cia, a dentello, a fascia, chiuso entro due qua­ misura internamente m 1.37 x 1.84, è per tre
dri intersecantisi, pure ornati di treccia, ed oc­ lati in costruzione di terra e pietrame, ed ha
cupato nel mezzo da una delle solite rose sti­ invece il quarto lato, quello settentrionale, for­
lizzate; ai quattro angoli, quattro fiori stilizza­ mato dalla roccia stessa scalpellata e intonaca­
ti. Il quadrato di mezzo della stessa fascia, ta; i muri sono di diverso spessore (0.35 cir­
corrispondente al centro della stanza, ma ca quelli di sud e di est, 0,12 quello di ovest).
conservato purtroppo solo in brevissimo trat­ Nel fondo, a battuto di calce pure intonacato
to, era a tessere assai più fini di tutto il resto, di cocciopisto, è praticata una vaschetta cir­
e di più delicate sfumature di colore; sembra colare, del diametro di circa 0.50, per la rac­
avesse pure esso la medesima composizione, colta dei depositi dell’acqua.
con la differenza che agli angoli, invece di fio­
ri, erano dei crateri. I frammenti della decorazione parietale,
stucchi e pitture, furono raccolti non nella im­
Assai più pregevole era iì pavimento ad oc­ mediata vicinanza dei mosaici, ma in un davo
cidente (figg. 4-6), che, quasi intatto quando noi aperto presso il ciglio della collina, a fianco
lo mettemmo in luce nel 1915, ritrovammo in­ della cisterna; essi erano quivi gettati alla rin­
vece nel 1919 fortemente danneggiato, e in con­ fusa, parte anche erano precipitati più in bas­
dizioni tali da esserne anche impossibile il re­ so, verso la spiaggia, ed erano frammisti ad
stauro completo. Esso, che quando era intero altri frammenti di mosaico, alcuni dei quali
doveva misurare all’incirca m. 4.00x6.50, si la tessere molto fini e di vari colori: con ogni
compone di due parti; Tuna a disegno geo­ probabilità pertanto essi non ornavano gli am­
metrico, l ’altra ad ornato floreale. In questa, bienti di cui noi abbiamo rinvenuto a posto
entro un’ampia cornice a triplice treccia sono i pavimenti, ma altri ambienti andati distrut­
racchiusi tre campi quadrangolari, i quali so­ ti, e i cui rifiuti furono lì scaricati verso il
mare.
no a loro volta divisi l’uno dall’altro ed inqua­
drati da fasce a fogliame d’alloro, di tra mezzo (1) N o t i z i a r i o , A . II, p . 341 se g g .
al quale si svolgono a spirale dei nastri. I due
campi laterali sono occupati ognuno da un cra­ (2) L e p ie tre m a rm o re e c o lo ra te d a cui fu ro n o rica v ate
tere ansato, quello centrale da una rosa da
mille petali chiusa in un ceichio. La ricchez­ le tessere sono di origine locale ; d a ricerche d a noi
za della composizione in una alla fresca viva­
cità dei colori, sapientemente distribuiti, ren­ stessi condotte è risultato che alcune di esse, com e le
dono questo mosaico uno fra i più grati esem­
pi del genere. gialle, le rosse e le rosa, sono della stessa qualità di

quelle che si cavano oggi a el-A zizia e a Bir C uca, ai

piedi del G ebéi G ariàn; della pietra verde non. ci è riu­

scito invece finora trovare esem plari ; pare però, d a infor­

m azioni avute, che anche di essa si rinvenga in altri

punti dello stesso declivio del G eb éi.

- 36 —

Gli stucchi (figg. 8 e 9) sono in generale fini una bella testa di vecchio, dai capelli e dalla
e di buon impasto. Il maggior numero di fram­ barba fluenti segnati da brevi pennellate in
menti appartiene a una cornice a pailmette e bleu, chiusa come dentro una fascia ad onda,
bucrani, di delicata fattura, che doveva decora­ pure azzurra : la figura di un Nume quasi certa­
mente, forse un Nettuno ; l’altro con parte di
re, secondo si rileva dalla sua sagoma, un qual­ una figura giovanile, un Dioniso probabilmen­
che risalto della parete; alcuni tratti di essa te, che alza sul capo, inghirlandato, il brac­
sono leggermente concavi. Sul rovescio si cio destro, reggendo con la mano l’estremità
veggono chiaramente le impronte dell’incan­ di un ramo o di un festone. Nei colori predo­
nucciata ; la decorazione, il cui effetto era ac­ minano i toni chiari, che dànno alla pittura
cresciuto dalla policromia, era ottenuta me­ un senso di freschezza e di giocondità quasi
diante l’applicazione di stampi di modello: campestre: gli stessi toni ritornano in altri
non sono rari gli errori o i falli della lavora­ frammenti, nei quali par riconoscere soltanto
un folto di fogliame, e che hanno appartenu­
zione. to senza dubbio alla stessa decorazione : è
Altri frammenti presentano invece un or­ purtroppo doloroso che di questa così poco noi
abbiamo potuto recuperare (*).
nato a fogliame e a rosette, pur esso ravvi­
Durante i lavori non si ebbe alcun ritrova­
vato dalla colorazione in verde o in bleu; al­ mento all’infuori di un frammentino di mar­
cuni di essi debbono avere appartenuto agli mo, (alt. 0.10) che dovette esser parte di una
spigoli di una parete o di un riquadro di pa­ statuetta, e che fu rinvenuto nel primo sterro
rete: in ognuno di questi spigoli sembra si dei mosaici, nel 1915: rappresenta una « cap-
sviluppasse un ramo di foglie, grosse e lar­ sa )) di (( volumina », come quelle che accom­
pagnano di solito le imagini degli oratori e
ghe, sorgente come da un calice. dei filosofi. La cassetta è cilindrica, ornata sul­
I frammenti di pittura presentano sensibili la fronte da una stella a quattro raggi, e mu­

diversità tra gli uni e gli altri, sia per rimpa­ l i) N el se tte m b re 1922 fu fo rtu ita m e n te rim esso in
sto dell’intonaco, sia per la qualità dell’affre­ luce, in occasione di lavori di sbancam ento del terreno,
u n a ltro avanzo d e lla villa. P resso il b o rd o d e lla collina,
sco. In alcuni rintonaco è a grana grossa e là dove erano i pavim enti a battuto, fu segnalato una
poco levigato, e i colori, o per questo o perchè specie di sperone in m uratura, di form a sem icircolare,
furono dati quando l’intonaco non era più con la convessità rivolta verso il m a re : il d iam e tro era
tanto fresco, hanno fatto minor corpo con es­ di m . 1,80, lo spessore del m u ro m . 0,40. Il m u ro e ra rico­
perto di un sottile strato di intonaco d ip in to : su di esso
so, e o si son affievoliti, o sono scomparsi del è raffig u rata, su fo n d o nero, ‘ urna teo ria d i airo n i e d
tutto; in altri invece l’intonaco è assai più fi­ a n atre tra p ian te e fiori palustri. G li anim ali sono ripro­
ne e bene levigato, ed i colori hanno perciò dotti con verità e con fresca naturalezza, senza stilizza­
mantenuto tutta la loro vivezza. I primi, an­ zioni e co n v enzionalism i (grazioso il m otivo d i u n a iro n e
che per lo stile delle figure, sono quelli che c h e tie n e n e l b ecco u n pesciolino) ; il d ise g n o è accurato,
più si assomigliano alle pitture della villa il colore vivace e d in to n ato . U n a p artico larità tecn ica d a
rinvenuta sulla spiaggia di Porta Nuova. Il notare è che certi tratti di colore, corrispondenti ad al­
più ampio di questi frammenti (0.18x0 .15; cuni particolari sopratutto dei fiori e delle pium e degli
fig. 10) mostra la metà inferiore di un volto an im ali, sono d a ti com e a m acch ia so p ra l’intonaco, se n ­
di donna con il collo e parte del petto, a za che facciano corpo con esso. A l di sopra della teoria
metà circa del naturale: il volto è legger­ degli anim ali la m uratura e rin to n aco erano rotti : sem ­
mente voltato verso destra; lo incorniciano i b ra p e rò d i ric o n o sc e re n e lla p ittu r a l ’in iz io d i u n a g ra ­
capelli, scendenti in riccioli sul collo: intorno ticciata, com e quella di u n chiosco, di un a recinzione di
a questo è un monile ; le linee sono larghe, giardino, di aiuola.
grosse, dii effetto, un po’ come quelle delle fi­
gure delle stagioni nel noto mosaico di Zliten. Lo sperone in m uratura era troncato ad un livello cor­
Altri frammenti appartengono pure a figure; rispondente all*incirca a quello dei m osaici : nasce perciò
altri sono invece parte di una decorazione a il so sp etto n o n fosse esso il resto o d i u n a villa p re e siste n ­
rosette bianche e rami verdi su fondo rosso. te, o di parti della stessa villa, andate distrutte quando fu­
rono co struiti gli a m b ie n ti a m o saico : il m o d o co n cui
Tra i frammenti del secondo tipo sono fre­ ritro v a m m o n e l 1919 gli altri fra m m e n ti d i stu c ch i e d i
quentissimi quelli con parti di figure umane: p ittu re p otrebbe an ch e Conferm arci nell*ipotesi.
volti, mani, ecc. ; di essi, due particolarmente
meritano di essere ricordati (fig. 11): uno con

— 37

nita di cinghie; i volumi sono tenuti insieme Il mosaico posto a sud della carovaniera
da una cordella; secondo si osserva dal mar­ fu riconosciuto per la prima volta fin dal 1915 :
mo, la figura doveva avere tale attributo sulla non si è mai peraltro ritenuto opportuno di
sua destra. procedere alla sua completa rimessa in luce e
al suo distacco, sopratutto perchè, da quanto
Sulla collina adiacente verso oriente a quel­ si è potuto riscontrare, esso non appare nè
la ove furono rinvenuti i mosaici e le pitture, pregevole nè ben conservato. Esso è situato
ora descritte, si notano, affioranti sul terreno, entro un’affossatura del terreno fra le dune; è
numerosi frammenti! di marmo bianco e colo­ a disegno geometrico (nodi di Salomone e
rato, pezzi di intonaco, ecc. ; sul ciglio verso bordi terminali a spirale), a solo bianco e ne­
mare sembra altresì di riconoscere un piano a ro; la sua larghezza è di m. 2.50 circa, in lun­
battuto; aperti dei saggi qua e là nulla però ghezza se ne è riconosciuto per circa 20 m.;
si è riscontrato che possa testimoniare con si­ sembrerebbe pertanto trattarsi di un corrido­
curezza resistenza in questo punto di un’antica io; piccoli assaggi fatti all’intorno non hanno
costruzione: anzi il terreno non apparirebbe rivelato la presenza di altri pavimenti o di re­
nemmeno mai rimosso. sti di costruzioni; si vedono però sparsi nelle
vicinanze frammenti di mosaico a tessere più
Invece a metà costa circa della collina stes­ fini, oltre una grande quantità di frammenti di
sa, dal lato di settentrione, proprio al di so­ vetri, cocciame, ecc. Tra questi furono rac­
pra della linea di spiaggia, furono casual­ colti due frammenti di due vasi eguali, in ter­
mente rimesse in luce nell’agosto 1919 alcune racotta gialla, con il seguente bollo impresso,
terrecotte, deposte entro una specie di nic- intero in uno, frammentato nell’altro:
chietta cavata nella terra (fig, 12). Erano due
pentolini con coperchio, l’uno di argilla gialla DE FIGL
(alt. senza coperchio 0.08, diam. 0.15), l’altro
di argilla rossastra (alt. 0.09, diam. 0.145), am­ BASSI
bedue con bordo a cordone, e una lucerna mo-
nolicne, (0.11 x 0.085) pure di argilla gialla, .A....
con ansa verticale forata, disco affossato, bordo
ornato di tralci di vite, e sul fondo la marca : La terza linea è a lettere più piccole, e qua­
si irriconoscibile. Non è impossibile che una
KPHCia piu ampia esplorazione del luogo possa darci
più notevoli risultati.
NTOC
A sud-ovest del mosaico, sopra un rialzo
La marca, in questa forma, è, per quanto del terreno, sembra siano ancora altri avanzi
sappia, nuova; lo stesso nome Crescens » si di antica costruzione, forse di una cisterna.
ritrova però in altre lucerne sia dell’Africa,
sia di altre regioni (v. C. I. L. Vili, 22644 - Pietro Romanelli.
72 e 73).

- 38-

ILLUSTRAZIONI

1

R o m a n elli - ylntichità di Gurgi

Fig 1 - M osaico meridionale.

Fig. 2 - M osaico orientale (com e fu rinvenuto nel 1915). Volume III
NOTIZIARIO ARCHEOLOGICO DEL MINISTERO DELLE COLONIE

R o m a n e lli - A ntichità Gurgi


/
i

Fig. 3 - Particolare del mosaico orientale

(dopo il restauro).

NOTIZIARIO ARCHEOLOGICO DEL MINISTERO DELLE COLONIE Volume III

R o m a n e l l i - A n tich ità d i G urgi

M osaico occidentale (com e fu rinvenuto nel 1915).

NOTIZIARIO ARCHEOLOGICO DEL MINISTERO DELLE COLONIE Volume III

R o m a n e l l i - Antichità di Gurgi

Fig. 5 - M osaico occidentale (com e fu rinvenuto nel 1915).

Fig. 6 - Particolare del mosaico occidentale (dopo il restauro). Volume III

NOTIZIARIO ARCHEOLOGICO DEL MINISTERO DELLE COLONIE

R o m a n e l l i - Antichità di Gurgi

NOTIZIARIO ARCHEOLOGICO DEL MINISTERO DELLE COLONIE Volume III

R o m a n e l l i - Antichità di Gurgi

Fig. 8 - Frammenti di stucchi.

NOTIZIARIO ARCHEOLOGICO DEL MINISTERO DELLE COLONIE Volume III

R o m a n e l l i - Antichità di Gurgi

Fig. 9 - Frammenti di stucchi.

NOTIZIARIO ARCHEOLOGICO DELMINISTERO DELLE COLONIE Volume III

R o m a n e l l i - Antichità di Gurgi

Fig. IO - Frammento di pittura con figura muliebre.

NOTIZIARIO ARCHEOLOGICO DEL MINISTERO DELLE COLONIE Volume III

R o m a n e lli - A ntichità di Gurgi

F ig. 1 1 - Frammenti di pitture con figure di divinità (?).

NOTIZIARIO ARCHEOLOGICO DEL MINISTERO DELLE COLONIE Volume III



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ROMANELLI » TO MBA-DI' GVRGI

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PIANTA-DELLA-CISTERNA S C A L A USO

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=— DELLA-C15TERNA

ÒCA LA 1:50

. MVRATVRA.P!ETRANtf
- COCCIOPESTO
BATTVTO
SECCO
N W R .A T V R A -A

— J9~ 30 — 1— A A O S A CO N . V J .

M O LA ICO A T IV A LE ^v . p l a n i m e t r i a )

2) MOSAICO NONRIMOSSO[V. 28-2* 1919)

3) PICCOLI-FRAMMENTI-i n -MWAO

4*) VASI IN-COTTO (V. 29-2i 1919)

DA-RILIEVI C S S X - M A a ù l O • MCMXiy.

CORNICE • IN - ÒTVCCO

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PROSPETTO

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T A N IT -C A E LE ST IS NELL’A R T E F IG U R A T A



TANIT-CAELESTIS NELL’ARTE FIGURATA

/. Una statuetta fittile di T r ip o li- il culto di " Caelestis „ nella Trlpolitania - (I l S a n tu a rio
d e l M e rg h e b - L 'in s c r iz io n e sa b ra te n se - L e m em o rie d i O e a ) - La figu ra divina e la diffu ­
sione dei culto nei tempi romani.

IL Le rappresentazioni n ell’arte figurata - Le stele sarde e africane - ( R a p p r e s e n ta n z e b eti-

liche - Il sim bolo conico-triangolare - R appresen tazion i an tropoidi e antropom orfe).
III. Le figurazioni umane statuarie ( I : T ip o stante - 2 : T ip o cavalcante il leone - 3 : T ip o as­

siso in trono - 4 : T ip o thorax d e lla d e a ) - Rilievi con Caelestis associata ad altre divinità.

i. Le braccia sono attaccate al tronco ; la
m
testa, conservata integralmente, ha un’accon­
U N A ST A T U E T T A FITTILE ciatura che si può riportare a quella semplice
e naturale usata nel 2° secolo dell’Impero. I
DI TRIPOLI. capelli, infatti, sono partiti in due dal mezzo
della fronte e ricondotti indietro a matassine
Il Museo Archeologico di Tripoli possiede ondulate, similmente come nella magnifica
una statuetta in terracotta, rinvenuta per caso testa di Sabina del Museo Nazionale roma­
a Sciara Sciat non lungi dal mare. Essa è di no (3). Sormonta la testa, che spira una certa
terra gialliccia e misura in altezza m. 0,27 e dolce maestà, un c à la th o s ornato di due file
alla base m. 0.12. La sua fattura non ha alcun­ di rosette e con l’orlo superiore ondulato e
ché di notevolmente artistico, ma non è trop­ sporgente (4); alle orecchie sono attaccati due
po rozza, come per sòlito invece si riscontra in cerchietti con pendenti (5). La parte posterio­
siffatti oggetti di valore puramente industriale re della statuetta, lasciata grezza, ha il suo
e di uso comune: i particolari, per quanto cor­ buco di sfiato.
rentemente eseguiti, mostrano che la forma
originaria fu elaborata con ulna certa accura­ Quale divinità femminile è rappresentata da
tezza. (figg. 1 e 2). questa terracotta tripolina, che costituiva un
oggetto votivo? Mancano, è vero, degli attri­
Rappresenta una divinità feminile assisa su buti che ne aiutino l’identificazione ; ma, ciò
di una se lla con cuscino e munita alla base di non ostante, in essa possiamo facilmente ri­
un gradino per montatoio (sc a m n u m ), il qua­ conoscere rimagline della D e a C a e le s tis , la
le non è altro che un prolungamento della pùnica Tanit romanizzata.
base stessa. (])
Numerosi e opportuni riscontri con ima ric­
La dea è vestita di una lunga tunica talare chissima serie di altre figurazioni, fra cui non
che la ricopre sino ai piedi, modellando le mancano statuette fittili assai simili alla no­
forme dei corpo, le quali risultano molto ap­ stra, ci autorizzano ad affermarlo; questi ri­
pariscenti ; porta altresì il velo che, fermato scontri per di più ci vengono fomiti dai monu­
all’estremità delle spalle da due grandi bor­ menti dell’Africa romana. Ma, in primo luo­
chie a forma di rosette, le avvolge le braccia go, a sostegno della identificazione or fatta,
e discende lungo i fianchi fino a terra, tenuto stanno la straordinaria importanza e la gran-
fermo dalle mani all’altezza delle ginocchia (2).

- 41 -

de diffusione del culto di quella dea cartagi­ L ’in s c r iz io n e s a b r a te n s e . — Incisa su di un
nese in tutta l’Africa e anche fuori di essa, cippo marmoreo ritrovato presso il mare e il
specie nei tempi imperiali. porto di Sabrata (oggi Marsa mta el Medina),
contiene una dedica fatta per la salute degli
Con intento prestabilito ho proceduto alla imperatori M. Aurelio, Commodo, e di Crispi­
identificazione della nostra statuetta, prima na augusta, alla D o m in a C a e le s tis , da un L.
ancora di averla convenientemente messa a ri­ Emilio Calpurniano: essa indusse l’Aurigem-
scontro con i monumenti accennati. Nell’esa- ma a pensare alla probabile esistenza di un
minar questi partitamente, ho notato incertez­ santuario eretto in onore della dea. (7)
ze e confusioni, facilmente eliminabili, nelle
pubblicazioni ad essi relative; sopratutto mi L e m e m o r ie d i O c a . — Mancava appunto il
son convinto dell’utilità che ne deriverebbe ove terzo grande centro della Tripolis, Oea... Eb­
quei monumenti fossero raggruppati in un in­ bene, anche il suolo tripolino ha rivelato, ben­
sieme, al fine di porre in rilievo i caratteri co­ ché modestamente, la presenza del culto di
rnimi e i particolari più notevoli. Solamente Caelestis, non solo con la statuetta fittile di
nel compiere un tale lavoro, si rende possibi­ Sciara Sciat, ma anche con una lucerna roma­
le lo stabilire quali tipi abbia usati l’arte figu­ na recante il busto della dea, che vedremo a
rata nel rappresentare la Dea Celeste, di cui suo tempo, e, sopra tutto poi, mediante la pre­
converrà anche ricordare brevemente la storia. senza deH’antica imagine simbolica di Tanit
in una tomba a camera d’epoca imperiale.
IL C U L T O DI C AELESTIS
Poiché questa tomba, scoperta fortuitamente
NELLA TRIPOLITANIA. a Gargaresc, verrà pubblicata a parte, mi limi­
terò qui ad accennare che in un pilastriho usa­
Che anche su le spiagge declinanti dalla Pic­ to come ara e situato a ridosso della parete di
cola alla Grande Sirte la pùnica Tanit, scatu­ fondo (ora conservato nel Museo) vediamo in­
rita dal fianco stesso deirAstarte fenicia, con­ ciso e rubricato il simbolo cònico di T a n it, co­
fusa dai suoi primi adoratori cartaginesi con la sì come nelle innumeri stele funerarie e votive
stessa Dido e poi dai Romani identificata con ritornate alla luce sul suolo dell'antica Carta­
luno e con Venus sotto il nome di C a ìelestis, gine. Nella nostra aretta di Gargaresc il simbo­
fosse stata oggetto di culto devoto da parte lo però si mostra un poco diverso dal tipo
degli abitatori della Tripolitania, era cosa più consueto antichissimo, rispetto alla rappresen­
che supponibile. E, prima ancora che si ritro­ tazione della testa che comunemente è un di­
vassero gli avanzi di un suo santuario in Leptis sco o cerchietto, rispetto a quella delle brac­
magna e che venisse in luce il cippo votivo di cia, che nell’aretta sono interamente sollevate
Sabrata. verso l’alto, (fig. 3).

Il S a n tu a r io d e l M e r g h e b . — Il Clermont- Se non fossimo certi che la tomba di
Ganneàu in un suo breve scritto su Leptis Gargaresc appartiene all’epoca imperiale ro­
attesta di aver discoperto a E1 Mergheb, un mana, nel simbolo rubricato della nostra aret­
punto elevato a oriente dell’antica città, un ta noi potremmo vedere senz’altro la forma
santuario dedicato a Celeste santissima, con­ più antica della rappresentazione di Tanit,
sistente in una specie di piattaforma ricava­ cioè V id o lo b e tilic o puro e semplice, quale il
ta dalla roccia con una parete verticale, ih Patroni ha riconosciuto negli avanzi della co­
cui eran praticate tre nicchie e incisa l’inscri­ lonia fenicia di Nora, in Sardegna (8), cui furo­
zione : no aggiunti i segni delle braccia.

C a e le s tis s a n c tis s im a p r o p i t i a [ m ] te [Maffe] Ma, possiamo ammettere un ritorno al pas­
e a m u s . (6) sato ?

L’autore aggiunge che il santuario si era tra­ O non dobbiamo invece attribuire quella di­
sformato coi tempi in un luogo di venerazio­ versità a inesperienza o incoscienza dell’inci­
ne per gli indigeni, che ancora vi portavano of­ sore ?
ferte votive sotto l’invocazione di Seidna Alì.
E’ difficile pronunciarsi con maggiore riso­
lutezza, perchè la tomba di Gargaresc fu co­

— 42 —

struita qualche secolo dopo che il simbolo* co­ che alla M a g n a M a te r (28), alla D e a N u tr ix P),
nico, quale appare nelle stele di Cartagine e financo ad A th e n a P); ma il suo vero nome è
anche in alcune di Nora, era caduto in disuso. C a e le s tis (3I).

Per noii, resti semplicemente il fatto che an­ La Magna Mater e Iside più le si accostano :
cora nei secoli dell’Impero il sentimento reli­ al pari di esse è semplice e complessa, perso­
gioso degli Africani poteva scorgere la grande nificando la grande potenza feminea del cielo,
dea celeste in quelle rozze linee del simbolo dominante gli astri e i fenomeni in genere, fe­
vetusto. Qual segno più evidente della interiore conda dispensatrice di bene nel mondo (32). A
vitalità di un culto ? ragione si sono riportate le parole di Apuleio
(M e ta m o r p h ., XI, 5 - ediz. Helm, p. 259), per
LA FIGURA DIVINA E LA chi volesse in breve tracciarne il ritratto. «R e ­

DIFFUSIONE DEL CULTO NEI rum natura paren s, elem en toru m om n iu m d o ­

TEMPI ROMANI. m ina, saeculoru m progen ies initialis, regina

Possiamo dire che T a n ìt sia stata una delle M anium , prim a C aelitu m , deorum dearum que
divinità più venerate nell’antichità romana, e
tanto che insieme a poche altre godette l’alto facies u niform is; quae caeli lum in osa culm ina,
onore di essere ufficialmente adottata dai vin­
citori del popolo a lei devoto. (9) m aris salu bria flu m in a, inferorum d ep lo ra ta si-

Secondo la tradizione corrente fra i Latini, il len tia nutibus m eis d ispen so : cuius n um en uni­
suo culto sarebbe stato trasportato in Africa
dalla stessa Didone. (10) cu m m u ltiform i sp ecie, ritu va rio , n om in e m u l­
tiju g o to tu s v e n e r a to r o r b is » (53).
In verità, la fenicia Astarte, che i Greci
identificarono con Afrodite, le somiglia : da lei Ho già accennato al sincretismo che ci mo­
trasse aspetti e forme essenziali, sembrandone stra la dea.
in qualche lato una esatta derivazione; ma al
compimento della sua personalità divina, qua­ Negli appellativi stessi, che troviamo in uso
le è nella Tanit dell’ambiente fenicio occiden­ nelle inscrizioni romane, si intravvedono le
tale, contribuirono altre divinità femminili lontane origini, le varie fonti donde scaturì la
d’Oriente, le siriache in primo luogo. Diciamo sua complessa natura.
pur sùbito che in Tanit si ha la prova di uno
straordinario sincretismo. La sua natura divi­ E, meglio di quello che non abbiano fatto le
na, la qualità del suo n u m eri, la potenza sua induzioni e i ragionamenti degli studiosi, le fi­
propria, se pure non ne avessimo esplicite testi­ gurazioni, che in séguito passeremo in rasse­
monianze di scrittori, ci sarebbero già note gna, ci mostreranno con maggior chiarezza i
dàlie identificazioni fattene dai Romani e da­ legami della pùnica Tanit. Ci insegneranno
gli epiteti con i quali1l ’adottarono. (n) come ella sia una grande dea della natura, che
per l’origine prima, si ricollega alla d e a n u d a ,
Ella è anzi tutto la dea sovrana (In n o C a e le - imagine precipua della fecondità, delle primi­
stis) (,2), signora del cielo (D o m in a C a e le s tis (l3) tive concezioni asiano-egee (34), arricchita di
— C a e le s tis a u g u sta ) (14), che impera su la Lu­ quanto ad essa imprestarono altre divinità
na e sulle stelle (D ia n a C a e le stis) (,5), che fa­ orientali, oltre A s ta r te , cioè le siriache « dee
vorisce l’amore (V e n u s C a e le stis) (16), che pro­ dei leoni» e A ta r g a tis per prima (35), e anche
pizia la fortuna (F o rtu n a C a e le stis) (,7), vergine le dee egiziane come I s id e -H a th o r (36). In virtù
e madre (V ir g o c a e le stis) (,8); ella viene invoca­ dei monumenti figurati, per un diverso atteg­
ta come p tu v ia r u m p o llic ita tr ix (19), come pro­ giamento predominante assunto da Tanit nei
tettrice dei viaggi e in genere (20); ella è chia­ differenti ambienti occidentali, quali la Sarde­
mata v ic tr ix (2I), i n v i d a (22), d e a s a n c ta (23), d e a gna e l’Africa, vedremo in qual modo la dea,
m a g n a (24), b o n a d e a (25), e il suo «numen » partita dalle originarie spiaggie d’Oriente, sia­
divien tutela del luogo che l’ha presente (26). È si sviluppata e come abbia mutato al contatto
ravvicinata perfino a M itra (27), assimilata an­ subito col mondo ellenico. Nei monumenti sar­
di vedremo meglio che negli altri i suoi stretti
legami con le madri e le consorelle spirituali
d’Oriente; in quelli africani meglio noteremo
la sua ulteriore evoluzione, come cioè, attra­
verso Afrodite e Iuno e Artemis, abbia finito
per fermarsi nella V irg o C a e le s tis romana.

— 43 —

Come T a n it, essenzialmente dea della natu­ maggior luce, tenne confinato il compagno nei
ra con spiccato carattere lunare e siderale, el­ modesti limiti di un principe consorte. (45)
la fu la vera signora protettrice di Cartagine.
Quivi sorgeva un ricco tempio in suo ono­ La spietata distruzione operata dalle armi
re. (37) Se nessuna traccia è rimasta di questo di Scipione nel 146 a. Cr. non abbattè la gran­
splendido santuario, che, a detta dell’anonimo de signora celeste, anche se ne rase al suolo la
scrittore del 5° secolo, si estendeva per circa casa terrena: ella sopravvisse alla catastrofe.
due miglia romane, ricco di marmi e di mo­ Anzi, possiamo dire che visse poi una novel­
saici, per contro in altre località dell*Africa ro­ la vita d’imperio, forse più gloriosa della pri­
mana si sono ritrovati gli avanzi di santuarii ma perchè Caelestis s’ebbe un onore mai toc­
dedicati alla dea insieme col suo divino com­ cato a Tanit.
pagno Baal. (38)
Si può supporre che Scipione nella seconda
E non solo nell’Africa ; ma anche nelle isole guerra pùnica, assediante Cartagine, l’avesse
mediterranee, dove più chiare dove meno, tro­ già invocata, sebbene la formula conservataci
viamo sicure testimonianze del culto profes­ ((( S i d e u s , s i d e a e s , c u i p o p u lu s c iv ita s q u e
sato alle due divinità: in Sardegna, in Sicilia, C a r th a g in ie n s iu m e s t in tu te la ... ecc. ») sia
in Pantelleria, in Malta. quella generica usata dai Romani neH’oppu-
gnazione di una città; Servio, poi, ci traman­
Per la Sardegna, oltre le prove tratte da nu­ da la notizia che l’Emiliano, distrutta Carta­
merose inscrizioni pùniche (39), si hanno le ro­ gine, abbia trasportato a Roma 1*imagine
vine scavate dal Patroni a Nora di un santua­ stessa della dea (46). A poco a poco, dopo lo
rio dedicato a Tanit (40), e il copioso materiale stabilimento del dominio romano e per cause
figurato delle stele e delle statuette, che vedre­ molto naturali, il suo culto risorse con mira­
mo particolarmente. Per la Sicilia, basti cita­ bile vitalità diffondendosi largamente in tutta
l’Africa proconsolare, nella Numidia, in Mau
re le stele di Lilibeo, (una riprodotta a fig. 8); retania, nella Tripolitana; valicò anche il
per l’antica Cossyra, le terrecotte egittizzanti Mediterraneo per stabilirsi in Italia, nella Spa­
gna, e portatovi dai militari, sulle rive del
e di stile arcaico trovate dall’Oasi insieme alle Reno e sul vallo britannico^ di Adriano, giun­
tracce di un santuario. (4I) gendo fin nella lontana Dacia, entrando trion­
falmente nella stessa Roma, dove la dea s’eb­
Anche per l’isola di Malta, possiamo ricono­ be il supremo onore di essere invocata quale
scere Tanit nella dea protettrice che ha lascia­ (( p r a e s e n tis s im u m m im e n » del monte Tar-
to numerose vestigia di sè, nel tempio a Mar- peo (47).
sa-Scirocco, in monumenti figurati, nelle epi­
grafi, unitamente al suo divino compagno. (42) Diffusione meravigliosa, avvenuta sopra

Il suolo poi dell’antica Cartagine ha dato al­ tutto durante i sècoli di mezzo dell’ Impero.
la luce una interminabile serie di stele votive, Affermazione straordinaria di vitalità (dopo
che portano incisa con caratteri pùnici e neo- quattro sècoli la dea dei vinti protegge il Cam­
pidoglio dei vincitori !...), avvenuta nel tempo
pùnici la dedica alla dea in una formula ste­ in cui l’Impero, e Roma propriamente, accen­
reotipata ((( A l l a g r a n d e s ig n o r a T a n it P e n e - tratrice e assimilatrice, appare come il crogio­
B a a l [cioè: faccia di Baal] e a l s ig n o r e B a a l- lo di tutti i sentimenti religiosi del mondo me­
H à m à n ... ») insieme ai simboli più comuni e diterraneo: una volta di più l’Oriente pènetra
agli attributi della dea, quali la sua simbolica Roma conquistandola, chè, se Tanit è pùnico-
africana, la sua madre lontana è ben l’Astar-
imagine cònica, la falce lunare col disco, le te asiatica, le sue sorelle spirituali sono Cibele
stelle, il caduceo, la palma, eoe. (43)
e Iside.
Ella era dunque venerata in unione a Baal- Se ancora non ci è dato di raggiungere una
Hàmàn, identificato poi dai Romani con Sa­
turno; insieme con lui formava una coppia più completa conoscenza della forma e della
divina rappresentante per i Cartaginesi la di­ organizzazione del culto (48), possiamo per al­
vinità unica e suprema, primitiva, concepita tro accontentarci con la ricchezza delle sue me­
sotto le due forme sessuali e generatrice di al­ morie. Le quali, dimostrando la venerazione
tre divinità minori, come Eschmun e Melqart.
(44) Ma, almeno in Cartagine, Tanit fu l’asso­
luta signora, che, oscurandolo con la sua

- 44

che i Romani tributarono alla dea, appaiono ni su le rive del Reno erigono un’ara alla augu­
più frequenti col 2° sècolo imperiale per molti­ sta consorte del Leptitano, identificandola ad­
plicarsi e completarsi nel 3° e nel 4°, a Cartagi­ dirittura con Caelestis : « lu lia e A u g u s ta s C a d e ­
ne romana come negli altri paesi d’Africa e s t i d e a e , m a ir i im p e r a to r is C a e s a r is M. A u r e -
dell’Impero. lii A n to n in i P i i F e lic is . » (56)

L’ inscrizione del Campidoglio è del 239, Se non Scipione, fu ben Elagabalo che tra­
sportò in Roma la statua della dea di Cartagi­
Gallieno imperante. E, se non possiamo dav­ ne, per darla in moglie al suo splendente dio
vero giurare su la veridicità della notizia forni­ d’Emesa : fu un’idea malaugurata, che l’oraco­
taci da Servio (avere Scipione trasportata in lo nel tempio cartaginese per sempre si tacque
Roma 1’imagine! della dea da lui invocata), non (57). Anche il tempio decadde con la fine del 4°
dobbiamo però ridurci a pensare, come fa il sècolo, finché nel 399 il vescovo Aurelio lo tra­
Wissowa (49), che il culto di Caelestis non fu smutò per uso cristiano ; più tardi, nel 421, sot­
introdotto a Roma prima di Settimio Severo. to Costanzo e Placidia, venne raso al suolo*
Tuttavia, la dea celeste ebbe ancora qualche
A parte certe considerazioni d’indole gene­ tenace e segreto adoratore. (58)
rale che si potrebbero facilmente opporre (50),
basta ricordarsi che già Adriano si era reso be­ II.
nemerito della nuova Cartagine, tanto dà me­
ritare l’epiteto di « r e s titu to r A f r ic a e » : a lui si LE RAPPRESENTAZIONI
deve la posa della prima pietra nella costruzio­ NELL’ARTE FIGURATA.
ne del grande acquedótto che Antonino prose­
Purtroppo, manca il grande esemplare ! Non
guì, cui pure Settimio Severo curò (5I). Inoltre, una grande statua della dea, marmorea o di
Antonino Pio, rappresentato dal figlioi adottivo bronzo, finora è venuta fuori dal suolo africa­
Marco Aurelio, iniziò anche i restauri del famo­ no, tale che possa rappresentare l’idolo traspor­
so tempio della dea celeste (52) ; pertanto, se in tato in Roma da Elagabalo e menzionato da
una moneta di Marco Aurelio troviamo rap­ Sant’Agostino (59). Eppure le figurazioni arti­
presentata una figura feminile identica a quel­ stiche di una divinità così grandemente e in­
la che si riscontra in talune monete di Settimio tensamente venerata, il cui simbolo discende­
Severo e di Caracalla, e in queste con certezza va nelle tombe con i defunti o ne adomava il
identificabile con Caelestis, non è davvero ar­ sasso mèmore, la cui imagine simbolica veni­
ditezza riconoscere anche in quella l’imagine va tracciata perfino su gli oggetti d’uso più co­
della medesima divinità. (53) mune, come le lucerne, le gemme, le scatole,
gli amuleti, le bulle (60) : le figurazioni artisti­
Inoltre, non si può non tener conto della po­ che, dico, dovevano abbondare, specie nei sè­
polarità goduta già nel 2° secolo dall’oracolo coli imperiali. Invece siamo costretti a rintrac­
ciare, identificandoli ora con sicurezza e ora
della dea, un cui responso è già menzionato al con dubbio, monumenti piccoli e grandi, varii
tempo di Antonino, ancor prima che i c a rm in a per materia e per il fine cui vennero creati. Per
profetici, data la conseguente suscettibilità dei quanto si abbiano scritti, dai quali è possibile
romanizzati Cartaginesi, cagionassero tante cu­ farsi un’idea di tali figurazioni artistiche della
re fastidiose a Pertinacer proconsole d’Afri- dea, (61) tuttavia uno sguardo d’insieme, che
ca (54). cerchi di raggruppare gli sparsi e svariati mo­
numenti per fissarne le peculiari particolarità
Con Settimio Severo il culto della Caelestis e trarne poi una conclusione di concreta effi­
dovette certamente prendere uno sviluppo mag­ cienza, non è stato ancora dato. E credo inol­
giore, in accordo con la filiale e sollecita amo­ tre che tale lavoro possa oggi compiersi con
revolezza esercitata dal Leptitano, e dal figliol utilità, tanto più che un ritrovamento di data
suo Caracalla, in favore delle terre africane. relativamente recente, avvenuto a Siagu, può
Una serie di monete del 203-204, intitolata alla costituire un dato rii speciale valore.
a In d u lg e n tia A u g g . in C a r th a g in e m », porta
nel rovescio l’imagine della dea Caelestis se­
duta sul leone, mentre sotto i suoi piedi zam­

pilla l’acqua sorgiva (55).
Nei tempi severiani tanto è il favore goduto

dal culto della pùnica dea che i legionari roma­

- 45 —

Traendo quindi le mosse dalla statuetta fitti­ concezioni da cui scaturirono i suoi vari aspet­
le di Tripoli, che in principio ho descritta e ti, l’oggetto del mio lavoro. Questo è più mode­
identificata, mi propongo di raggruppare con sto e limitato, e può, semplificato, ridursi alla
un certo principio quelle varie figurazioni, e di redazione di un « catalogo » o « repertorio »
stabilire in conseguenza quali sieno stati i tip i delle figurazioni, nelle quali si può con mag­
usati nell’arte figurata per rappresentare le ce­ giore o minore sicurezza riconoscere la Tanit-
lesti sembianze della pùnica Tanit, in special Caelestis.
modo nella sua forma romanizzata; ma non
trascurando, anzi dando il dovuto valore al­ E si ricordi che, nella interpretazione in sen­
le figurazioni più antiche che ci insegnano l’o­ so positivo di molte figurazioni, è un concetto
rigine della dea e il cammino seguito dall’arte
nel rappresentarla. to p o lo g ic o quello che sopra tutto mi guiderà,
partendo dalla convinzione che, in paesi dove
A tal fine e per maggiore speditezza, ritengo
più opportuno non procedere con l’esame par­ il culto dèlia pùnica dea fu in vigore, possano
ticolare dei singoli monumenti, ma offrire sù­ facilmente interpretarsi come sue talune figura­
bito il frutto stesso dell’esame condotto, preci­ zioni correnti.
sando i tipi cui le varie figurazioni si riferisco*
no, e queste citando così convenientemente Reputerò felice il mio sforzo, se il lavoro
raggruppate. compiuto saprà recare un qualche contributo di

*** utilità a chi volesse accingersi alla ricostruzio­
ne della divina personalità.
Ma, anzi tutto, è necessario notare come nei
prodotti artistici che esamineremo non sia tal­ Date le limitazioni accennate, e poiché verso
volta facile distinguere nettamente la vera e la Tanit pùnico-romana si deve convergere l’at­
propria T a n it. Da una parte, essa si accosta, fi­ tenzione, è chiaro che io mi debba tener lonta­
no a confondermi, alla Gran Madre degli an­
tichissimi culti asiani, o all’Astarte fenicia o no deH’ambiente orientale, in cui tuttavia la
aH’Atargatis siriaca; dall’altra, essa si frappo­ celeste dea tiene le sue profonde radici; ma
ne confondendosi alle divinità femminili del
pantheon ellenico, con le quali fu messa a in­ d’altronde reputo cosa necessaria il non passa­
timo contatto dagli stessi Cartaginesi, prima, e re sotto silenzio le primitive e antichissime for­
identificata poi dai Romani. me rappresentative che ritroviamo neirambien-

Pochi fenomeni di sincretismo assumono te fenicio occidentale, ancorché esse non fac­
1*importanza di questo che ci presenta la pùni­ ciano parte del vero dominio delle figurazioni
ca dea, che nel momento e nel luogo principa­ artistiche o ne siano a mala pena gli albori.
le del suo massimo fiorire si chiama Tanit;
scrivere la sua storia vorrebbe dire tracciare la Ma, se non potremo soffermarci ad esami­
storia del pensiero o del sentimento religioso nare quale sia stato il progresso dell’idea e a ri­
degli uomini che Fadorarono, in mezzo al vario cercare in qual modo la coscienza religiosa de­
e molteplice intrecciarsi delle influenze di cul­
tura e di civiltà. gli uomini sia passata dal primitivo culto ani-
conico a quello delle figure compiutamente an­
Avverto, quindi, che non farò mio compito il tropomorfe ; se anche non ci accingeremo a vo­
ricercare la ragione psichico-etnica della com­ ler distinguere le divergenze che si stabilirono
parsa dei vari tipi figurativi, ma che mi limite­ fra le concezioni dei Fenici d’oriente e quelle
rò semplicemente a un lavoro esegetico di sin­ degli stessi in occidente; tuttavia, nei riguardi
tesi per raggruppamenti, senza la pretensione del solo ambiente occidentale, potrò indicare
di un più intimo esame, che di necessità mi un interessante e chiaro fenomeno di deriva­
trasporterebbe in un più vasto campo di stu­ zione e di evoluzione. Infatti, in questo am­
dio. Non è la figura « essenziale » dèlia dèa, biente occidentale, che prenderemo da solo
nè la storia del suo culto, nè la ricerca delle a considerare, si riscontrano le rappresentazio­
ni più antiche della celeste divinità : dal primi­
tivo b e tilo alla forma schematico-simbolica, al­
la imagine realmente umana, in una ricchissi­
ma serie di stele funerarie e votive di Sardegna
e d’Africa, prima ancora della produzione di
iconografie isolate, cioè di prodotti statuari,
sieno essi minuti che di dimensioni.

— 46

LE STELE SARDE E AFRICANE. rappresentazione della divinità, dal betilo alla
statua: quadro che il Carton felicemente intuì
Nei due gruppi, quella di Sardegna e quello sulla scorta, non sufficiente, dei soli monumen­
d’Africa, esiste un fondo di elementi comuni, ti africani. (65)
che indubbiamente sono gli stessi a tutto il
mondo pùnico, ma vi notiamo anche una serie Nelle stele sarde, e di Nora e di Sulcis, non
notevole di particolarità, di elementi del tutto più recanti il semplice betilo o un simbolo ma
propri, dovuti al diverso ambiente in cui si svi­ una figurazione antropomorfa, noi anche vedia­
luppò la produzione, lungi dalla comune pa­ mo comparire un tipo — quello reggentesi al
tria. Il gruppo sardo è nella massima parte co­ petto il disco astrale — che è più caratteristico
stituito dalle stele ritrovate in due centri di pri­ della Sardegna, e vieppiù con le statuette fit­
maria importanza, Nora e Sulcis, cui si ag­ tili (66). Inoltre, accanto ad esemplari attestanti
giungono altri monumenti, di Tharros, ecc. (62) uno stile egittizzante, talvolta assai preciso, ve­
Le antichità norensi poi sono quelle che, mes­ diamo in Sardegna comparire con frequenza la
se a confronto con il gruppo africano, dimo­ figurazione di Tanit, concepita quale dea della
strano all’evidenza i particolari caratteri per natura, nutrice o feconda, che ci riporta al
cui si differenzia il gruppo sardo, attestando in mondo preellenico. E, il tipo della dea che nel­
complesso un primo carattere di maggióre an­ la sua sacra nudità si preme le mammelle, pri­
tichità, che vale anche rispetto alle antichità ma ancora che nelle statuette, fa la sua com­
sulcitane. (63) parsa nel rozzo rilievo di una stele norense
(ved. fig. 18a).
Nel gruppo sardo, ad esempio, manca quel­
la ricca varietà di attributi o di simboli e di ac­ Possiamo pertanto affermare che la Tanit
cessori che vedremo comparire sulle stele car­ sarda, cioè quale appare nell’isola dei nura­
taginesi, e africane in genere. Queste, specie ghi, è quella che più si accosta e più trae dal­
le cartaginesi, con la quasi totale prevalenza di l’antichissima dea della natura, dalla Gran Ma­
elementi improntati o tratti all’arte greca (in dre asiana, dall’Astarte fenicia; mentre la Ta­
primo luogo, gli architettonici), e non sempre nit cartaginese è quella che, sviluppatasi in mo­
dèi periodo più arcaico, si fanno riferire a do particolare nello speciale ambiente africa­
un’epoca più avanzata, nella grande maggio­ no, ci porta alla C a e le s tis dei tempi romani. (67)
ranza.
Sarebbe superfluo rilevare dii più l’impor­
Nelle antichità norensi, invece, noi possiamo tanza dei monumenti sardi; procediamo quin­
realmente vedere col Patroni un più fedele ri­ di, col metodo più sopra accennato, all’esame
flesso delle originarie concezioni fenicie; in­ dei vari raggruppamenti.
fatti, eccettuato qualche esemplare tardivo, nei
modesti monumenti funebri di Nora si riscon­ R a p p r e s e n ta n z e b e tilic h e . — E* fuori dub­
trano, insieme a chiari elementi egizi, idee rap­ bio che la primitiva rappresentazione della di­
presentative e decorative tali da produrre la vinità che stiamo considerando, in corrispon­
convinzione di una più diretta derivazione dal­ denza a un primo stadio della coscienza reli­
l’ambiente orientale. (M) giosa umana, si debba riconoscere sotto la for­
ma del b e tilo , che il Patroni trovò e riconob­
E’, per l’appunto, nelle stele norensi che be fra le rovine del santuario di Nora, dà ltui
noi possiamo seguire a nostro agio le fasi del riferito al culto di Tanit, data la presenza ap­
fenomeno già ricordato: vi vediamo, cioè, il punto dell’idolo betilico (68). (fig. 4).
passaggio dal semplice betilo ai primi tentati­
vi di antropomorfismo, il passaggio dal sim­ Esso ha la forma di una piramide od obeli­
bolo conica-triangolare, in fiore sopra tutto nel­ sco triangolare : è in pietra trachitica e misura
l’Africa, alla forma realmente umana sulla ste­ m. 0,56 in altezza e, alla base, m. 0,32 circa di
le e nella statuetta. lato. Tale forma betilica è magnificamente ri­
scontrata dalle pietre coniche o piramidali,
Col tener conto del gruppo sardo e riscon­ conservateci in alcuni monumenti superstiti, in
trando ad esso il gruppo africano, soltanto così voga nei culti asiani ; una più stringente analo­
facendo saremo autorizzati ad affermare l’esi­ gia si trova con la pietra conico-piramidale
stenza di un quadro di sviluppo per fasi nella puntuta, che compare in una moneta di By-

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*

blos, coniata sotto Macrino, e che, secondo il precisione la vera intenzione rappresentativa.
Dobbiamo vedervi una geminazione del betilo
Patroni, costituisce il simbolo della divinità primitivo, spiegando le due pietre come due
messo a cielo scoperto, mentre, secondo il La- emanazioni o Inorai dii Tanit (il bene e il ma­
le), mentre la divinità è rappresentata ipostati-
grange, rappresenterebbe semplicemente in camente dalla stessa stele ? Dobbiamo ritenere,
forma simbolica il tempio stesso (69). nei casi in cui le pietre sono tre e la mediana
è sporgente su le altre, che le due emanazioni
Una siffatta rappresentazione betilica della accompagnino la dea ? Così vorrebbe il Patro­
divinità, in forma di pietra conica o piramida­ ni (75), nè mi soffermerò sull’argomento, per
le, spesso allungata a guisa di obelisco, spesso non esorbitare; ma dirò soltanto che, nono­
tronca, si presenta: nelle stele norensi (70) (fig. 5), stante il dubbio che potrebbe sollevarsi circa
e anche sotto la forma di cippi, provenienti da un’idea rappresentativa dei defunti, a mio mo­
Tharros (71). do di vedere è ovvio che in quelle stele ci sia
data come presente la divinità sotto speciali
A prima vista, sembrerebbe che tale rappre­ determinazioni volute dal concetto degli ado­
sentazione betilica fosse esclusiva della Sarde­ ranti. E, pur non accettando la spiegazione del
gna; ma in mezzo alla straordinaria copia di Patroni con la geminazione dell betilo, si può
stele cartaginesi, sieno funebri che votive, del­ domandare se non è il caso di vedere quasi un
parallelo della coppia divina Tanit-Baal e del­
le quali è talvolta difficile stabilire la posizione la trinità cartaginese, sulla scorta dei monu­
cronologica, possiamo rintracciare questa pri­ menti africani. A ciò può venire in aiuto la
mitiva idea rappresentativa. Anzi tutto, in al­ s te le d i L ilìb e o (76), dove, al di sopra della in­
cune stele sprovviste di rilievi e conservanti su­ scrizione dedicatoria e sotto il timpano muni­
periormente nella parte terminale la forma to della falce lunare rovesciata col disco (im­
triangolare o piramidale, possiamo vedere un mancabile simbolo !), appare la seguente figu­
riflesso del betilo, se non addirittura una rap­ razione. (fig. 8). Un adorante in perfetto costu­
presentazione ipostatica (tali: C. I. S. 1°, Tab. me fenicio-orientale sta dinanzi a tre oggetti e
XLIV. 185 - XLVI. 197-197a, ecc.); su di altre simboli del culto di Tanit (candelabro caratteri­
poi vediamo disegnata la forma triangolare del stico, simbolo conico-triangolare, caduceo), ben
betilo, pura e semplice (tali: C. I. S. 2°, Tab. noti nella simbòlica usata nelle stele africane;
LII, 2444. 1°, Tab. XLVII. 282 - XLVIII. 229 - sopra è disegnato un monumento composto di
LIV. 369 - LVI. 396, ecc.) (72). tre betili sorgenti da un’unica base che ci indu­
ce a pensare un a lta re b e tilic a e che ci riporta
Nelle stele norensi, sicuramente sepolcrali, il alle stele norensi e al noto « cippo di Thar­
defunto non è mai rappresentato (possiamo ac­ ros » (77).
cettare pienamente la spiegazione del Patroni),
ma vien posto sotto la tutela della divinità, rap­ Dalla rappresentazione betilica passiamo ora
presentata dapprima simbolicamente e poi in a quella simbolica, non senza aver notato che
forma antropoide, e infine in sembianze del tut­ il culto betilico o aniconico ebbe le sue persi­
to umane come nelle stele sulcitane: un con­ stenze in tempi di maturo antropomorfismo
cetto che appare generale nel mondo pùnico, rappresentativo ; lo attestano le p ir a m id e tte b e -
per lo meno nei primi stadi della coscienza re­ tilic h e usate come amuleti simbolici di Tanit,
ligiosa (73). Se teniamo presente questo concet­ ritrovate nelle tombe puniche insieme agli altri
to e lo confortiamo pensando che perfino nei tipi svariati di tal genere. (78)
tempi romani dell’Impero esso seppe ancora
guidare il sentimento pio degli uomini, come I l s im b o lo c o n ic o -tr ia n g o la r e . — Il passag­
rimane attestato daH’imagine incisa e rubrica­ gio alla forma simbolica che, nonostante le
ta sul pilastrino della tomba di Gargaresc, in notevoli variazioni, troviamo incisa o esegui­
principio ricordata, singolarissimo fenomeno ta a rilievo con una singolare monotonia sul­
di una indubbia sopravvivenza, potremo fa­ le stele africane, e usata fino all’esuberanza,
è facile. Basta l'idea di rendere più o meno
cilmente ritenere appartenenti alla rappresen­
tanza aniconica di Tanit anche le figurazioni
di talune stele, dove i betili appaiono in nume­
ro di d u e e di tr e , seguendo l’interpretazione
del Patroni (74). (figg. 6 e 7).

In queste stele, sarà questione di stabilire con

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antropomorfa la primitiva rappresentazione, pri ovvero accessori del culto. Prima di ogni
perchè, usamelo di altri elementi appartenenti altra, e quasi inseparabilmente, è la fa lc e lu­
alla simbolica corrente nell’àmbito dèi culto n a re (il ((croissant » dei Francesi), per lo più
medesimo, esca fuori la caratteristica figura col disco (8I); seguon poi il d is c o a stra le , la
nella sua forma meglio compiuta ; basta ripor­ s te lla , il c a d u c e o , la p a lm a , il lo to , il c a p r o , il
tare sul vertice del cono o della piramide b el­ to ro , altri animali, fr u tti vari (melograno, pi­
lica il disco astrale e aggiungere due linee la­ gna, grappolo d’uva, ecc.), la m a n o le v a ta , e
teralmente a significazione delle braccia, e altri. (82)

l’imagine è ottenuta, (fig. 9). Il simbolo schematico, che fa la sua compar­
Osservando tutto il ricco materiale di cui di­ sa anche nelle stele norensi (P a tr o n i. o. c. tav.
XVI, 2-d e 1-b, e col. 238-s.), non soltanto
sponiamo si può agevolmente seguire un ipo­ ricorre sulle pietre votive e funerarie, ma an­
tetico progresso di tentativi, una serie di suc­ che su altri oggetti svariati e di uso comune, su
cessive evoluzioni; qualche fase ci è perfino scatole (83), gemme (84), amuleti (85), lucerne (86),
chiarita da rappresentazioni avanzate nel tem­ e così via, pure dell’epoca romana, (fig. 12).
po, come l’aretta di Gargaresc, il cui simbolo
rubricato, messo insieme ai tre disegni ri­ E, anche quando, nei tempi romani, la figu­
prodotti, mostra all’evidenza come, all’inizio ra umana della dea ha preso il sopravvento
del progresso verso l’antropomorfismo, possa sull’antico simbolo, questo continua a far mo­
venire « animata » la semplice rappresentanza stra di sè, in qualche stele neopùnica (87)
(fig. 13), così come in altri monumenti e fino
betilica. Il progresso è stato possibilie, mia io all’aretta di Gargaresc.
l’ho definito ((ipotetico)), perchè, neiresami-
nare i disegni delle stele, bisogna procedere R appresen tazion i an tropoidi e antropom or­
con cautela nel fissare con precisione le fasi
dello sviluppo, come invece ha cercato di fare f e . — Quale sia stata la ragione intima e pre­
il Carton (79) ; molte delle variazioni, che noi cisa e quale il modo per cui si passò dalla re­
potremmo assegnare a una fase intermedia, tra ligione aniconica, preellenica, così dominante
una rappresentanza primitiva e un’altra più nell’Asia minore e nell’Egeo, alla religione
matura, dipendono da cause semplicissime, delle imagini antropomorfe, sia nelle conce­
cioè, la qualità della pietra, l’abilità del lapi­ zioni riguardanti la morte che in quelle rela­
cida, l’importanza del lavoro, e così via. Ad tive agli atti della vita, non sarebbe facile sta­
ogni modo, è per mezzo di un possibile pro­ bilire. Il cammino seguito dai Fenici d’occi­
gresso che si è ottenuta la forma schematica, dente, e in Sardegna e nell’Africa (tanto per
rozzamente antropoide, quale noi riscontriamo dire dei nostri due gruppi principali) va mes­
nelle migliaia di stele votive e funerarie, pùni­ so in stretta relazione con quello percorso in
che e neopùniche, venute in luce dalle terre oriente dalla civiltà fenicia propriamente det­
africane, e sopra tutto dal suolo dell’antica ta, dalla semitica in genere. E’, sopra tutto,
il contatto subito col meraviglioso pantheon
Cartagine (80). ellenico che fece sorgere quei tipi figurativi di
Questa imagine simbolica, che possiamo arte corrente, che per ragioni principalmente
commerciali si diffusero così largamente at­
chiamare tanto conica che triangolare, stabil­ traverso il Mediterraneo ? Qual parte va fatta
mente ricorre eseguita a rilievo o incisa, spes­ prima alla civiltà egizia? Qual parte, oltre a
so rubricata, su quasi tutte le pietre, stereotipa­ ciò, ebbero i particolari ambienti, nei quali i
ta nel suo schematismo generale ^ consiste in gruppi di coloni vennero in certo qual modo
una Tozza imagine della divinità, le cui braccia, a circoscriversi ? Sono tutte domande alle qua­
variamente applicate al corpo o distese, sono li non si potrebbe dare una risposta definitiva
per lo più indicate per mezzo di linee leggie­ e con brevità.
re, ora semplici ora uncinate, mentre il capo è
ottenuto con un piccolo cerchio, derivato (se Per il nostro assunto, basti notare che, tan­
giova ripeterlo) dal simbolico disco, (figg. 10 to in Sardegna che in Africa, e sia nelle stele
figurate che nei prodotti fittili, possiamo sta­
e 11). bilire tre categorie, quasi tre tappe del cam-
L’imagine è quasi sempre accompagnata da

altre figurazioni, sieno esse attributi veri e pro­

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mino seguito, che, con i dovuti riguardi, ci Ma, altri esemplari dànno certezza (come
rappresentano altrettanti periodi di manifesta­ in CIS. 2°. tav. IV, 532 - XXIII, 1353: da Car­
zioni, originate da fasi successive di sviluppo tagine); specialmente istruttiva è la figurazio­
dell’idea religiosa. Ho detto « con i dovuti ri­ ne di una stele norense, che qui riproduco,
guardi », perchè gli elementi delle tre catego­ (fiìg. 14), in cui son chiare la derivazione della
forma antropoide dal betilo primitivo e la sua
rie in progresso di tempo si trovano fusi in­ relazione col simbolo schematico (88). Questo
sieme, sopravvivendone alcuni antichi accanto pois si mostra ancor più tendente verso l’antro­
ad altri più recenti, formando insieme in qual­ pomorfismo in un’altra stele norense, che ap­
che caso un vero sincretismo; perchè, ad esem­ partiene al gruppo, non troppo numeroso, re­
pio, e precipuamente nella religione dei defun­ cante rimagline conico-triangolare così cara
ti, elementi antichissimi, quasi primordiali, si agli Africani, (fig. 15).

mantengono fino in tempi dei più inoltrati. E, Ma dalla figurazione a forma ((di croce»,
alla memoria, torna ancora una volta il feno­ riprodotta a fig. 14, indiscutibile tentativo an­
meno venuto in luce più di recente: l’aretta di tropoide, e sempre in linea di progresso verso
Gargaresc ! l’umanizzazione, giungiamo all’imagine ese­
guita a rilievo di una stele sulcitana (89), nella
Nel primo dei periodi accennati, quello che quale II cammino verso la figura antropomorfa
serba le tracce più fedeli della primitiva men­ è più che mai sensibile, (fig. 16).
talità della stirpe, possono comprendersi i mo­
numenti attestanti la religione aniconica, real­ Liberiamo quella figuretta antropoide dal
mente arcaici. Affermandosi poi la tendenza suo attacco alla stele, isoliamola, e, quando
all’ antropomorfismo della figurazione, attra­ l’arte greca renderà esperte le mani dei mode­
verso e unitamente a una spiccata inclinazio­ sti artefici, (mi sia permessa questa anticipa­
ne al simbolismo, destinato a perdurare, si ha
un secondo periodo, in cui l’influsso egizio zione !) avremo la piccola statuetta sarda in ter­
appare predominante; quindi segue il terzo, racotta del Museo di Cagliari, nuda o vestita
dove sovrana impera l’arte greca col suo sof­ leggerissimamente, comunque sia, col suo cd-
fio animatore. la th o s in testa, esemplare raro per la Sarde­
gna, ma che troveremo più in uso nelle necro­
Che si debba fare buon posto alle determi­ poli cartaginesi. (fig. 17).
nazioni particolari d’ambiente, è chiaro, da
quanto è stato già osservato e lo sarà in se­ Ritorniamo alle stele. In quelle norensi ri­
guito. Per dirne una, Io insegni l’Africa pùni­ scontriamo altri esempi di rappresentazione
ca, dove si nota, accanto alla simbolica più
sviluppata, una vera « passione » per 1*ima­ antropoide (P a tr o n i. o. c., tav. XVII 2 b, c -
gine conico-triangolare, rigida nel suo durevo­ id. 1 b), dove l’aspetto umano è ottenuto con
le schematismo, mentre per altro si compie sommarie distinzioni del tronco, della testa e
l’evoluzione dello stile e dell’idea nei due ul­ degli arti. Fra tali rozze prove di umanizza­
timi periodi accennati. zione sceglierò per riprodurla ima dielle più
evolute e che ci offre il tipo della dea nuda
Ma, la Sardegna, ancora una volta, ci offre che si preme i seni con le mani. (fig. 18).
esemplari di maggiore utilità.
Accanto a questo tipo, che ci riporta più
Alla forma antropomorfa della figura divina direttamente all* originario ambiente asiano,
si può giungere sia dal betilo, senz’altro, sia nelle stele norensi troviamo anche l’altro, più
dal simbolo conico-triangolare, il quale del re­ caratteristico della Sardegna, della dea reggen­
sto è già di per sè antropoide. te il disco astrale (tali: P a tro n i, o. c., tavola
XVII, 2 e - XVIII, 2 d); tipo, questo, che ve­
Alcuni esemplari hanno figurazioni così roz­ diamo maggiormente sviluppato, sia dal pun­
zamente o semplicemente eseguite, che la loro to di vista stilistico che da quello deirumaniz-
vera interpretazione può rimaner dubbiosa ; zazione della figura, nella pregevole serie di
tanto è vero che in talune stele si suole rico­ s te le s u lc ita n e , due delle quali son qui ripro­
noscere un v a s o (tali : P e r r o t-C h ip ie z . 3°, p. 463 dotte. (90). (figg. 19 e 20).
fig. 388, da Hadrumetum; P a tr o n i. o. c. ta­
vola XVII, 1 a - XIX, 2, 4), mentre l’idea di Nelle stele di Sulcis, assai note e già abba­
una prima fo r m a a n tr o p o id e più sorriderebbe. stanza riprodotte (91), troviamo predominante

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la figura divina, più spesso vestita di lungo l’arte figurata produsse un grande numero di
abito, raramente nuda, che con le due mani si rappresentazioni. Le diverse divinità, con le
regge al petto il simbolico disco, e chiusa in quali la dea Celeste venne identificata o con­
una edicoletta. Gli elementi egizi sono sovrab­ fusa, ci possono esaurientemente spiegare la
bondanti, ma vi compaiono anche chiari in­ varietà dei tipi che si riscontrano: i quali tipi
dizi dell’influsso esercitato dall’arte greca ar­ si riducono a q u a ttro fondamentali.
caica. Nel complesso, e non soltanto per la
minore rozzezza dello stile (che di per sè non I.) T ip o s ta n te . — E’ forse il più antico
sarebbe prova), le stele sulcitane vanno rite­ della serie. A dimostrarlo sta la sua deriva­
nute come un prodotto più avanzato e più ma­ zione dal betilo e dai simbolo schematico, re­
turo che quelle norensi. sa manifesta in un modo singolare dalla sta­
Con la statuetta fittile a braccia distese del tuetta del Museo di Cagliari, riprodotta a
Museo di Cagliari, e con le stesse stele sulci­ fig. 17. In questo tipo rientrano due antiche
tane che portano una figura realmente antro­ figurazioni, le stesse che già notammo sulle
pomorfa (92), noi siamo giunti all’ultima parte stele di Sardegna, (figg. 21 e 22).
del lavoro, a quella risguardante i tipi figura­ La prima ci offre, con un esemplare noren-
tivi compiutamente umani della statuaria. se molto pregevole per l’esecuzione accusante
uno stile egittizzante, la figura della dea nuda
che si preme le mammelle : figura già nota da
111. esemplari di Tharros e di Cipro, dov’era mol­

LE FIGURAZIONI UM ANE to comune (97), e che troviamo largamente usa­
STATUARIE. ta, anche in lavori di oreficeria e negli amu­
leti di Sardegna (98). La seconda riprodotta è
E’ esistito, prima dell’epoca romana, un ti­ una statuetta proveniente da Tharros ; rappre­
po figurativo della dea in sembianze perfet­ senta la divinità, col capo velato e vestita dii un
tamente umane?... (93) Si può benissimo sup­ abito attillato, reggente al petto con le due ma­
porlo, anche senza tener conto della leggenda ni il simbolico disco astrale, in una posa rigi­
tramandataci da Servio. L’arte fenicia, sebbe­ damente ieratica. Essa ci mostra un tipo, ripe­
ne scarsi sieno gli avanzi della sua statuaria, tiamolo pure, che fu particolarmente in gran
ha pure raffigurate le sue divinità e, ad esem­ voga presso i Fenici di Sardegna ("), tanto
pio, per rappresentare la dea A s ta r te ha an­ da apparire veramente un tipo prediletto e ca­
che usato un tipo fittile, quello della dea assi­ ratterizzante. Non manca però altrove: fu ri­
sa in trono e tenente in mano una colomba (94), trovato fra le antichità pùniche dell’antica Cos-
che può ritenersi divenuto molto comune in syra (Pantelleria) (10°), e, benché raro, anche
virtù del commercio. Inoltre, le antichità feni­ nelle rovine delTantica Cartagine (101).
cio-puniche della Sardegna dimostrano lumi­ Altri arcaici esemplari del tipo stante si
nosamente che, prima ancora dei tempi ma­ hanno in statuette rappresentanti una figura
turati dall’ellenismo, fu largo l’uso di raffigu­ sia nuda che vestita, rigidamente modellata
rare la celeste dea in sembianze più o meno con le braccia aderenti al tronco, talvolta con
umane. un evidentissimo stile egittizzante, come nella
In Cartagine poi effettivamente vennero eret­ statuetta del Museo di Cagliari, nota già nella
te divine statue marmoree, che poco importa riproduzione datane dal Perrot-Chipiez. (,02).
se dobbiamo riconoscere per opere compieta- Ma, un esemplare prezioso, in primo luogo
mente ellèniche (95). Se in Cartagine adunque, perchè si collega a quello sardo derivato dal
sia pure negli ultimi tempi della sua indipen­ betilo e dal simbolo schematico (ved. fig. 16
denza, sorsero monumenti statuarii di greche e 17), e poi perchè costituisce il solo esempla­
divinità (96), perchè dovrebbe pensarsi che ai re ritrovato completo di un tipo che ne conta
Cartaginesi repugnasse il prosternarsi innanzi molti altri e che si mostra più caratteristico di
a una figura veramente umana della loro gran­ Cartagine, è la seguente statuetta fittile del Mu­
de signora celeste? Certo è che con l’epoca seo Lavigérie, ritrovata in una necropoli pùni­
romana, e sopra tutto nei tempi imperiali. ca di Cartagine. (,03) (fig. 23). La dea porta in

— 51

testa un \d la ih o s adorno di rosette e sembra in tal modo: rilievi, statuette fittili, monete,
vestita di una tunica leggerissima che modella gemme, lucerne. E ciò oltre all’esplicito ricor­
le forme del corpo; ha le braccia distese do fattone da Apuleio: (,08) « ...c e ls a e C a r th a -
orizzontalmente e nelle mani sostiene due oig-
getti, che, se non sono due piccole coppe, co­ g in is, qu a e te virgin em Vectura leon is caelo
me crede il Delatore, potrebbero ritenersi due
timpani o altro. com m ean tem p erc o la » .

L’arte qui si palesa ellenizzata e, benché ri­ Il primo dei monumenti, da citarsi, è una
manga fermamente stabilita la derivazione del stele d’epoca romana, ritrovata a Setif. (,09)
tipo, è doveroso pure notare che la posa ci ri­ Nel timpano è rappresentata Caelestis, vestita
chiama il motivo di certe figure d’arte sicelio- di una lunga tunica e velata, cavalcante sul
ta, della Persefone che regge le due faci e del­ dorso di un leone e tenente in maino lo scet­
la Demetra Dadofora. tro (fig. 25).

Come l’arte si fa più decisa sotto l’influisso In secondo luogo, per l’importanza e per la
greco, così troveremo esemplari fittili che, certezza della identificazione, vengono le mo­
mancando di attributi tali da assicurarne l’i­ nete imperiali di Marco Aurelio (no), di Setti­
dentificazione, difficilmente palesano la divi­ mio Severo e Caracalla (ni). Queste ultime,
nità realmente effigiata. Ma, ciò non ostante, coniate nel 203-204, in ricordo dei lavori ap­
più che Afrodite, anche per il concetto topo­ portati dalla munificenza imperiale all’acque­
logico in principiò affermato, amerei meglio dotto di Cartagine, portano nel rovescio, insie­
riconoscere Tanit in una statuetta, almeno, di me alla scritta « I n d u lg e n z a A u g g in C a r th . »,
Tharros, in cui la dea porta il p a t h o s e ha le 1’imagine della dea, vista di faccia e seduta su
braccia cadenti lungo i fianchi. (,04) di un leone corrente verso destra. Ella tiene
in mano ora il timpano e lo scettro, ora solo
Interessante è un altro monumento, non ap­ il timpano, ora anche il fulmine o il fulmine
partenente alla classe dei fittili, pregevole e lo scettro insieme; sotto le zampe del leone
esempio d’arte locale, che potremo dire a bar­ scorre dell’acqua sorgente da una roccia (fi­
bara » per non usare la parola « provinciale » gura 26).
più adatta a tempi ben circoscritti. Esso è un
rilievo del Museo di Algeri (,05), nel quale la Abbiamo qui la dea Caelestis, tipo Cibele e
dea appare nuda, evidentemente concepita co­ Atargatis, « p lu v ia r u m p o llic ita tr ix », « c a e lo
me Afrodite (106), con una collana al collo, c o m m e a n s v e c tu r a le o n is ».
con la capigliatura acconciata a mo’ di cércine
circolare, con le braccia appoggiate su due co­ Altro notevole esempio di questo tipo ci è
lonnine e sorreggenti il famoso velo che, ar­ dato da una gemma di epoca imperiale avan­
rotondandosi sopra la testa, forma una specie zata con inscrizione greca. La dea Celeste,
di coronamento circolare e rappresenta così quale Tl^a Ovgavia, è rappresentata a caval­
la volta del firmamento (107). Nel timpano è la lo del leone, cinta la testa della corona turri­
falce lunare rivolta verso l’alto, col disco nel ta e tenente in mano lo scettro, fra i due Dio­
mezzo e con due dischi più piccoli sottostanti. scuri stanti (,l2) (fig. 27).
Ove non bastasse il particolare della falce di
tipo più recente, la stele è neopunica e pro­ Di indubbio valore, per la popolarità del
viene da Vieil-Arzeu. (fig. 24). tipo*, è una statuetta in terracotta, ritrovata
purtroppo in pessimo stato di mutilazione ne­
In conclusione, il tip o s ta n te è bene rappre­ gli scavi del santuario di Baal e Tanit presso
sentato, con esemplari anche dei più antichi Siagu. La dea, di cui manca tutta la parte su­
e con varietà di motivi. periore del corpo con la testa e le braccia, ve­
stita di un lungo abito, è assisa su di un leo­
II.) T ip o c a v a lc a n te il le o n e . — E’ il tipo ne, riconoscibilissimo. Su la spalla superstite
che si accosta a quello di C ib e le e di A ta r g a tis porta graffita una breve iscrizione latina, di
e che dovette godere di una certa popolarità, cui il Merlin (,I3) propone una lettura più che
come è attestato dalla varietà e dal numero accettabile : «C (a e le s ti) A (u g u s ta e P) s(a c ru m )
dei monumenti che portano la dea raffigurata F . S a tu m in u s , P (u b lii) fil(iu s) P h a e ... ta n u s ,
m(emor) a n (im o ) v (o tu m ) s ( o lv it) » . Se pure
un dubbio fosse esistito nella identificazione
della statuetta, gli esempi precedenti davano

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Anche in questo caso, la Sardegna dimostra imperiale e, per la fattura, ricordante la tec­
qualche cosa di più preciso e, cioè, come l’uso nica ellenistica, esso ci mostra la dea Caele­
introdotto dai primi colonizzatori fenici si pro­ stis, calma e serena, con la testa sormontata
traesse a lungo fin nei tempi romani. Alle pro­ dal c d la th o s .
tomi e g ittiz z a n ti e solennemente ieratiche (126)
tra le quali notevoli quelle di Tharros (fig. 33), Un altro prezioso monumento, sfortunata­
seguono altre in cui appare manifesto l’influs­ mente andato perduto, ma ciò non ostante ri­
so dell’arcaismo greco, seguono quelle di No­ prodotto ed egregiamente studiato dal Berger,
ra (127), più finemente modellate e che ci ripor­ (,34) consisteva in un frontale d’argento prove­
tano anche all’arte siceliota (fig. 34); e infine niente da una tomba pùnica scoperta a tre
quelle funzionanti da th y m ia te r ia trovate nel km. da Ai'n-Ksar sulla via di Batna. Era una
santuario punico-romano del Nuraghe Lugher- lamina sottile argentea, rotta in due frammenti
ras (Paulilatino), e anche di Olbia, le quali e per di più deteriorati, coperta nella parte
benché corrose mostrano ancora l’esperienza centrale di figurazioni disposte simmetricamen­
te a partire dal centro verso le estremità, in
matura degli artefici (128). modo che le figurazioni formavano due serie
Che rappresentino Tanit io non lo mette­ riscontrantisi (fig. 36). Nel centro campeggia­
vano, separati da una stella, i due busti di
rei in dubbio (129); che le pròtomi di Tharros Baal-Hàmàn e di Tanit-Caelestis. Per quanto
e di Nora possano insegnarci un mezzo con il la riproduzione sia in piccolo, si possono esa­
quale, durante lo svolgimento dell’idea reli­ minare con agio. Quello della dea, in sem­
giosa dal culto aniconico a quello delle forme bianze piuttosto giunoniche, è a sinistra: ella
umane, gli adoranti abbiano fatto una sosti­ porta i capelli disposti in trecce e, sopra, un
tuzione del betilo primitivo, anche nei luoghi piccolo c à la th o s, se non trattasi di una corona
sacri del culto, non mi sembrerebbe arditezza turrita, come appare più che chiaramente in
il supporlo. E che il motivo della pròtome sa­ altri frontali consimili. (135).
cra fosse stato in voga, lo provano alcuni og­
getti minuti, ad esempio gli amuleti di vetro Le figurazioni simboliche che occupavano
azzurro del Museo di Cagliari. (13°) il resto della lamina, a sinistra di chi guarda
e alla destra della dea, eran tutte conservate :
Nè la pròtome manca a Cartagine: la pos­ fra esse apparivano il serpe, il capro, la V e ­
siamo scorgere già nelle stele (si ricordi la
stele di Abdeschmum e quella cartaginese col n u s a n a d y o m e n e , la colomba, il simbolo co­
tipo hathorico), la ritroviamo nelle necropoli nico di Tanit, il caduceo, ecc. (136)
pùniche cartaginesi (!3!), così come nelle sar­
de. Non fa quindi meraviglia che sieno ricor­ Ma, non solo come Iuno la dea cartaginese
dati dei th o ra c e s, oggetto di culto, in due in­ fu raffigurata in questo tipo: anche come A r ­
scrizioni dei tempi romani. te m is lu n a re o Selène. Un discreto numero di
oggetti hanno quest’ultima figurazione, che
Nell’una vengono nominati alcuni istrumen- pure dovette godere di rinomanza.
ti, certo appartenenti al culto di Caelestis:
(C. I. L. Vili, 12561 - E p h . e p . V, 702) « th y - Ricorderò dapprima una piccola forma di
ren..., th r o n o s , th y r s o s , th o r a x , h is to s , c a n e o n , medaglione in terracotta, del Museo Alaoui
c e ra u n k t(s) ». E l’altra epigrafe, carpitana, (137), che ha un bel busto di Caelestis, munita
conferma la precedente: (id . 993; cfr. a n. del suo velo e di una piccola falce lunare in
12354) in essa è nominata una a e d is sacra vo­ fronte, tra due stelle laterali. E questa figura­
tata da una fiammica della diva Plotina col zione, insieme all’altra cavalcante il leone, ap­
ricordo di un th o ra x C a e le s tis a u g u s ta e . (I32) pare di preferenza su molte lucerne di epoca
romana e di provenienza africana : in alcune
Quale imagine troveremmo più rispondente tutto il busto della dea poggia su la falce lu­
al ricordo tramandato da queste lapidi se non nare. (138) Così per l’appunto la vediamo in
il bel busto marmoreo del Museo Lavigerie una piccola lucerna monolicne e con manico
(133), nel quale la dea è ritratta con sembianze ad anello verticale, conservata nel Museo di
virginee per quanto improntate di una certa Tripoli e proveniente dalla stessa tomba a ca­
maestà giunonica? (fig. 35). mera di Gargaresc, che ci ha dato l’aretta col
simbolo conico di Tanit, già menzionata: il
Lavoro probabilmente del secondo secolo

— 54 —

busto della dea, visto di fianco, poggia su la dei tipi che la grande statuaria predilesse. La
falce lunare, mentre su la testa, volta di pro­ prima, più piccola, proveniente da Bisica, è
spetto, è impressa una stella (139) fig. 37). conservata nel Museo Alaoui. (141) E’ stata
attribuita con sicurezza ad una statua rappre­
Perfino in una b u lla di epoca bizantina ve­ sentante Caelestis, nè si potrebbe rifiutare se­
diamo similmente il busto di Caelestis-Selène, riamente una tale attribuzione (fig. 38).
poggiantesi su la falce lunare e con un’altra
falce più piccola in fronte. (I4°) La dea ha un aspetto sereno, ha i capelli
bipartiti sulla fronte, alla cui sommità poggia
La provenienza africana di questi oggetti, la falce lunare; agli orecchi doveva portare
dato il concetto topologico più volte ricorda­ dei pendenti, chè il lobo è forato; la testa è
to, può permetterci di riconoscere la Tanit- circondata dal velo come da un nimbo, non
Caelestis sotto le sembianze di Artemis lunare dissimile da quello che accompagna il tipo
in figurazioni, che, se venute in luce da altre di Selène. La seconda testa, nel Museo Lavi-
località, dovrebbero interpretarsi senz’ altro greie (142), ritrovata in Cartagine presso il porto
con Selene. militare e l’antico foro Romano, è davvero
pregevole per il suo stile riferibile ai primi
*** tempi imperiali: anche qui il viso è impron­
tato a divina serenità, la capigliatura è bipar­
Tali sono dunque i tipi, per mezzo dei qua­ tita in piccole trecce, le orecchie hanno il lobo
li l’arte figurata ha rappresentato l’imagine di forato per apporvi dei pendenti. Nell’alto del­
una dea che di vivo splendore illuminò il cie­ la testa, un piccolo supporto marmoreo mostra
lo dell’umana religiosità. che vi doveva essere un adornamento metal­
lico, che potrebbe pensarsi la falce lunare, se
Se il tipo stante abbraccia le rappresenta­ si vuole attribuire col Delattre questa bella te­
zioni forse più antiche della dea, nell’aspetto sta alla Virgo Caelestis. (143)
della Gran Madre feconda e della divinità ce­
leste con il simbolo astrale, se il tipo assiso in RILIEVI CON CAELESTIS
trono, quale limo e Venus, può farci pensare
che fosse tale il preferito dalla grande statua­ ASSOCIATA A D A LTRE DIVINITÀ.
ria nel periodo più maturo dell’attività arti­
stica, dobbiamo anche supporre, basandoci su I monumenti cui accennavo, di diversa o in­
le figurazioni di oggetti modesti o d’uso co­ certa identificazione, si riducono ad alcune
mune, quali le lucerne, che l’altro tipoi di Cae- ste le d’epoca romana, nelle quali la dea Car­
lestis-Cibele, trasportata dal leone, e il sotto­ taginese appare in compagnia di altre divi­
tipo di Caelestis come Artemis-lunare, fossero nità. Come ho già fatto supporre, l’incertezza
quelli più in voga e popolari. che ne ha accompagnato il riconoscimento è
facilmente eliminabile.
Ma, l’esame dei monumenti non è ancora
finito. Ne rimangono alcuni che non abbiamo Di questi rilievi, alquanto rozzi nell’esecu­
citato in uno dei quattro gruppi distinti, in cui zione, tre appartengono al Museo di Lambe-
d’altronde era possibile anche comprenderli, si (,44): sul frontoncino è figurata una trin ità
poiché l’identificazione fattane dai primi illu­ divina. Nel mezzo è il busto di un dio barbu­
stratori è diversa ovvero incerta, mentre pos­ to e con la testa velata, ai lati altri due busti,
sono con facilità riferirsi tra le figurazioni di l’uno maschile con la testa radiata, l’altro fe-
Caelestis. minile con la testa poggiata su la falce luna­
re (fig. 39). Si tratta della trinità cartaginese,
Prima di esaminarli, ricorderò due altri nu»* che il Berger ha per primo studiata e stabilita :
numenti, che vanno tenuti completamente dia il dio barbuto è Saturno, il d e u s fru g ife r identi­
parte, perchè riguardo ad essi è necessaria ficato col pùnico Baal-Hàmiàn, gli altri due
una massima cautela neH’identificarli ; si trat­ busti rappresentano Hélios-Baal e Seléne-Cae-
ta di due reliquie superiori per il pregio arti­ lestis.
stico agli oggetti che abbiamo veduto finora.
Queste stesse persone divine dobbiamo ri-
Sono d u e te s te m a r m o r e e , frammenti di sta­
tue feminili, solo con probabilità appartenen­
ti a simulacri di Caelestis, raffigurata in uno

- 55 -

conoscere in altri consimili rilievi ; ad esempio, compagna porta anch’essa su la testa corona­
in due stele del Museo Alaoui (,45). Nell’una, ta (,5°) il velo e nelle mani, poggiate su le gi­
più modesta e frammentata, troviamo figura­ nocchia, degli attributi, una pàtera e, forse,
te le tre teste, di Saturno, di Hèlios-Baal, di un fiore. Nel registro sottostante, separati da
Seléne-Caelestis. una pròtome leonina, sporgono i busti di He­

L’altra stele, intatta e in bassorilievo, ci lios radiato e di Selene con falce lunare (figu­
mostra una serie più numerosa di personaggi ra 42).
divini: cinque in tutto. II Poinsott identifica
il dio barbuto che, seduto in trono, campeg­ Chi è la divinità feminile seduta a fianco di
gia nel mezzo, con Iuppiter; la dea che, a Saturno? Lo Gsell, che illustra le due stele,
destra del precedente, è assisa sul leone e ha vuole riconoscervi O p s , fondando la sua con­
la testa sormontata dal c à la th o s , con Cibele;
identifica infine con Ceres una divinità stan­ gettura sul fatto che il Saturno latino aveva
te, a sinistra, che porta anch’essa un c à la th o s per compagna tale dea e che una inscrizione
su la testa e nelle mani una pàtera e ima tor­
cia; alle estremità si vedono Marte loricato e di Lambesi (C. I. L. Vili - 2670), datàbile tra
Nettuno col tridente (fig. 40). il 212 e il 217, reca una dedica fatta a S a tu r-
n u s d o m in u s e a O p s r e g in a e quindi prove­
AH’infuori delle due ultime divinità ricono­
scibili con tutta sicurezza, e di C e r e s , cui nul­ rebbe che anche in Africa i due culti sareb­
la può opporsi, l’identificazione delle prime bero stati associati. Lo Gsell cita ancora un’al­
tra iscrizione, di Tebessa, dedicata a O p s a u ­
due è insostenibile, tanto più se si pensi che g u s ta (,5!).

la stele proviene da un santuario dedicato a Queste due sole inscrizioni costituiscono già
S a tu r n o in Mididi. Non c ’è bisogno di parole, di per sè una poco solida base; inoltre si può
ma nelle due divinità in questione dobbiamo
obiettare ben altro. Anzi tutto, il culto di Ops,
più verosimilmente riconoscere Saturno « d e u s divinità del tutto romana, trasformatasi dal
f r u g if e r » e Caelestis « c a e lo c o m m e a n s V ec- 2° secolo in poi a contatto col divino mondo
tu ra le o n is ». (,46)
ellènico, associata a Consus e anche a Satur­

no, è un culto di così poca importanza fuori

Maggiore attenzione richiedono altre due di Roma, che ne deriva una notevole scarsez­
stele votive di epoca imperiale avanzata, pro­ za di memorie. Se fra tanta penuria di ricor­
venienti dalle rovine di Guinifida (Khenafsa), danze, proprio due titoli africani nominano
di poco pregio dal punto di vista artistico, ma quella dea, non per questo dobbiamo illuder­
ci e supporre che il suo culto fosse realmente
non da quello archeologico. (,47)
La prima (I48) ha nel registro superiore le fi­ in voga nelle terre d’Africa; è logico pensare
gure di due divinità, l’una maschile e l’altra che, accanto agli dei indigeni romanizzati, gli
femminile, sedute e separate da un leone ac­ immigrati itàlici ponessero talvolta anche i
coccolato nel mezzo. Quella a destra è la, fi­ propri. In fatto di divinità e di culti, non è
gura di Saturno, barbuto, che appoggia la te­ Roma che presta all’Africa, così come non
sta coperta dal velo su la mano sollevata; a presta all’Oriente. In Africa, come ben pensa
sinistra siede una divinità feminile, vestita di il Toutain (152), Tintroduzione della mitologia
una lunga tùnica e col capo velato. Nel regi­ greco-romana fu più apparente che reale. Se

stro inferiore, fra cinque pigne galoppano con i vinti Africani identificarono le loro divinità

le clàmidi al vento i due Dioscuri (fig. 41). E, con quelle dei vincitori, non lo fecero appor­

di quest’ultimo riconoscimento, diremo più tando sostanziali modificazioni ai loro concet­

sotto. ti religiosi: essi, pure invocando Cerere Pro-

L’altra stele (,49) è più conservata: le due sèrpina Tellus Diana Venus Iuno, veneravano

stesse divinità sono assise in un ricco trono sempre la loro celeste T a n it. Similmente ac­

che ha i due montanti adorni di figure ani­ cadeva per B a c d -H à m à n , identificato non solo

malesche (quello del dio con caproni; quello con Saturno, ma anche con Iuppiter Pluto

della dea con tori). Anche in questa Saturno Apollo Bacco. Troppo profonda era la distan­

appoggia la testa velata sulla mano sinistra, za tra la semplice religione pùnica e la mito­

mentre nella destra tiene un falcetto; la sua logia ellenizzata dei Romani, perchè nella pri-

- 56 -

ma potessero avvenire mutamenti sostanziali no dobbiamo riconoscere ancora una volta
e reali sostituzioni. C a e le s tis . (,55)

La coppia divina T a n it-B a a l, divenuta Cae- ***
le stis-S a tu m u s, è l ’esempio più chiaro dell’in-
fluenza esercitata dalla religione greco-roma­ Giunti al termine, non sarà inutile che, a
na, che in sostanza si riduce ad aver a poco a rno* di conclusione, vengano ripetuti alcuni
poco antropomorfizzato completamente il sim­ concetti fondamentali. Possiamo stabilire con
bolismo rappresentativo dei Cartaginesi. certezza che già prima della dominazione ro­
mana esistessero in Cartagine opere figurati­
Or dunque, innanzi alle due stele del museo ve, completamente antropomorfiche, ritraenti
di Tebessa e al conspetto della coppia divina l’imagine della somma dea protettrice.
in esse raffigurata, perchè cercare una dea
Le rappresentazioni della dea che nei tem­
così piccina e così lontana come Ops per dare pi romani fu C a e le s tis , che nel momento e
una compagna al barbuto Saturno, quando nel luogo principale del suo massimo imperio
fu T a n it, fanno la loro comparsa fin da tempi
tutto il cielo africano è irradiato dallo splen­ remoti, essendo antichissima la sua origine
dore singolare della vera compagna del dio, qual dea della natura. E, come attestano i mo­
numenti a noi pervenuti con la loro varietà di
di T a n it signora?... tipi e di atteggiamenti, attorno alla figurazio­
Si può dire inoltre che di Ops non abbiamo ne si operò un sorprendente fenomeno di sin­
cretismo.
alcuna figurazione artistica; se le monete di
Antonino Pio e di Pertinace (,53) veramente la Mi sia permessa un’imagine che sollevi lo
rappresentano, questo unico tipo molto si di­ spirito al di sopra della serietà defl’investiga-
scosterebbe dall* imagine che troviamo nelle zione scientifica: guardiamo la statuetta pùni­
ca del Museo Lavigerie. (fig. 23) con le sue
stele di Tebessa. In quelle monete, la dea con braccia distese lateralmente. Essa può simbo­
sembianze giovanili è seduta in trono e reca leggiare quel sincretismo. È Tanit che si di­
stende, in spirito sostanziale e in forma pla­
in mano il globo o lo scettro, o anche le spi­ stica, nel tempo che matura e nella civiltà che
ghe di grano, ma è priva del velo che ne ri­ si trasforma e trasforma; da un lato ella si
tende verso le originarie divinità feminee che
copra la testa divina. Inoltre, se nella stele nel mondo preellenico significarono la poten­
n. 4 (fig. 41) dobbiamo vedere non due sem­ za della natura feconda, dall’altro si tende ver­
so le artisticamente definite dee del pantheon
plici cavalieri galoppanti fra alberi, ma i due greco. Dal betilo primitivo, dal rozzo simbo­
D io sc u ri cavalcanti fra cinque pigne (ben note lo schematico, alla statua umana dei tempi ro­
mani, noi vedemmo chiaramente compiersi
nella simbolica usata nelle stele cartaginesi), quel fenomeno; vedemmo l’evolversi quasi di
dato il riscontro che possiamo istituire con i un’idea, la genesi di un tipo, il confluire di
monumenti « teofanici » e « teoxenii » dei due elementi vari e diversi in un quadro .che pos­
celesti cavalieri (l54), non saprei affatto come siamo sintetizzare con le tre parole usate dal
spiegarli associati a Ops. Invece la gemma di Carton : simbolismo - antropomorfismo - uma­
Ammonios, che sopra abbiamo ricordata, li nizzazione !

unisce a Iuno Caelestis e una stele del Museo Ma, se è vero che le figurarazioni antropoidi
Alaoui (cfr. nota 145) li associa alla trinità e antropomorfe rimontano a tempi relativa­
cartaginese. mente antichi, se è vero che figure umane del­
la celeste dea dovettero realmente esistere nel­
Quanto alla stele n. 2 (fig. 42), dove due fi­ la Cartagine non vinta, dobbiamo peraltro dire
gure taurine adomano il seggio della dea, os­ che le figurazioni artistiche della dea abbon­
serverò che il toro, se non deve pensarsi in darono nei tempi romani, quando il simboli­
rapporto alla vera Astarte fenicia, è peraltro smo pùnico, già scosso per i contatti con la
chiaramente associato al culto di Tanit, per la

evoluzione da esso subita a contatto col mon­
do ellenico, e compare nei monumenti relati­
vi1alla dea celeste, (ved. nota 82).

Per tutte queste ragioni, per il rispetto che
è dovuto alla coppia celeste Tanit-Baal, ri­

tengo inaccettabile la identificazione fatta dal­
lo Gsell, e nella dea assisa al fianco di Satur­

- 57 —


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