47 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA Vada Sabatia. È la statio terminale della via Aurelia e da qui parte l’Aemilia Scauri che risale i territori interni: è quindi un centro importante per i collegamenti diretti con la zona padana. Vicino alla cittadina si trova il piccolo centro di Sabatia dotato di attrezzature portuali: esso è tuttavia di scarsa importanza perché al di fuori della rete viaria principale. Genua. Nata come oppidum costiero, la città divenne presto un emporio di una certa importanza, trovandosi molto opportunamente a metà strada sulla rotta tra le coste tirreniche e quelle galliche. Fu poi una base militare permanente per le operazioni contro i Liguri settentrionali. È tuttora uno scalo commerciale anche se non riveste alcuna posizione di privilegio tra le altre città della costa, alcune delle quali, d’altra parte, sono meglio servite dalla rete stradale. Libarna. Questa bella città di origine ligure presidia lo sbocco alla pianura della via Postumia. Deve le sue ricchezze ai traffici commerciali, e offre quindi al viaggiatore comodi alberghi come attrezzate botteghe per acquistare finimenti e officine per la manutenzione dei carri. Domina inoltre un’ampia zona pianeggiante ove si alleva bestiame, si coltivano viti, si produce legname. Notevoli il suo teatro dalle ricche decorazioni e un grande anfiteatro insolitamente posto all’interno delle mura, alla fine del decumano massimo. Dertona. Tra le città dell’interno la più importante è certo Dertona, che fu anche la nostra prima colonia della regione. Trovandosi nel punto di convergenza delle più importanti vie di comunicazione della zona, servì dapprima a consolidare il nostro controllo su questi territori abitati da popolazioni non completamente sottomesse. Anche oggi ha un ruolo di primo piano e la risorsa principale degli abitanti è il commercio. Aquae Statiellae. È città di origine ligure, fondata appunto dagli Statielli, famosa per le sue acque termali ed è dotata di edifici balneari moderni ed efficienti che consentono un agevole sfruttamento della sorgente calda. Qui nacque Lucio Cornelio Giuliano, stimato bibliotecario del nostro Imperatore. Hasta. È rinomata per i suoi vigneti da cui si ottiene un curioso vino effervescente mediante un procedimento applicato solo qui, ed anche per le sue ceramiche. Alba Pompeia. È una città molto piccola che sorprende per l’inaspettata ricchezza degli edifici privati. Fonte dell’agiatezza dei suoi abitanti è la recente moda in voga presso la corte imperiale a Roma di distribuire sui cibi alcune scagliette di un raro tubero dal penetrante odore, che cresce solo in questi boschi. Il tubero è impossibile da coltivare e solo i nativi riescono a rintracciarne pochi esemplari con l’aiuto di cani dal finissimo olfatto. Di conseguenza questa “trifola” viene venduta a prezzi esagerati, che non di rado raggiungono quelli dei gioielli della vicina Valentia sul Padus. LE BASURAE DI TIORA Nella parte più alta delle Alpi Liguri, quasi ai confini della Gallia, la valle Argentina è ricca di castagne, grano e uva, poi lavorati presso molti mulini e cantine all’intorno. Rimane nell’entroterra, lungo strade ormai poco usate per passare dalla costa alla grande pianura padana. Il capoluogo, Tiora o Triora, è uno degli insediamenti liguri che precedono la conquista romana. L’omonimia con la Tiora nel Lazio pare non sia casuale, ma un retaggio di quando i Liguri primigeni si espansero per tutta Italia fondandovi le loro colonie. Recenti rapporti ancora da verificare parlano di vari casi misteriosi di moria delle vacche, improvvise carestie in zone ben delimitate dei campi e dei boschi locali, piogge acide che in appezzamenti del terreno tutt’altro che vasti hanno bruciato i raccolti. E c’è chi mormora che siano causate dalle donne del posto, intente a malefizi per vendette trasversali tra una famiglia e l’altra. Sarebbero indicate come sospette basurae alcune delle abitanti del luogo, in grado di lanciare fatture e intrecciare malefizi: forse il loro nome viene dai baci (basia) che in certe notti si scambierebbero con un satiro, recandosi periodicamente nude con candele in mano a danzare sulle rive del cosiddetto Lago Degno. Spesso imprecano, evocando il dio primigenio Belanu che i Liguri adoravano nell’antichità. Qualcuna di loro saprebbe financo volare a cavalcioni di una scopa, che userebbe per recarsi ancor più celermente sul luogo del convegno. Ma tutto questo avverrebbe nel segreto delle case o nel profondo di boschi immersi nelle tenebre, in una zona già di per sé remota, e nulla di certo trapela dai pochi viaggiatori che giungono da laggiù. Qualcuno ha sentito dire, ma nessuno sembrerebbe aver visto davvero qualcosa. E se ha visto, ne tace. Sarà probabilmente il caso di indagare, quando ne avremo il tempo e le risorse.
48 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA REGIO X VENETIA ET HISTRIA Anche questa vasta regione comprende territori etnicamente e culturalmente piuttosto eterogenei. Per comodità di trattazione la suddividerò in quattro aree: area padana, area veneta, area di Aquileia ed Histria e valle dell’Athesis. L’area padana fu in origine un’area di dominazione celta, abitata dai Galli Cenomani. Una volta passata in potere di Roma, la zona fu bonificata e centuriata, soprattutto a opera del Divo Augusto. Queste grandi opere e la sistemazione e il potenziamento della rete stradale portarono alla completa trasformazione del paesaggio rurale, e ora la pianura è quasi completamente dedicata alle colture cerealicole e vinarie. È anche molto diffuso l’allevamento di ovini e bovini, e delle api. Numerose strade garantiscono collegamenti con le principali città dell’Italia settentrionale, tra cui la via Brixiana che unisce la città di Brixia a Cremona, la via Postumia che collega Cremona ad Aquileia e la direttrice Mediolanum-Brixia-Verona. Per Mantua e il suo territorio hanno notevole importanza le vie fluviali. La zona veneta, immediatamente circostante al delta del Padus, fu un tempo abitata da una popolazione che le leggende vogliono originaria della zona del Pontus Euxinus, in Asia. I Veneti parteciparono alla guerra di Troia come alleati dei Troiani, e dopo la sconfitta vennero in Italia, proprio come gli antenati di Roma. Inevitabile fu l’alleanza con il nostro popolo, a cui i Veneti insegnarono a domare i cavalli, realizzare finimenti e armature adatte a cavalcare. L’area veneta è intensamente romanizzata e da sempre costituisce un baluardo contro le insidie dei Galli. Geograficamente quest’area è affine a quella costiera dell’Aemilia, con la quale condivide l’aspetto lagunare e la suddivisione del territorio in canali navigabili. Le terre del delta tendono a essere malsane e impraticabili, e solo una costante manutenzione delle fossae rende possibile l’utilizzo di questi territori. Tuttavia secoli di attente cure hanno regolamentato il fiume in modo tale che i canali aperti in direzione nord-sud consentono una navigazione endolagunare più sicura che quella in mare aperto, e infatti è questo il sistema di comunicazione attualmente preferito da chi si sposta in questa regione, anche rispetto alle comunicazioni terrestri. Non a caso la navigazione lungo le fossae è la preferita anche dal cursus publicus. L’area di Aquileia appartiene a una cultura diversa, più simile alle popolazioni dell’Illyricum della costa. Aquileia soprattutto è un vivace crocevia di popoli e merci, oltre che un importante insediamento militare per il trasferimento di truppe e rifornimenti verso le zone di frontiera: da qui la via Julia Augusta conduce alla provincia della Raetia. Sia l’area veneta che quella aquileiese sono zone molto attive commercialmente, e vengono pertanto servite da numerose strade: la via Postumia, proveniente da Genua; la Aemilia Altinate, che come indica il nome serve la zona di Altino; la via Popilia Annia, che congiunge Ariminum ad Aquileia seguendo la costa; la via Claudia Augusta, che in questo tratto che unisce Mutina a Verona è detta “padana”; la Iulia Augusta che conduce da Aquileia al Norico; infine la via Flavia, che serve la penisola istriana. Questa ricca regione è assai importante per le sue saline e per la lana celebrata anche dal poeta Marziale, ma soprattutto i Veneti sono insuperabili allevatori di cavalli, e si dice che ciò sia possibile perché ne conoscono la lingua. Alcuni nostri cavalieri sostengono che il merito sia piuttosto da attribuirsi ai cavalli veneti, che sarebbero in qualche modo diversi: forse magici. Nell’area padana le principali città sono Brixia, Cremona e Mantua. Brixia. Fu in origine il più importante insediamento dei Galli Cenomani. L’aspetto della città attuale non conserva nulla della sua origine gallica e mostra anzi un bell’impianto urbanistico regolare, con molti eleganti edifici pubblici e un efficiente acquedotto donato dal Divo Tiberio. La presenza, nel territorio della città, di cave di bella pietra da costruzione ha dato origine a una serie di botteghe artigianali di ottimo livello artistico. Una certa ricchezza, inoltre, proviene dalle industrie della lana e dei metalli che forniscono equipaggiamento al centro di reclutamento militare relativo alle vallate alpine circostanti, il quale ha sede appunto in questa città. Cremona. Fu la nostra più antica fondazione coloniale a nord del Padus. Conobbe poi il suo momento di massima espansione nell’età augustea, ma dopo le devastazioni seguite alla guerra civile del 822 aUc, benché ricostruita, non ha più raggiunto la prosperità precedente. È comunque un approdo importante per chi naviga sul Padus e ha una certa fama locale grazie a un particolare dolce di mandorle e miele, assai consistente, che qui si produce. Benché non troppo diffuso al di fuori della regione, tale dolce è tuttavia conosciuto dai buongustai più raffinati della capitale, che hanno istituito l’usanza di regalarlo confezionato a barrette in occasione delle celebrazioni di Sol Invictus, alla fine del mese di December. Mantua. Questa città è invece di origine etrusca, celebre per aver dato i natali al nostro più illustre poeta, P. Virgilio Marone. Sorge su una penisoletta circondata dalle acque del Mincius, ed è piuttosto piccolina: “parva Mantua” la definì infatti Marziale, ed è tale non solo per la sua scarsa estensione, ma anche per la mancanza di edifici monumentali. Un cenno a parte merita la ridente zona del Lacus Benacensis, priva di vere e proprie città ma cosparsa da numerosi vici e fundi e da una fitta rete di ville poste su terrazzamenti delle colline che si affacciano sul lago. Non si tratta di ville di lusso come quelle che si trovano sul litorale campano-laziale: sono piuttosto ville rustiche, anche se confortevoli, circondate da terreni coltivati a olivi o a vigneti. La più famosa è quella del poeta Catullo, che tanto amò questa terra e che volle cantare la bella Sirmio con parole immortali. Nell’area veneta centro-settentrionale sono senz’altro da segnalare le città di Atria, Ateste, Patavia, Vicetia, e nella zona orientale Altinum, Iulia Concordia, Tarvisium, Belunum. Atria. L’importanza della città è testimoniata dal nome di Atriaticum o Hadriaticum, il mare a cui è vicina. Sorge sul ramo più settentrionale del Padus e in antico costituì il porto più importante
49 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA della regione. La presenza di Spina ha un poco diminuito il suo prestigio; tuttavia la città è ugualmente assai fiorente. Ateste. È un piccolo centro, la cui importanza è per lo più ridotta al fatto di essere attraversata dall’Athesis e di costituire quindi una comoda tappa per chi risale il fiume verso l’interno o ne ridiscende verso le ricche città della costa adriatica. I colli dei dintorni sono molto apprezzati per la loro felice posizione, e infatti sono disseminati di belle ville. Patavia. È una delle città più ricche dell’Impero: basti dire che solo qui risultano censiti ben 500 Cavalieri! Gran parte della sua ricchezza le deriva dal commercio e soprattutto dalla produzione delle celebri stoffe, le Patavinae tunicae. La città possiede un efficiente porto sul fiume Meduacus ed è collegata al mare attraverso la fossa Clodia. La valle dell’Athesis è zona di frontiera, cosparsa di oppida e castelliere anziché di grandi città. Essa è percorsa dalla via Claudia Augusta da Mutina fino a Pons Drusi, e prosegue poi verso le Alpes Raeticae. Presso Patavia si trova Vicetia, un oppidum sulla via Postumia; la cittadina è piuttosto modesta, anche se il Divo Augusto volle dotarla di un piccolo teatro. Benché piccola essa riveste una certa importanza per l’Impero come centro di reclutamento della Cohors Arcana, sotto l’attenta direzione del severo M. Claudius Garavusius, selezionatore e addestratore del cursus sapiens con una discreta carriera di geniere militare alle spalle nonostante la giovane età. Altinum. Nell’area nord-orientale troviamo la bella Altinum, città lagunare di una certa ampiezza situata alla foce del Silis. Essendo posta sul percorso della via Popilia è molto frequentata e una vivace folla passeggia sotto i portici che il Divo Tiberio fece costruire insieme a templi e giardini. Questi magnifici edifici, come anche tutti gli altri, sorgono su una sorta di palafitte, per evitare che l’umidità del terreno acquitrinoso ne danneggi le fondamenta. Ancora a nord si trova Belunum, piccolo municipio sul Plavis. Iulia Concordia. Sulla via Postumia, tra Altinum e Aquileia, troviamo la piccola Iulia Concordia, che tuttavia riveste una notevole importanza militare. Controlla infatti le vie verso la Raetia ed è sede di una fabbrica di frecce, il cui metallo viene importato appunto da quella provincia. Gli operai che lavorano nella manifattura, i fabricenses, possiedono un’organizzazione di tipo militare. Aquileia. Proseguendo ancora sulla via Postumia si incontra quindi Aquileia. Nata come oppidum contro l’espansione delle popolazioni galliche transalpine, è ora la più bella e ricca città dell’Italia settentrionale. Augusto e la corte imperiale vi si trattennero a lungo, e fu spesso usata come residenza da Marco Aurelio durante le sue campagne militari contro i Quadi e i Marcomanni; ebbe un
50 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA IL MONDO NASCOSTO DELLA LAGUNA DI ALTINUM Chi non conosca queste zone è naturalmente portato a evitare l’ampia zona lagunare che si estende dalla foce del fiume Medoacus fino a oltre Altinum. È comprensibile, solitamente le lagune sono luoghi pericolosi e malsani. La laguna di Altinum invece non è affatto insalubre: ciò accade grazie al favorevole gioco di maree e correnti che consente un continuo ricambio dell’acqua. La laguna è aperta al mare mediante tre grandi bocche che ogni giorno, la mattina a la sera, consentono l’entrata e l’uscita delle acque del mare esterno. L’intrico di piccole isole circondate da acque basse, anziché scoraggiare gli spostamenti, consente di muoversi anche con barche piccole governate da una sola persona. Questo in effetti è il mezzo di traporto più utilizzato e persino i bambini sanno manovrare il remo. Numerosi canali, più o meno artificiali, si intrecciano collegando i vari isolotti. Alcuni di questi sono stati allargati con l’aggiunta di sponde di mattoni e terra battuta in modo da avere più spazio per le costruzioni. La laguna non è quindi una confusa distesa di acque ma un piccolo mondo pulsante di vita dove spiccano diversi insediamenti. Gli abitanti sono soprattutto commercianti di grande abilità e coraggio, capaci di partire dalla laguna e raggiungere addirittura la lontana Sina. Ma tra verdi acque e isolotti remoti abitano anche altri personaggi fuori dal comune: studiosi che apprezzano il silenzio, artisti innamorati dei mutevoli colori del mare, inventori che si avvantaggiano della riservatezza di questi luoghi, fuggitivi che per ragioni sia legali che illegali non vogliono più mescolarsi con la società. Tra i personaggi originari della laguna ricordiamo quattro celebri inventori di giochi d’intelligenza, molto apprezzati alla corte dell’Imperatore, e la Bibliothecaria Arcanorum. A tutti la laguna di Altinum fornisce un accogliente riparo e tutti gli abitanti custodiscono spontaneamente i segreti di chi ha scelto questo mondo nascosto come casa. I principali insediamenti lagunari sono: A Clugia o Clodia. È l’unica vera città dell’area lagunare e si trova nell’estremità sud proprio accanto alla foce del fiume Medoacus. Preziosissima per le sue saline, è stata costruita in modo disciplinato attorno a un cardo e a un decumano. Plinio il Vecchio sosteneva che il sal Clugiae, il sale di Clodia, fosse il più pregiato d’Italia. Un piccolo ma ben attrezzato porto consente l’esportazione di questo bene così necessario. A Metamauco. Uno dei più antichi insediamenti lagunari, è posta proprio su una delle bocche di porto che collegano la laguna al Mare Adriaticum. Il porto di Metamauco è quindi di grande importanza ed è collocato in modo da potere essere utilizzato sia dalla parte della laguna che dal mare. La posizione strategica fa sì che qui sia collocata una piccola guarnigione fissa e una piccola flotta. A Litus Maior e Litus Minor. Sono due piccoli ma fiorenti centri di commercio nell’area interna della laguna, legati soprattutto ad Altinum. Le due località sono caratterizzate dalle case-emporio di ricchi mercanti, alcune delle quali ornate da pavimenti a mosaico e decorazioni in marmo. A Rialtus (o “Rivus Altus”). È un agglomerato di isolotti uniti da ponti a formare un unico abitato piuttosto grande. Il nome è dovuto al fatto che l’insediamento ha un comodo porto sul canale più profondo della laguna, il Rivus Altus appunto, a volte detto anche Canale Grande. Grazie alla posizione molto centrale rispetto alla laguna si tiene qui il mercato periodico, che secondo le consuetudini dell’Impero si ripete ogni nove giorni, cioè nel ciclo di una nùndina. Il mercato di Rialtus è fornitissimo di merci anche provenienti da molto lontano: la laguna è infatti ben collegata via terra alla ricca pianura del Padus e, dal lato opposto, al fondamentale snodo commerciale e stradale di Aquileia. Per via di canali e fossae si giunge anche facilmente a Ravenna. A Spinalonga. Isola piuttosto lunga al centro della laguna, deve il suo nome alla somiglianza con una spina di pesce. È ricca di buon terreno e pertanto è coltivata a frutteti e ospita una piccola popolazione di coltivatori. Un braccio di mare lungo e profondo, il Rivus Altus o Grande Canale, separa l’isola dall’insediamento di Rialtus. A Torculum. Isola tondeggiante che ospita una fiorente comunità di commercianti collegati soprattutto alla vicina città di Altinum.
51 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA rapporto privilegiato con Costantino e la sua dinastia. Sono famosi e apprezzati in tutto il mondo i suoi vetri, e i suoi gioiellieri sono altamente specializzati nell’incisione delle gemme e nella lavorazione delle ambre: soprattutto questa particolare produzione non ha uguali nell’Impero. Nella città fioriscono anche scuole di scultura specializzate nel ritratto, ed è sede di una zecca imperiale. Aquileia possiede un porto fluviale, che tuttavia è sufficiente solo ai bisogni cittadini: per ospitare le navi di grande pescaggio e l’intenso traffico commerciale che ruota intorno a una città tanto ricca ci si rivolge allo scalo marittimo della vicina Gradus. Tergeste. Sede portuale molto antica, riveste grande importanza per il controllo delle popolazioni piratesche delle frastagliate coste dalmate e dei territori interni dei Carni. La più importante risorsa locale consiste nello sfruttamento delle vicine cave da cui si trae una bella pietra da costruzione. Nella penisola istriana sono da segnalare soprattutto Pola, famosa per il suo anfiteatro, e Tarsatica ai confini con la Dalmatia. Lungo la valle dell’Athesis si segnalano Verona, Tridentum e Pons Drusi, tutte situate sulla direttrice della via Claudia Augusta. Verona. Costituisce un importante nodo stradale. L’impianto urbanistico è regolare e la città è cinta da belle mura su cui spiccano due porte monumentali. Sono attrazioni turistiche molto celebri il Foro colonnato, ornato da due archi marmorei, e il famoso anfiteatro, che gli abitanti chiamano popolarmente “Arena”. Tridentum. È una città fortificata di non grande estensione, cinta da mura e con una bella porta urbica a due fornici. Di fondazione celtica, è situata in posizione strategica per il controllo dell’alta valle dell’Athesis, dove sitrova una fiorente industria metallurgica. Pons Drusi, estremo confine d’Italia, controlla infine il confine con la Raetia e l’antico Noricum. REGIO XI TRANSPADANA Dal nome del Padus è detta Transpadana l’undicesima regione: essa è tutta situata nell’entroterra, ma il fiume le trasporta ogni prodotto del mare grazie al suo comodo letto. In origine essa fu abitata da popolazioni galliche, e il nome di quei popoli ora scomparsi rimane a volte nei nomi delle città. Questo vasto territorio presenta una parte fortemente montuosa a occidente, mentre a oriente partecipa di una porzione della grande pianura padana. Generalmente, la principale risorsa della regione è l’agricoltura, con l’eccezione dei territori a nordest di Augusta Taurinorum, dove permane l’eredità gallica che rende gli abitanti dei maestri nel domare i cavalli, e della valle della Duria, dove è praticata l’attività mineraria. In particolare, gli abitanti si dedicano all’estrazione dell’oro utilizzando le acque del fiume Duria per il lavaggio e il setacciamento delle terre aurifere: ciò provoca di frequente le proteste dei contadini che vedono diminuire drasticamente la quantità d’acqua necessaria all’irrigazione dei campi, poiché i cercatori d’oro deviano le acque del fiume in una fitta serie di canaletti artificiali. Le comunicazioni stradali sono piuttosto agevoli: tra le strade principali citiamo la cosiddetta strada Pedemontana o “dei laghi” che unisce Verona, Brixia, Bergomum e Comum, la via Fulvia che collega ben tre Regiones (VIII, IX, XI) partendo da Placentia e giungendo ad Augusta Taurinorum via Dertona, e infine la direttrice Ticinum-Mediolanum-Comum. Nei viaggi occorre però estrema prudenza: in queste terre pare infatti dimori una specie di drago che rapisce il bestiame e avvelena l’aria con il suo fiato velenoso. Le città più note di questa regione sono senza dubbio Augusta Taurinorum e Augusta Prætoria a occidente e, nella pianura padana, Mediolanum, Comum, Ticinum e Bergomum. Augusta Taurinorum. La città ricorda nel nome la popolazione dei Taurini, che in origine abitava la zona. Fu dapprima un avamposto militare per controllare le vie verso la Gallia e le popolazioni celte locali, anche se i Taurini si dimostrarono sempre buoni alleati e mai ostacolarono il passaggio dei nostri eserciti verso quella provincia. Conserva ancora un certo piglio severo e un impianto urbanistico regolare derivati dai castra che costituirono il primo insediamento, ma il centro cittadino ha invece un aspetto monumentale dovuto alle ricostruzioni seguite all’incendio che scoppiò durante le lotte tra gli eserciti di Otone e Vitellio. La piazza del Foro è ornata dalle statue equestri dei nostri amati imperatori e la città è dotata anche di un anfiteatro e di un piccolo teatro. Nelle mura si aprono quattro porte monumentali: tra queste sono degne di ammirazione
52 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA la Porta Palatina, situata all’uscita settentrionale del Cardo Maximus, e la corrispondente Porta Marmorea a sud. Le sentinelle che presidiano di notte le mura e le porte sogliono portare medaglie con incisa una stella a cinque punte, o tracciare per terra un simile simbolo e porvisi al centro. Ciò per proteggersi, a detta loro, da un grosso e malvagio satiro con testa caprina che appare a volte tra le nebbie notturne. Analoghi rituali pare siano assai diffusi tra i contadini della zona circostante. Augusta Prætoria. Anche questa città mostra ancora l’impianto degli antichi castra. Qui, però, a differenza di quanto accaduto nella città dei Taurini, i rapporti con la popolazione gallica autoctona, i Salassi, furono sempre molto difficili. Soltanto dopo l’intervento di A. Terenzio Valerio Messalla, ordinato dal Divo Augusto, che vendette in schiavitù tutta la popolazione valida degli sconfitti, fu scongiurato il pericolo di rivolte in questo estremo confine d’Italia. Ancora oggi, comunque, i valligiani rimangono gente chiusa e diffidente, e non si mescolano volentieri a noi. La città rappresenta un passaggio obbligato per chi voglia valicare le Alpi e gode di una certa prosperità: possiede un anfiteatro e un teatro, nonché un bel Foro cinto da portici chiusi, indispensabili a causa del clima. Vi è anche un grandioso edificio termale pubblico e un elegante arco onorario dedicato ad Augusto per la vittoria sui Salassi; tuttavia la città mantiene una certa atmosfera di presidio, e infatti i culti più diffusi sono quelli cari ai soldati, tra cui soprattutto quello di Mithra. Mediolanum. Nei territori orientali si distingue senz’altro questa città, che deve la sua fortuna alla felice posizione al centro della grande pianura padana, nel punto d’incontro di un complesso sistema di comunicazioni terrestri e fluviali. Fino all’età augustea fu solo un piccolo municipio, ma negli ultimi due secoli ha conosciuto una grandissima espansione, soprattutto da quando gli imperatori della dinastia di Costantino la scelsero frequentemente come residenza imperiale. A quell’epoca risalgono infatti i grandi palazzi imperiali che si possono tuttora ammirare, il circo, le terme e l’intero quartiere sorto per soddisfare le esigenze della corte, comprendente ambienti di rappresentanza e alloggiamenti militari. Chi non ha mai visitato la città si stupisce, inoltre, per la presenza di un porto! Mediolanum infatti ha la particolarità di essere percorsa da una rete di canali navigabili che in certi punti raggiungono gli otto piedi di larghezza. Nella zona a sud-est della città uno dei canali è attrezzato come un piccolo porto e offre un comodo approdo per le navi mercantili che la riforniscono di ogni bene necessario o voluttuario. Da questo porto è possibile poi raggiungere il Padus attraverso una serie di piccoli corsi d’acqua e canali artificiali. Dal Padus, infine, si raggiunge la costa sul mare Adriaticum oppure, attraverso Ravenna, Aquileia e tutto l’est. La città è dunque splendida e ricca, e le imponenti torri che ornano le sue mura annunciano da lontano la sua magnificenza: qualcuno suole addirittura definirla la “capitale morale” dell’Impero. Da qualche anno si è però diffusa la voce che nei suoi pressi si sia risvegliato un drago, che talvolta si affaccia a devastare le campagne. Questo enorme serpente è particolarmente ghiotto di bambini, che giunge a rapire direttamente dalle loro culle dopo averne devastato le case. Comum. È una città industriale, centro assai importante per la lavorazione del ferro. La sua posizione ne fa una tappa obbligata nelle comunicazioni tra Mediolanum e le province centrali dell’Impero, e risente dunque dell’importanza di quella città imperiale. È inoltre sede di una flotta militare lacustre, comandata da un Praefectus Classis che, oltre ad avere giurisdizione sul lago, si occupa anche dell’amministrazione della città. La principale funzione della città di Bergomum è invece quella di essere il centro di reclutamento militare per le vallate alpine limitrofe. Ticinum. Questa piccola cittadina è situata in una fortunata posizione entro un sistema di vie d’acqua navigabili che favorisce i contatti sia con l’Oltralpe che con l’Adriatico e il Mediterraneo. Ha una certa importanza commerciale ed è sede di una piccola zecca imperiale. IL DRACO MEDIOLANENSIS La bella regione attorno a Mediolanum si dice funestata da un mostro divoratore di infanti. Si tratterebbe di una specie di drago o di un serpente dotato di zampe artigliate, capace in realtà di divorare anche creature più grandi di un bambino come piccoli capi di bestiame e addirittura uomini. La gente delle campagne ne ha grande paura e gli ha persino dato un nome come forma di rispetto, il “Tarantasius”. In città, invece, dove è più difficile che colpisca e la gente ne ha meno timore, lo chiamano dispregiativamente “il biscione”. Dove abiti precisamente questo drago è difficile da stabilire. Poiché la città più illustre della zona è Mediolanum viene definito Draco mediolanensis, ma la maggiore incidenza delle sue scorrerie sembra collocarsi più a sud. Qui i fiumi Sarius e Abdua, con i loro sinuosi corsi che tendono a mescolarsi, formano un’ampia zona malsana e paludosa detta Palus Gerunda. Nel cuore di questo acquitrino si troverebbe il nido del mostro. La zona è evitata da tutti poiché le esalazioni delle paludi sono mortali. Qualcuno ipotizza che ciò non dipenda dalle acque putrescenti ma dal respiro del mostro che emetterebbe vapori avvelenati. In ogni caso, il mostro è stato segnalato anche in aree piuttosto lontane dalla palude Gerunda, segno che la creatura sarebbe in grado di coprire grandi distanze. Qualcuno sostiene che possa volare.
53 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA IL COLLEGIUM NAUTARUM COMENSIUM Il lago su cui si affaccia Comum è talmente ricco e profondo che vi possono navigare anche navi di grandi dimensioni. Per la sua importanza strategica (collega infatti l’Italia con le catene montuose del nord) è sempre stato sotto uno speciale controllo delle nostre truppe e dotato anche di qualche piccola nave di pattugliamento. Di recente è stato deciso di stanziarvi una vera e propria flotta sotto il comando di un regolare Praefectus Classis. Le genti del lago hanno infatti una consolidata tradizione marinaresca e i marinai sono numerosi come si trattasse di una località di mare. Essi sono da tempo riuniti in una corporazione molto vivace, il Collegium Nautarum Comensium, e sono padroni praticamente di tutti i commerci che si svolgono attraverso il lago. La corporazione ha sede in Comum, ma vi sono due distaccamenti molto importanti, uno all’estremità nord del lago, in località chiamata Summus Lacus e uno nel ramo orientale del lago, speculare rispetto a Comum, nella cittadina chiamata Leucera. La conformazione geografica attorno al lago, infatti, rende i viaggi via terra da meridione a settentrione piuttosto lunghi e scomodi mentre utilizzando il lago come strada d’acqua si giunge alle montagne in pochissime ore. Partendo da Comum in barca, addirittura, in sedici ore si raggiunge Clavenna, importante snodo commerciale subito a nord del lago. Lì inizia un percorso che conduce al passo del Cunus Aureus e, attraverso quello, alla Raetia e a tutte le regioni del nord.
54 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA REGIO XII SICILIA Tutte le isole del Mare Nostrum supera per fama la Sicilia, terra di antiche e misteriose potenze. Qui dimorarono i Titani e ancora Vulcano vi ha la sua officina. Fu detta anche Sicania da Tucidide e viene comunemente definita Trinakria per la sua forma triangolare: in greco infatti akra significa “punta”. Un tempo era attaccata al territorio bruzio; poi ne fu strappata via dall’interporsi di un braccio di mare esteso per 15 miglia in lunghezza e con una larghezza di due miglia e mezzo. Questo fendersi della terra fornisce l’etimologia al nome di Rhegium imposto dai Greci alla città sita sull’estremo lembo d’Italia, dal verbo rhegnymi che vuol dire “rompo”. Sul lato siciliano di questo stretto pare dimori ancora oggi la mostruosa Charybdis, figlia di Poseidone e della Madre Terra, che vive sempre sommersa; tre volte al giorno risucchia l’acqua del mare e la risputa fuori con tale violenza da far naufragare le navi di passaggio. I tre vertici del triangolo che costituisce l’isola sono contraddistinti da nomi, così si chiama capo Pelorum la punta che guarda l’Italia dirimpetto a Scylla, capo Pachynum quella rivolta verso la Grecia e capo Lilybæum quello che si oppone all’Africa. Questa terra fu in gran parte colonizzata dai Greci che la resero ricca e prospera. Prima ancora fu in mano ai Fenici, ai quali i GreIL MOSTRUOSO GORGO DI CHARYBDIS Incredibile a dirsi, il mostro chiamato Charybdis fu un tempo una bella ninfa marina, figlia di Nettuno e della Madre Terra. Purtroppo ella, sin dalla nascita, fu avida di possesso e stupidamente avventata. Dopo una serie di furti a ninfe e divinità minori fece l’errore di rubare a Ercole un’intera mandria di buoi un tempo appartenente al gigante Gerione. Ne mangiò alcuni e nascose gli altri. Giove, stufo per l’ennesimo disastro combinato dall’ingordigia della ninfa la punì con un fulmine che la trasformò in un gigantesco mostro. La precipitò nel mare, restituendola così al dominio di suo padre Nettuno. Solo per questo, forse, un mostro del genere non fu ucciso da qualche eroe. Protetta da suo padre ella si rintanò nelle profondità del mare di Sicilia, nello stretto che divide l’isola dall’Italia, proprio di fronte alla mostruosa Scylla. Immersa nelle acque scure, Charybdis resta, come sempre, insaziabile. Ora è divorata da una sete terribile che cerca di placare aspirando enormi quantità d’acqua tre volte al giorno. Ogni volta, crea un vortice marino talmente violento e grande che inghiotte tutte le navi che si trovino nelle vicinanze. Non si può sfuggire in alcun modo. Ulisse, posto davanti alla scelta di attraversare lo stretto dalla parte di Scylla o Charybdis, decise di tentare la sorte con la prima, sicuro com’era che passare dal lato di Charybdis avrebbe significato morte certa. Charybdis Grado di Pericolosità: 5 Taglia: 5 Valore: DV20 1 dado: Danni, Sensibilitas 2 dadi: De Bello 3 dadi: De Corpore, Punti Vita Punti Vita: 60 Protezioni: Carapace Mostruoso (Protezione 20) B Capacità Speciali: Afferrare B Poteri Magici: Gorgo di Charybdis*, Invulnerabilità (a tutte le armi a distanza, tranne lance e arpioni) * Questo potere segue regole analoghe a quelle del Soffio Venefico (vedere Manuale Base), tranne che può essere effettuato solamente in mare, non consente alcun tiro di Coordinatio per essere evitato e provoca la condizione Soffocamento anzichè Avvelenato. Charybdis può usare questo potere anche al di fuori del combattimento, per affondare le navi in transito (fino a un massimo di 3 volte al giorno).
55 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA ci la tolsero con ripetute guerre che costarono prezzi altissimi sia economicamente che umanamente, poiché tremende furono le devastazioni e i massacri inferti da entrambe le parti. Una volta in nostra mano, la Sicilia divenne un ricco granaio e per questo motivo il territorio fu diviso in grandi appezzamenti, e si instaurò il sistema del grande latifondo, sia agricolo che pastorale, soprattutto nell’area centrale. Poco a settentrione della Sicilia vi è un arcipelago con sette isole, ricche di zolfo e allume, sede di saline ma abitate anche da ricchi mercanti e raffinati orefici. Si chiamano Isole Aeoliae perché qui re Aeolus abitò, osservando la direzione dei venti dagli sbuffi dei vulcani. Ben tre isole hanno infatti crateri attivi: Liparae, Strongyle e Vulcanos, dai greci detta Therasia o Hiera. Quest’ultima si credeva sede della fucina del dio Vulcano e abitata dai Ciclopi, nonché collegata alle loro grotte sotterranee, ma non v’è alcuna traccia di queste creature gigantesche che certo risiedono altrove. Le coste dell’isola sono percorse da diverse strade, la più importante delle quali è la via Valeria che collega Panornus a Messana e prosegue poi verso Syracusae. Sul versante settentrionale dell’isola troviamo, a partire dallo stretto, Messana, Tyndaris, Panornus. Messana. Fu in origine uno scalo di pirati Greci provenienti dalla campana Cumae. Il suo nome antico è Zancle, che in dialetto siculo vuol dire “falce”, suggerito dalla forma arcuata del porto. La città è posta in un luogo ideale per il controllo dello stretto di mare che separa l’Italia dall’isola, e dunque fu sempre preda ambita in ogni guerra. Ciò la espose a molte dolorose devastazioni e solo dopo la definitiva conquista da parte delle truppe del Divo Augusto conobbe una duratura pace. La città ospita una guarnigione rinforzata rispetto ad altre città italiche e non soltanto a causa della sua posizione strategica: nella regione messanese stazionano bande di mercenari Mamertini (vedere pag. 139), che formalmente sono al servizio di Roma ma che inducono comunque a una certa prudenza. Per tutti questi motivi nella città risiede uno speciale legato imperiale che ha il compito di fungere da riferimento diretto per le questioni locali. Attualmente la carica è ricoperta da M. Artemius Longinus, veterano di molte imprese al servizio dell’Impero e discendente da famiglia di antica tradizione militare. LE ISOLE DEI CICLOPI L’ultimo essere umano che mise piede su queste isole fu Ulisse, e pagò molto caro il suo errore. Da quei mitici tempi nessuno ha più voluto avere nulla a che fare con questo ultimo baluardo della potenza dei Ciclopi, pertanto l’ubicazione precisa è perduta. Il che è un bene ma anche un male. Qualcuno potrebbe essere sbattuto per caso su queste fatali spiagge e subire la sorte dei compagni di Ulisse, divorati da Polifemo. Pertanto è utile dare almeno un’indicazione di massima su dove possano trovarsi queste isole. Poiché i Ciclopi abitavano tutta l’isola di Sicilia e in particolare l’area attorno al monte Aetna, non è illogico ritenere che queste isole si trovino nel tratto di mare a oriente della costa etnea. Qualcuno, tuttavia, identifica queste isole con quelle situate a nord dell’isola, al largo della città di Tyndaris. Si tratterebbe di un piccolo arcipelago composto da quattro o cinque isole di varie dimensioni, su cui si troverebbe una parte della popolazione dei Ciclopi. Le isole devono essere necessariamente piuttosto piccole, altrimenti sarebbero state individuate almeno qualche volta nelle giornate di cielo cristallino. Possiamo anche ipotizzare che siano piuttosto rocciose e desolate, altrimenti avremmo trovato resti di vegetazione galleggianti sull’acqua. Se sono così piccole e brulle non possono sostenere una popolazione molto numerosa, soprattutto se di creature giganti. Questo pone l’interrogativo di dove si trovino in realtà tutti i Ciclopi. Viaggiatori esperti riportano che isole simili, collegate cioè con la presenza di giganti, si trovano anche in altre parti dell’Impero, molto lontane da qui. Una, si dice, al largo delle coste degli Scoti, nel freddo mare della Britannia. Un’altra sarebbe da qualche parte nei pressi della remota Hibernia. Queste notizie acquisterebbero molto senso se collegate al fatto che, secondo il poeta Virgilio, i Ciclopi potrebbero usufruire di una serie di caverne sotterranee che si estenderebbero sotto tutti i mari e i territori dell’Impero (vedere pag. 151). La gran parte dei Ciclopi vivrebbe quindi nascosta nelle gallerie sotterranee e potrebbe spostarsi con facilità, raggiungendo luoghi apparentemente impossibili da collegare. Una vera minaccia occulta di cui nessuno è realmente consapevole! Se ciò fosse vero, dalle isole dei Ciclopi nel Mare Nostrum si potrebbe accedere a questa rete sotterranea di comunicazione e tentare qualche investigazione. Tuttavia questa sarebbe davvero una missione suicida. Quale comandante avrebbe mai il coraggio di rinchiudere i suoi migliori uomini sottoterra con una folla di giganti antropofagi?
56 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA Tyndaris. Sorge su un promontorio roccioso che domina il mare. È una fortezza fornitissima di vettovaglie e particolarmente adatta alla guerra marittima. Ciò la rese molto utile nelle guerre contro i Cartaginesi, durante le quali fu fedelissima alleata di Roma: fornì tra l’altro le navi per la spedizione contro Cartagine che culminò nel 607 aUc con la distruzione della città nemica, e fu pertanto premiata da Scipione Emiliano con parte della preda bellica. Panormus. Di antica origine fenicia, la città possiede un confortevole porto, che le ha conferito una certa prosperità; difatti il suo nome deriva dal greco pan hormos, ovvero “tutto porto”, iperbole che ben si addice alla rada naturale su cui sorge. Fu un’importante base navale cartaginese e la sua fortissima posizione le consentì di resistere a lungo ai nostri assedi fino alla definitiva sconfitta delle truppe di Asdrubale da parte di Cecilio Metello: in seguito a questa vittoria furono catturati numerosi elefanti che poi furono esibiti nell’Urbe durante quel celebre trionfo. Lilybaeum. Sul vertice più occidentale dell’isola sorge Lilybaeum, che deve il suo nome alla vicinanza con l’Africa, o Libya. Il sito, dotato di una ricca fonte, costituì a lungo uno scalo privilegiato dei Cartaginesi in Italia, e in seguito, per un beffardo capovolgimento del Fato, fu invece utilizzato da Scipione l’Africano per l’invasione dell’Africa. La città è difesa potentemente a terra dalle sue mura e da un fossato profondo scavato piuttosto lontano da quelle così da impedire l’utilizzo di macchine da guerra; dal lato del mare è protetta dai bassifondi, a causa dei quali l’accesso ai porti richiede molta esperienza e abitudine. Mothya. Una cupa voce si è diffusa da qualche tempo nell’isola. Sembra infatti che nella città di Mothya, presso Lilybaeum, siano presenti alcuni seguaci dell’antico e sanguinario dio fenicio Baal-Moloch, il Divoratore di Infanti. Nostri osservatori, infatti, riferiscono di aver notato tracce di deposizioni recenti nell’antico cimitero dei bambini, il Tophet, luogo funesto solitamente evitato da tutta la popolazione, anche da quella di origini puniche. Selinus. Più a sud si trova Selinus, città fantasma non più abitata da uomini ma piuttosto da entità soprannaturali. Un tempo grande e potente sotto i Cartaginesi e i Greci, decadde dopo l’occupazione di Pirro nella Seconda guerra punica e la deportazione degli abitanti a Lilybaeum. Da tempo immemorabile sede di culti religiosi, continua a essere frequentata dai diversi seguaci delle sue antiche divinità. Svettano intatti sull’acropoli ben cinque templi; altri tre si ergono sulla collina orientale e a occidente si trova il santuario della misteriosa dea punica detta “La Portatrice di Frutti”, la Malophoros. Questa antica dea fu dai Greci identificata con Demetra, ma l’inquietante presenza di un tempio dedicato alla nera Ecate nel suo santuario lascia pensare a un culto più oscuro. Non è insolito, infine, scorgere il simbolo della dea fenicia Tanit inciso sulle solitarie rovine della città.
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58 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA Agrigentum. Continuando verso sud si incontra Agrigentum, che i Greci chiamano Akragas; questa è una delle più nobili città dell’isola, difficile da piegare e conquistare. Fu una base operativa cartaginese di grande importanza, sia per il suo porto che per i rifornimenti granari: per questo fu più volte assediata e conquistata dalle nostre armate, e gli abitanti venduti come schiavi; nonostante ciò gli Agrigentini si sono ogni volta rialzati, e anzi nella Seconda guerra punica costituirono un vero e proprio centro di resistenza antiromana. Dopo l’istituzione della provincia di Sicilia furono qui inviati dei coloni romani per affrettare il processo di integrazione, ma ciò non è bastato a rendere meno ostili gli abitanti. L’economia della città è assai prospera e si basa sulla produzione granaria e vinicola, sull’industria tessile e sullo sfruttamento delle miniere di zolfo. La città è abbellita in maniera superba da templi e portici: il tempio di Zeus Olimpio, nonostante l’incredibile lentezza occorsa nella sua costruzione, non è secondo a nessun altro tempio greco per concezione e per grandezza. Syracusae. Sul versante orientale della Sicilia troviamo la splendida Syracusae. Avrai spesso sentito dire che questa è la più grande città greca e la più bella di tutte. Ebbene, la sua fama non è usurpata: occupa una posizione molto forte, è bellissima da qualsiasi direzione vi si arrivi, sia per terra che per mare e possiede due porti quasi racchiusi e abbracciati dagli edifici della città. Tra le due insenature si estende una stretta lingua di terra che viene chiamata “l’isola” di Ortigia, collegata al resto della città da uno stretto ponte. La città è così grande da poter essere considerata come l’unione di cinque città più piccole: una di queste è la già citata “isola”; poi c’è Acradina che è il quartiere centrale con il Foro ricco di opere d’arte; poi Tycha più a nord, che deve il nome a un tempio della Fortuna (Tyche in greco), quartiere molto ricercato; poi ancora Neapolis, che come dice il nome è un quartiere nuovo; e infine le Epipolae, un grandissimo pianoro che domina la città da nord-ovest. Syracusae, pur così vasta, è cinta di poderose fortificazioni: è così ben munita che, quando nella Seconda guerra punica cercammo di assediarla perché alleata dei Cartaginesi, fummo respinti per ben due anni e tutti i nostri attacchi si infrangevano sanguinosamente contro le possenti mura e le macchine da guerra approntate da Archimede, divenute poi leggendarie. Soltanto la distrazione dei difensori, impegnati nelle celebrazioni della festa di Artemide, consentì ai nostri soldati di superare una parte particolarmente bassa delle fortificazioni. Tuttavia la difesa di Ortigia e di Acradina durò ancora un anno e la conquista avvenne, mi duole dirlo, solo per tradimento. Oggi è la capitale dell’isola e davvero fortunato è colui che deve colà risiedere per amministrarla. ARCHIMEDE E I SUOI MECCANISMI Dopo la conquista di Syracusae nel 541 aUc, i nostri studiosi ebbero l’incredibile opportunità di osservare da vicino alcuni meccanismi costruiti da Archimede. Alcuni di essi furono utilizzati durante l’assedio che noi ponemmo alla città, e dunque fu meraviglioso poterne comprendere la natura dopo averne subìto gli effetti in battaglia. Diversi furono rinvenuti ancora nel luogo in cui erano collocati per la battaglia e dunque non ci fu difficoltà nel recuperarli perfettamente funzionanti. Mentre però infuriavano gli scontri, i discepoli di Archimede o gli emissari del governo cittadino, non si sa bene, si preoccuparono di far sparire altre invenzioni del maestro, che purtroppo morì nell’assedio. Ciò si deduce dalla scarsità di meccanismi ritrovati dopo la presa della città. Da secoli quindi gli agenti segreti dell’Impero conducono ricerche, per ora infruttuose, presso gli studiosi di tutto l’Impero o nelle biblioteche, nella speranza di rintracciare se non le macchine di Archimede almeno i suoi scritti in materia. CATANA E IL CULTO DI AEQUITAS Nella città di Catana si svolge l’avventura L’occhio del Ciclope (vedere I Misteri dell’Impero Vol. 1). Se i giocatori non hanno già affrontato l’impresa potranno comunque apprendere aggirandosi in città che di recente si è diffusa nella regione una setta che venera un veggente di nome Aequitas. Apparentemente i membri della setta si sono infiltrati in tutte le classi sociali. Essi credono che lo spirito del gigante Polifemo parli per bocca di Aequitas e che un giorno il gigante divino scaccerà l’Impero dall’isola di Sicilia e la renderà finalmente libera e indipendente. Queste circostanze dunque rafforzano le dicerie che indicano l’Aetna come la sede di una genìa di giganti e questo potrebbe indurre il Demiurgo a inviare i Custodes a indagare in questo senso, riallacciandosi poi alle vicende dell’avventura. Se invece i giocatori hanno già risolto il mistero, il Demiurgo potrebbe prolungare la campagna con una nuova indagine su un’altra meno nota setta siciliana i cui membri si riconoscono da un simbolo che ricorda l’occhio di un ciclope (vedere pag. 150). Gli indizi raccolti nella lotta contro Aequitas potrebbero inoltre indurre ad approfondire l’altro grande pericolo che incombe sulla bella isola siciliana, il mostruoso Typhoeus e certe sue pericolose seguaci (vedere pag. 78).
59 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA Catana. Si trova a metà del versante orientale. Questa città ha subito un’evoluzione del tutto opposta a quella delle altre città siciliane, un tempo potenti e ora in declino: nata infatti come piccolo insediamento greco e molto penalizzata dai Siracusani che nel 350 aUc la conquistarono e ne vendettero gli abitanti come schiavi, sotto la nostra protezione ha tanto prosperato da essere definita da Cicerone “ricchissima”. Il suo anfiteatro è persino superiore a quello di Syracusae, il suo circo è famoso per le corse dei carri su cui si scommettono cifre altissime e possiede inoltre un teatro e un piccolo odeon coperto per i concerti. Non mancherò di menzionare a questo punto il vicino monte Aetna, che sorge alle spalle della città, meraviglioso per i suoi bagliori notturni: il suo cratere ha una circonferenza di 50 stadi; le sue ceneri arrivano ancora incandescenti fino a Tauromenium e Catana; il suo fragore si sente fino al massiccio del Maroneum. Grande è il timore che esso ispira, e varie leggende si raccontano con spavento circa la natura di questo monte. La più rassicurante, cui tutti preferiscono credere, è che nelle sue viscere si trovi la fucina del dio Vulcano. Poiché si teme che a mancargli di rispetto si possa scatenare la sua furia distruttrice si è costruito un santuario alle pendici del monte. Più inquietante è l’idea che sotto l’Aetna siano stati imprigionati i Ciclopi quando gli dèi li scacciarono dalla Sicilia per lasciare posto alle stirpi degli uomini. Non tutti si troverebbero sotto il monte, comunque. Alcuni avrebbero dimora in alcune isole remote al largo della costa etnea. La leggenda più spaventosa sostiene che sotto la Sicilia giaccia il mostruoso Typhoeus, il titano che giurò guerra eterna agli dèi celesti. Egli emetterebbe fiamme minacciose dal monte Aetna, ma il suo corpo immenso si estenderebbe per miglia e miglia al di sotto dell’isola. Nella regione di Catana, inoltre, è ancora attivo il culto di un antico dio locale, Adranòs. Egli aveva un proprio santuario non lontano dalla città, che fu da noi chiuso quando il culto di questo dio fu proibito perché incompatibile con quello ufficiale di Roma. Nella zona, un tempo consacrata, restano tracce di un tempio nel folto di un bosco sacro. Il luogo è infestato da una particolare razza di cani selvatici, discendenti forse dei leggendari segugi consacrati al dio (vedere pag. 75). Tauromenium. Gode di una certa prosperità economica, propiziata dalla produzione di vini rinomati e marmi policromi e dalla esportazione del legno proveniente dalle vicine foreste. All’interno dell’isola voglio segnalare Segesta, nota per essere stata il luogo di inizio della guerra servile del 649 aUc, unica vera città in un’area dominata dal latifondo. Henna. Sorge su un luogo altissimo e dominante, situato al centro esatto della Sicilia. Alla sua sommità è un pianoro con fonti perenni, a picco e tagliato fuori da ogni accesso. Qui attorno sorgono numerosi boschi e sbocciano in ogni stagione i fiori più belli. Per queste terre vagò lungamente la bionda Cerere alla ricerca della diletta figlia Proserpina, che fu rapita presso il lago Pergus da Plutone, uscito all’improvviso con il suo carro da una grotta di profondità incommensurabile che si trova nei pressi. Ma Plutone era ormai svanito nel terreno nei pressi di Syracusae: in quel punto si creò un lago sulle cui sponde i siracusani celebrano feste annuali. Nei pressi di Henna, invece, sorge un antichissimo santuario dedicato a Cerere (vedere pag. 95). REGIO XIII SARDINIA ET CORSICA Questa regione riunisce due tra le maggiori isole del Mare Nostrum. Esse furono in origine colonie, entrate nel dominio di Roma in seguito alle vittorie sui Cartaginesi nella Prima guerra punica. Hanno mantenuto a lungo tale status a causa delle fortissime resistenze opposte dalle popolazioni locali al nostro insediamento: la superiorità bellica del nostro esercito è sempre stata netta, e infatti avemmo sempre il sopravvento nelle battaglie campali; tuttavia gli indigeni ci hanno spesso dato filo da torcere ricorrendo al sistema della guerriglia. Ora la situazione è consolidata e tranquilla, tanto che di recente le due isole sono state inserite nella serie delle Regiones. Nonostante ciò, la popolazione non ci ama e la convivenza tra la comunità latina e quella indigena è sempre in difficile e precario equilibrio. La Sardinia è a volte detta “sandaliotide” a causa della sua caratteristica forma. È fertile, benché in gran parte montuosa, e costituisce in pratica uno dei granai dell’Urbe. La terra è per lo più distribuita tra pochi proprietari di latifondi e un’ampia porzione è di proprietà imperiale. L’isola è strettamente unita al continente da rapporti commerciali, e infatti due compagnie di trasporto sarde, una di Caralis e una di Turris Libisonis, hanno la loro sede nel Foro delle Corporazioni di Ostia. La regione sudoccidentale è nota per le abbondanti miniere di ferro, argento e anche oro, in gran parte di proprietà imperiale: esse fungono anche da reclusori e le condizioni di vita all’interno di esse sono molto dure, tanto che la condanna ad metalla, cioè alle miniere, apparentemente più clemente della pena capitale, spesso equivale invece a una lenta condanna a morte. Per poter meglio controllare il territorio sono state tracciate alcune strade pubbliche: la più importante, anche dal punto di vista commerciale, è quella che da Caralis giunge a Othoca e poi si biforca verso Tharros a occidente e verso Forum Traiani a oriente. Da questa città la strada si addentra nel cuore montagnoso dell’isola per biforcarsi nuovamente in direzione di Turris Libisonis e Olbia. Altre due strade percorrono le coste. Alcune strade minori e deviazioni periferiche attraversano anche le zone più interne. La Sardinia fu lungamente abitata dai Fenici e questo popolo ha lasciato l’impronta più durevole in questi luoghi, tuttora riconoscibile: basti dire che nella città di Caralis i più importanti magistrati cittadini non si chiamano Duoviri bensì Sufeti, dal nome di una magistratura punica, e che nella piccola città di Bithia si scrive ancora in caratteri punici. Prima dei Fenici, in tempi antichissimi, la Sardinia fu abitata da un popolo misterioso di cui non si conosce più nulla e che non ha la-
60 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA sciato altra testimonianza se non numerose torri fortificate delle quali è difficile comprendere la funzione. Qualcuno sostiene che fossero fortezze, altri che fossero templi dedicati a divinità terribili, e il timore che essi ispirano ancora oggi fa sì che tali edifici siano il più possibile evitati e comunque ancora rispettati come luoghi sacri. Più d’uno dice di aver visto nei loro pressi, a notte fonda, guerrieri dal viso di teschio e dai vestiti di foggia ignota che si aggirano senza requie. Sul mistero della sparizione dei loro costruttori, che nessuna traccia hanno lasciato, alcuni studiosi si rifanno al mito di Atlantide di cui racconta Platone nei suoi dialoghi: secondo costoro sarebbe appunto la Sardinia quella vasta isola abitata da una potente stirpe di guerrieri, costruttori di torri, che dominò un tempo molte terre ma che fu ridotta in rovine in un giorno e una notte per la furia di terremoti e di una possente inondazione. Dicono essi che la terra di Atlantide non fu definitivamente sommersa ma rimase al di sopra della superficie del mare, in buona parte coperta di fango e delle rovine della sua scomparsa civiltà ma ormai deserta di uomini, pronta ad essere poi agevolmente colonizzata dai Fenici. La maggior parte degli eruditi scuote però la testa davanti a queste ardite affermazioni: anche ammesso che il regno di Atlante fosse davvero esistito, e non sia stato solo un’immagine retorica inventata da Platone, sarebbe assai dubbio credere che non si sia inabissato e possa quindi trattarsi della Sardinia. Non manca inoltre chi ipotizza, in alternativa, che le torri misteriose giunte fino a noi siano state costruite proprio dai pochi profughi sopravvissuti al disastro di Atlantide, giunti in Sardinia dopo la distruzione della loro remota terra, ivi prosperati per secoli e successivamente scomparsi per misteriosi motivi. Ma anche questa ipotesi lascia dubbiosi i più. Prima ancora che dai costruttori di torri, si narra che la Sardinia fosse abitata dai giganti Lestrigoni. Ne sarebbero testimonianza le molte sepolture disseminate per tutta l’isola che i locali chiamano Tombe dei Giganti: ampi sepolcri a forma di testa di toro, le cui facciate sono composte da semicerchi di grosse lastre in pietra come a comporre appunto, viste dall’alto, le corna del possente animale. Antichissimi, sono infatti in buona parte ormai ruderi. Ma pare che alcuni, giuntici quasi intatte, abbiano rivelato al loro interno ossa gigantesche. Le città più importanti dell’isola sono Caralis a sud e Turris Libisonis a nord. Caralis. In principio, questa città non ebbe un ruolo di grande importanza, essendo piuttosto considerata capitale dell’isola la vicina e bella Nora. Acquistò grandi meriti quando, nelle lotte tra Cesare e Pompeo, i caralitani cacciarono il governatore pompeiano per schierarsi con il Divo Giulio. Dotata di un’ampia insenatura naturale, quasi una sorta di stagno chiuso protetto da tutti i venti, è un porto molto sicuro ed è sede di un distaccamento della flotta del Miseno. Il porto è costituito da due sezioni, una interna e una esterna presso lo stagno, mentre nell’immediato retroterra vi sono magazzini ed edifici di servizio. La città ha anche una bella zona residenziale nei quartieri occidentali, con abitazioni di lusso come la villa di Tigellino, sormontata dall’imponente anfiteatro che è per metà ricavato da un’insenatura naturale della collina.
61 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA Turris Libisonis. È stata la prima colonia romana dell’isola. Ha sempre rivestito particolare importanza per Roma, specialmente per l’approvvigionamento del grano, e qui infatti, oltre ai consueti magistrati cittadini, risiede un ispettore centrale di Roma che controlla l’andamento dell’amministrazione soprattutto finanziaria: il Curator Rei Publicae. L’abbondanza di approdi nel territorio circostante consente un discreto commercio come pure la pratica della pesca. Olbia. Cinta da doppie mura guarnite di torri, anche questa città deve la sua importanza al rifornimento granario di Roma, e anche qui si trova un distaccamento della flotta imperiale. Esistono inoltre delle officine per la produzione di mattoni e altri derivati dell’argilla, per lo più di proprietà imperiale. Sulla costa occidentale va segnalata Tharros, situata in posizione ideale per i commerci con la Gallia meridionale e la Spagna. Poco più all’interno si trova Othoca, nodo stradale molto importante. Al centro dell’isola si trova infine Forum Traiani, fondamentale per la difesa delle pianure costiere contro le incursioni delle popolazioni interne; la città è ovviamente fortificata ed è spesso stata sede di un governatore militare. Detta dai Greci Cyrno, la Corsica è quasi del tutto selvaggia e l’unica strada che vi sia stata tracciata corre lungo la costa orientale collegando le due città di Aleria e Mariana. Il centro è abitato da scarsa popolazione che vive in condizioni di civiltà assai primitive nelle folte e impenetrabili foreste. I Corsi custodiscono greggi e fanno cacce abbondanti. Sono un popolo indomito e fiero, ed è assai difficile sottometterli, oltre che inutile: non si piegano mai alla schiavitù, neppure a costo della vita; nessun segno di sottomissione si ravvisa neppure nelle donne, le quali sono assai sconsigliabili come mogli per la nostra gente, come ben sanno quei legionari incauti che ne hanno sposata una. Nella Corsica le città degne di questo nome sono solo due: Aleria e Mariana, entrambe sulla costa orientale. Aleria fu il primo centro urbano, fondato in origine dai Greci con il nome di Alalia. Il sito non è dei più felici poiché è funestato dalla malaria, ma la città è situata in posizione strategica per il controllo delle coste etrusche, il che spiega la scelta dei Greci. L’altro centro, Mariana, fu fondato da Mario per contrapporsi alla sillana Aleria, ed è una città molto piccola. Questa è dunque la Saturnia terra, grande madre di messi e di uomini valorosi. Possano gli dèi benigni proteggerla e renderla sempre più possente e prospera sotto l’amorevole guida del nostro signore, l’Imperatore Teodomiro. E a te, mio caro Lampridio, giungano i miei saluti e i più sinceri auguri per un felice svolgimento del tuo alto incarico. SI TU VALEAS BENE EST, EGO VALEO. I GIGANTI LESTRIGONI Tra le razze di giganti che si dice affliggessero in tempi mitici la nostra terra va annoverata quella dei Lestrigoni. Questi, a differenza dei Ciclopi, avrebbero due occhi come gli uomini ma questa sarebbe l’unica somiglianza con le genti umane. Si tratterebbe infatti di giganti crudeli e mangiatori di carne umana, incapaci di stabilire con gli uomini un rapporto di amicizia. Nei tempi mitici in cui l’uomo non era ancora comparso sulla terra, i Lestrigoni vivevano liberamente sotto la luce del sole. Si dice che inizialmente si stabilissero in Sicilia, ma poiché detestavano i rozzi cugini Ciclopi, i Lestrigoni si spostarono in Sardinia. Qui restarono fino a che gli dèi non decisero di liberare le terre dalla presenza dei Giganti per fare spazio agli uomini. I Lestrigoni, allora, si spostarono in Corsica. I Lestrigoni non sono dei selvaggi come i Ciclopi, e infatti non vanno d’accordo con l’altra razza dei Giganti. Sono in grado di costruire belle murature regolari che sfidano il passare dei secoli. Si dice sia opera loro la poderosa struttura del Tempio di Giove Anxur a Terracina (vedere pag. 83). Non vivono in squallide caverne ma in una vera e propria città, Telepylos, situata da qualche parte nell’entroterra della Corsica. La città sarebbe dotata di murature meravigliose, torri, contrafforti e ogni altra installazione di difesa immaginabile. Difficile immaginare un luogo più inespugnabile. Pare anche che i Lestrigoni esercitino una specie di arte: nell’isola di Corsica, e in misura minore anche nella vicina Sardinia, si trovano qua e là delle immense statue con tratti misteriosi e stilizzati, con occhi enormi e tondi, che la gente locale attribuisce a loro. Come i Lestrigoni si sostentino è un mistero. Se creature così grandi si cibassero solo di carne umana la Corsica sarebbe un’isola disabitata. Qualcuno ha ipotizzato che essi allevino i propri animali come i Ciclopi, e che solo in caso di grave penuria siano costretti a razziare le comunità umane. Certo è solo che ormai sono diversi secoli che non si segnalano casi di uccisioni o sparizioni attribuibili ai Lestrigoni. Qualcuno spera che siano del tutto estinti.
62 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA Tiro 1d20 Diceria 1 Nel vicino bosco, durante le notti di luna piena, si aggirano figure ammantate di bianco con falcetti d’argento in mano: sono una piccola comunità di druidi che vive segretamente ai margini della società e produce strane pozioni. Falso. 2 Nei pressi sgorga una fonte cara alle ninfe: la sua acqua ha poteri magici. Vero. Chi la beve tira 1d20 e consulta l’apposita Tabella delle fonti magiche (vedere pag. 108). 3 Pare che il Decurione Furio Camillo Metro stia manovrando per far eleggere nell’ordine dei Decurioni anche suo figlio, il quale però ha solo quattro anni: a tale scopo sta sobillando i contadini contro gli edili in carica, che si oppongono a una simile irregolarità giuridica. Vero. È facile trovare per le campagne gruppi d’insorti con armi improvvisate che si scagliano contro chiunque dichiari di agire in nome dell’ordine costituito. 4 La locale Schola Gladiatoria è sul punto di essere sciolta, poiché il proprietario ha fatto bancarotta. Per comprarsi la Schola ed evitare di essere venduti quali schiavi, i gladiatori organizzano combattimenti con sfidanti volontari: sfidante e sfidato mettono in palio ingenti somme di denaro. Vero. Data la loro abilità ed esperienza, i gladiatori vincono praticamente tutte le sfide (per i loro valori, vedere Manuale Base). 5 Sputare dentro il calzare destro prima di indossarlo costituisce una buona protezione contro i sortilegi. Falso. Praticare questa “raffinata” usanza non ha alcun effetto, se non quello di provocare lo sconcertato disgusto dei presenti. 6 Una partita di garum avariato è stata immessa sul mercato locale da mercanti fenici poco scrupolosi. Mangiare in una delle taverne della zona può provocare sgradevoli conseguenze intestinali. Vero. I personaggi che mangiano in luoghi pubblici e falliscono un tiro di Vigor (SD 6) sono tormentati per 1d3 giorni da una grave dissenteria, diventando così Ammalati. 7 Nel vicino bosco si aggira nottetempo un enorme orso ferocissimo, grande il doppio del normale e dagli occhi di fuoco, che sbrana qualunque creatura, uomo o animale, gli si pari davanti. Falso, ma chi si recasse nottetempo nel bosco vi troverebbe dei bracconieri, che hanno sparso la voce per agire indisturbati. 8 Nella zona il prezzo delle cipolle selvatiche è salito alle stelle: tutti ne fanno incetta in quanto si sono rivelate un potente afrodisiaco. Vero, ma con tristi conseguenze per l’alito dei locali. Gironzolando per i mercati e i locali delle città, oppure incontrando viaggiatori di ogni genere lungo le strade e nelle locande, i personaggi possono raccogliere voci di ogni tipo. Ciò può capitare in una grande varietà di modi: i personaggi possono mettersi a chiacchierare con qualcuno, oppure origliare una conversazione altrui... Chi racconta una delle dicerie qui riportate, ai personaggi o ad altri, ne parla solitamente come di cosa saputa da fonte certa. Vanta l’amicizia di una persona altolocata (la moglie di un’alta carica cittadina, un sacerdote) che glie l’ha rivelata, o più spesso dice che ne è stato testimone qualcuno che egli conosce bene: un socio d’affari, la fidanzata di un fratello, un vecchio compagno d’armi, un cugino. Quando lo ritiene opportuno, il Demiurgo tira 1d20 e consulta la tabella, o meglio ancora sceglie la diceria che ritiene più adatta al momento. Alcune di queste dicerie possono anche dare il via a delle brevi avventure... Ovviamente non tutto ciò che si sente è vero! Il commento in corsivo che segue a ogni diceria dà qualche dettaglio, rigorosamente riservato al Demiurgo, sull’attendibilità della notizia. TABELLA DELLE DICERIE
63 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA 9 Nella vicina foresta cresce un fungo rossastro che, se ingerito in decotto con il vino, provoca visioni profetiche. Falso. Si danno però rari casi di autosuggestione. 10 Una legione in rivolta sta marciando verso Roma per insediarvi il proprio comandante come Imperatore, e sta per giungere allo scopo di razziare la zona onde procurarsi cibo e foraggio. Falso, ma già il panico inizia a diffondersi e ogni forestiero è visto con sospetto. 11 A Roma gli sprechi non si contano più: l’Imperatore ha fatto lastricare diverse strade del Foro con sottili lamine d’oro, che si consumano in continuazione e che vanno quindi rimpiazzate con grande frequenza. Ne ha di conseguenza vietato l’accesso alla plebe. Assolutamente falso! 12 A Roma è appena stato deciso di aumentare le tasse sul vino e sull’olio d’oliva: i prezzi saliranno presto. Falso, ma la gente ci crede: trovare vino e olio nei dintorni diventa difficile perché i commercianti attendono gli aumenti prima di vendere. Quello che si trova ha prezzi elevatissimi. 13 Una mattina, tutte le statuette di terracotta del dio Silvano poste a protezione dei vicini campi sono state trovate prive di testa. Ciò viene considerato presagio di una terribile carestia per la stagione del raccolto. Vero. Le statuette sono state tutte rotte a opera di giovinastri locali per mero divertimento. Ma fortunatamente il raccolto non ha nulla da temere. 14 Aulo Simplicio Caro, uno dei Duoviri della città, è misteriosamente scomparso, rapito nel cuore della notte da un meraviglioso stallone nero. Falso. È fuggito con l’amante Lucilla su un costosissimo cavallo comprato con la dote della moglie, figlia di un senatore romano. 15-20 Consultare la Tabella delle Dicerie Locali della regione interessata. VENETIA ET HISTRIA 15-16 Se proprio si deve andare per mare, è bene farlo su una veloce liburna così da poter sfuggire ai pirati delle coste dalmate, che in questo periodo sono particolarmente feroci. Vero per tutto l’Adriatico settentrionale, tranne attorno ad Aquileia ove il mare è fortemente pattugliato dalla flotta imperiale. 17-18 La produzione di legna della zona verrà presto sequestrata dall’autorità imperiale per la produzione di una nuova flotta da guerra, per combattere dei dissidenti macedoni che vogliono l’indipendenza della Macedonia dalla provincia di Grecia. Falso, ma il prezzo della legna è già triplicato. 19-20 Un uomo dalla testa di piovra appare a volte alla vicina foce di un fiume, là dove le acque dolci si mischiano a quelle salate del mare. Egli terrorizza a morte le popolazioni locali, che pagherebbero qualunque cifra a un coraggioso che volesse liberarli da un tale flagello. Falso. La voce gira a una certa distanza dalla foce, ma la gente del luogo non ne sa nulla.
64 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA UMBRIA; ETRURIA 15-16 Da qualche parte nei pressi di Clusium giace sottoterra la tomba di Porsenna, mitico re etrusco che si è fatto seppellire sul suo carro d’oro trainato da dodici cavalli aurei. Nella tomba si trovano gioielli e monili, oltre che cinquemila galline d’oro. Vero in parte. In realtà trattasi di alcune galline d’oro con cinquemila pulcini. 17-18 Il pastore Aulo, che vive nei pressi, parla con le pecore. Fatto ancora più insolito, comprende ciò che esse gli dicono. Falso. Egli parla in realtà con i molti passeracei della zona: è infatti il fortunato possessore del Tùtulus di Turms (vedere pag. 187). 19-20 C’è un prato nei pressi: a notte fonda vi si possono sentire suoni di flauti e canti in una lingua misteriosa. Vero. Il fenomeno è inspiegabile e avviene solo quando il cielo è stellato e privo di nubi. I contadini della zona hanno smesso di coltivarlo. Sotto la sua superficie si estende una necropoli etrusca. APULIA, CALABRIA ET HIRPINI; LUCANIA ET BRUTII; SICILIA 15-16 Nel paesino più vicino, gli osti che gestivano la locanda fino a qualche anno fa erano soliti assassinare e macellare nottetempo i viaggiatori solitari per poi servirli in pasto agli altri. Le loro ossa e parte dei loro bagagli sono tuttora sepolti nell’orto della locanda La Bella Aurora. Falso. La diceria potrebbe essere stata messa in giro dai proprietari di una locanda rivale. 17-18 Tra gli Hirpini e tra i Lucani si annoverano molte persone che nelle notti di luna piena si trasformano in lupi: non è un caso che i nomi di questi popoli derivino dalla parola “lupo” nelle loro rispettive lingue arcaiche. Falso. Nel caso degli Hirpini, in realtà si tratta di lupi che si trasformano in umani. Sono creature speciali che costituiscono i compagni di alcuni guerrieri Hirpini (vedere pag. 104); nel caso dei Lucani, in realtà essi sono formidabili cacciatori di Versipellis e di ogni altro tipo di mostri mutaforma. 19-20 In una villa sul mare poco fuori Syracusae avvengono sfrenati festini che hanno per protagonista Tito Quinzio Pansa, l’attuale duoviro della città, all’insaputa di sua moglie Fabiana. Falso. In realtà, il duoviro e i suoi amici vi si dedicano a corse di topi, con forti scommesse che Fabiana detesta. SABINI ET SAMNIUM; PICENUM 15-16 I Marsi, popolazione montana che vive nell’entroterra del Samnium, sanno attirare i serpenti con il loro canto. Vero. 17-18 Le frequenti scorrerie dei pirati hanno gravemente penalizzato l’economia locale: nelle taverne sulla costa è facile trovare molti marinai disoccupati, spesso ubriachi e di cattivo umore, e scoppiano frequenti risse. Vero. 19-20 Le locali fattucchiere sono in grado di preparare delle pozioni che danno particolare vigore in battaglia. Falso. Le donne del luogo preparano però un ottimo centerbe che, se sollecitate in proposito, alcune millantatrici potrebbero spacciare per la famosa pozione.
65 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA SARDINIA ET CORSICA 15-16 Flavia, la figlia di uno dei questori di Caralis, è una fattucchiera: ha gettato il malocchio sulla moglie di un altro questore cittadino, Urgulanilla. Ogni tanto Flavia viene posseduta dai demoni. Falso, ma è vero che la ragazza ha dei poteri magici: spesso cade in trance ed è in grado di effettuare precognizioni, anche se ha uno scarso controllo su questo suo potere. 17-18 Il corallo della Sardinia, molto ricercato per la produzione di gioielli, è anche un utile medicamento per le affezioni dell’occhio. Vero: deve però essere prima ridotto in polvere finissima 19-20 Nelle vicinanze si trova un’antichissima torre fortificata, priva di entrata e con la sommità mozza: chi vi passa accanto a notte fonda può sentire canti bellicosi in una lingua misteriosa. Falso. La zona ha diverse torri che corrispondono alla descrizione, ma non vi si sentono canti di guerra o altre voci. La diceria potrebbe però riferirsi a una torre gigantesca avvistata sulle coste della Corsica… LIGURIA; AEMILIA; TRANSPADANA 15-16 Nella regione di Liguria girano monete suberate con l’effige dell’Imperatore Teodomiro. Per questo, in tutta la Liguria e dintorni si accettano solo pagamenti in bronzo o in oro. Vero. Le monete suberate sono denari e sesterzi in rame ricoperto d’argento o bronzo, in modo da sembrare di metallo genuino. Teodomiro le ha emesse sperando che il popolo non se ne accorgesse, perché di recente le casse dello stato sono gravate da eccessive spese (tra cui quelle per l’istituzione della Cohors Arcana). 17-18 A notte fonda, persone dal volto coperto si aggirano cospargendo un unguento venefico sulle porte di famiglie che, la mattina successiva, cadono preda di un morbo misterioso ed incurabile. Falso, ma nella zona sta veramente per scoppiare una pestilenza. 19-20 Una nuova campagna di arruolamento sta per cominciare nella città di Bergomum: tutti i maschi sopra i diciassette anni rischiano la coscrizione obbligatoria e alcuni stanno già fuggendo nelle vallate alpine per nascondersi. Falso. Non sta per avvenire alcuna campagna di arruolamento, ma qualche credulone si è già dato alla macchia… LATIUM ET CAMPANIA 15-16 Le fanciulle abbandonate dall’amato si recano in un santuario sul monte Circaeum e implorano la maga Circe di vendicare il loro tradito amore. Solitamente, se il malcapitato non ripara nel frattempo al proprio torto, alla prima notte senza luna si trasforma in un corvo. Falso…? 17-18 Si dice che la villa dell’Imperatore a Capreae sia vigilata da alcune sirene che uccidono e divorano chi si avvicina nottetempo dal mare con intenzioni ostili. Falso. Si tratta di una voce messa in giro dall’efficace servizio di vigilanza per scoraggiare eventuali malintenzionati. 19-20 Si dice che alcuni pescatori di Spelunca abbiano intravisto, nella grotta sottostante il palazzo fatto costruire da Tiberio, un orrendo serpente che divorava tre malcapitati giovanotti sotto gli occhi impassibili dell’attuale Imperatore. Falso. Hanno intravisto all’incerta luce delle fiaccole la statua del Laocoonte, che orna il ninfeo sotterraneo.
66 RELAZIONE SULLA PROVINCIA ITALIA
PARTE II ARCANA SATURNIAE TELLURIS
68 ARCANA SATURNIAE TELLURIS DAL RAPPORTO DEL MAGISTER AUGURUM AL NUOVO GOVERNATORE DELLA PROVINCIA ITALIA. MARCUS AELIUS SAPIENS EMINENTISSIMO VIRO QUINTO VALERIO MESSALLAE SALUTEM DICIT. Io, Marco Elio Sapiente, indegno Magister del sacro Collegio degli Auguri, mi pregio di inviarti o Messalla un rapporto dettagliato sullo stato delle cose sacre nella tua nuova provincia. Non ti sfuggirà certo la complessità di una terra che fu regno di molteplici déi nei tempi più antichi e poi culla della potenza di Roma. Proprio la presenza di Roma, la cui autorità fu presto estesa a tutte le terre un tempo abitate da diversi popoli, ha unificato una situazione frammentaria e spesso pericolosa. Ciò ha senz’altro portato sollievo e sicurezza dove prima c’era angoscia e rischio, ma ha indotto a dimenticare quelle minacce abbassando il livello di consapevolezza e la prudenza. Le correnti magiche che si aggirano ancora segrete e sussurranti nelle nostre terre non vanno trascurate se si ha a cuore la sicurezza dello Stato e la salvezza dei suoi cittadini. Ecco perché ho raccolto non soltanto dati certi e documentati ma anche tutte quelle voci dietro le quali forse si nascondono solo paure di menti illetterate, ma non si può escludere che invece siano tracce occulte di segreti da indagare.
69 ARCANA SATURNIAE TELLURIS GLI DÈI DEL LATIUM ARCAICO Comincerò questa mia dissertazione dal cuore dell’Impero. Nel Latium dimorano antiche potenze che qualche volta il popolo tende a dimenticare ma che noi siamo tenuti non solo a conoscere, ma anche ad onorare nel modo appropriato per evitare danni all’Impero. DIANA ARICINA O NEMORENSIS Circa 20 miglia a sud-est dell’Urbe, lungo la via Appia, nelle vicinanze della cittadina di Aricia, esiste un folto bosco che nessuno osa tagliare o neppure ridurre per consentire la costruzione di nuove strade o edifici. Il bosco circonda completamente il Lacus Nemorensis ed è sacro alla dea Diana Aricina, la dea di Aricia. Per questo il lago è anche detto “specchio di Diana”, anche se in realtà questo termine si addice piuttosto alla vasca divinatoria di fronte al suo tempio (si veda più avanti). Ã LA DEA TRIFORME Nonostante il nome ricordi la dea cacciatrice del nostro Pantheon, la Diana di Aricia è una divinità diversa. Ella è infatti una diva triformis, dea dalle tre incarnazioni e dai tre nomi: Diana signora dei boschi e delle belve selvagge, Trivia che custodisce gli incroci e Lucina protettrice del parto. Viene spesso confusa con l’oscura Ecate, anch’essa dea di triplice forma, ma è un errore dovuto all’ignoranza della più antica storia di Roma. Il nome di questa dea contiene l’antica parola dia che nel nostro idioma più arcaico indica la luce. Non è quindi una divinità oscura, ma siede sulla soglia che divide la luce dal buio, la vita dalla morte. Le donne soprattutto la pregano come Lucina perché le aiuti a portare alla luce ai loro bambini e le protegga nel passaggio del parto, ma i suoi poteri non si limitano a questo. Invocarla vuol dire essere aiutati ad uscire alla luce in molti sensi (vedere Nuovi Indigitamenta a pag. 171). L’antichità del suo culto è tale che molti dettagli sono nascosti dalle nebbie del tempo. La sua signoria sulla vita e sulla morte al tempo stesso la rende una dea potente e in un certo senso pericolosa. Inoltre, le modalità di scelta del suo principale sacerdote, il Rex Nemorensis, sono così particolari che il Collegio dei Pontefici ha deciso di trattarla con la stessa rispettosa cautela che riserva a divinità non comprese nel culto ufficiale. Il luogo è quindi discretamente controllato dalla Flaminica di Diana che spesso lascia Roma per passare lunghe settimane in questo bosco misterioso. Ã IL SANTUARIO NEL BOSCO All’interno del bosco sorge un complesso sacro di notevole estensione, composto da più edifici attorno a un tempio centrale. Il santuario è abitato da diverse sacerdotesse, fanciulle e donne di ogni età che hanno abbandonato la famiglia per vivere libere nel nome della dea. Il tempio ha un aspetto assai vetusto, simile a quelli che furono costruiti dagli architetti etruschi negli anni in cui Roma era ancora un villaggio. Il santuario però è persino più antico, e qualcuno sostiene che al di sotto delle strutture attualmente visibili vi sia ancora il tempio originale, nascosto alla vista dei visitatori e conosciuto solo dal Rex. Il vero luogo di culto, comunque, è all’aperto. Davanti alla scalinata del tempio si trova un largo spiazzo circolare, circondato da alberi a intervalli regolari come fossero colonne. Al centro dello spiazzo uno specchio d’acqua perfettamente rotondo riproduce simbolicamente il disco lunare. L’acqua è stranamente immobile e spesso i visitatori la scambiano per una lastra di vetro. È acqua sempre fresca e proviene dal lago ma non si sa come sia alimentata e come sia possibile che mai un’increspatura turbi la perfezione della superficie. Nelle notti di luna piena l’acqua riflette la luce lunare, quasi portando la luna sulla terra. È questo lo “specchio di Diana” vero e proprio, usato per divinazioni e riti speciali. Divinazioni a parte, l’acqua di questa piccola piscina è considerata miracolosa e viene offerta dalle sacerdotesse alle donne incinte per facilitare la gravidanza e il parto. Ã IL REX NEMORENSIS, SACERDOTE IN ARMI Da tempi immemorabili il santuario è dominato da un sacerdote speciale detto Rex Nemorensis. Egli è l’unico sacerdote che porta sempre una spada, poiché è su quella che si basa la sua prospettiva di vita. Chi voglia diventare Rex, infatti, deve uccidere quello in carica in un duello alla pari, e la sfida può essere lanciata in qualunque momento. È un sacerdozio basato sul sangue, le cui origini si fanno risalire a fatti violenti e a un rito di stampo necromantico. Narrano infatti gli antichi che il giovane e bellissimo Ippolito, figlio del re di Atene Teseo, fosse corteggiato dalla dea dell’amore Venere. Egli però si era votato alla dea Diana, giurando di mantenersi casto come lei. Venere, offesa, fece innamorare di lui Fedra, seconda moglie di suo padre. Ippolito respinse anche le offerte amorose della matrigna la quale per la rabbia accusò ingiustamente Ippolito di averla violata. Ippolito fu messo a morte dal suo stesso padre e Fedra si uccise per la vergogna. Diana però, conoscendo l’onestà del giovane Ippolito, varcò la soglia dell’oscurità e andò a riprenderlo nell’Oltretomba. Lo portò poi in Italia e lo nascose nel folto bosco Nemorense. Qui, Ippolito divenne il primo sacerdote della dea, custode del bosco e soprattutto di un magico cespuglio su cui cresce un ramoscello d’oro che garantirebbe un sicuro accesso ai vivi nell’Oltretomba (vedere pag. 183). Ã PRENDERE IL POSTO DEL REX Visto che l’origine di questo sacerdozio è radicata nel sangue e nella morte, anche il suo incarico dipende da un gesto estremo. Diventa Rex, infatti, chi uccide quello in carica. Chiunque può decidere di sfidare il Rex per diventare sacerdote al suo posto; l’unica condizione è che prima di lanciare la sfida riesca a impadronirsi del ramoscello d’oro nascosto nel bosco sacro. L’impresa è consentita anche agli schiavi e anzi, storicamente la maggior parte dei sacerdoti di Diana Nemorense è venuta dalla schiera degli schiavi fuggiaschi. Si crede che la potenza del Rex sia legata al favore di Diana Nemorense, pertanto se la dea gli sorride nessuno potrà battere il sacerdote in carica. Se un Rex viene ucciso, invece, si pensa che ciò
70 ARCANA SATURNIAE TELLURIS accada perché la dea lo aveva già abbandonato, donando la sua protezione a un altro. In via teorica non è escluso che il Rex possa essere invece una Regina. Non ci sono regole che stabiliscono rigidamente che solo gli uomini possano accedere alla carica. Finora, tuttavia, non c’è mai stato il caso di una donna che abbia strappato con successo il sacerdozio al Rex in carica, anche se si ha notizia di candidate che hanno valorosamente tentato, ma hanno pagato con la vita il fallimento. Non è impresa facile combattere contro il Rex Nemorensis: poiché è il custode del Ramo d’oro ha doti di preveggenza che gli consentono di battersi in maniera più efficiente dei migliori guerrieri. Quindi chi lo sfida deve pensare bene a quale impresa sta per cominciare, perché potrebbe essere l’ultima! FAUNO, ANTICO PADRE Molte imprecisioni si raccontano oggi su questo antichissimo dio. La più diffusa è quella di crederlo la versione romana di Pan, dio greco della natura e della sensualità sfrenata. Il secondo errore è quello di immaginarlo con le fattezze di un satiro, con zampe caprine e corna. Fauno non appartiene alla tradizione greca e non ha niente a che fare con i satiri, divinità minori. Fauno è un dio di grande importanza, ben presente nei più antichi miti italici e laziali. Qualche tradizione lo dice figlio di Saturno, il primo dio a regnare sull’Italia. Qualcuno sostiene che sia invece figlio di Giove, padre degli dèi, e della divina maga Circe, e dalla madre avrebbe ereditato le arti magiche. Quale che sia la sua ascendenza, per noi è invece più importante la sua discendenza: Fauno ebbe dalla dea Marìca (vedere pag. 100) un figlio, Latino, che divenne re delle antiche genti residenti nel Latium e dal quale infine discesero Romolo e Remo. Fauno è quindi il dio progenitore di Roma. Quando appare agli uomini ha l’aspetto di un giovane uomo muscoloso ma snello, con lo sguardo ironico e divertito. Spesso ha in mano un flauto, che suona volentieri per accompagnare danze e canzoni. Ama scherzare e sa chi sta stare al suo gioco concede volentieri doni e privilegi. Le feste di Fauno, Faunalia, si festeggiano il 5 dicembre in tutto l’Impero. A Roma il dio viene festeggiato con grande solennità il 15 febbraio, nei riti detti Lupercalia. Ã FAUNO-LUPERCO, LO SPIRITO DEL LUPO Nell’antica storia di Roma la figura di Fauno si sovrappone a quella del misterioso Luperco. Chi non è originario dell’Urbe può confondersi e credere che si tratti di due divinità diverse. Non è così: Luperco altri non è che Fauno stesso che si manifesta sotto forma di lupo, e con questo nome lo chiamarono le genti che si riunirono attorno a Romolo nella nuova città appena fondata. Tutta la storia di Roma si intreccia fin dall’inizio con questi animali, a partire dai gemelli Romolo e Remo, allattati dalla lupa. Luperco, quindi, incarna lo spirito del lupo che è l’anima stessa del popolo romano. Luperco viene venerato a Roma in una grotta ai piedi del Palatino, il Lupercale, che la tradizione indica come il luogo in cui la lupa allattò i due gemelli. Nell’Urbe il suo culto è celebrato dai Luperci, collegio sacerdotale esistente solo nella capitale dell’Impero. IL REX NEMORENSIS Rex Nemorensis Valore medio: DV8 1 dado: Ratio 2 dadi: De Corpore, Punti Vita, Sensibilitas 3 dadi: De Bello, De Natura Punti Vita: 16 Armi: Ensis (Danno 8) Protezioni: Pelli di Animali (Protezione 3) B Capacità Speciali: Furtivo, Sensi Acuti B Poteri Magici: Preveggenza Benedetta*, Profezia, Tiro del Fato * Questo potere magico è del tutto analogo all’omonima Abilità in Combattimento dell’Augure. Custode del lago sacro della dea Diana e del prezioso Ramo d’oro, il Rex Nemorensis non è un sacerdote qualunque. Anticamente solo uno schiavo fuggitivo ricopriva la carica: era l’unico modo per evitare di essere ripreso e messo a morte dai padroni. L’alternativa era comunque disperata: per poter strappare la carica al Rex bisognava ucciderlo in un duello. Morte per morte, vita per vita. Oggi la carica è aperta a tutti, non solo agli schiavi, ma la modalità di assunzione dell’incarico resta la stessa. Fa quindi sempre leva su sentimenti gravissimi di bisogno, disperazione o estrema temerarietà. Per questi motivi il Rex Nemorensis è sempre un uomo piuttosto giovane. In realtà si ricordano anche dei sacerdoti che hanno raggiunto un’età più avanzata, anche se mai la profonda vecchiaia. La maggiore o minore durata in carica è dovuta principalmente al favore (o sfavore) che la dea Diana concede ai suoi vari sacerdoti, ma il Rex Nemorensis con una più lunga prospettiva di incarico è quello che non cessa mai di allenare il corpo e il braccio oltre a pregare la dea. Il Rex è il signore del santuario, ma non ha una dimora certa all’interno di esso. Poiché deve sempre presumere che qualcuno sia intenzionato a strappargli la carica, mette in atto ogni accortezza per non essere mai sorpreso. Dorme quindi in luoghi appartati e segreti che cambia continuamente e evita di dare alle sue giornate qualunque ritmo fisso, pur svolgendo ogni giorno tutti i suoi doveri. Trascorre molto tempo nel bosco sacro per verificare che nessuno ne saccheggi inutilmente i cespugli nella speranza di trovare il Ramo d’oro, esegue i prescritti sacrifici alla dea Diana e accoglie i visitatori, ma spesso ne spia a lungo le mosse prima di palesarsi a loro, sbucando d’improvviso dal profondo degli alberi.
71 ARCANA SATURNIAE TELLURIS Ã IL DIO CHE SUSSURRA E GRIDA Fauno è un dio profetico. Il suo nome è connesso con il termine fari, che anticamente indicava l’atto del parlare. Il dio concede infatti la parola al mondo naturale: divengono quindi veicolo delle sue profezie tutti i sussurri del mondo naturale, le foglie scosse dal vento, le acque che zampillano nei ruscelli. Fauno emette anche profezie insinuandosi nei sogni degli uomini: in questo caso la sua presenza è sconvolgente, poiché egli invade gli esseri umani con tutta la potenza della propria divina essenza e grida le sue profezie con forza sovrumana. Gli Auguri parlano senza mezzi termini di vera e propria possessione: è quindi necessario porre molta cautela nel sottoporsi al rito dell’Incubatio Fauni (vedere pag. 170). Il dio si manifesta anche fuori dalla sfera del sogno, apparendo in persona ai viandanti dei boschi o a coloro che lo pregano sinceramente. Queste apparizioni scatenano spesso reazioni di puro panico, inducendo alla fuga i fortunati. Fauno, infatti, porta in sé un’enorme potenza naturale, come la forza scatenata da una cascata che precipita o dalla terra che trema, l’essenza stessa della natura. È difficile per gli esseri umani confrontarsi con tale potere. Chi vi riesce, però, è più che fortunato: Fauno è un benevolo amico dell’umanità e della stirpe romana in particolare. Ã IL FLAUTO MAGICO Le leggende dell’antico Latium raccontano che il dio Fauno possedesse un magico flauto che poteva indurre negli uomini l’intera gamma dei sentimenti, dalla gioia alla tristezza, dall’amore all’odio, dal coraggio al terrore. Lo strumento sarebbe alla base delle tante storie raccontate su Fauno, spesso in contraddizione tra loro. Fauno infatti viene dipinto a volte come un dio spaventoso, la cui apparizione terrorizza i mortali; altre volte invece è un simpatico rubacuori, che seduce con allegria ninfe e donne mortali senza mai forzarle, come purtroppo fanno altri dèi; altre storie sottolineano il piacere che prova nello scatenare danze o canti che inebriano i sensi; alcune leggende sono persino più cupe e lo dipingono come un feroce custode delle foreste, capace di sterminare interi gruppi di viandanti per un’impertinenza involontaria. Tutte queste storie avrebbero il loro fondamento negli effetti di questo suo magico flauto, che nei secoli ha mostrato ai mortali le tante facce di questo dio signore della natura. Le Tibiae Fauni, il flauto di Fauno, è descritto a pag. 184. Ã LA SORGENTE ALBUNEA Fauno predilige tra tutti il bosco a lui consacrato nei Monti Tiburtini. Qui si trova una sorgente magica, chiamata Albunea poiché le acque sono quasi bianche, albae. In questo bosco, il dio concede oracoli nel sonno a chiunque lo chieda, ma bisogna essere ben consci che non tutti sono in grado di sopportare l’incubatio del dio. Chi desidera una profezia deve sacrificare una capra al dio, bere una coppa di acqua della fonte Albunea e dormire nel bosco sacro. Nella notte il dio visiterà i sogni del postulante, dando responsi molto accurati a chi sopporta la divina invasione di corpo e mente. FERONIA, SIGNORA DELLA LIBERTÀ Antica dea venerata sia dai Romani che dai Sabini, Feronia porta nel nome la libertà. Il suo appellativo ha la stessa origine di ferus, “selvaggio” nel senso di “mai domato”, privo di padroni. È pertanto una divinità particolarmente amata dai liberti che sono usciti dalla condizione di schiavitù o dagli schiavi che ambiscono alla libertà. Feronia viene rappresentata come una donna regale che porta in capo una corona, e infatti viene chiamata anche Feronia Regina. La sua festa cade il 13 e il 15 novembre. Feronia non gradisce sacrifici di sangue e le vengono dedicati fiori, rametti di alberi profumati oppure piccole sculture che rappresentano parti del corpo che si desidera liberare dalla malattia. Ã I SANTUARI E LA “PIETRA DELLA LIBERTÀ” La dea non ama i posti in cui è troppo evidente la mano ordinata dell’uomo. Predilige le zone selvagge e la libertà di una natura incontaminata. I primi luoghi di culto di Feronia, quindi, furono soprattutto le aree incontaminate dei boschi e dei monti attorno a Roma. In due di questi siti, con il tempo, i suoi fedeli hanno istituito dei santuari fissi. A Lucus Feroniae. Come indica il termine lucus si tratta di un bosco sacro, situato a nord di Roma, non lontano dal Monte Sorax. All’interno del bosco sgorga una sorgente sacra. È il più antico luogo di culto di Feronia, già esistente ai tempi del re Tullo Ostilio che spesso vi si recava. Subì l’onta di essere saccheggiato dal cartaginese Annibale durante le sue scorrerie in Italia nel 542 aUc e fu anche grazie alla giusta vendetta della dea che l’Italia venne infine liberata dall’invasore. A Fanum Feroniae. Questo santuario (fanum) si trova in un bosco nella piana di Tarracina. È molto frequentato perché qui si trova la “pietra della libertà”, un masso squadrato di tufo che porta l’iscrizione “Bene meriti sedeant, surgant liberi”: “I meritevoli si siedano e possano rialzarsi liberi”. Si crede che se uno schiavo si siede sulla pietra diventerà presto libero. La frase viene spesso interpretata dando al concetto di schiavitù un senso simbolico: essere schiavi del denaro, del vino, di un amore infelice, di una malattia et cetera. È quindi un santuario frequentato anche da tutti coloro che desiderano liberarsi da un legame o da un fardello pesante. Ã I SACERDOTI DI FERONIA Feronia è servita da collegi sacerdotali non ufficiali, poiché la dea non impone legami a nessuno. Non accetta maschi adulti nel suo servizio, in quanto gli uomini sono legati a troppi doveri pubblici. I sacerdoti sono quindi donne di ogni età o giovani maschi che non abbiano compiuto i 17 anni. Sono tutti volontari e stabiliscono una specie di turnazione tra loro, in modo da garantire sempre i servigi richiesti senza però restare legati al tempio.
72 ARCANA SATURNIAE TELLURIS A Mulieres feronenses. Sono matrone sposate che vivono nelle proprie case e compiono i riti privatamente. Non sono tenute a una particolare veste, ma quando officiano i riti religiosi indossano una corona di mirto e rosmarino. Una volta all’anno ogni sacerdotessa si trasferisce presso il santuario della dea per svolgere un mese di servizio. A Iuvenes feronenses. Sono giovani entro i 17 anni, scelti tra i più particolarmente atletici e forti nelle famiglie in cui tradizionalmente si segue il culto di Feronia: di solito hanno la madre o una parente tra le sacerdotesse. Svolgono il servizio a gruppi di sei, sotto la guida di una sacerdotessa. OPS, LA PRIMA REGINA Ops fu la prima regina del cielo romano e ben prima di Giunone dominò i cieli sopra la Saturnia Tellus. Secondo l’antica tradizione, infatti, Ops era la sposa di Saturno, la madre degli antichi dèi. Ancora oggi all’interno delle feste di Saturno, i Saturnalia, il terzo giorno è dedicato a onorare Ops. Le vere e proprie feste della dea, le Opalia, sono però celebrate propriamente il 25 agosto, nella stagione dei raccolti. Il nome della dea è legato alla ricchezza: nella nostra più arcaica lingua opi significava abbondanza, munificenza, doni. Questa parola era anche legata al lavoro della terra, che genera ricchezza. Ancora oggi, nella moderna lingua di Roma, opus indica l’opera dell’uomo. Ops è un’antica regina che non bisognerebbe dimenticare. La sua potenza è almeno pari a quella di Giunone, e qualcuno sostiene addirittura che nelle terre del Latium il suo potere sia più grande e più profondo degli dèi “moderni”. Ã DOMINA ABUNDANTIA Per tutte queste ragioni, Ops è spesso invocata come Domina Abundantia, la signora della ricchezza. In questa veste ella è rappresentata con una corona di spighe e tra le braccia porta una cornucopia piena di frutta e fiori. L’importanza di questa dea per la prosperità dell’Impero era ancora ben chiara nell’epoca di Augusto e tutt’ora nel palazzo imperiale è conservata una statua della moglie di Augusto, l’Imperatrice Livia, abbigliata come Ops. Dopo tanti secoli, ahimè, si è perso il ricordo della potenza di questa dea e pochi conoscono le parole con cui invocarla (vedere Nuovi Indigitamenta a pag. 173). Ã MATER TURRITA La più inconsueta caratteristica di questa antica dea è connessa alla difesa e alla tutela della ricchezza con tutti i mezzi, anche in armi. Ops è quindi la protettrice delle fortificazioni, delle cinte murarie che assicurano la difesa della vita civilmente ordinata. Per questo viene anche rappresentata con una corona che ricorda il vallo di una città. In questa sua manifestazione la dea porta l’appellativo di Mater Turrita e ha poteri terribili. PALES, DIVINITÀ MULTIFORME Pales regnava già nei tempi precedenti alla nascita di Roma. Le antiche cronache hanno tramandato che il giorno in cui i gemelli Romolo e Remo decisero di fondare la città fosse proprio quello della festa di Pales, il 21 aprile. La festa quindi è più antica di Roma. Pales è una divinità tanto antica che non ha caratteristiche definite. Non si sa, cioè, se sia un dio o una dea, se sia una sola divinità o una coppia come i gemelli Castore e Polluce, o addirittura una triade come quella capitolina di Giove, Giunone e Minerva. Il termine “Pales” infatti è sia singolare che plurale, maschile e femminile. Ciascun fedele decide in autonomia come rivolgersi a Pales, chiamandolo “dio” o “dea”. Alcuni utilizzano il plurale e pregano “i Pales”. La sfera di influenza di Pales è ugualmente ambivalente. Si tratta in primo luogo di una divinità pastorale, protegge le greggi e gli allevatori e custodisce la pace. Tuttavia è anche associata alla guerra: nel 477 aUc, il nostro console Marco Attilio Regolo consacrò un tempio a Pales per propiziare la vittoria delle nostre truppe contro i Salentini. È dunque un dio potente che non disdegna la battaglia. A chi sa invocarlo Pales concede bizzarri poteri che affliggono il nemico in modo inaspettato (vedere Nuovi Indigitamenta a pag. 173). Si dice che anticamente Pales dimorasse sul colle Palatino, ora sede dei magnifici palazzi imperiali di Roma. Quando Romolo pose su quel colle la prima cinta muraria della neonata città, Pales abbandonò il colle consegnandolo alla nuova comunità, e si ritirò nelle selve del Latium. A ringraziamento di questo gesto Romolo ordinò che da quel momento le feste di Pales fossero celebrate con il massimo della solennità, associandole alla festa della Fondazione di Roma. Ã LE PALILIA Il 21 aprile, oltre al Natale dell’Urbe, si celebrano le Palilia in onore di Pales. I riti si svolgono diversamente a seconda che siano celebrati a Roma o nelle campagne. A Palilia urbanae. Sono riti solenni e ufficiali che rientrano nella tipologia della lustratio, la purificazione. Servono a purificare l’Urbe e a rafforzare il potere del pomerium, l’invisibile barriera magica che circonda l’intera città. Sono riti di grande importanza poiché riguardano la tutela dell’intera Urbe contro forze maligne. Sono quindi affidati alla Vestale Maxima che li esegue sull’altare di Vesta. A Palilia rusticae. Si eseguono nei campi e nei pascoli per proteggerli da malattie, siccità o sterilità. È l’unica occasione in cui il rito della lustratio è eseguito con il fuoco oltre che con l’acqua, come sarebbe normale. L’uso di due elementi opposti sottolinea le due opposte nature che Pales incarna. Per il nuovo rituale della Lustratio Aquae et Ignis, vedere pag. 171.
73 ARCANA SATURNIAE TELLURIS Ã IL PERDUTO SANTUARIO DI PALES A quanto si sa non esistono santuari specificamente dedicati a Pales. La divinità è celebrata soprattutto nelle campagne su semplici altari circondati da boschi e campi. Tuttavia si dice che vi fosse un importante santuario tra i monti dell’Aemilia, non lontano da Bononia. Esso avrebbe anzi custodito un oggetto di grande potere: una pietra ovale detta con parola greca òmphalos, ombelico. Le pietre-ombelico sono rare e preziose, poiché in questi punti si allineano flussi di energie magiche di grande potenza. Per questo sono state spesso tenute nascoste, tanto che con il passare dei secoli di molte si è perso il ricordo e l’ubicazione. La Pietra di Pales non fa eccezione. Nessuno si ricorda più della sua esistenza, tranne pochi studiosi del Collegio degli Auguri. Tuttavia neppure costoro sanno dove si trovi la Pietra di Pales poiché è perduta persino la posizione del santuario e le ricerche finora effettuate non hanno avuto esito positivo. LE PIETRE “OMBELICALI” Antiche tradizioni indicano che esistano dodici pietre, sparse in tutto il mondo, che segnano luoghi di particolare potenza magica. Sono dette “pietre ombelicali” o òmphaloi (sing. òmphalos), che in greco vuol dire “ombelico”. Solo di una si conosce l’ubicazione sicura: quella conservata presso l’Oracolo di Delfi, in Achaia. Si sa per certo che ne esista anche una a Roma, detta Umbilicus Urbis Romae, ma la sua posizione è tenuta segreta. La tradizione attesta la presenza di almeno altre quattro pietre: una in Italia, nel perduto santuario di Pales; due in Aegyptus, una nell’antica Tebe (in un luogo imprecisato) e una nell’oasi di Ammone; una infine in Syria, nella città di Emesa, sacra al dio Sole. Si tratta di sedi di antichi culti da sempre connessi con potenti forze magiche ed è ragionevole ipotizzare che custodiscano oggetti di tale importanza. Ricerche effettuate nelle regioni nordiche dell’Impero fanno ritenere che ve ne siano almeno altre tre: una in Britannia, una in Gallia e una in Germania. Tuttavia fino ad ora non si hanno prove sicure di queste voci. Delle restanti tre non si conosce nulla. L’unico òmphalos che si conosca in dettaglio è quello di Delfi. È un oggetto piuttosto grande, alto circa come un’anfora da vino ma molto più tondeggiante. È circondato da un’elaborata rete di cordoni intrecciati che nasconde la pietra sottostante. Sulla base di queste caratteristiche si ipotizza che anche le altre siano simili, ma non è possibile affermarlo con certezza. Potrebbero variare le dimensioni, la forma e la materia di cui sono fatte. Alcuni pensano invece che siano perfettamente sferiche. Alcuni dicono che solo quella di Delfi è grande, mentre le altre non sono più grosse di una mela; si dice anche che quella di Roma sia la più grande, essendo custodita nella madre di tutte le città. Qualche studioso è certo che le dodici pietre siano tutte di diversi materiali, ciascuna fatta di una pietra tipica del luogo in cui si trova: basalto o porfido egiziano per quelle d’Egitto, marmo per quella greca, travertino per quella romana, et cetera. Un’altra teoria invece sostiene che siano tutte fatte di pietra siderea, proveniente dai cieli. Neppure sugli effetti che provocherebbero c’è unanimità: la gran parte degli studiosi concorda che esse non abbiano potere in sé ma segnalino i punti in cui si trovano “varchi” tra il mondo degli uomini e mondi ultraterreni, da cui traboccano forze magiche. Portarle via dal luogo originale, quindi, non garantirebbe alcun potere. Una minoranza invece pensa che le pietre siano magiche in sé e che il loro potere consista nel dominare le forze magiche che filtrano dai varchi, impedendo che danneggino gli uomini. Qualche esagerato, infine, si spinge fino ad affermare che possedendo tutte le pietre si conquisterebbe un potere divino. I principali indizi della presenza di una pietra ombelicale sono: A Presenza di oracoli di lunga tradizione. A Possibilità che persone comuni emettano profezie di grande precisione. A Manifestazioni regolari di fenomeni soprannaturali inspiegabili. A Presenza di popolazioni stranamente longeve o immuni da malattie. Sulle base di questi indizi gli emissari del Collegio dei Pontefici svolgono da lungo tempo ricerche discrete e costanti per rintracciare tutte le pietre ombelicali.
74 ARCANA SATURNIAE TELLURIS SILVANO, CUSTODE DEI CONFINI Nei tempi antichi Silvano era considerato il protettore di foreste, campi coltivati e pascoli. Non deve stupire che siano accostate cose apparentemente opposte come le selvagge foreste e i campi disciplinati dalla mano dell’uomo. È solo in virtù della concessione benevola di questo dio che ai nostri padri venne permesso di abbattere le foreste, piene di spiriti antichi, e trasformarle in luoghi adatti alla vita degli uomini mortali. Silvano, infatti, controlla che non si sottragga troppo spazio alle creature soprannaturali, che tutto resti in equilibrio, che vengano rispettati i confini tra il regno delle potenze antiche e quello degli uomini. In questi tempi moderni molti lo confondono con Fauno o addirittura con il greco Pan e lo immaginano con gambe caprine e corna. Questo è un grave errore. Silvano è in effetti un dio pastorale, legato alle usanze del nostro antico popolo ma poco ha a che fare con le intemperanze e la sensualità scomposta Pan. Silvano protegge i campi ben coltivati, aiuta i pastori a far prosperare le greggi: tutte attività che richiedono disciplina, senso del dovere e spesso sacrificio. Nelle antiche raffigurazioni lo vediamo come un giovane uomo barbuto incoronato con rametti di pino. Porta la falce del contadino in mano e ha un cane al suo fianco. A volte impugna il flauto dei pastori, altre volte porta un canestro di frutta. Silvano non ha una festa ufficiale. Forse questo accade perché fin dai tempi più antichi non ha mai avuto un tempio o una struttura sacerdotale fissi. Ogni contadino o pastore però è un sacerdote di Silvano: nessuno trascura di versare offerte al dio, facendo colare latte o vino direttamente nella terra appena arata o sul capo delle sue pecore. Ogni campo o pascolo è il suo tempio: una statua o un cippo di questo dio si trova in tutti i campi coltivati dell’antico Latium, e ne protegge i confini. Silvano incarna una potenza, ormai, sconosciuta ma sempre presente a chi sa dove guardare. Si dice infatti che i pochi che sono in grado di invocare Silvano secondo gli antichi costumi avranno da lui una protezione superiore a quella concessa da molti dèi più noti (vedere Nuovi Indigitamenta a pag. 173). GLI DÈI OSTILI Tra gli antichi dèi italici alcuni si sono dimostrati decisamente nemici di Roma. Si tratta di divinità maligne che tenevano soggiogati nella paura i popoli su cui regnavano. L’avanzare delle truppe romane, accompagnate dei nostri benigni dèi, ha distrutto il dominio di questi crudeli numi, restituendo libertà e speranza alle genti innocenti ma sottraendo molto potere agli accoliti delle divinità locali. Questi culti dunque vanno considerati sconfitti ma non debellati. Segnali di tentativi di riorganizzazione di questi circoli del male sono sempre più evidenti sotto una calma apparente. ADRANÒS, CACCIATORE OSCURO Questo dio regnava sulla Sicilia in tempi persino precedenti all’arrivo dei Ciclopi. Appassionato di caccia, era armato di lancia e sempre circondato da cani di eccezionale abilità. Fu a lungo venerato dalle antiche popolazioni dell’isola, i Sicani e i Siculi, ma anche le città di origine greca lo tennero in grande considerazione. Dionigi il Grande di Siracusa gli dedicò una città chiamata Adranon e un intero santuario nella zona di Catana, alle falde dell’Aetna. Si racconta che il tempio del dio fosse tutto di basalto grigio, ornato di colonne enormi e guardato da mille cani di una razza speciale. Ã UN DIO INTRANSIGENTE E GUERRESCO Adranòs non è una divinità malvagia in senso stretto, ma è ostile a chi non aderisce perfettamente alle sue tradizioni e non accetta di essere accostato ad altre divinità. Quando la sua collera viene scatenata diventa molto violento. Scuotendo la lancia provoca terribili terremoti, distruggendo senza rimorsi anche i seguaci, colpevoli di non averlo servito in maniera efficace. Anticamente era venerato da cacciatori e guerrieri, gente che si guadagnava l’esistenza con le armi. In particolare fu adottato come divinità guida dai Mamertini, mercenari del centro Italia che si insediarono in Sicilia (vedere pag. 139). Quando conquistammo la Sicilia facendone la nostra prima colonia cercammo di assimilare questo dio all’interno dei culti tollerati, come è nostro costume. I suoi seguaci tuttavia, ed erano molti in tutta l’isola, sobillavano la popolazione contro la nostra presenza, provocando continue ribellioni. Gli Auguri consultarono i Libri Sibyllini e presero la difficile decisione di chiudere il tempio di Adranòs e proibirne per sempre il culto. In realtà, pare che nelle case private il popolo della Sicilia abbia continuato a venerare Adranòs per lungo tempo. Qualcuno sostiene che il dio abbia ancora molti seguaci e persino sacerdoti, detti “adraniti”: attorno ad essi si raccoglierebbe un movimento di opposizione a Roma.
75 ARCANA SATURNIAE TELLURIS Ã I MISTERI DEI PÀLICI Unendosi alla ninfa Thalia, Adranòs divenne il padre di due gemelli divini detti “i Pàlici”. A differenza dei nostri Romolo e Remo, i Pàlici sono un maschio e una femmina. Sono divinità dell’oscurità ma non nel senso di ostili. Essi sono piuttosto custodi di segreti che non possono essere rivelati alla luce. Secondo le antiche leggende, i due erano giudici divini che vegliavano sui giuramenti e sapevano individuare coloro che giuravano il falso. I Pàlici avevano un piccolo tempio nella piana di Catana, presso un lago ribollente. Il luogo era considerato intoccabile, e dava asilo a tutti i fuggiaschi. Si pensava, infatti, che coloro che si nascondevano perché colpevoli di qualche delitto sarebbero stati comunque puniti dai Pàlici. Gli innocenti, d’altra parte, avrebbero dimostrato la loro sincerità con un sacro giuramento. In questo santuario, infatti, si giudicava l’onestà dei giuramenti con una procedura ormai sconosciuta. Alcuni antichi documenti custoditi dagli Auguri suggeriscono che se ne dovesse scrivere il testo su tavolette di legno, fosse esso una transazione d’affari, matrimoniale o politica o altro. Si gettavano poi le tavolette nel laghetto. Se affondavano era dimostrazione di falsità. Cosa poi succedesse agli spergiuri non è chiaro. Il culto dei Pàlici è misterico ed è proibito nell’Impero per due motivi: il primo è la segretezza che lo circonda, che impedisce alle autorità di controllare cosa facciano veramente i suoi seguaci; il secondo motivo è la discendenza dei due dèi dal collerico Adranòs. MEPHITIS, MADRE INFERNALE Tra le antiche divinità italiche Mephitis è la più spaventosa. Il suo culto era molto diffuso nelle aree dove in origine dimorarono gli Osci e i Sanniti e in quella in cui si installò una parte di questi ultimi che poi prese il nome di Hirpini (vedere pag. 103). Non è un caso che le guerre contro i Sanniti (nel V secolo aUc) furono le più dure che le nostre legioni dovettero sostenere sul territorio d’Italia: parallelamente alle operazioni militari, infatti, un’altra guerra fu combattuta dai nostri sacerdoti contro i seguaci di Mephitis e la loro magia malvagia. Con gli Osci la questione fu diversa, come spiegherò più avanti. La presenza di questa dea è stata segnalata fino nell’Aemilia celtica. Ã IL BACIO MORTALE DELLA DEA Mephitis è una divinità infernale la cui sfera di influenza riguarda il veneficio, la distruzione e la morte. Diversamente da altri dèi infernali, che prediligono il freddo tipico dell’aldilà e della morte, Mephitis ama il calore che arde e distrugge, i fumi bollenti che oscurano la vista e impediscono il respiro. Non esistono raffigurazioni sicure di questa dea, che i suoi seguaci venerano sotto forma di fumi venefici. I suoi altari, infatti, sono alimentati da sostanze che mentre bruciano sviluppano vapori mortali. In queste esalazioni i suoi fedeli vedono il respiro della dea, emesso dalle sue stesse labbra. I sacrifici resi a Mephitis non prevedono l’uso del coltello sacrificale: le vittime vengono legate sull’altare e esposte ai vapori. La dea “bacia” le vittime avvolgendole con la propria essenza venefica, succhiando il respiro dalle loro labbra. I vapori esalati dagli altari di Mephitis avvelenano lentamente acque, suolo e aria per ampio tratto: è impossibile coltivare i campi poiché non cresce nulla di commestibile; gli animali muoiono oppure nascono deformi. Una terra desolata è spesso indizio della presenza occulta di luoghi sacri alla dea. Si potrebbe credere che una dea così crudele non abbia seguaci. Invece in passato il suo culto era piuttosto ampio, sostenuto soprattutto dalla paura. Gli effetti venefici che la dea era in grado di scatenare venivano utilizzati ad arte dai suoi seguaci per costringere le popolazioni nemiche a sottomettersi. Chi vorrebbe rischiare la sterilità dei campi e la deformità dei propri armenti? Piegati dalla paura, i popoli antichi si consegnavano spontaneamente ai seguaci di Mephitis. Solo la forza di Roma fu in grado di spezzare questa schiavitù. Gli Osci, a lungo oppressi dai Sanniti, compresero subito l’aiuto che le nostre genti potevano offrire per liberarsi del giogo di Mephitis. Si dichiararono dunque alleati di Roma e, dopo le guerre sannitiche, si integrarono perfettamente nella società romana. Tra i Sanniti, invece, aleggiò a lungo il nome della Madre Infernale. I SEGUGI DI ADRANÒS Secondo le antiche leggende, Adranòs possedeva dei cani eccezionali per dimensioni e intelligenza: più grandi di un molosso ma snelli come cani egiziani e in grado di riconoscere le intenzioni dei visitatori del santuario. Questi cani, oggi ufficialmente scomparsi, pattugliavano per larga parte la regione attorno al tempio del dio e guidavano i pellegrini al luogo di culto. Erano in grado di riconoscere chi veniva portando doni o con animo sincero e sbranavano senza pietà coloro che volessero saccheggiare i tesori del santuario o minacciare i sacerdoti e i fedeli. La leggenda sostiene che fossero in grado di rintracciare i padroni anche dopo essersi allontananti per grandi distanze, perché in possesso di una specie di legame mentale con chi li aveva allevati. Al giorno d’oggi esiste in Sicilia una razza locale di cani, i segugi Aetnei, che si dice discenda dai segugi di Adranòs: sono cani con grandi orecchie che ricordano le raffigurazioni del dio egiziano Anubis, sottili ma molto resistenti, dal pelo dorato come la sabbia. Non sono grandi come i leggendari cani di Adranòs poiché, secondo alcuni, il sangue si è troppo diluito nelle generazioni che separano i cani moderni da quelli primigeni. Ciononostante i segugi Aetenei sono cani fuori dal normale, in grado di combattere con bestie molto più grosse e uscire vincitori: applicano infatti più l’astuzia che la forza fisica ai combattimenti, come i migliori gladiatori dell’arena. Per la scheda dei segugi Aetnei, vedere pag. 199.
76 ARCANA SATURNIAE TELLURIS Ã IL SANTUARIO DELL’AMPSANCTUS Il principale santuario di Mephitis si trovava nella vallata del lago Ampsanctus, in Hirpinia. Ufficialmente il culto di Mephitis è stato sradicato dopo le guerre sannitiche quindi il santuario non esiste più, e le costruzioni sono state distrutte. Ma l’onestà impone di avvertire che questa è appunto la versione ufficiale, diffusa soprattutto per tranquillizzare i popoli che abitano in queste aree. La verità è che il santuario dell’Ampsanctus resta un luogo pericoloso e oscuro. Per questo è tenuto sotto stretto controllo da speciali osservatori degli Auguri. Di altri luoghi sacri a Mephitis si è persa la memoria. La valle dell’Ampsanctus è un luogo malsano. È cosparsa da abbondante vegetazione, tuttavia questa è contorta e di colore malaticcio. Alberi e cespugli sono come slavati, i tronchi di un grigiastro simile alla cenere, le foglie a metà tra il verde e il giallo. Nessun uccello si aggira in questa vegetazione, e tuttavia non è un luogo privo di vita: sul terreno secco si odono fruscii e scricchiolii che rivelano la presenza di creature striscianti. Al centro della valle si trova il lago. Le acque sono di un bianco lattiginoso e sono velenose. Dalla superficie si sprigiona continuamente una nebbiolina biancastra, anticamente definita “il respiro di Mephitis”, che risale le rive e si spande nella contorta foresta circostante. Ciò rende doppiamente difficile percorrerla: da un lato la nebbia confonde i contorni del paesaggio, rendendo facile smarrirsi; dall’altro fa lacrimare gli occhi e mozza il respiro. Gli sventurati che hanno provato a resistere a questi sintomi hanno infine ceduto al respiro di Mephitis, morendo avvelenati. SORANUS, L’APOLLO DELLE TENEBRE Soranus era una divinità venerata dai tutti i popoli dell’Italia centrale, compreso l’antico Latium. I superficiali lo definiscono un dio dell’Oltretomba, simile a Plutone o al greco Hades. In realtà, non si tratta di un dio confinato nelle viscere della terra, ma è piuttosto un dio solare, che negli antichi testi è a volte definito l’Apollo delle tenebre. Con l’Apollo tradizionale, infatti, condivide alcune caratteristiche: padroneggia l’arte della profezia, si diletta nell’uso dell’arco, diffonde la pestilenza, è rappresentato dai raggi del sole. Quello di Soranus, però, è un sole nero, cupo e spaventoso. È un dio che esige sacrifici umani, che scatena il caos e provoca dolore, che sparge la nera febbre su uomini e animali. Pertanto si preferiva evitare di nominarlo per non attirarne l’attenzione o scatenarne l’ira. Soranus è, in realtà, un soprannome che vuol dire “l’oscuro”. Per gli stessi motivi si evitava di raffigurarlo. L’unica effigie oggi conosciuta è un’antica maschera etrusca di terracotta, in cui il dio appare bello come Apollo ma con un sorriso ghignante e tra le labbra tiene due raggi solari incrociati, o secondo alcuni due frecce. La maschera, rinvenuta preso l’antico santuario del monte Sorax, è oggi custodita dagli Auguri. Non esistono edifici dedicati a Soranus. Non perché siano stati distrutti, ma perché in suo onore non si erigevano statue o templi. La sua presenza era indicata da cippi di pietre nere o vulcaniche, di colori cupi come il bluastro, il grigio, il nero. Qualche cippo si trova ancora seppellito nel folto delle foreste, spesso circondato da punte di freccia offerte dai suoi seguaci e dalle ossa degli sventurati sacrificati. Il metallo a lui associato è il piombo, ed è su questo metallo che i suoi antichi fedeli incidevano le loro suppliche. Ã IL RITO DEL LUPO Dei riti di questo culto oggi si sa poco. Ufficialmente è scomparso secoli fa, non appena Roma si allargò sui territori circostanti. Gli Auguri, infatti, consigliarono di estirpare il culto di un dio che pretendeva sacrifici umani e incitava i suoi soggetti alla ricerca del caos e della distruzione. Per molti secoli non se ne sentì più parlare. Da qualche tempo però vengono riportate notizie di strane aggressioni di lupi. Benché tali animali non siano infrequenti nei boschi del centro Italia, strane sono le modalità di questi attacchi: i corpi dei malcapitati risultano sventrati ma intatti in altre parti del corpo, come se la bestia avesse colpito solo l’addome. Ricerche accurate nei più antichi libri degli Auguri hanno fatto collegare questi eventi alla modalità dei sacrifici umani che si usava eseguire in onore di Soranus: la vittima veniva infatti legata viva all’altare e il sacrificio era portato a termine dai lupi, che la sventravano. Si teme quindi una ripresa del culto di questa divinità del caos. IL RIFUGIO DELLE FURIE Il santuario di Mephitis non è pericoloso solo per gli effetti venefici delle sue acque. Le antiche leggende, infatti, raccontano che la dea concedeva volentieri rifugio alle Furie quando esse non erano incaricate dagli dèi di tormentare qualche mortale. Nei dintorni del lago, dunque, si troverebbe una caverna o un crepaccio in cui abitano le Furie. Il poeta Virgilio, nell’Eneide, si spinse persino a una descrizione di questo rifugio: si tratterebbe di una caverna nascosta da una scrosciante cascata. Percorrendo la caverna e scendendo nelle profondità della terra si troverebbe inoltre un passaggio verso il fiume infernale Acheronte, per permettere alle Furie di rispondere con sollecitudine agli ordini di Ade e Proserpina. Il santuario di Mephitis, in pratica, sarebbe uno degli ingressi all’Aldilà.
77 ARCANA SATURNIAE TELLURIS Ã LA FESTA DEL SOLE NERO Essendo Soranus un dio solare la sua festa veniva celebrata nel solstizio d’estate. In questa circostanza i seguaci e i sacerdoti della divinità si riunivano sul monte Sorax e celebravano “la luce nel buio”. Attendevano cioè il tramontare del sole e quindi la notte più corta dell’anno per celebrare il dio del sole nero. Venivano accesi molteplici falò di legna di pino, albero sacro a Soranus. Ottenuta un’abbondante quantità di brace, venivano stesi ampi tappeti di carboni infuocati su cui i seguaci camminavano per tre volte. Chi riusciva nell’impresa senza riportare danni entrava a far parte degli Hirpi Soranus, i sacerdoti guerrieri del dio (vedere pag. 194). Nel corso della festa si celebravano anche sacrifici umani, sia con il rito del lupo sia gettando le vittime nei falò rituali. L’ASSE COSMICO DEL MONS SORAX Il centro del culto di Soranus era il Monte Sorax. Questa montagna si erge non molto a nord dell’Urbe, nella bassa valle del Tiberis. Solitaria e cupa, è sempre stata considerata sacra dai popoli che abitavano nei dintorni: gli Etruschi, i Sabini e i Falisci. In particolare, gli esperti Aruspici Etruschi riconobbero nel monte una natura magica. Vi passerebbe un asse celeste che collegherebbe direttamente i tre mondi: quello celeste, quello terrestre, quello infero. Il punto esatto della cima sarebbe indicato da un cippo di pietra grigio-azzurra, vero e proprio cardine del mondo. Ovviamente sono state eseguite ricerche accurate per rintracciare il cippo. Purtroppo è quasi impossibile aggirarsi per queste foreste senza essere continuamente attaccati dai lupi, con una frequenza e una violenza che dimostrano come questi attacchi non siano naturali. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che sia la pietra stessa all’origine di questi eventi, quasi voglia proteggere sé stessa con le armi della natura. L’unica difesa è accendere fiaccole di pino. Questo non allontana per sempre i lupi ma li disperde per qualche minuto: ciò permette agli aggrediti di scappare prima di essere completamente sopraffatti.
78 ARCANA SATURNIAE TELLURIS TYPHOEUS, IL SIGNORE DEL CAOS Il dio Typhoeus non è propriamente un nemico di Roma. È nemico dell’intero universo. Lo devo comprendere nella trattazione delle cose legate al soprannaturale della provincia d’Italia perché purtroppo alcune leggende lo legherebbero a questa terra. Le origini di Typhoeus, conosciuto anche come Tifeo o Tifone, sono spaventose. Si tratta infatti di un mostro creato appositamente per seminare il terrore tra gli dèi, prima ancora che tra gli uomini. Si dice, infatti, che sia figlio della stessa regina di tutte le divinità, Giunone, che lo avrebbe generato da sola per rabbia contro Giove. Il re degli dèi, infatti, aveva generato la prode Minerva dalla sua propria testa, senza l’ausilio della sposa. Giunone si vendicò amaramente: non soltanto partorì questo mostro, Typhoeus, ma per allevarlo chiamò le Dracene, terribili creature metà donne e metà drago, che da allora infestano i continenti. Ã UNA NATURA VOTATA ALLA DISTRUZIONE Typhoeus è un’entità tanto malvagia che la sua stessa esistenza è un sacrilegio. Il suo potere è così smisurato che costituisce una sfida al dominio di Giove, simbolo stesso della misura e della ragione. È un mostro di dimensioni tanto grandi da non poter essere quantificate. Se dobbiamo tener fede alle leggende, esso sarebbe vasto almeno come l’intera isola di Sicilia, sotto la quale si nasconde. Tutto in lui è orientato a seminare dolore e distruzione. Dalle spalle sorge non una sola testa, ma cento teste di drago i cui occhi mandano fiamme di fuoco e possono incendiare cose e persone che gli si pongano innanzi. Terribile è il suono che queste teste producono: ciascuna grida con una voce propria riempiendo l’aria di latrati di cani infernali, fischi di serpenti mostruosi, ruggiti di leoni, muggiti di tori, voci umane distorte e agghiaccianti che provocano la pazzia. Nel muoversi vorticosamente le teste di drago producono anche cicloni irresistibili di vento, e spazzano per ampio spazio la terra su cui il mostro si pone. Al posto delle gambe ha due immensi serpenti che possono muoversi strisciando oppure simulando il movimento di due gambe. LA SFIDA DI TYPHOEUS AGLI DÈI Typhoeus vanta un’ascendenza illustre, pari a quella di tutti i principali dèi del cielo. Non si tratta quindi di un semplice mostro, ma di una divinità immortale. Nacque, infatti, da Giunone che lo generò in autonomia, senza un padre, spinta a questo dal desiderio di vendetta contro Giove. Egli aveva da poco generato la dea Minerva facendola spuntare dalla propria testa già adulta e armata di tutto punto, un parto meraviglioso del puro intelletto. Giunone, dea del matrimonio e della procreazione, non poteva sopportare una tale sfida alla propria sfera di competenza, ancora più offensiva perché fatta da suo marito e fratello. La dea decise quindi di ripagare questo affronto con la stessa moneta. Generò completamente da sola una creatura che fosse in grado di minacciare lo stesso Giove, il padre degli dèi. Infuse in questo figlio della solitudine tutta la rabbia che aveva in corpo, nutrendolo di odio e di potenza divina. Ne nacque un mostro tremendo. Appena creato, Typhoeus si pose subito ad applicare il piano di vendetta di sua madre. Salì dunque sul monte Olimpo e attaccò gli dèi. Questi, sorpresi per una tale aggressione e terrorizzati per la forza violenta di Typhoeus, si trasformarono in animali e corsero a nascondersi nelle terre infuocate d’Aegyptus. Le antiche leggende spiegano con questo evento il perché gli egiziani adorano dèi in forma di animali. Typhoeus, privato dei suoi obiettivi, si dispose a devastare il genere umano. Minerva allora rimproverò suo padre: osservò che era indegno del padre degli dèì nascondersi e abbandonare gli uomini alla distruzione, incoraggiandolo a contrastare l’orrenda creatura. Giove e Minerva insieme si mossero contro il mostro che però sconfisse subito la dea e ferì Giove, imprigionandolo poi in una caverna sotterranea nella terra di Cilicia. A quel punto si lanciarono nella battaglia anche Pan e Mercurio. Il primo distrasse il mostro con le sue grida; Mercurio liberò Giove e lo portò nuovamente sull’Olimpo. Ristabilitosi, Giove si pose all’inseguimento di Typhoeus sul suo carro trainato da aquile. Lo trovò, finalmente, e cominciò a colpirlo con una tremenda scarica di folgori. Typhoeus si difese cercando di seppellire Giove sotto enormi montagne, strappate alla terra stessa e lanciate contro il carro del dio. Ma Giove lo incalzò e lo indusse a scappare verso occidente. Infine, nei pressi della Sicilia, Typhoeus tentò di travolgere Giove proprio lanciandogli contro l’immensa mole dell’isola. Mentre tentava di sollevare quella smisurata porzione di terreno, Giove lo colpì con la più potente delle sue folgori e Typhoeus rimase schiacciato sotto l’isola. Si dice che egli giaccia ancora là, meditando vendetta e tormentando la terra di Sicilia con mille terremoti, conseguenza dei suoi tentativi di divincolarsi da quella prigione rocciosa.
79 ARCANA SATURNIAE TELLURIS Il suo unico obiettivo è quello di distruggere gli dèi. L’incauto desiderio di vendetta di Giunone, infatti, ha creato un essere divorato dalla rabbia, potente come un dio ma spinto dalla medesima inarrestabile violenza delle Furie. La stessa Giunone, probabilmente, si è pentita di quella decisione e sa che persino lei cadrebbe vittima di Typhoeus qualora se lo trovasse davanti. Non c’è sentimento di rispetto filiale in lui. È come un carro da guerra lanciato giù da una discesa ripidissima. Non soltanto non può essere fermato, ma travolgerebbe chiunque si trovasse sulla strada. Avrà pace solo quando ogni cosa sarà distrutta: dèi, uomini, Sole, Luna e il firmamento tutto. Ã UNA PRIGIONE SCONOSCIUTA È difficile capire dove tale mostro si nasconda. L’opinione più comune è che sia ancora imprigionato sotto l’isola di Sicilia, dove Giove lo confinò nella notte dei tempi. Tradizioni più antiche, però, lo collocherebbero nelle profondità marine sotto l’isola di Aenaria, proprio nel golfo di Neapolis. È cosa nota che l’isola presenta caratteri legati al fuoco, simili a quelli che si rinvengono in tutta l’area campana tra Cumae, i Campi Flegraei e il monte Vesuvius. L’ampiezza dell’area coinvolta giustificherebbe la presenza nel ventre terrestre di un mostro di tale grandezza. Perché proprio Aenaria debba essere l’epicentro di questa malvagità però è difficile da comprendere. Questa ipotesi è comunque assai inquietante: Aenaria sorge in uno dei luoghi più ricchi dell’intera provincia d’Italia, sede di ville di ricchi patrizi. Lo stesso Imperatore possiede una villa antichissima sull’isola di Capreae, non molto distante da Aenaria, costruita molti secoli fa dell’Imperatore Tiberio. Ã PADRE DI MOSTRI Typhoeus è il capostipite di un’intera generazione di mostri, la maggior parte avuta dalla mostruosa Echidna: A Cerbero, il mastino infernale a tre teste. A Ortho, altro mastino infernale con due teste e un serpente per coda. A Idra, il rettile dalle molteplici teste che rinascono se vengono tagliate. A Sfinge, il mostro con il corpo di leone e la testa di donna che affligge le sabbie d’Aegyptus. A Chimera, anch’essa con corpo di leone ed anche una testa di capra sulla schiena e un serpente per coda. Inoltre, Typhoeus da sé medesimo genera costantemente venti violenti, i tifoni, che distruggono le opere degli uomini. Sono suoi figli anche due venti più benigni, Borea e Zephiro. Ã LE DRACENE, COMPAGNE DI TYPHOEUS Anche dette Drakàinai, in greco, le Dracene sono mostri di sesso femminile con il busto di bellissima ninfa e due serpenti al posto delle gambe. Hanno le ali e possono volare agevolmente. Esse hanno natura crudele e violenta, e condividono alcune caratteristiche con i draghi, tra cui la forza, la velocità, la fame insaziabile. Ma hanno anche caratteristiche umane quali l’astuzia, la capacità di seduzione, l’amore per i gioielli e gli oggetti pregiati. Sono le compagne fedeli di Typhoeus e si dice che, nonostante egli sia tutt’ora imprigionato, si serva delle Dracene per portare avanti piani oscuri di distruzione e vendetta. Esse sono: A Kampe. È la custode di quella speciale parte del regno dell’Oltretomba in cui Giove rinchiude i mostri e gli dèi ribelli. Tra coloro che furono affidati alla sua custodia c’erano i Ciclopi e i tre giganti ribelli detti “Ecatonchiri”, cioè “con cento mani”. Oltre al corpo di drago ha serpenti per capelli, coda di scorpione, ali sulle spalle. A Poine. Il suo nome in latino è molto esplicativo: la chiamiamo infatti Poena, poiché porta pene infinite a chi si macchia di crimini di sangue. È ispirata da un crudele senso di giustizia e tutto sommato è la più razionale delle Dracene. Fu infatti evocata da Apollo per punire gli abitanti di Argo che avevano ucciso il figlio Lino. Qualcuno sostiene che sia la madre delle Erinni, le furiose dee della vendetta. A Sibari. Questa Dracena porta lo stesso nome della magnifica città sulla costa calabra distrutta dagli abitanti di Kroton nel 309 aUc. Ci si è chiesti se in quest’opera di distruzione non si debba individuare un tentativo disperato dei Crotoniati di sconfiggere questo terribile mostro. Per la scheda delle Dracene, vedere pag. 202. IL CUORE MAGICO DELLA CAMPANIA FELIX Allontanandosi dal Latium e scendendo verso sud nella Campania Felix si incontra l’area italica forse più intrisa di magia. Intorno a Cumae, infatti, si trova il santuario di Apollo, che si dice custodisca antichi segreti; presso il santuario, inoltre, risiede da secoli la celebre profetessa Sibylla; non lontano, infine, si crede che si trovi uno degli ingressi all’Oltretomba. IL SANTUARIO DI APOLLO DI CUMAE, CUSTODE DI ANTICHI SEGRETI È situato su un promontorio che si spinge sul mare, su una terrazza che accoglie più edifici. Il principale è, naturalmente, il tempio dedicato al dio della profezia, Apollo. Si dice che il tempio sia stato fondato da Dedalo per custodire le ali che gli avevano consentito di volare attraverso il Mare Nostrum.
80 ARCANA SATURNIAE TELLURIS Le antiche storie riportano che Dedalo, il celebre artigiano greco famoso per le sue innumerevoli invenzioni e per la sua insuperabile abilità artistica, fu rinchiuso dal re Minosse nel Labirinto di Knosso, che lui stesso aveva costruito. Riuscì però a fuggirne, costruendo per sé e suo figlio Icaro delle ali con cera e piume. La fuga riuscì ma, come è noto, Icaro non raggiunse mai le coste dell’Italia presso le quali il padre voleva rifugiarsi: precipitò in mare per la sua stoltezza, che lo spinse a volare troppo vicino al sole facendo così sciogliere la cera che teneva insieme le ali. Dedalo invece, stanco e provato, venne infine a riposarsi a Cumae: qui costruì il tempio di Apollo che decorò con i simboli del dio, cetre circondate da eleganti tralci vegetali, nonché con le vicende principali della sua avventurosa vita. Sui battenti del tempio, infatti, si osserva la stolta regina di Knosso, Pasifae, che si accoppia con un toro nascosta in una statua cava a forma di vacca, costruita apposta per lei da Dedalo; si vede poi il figlio di questo amore maledetto, il mostruoso Minotauro, rinchiuso nel Labirinto per ordine del re di Knosso, Minosse; vi è anche una raffigurazione dettagliata del Labirinto, opera ingegnosa di Dedalo, con il suo inestricabile intrico; infine ecco Dedalo che aiuta Teseo e Arianna a entrare e uscire dal Labirinto con l’aiuto di una cordicella, attirandosi così le ire del re che lo rinchiude là dove in origine era custodito l’orrido Minotauro. Si dice che le ali siano ancora conservate dai sacerdoti del tempio, reliquia troppo pericolosa per affidarla a mano umane (vedere pag. 179). LA GROTTA DELLA SIBYLLA Ai piedi del promontorio del santuario di Apollo si trova una grotta con larga imboccatura. Qui dimora la Sibylla, profetessa nota in tutto l’Impero, coadiuvata da altre sacerdotesse. La grotta è facilmente individuabile poiché questo è forse l’oracolo più famoso d’Italia e un fitto via vai di postulanti indica la strada anche a chi venga da paesi lontani. Non si tratta di una vera grotta, in realtà. Forse in tempi antichissimi la profetessa dimorava nel nudo fianco della collina, ma ormai dopo tanti secoli la mano dell’uomo ha modificato l’area rendendola più complessa e adatta a gestire grandi flussi di pellegrini. L’ingresso ha conservato un aspetto selvaggio, ma oltrepassato questo si entra in un tunnel molto vasto, costruito attentamente da un bravo architetto. Ha infatti una sezione a trapezio con base ampia e pareti inclinate in modo da restringersi verso la sommità. In questo modo la struttura può resistere a tutti quei tremori della terra che in questa zona non sono infrequenti. Il tunnel si addentra nelle viscere della montagna per circa quattrocento piedi con una leggera inclinazione verso il basso. Sulla parete di destra si aprono nove corridoi minori: conducono a ambienti di servizio, alloggi per il personale dell’area sacra e cisterne per l’acqua. Due comunicano con l’esterno e servono al personale per sbrigare le faccende quotidiane. Sulla parete sinistra, circa a metà del percorso, si apre un tunnel più ampio di quelli sul lato opposto, chiuso da una porta con serratura. Esso conduce a tre belle stanze: due sono gli alloggi delle sacerdotesse, che vivono due per stanza, e la terza è una sala comune. L’accesso a quest’area è sempre chiuso da una porta, le cui chiavi sono in possesso solo delle sacerdotesse. Alla fine del corridoio si trova un ampio ambiente coperto a volta, pieno di panche ordinatamente disposte. Questa è l’area in cui sostano i pellegrini che vengono a chiedere un responso alla Sibylla. Una porta sulla sinistra dà accesso all’appartamento della profetessa, composto di tre stanzette: quella più grande è arredata con un alto trono di bronzo a tre piedi, dove Sibylla siede per vaticinare, un braciere dove vengono bruciate le erbe rituali, una cassa piena di foglie di palma, su cui Sibylla scrive le sue profezie, una specie di pozzo poco profondo in cui si avvolgono vivaci refoli di vento. ALTRE IMPRESE DI DEDALO IN ITALIA Le ali non sono che uno dei portentosi artefatti inventati da Dedalo. Fuggito da Cnosso, prima di fermarsi definitivamente a Cumae egli soggiornò lungamente in Sicilia: si rifugiò presso la corte di Cocalo, re di Camico. Minosse lo scoprì e chiese al re di consegnarglielo: Cocalo rifiutò perché i servigi dell’artigiano ateniese gli erano preziosi. Minosse cinse d’assedio il palazzo reale. Cocalo finse di venire a patti con lui e lo invitò a un banchetto offrendo la restituzione di Dedalo. Gli organizzò un bagno con le sue tre figlie ma Dedalo, maestro anche nell’arte idraulica, sistemò la vasca in modo che una grande quantità d’acqua bollente si riversasse in essa attraverso alcuni rubinetti nascosti, uccidendo così il re di Creta. Secondo una versione alternativa del mito, Cocalo venne ucciso mentre combatteva Minosse. In Sicilia, Dedalo è considerato costruttore del bacino di riserva idrica sul fiume Alabone, di un bagno di vapore a Selinus, di una fortezza ad Agrigento e della terrazza del tempio di Afrodite a Erice. In questo luogo avrebbe lasciato anche un grande setaccio d’oro. È considerato l’inventore della vela e si ritiene che abbia donato all’umanità la colla e la maggior parte degli attrezzi usati dai carpentieri: soprattutto l’ascia, il trapano, la sega e la trivella. Pare che nel tempio di Atena ad Atene avesse collocato una sedia pieghevole. Sembra essere stato l’autore di molte statue con parti semoventi come occhi, braccia e gambe dalle caratteristiche simili ai costrutti teurgici, trovate sia in Achaia che in Italia e ribattezzate daidala (per maggiori informazioni su di essi vedere il modulo Aegyptus – Le Sabbie dell’Oro e del Tempo). In Sardinia, infine, sono considerate opera sua le Torri Dedale (vedere pag. 154).
81 ARCANA SATURNIAE TELLURIS Ã LE PROFEZIE DI SIBYLLA La profetessa vede il futuro per grazia del dio Apollo. Quando le viene rivolta una domanda ella si raccoglie in meditazione, circondata dai vapori che salgono dal braciere, su cui bruciano erbe speciali che favoriscono la concentrazione. La sua anima si protende verso l’alto e giunge a colloquio con il dio Apollo, signore delle arti e delle Muse. Per questo il responso è espresso in esametri, versi poetici che Sibylla scrive su foglie di palma. In realtà il responso non è mai uno solo. Sibylla produce parecchi versi anche in risposta a una sola domanda. Getta poi le foglie su cui li ha scritti nel piccolo pozzo accanto al suo trono. Qui le costanti correnti d’aria che provengono da decine (c’è chi dice centinaia) di piccole aperture rimescolano le foglie. Le sacerdotesse poi estraggono le foglie e le leggono nella sequenza in cui si presentano. Ne risultano testi piuttosto oscuri, pertanto la maggior parte dei postulanti si fa interpretare i testi dalle sacerdotesse. Alcuni invece, magari più versati nelle arti interpretative o con una spiccata sensibilità magica, preferiscono ricevere il testo com’è, confidando che il dio ispirerà loro la giusta interpretazione. SIBYLLA, PROFETESSA DI APOLLO Sibylla Valore: DV10 1 dado: De Corpore, Punti Vita 2 dadi: Ratio 3 dadi: De Magia, Sensibilitas Punti Vita: 10 Armi: nessuna Protezioni: nessuna B Poteri Magici: Profezia, Tiro del Fato La figura di Sibylla è avvolta nelle nebbie del tempo e della leggenda. Sul trono di bronzo, infatti, siede una Sibylla da così tanti secoli da farla ritenere una creatura immortale. E in effetti le leggende tendono a confermare questa teoria. Si narra infatti che Sibylla fosse un tempo una fanciulla bellissima, intelligente e sensibile alla divinazione. Per questo attirò l’attenzione del dio Apollo che si invaghì di lei e le concesse due doni: la capacità di vedere il futuro e l’immortalità. Molti però ritengono che questa sia solo una leggenda e che la Sibylla sia solo la più dotata delle sacerdotesse che servono l’oracolo di Apollo a Cumae. Quando la profetessa in carica muore, un’altra ne prende il posto garantendo continuità all’oracolo. Altri, infine, sono convinti che “sibylla” non sia un nome proprio e non indichi una persona specifica, ma sia una specie di titolo riservato alle veggenti direttamente ispirate dal dio Apollo. Oltre alla Sibylla Cumana, dunque, ne esisterebbero parecchie altre in tutto il mondo, ciascuna distinta da un aggettivo che ne indicherebbe il luogo di appartenenza (vedere pag. 86). La profetessa di Cumae è dotata di poteri profetici superiori alla norma e una grande capacità di comprendere l’animo di chi le si presenta davanti. In realtà, ci sono indizi del fatto che questa Sibylla non sia solo una profetessa. Virgilio, poeta in possesso di grandi conoscenze arcane, nell’Eneide ci consegna un dettaglio interessante sui poteri di Sibylla: ella guiderà Enea nell’Oltretomba per incontrare lo spirito del padre Anchise perché ci è già stata. I poteri di questa profetessa quindi non la incatenano al solo trono di bronzo delle profezie. Le consentono anche di addentrarsi negli oscuri reami di Plutone e Proserpina. Sempre Virgilio aggiunge un altro dettaglio: Sibylla è in stretto contatto con Ecate, dea magica sopra ogni altra. Quindi i poteri di Sibylla sono duplici: solari e profetici, poiché concessi da Apollo; ma anche oscuri e magici perché elargiti da Ecate. È noto a tutti che la Sibylla Cumana profetizzi in stato di stupore divino perché invasata dallo spirito del dio Apollo. Ebbene, è del tutto possibile che ella venga posseduta anche dallo spirito di Ecate. Questo spiegherebbe perché le profezie di Sibylla raggiungano il remoto passato e il più lontano futuro, svelino storie di vita e di morte, si addentrino in regioni sconosciute di cielo e terra. Non è un caso, dunque, che Sibylla risieda nei pressi di uno dei presunti ingressi all’Oltretomba. È una custode della soglia e la sua attività nell’area di Cumae non si limita alla sola produzione di profezie.
82 ARCANA SATURNIAE TELLURIS IL LAGO AVERNO, INGRESSO AI REAMI DELL’OLTRETOMBA Allontanandosi dal promontorio del santuario di Apollo e inoltrandosi nell’interno si giunge in poco tempo al Lago Averno. Questo è uno specchio d’acqua circolare di una grandezza imprecisata. Non si riesce infatti a misurarlo, poiché sempre avvolto in nebbie cangianti che riempiono gli occhi di illusioni, le orecchie di silenzi o al contrario di mormorii frastornanti. Percorrere le rive del lago è un’esperienza sottilmente spaventosa. Appare, infatti, un luogo privo di vita e apparentemente tranquillo. Nessun uccello lo sorvola, e infatti il suo nome “Avernus” deriverebbe dal greco àornos, “privo di uccelli”. Neppure altri animali si avvicinano via terra. Le acque sono nere ma stranamente lucenti e lisce, come una lastra di pietra vetrosa ben levigata. Nessun mulinello le agita, nessun insetto si posa con le zampette a formare piccoli cerchi. Nessuna creatura umana con un minimo di buon senso si avventura ad attraversarlo in barca, benché nessun vento ne increspi le acque. Sembra morto, ma un’oscura energia lo rende vibrante. Le nostre vedette che controllano il lago dall’alto della montagna soprastante affermano di vedere strani bagliori di notte; le pattuglie che proteggono le rive riportano di aver udito richiami, ululati, mormorii che fanno perdere il senno. Dobbiamo ammettere, ma che resti tra noi, che qualche pattuglia è misteriosamente sparita. Le nostre più antiche tradizioni affermano che questo lago sia l’ingresso per il mondo sotterraneo, il regno di Plutone e Proserpina, uno dei luoghi più pericolosi dell’intero mondo. Le tradizioni aggiungono un altro dettaglio spaventoso: il varco sarebbe custodito da un mostruoso guardiano, il mastino a tre teste Cerbero, pronto a divorare chiunque osi avvicinarsi alla soglia. Vi è incertezza nel collocare con precisione questo magico ingresso. C’è chi dice si debba attraversare l’imboccatura di una caverna, altri dicono che è necessario raggiungere in barca il centro esatto del lago. Altre leggende ancora affermano che l’ingresso si trovi in un cunicolo che si diparte direttamente dalla Grotta della Sibylla. In realtà, proprio la presenza della Sibylla in questa stessa area rende meno gravi queste manifestazioni misteriose e anzi, le sacerdotesse che la affiancano praticano continuamente riti di protezione e esorcismi noti solo a loro. Nonostante questi evidenti pericoli c’è sempre qualche sciagurato che decide di inoltrarsi nel bosco che circonda il lago, o addirittura si mette in barca e si dirige verso il largo. In molti cercano il Ramo d’oro (vedere pag. 183), avidi di possedere l’oggetto che secondo molte dicerie consentirebbe di praticare riti di magia proibita di grande potenza. Tanta stoltezza riceve il premio che merita: spesso le nostre pattuglie ritrovano solo la barca, abbandonata sulla riva, o abiti stracciati e anneriti. Mai alcun corpo. CERBERO, CUSTODE DELLA PORTA INFERNALE Cerbero Valore: DV12 1 dado: Danni 2 dadi: De Bello, Punti Vita 3 dadi: De Corpore, Sensibilitas Punti Vita: 24 Protezioni: Pelle Mostruosa (Protezione 4) B Capacità Speciali: Afferrare, Sensi Acuti, Veleno* (1DV) B Poteri Magici: Immortalità, Terrore (1DV, la vittima deve udire la creatura), Teste Multiple (2) * Se risulta attaccante in un tempus di combattimento, Cerbero può decidere di usare la propria coda di serpente per sferrare l’attacco (danni pari a 1d6 invece di 1d12; se infligge almeno 1 danno, inocula il veleno). Mentre combatte contro più avversari, Cerbero può sferrare questo attacco contro un solo avversario (di solito quello più debole e meno protetto). Cerbero è un mastino infernale gigantesco con tre teste. Custodisce l’entrata degli Inferi, pertanto si ritiene che dimori nel profondo di una delle caverne che si aprono sul lago Averno. È stato là collocato da Plutone per controllare non tanto che entri qualcuno, quanto piuttosto che nessuna anima ne possa mai uscire. È comunque impossibile oltrepassarlo anche per entrare, perché è sempre vigile e non dorme mai. I pochi che sono riusciti a eluderlo hanno dovuto addormentarlo: il grande musico e poeta Orfeo ci riuscì con la dolcezza della sua musica; Enea e Sibylla poterono passare perché la profetessa gli diede un dolce di miele e erbe speciali soporifere. Cerbero è parte di una stirpe mostruosa e divina: è infatti figlio di Typhoeus e di Echidna e ha per sorelle Chimera, la Sfinge e l’Idra. Dal padre, signore delle tempeste, Cerbero ha preso la voce: le sue tre teste producono un latrato assordante che ricorda il rombo del tuono piuttosto che la voce, anche mostruosa, di un cane.
83 ARCANA SATURNIAE TELLURIS PRINCIPALI SANTUARI ITALICI L'Italia è sempre stata guardata con benevolenza dagli dèi. Le italiche genti, grate, hanno costruito molti magnifici santuari. Alcuni di questi sono anche sedi di oracoli rinomati che fin da tempi più antichi continuano a diffondere la parola delle divinità. Descriverò in questa sede i luoghi sacri d'Italia, frequentati da pellegrini provenienti sia da regioni italiche che da altre province. Molti di questi santuari, infatti, hanno avuto un'origine locale ma oggi sono punti di riferimento per tutte le genti dell'Impero. Naturalmente esistono molti luoghi di culto minori ma non meno importanti, spesso nascosti a occhi superficiali: viaggiatori sensibili e attenti sapranno vedere ciò che è nascosto ai più. GIOVE ANXUR DI TARRACINA A 62 miglia a sud di Roma, sulla via Appia, si incontra inaspettata una montagna che sbarra la strada a chi voglia recarsi nella ridente Campania. Si tratta del Mons Iovis, il monte di Giove, una lingua di roccia che dai monti Ausoni all'interno si protende sul mare. Sulla sua cima si erge il più magnifico santuario italico dedicato al padre degli dèi. Si dice che questo sia il più antico santuario d'Italia, fondato nientemeno che dai giganti Lestrigoni. Le poderose murature che lo sorreggono sulla cima del monte, in effetti, sono un'opera così colossale che non sembra possibile eseguirla con le mani dell'uomo. Le strutture furono più volte irrobustite e modificate attraverso i secoli per mantenerle in efficienza. La particolarità di questo santuario risiede nelle caratteristiche attribuite al dio che qui si venera. Non si tratta infatti del dio Giove come siamo abituati a conoscerlo, il padre degli dèi austero e grandioso. Il santuario celebra invece Giove fanciullo. L'epiteto "anxur", infatti, deriva da un'antica parola il cui significato dovrebbe essere "senza barba". Ã IL TRIPLICE SANTUARIO L’area sacra dedicata a Giove Anxur è suddivisa in tre sezioni, ciascuna collocata su una terrazza monumentale. A Campo trincerato. Occupa la parte più elevata dell’altura. Non si tratta di un edificio sacro ma di un’installazione militare. La spianata accoglie infatti un porticato a tre lati che ricorda un po’ la tipica struttura dei castra, con una grande piazza centrale dove le truppe possono schierarsi o esercitarsi. Sul retro del porticato, verso la montagna, la struttura è difesa da una cinta muraria con ben nove torri di guardia. Il campo trincerato fornisce protezione alla terrazza mediana, che è quella dove sorge il principale tempio dell’area sacra. Il collegamento tra questa terrazza e quella inferiore è garantito da scalinate e passaggi scavati nel fianco della montagna. A Terrazza mediana. È la sezione principale di tutto il complesso sacro. Le antiche leggende dicono che, proprio da questo spiazzo, Ulisse intravide nella distanza il profilo dell’isola di Eea, regno della maga Circe. Al centro svetta il magnifico tempio di Giove, orientato nord-sud secondo l’allineamento sacro del templum e quindi posto di traverso sulla terrazza. Il tempio è particolarmente scenografico poiché è collocato su un alto podio ed è raggiungibile solo salendo una scalinata monumentale, a metà della quale si trova un altare. La facciata è decorata con eleganti colonne ioniche. Nonostante la magnificenza dell’edificio, non è questo il luogo più sacro del santuario. Chi ammiri la facciata, infatti, noterà sulla destra un’edicola sorretta da colonne marmoree, aperta sui quattro lati. Al di sotto giace la grande roccia attraverso la quale si ottengono gli oracoli del dio. Sul retro del grande tempio, infine, un lungo portico nasconde le numerose gallerie che si aprono nelle viscere della montagna e che collegano il tempio principale con l’insediamento militare superiore e con la terrazza inferiore. A Terrazza inferiore. Si tratta della struttura portante di tutto il santuario. Costruita in tempi antichissimi e poi sempre conservata con cura, è costituita da una serie di gallerie che si insinuano nel fianco della montagna. La faccia esterna è scandita da dodici arcate che si aprono verso il mare. Di notte sono illuminate e costituiscono una vista magnifica per coloro che giungono per nave al santuario. Ã LA PIETRA ORACOLARE Questo santuario accoglie un oracolo molto particolare. I responsi vengono emessi da una pietra sacra, una punta di roccia che sorge dalle radici stesse della montagna e attraversa tutte le strutture artificiali delle terrazze fino a venire alla luce a fianco del tempio di Giove. La pietra è assai più antica del tempio. La posizione sbieca dell’edificio è dovuta proprio alla necessità di costruire tutta la terrazza rispettando la posizione della pietra, ignorando quindi l’allineamento dei punti celesti. Alta il doppio di un uomo, la pietra è collocata sotto il tempietto aperto perché deve essere investita dall’aria libera, inondata da tutte le correnti che risalgono dal mare o che scendono dal culmine della montagna. La pietra, infatti, è tutta percorsa all’interno da piccole cavità che creano una specie di struttura spugnosa. In queste cavità circola il soffio divino inviato dal dio, il pneuma, che esce infine da un’apertura detta chasma, una specie di bocca petrosa. Il movimento del pneuma nell’interno della pietra produce sussurri, sibili e oscure melodie che solo i sacerdoti del dio, i Cultores Iovis Axorani, sanno interpretare. In casi di particolare gravità o pericolo per l’Impero è lo stesso Flamine di Giove che viene appositamente da Roma per udire le predizioni della pietra oracolare di Anxur.
84 ARCANA SATURNIAE TELLURIS SANTUARIO DI GIOVE ANXUR – TABELLA DEGLI INCONTRI Tirare 1d10 ogni volta che lo si ritiene rilevante. Tiro 1d10 Evento 1 La tromba d’aria. Un vortice di vento proviene dal largo e si avvicina in fretta alla costa, attraversando il santuario. Non vi sono danni ad edifici o cose, ma i Custodes possono perdere piccoli oggetti se non li hanno ben assicurati. Molti dei presenti leggono nel fenomeno un segno divino, ma le interpretazioni su quale ne sia l’esatto significato divergono. 2 Una nuova speranza. Un ricco possidente che ha appena consultato l’oracolo ha saputo che solo alcuni forestieri potranno liberare la sua tenuta agricola nei pressi dalla maledizione che la colpisce. Avendo incontrato per primi i Custodes, si è convinto che si tratti di loro e farà di tutto per convincerli ad aiutarlo, promettendo laute ricompense. Racconta che una qualche creatura sovrannaturale attraversa le porte chiuse di stalle e pollai facendo strage del bestiame. In realtà è un’Amphisbaena (vedere pag. 198) che vive nei pressi e nottetempo si introduce attraverso piccole crepe e interstizi. 3 Un segno dal cielo? Un’aquila proveniente dall'interno sorvola il santuario e si dirige a ovest, verso il mare aperto. Passa poi una seconda e una terza volta, sempre dall'interno verso il mare. Sbaglierebbe chi l’interpreta come un segno divino: è solo un rapace a caccia, che per coincidenza traccia più volte questa rotta. Attaccarla con armi da lancio suscita l’ira dei fedeli, dato che l’animale è sacro a Giove. 4 Al ladro! Un uomo nella folla di fedeli urla perché è stato rapinato del borsello con i soldi che teneva alla cintura. Il tagliaborse fugge verso l’uscita. L’evento è solo un normale scippo. Se la refurtiva viene recuperata, il rapinato, benestante titolare di una fabbrica di vasellame nei pressi, si offre di ricompensare in qualche modo chi lo ha aiutato. 5 La povera ragazza. Domitilla, donna molto giovane e palesemente in attesa, è accompagnata al santuario dai genitori e dal fratellino che la trattano duramente. Il padre, a un certo punto, alza le mani su di lei. I Custodes possono intervenire se credono. Se riescono a convincere la famiglia a raccontare la sua storia, la ragazza dice di essere stata visitata da un Incubo contro la sua volontà e di esserne rimasta incinta. Ed è effettivamente così. I genitori sono scettici, ma nel dubbio sono qui per invocare la protezione divina su di lei. 6 Posseduta? Tra la folla in visita al santuario, una bella donna con orecchini e anelli di fattura assai fine è all’improvviso scossa da tremiti, rotea gli occhi fino a mostrare il solo bianco e sviene, fredda e tremante. La gente arretra. Se i Custodes le si accostano, con voce cavernosa ella rivolge loro una frase che suona come un consiglio per ciò che essi stanno facendo o si accingono a fare (il preciso contenuto è lasciato al Demiurgo). Poi è scossa da un tremito più forte degli altri e si sveglia, tornando alla normalità senza ricordare nulla. 7 Gli scampati in processione. Un corteo di uomini barbuti e cotti dal sole sale verso il santuario. È composto da marinai del posto recentemente sopravvissuti a un naufragio, che si recano a ringraziare Giove di aver placato la tempesta in seguito alle loro invocazioni. Sono di ottimo umore e recano modellini di remi, di ancore e di navi da lasciare in offerta al tempio. 8 Un rimedio portentoso. I personaggi scorgono tra la folla una donna che accosta malati e storpi per offrire loro una potente erba medicamentosa di cui decanta i prodigiosi poteri e che avrebbe guarito addirittura una famiglia dalla peste. Chiede nientemeno che 20 sesterzi a dose. Si tratta della prodigiosa moly (vedere pag. 182). L’ha trovata nell'orto della madre, defunta da poco: purtroppo la pianta è seccata e la donna ne ha ormai solo due dosi, che intende vendere a caro prezzo.
85 ARCANA SATURNIAE TELLURIS 9 Il figlio maschio. I Custodes notano una coppia sul procinto di litigare. Lui trascina la moglie incinta per un gomito. La porta a forza al tempio per un sacrifico a Giove fanciullo affinché gli faccia avere il tanto atteso figlio maschio dopo che ha già avuto tre femmine. Alla donna, invece, un’altra figlia femmina andrebbe benissimo. Se intervengono, i Custodes possono prevenire o sedare un alterco quasi sul punto di sfociare in violenza. Fra quattro mesi nascerà comunque Camilla, una bambina bellissima che il padre amerà molto. 10 La benedizione. Un Custos vede un anziano sacerdote in difficoltà. Sta salendo una scalinata, ma gli tremano le gambe e vacilla. Se nessuno interviene, dopo pochi passi cade rovinosamente. Se invece qualcuno lo sorregge e lo aiuta a raggiungere la cima, il sacerdote mormora una breve benedizione: chi l’ha ricevuta, recupera immediatamente 1d3 Pietas. ERCOLE VINCITORE DI TIBUR Questo santuario è dedicato a Ercole Vincitore, protettore dei commercianti, della transumanza e del sale, bene preziosissimo che dalle coste dell'Adriatico viene trasportato a Roma. Il santuario sorge sulla via Tiburtina Valeria che da Roma conduce alla città di Tibur e da lì prosegue verso il Sannio. Il punto esatto in cui fu edificato è davvero strategico: solo in questo luogo, infatti, il fiume Anio può essere attraversato e qui passa la strada che unisce Roma al Mare Adriaticum. L'area sacra copre fisicamente con le sue strutture un tratto della via Tiburtina Valeria e il letto del fiume poco prima della cascata. Ã UN FARO TERRESTRE Il santuario di Ercole Vincitore è il più grande dei santuari laziali, e non a caso: non è solo un centro religioso ma anche un monumento all'operosità dell'uomo che genera ricchezza. Tutte le carovane di mercanti che dalla costa tirrenica vogliano raggiungere l'altra sponda d'Italia, e viceversa, devono passare necessariamente da qui. Il santuario è collocato su un'altura dalla quale il corso del fiume Anio precipita a cascata verso la valle. La posizione è così maestosa che il tetto del tempio, dipinto di giallo dorato, è visibile per ampio tratto nella regione circostante. Illuminato dal sole o dalle fiaccole notturne si vede persino da Roma e aiuta l'orientamento di chi viaggia sui carri come il faro fa con le navi. A differenza degli altri santuari laziali, quello di Ercole vincitore è collocato su un'unica, ampia terrazza, sorretta da una serie di arcate sovrapposte: cinque sul lato più scosceso verso il fiume e due sull'altro lato. Gli edifici principali sono: A Tempio di Ercole. Ha dimensioni veramente eccezionali, 120 piedi in facciata e 195 lungo i fianchi. Anche l’altezza è imponente: 75 piedi dalla base al tetto, ma sembra anche più alto poiché sorge su un piedestallo alto quasi altrettanto. Alla base del piedestallo, su entrambi i lati, ci sono due fontane inserite in nicchie semicircolari dove i pellegrini e i mercanti possono dissetarsi e lavarsi prima di accedere al tempio. A Porticato perimetrale. Il tempio è circondato da un enorme porticato a tre lati, che circoscrive il perimetro della terrazza lasciando aperto il lato che si affaccia sulla vallata in direzione di Roma. Il porticato ha due piani e in esso trovano posto alloggi, uffici per l’amministrazione del santuario, sale per eventi di vario genere. L’Imperatore Augusto utilizzava spesso questo edificio come tribunale, e vi giudicava personalmente i processi. A Teatro all’aperto. Davanti alla scalinata del tempio si dispiega il semicerchio del teatro, fatto costruire da Augusto. Scavato nel dislivello della collina ha un diametro di 215 piedi e può contenere fino a tremila e seicento spettatori. Le rappresentazioni si svolgono durante tutto l’anno tranne che nel cuore dell’inverno e hanno come argomento centrale le imprese di Ercole. A Via tecta. Sul lato sinistro della grande struttura che sorregge la terrazza si apre un’ampia galleria che attraversa l’intera estensione del santuario. Questo è il tratto coperto della via Tiburtina. Ã IL MISTERO DELLA SIBYLLA TIBURTINA È necessario segnalare lo strano caso della Sibylla Tiburtina. Solitamente i santuari in cui ha sede un oracolo o una profetessa del calibro di una Sibylla sono molto frequentati proprio per chiedere responsi e vaticini. In questo santuario, invece, la presenza di una profetessa di antichissima tradizione è totalmente dimenticata e solo pochissimi ne ricordano il nome. Oggi non esiste una veggente nel santuario e i pellegrini vi si recano solo per pregare Ercole. Alcuni studiosi, addirittura, negano che vi sia mai stata una profetessa in questo luogo e sostengono che il nome di "Sibylla Tiburtina" sia un'invenzione di letterati fantasiosi. In effetti la Sibylla Tiburtina risulta citata solamente in uno scritto dell'antico erudito Marco Terenzio Varrone, che visse all'epoca di Giulio Cesare. Si dice inoltre, ma non ci sono prove, che il divino Augusto l'avesse incontrata. Si potrebbe liquidare tutta la questione come una delle tante leggende che collocano veggenti in questo o quel santuario, tuttavia è importante stabilire se questa Sibylla sia veramente esistita. A lei, infatti, è attribuita un'inquietante profezia che indicherebbe con precisione la fine dei tempi. Questo testo elencherebbe tutta la serie degli imperatori che si succederanno sul trono dell'Impero fino alla fine del mondo. La profezia inoltre specificherebbe con grande dettaglio tutta una serie di segni ultraterreni che indicherebbero l'approssimarsi della "Nona Era", l'ultima in cui gli uomini vivranno su questa terra.
86 ARCANA SATURNIAE TELLURIS Il nostro signore Teodomiro, conscio del periodo di cambiamento che stiamo vivendo e turbato da alcuni segni che egli stesso ha osservato, ha incaricato i suoi più fedeli collaboratori di rintracciare la Sibylla Tiburtina, se esiste, per poter usufruire del suo consiglio. In alternativa, egli desidera almeno di recuperare il testo di questa spaventosa profezia per poterlo studiare. IL CATALOGO VARRONIANO DELLE SIBYLLE L’erudito Marco Terenzio Varrone, contemporaneo di Giulio Cesare, ci ha lasciato un elenco di dieci “vere” Sibylle. In origine il titolo di Sibylla era dovuto solo alle profetesse di Apollo, direttamente ispirate dal dio a emettere profezie in suo nome. Con il passare dei secoli, tuttavia, il termine passò a indicare genericamente donne in grado di emettere profezie. All’epoca di Varrone si era moltiplicato a dismisura il numero delle “Sibylle” e il titolo era spesso utilizzato anche da impostore e ciarlatane. Egli si dedicò con grande scrupolo all’analisi di tutti i documenti che fino alla sua epoca attestavano l’attività delle profetesse di Apollo presenti nel mondo. Analizzando le fonti Varrone cercò di distinguere le notizie infondate da quelle attendibili, scartare le false profetesse e garantire l’identificazione di quelle genuine. Ottenne quindi un elenco di dieci nominativi sicuri. A Persica. Forse la più antica, era una veggente che risiedeva presso l’antica città di Babylonia, in Persia. Avrebbe previsto le grandi imprese di Alessandro Magno ed aveva una grande fama nell’antichità. Tuttavia, quando le truppe di Roma hanno raggiunto e conquistato Babylonia non hanno trovato né la profetessa né il ricordo di lei. A Libyca. Secondo lo storico greco Pausania sarebbe questa la più antica. Si riteneva che fosse lei a emettere le profezie presso l’oracolo di Ammone, situato nel deserto tra l’Aegyptus e la Libya. Da diversi secoli, però, in quel santuario non risiede alcuna profetessa e le profezie sono affidate a una pietra oracolare. A Delfica. La più celebre, risiede tutt’ora nel santuario di Apollo a Delfi. Anch’essa molto antica, già profetizzava prima della guerra di Troia. A Cimmeria. Su questa profetessa vi è molta incertezza. Il suo nome sarebbe dovuto alla popolazione dei Cimmeri italici, anticamente residenti attorno al Lago Averno. Tuttavia quella zona è da sempre sotto il controllo della Sibylla Cumana, dunque forse è un altro il luogo in cui abitava questa veggente. Qualcuno ipotizza che risiedesse nella fatale grotta del Lupercale a Roma, altri nella mitica terra dei Cimmeri nordici, dove d’inverno il sole scompare per molti mesi. A Erythrea. L’appellativo di questa profetessa la farebbe collocare nella città greca di Erythrae, sulla costa d’Asia. Tuttavia, attualmente non risulta neppure un santuario in questo luogo. Si dice che questa profetessa emettesse le sue predizioni con uno strano artificio. Consegnava ai postulanti un certo numero di versi che i poveretti si affannavano a interpretare con poco successo. Infatti la risposta era un’altra: si otteneva leggendo la lettera iniziale dei versi nell’ordine in cui venivano consegnati, formando così una o più parole. A Samia. Secondo Varrone questa veggente risiedeva nell’isola di Samo, in Achaia, presso il tempio della dea Hera, la Giunone greca. Come la Sibylla Cumana avrebbe avuto dimora in una caverna, la stessa in cui avrebbe soggiornato per un po’ anche il filosofo Pitagora. Oggi la caverna è di difficile identificazione e il tempio di Hera non ospita alcun oracolo. A Cumana. Assieme a quella di Delfi questa è la Sibylla più conosciuta al mondo. Tale è l’importanza che questa veggente riveste per l’intera provincia d’Italia, e non solo per essa, che le ho riservato una trattazione specifica (vedere pag. 81). A Ellespontina. L’appellativo deriva dallo stretto dell’Ellesponto dove la profetessa avrebbe dimorato. Si dice che ella fosse l’autrice di una parte dei testi contenuti nei Libri Sibyllini che furono offerti al settimo re di Roma, Tarquinio il Superbo. A Frigia. L’identificazione di questa veggente è confusa. Qualcuno ha sostenuto che si trattasse nientemeno che di Cassandra, la sventurata figlia del re di Troia Priamo, profetessa condannata a non essere mai creduta. Se ciò fosse vero, ella sarebbe da molti secoli scomparsa, a meno di ipotizzare che il dio Apollo sia a un certo punto intervenuto a salvarla dal tempo e dall’oblio. A Tiburtina. L’ultima Sibylla è quella che dovrebbe risiedere presso il santuario di Ercole Vincitore a Tibur. Purtroppo dall’epoca di Varrone ad oggi sono passati ben sei secoli e la situazione è molto mutata. Di molte profetesse di questo elenco si sono perse le tracce e altre nuove sono oggi grandemente considerate, come quella di Thracia. La situazione necessita nuovamente di una revisione e non è escluso che il Collegio dei Pontefici decida di inviare a questo scopo un gruppo di esperti in ogni angolo dell’Impero.
87 ARCANA SATURNIAE TELLURIS SANTUARIO DI ERCOLE VINCITORE – TABELLA DEGLI INCONTRI Tirare 1d10 ogni volta che lo si ritiene rilevante. Tiro 1d10 Evento 1-3 Brutto tempo. Il cielo si oscura d’improvviso e una pioggia fastidiosa inizia a cadere, aumentando d’intensità minuto dopo minuto. La gente abbandona in tutta fretta la zona del santuario per far ritorno alle proprie case. 4 Sulle tracce della Sibylla. Una vegliarda si accosta a un pellegrino isolato, un mercante di mezza età, e parlottando a bassa voce lo invita ad accompagnarlo dall’antica Sibylla che ancora vive in una caverna nei pressi. Solo pochi eletti da lei scelti possono infatti interrogarla. I due si allontanano. In realtà è un’imboscata: la vecchia porta l’ingenuo malcapitato verso una grotta dove alcuni banditi lo attendono per rapinarlo. 5 Un vero affare. Una ragazza male in arnese offre ai Custodes, in cambio di alcune monete, un vecchio amuleto: una statuetta minuscola di metallo raffigurante un’idra a più teste, fissata a una catenella che fa da braccialetto. Dice che il padre, veterano delle campagne in Oriente, lo riteneva una potente protezione dai colpi del nemico. In realtà funziona davvero: chi lo indossa e viene colpito in combattimento riduce di 1d3 i danni subiti (l’effetto si applica dopo aver effettuato il tiro di Protezione dovuto a eventuali armature). Ma il suo potere sta ormai per finire: al terzo utilizzo, non appena ha donato ancora una volta il suo beneficio, l'amuleto si disgrega irrimediabilmente polverizzandosi all’istante. 6 Uno strano segno. Su un davanzale del tempio si posa una Pica (vedere pag. 198), che rivolta ai Custodes grida con voce stentorea: “Mai più! Mai più! Mai più!”, poi vola via. Al Demiurgo decidere se l’animale fa perdere le proprie tracce o è lo spunto per un’avventura collaterale, avendo ripetuto una frase che ha udito dove sta per svolgersi un dramma. 7 La Sibylla in persona. I Custodes scorgono in un luogo appartato una donna non più giovane, le braccia alzate e lo sguardo perso nel vuoto, che mormora frasi arcane invitando il dio a visitarla per donarle ancora una volta il dono della profezia. Se viene interrogata in merito, sostiene di essere solo un’attrice che prova un monologo in vista di un futuro spettacolo che intende proporre nel teatro del santuario, ma la sua interpretazione è davvero di un impressionante realismo e resta il dubbio che sia davvero una veggente o una Sibylla. Se invece viene osservata da lontano senza contattarla, dopo un poco se ne va e si perde nella folla. 8 Il corteo dei veterani. I Custodes vedono arrivare alcuni uomini non più giovani che si recano a rendere omaggio al dio. Sono veterani di una campagna ai confini dell’Impero, sopravvissuti a diverse battaglie e quindi convenuti a ringraziarne Ercole Vincitore come avevano giurato di fare laggiù. L’aria è quella di una rimpatriata: gli uomini scherzano rudemente tra loro, si lanciano motti con riferimenti a vecchi episodi noti solo a loro, rievocano aneddoti di vita militare. 9 La veggente allo specchio. Una donna dai vestiti orientaleggianti siede in un angolo del santuario e in cambio di una moneta si offre di guardare nel proprio specchio di metallo, a sua detta magico, per vedere il futuro di chi lo desidera. In realtà è una ciarlatana che offre sempre risposte abbastanza vaghe: vede un viaggio, o una missiva in arrivo, o la presenza di una donna bionda e una scura... 10 Lo scudo magico. Fra gli ex voto nel tempio, spicca uno scudo magico in bronzo che secondo l’iscrizione è stato portato in dono al dio due secoli fa. È un Clipeus in bronzo da cavaliere, di fattura meravigliosa (Parata +3), e brilla come se fosse stato appena forgiato. Per ottenerlo dai sacerdoti occorre farsi assegnare una missione a favore del dio e assolverla con successo. Impossessarsene senza fare ciò comporta l’ostilità degli dèi finché non si sia posto rimedio al sacrilegio.
88 ARCANA SATURNIAE TELLURIS FORTUNA PRIMIGENIA DI PRAENESTE Percorrendo la via Praenestina per 27 miglia a partire dall'Urbe si giunge a Praeneste, centro religioso molto antico e tutt’ora grandemente frequentato dalle genti laziali. Qui esiste un intero santuario dedicato alla dea Fortuna, detta Primigenia poiché considerata la dea che rende possibile lo svolgersi della storia umana, la potenza da cui discende tutto ciò che esiste nel mondo. Le genti laziali la consideravano madre degli dèi e dell’umanità. Il santuario è anche sede di un celebre oracolo i cui responsi sono detti Sortes Praenestinae. Ã LA COLLINA SACRA Chi non abbia mai visitato questo luogo sacro ne rimane sempre sbalordito. Si tratta infatti di un enorme complesso incastonato nel fianco di una collina, articolato su una sequenza di sei terrazze artificiali. L’enorme complesso è movimentato da un’alternanza mozzafiato di pieni e vuoti, murature gigantesche e porticati colonnati. Anziché sembrare aggrappata sul fianco della collina, l’intera struttura è come protesa verso l’alto e l’occhio di chi guarda viene rapito da soluzioni prospettiche raffinate, quasi costretto a innalzarsi sempre di più verso la sommità del tempio. La muratura che sorregge tali costruzioni è costituita da enormi blocchi di pietra connessi tra loro ad incastro con una tale precisione da dubitare che in essa ci sia la mano dell’uomo. Tali strutture vengono infatti anche definite “mura ciclopiche”, poiché sembrano realizzate da giganti. Una serie di magnifiche scalinate collega tra loro le terrazze per raggiungere la sommità del complesso. Le sei terrazze hanno ciascuna una particolare destinazione d’uso: A Prima terrazza. È il punto di collegamento con il Foro della città di Praeneste: dai due lati della piazza del Foro partono due scalinate coperte che conducono alla prima e seconda terrazza. Questa terrazza è tutta occupata da un ampio ambiente chiuso, illuminato da un grande arco centrale. Poiché è ben riparato è un gradito luogo di sosta per i viaggiatori. I sacerdoti lasciano che i pellegrini che non possono permettersi un alloggio a pagamento passino qui la notte, al coperto e al sicuro. A Seconda terrazza. Accoglie una serie di vasche di acqua purissima utilizzata dai pellegrini e visitatori per compiere le necessarie operazioni di purificazione prima di accedere all’oracolo. A Terza terrazza. Area accessibile solo al personale del santuario, contiene stanze di varie dimensioni adibite a uffici, magazzini, alloggi per il personale non religioso. A Quarta terrazza. È il cuore del santuario poiché qui si trova l’oracolo. È aperta verso il fianco della collina con un porticato ornato da colonne ioniche, i soffitti sono decorati da cassettoni dorati, lungo i muri si aprono nicchie con statue e opere d’arte. Al centro si trova il recinto sacro dove si conservano le sortes, a cui vengono ammessi uno alla volta i postulanti che richiedono una predizione. A Quinta terrazza. Anche questa decorata con magnificenza, è aperta su un colonnato centrale che corre anche sui lati. Simile più a un palazzo reale che a un luogo religioso, l’intera area è destinata a riunioni ufficiali, cerimonie speciali. È qui che viene ospitato l’Imperatore quando si reca a rendere omaggio a Fortuna e a consultare le sortes. A Sesta terrazza. Il luogo più sacro del santuario, il monumentale tempio della dea Fortuna. È un ampio porticato a ferro di cavallo al centro del quale è collocata un’enorme nicchia che accoglie la statua della dea Fortuna con in braccio Giove e Giunone infanti. Sul retro della nicchia una porticina ben dissimulata dà accesso a una serie di corridoi nascosti, scavati direttamente nella roccia, che consente ai sacerdoti e agli inservienti di andare e venire nel complesso senza essere visti. Ã LE SORTES PRAENESTINAE Il santuario di Praeneste è famoso per essere sede di un oracolo che non comunica per bocca di un veggente ma attraverso le sortes, frasi profetiche inscritte su tavolette di legno consunte e espresse in una lingua molto antica. Il responso è difficile da leggere e interpretare ed è necessario affidarsi da uno speciale gruppo di sacerdoti che risiede nel santuario. Chiunque desideri interrogare l’oracolo di Fortuna deve sottoporsi alla procedura di purificazione nella seconda terrazza e versare un obolo di offerta, il cui valore è stabilito sulla base delle disponibilità del postulante. Viene quindi ammesso nel recinto sacro della quarta terrazza che custodisce l’Arca Praenestina, un forziere di legno di ulivo sacro in cui sono contenute le sortes. Il postulante scrive la domanda su un sottile foglio di papiro, poi lo brucia su una fiammella consacrata. Apre quindi il forziere con le proprie mani ma non deve toccare le sortes. Queste sono estratte da un bambino che rappresenta Giove nella sua infanzia e viene chiamato Iupiter Puer o Iupiter Arcanus, cioè “Giove custode dell’arca”. Il bambino consegna poi le sortes ai sacerdoti che le interpretano.
89 ARCANA SATURNIAE TELLURIS SANTUARIO DELLA FORTUNA PRIMIGENIA TABELLA DEGLI INCONTRI Tirare 1d10 ogni volta che lo si ritiene rilevante. Tiro 1d10 Evento 1 Acqua miracolosa. Una donna abbigliata come una sacerdotessa si fa largo con discrezione tra la folla dei pellegrini in attesa vendendo delle bottigliette di terracotta per un prezzo piuttosto elevato. Sostiene sia acqua magica proveniente da una sorgente segreta del santuario: chi la beve può esprimere qualunque desiderio e la Fortuna lo esaudirà. In realtà la donna non è una sacerdotessa ma un'astuta truffatrice e l'acqua proviene delle vasche di purificazione del santuario: buona e fresca, ma niente affatto magica. E soprattutto, gratuita per tutti! 2 Solenne processione. Un affollato corteo si forma nella piazza principale della città e si dirige verso il santuario. È composto principalmente da donne, molte delle quali sono madri di bambini che non godono di buona salute. È una triste processione: fra le donne, provenienti dai villaggi di tutta la regione, si possono infatti notare bambini con malformazioni, deformità o gravemente ammalati. 3 Cerco l’uomo. Un gruppo di giovani donne non particolarmente affascinanti, ma pronte allo scherzo e ai doppi sensi, è diretto al santuario per favorire la ricerca di marito. Nonostante il loro scopo principale, possono essere facilmente convinte a brevi quanto intense avventure, quindi anche meno impegnative; non così le loro famiglie, che potrebbero creare non pochi problemi. 4 Madre piangente. I personaggi incrociano una donna disperata per le disgrazie che si sono abbattute sulla sua famiglia. Il marito è stato orribilmente ucciso in un bosco appena fuori da Praeneste, due notti orsono, e il figlio di quattro anni a seguito del padre, pur risparmiato dall’assassino, si comporta da allora in maniera innaturale: urla sguaiatamente, si lacera le vesti, graffia e morde. La donna spera di ricevere aiuto e consiglio dalla dea Fortuna. In realtà, il marito è stato ucciso da un Versipellis, che ha contagiato della sua maledizione il bambino; per salvarlo, occorrerà eliminare il pericoloso licantropo e sottoporre il bimbo a riti di purificazione. 5 La povera ragazza. Placidia, donna molto giovane e palesemente in attesa, è accompagnata al santuario dai genitori e dalla sorella maggiore che la trattano duramente. Il padre, a un certo punto, inizia a inveire contro di lei minacciando di percuoterla. I Custodes possono intervenire se credono. Se riescono a convincere la famiglia a raccontare la sua storia, la ragazza dice di essere stata visitata da un Incubo contro la sua volontà e di esserne rimasta incinta. I genitori sono scettici, ma nel dubbio sono qui per invocare la protezione divina su di lei. In realtà, il figlio che attende è di un garzone di fornaio: i due si frequentavano di nascosto. Poiché lui era assai inviso alla famiglia della giovane, lei ha inventato la bugia dell’Incubo. 6 Pozione fortunata. Una vecchia si aggira tra i pellegrini offrendo sacchettini di erbe dall'odore pungente. Sostiene che le tisane ottenute con queste erbe rendono le persone fortunate. La cosa è vera e falsa allo stesso tempo: le erbe allentano lo stress favorendo la fiducia in se stessi. Le persone che bevono, quindi, hanno maggiori probabilità di riuscire in ciò che fanno, non essendo preoccupate dall'idea di un fallimento. E questo sembra un colpo di fortuna! 7 Il sacerdote anziano. Un sacerdote molto in là con gli anni è stato assegnato ad assistere un alto personaggio che alloggia negli appartamenti di lusso della quinta terrazza. Il nobiluomo non intende mescolarsi alla folla per la purificazione e ha ordinato al vecchio di portare nel suo alloggio due secchi d'acqua dalla seconda terrazza. Il sacerdote non ce la fa a trasportare tanto peso per così tanti gradini. Sarebbe proprio grato a chiunque lo aiutasse...
90 ARCANA SATURNIAE TELLURIS 8 Il bambino sacro. All’interno del santuario, il bambino preposto all’estrazione delle sortes volge il suo sguardo verso il Custos con la più alta Sensibilitas. Se il personaggio si avvicina, il bambino estrarrà da una cassettina fatta con legno di un olivo sacro che trasuda miele, una tavoletta. Su di essa è scritta una profezia che sembra adattarsi perfettamente a ciò che i Custodes stanno facendo o si accingono a fare (il preciso contenuto è a discrezione del Demiurgo). 9 Latte divino. Se i Custodes si avvicinano alla monumentale statua della Fortuna, che raffigura la dea mentre allatta i neonati Giove e Giunone, con un tiro di Sensibilitas (SD 6) si accorgono che dal seno della divinità stillano alcune gocce di latte. Se i personaggi raccolgono il liquido senza farsi notare, lo potranno utilizzare in seguito: il latte, una volta ingerito (il suo gusto è squisito), consente di recuperare 1d3 Pietas. Se invece non agiscono in fretta e con discrezione, anche altri si accorgeranno del miracolo: nel volgere di poche ore il santuario si affollerà di ogni genere di persone e ciarlatani, e la sua fama raggiungerà ogni angolo del suolo italico. 10 Il dono. Un Custos nota una donna appartata, che tiene in mano delle splendide rose. Se avvicinata, la donna non dirà neppure una parola, limitandosi a donare ai presenti una delle sue rose, e a sparire misteriosamente subito dopo. La rosa, se tenuta in mano durante un rituale di Divinazione, abbassa di un livello la difficoltà; il potere svanisce nel momento in cui la rosa appassisce. GIOVE APPENNINO, PADRE DELLE VETTE Sulla via Flaminia a 135 miglia da Roma, nel punto in cui la strada scavalca gli Apennini Montes, sorge un antico santuario dedicato a Giove "padre delle vette", Giove Appennino o Pennino. Il luogo non è troppo lontano dalla città di Iguvium, ma l'asprezza del percorso montano rende il santuario piuttosto remoto. L'area comunque non è inospitale per viaggiatori e pellegrini: proprio accanto al santuario sorge anche una stazione di posta che offre ristoro e riposo. La stazione è sotto il controllo delle nostre truppe per vari motivi, palesi e nascosti. La regione da tutti conosciuta è che questo è un valico montano importante perché la Flaminia congiunge le due sponde d'Italia e dev'essere sempre percorribile da viaggiatori e convogli militari. Un motivo meno pubblicizzato è quello della necessità di tenere sotto controllo un'anormale presenza di lupi. Si dice addirittura che in queste zone dimorino dei lupi particolari, più pericolosi di quelli normali e in qualche modo "soprannaturali" (vedere pag. 198). Il santuario è costituito da un unico edificio templare piuttosto piccolo e con un aspetto severo e quasi fortificato, come si addice a un'area montana. È circondato da un recinto di pietra e legno, illuminato da fiaccole giorno e notte. Le luci guidano il pellegrino o il viaggiatore verso il santuario e il passo montano sia nell'oscurità della notte che nella tempesta, e tengono lontani i lupi. Poiché qui nevica molto, all'interno del recinto si trova anche un edificio che offre un alloggio di fortuna e un po' di calore a coloro che vengono sopresi dalle intemperie o dalle bestie selvagge. Ã LA TRIADE GRABOVIA Il santuario sorge in una zona che fu abitata da popolazioni antichissime. Si dice che qui il primo luogo di culto sia stato fondato addirittura dagli Aborigeni, che costruirono tre altari dedicati a una misteriosa triade divina di cui si è persa notizia. Solo in alcuni documenti molto rovinati conservati dagli Auguri si è potuto rintracciare il nome degli dèi Grabovi, ma nessun dettaglio. Due di queste divinità con il tempo vennero assimilate a dèi più noti, prendendo quindi il nome di Giove Grabovio e Marte Grabovio. Del terzo dio, Vofione Grabovio, non si sa più nulla. I tre altari in ogni caso sopravvivono ancora all’interno del recinto del santuario e sono spesso onorati da sacrifici e fuochi rituali. I sacerdoti e i pastori della zona non vogliono offendere gli antichi dèi, anche se non ne conoscono più il nome. Ã LE SORTES PENNINAE Il santuario, benché remoto, ha una discreta fama dovuta alla qualità delle profezie che vi si possono ottenere, dette Sortes Penninae. Proprio qui si recò il divino Aureliano per chiedere se fosse opportuno dedicare una statua al dio Sole nella città di Roma e altri imperatori hanno seguito il suo esempio, pregando Giove Appennino. L’oracolo è emesso attraverso il tuono di Giove. All’interno del tempio, infatti, esiste una stanza di roccia naturale in cui risuona il rimbombo di un tuono benevolo che non viene mai seguito da una saetta. Giove infatti in questo luogo trattiene la sua potenza e fa sentire solo la sua voce tonante. Il postulante si inginocchia davanti a una fessura nella roccia e pone la domanda: il dio risponderà con un tuono. Nel corso dei secoli alcune predizioni sono state messe per iscritto su tavole di bronzo e sono conservate a Iguvium. Vengono consultate dai magistrati cittadini per le questioni relative alla sicurezza della città e delle terre circostanti.
91 ARCANA SATURNIAE TELLURIS SANTUARIO DI GIOVE APPENNINO – TABELLA DEGLI INCONTRI Tirare 1d10 ogni volta che lo si ritiene rilevante. Tiro 1d10 Evento 1-3 Brutto tempo. Il tempo in montagna cambia rapidamente! In un attimo il gruppo è avvolto da una tempesta di pioggia e grandine (o neve secondo la stagione), a meno che non si superi un tiro di De Natura (SD 3, 6 o 9 a seconda che il risultato del tiro su questa tabella sia 1, 2 o 3, rispettivamente). 4 La minaccia tra i monti. Un pastore stravolto giunge al tempio, invocando l’aiuto dei sacerdoti. Il suo gregge è stato messo in fuga e in parte sterminato da una Chimera di Arretium (vedere pag. 201) spuntata dalle selve. Il mostro si aggira ancora nei pressi della sua capanna. I sacerdoti a loro volta chiedono aiuto ai Custodes, le persone che nei pressi sembrano maggiormente in grado di risolvere il problema. 5 Al lupo, al lupo! I Custodes sentono un grido disperato provenire dal bosco nei pressi del santuario: “Al lupo, al lupo!”. Se accorrono, il grido si allontana fra gli alberi. Un tiro di Sensibilitas (SD 9), se fallito da ripetere più avanti durante l’inseguimento, permette a un Custos di scorgere una Pica (vedere pag. 198): è lei che grida e accortasi di essere vista vola via, emettendo una sorta di risata beffarda. 6 Il gregge fatato. Un pastore transita nei pressi con un gregge di una bellezza mai vista. Un tiro di De Natura (SD 6) permette di accorgersi dell’anormalità: tutte le pecore sono sanissime e pulitissime, hanno una lana soffice e quasi luminosa, esibiscono mammelle sempre gonfie di latte. Il pastore, persona rozza e volgare, non si rende nemmeno conto della sua grande fortuna. Essa è in realtà dovuta al luogo particolare ove egli si reca a far abbeverare gli animali, su un lato piuttosto impervio di una vicina montagna. Si tratta infatti di una fonte incantata e gli umani che ne bevono subiscono gli effetti indicati nella Tabella delle fonti magiche (vedere pag. 108). 7 I pastori in processione. Un silenzioso corteo di pastori e abitanti del posto giunge al santuario recando una enorme pelle di lupo. Viene a portarla in dono per ringraziare di essere riusciti a uccidere la bestia, che da tempo infestava la zona menando strage di uomini e bestiame. Con loro c’è un uomo più robusto e scuro, vestito e armato da guerriero: è un Cacciatore Lucano (vedere pag. 105), che da un paio d’anni vive nella zona e si è messo al servizio delle comunità locali. 8 La medaglietta del fedele. I Custodes notano per terra un laccio cui è appesa una medaglietta d’argento scurito dal tempo. Raffigura una lupa e un’aquila su un lato, una nube con fulmini sull’altro. Se investigano subito per restituirlo al proprietario, scoprono che è di un anziano che li ringrazia calorosamente. Qualora se lo tenessero e se lo portassero dietro, chi lo ha con sé è offuscato da questa mala azione: in sua presenza, ogni rituale di Divinazione è aumentato di un livello di difficoltà fino a quando il medaglione viene restituito al proprietario oppure offerto in dono a Giove presso un tempio a lui dedicato. 9 I mercanti di sale. I Custodes possono sentire due mercanti che parlottano dei loro acquisti mentre attendono il loro turno di interrogare l’oracolo. Hanno comprato da un veterano incontrato nel porto di Ancona, da cui stanno tornando verso Roma, un’antica spada orientale. Il soldato sosteneva che fosse appartenuta al re dei Daci e che sia dotata di poteri magici. Vogliono sapere dall’oracolo se lo sia davvero. Non è così, ma si tratta comunque di una spada di straordinaria fattura (si considera una Ensis con Danno 10 anziché 8; la Difficoltà rimane uguale), anche se non era di un monarca ma di un famoso generale. I due mercanti se ne vorranno separare solo in cambio di molto denaro o di qualcosa che abbia un grande valore venale. 10 L’aquila sacra. Un’aquila completamente candida scende con ampi cerchi verso il tempio. Tutti la guardano con reverenza. Afferra un oggetto caro a uno dei Custodes e se lo porta via. L’aquila è sacra a Giove: il Custos può cercare di riafferrare l’oggetto e strapparlo all’aquila, con un tiro di Coordinatio o De Corpore (SD 9), ma fare in qualunque modo male all’animale è un sacrilegio che gli fa immediatamente perdere il favore del suo dio.
92 ARCANA SATURNIAE TELLURIS HERA ARGIVA AL FIUME SILARUS Citerò adesso un santuario scomparso ma ugualmente di grande importanza. Si tratta di un'area sacra dedicata alla dea greca Hera, la nostra Giunone, da cui il nome "Heraion" spesso attribuito al tempio. Le leggende ne fanno risalire la fondazione all'eroe greco Giasone, che si sarebbe fermato sulle coste italiche nel viaggio di ritorno della spedizione per rintracciare il Vello d'Oro. Poiché l'impresa fu compiuta navigando sulla nave Argo, la dea a cui fu dedicato il santuario fu anche detta "Hera Argiva". Se questa sia solo una leggenda non si sa: certo è che il tempio ha origini greche, come il suo nome testimonia. Il santuario in origine sorgeva nel punto in cui il fiume Silarus sfocia nel mare, circa cinquanta stadii a nord dell'odierna Paestum. Prima di Roma questo fu un importante punto di confine tra le regioni di influenza etrusca, a nord del fiume e greca a sud di esso. La presenza della dea impediva che vi fossero scontri tra le due popolazioni, mentre la salubrità del luogo incoraggiava tutti a godere della bellezza del territorio anziché a distruggerlo con la guerra. Il santuario dominava terra, mare e fiume. Ã IL LABIRINTO D’ACQUA Purtroppo la posizione dell’area sacra, ideale dal punto di vista politico, si rivelò assai infelice da quello pratico. Il particolare gioco di correnti del mare e i detriti portati dal fiume Silarus fecero avanzare la linea di costa, riempiendo di paludi le nuove terre tra il santuario e il mare. Si tentò di attenuare il problema scavando dei canali di drenaggio, ma il luogo fu colpito da molte altre avversità: fu danneggiato dalle scorrerie dei pirati di Cilicia, poi gravemente deteriorato da un terremoto nel 810 aUc. Il colpo di grazia fu dato dall’eruzione del Monte Vesuvius. Le sue ceneri seppellirono per sempre il tempio e le strutture attorno ad esso. Il luogo venne abbandonato, dimenticato nel folto delle nebbie e degli acquitrini. Oggi quasi nessuno sa raggiungere il santuario. L’intera zona è diventata un vero labirinto d’acqua che è difficile attraversare. Impossibile andare a cavallo, a meno di non volere sacrificare le povere bestie: il fango le fa sprofondare e spesso nel tentativo di strapparle alle sabbie si finisce per spezzare le sottili zampe. Difficile anche andare a piedi: prima o poi si finisce per sprofondare in qualche buca piena di fango risucchiante. È un po’ meno difficoltoso andare in barca: le popolazioni locali usano delle imbarcazioni dal fondo molto piatto sospinte da pali anziché remi. Tuttavia, anche avendo una barca resta il problema dell’orientamento. Gli abitanti del luogo non si prestano a fare da guide: sostengono che la zona è infestata e dicono di sentire suoni di cimbali e altri strumenti sacri diffondersi nella nebbia, oppure di udire le voci di coloro che hanno sfidato il silenzio della dea e sono morti gridando. LA LEGGENDA DEL VELLO D’ORO Il “vello d’oro” altro non è che la pelliccia di un favoloso ariete dorato di nome Chrysomallo. Questi fu inviato dalla ninfa Nefele a salvare i suoi figli Phrixus e Helle che stavano per essere uccisi dalla nuova moglie del padre. L’ariete Chrysomallo poteva volare e comprendeva il linguaggio degli uomini. Su ordine di Nefele portò, dunque, i due fanciulli in volo verso la Colchide, all’estremità più lontana del Pontus Euxinus. Durante il volo, ahimè, Helle cadde in mare, nel tratto che da lei si chiamò poi Hellesponto. Phrixus invece raggiunse la Colchide, su cui regnava Eeta, fratello della maga Circe, padre della maga Medea e mago a sua volta. Su istruzioni dello stesso Chrysomallo, Phrixus sacrificò l’ariete a Giove e donò la sua pelle al re Eeta. Giove trasformò Chrysomallo in una costellazione. Il re legò la pelliccia dorata a un albero consacrato a Marte e la fece custodire da un drago. La pelliccia era infatti molto preziosa, poiché aveva il potere di curare qualsiasi malattia. Anni dopo, l’eroe greco Giasone si lanciò in un’impresa rimasta leggendaria e cercò di impadronirsi del vello d’oro. Si imbarcò su una nave di nome Argo con alcuni compagni, che da allora furono detti Argonauti, “i marinai della Argo”. Con molte peripezie giunsero nella Colchide e strapparono al re Eeta la preziosa pelliccia. In realtà, Giasone riuscì nell’impresa solo perché la figlia del re, la maga Medea, si innamorò di lui e lo aiutò con le sue arti magiche. In cambio dell’aiuto egli la sposò e la portò via con sé. Il viaggio di ritorno fu ancora più difficile dell’andata: la nave toccò innumerevoli approdi e luoghi remoti, sospinta da dèi ostili. Secondo alcuni si fermò anche sulla costa italica dove Giasone fondò il tempio di Hera Argiva per cercare il favore di questa dea. Solo l’aiuto di Medea consentì all’eroe di tornare a Corinto. Ma questa unione fu sfortunata e portò solo sciagure. Tornato a casa, Giasone ripudiò Medea per una nuova sposa. Medea la avvelenò; poi la maga uccise i suoi stessi figli, concepiti con Giasone, e fuggì su un carro volante trainato da draghi inviatole dal padre. Giasone, perseguitato dagli dèi per aver infranto la parola data a Medea, morì solo sul ponte della Argo, ormai ridotta a relitto.
93 ARCANA SATURNIAE TELLURIS SANTUARIO DI HERA ARGIVA – TABELLA DEGLI INCONTRI Tirare 1d10 ogni volta che lo si ritiene rilevante. Tiro 1d10 Evento 1 Le sabbie mobili. Il Custos con il De Natura più basso (sorteggiare in caso di parità) rimane intrappolato nelle sabbie mobili. Per liberarsi deve riuscire in un tiro di De Corpore o Vigor (SD 9); finché non ce la fa, ogni fallimento comporta 1d3 danni (l’armatura non protegge). Chi vuole può aiutarlo, abbassando così la difficoltà del tiro di Vigor della vittima a 6 se c’è un aiutante e a 3 se ce n’è più di uno, ma deve poi riuscire in un tiro di Coordinatio o De Corpore (SD 6) o si ritrova intrappolato a sua volta. 2 Il viandante sfortunato. Uno scheletro al suolo indossa i resti di una corta tunica e una cintura, cui è ancora appeso un sacchetto con qualche moneta. Poco più in là giace un cofanetto di legno grosso poco più di un palmo: se aperto, rivela al suo interno un grosso ragno che vi ha fatto il nido, oltre ai resti di una qualche erba o spezia ormai svaporata da tempo. 3 Una fermata all’edicola. I Custodes notano fra i cespugli un’edicola sacra con una nicchia vuota. Se si soffermano a guardare meglio, notano anche una statuetta della dea Hera riversa a terra e sporca di fango. Se la puliscono e la rimettono al suo posto, la dea li benedice: possono immediatamente effettuare un tiro di De Magia per recuperare Pietas (SD 3 anziché 6). 4 La fanciulla misteriosa. Una meravigliosa ragazza dalla tunica cortissima appare fra i cespugli per svanire subito dopo. Se i Custodes sono stati rispettosi della natura non succede nulla, almeno per il momento, ma ella potrebbe riapparire successivamente in caso di comportamenti vandalici. Se invece hanno già danneggiato alberi o piante, o comunque non sono stati rispettosi dell’ambiente, la ninfa (perché di essa si tratta) farà in modo di farsi seguire dai Custodes e li attirerà fra sabbie mobili dove tutti coloro che non riusciranno in un tiro di De Natura o Sensibilitas (SD 9) rimarranno intrappolati (per gli effetti vedere più sopra al risultato 1 - Le sabbie mobili). 5 Uno strano incontro. Su un albero di mele selvatiche in mezzo alle paludi siede un vecchio canuto, capelli e barba lunghi e ispidi, la tunica ridotta in stracci. Vive da anni in eremitaggio, nutrendosi di frutta, bacche, funghi, lumache. La sua mente è del tutto svanita, ma a volte si lascia abitare da entità sovrannaturali. Se i Custodes non lo spaventano ma lo trattano bene, può farfugliare qualche commento profetico su ciò che essi stanno facendo o si accingono a fare (il contenuto preciso è lasciato al Demiurgo). Ma non sa lui stesso il senso delle cose che dice. Ã IL PEPLO SACRO DELLA DEA Tuttavia qualcuno che desidera raggiungere l’antico santuario c’è sempre (e di solito non finisce bene!). Si dice, infatti, che in questo luogo si producessero un tempo stoffe speciali, intrise di qualità magiche derivate nientemeno che dal Vello d’Oro. Si crede che quando Giasone fondò il tempio donò alle prime sacerdotesse un pezzetto della magica pelliccia. Esse ne trassero alcuni peli da intrecciare nella stoffa con cui realizzarono la veste della statua. Da allora, tutte le vesti rituali dedicate alla dea avrebbero contenuto una minuscola quantità di pelliccia magica. Queste stoffe, identificabili da un lieve riflesso dorato nella penombra, sarebbero ancora conservate nei locali sotterranei del tempio di Hera. Non vi sono prove che ciò sia vero. È certo però che finché il santuario era in attività, la dea veniva festeggiata ogni anno con l’offerta di un nuovo abito, un peplo alla greca, realizzato con arti speciali dalle sacerdotesse del tempio. L’offerta del peplo e la vestizione della statua erano l’occasione per un’allegra processione a cui partecipava tutta la popolazione tra canti e lanci di petali di fiori. Il peplo dell’anno precedente non veniva gettato ma devotamente conservato, quindi il tesoro del santuario a lungo andare si trovò a possedere centinaia di questi sacri indumenti. Di essi, magici o no, non si sa più nulla.
94 ARCANA SATURNIAE TELLURIS 6 L’acqua magica. Un tiro di Sensibilitas (SD 6) permette di accorgersi che una piccola sorgente che sgorga fra i sassi esce in realtà da una cannula di rame splendente come nuova. Nelle piccole rocce ai lati si possono scorgere minuti bassorilievi di fanciulle danzanti, sotto i cui piedi il muschio forma come un prato. È una fonte incantata e chi ne beve subisce gli effetti indicati nella Tabella delle fonti magiche (vedere pag. 108). 7 La creatura delle paludi. I Custodes vedono emergere dalle acque paludose, a pochi passi da loro, un enorme rospo di colore bruno che emette un gracidio orribile e lancia la lingua nell'aria per acchiappare gli insetti volanti. Corpo e zampe restano in acqua, ma potrebbe essere lungo quasi quanto un uomo adulto. In realtà, la creatura è del tutto innocua: se non molestata, rotea gli occhi all’intorno e dopo breve tempo si immerge per sparire. Se attaccata, muore al primo colpo andato a segno esplodendo in tanti pezzi maleodoranti. 8 Sussurri nell’ombra. I Custodes sentono voci sussurrate fra i cespugli che suggeriscono di fermarsi e rispettare il luogo, che è sacro. Se ci sono donne, dopo un poco si ode anche una musica ammaliatrice. Fra i cespugli si nasconde un Fauno, che cerca di ammaliare il gruppo per congiungersi con una delle donne. A un gruppo di soli uomini cercherà invece di giocare qualche scherzo feroce, come restare nascosto e convincerli a bere l’acqua della palude dicendo loro che è magica e dà grande vigore. 9 Il pericolo sotto il calzare. I Custodes quasi calpestano una coppia di vipere (vedere Serpenti velenosi nel Manuale Base), che li attaccano tentando di morderli. 10 Il cervo feroce. Un Cervo insolitamente grande e feroce (DV10) carica i Custodes a cornate, accanendosi su di loro. Un tiro di Sensibilitas (SD 6) consente di scorgere una freccia spezzata sul suo fianco destro, confitta in una ferita quasi cicatrizzata. Un Custos può decidere, anziché combattere, di afferrare il troncone di freccia ed estrarlo (tiro di De Corpore SD 9). Se ci riesce, il cervo bramisce di dolore ma subito si placa. China la testa a terra, come per salutare i Custodes, poi si volta e si allontana con calma, e tutti i Custodes recuperano 1d3 Pietas.
95 ARCANA SATURNIAE TELLURIS LA ROCCA DI CERERE Nel cuore della Sicilia si apre una valle fiorita e fertilissima. Al centro sorge la ridente città di Henna, che il poeta greco Callimaco definì “l’ombelico dell’isola” per posizione e importanza religiosa. Quei luoghi, infatti, furono teatro di un evento fatale. La figlia della dea Cerere, Proserpina, fu rapita dal signore dell’Oltretomba, il dio Plutone, mentre raccoglieva le magnifiche viole di questa piana. Il cuore della Sicilia, infatti, è abbellito non solo da molti fiori ma anche da un magnifico laghetto chiamato Pergo. Questo luogo ispira meraviglia, e a ragione. A parte la bellezza della vegetazione, è incredibile trovare una distesa di acqua purissima in un luogo dove nessun fiume la alimenta. Per la sua forma tondeggiante e la sua posizione è spesso chiamato “l’ombelico della Sicilia”. Ã LA PIETRA DELLA DEA La valle di Henna è dominata da un’alta collina rocciosa, visibile da molte miglia all’intorno. Su di essa fu costruito un primitivo santuario, dove le genti antiche portavano semplici doni a Cerere, collane di fiori, piccole statuine di rame o pietra. In seguito il luogo fu sacro anche a Sicani, Siculi e infine ai Siracusani. Il santuario fu anzi allargato fino a comprendere tutta la sommità della collina. La sommità della roccia fu considerata sacra come fosse la statua di culto della dea. Ciò non è inconsueto. Molti popoli adorano la Grande Madre sotto forma di steli di pietra prive di fattezze umane: non vogliono sfidare l’immensa potenza naturale della dea confinandola nella forma di una donna umana. Anche a Roma, la grande madre Cybele è raffigurata da una pietra nera. Si dice che la pietra di Henna conceda oracoli. Questi vengono consegnati dalla dea direttamente nella mente del postulante, senza mediazione dei sacerdoti. Questo è sia un bene che un male: da un lato chiunque può chiedere liberamente quello che vuole, ma dall’altro non sempre è facile comprendere i messaggi degli dèi senza adeguata preparazione. Per favorire la comprensione, i sacerdoti offrono, dietro compenso, ai postulanti il ciceone, una speciale pozione fatta con l’orzo sacro alla dea. Ã IL RITO DELL’ORZO La pozione di orzo preparata in questo santuario è simile a quella in uso ad Eleusi per la celebrazione dei Misteri Eleusini. Com’è intuibile, ogni santuario la prepara in modo leggermente diverso. Quella di Henna è a base di farina di orzo, acqua e menta. A questa preparazione base si aggiungono erbe segrete che facilitano l’estasi sacra e aprono la mente alla dea. Chi beve questa pozione interpreta più facilmente le predizioni che la dea manda a chi la interroga. Aiuta infatti a rilassarsi e a eliminare tutti quei pensieri negativi che possono costituire un ostacolo alla presenza della dea nella nostra mente. Chi si reca alla Rocca di Cerere per un oracolo, dunque, deve digiunare per un giorno intero. Quindi i sacerdoti gli porgono una speciale ciotola piena di questa bevanda, aspettano che egli beva e lo lasciano solo accanto alla pietra sacra. Il postulante, quindi, deve attendere che la dea conceda l’oracolo, cosa che può anche avvenire alcune ore dopo. IL DONO DELLA SPIGA DI GRANO La Sicilia fu il primo luogo al mondo, se si deve credere alle leggende, a ricevere il dono della spiga di grano. Gliela donò la dea Cerere, grata a questa terra per l’aiuto che la sua gente le diede nella ricerca della figlia perduta, la dolce Proserpina. La Sicilia era già benedetta da fiori e piante di mille colori e dolci profumi. Qui danzava spesso Proserpina all’alba del mondo. Plutone l’aveva vista volteggiare tra la moltitudine di fiori e erbe rigogliose e era infine caduto innamorato dalla sua bellezza. La scelse quindi come regina del suo regno, ma temette che se avesse chiesto alla madre il permesso di sposare la fanciulla avrebbe ottenuto un rifiuto. Quale madre vorrebbe veder rinchiusa la propria figlia, anche se regina, nei reami dell’oscurità? Rapì quindi Proserpina per mostrarle il suo futuro reame e convincerla al matrimonio. Cerere però, sconvolta dalla sparizione della figlia, cominciò una ricerca affannosa che durò nove giorni durante i quali la dea trascurò i suoi doveri di custode della natura e della terra. Pianse e si disperò, e fu confortata solo dalle genti sicule che di notte accesero mille fiaccole per aiutarla nella sua ricerca e di giorno la confortarono con canti popolari. In quei giorni nulla crebbe, nulla fiorì, nulla maturò. Il decimo giorno Giove, spaventato all’idea che questa situazione si protraesse e determinasse la fine del genere umano, rivelò a Cerere dove fosse la figlia e la dea pretese che Plutone la restituisse. Giove intimò dunque a Plutone di riportare Proserpina a sua madre. Purtroppo, nei pochi giorni di permanenza, Proserpina aveva accettato da Plutone il dono di una melagrana, e ne aveva mangiati tre chicchi. Mangiare un cibo dell’Oltretomba vincola a rimanerci per sempre, dunque tecnicamente Proserpina non avrebbe più potuto tornare da sua madre. Ma Giove, per salvare il genere umano, impose a suo fratello Plutone di scendere a un compromesso con Cerere: Proserpina avrebbe passato sei mesi in superficie con la madre e sei nell’Oltretomba con il marito. Nei mesi in cui Proserpina resta con il marito la terra si secca e si addormenta nel freddo dell’inverno. Quando torna dalla madre la terra fiorisce e matura. E le spighe di grano, dono di Cerere, crescono e incoronano la terra di Sicilia.
96 ARCANA SATURNIAE TELLURIS Ã IL FIORE DI PROSERPINA La piana di Henna è celebre per i fiori. Sono tutti magnifici per colore e profumo ma uno in particolare è caro a Proserpina. Si tratta dell’asfodelo, il fiore che cresce anche nell’Oltretomba. Si dice che fu la dea stessa a introdurre l’asfodelo nel regno di Plutone dopo averlo sposato. Ella, triste perché nei sei mesi che trascorreva con il marito nell’Aldilà era privata dei fiori che tanto amava, chiese a sua madre Cerere di regalarle un fiore che potesse crescere anche nel reame dei morti. Solo l’asfodelo attecchì, e anzi si estese così tanto da caratterizzare una delle tre regioni dell’Oltretomba. Il regno dei morti è infatti diviso in: Tartaro, luogo d’orrori dove sono incatenati gli empi; i Campi Elisi, luogo luminoso riservato ai buoni e le Pianure di Asfodelo, dove dimorano coloro che non sono stati veramente né cattivi né buoni. L’asfodelo di Henna ha, come i papaveri, la capacità di indurre il sonno e dare l’oblio. Ma mentre il papavero normale produce l’essenza soporifera da un succo che deve essere spremuto dal fiore, l’asfodelo di questa terra veicola lo stesso effetto con il profumo. Normalmente, la quantità di queste piante che crescono spontaneamente non è tale da poter addormentare chi attraversi un prato in fiore. I cani però, a causa dell’odorato più sensibile, ne sono molto disturbati e tendono a evitare di attraversare i campi nell’epoca della fioritura. Si è anche registrato qualche caso di pastorelli che la sera non sono tornati a casa perché profondamente addormentati mentre pascolavano le pecore in campi fioriti. Per lo stesso motivo, le ragazze del luogo stanno molto attente a non accettare proposte di passeggiata in campi fioriti con giovanotti di cui non si fidino completamente, per non fare la stessa fine di Proserpina. Chi sa lavorare le piante ricava da questi asfodeli un leggero sedativo e un blando anestetico, una versione attenuata dell’oppio. Se non troppo concentrata è una pozione utile, e infatti i medici locali la usano liberamente. Purtroppo i malintenzionati, per rafforzarla, la mescolano con altre sostanze che la rendono pericolosa. Gli asfodeli di Henna vengono generalmente estirpati appena fioriscono, sia per evitare che finiscano nel foraggio per gli animali che per evitare che qualcuno ne raccolga tanti da poterli usare per scopi poco onesti. Le forze dell’ordine cercano anche di prevenire il rischio che qualche fuggitivo usi i campi per sfuggire agli inseguimenti con i cani. Purtroppo i divieti sono spesso aggirati, quindi non è inconsueto che nell’epoca della fioritura parecchia gente vaghi per i campi di notte per raccogliere più fiori possibili prima dell’estirpazione. INTERPRETARE LE PROFEZIE CON L’AIUTO DEL CICEONE Bere il ciceone richiede una certa abilità. Poiché contiene ingredienti di varia natura, è una preparazione instabile. Soprattutto la presenza della farina di orzo rende complicato bere tutta la quantità prescritta per il rito. La farina, infatti, è più pesante dell’acqua e non è solubile. Tende quindi a precipitare sul fondo della ciotola. Per poterla bere occorre tenere la farina sempre in sospensione nell’acqua. Ciò si ottiene solitamente facendo roteare la ciotola in cui il ciceone è contenuto. Una volta che il liquido ha acquisito una buona rotazione, si è formato un mulinello e tutta la farina è in sospensione, bisogna buttar giù piuttosto in fretta tutta la pozione, senza che neppure una goccia sfugga dal recipiente o dalle labbra. Solo se tutta la dose viene inghiottita si potrà essere sicuri di ricevere una predizione dalla dea Cerere. In termini di gioco, bere correttamente il ciceone permette di abbassare di 1 livello la difficoltà del tiro di De Magia nel successivo rituale di Divinazione. ROCCA DI CERERE – TABELLA DEGLI INCONTRI Tirare 1d10 ogni volta che lo si ritiene rilevante. Tiro 1d10 Evento 1 Quel mazzolin di fiori. Una bambina vende per poche monete mazzolini di asfodeli (vedi riquadro), dicendo che il loro meraviglioso profumo dona la calma e concilia il sonno. Effettivamente hanno questo effetto. Se allettata o incalzata, può rivelare il suo segreto: ha scoperto una valletta ai piedi di un monte lì vicino dove ne crescono parecchi. È lì che si rifornisce. Nessuno le ha ancora detto che è vietato. 2 Un tuono a ciel sereno. Senza avvisaglie di temporale o altro, un tuono fa tremare l’aria. Il fenomeno è del tutto naturale ed è dovuto a un piccolo crollo sotterraneo in una vicina grotta, ma desta seria preoccupazione in molti dei presenti.