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Published by goroiamanuci, 2023-02-21 10:13:57

Lex Arcana - Italia

Lex Arcana - Italia

147 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM Ã IASON, SCIENZIATO, ARCHIACUSMATIKÒS (PRIMO ACUSMATICO) Valore: DV8 1 dado: De Magia, Sensibilitas 2 dadi: De Bello, De Corpore, De Natura, De Scientia, Punti Vita, Ratio 3 dadi: De Societate Punti Vita: 16 Mente acuta e spirito brillante, Iason è un giovane uomo di circa trent’anni, nato probabilmente in un’isola dell’Achaia. Di lui si sa pochissimo e pochi possono dire di averne visto il vero volto. Preferisce, infatti, aggirarsi travestito o, come dice lui, rispettosamente abbigliato in modo da non offendere i costumi delle genti nei vari angoli del mondo in cui viaggia. È vero che egli si trova a suo agio ovunque, la sua mente brillante gli consente di imparare facilmente ogni lingua e il suo grande carisma lo rende capace di introdursi con successo in ogni comunità. Sa cavalcare, nuotare, navigare a vela e condurre un carro da corsa. Usa con disinvoltura qualunque arma perché applica all’uso di ogni utensile le leggi della fisica, che conosce nei dettagli più intimi. Raramente resta a Kroton per lungo tempo. Affari di natura imprecisata lo portano sempre lontano. La comunità dei Pitagorici sostiene che egli viaggi tanto per raccogliere ogni briciola di sapienza scientifica di ogni popolo, anche quelli che altri considerano primitivi. In realtà, nessuno lo ha mai visto in nessuno dei luoghi che lui giura di aver visitato, mentre spesso è stato avvistato in regioni molti distanti dalla meta dichiarata. Si dice piaccia molto alle signore grazie alla sua parlantina, il fisico atletico, i begli occhi azzurri. Questi sono l’unico dettaglio conosciuto del suo viso: li ha presi infatti dalla madre, un’autentica bellezza macedone, amante, si dice, di un satrapo persiano vicino alla famiglia imperiale. Iason avrebbe quindi sangue nobile per parte di padre, ma forse si tratta solo di una delle tante storie che egli stesso mette in giro per ammantare la sua persona di fascino e mistero.


148 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM Ã THEANÒ, GUARITRICE, ARCHIATROMANTIKÈ (PRIMA IATROMANTE) Valore: DV8 1 dado: De Bello, De Corpore 2 dadi: De Magia, De Natura, De Scientia, Punti Vita, Ratio, Sensibilitas 3 dadi: De Natura (Erboristeria), De Scientia (Medicina) Punti Vita: 16 Nata a Creta, centro di produzione delle più rinomate erbe curative e sede di una sapientissima associazione di erboristi, si trasferì giovanissima a Crotone per approfondire gli studi con i Pitagorici. Theanò ha circa cinquant’anni, è robusta e ha un aspetto gioviale e allegro. È estremamente empatica nei confronti di qualunque essere vivente, umano, animale, vegetale. I suoi giardini sono un tripudio di fiori, è sempre seguita da un piccolo corteo di animaletti giocosi, galline, cani, uccellini, gatti, persino api. Anche le bestie più selvatiche le mangiano spontaneamente nelle mani e si affezionano a lei. Benché tutti i Pitagorici siano vegetariani,Theanò spinge questo precetto agli estremi e non mangia nulla che abbia origine animale, neppure le uova, e accetta solo il miele che le sue api spontaneamente le offrono. A suo dire, ella vede l’essenza spirituale di tutte le creature viventi e non potrebbe mai spegnere quell’aura per cibarsene. Questa capacità di percepire la distinzione tra spirito e materia le permette di separarsi volontariamente dal suo stesso corpo e di proiettare la sua anima lontano. Questa pratica è diffusa tra i Pitagorici ma pochi possono coprire grandi distanze come Theanò, siano esse temporali (nel passato, nel futuro) o geografiche. È un’esperta guaritrice, poiché assomma alla sua inclinazione personale la grande sapienza degli studi scientifici compiuti presso i Pitagorici. Non vi sono malattie naturali per cui ella non abbia un rimedio e se non sempre riesce a salvare un malato grave, ne allevia sensibilmente le sofferenze e lo accompagna verso una serena partenza.


149 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM Ã ERON, FISICO, ARCHIMECHANIKÒS (PRIMO MECHANICO) Valore: DV8 1 dado: De Bello, De Corpore, Punti Vita, Sensibilitas 2 dadi: De Scientia, De Societate, Ratio 3 dadi: De Scientia (Machinae) Punti Vita: 8 Eron è un giovane fisico nativo di Syracusae. È il più giovane dei Quattro, ancora sulla ventina. È, infatti, un ragazzo prodigio, ammesso tra i Pitagorici quando aveva solo 13 anni. La sua incredibile intelligenza lo aveva portato in principio sulla cattiva strada: ideava piani per truffare inesperti giocatori di dadi o di altri giochi d’azzardo, collaborava con commercianti disonesti per truccare le bilance da peso, maneggiava parecchi soldi in collaborazione con argentarii sleali. Giunto fortunosamente a Kroton per compiere altre truffe, fu smascherato da Myia per conto del governo cittadino e arrestato. Myia però fu colpita da questo ragazzo fuori dal normale e gli offrì un’opportunità di redimersi e dare il giusto nutrimento al suo intelletto. Da quel momento, egli è il più fedele servitore della causa dei Pitagorici e ha per Myia un’autentica venerazione. Eron è ben noto anche ai Pretoriani, per i quali ha, qualche volta, costruito macchine o oggetti di equipaggiamento incredibilmente moderni e dagli effetti sorprendenti. Gli piacciono le sfide intellettuali e pratiche perciò se gli viene richiesta la stravagante modifica di un oggetto o addirittura di crearne uno che ancora non esiste risponde sempre con un ottimistico “Quodlibet!”, cioè “Qualunque cosa desideriate”. Per questo è soprannominato “Q”.


150 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM LA FRATELLANZA ETNÈA Passerò ora a illustrare un argomento che ha dell’incredibile. Sono stato incerto se includerlo in questo rapporto e ho compiuto diverse indagini personali per comprendere se le dicerie che mi erano state riferite avevano anche solo un fondo di verità. Nel dubbio, comunque, preferisco includerlo. Sotto il nome di “Fratellanza Etnèa” si nasconderebbe, infatti, una rete di Giganti, nemici della stirpe umana, che si estenderebbe attraverso più province dell’Impero, riunendoli in una sorta di associazione segreta. L’associazione di chiamerebbe “Fratellanza” perché sarebbe formata da stirpi di Giganti imparentate tra loro, figli o discendenti degli stessi dèi primordiali. L’aggettivo “Etnèa”, invece, sarebbe dovuto al fatto che tale banda si riunirebbe al di sotto del Monte Aetna, da secoli considerato la tana dei Ciclopi. L’associazione avrebbe l’ambizione di riunire un giorno tutta la grande famiglia dei giganti, includendo i Celtici, gli Iperborei, gli Arimaspi della lontana Scythia e chissà quanti altri. Le notizie che andrò a riportare in questo mio scritto, tuttavia, sono circoscritte alla sola provincia d’Italia. Non ho potuto, infatti, viaggiare nei tanti paesi dove si troverebbero tracce di altri giganti per verificare se queste voci sulla Fratellanza Etnèa siano confermate in luoghi lontani. Mi limito, quindi, a tracciare un quadro circoscritto di questa inquietante cospirazione, raccomandando di ampliare l’argomento inviando investigatori in altre località. Ã STIRPE MOSTRUOSA MA DIVINA Gli studiosi ritengono di poter suddividere la razza dei Giganti che risiedono nell’area del Mare Nostrum in varie stirpi imparentate tra loro: A Ciclopi siciliani. Figli del dio del mare Nettuno e della ninfa Toosa, abitarono tutta la Sicilia, concentrandosi soprattutto nella zona attorno all’Aetna. Abiterebbero oggi al di sotto del Monte Aetna e, sotto la direzione del dio Vulcano, eseguirebbero su richiesta vari lavori per gli dèi. Sono, infatti, fabbri abilissimi: avrebbero costruito per Giove i suoi fulmini, il caduceo di Mercurio, le armi di Minerva e di Marte. Non se ne conosce il numero esatto. Il più celebre è Polifemo, primogenito di sette fratelli. A Ciclopi costruttori. Molteplici e indefiniti, probabilmente imparentati con i Ciclopi siciliani, sono coloro che costruirono tutti i monumenti antichi basati su strutture rocciose di enormi proporzioni, come ad esempio le mura di Corinthos in Achaia. A Ekatonchìri (o Centimani). Figli del dio primordiale del cielo Urano e della madre Terra, sono ancora più spaventosi degli altri giganti perché hanno cento braccia. Fortunatamente sarebbero solo tre, Cotto, Briareo e Gige. Furono rinchiusi nel Tartaro sotto la custodia di Kampe, una delle tremende Dracene, creature metà donna e metà drago (vedere pag. 202). Dovrebbero ancora risiedere là: cercarono, infatti, di ribellarsi a Giove che li punì con la reclusione eterna. A Giganti Uranidi. Fratelli degli Ekatonchiri poiché anch’essi figli di Urano e Terra, ma con un numero normale di braccia. Altre tradizioni dicono invece che siano figli della Terra e del Tartaro, il dio primigenio dell’Oltretomba. Non si conosce il numero esatto di questa generazione di mostri. Le fonti riportano i nomi di solo ventiquattro di essi, tra cui: Alcyoneo, il primogenito, che dovrebbe trovarsi rinchiuso sotto il nome Vesuvius; Bronte, che provoca il tuono; Sterope, che forgia il fulmine; Arge, che produce il lampo di luce nel cielo; Encelado, che al posto delle gambe ha due enormi serpenti; Pallante, dalla pelle impenetrabile; Porfirione, il più forte di tutti. Essi furono rinchiusi nel luogo più profondo degli Inferi da Urano stesso per impedire che sfidassero il suo potere, sotto la custodia della Dracena Kampe. Furono poi liberati da Giove che con il loro aiuto si impadronì del trono celeste, ma poi nuovamente rinchiusi. A Lestrigoni. Sarebbero strettamente imparentati con i Ciclopi perché anch’essi discendenti da Nettuno. Sarebbero, infatti, figli di un certo Lestrigone, figlio di Nettuno. Diversamente dai Ciclopi, però, sarebbero dotati di due occhi e avrebbero costumi meno bestiali (vedere pag. 61). Risiederebbero in un luogo nascosto nell’isola di Corsica. Oltre a questi ci sarebbero altre stirpi di giganti diffuse in terre molto lontane. Di questi non ho potuto raccogliere informazioni, perciò mi limito ad elencarli: A Arimaspi. Risiederebbero nella Scythia. Non è chiaro se siano malvagi o di grandezza superiore a quella umana, perciò potrebbero non appartenere a questa Fratellanza di giganti. A Giganti Celtici. Le leggende di Britannia e Hiberia li dipingono come gentili e spesso benevoli con gli uomini. Se ciò fosse vero, anche costoro potrebbero non far parte della Fratellanza Etnea. A Gegeines. Avrebbero sei braccia e sarebbero anch’essi reclusi nel Tartaro. Vista la furia e la malvagità che le leggende attribuiscono loro, sembrerebbero proprio i membri adatti alla Fratellanza. A Giganti Iperborei. Di questi giganti si sa così poco che potrebbero essere anche solo leggende prive di fondamento. Difficile stabilire se genti così remote vorrebbero allearsi con le stirpi più legate al Mare Nostrum.


151 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM Ã LE GALLERIE SOTTERRANEE Secondo le testimonianze di scrittori e autori antichi, i Ciclopi avrebbero costruito una fitta rete di gallerie sotterranee a partire dalle profondità del Monte Aetna. Questa, infatti, sarebbe stata la zona centrale della loro attività di fabbri: avrebbero utilizzato le fiamme che naturalmente scaturivano dalle profondità della terra, forse direttamente dagli Inferi, per alimentare le fucine. Finché essi vagavano liberi e collaboravano con gli dèi avrebbero scavato liberamente per poter spostare le loro officine là dove si trovavano vene di metalli facilmente raggiungibili. Naturalmente, non risiedevano soltanto in queste gallerie. I Ciclopi possedevano tutta la Sicilia e anzi, amavano molto questa terra perché i ricchi pascoli sostentavano le loro greggi senza alcuna fatica. Arrivò un tempo, però, in cui Giove decise di popolare la terra di uomini: la Sicilia è una terra troppo bella e fertile per non insediarvi delle genti capaci di coltivarla e farla fiorire. Così Giove decise di riservare l’isola ai soli esseri umani e intimò ai Ciclopi di andarsene. I Ciclopi, com’è intuibile, non si vollero piegare agli ordini di Giove e pertanto furono rinchiusi nelle viscere del vulcano. Alcuni, forse perché pastori, furono confinati in poche isole sconosciute agli uomini per potervi allevare le proprie greggi. Tra questi, Polifemo. I Lestrigoni vennero confinati nell’isola di Sardinia, ma poco dopo dovettero lasciarla per la Corsica. La scelta di Giove non fu delle più felici. Non sapeva, forse, che i Ciclopi non sarebbero stati veramente prigionieri sotto il Monte Aetna. I giganteschi fabbri avevano già scavato una notevole rete di gallerie che permetteva loro una certa facilità di movimento. Al riparo del controllo divino ebbero quindi buon gioco nell’ampliare quelle gallerie per connettere tutti i luoghi in cui si trovavano esiliati i loro fratelli: presto tutte le isole del Mare Nostrum furono collegate, e i lavori non si fermarono di certo. Se dobbiamo dare credito a queste notizie, ormai i Giganti potrebbero essere arrivati in ogni angolo dell’Impero. Rabbiosi per questa (a loro parere) immeritata prigionia, decisero di vendicarsi creando un’alleanza di Giganti che ha come scopo quello perseguito in origine dai Titani: rovesciare il trono di Giove e istituire una nuova èra dominata dai Giganti. Ã LA CORPORAZIONE DEI LIBERI FABBRI Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, come la Fratellanza Etnea possa nuocere in modo diretto all’Impero. Gli dèi celesti hanno già dovuto affrontare la rivolta dei Giganti e li hanno sconfitti in una battaglia rimasta tanto mitica che la vediamo riprodotta su innumerevoli opere d’arte. Ciò è vero: dei Giganti si curerà Giove, se mai daranno l’attacco alle sfere celesti. Il problema, però, è che questi Giganti avrebbero degli alleati umani che perseguirebbero delle mire molto più terrene e che potrebbero procurare fastidi all’Impero. La Fratellanza Etnea, infatti, per potere efficientemente operare non può limitarsi ad agire solo sottoterra. Spesso è necessario che i Giganti si procurino oggetti o materie prime che non sono a portata di mano. Intervengono a questo punto dei fiancheggiatori umani, i “Liberi Fabbri”, come si definiscono loro. Sono fabbri per modo di dire. Si tratta di un gruppo di intellettuali, ricercatori e filosofi che spera di imparare dai Ciclopi le tecniche più raffinate e segrete LA GIGANTOMACHÌA, GUERRA TRA DÈI E GIGANTI In principio il cosmo era vuoto di divinità. Esistevano solo Urano, il cielo, e la madre Terra. Essi si unirono e generarono dodici dèi, sei maschi e sei femmine, detti Titani. Urano e Gea si unirono ancora e nacquero i Giganti e gli Ekatonchiri: Urano decise di rinchiudere questi figli mostruosi e possenti, temendo che essi avrebbero potuto ribellarsi e strappargli il trono. Ma non erano i Giganti il vero problema, come scoprì Urano suo malgrado. Fu infatti Cronos, uno dei Titani, a detronizzare il padre Urano. I cieli furono quindi occupati da Cronos e i suoi fratelli e sorelle, che lasciarono i Giganti incatenati nel Tartaro. Siccome il ciclo spesso si ripete, anche Cronos subì la stessa sorte di suo padre. Uno dei suoi figli, Giove, gli strappò il trono proprio con l’aiuto dei suoi congiunti esiliati, i Giganti. Essi forgiarono delle armi potentissime che Giove utilizzò per sconfiggere Cronos e i suoi alleati. Per riconoscenza Giove liberò i Giganti dando loro una terra su cui risiedere in libertà, la Sicilia. Su quest’isola si insediarono anche i giganteschi figli di Nettuno, i Ciclopi, che appresero l’arte della forgiatura dei metalli dai Giganti. Da quel momento in poi divennero i fabbri degli dèi. Purtroppo, la storia non finisce con questa idilliaca pace. I Giganti erano troppo potenti per non desiderare di impadronirsi dei cieli, Urano era stato preveggente. Decisero, dunque, di attaccare direttamente gli dèi celesti. Per arrivare così in alto, si racconta, i Giganti strapparono le montagne alla terra e le impilarono una sull’altra per potersi arrampicare fino al cielo. Si scatenò una battaglia talmente furiosa che rimase leggendaria, pur tra le mille leggende che gli antichi ci hanno lasciato. Gli dèi vinsero con fatica e questa volta Giove decise di non correre rischi. Confinò nuovamente le stirpi dei Giganti: gli Uranidi e gli Ekatonchiri nel Tartaro; i Ciclopi, ritenuti ancora utili, sotto il monte Aetna. Un’eco di questa epica guerra è stata raffigurata su tantissime opere d’arte: la più famosa, forse, è il bassorilievo che orna tutto l’immenso altare eretto a Pergamon (in Asia) per celebrare la vittoria dei Greci contro i Galati, avvenuta nel VII secolo aUc. Nel bassorilievo è facile interpretare gli dèi celesti come allegoria dei Greci, portatori di civiltà, mentre i bestiali Giganti rappresentano gli sconfitti barbari di stirpe celtica.


152 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM nella lavorazione dei metalli. Non gli basta, infatti, la tecnica dei più raffinati artigiani umani. Essi vorrebbero creare degli automata, costrutti meccanici che si muovono di propria volontà secondo la pratica della teurgia (vedere Manuale Base). La pratica teurgica è proibita nell’Impero: i suoi rituali potrebbero facilmente scatenare forze tanto grandi mettere in pericolo il potere imperiale. È pertanto importante identificare e neutralizzare questi “fabbri”. Ã L’OCCHIO DEL CICLOPE Gli affiliati dei Liberi Fabbri si riconoscono attraverso un simbolo che essi portano tatuato sotto l’attaccatura dei capelli, sopra la fronte. Si tratta di cerchi concentrici stilizzati che ricordano l’occhio dei Ciclopi. Il simbolo è volutamente posizionato in modo da essere normalmente occultato dalla capigliatura. Si dice che, anticamente, il simbolo non fosse tatuato ma inciso a fuoco, ma forse sono solo leggende. Alcuni seguaci indossano anche degli amuleti di vetro, prodotti nelle proprie fucine, che si ispirano allo stesso concetto dell’occhio stilizzato. A chi chieda cosa sia quel simbolo rispondono che protegge dal malocchio. La cosa è perfettamente plausibile, perciò finora nessuno aveva mai sentito parlare dei Liberi Fabbri benché il simbolo sia estremamente diffuso in tutto il bacino del Mare Nostrum. CIVILTÀ DIMENTICATE Tratterò ora di civiltà talmente distanti nel tempo e nello spazio da essere ormai scomparse dalle pagine della Storia. A ben guardare, però, alcune di esse possono avere solidi agganci con gli eventi che oggi si svolgono nella provincia d’Italia. GLI ANTICHI CAMUNI I Camuni sono un’antichissima popolazione che viveva tra le montagne a nord di Brixia, precisamente in una valle con lo stesso nome, la Valle Camunia o Camunica. Al di fuori di questa valle questo nome dice ormai poco, ma chiunque debba occuparsi della sicurezza dei trasporti verso le nostre province nordiche deve conoscere la peculiare situazione di questa piccola area geografica. Ã CUSTODI DELLE MONTAGNE I Camuni sono un popolo molto antico di cui si sa piuttosto poco. Il geografo Strabone sosteneva che appartenesse alla grande famiglia dei Raeti. Non si tratta dunque di una stirpe gallica, come la loro collocazione geografica potrebbe far pensare. Intorno al IV secolo aUc, entrarono in contatto con gli Etruschi che si allargavano nella valle del Padus, ma non vi fu simpatia tra i due popoli. Nel VI secolo, invece, quando i Galli fecero la loro prima comparsa in Italia, i Camuni fecero amicizia con i nuovi arrivati e si scambiarono merci e tradizioni. L’immagine del dio celtico Cernunnus compare a volte sulle rocce delle montagne camune. Questo ha fatto erroneamente ritenere che avessero comunità di discendenza con i Celti. In realtà, i Camuni non si mescolarono mai con alcun popolo, orgogliosi della loro antica stirpe di custodi delle montagne. Ma custodi di cosa, ci si potrebbe chiedere? Ebbene, qui entriamo nel campo del detto e non detto. Le popolazioni di queste montagne svolgono ancora un ruolo di “pattugliatori” che essi reputano impossibile da cessare. Secondo loro le rocce stesse nasconderebbero pericoli soprannaturali che non possono (o non vogliono) spiegare, ma che reputano molto reali. Se interrogati, giovani e vecchi raccontano storie che sembrano favole di creature nate dalle rocce, mostri agitati da una fame primordiale che vivrebbero nelle viscere delle montagne e sarebbero in grado di divorare un intero manipolo di soldati ben equipaggiati. Forse queste voci sono nate dalla verità, cioè da imboscate fatte da briganti del luogo che, nascondendosi tra le rocce, riuscirono a sgominare anche gruppi numerosi di viaggiatori. La conformazione del territorio consente in effetti agguati, e in certe strette gole un uomo solo con un buon arco o con una leva per le rocce può bloccarne parecchie decine. I Camuni però sembrano propendere per la spiegazione meno logica. Sostengono che solo la loro incessante opera di pattugliamento e sorveglianza impedisce alle creature delle rocce non solo di uccidere chiunque si avventuri tra le montagne, ma anche di sciamare in pianura a minacciare le fattorie e i centri abitati.


153 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM Essi dicono, addirittura, di aver portato aiuto nientemeno che alle truppe di Roma. Tra il 737 e il 738 aUc, il divino Augusto comandò una serie di campagne per impadronirsi dell’arco alpino, nell’ottica di favorire la conquista della Raetia. Inviò i suoi migliori generali a portare avanti queste campagne militari: Tiberio (che sarà poi imperatore dopo di lui) e il di lui fratello Druso Maggiore. Fu un’ottima scelta: i successi dei due condottieri permisero a Augusto di estendere il potere di Roma su tutte le popolazioni dell’arco alpino e di allargarsi fino al fiume Danuvius. Ebbene, i Camuni sostengono che solo grazie al loro aiuto le truppe romane poterono passare senza danno attraverso le Alpes. Questo spiegherebbe perché, dopo la conquista romana, la valle Camunia abbia mantenuto il proprio governo tribale e sia stata solo aggregata amministrativamente alla vicina città di Brixia. Sotto i Flavi, inoltre, venne concessa a tutti i Camuni la cittadinanza romana. Ã SIGNORI DELLE MINIERE La forte signoria esercitata dai Camuni sulle montagne si sviluppò sia sul versante italico, sopra Comum, sia su quello che oggi appartiene alla provincia di Raetia. Certamente la loro conoscenza del territorio fu uno dei motivi di tale dominio. Tuttavia, va considerato anche un altro elemento. Essi potevano disporre di armi molto avanzate per i loro tempi, poiché controllavano diverse miniere che fornivano metalli in abbondanza. Divennero presto abilissimi fabbri e forgiatori di oggetti utili e efficienti. Divennero anche piuttosto ricchi, sia vendendo il proprio artigianato, sia imponendo tributi a chi voleva trasportare merci da e per la Raetia. Sono particolarmente ricercate anche oggi le spade camune, realizzate con un metallo particolare che non arrugginisce e non perde mai il filo. Se queste qualità siano determinate da una procedura speciale o da un metallo sconosciuto non è dato sapere. I Camuni sostengono che sono le uniche armi valide contro i mostri che si annidano tra le loro montagne, i Badalisci (vedere box). Ancora oggi i Camuni conoscono vene di metallo nascoste che neppure i nostri ingegneri sanno individuare, ed è piuttosto faticoso avere a che fare con loro per chi gestisce l’approvvigionamento dei metalli per l’Impero. Non sempre infatti collaborano. Si ha notizia di varie imprese di scavo condotte dai locali, prive di autorizzazione imperiale. Alcune miniere, inoltre, producono anche l’arsenikon, la mortale “polvere di caverna” la cui vendita è proibita dalle leggi dell’Impero contro il veneficio (vedere anche il modulo Encyclopaedia Arcana). I Camuni si difendono dall’accusa di contrabbando e veneficio spiegando che utilizzano la polvere mortale solo per il “controllo delle montagne”. Che la usino contro queste presunte creature della roccia? Ã I “PETROGLIFI” Un altro mistero legato a queste popolazioni è l’abbondante presenza di “petroglifi” su tutte le rocce della valle. Si tratta, come indica il nome, di incisioni sulla pietra composte di figurazioni o di due o più simboli intrecciati tra loro. Non c’è dubbio che si tratti di un vero linguaggio, forse non idoneo a lunghi testi di letteratura o scienza ma senz’altro adatto a esprimere concetti simbolici chiari ai suoi utilizzatori. Direi che si tratta più di un sistema di codici che di parole o messaggi veri e propri. I petroglifi si trovano ovunque nella valle e sulle montagne circostanti. Ciò non sarebbe strano se non si notasse chiaramente che moltissimi sono di fresca incisione, non consunti dal tempo e dagli elementi. Devo perciò dedurre che questo sistema di simboli sia tutt’ora in uso. Cosa comunichi non sono riuscito a capire. A volte mi è parso di poter interpretare una raffigurazione, per esempio nel caso di figure di animali: potrebbe trattarsi di una segnalazione di una buona zona di caccia, o un avvertimento di pericolo. Alcune immagini potrebbero essere interpretate come mappe o indicazioni di itinerari. Altre volte però i simboli sono più astratti: sembrano stelle, figure geometriche, labirinti, a volte fiori. Impossibile capire cosa siano. Non posso far altro che raccomandare prudenza nell’attraversare questi territori. A di là dei suoi antichi misteri, la zona è ancora infestata da modernissimi contrabbandieri. I MOSTRI DELLE MONTAGNE CAMUNE Nella Valle Camunia si continua a raccontare della presenza di un’antica genìa di mostri che imperversa anche oggi tra le montagne. Nella lingua locale, sono detti Badalisci, e nonostante il nome suoni simile a quello del rettile Basilisco non vi è alcuna parentela. Il Badaliscus camuno è un mostro umanoide che cammina su due piedi e ha sempre fame. Mangia qualsiasi cosa, dicono i valligiani, creature viventi, piante, persino rocce se non trova di meglio, anche se queste gli piacciono poco. Per questo tende agguati ai viandanti che si aggirano per le montagne, cercando un bocconcino più tenero delle rocce che è costretto a mangiare di solito. Questa dieta ha reso la pelle del Badaliscus così dura che per ferirlo è necessaria un’arma speciale, la spada camuna, fatta di un metallo particolarmente resistente e tagliente. Per la scheda del Badaliscus, vedere pag. 200.


154 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM IL POPOLO DELLE TORRI DI PIETRA Ci dobbiamo addentrare, ora, nella più antica storia dell’umanità. Parlerò, infatti, di una popolazione che risiedeva nell’isola di Sardinia in tempi così antichi che per darle una collocazione temporale non basta riferirci alla fondazione dell’Urbe. Dobbiamo piuttosto guardare all’antico Aegyptus: i Sardi animavano l’isola quando in Aegyptus regnava il faraone Ramessus, secondo del suo nome, cioè più di cinquecento anni prima della fondazione di Roma. Il dominio dei Sardi fu lungo: erano ancora lì quando Roma si presentò sulla scena della Storia e quando gli Etruschi la abbandonarono. Ã UNA CIVILTÀ SENZA NOME Eppure, di questa civiltà non conosciamo più neppure il nome. Sappiamo della sua esistenza solo dalle imponenti torri di pietra che ha lasciato ovunque nell’isola. Quando Roma giunse a interessarsi della Sardinia, non trovò che una popolazione piuttosto esigua, quasi tutta dedita alla pastorizia. Solo nell’interno dimoravano popolazioni più bellicose che si comportavano da predoni, scendendo ogni tanto verso le coste, razziando e spesso uccidendo i soldati delle nostre guarnigioni. Non di rado prendevano il mare e per un po’ facevano vita da pirati, soprattutto depredando le navi cariche di grano che dalla Sardinia si dirigevano verso la costa laziale, oppure i carichi di prezioso argento estratto dalle miniere locali. Non appena Roma coordinava una reazione e mandava truppe e flotte, essi sparivano così com’erano comparsi. Difficile dire se si trattasse delle stesse genti che avevano costruito le poderose torri che ancora si vedono. Esse parlano di guerrieri, di un’organizzazione del territorio divisa per tribù o per clan, di rude ricchezza. Queste genti non avrebbero reagito con la pirateria alla presenza dell’esercito romano: chiusi nelle loro rocche di pietra ci avrebbero fiaccati negli assedi e poi sarebbero scesi in battaglia per difendere le loro terre. Forse dobbiamo dedurne che questo popolo sia scomparso e che le popolazioni attualmente presenti nell’isola non siano dello stesso ceppo. Solo le torri restano a testimoniare un popolo possente, capace di costruzioni degne di giganti. Resta da chiedersi il perché della loro scomparsa. Ã LE TORRI DI PIETRA In tutta l’isola ci sono circa settemila strutture a forma di torre, ben più di quanti castra abbiamo costruito noi romani. Non sappiamo come si chiamassero tali costruzioni. Eppure un nome dovevano averlo, dato che la configurazione si ripete con tanta costanza: si tratta certamente di uno stile architettonico preciso. Noi le chiamiamo Torri Dedale perché la loro struttura possente sembra opera del grande costruttore Dedalo, autore anche del labirinto del Minotauro a Creta. I popoli della zona le chiamano nurra, o comunque con parole che contengono la radice nur, forse derivante dall’antica lingua dei costruttori. Non ci sono indizi certi su quale fosse il loro uso specifico. Qualcuno ha ipotizzato che fossero templi dedicati agli dèi del cielo, infatti salgono tanto in alto che sulla sommità sarebbe possibile eseguire con facilità sacrifici o la sideratio. Tuttavia, solo chi non le abbia mai viste dal vivo può attribuire a queste torri un uso religioso. Non appena si giunge nelle vicinanze di una di queste è immediata la sensazione di trovarsi davanti a una fortezza, una struttura militare. Un soldato, poi, non ha dubbi. La struttura tipica comprende: A Torre circolare. Solitamente realizzata con una forma a tronco di cono, ha una struttura in enormi pietre le cui dimensioni diminuiscono via via che si sale verso la sommità della costruzione. Alcune torri possono raggiungere un’altezza di ben novanta piedi e un diametro di nove. I complessi più semplici sono dotati di una sola torre, ma ne esistono anche a tre torri, a formare una specie di corte centrale triangolare con le torri alle estremità, e a quattro torri, con cortile quadrato. A Camere interne. Spesso organizzate intorno alla torre centrale, sono scavate nel terreno e sorrette da una cupola sotterranea costruita in pietre a sbalzo. Sono invisibili dall’esterno e vi si accede da lunghi corridoi aperti nella base della torre. A Muraglioni perimetrali. Nel caso la struttura sia formata da più torri esse sono raccordate da possenti muraglie che danno al complesso l’aspetto di una fortezza che non è esagerato definire ciclopica. A Villaggio. Attorno alla struttura fortificata si trovano, a volte, tracce di insediamenti tipicamente civili, forse nati nella speranza di ottenere difesa dalla fortezza e addirittura di potersi rifugiare dentro in caso di bisogno. Ã UN NEMICO INVISIBILE Qualche esperto di costruzioni militari, tuttavia, non concorda con questa interpretazione. Il numero delle torri-fortezza è veramente immenso se si considera il territorio piuttosto piccolo. Osservano perciò che se le settemila strutture fossero effettivamente tutte fortezze ci troveremmo di fronte a un popolo eternamente in guerra. Quindi, dicono questi studiosi, è da escludere che siano tutte strutture militari. Io invece ho un’altra teoria. Credo, infatti, che sia vero che tutte le torri fossero destinate al controllo e alla difesa del territorio, e che ciò fosse determinato da un pericolo tanto grave da rendere necessaria una sorveglianza capillare e continua.


155 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM Non solo le torri potevano resistere ad attacchi violenti, ma la loro stessa conformazione rendeva possibile collegare la rete della sorveglianza mediante fuochi accesi sulla sommità. Qualunque fosse questo pericolo, ha infine avuto mano libera nell’attaccare e poi distruggere i padroni dell’isola. È possibile che, a un certo punto, la forte pressione causata dai tentativi di conquista dei Cartaginesi e anche da noi Romani impedì a quel popolo di esercitare la dovuta resistenza contro l’innominata minaccia. A conoscere un po’ di storia d’Italia verrebbe subito da pensare alle leggende che collocano i giganti Lestrigoni in questa isola e nella vicina Corsica: non è illogico pensare che per proteggersi dagli attacchi di simili mostri fossero necessarie murature immense come quelle delle torri sarde. Comunque sia, oggi i padroni dell’isola siamo noi. Questo fatto dovrebbe indurci a opportune riflessioni. Roma possiede l’isola ma non la controlla con la stessa accuratezza e ossessività dell’antico popolo. D’altra parte, ci siamo insediati preferibilmente sulle splendide coste, tralasciando l’interno brullo e ostile di cui, in fondo, sappiamo poco. Il mio consiglio è di rovesciare questa situazione: disseminare l’area di castella ben fortificati a imitazione delle torri; mandare molte spedizioni ben equipaggiate con esploratori a indagare le aree meno sorvegliate dell’isola; inviare esperti Auguri ad analizzare nello stesso modo le torri di pietra. È di vitale importanza capire sia chi fossero i costruttori di tali fortezze ma soprattutto il motivo che li spinse a costruirle. Forse il nemico è ancora lì, invisibile e dimenticato, e proprio per questo pronto a tornare di nuovo. COSPIRAZIONI POLITICHE Penso sia mio dovere segnalare alcune situazioni che, pur originate nella storia antichissima, potrebbero avere delle ripercussioni nell’immediato futuro di Roma. Si tratta dell’eredità politica o ideale di associazioni politiche che ebbero una grande importanza nel territorio italico e che a causa dell’espansione di Roma furono ridimensionate o addirittura distrutte. I fatti a cui il mio racconto si riferisce sembreranno antichi e remoti e qualcuno potrebbe pensare che pecco di eccessivo timore. Tuttavia, in questi tempi particolari, si percepisce una tensione sotterranea e degli impercettibili movimenti di opinioni che potrebbero invece essere l’indizio di una più frenetica attività di cospirazione ai danni di Roma. FOEDERATIO PRISCORUM LATINORUM (ASSEMBLEA DEI PRISCI LATINI O LEGA LATINA) Per capire come sia possibile che un pericolo si annidi proprio alle porte dell’Urbe dobbiamo addentrarci nella storia d’Italia prima della grandezza di Roma. All’epoca della fondazione dell’Urbe, esistevano già altre città nel Latium Vetus, la parte della regione più vicina a Roma. Esse esercitavano controllo e signoria su zone più o meno grandi della regione. Una gran parte di queste città si unì in un’alleanza che inizialmente aveva scopi religiosi, ma presto si trasformò anche e soprattutto in un’alleanza militare. A questa unione venne dato il nome di “Assemblea dei Prisci Latini” a indicare che le città unite erano quelle che potevano vantare un’antica permanenza sul suolo laziale. Per semplicità, il nome fu spesso abbreviato in “Lega Latina”. Alcune di queste città sono ancora importanti, benché piccole a paragone di Roma. Un tempo, però, furono più importanti dell’Urbe stessa perché sedi di famosi santuari oppure perché ricche o ancora perché sedi di cenacoli politici. Un certo sentimento di rivalsa si annida ancora tra i discendenti delle genti a cui furono strappati privilegi e onori. Ã LE CITTÀ DELLA LEGA Il Latium Vetus era cosparso di piccoli centri, almeno una cinquantina di città. Non tutte fecero parte della Lega Latina. Plinio il Vecchio ne elenca solo trenta e altri autori presentano liste con variazioni in più o in meno. È oggi impossibile stabilire il numero esatto poiché molte furono distrutte nel corso delle guerre con Roma o furono assorbite in altri insediamenti. Nonostante il nome di “città”, si trattava di insediamenti piuttosto piccoli che oggi chiameremmo villaggi. Tre di essi, Antipolis, Querquetulum e Saturnia, furono addirittura inglobati nel tessuto urbano di Roma stessa e nessuno ne ricorda il nome neppure nei quartieri che corrispondono alle antiche città. Di tutti questi centri, oggi è impossibile non solo ricordare i nomi, ma persino trovare tracce di costruzioni. Le antiche capanne di legno furono sostituite da costruzioni in muratura e persino il perimetro delle mura è scomparso. La direzione di questa coalizione venne affidata ad Alba Longa, città di illustre discendenza troiana e per questo quasi una “sorella maggiore” di Roma. Per via di Alba le città della Lega Latina vennero anche chiamate “città albensi”; il santuario comune dove si recavano a celebrare le loro alleanze è situato su un monte chiamato Mons Albanus. Proprio la “capitale” di questa Lega Latina è oggi scomparsa, ma


156 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM altre città hanno raggiunto nei secoli una certa importanza. Sono precisamente quelle che ora mi danno pensiero e consiglio in particolare di controllare: A Lanuvium. Di nobili origini, fa risalire la sua fondazione a Lanoios, uno dei troiani che con Enea scapparono dalla distruzione della città e vennero in Italia a fondare una nuova stirpe. Situata in piacevolissima posizione tra i colli a sud-est dell’Urbe, dall’età repubblicana in poi è sempre stata meta di molti nobili romani che qui hanno costruito splendide ville, un vero e proprio cenacolo politico fuori di Roma. Questo particolare non va sottovalutato, perché è possibile che molte decisioni politiche inspiegabili del passato siano state discusse qui in segreto piuttosto che nella libera aula del Senato. Vi nacquero anche due imperatori, Antonino Pio e Commodo. Non voglio nuocere alla reputazione di questa graziosa cittadina, ma sembra la scena ideale per complotti politici. A Praeneste. Sede di uno dei più rinomati santuari laziali, dedicato alla capricciosa Fortuna, madre del creato. Il santuario ospita anche un famoso oracolo e costituisce un punto di aggregazione per tutta la regione circostante (vedere pag. 88). Nell’edificio principale esiste addirittura un appartamento dedicato all’Imperatore o agli ospiti di rango elevato, ma l’unica sorveglianza è fornita dalle guardie personali che viaggiano con gli augusti personaggi. Il santuario, inoltre, è sempre pieno di pellegrini che vanno e vengono liberamente, nessuno si stupisce di facce nuove. Sarebbe dunque un luogo ideale per agguati o attentati. A Tusculum. Secondo la tradizione fu fondata nientemeno che da Telegono, figlio di Ulisse e della maga Circe (vedere pag. 113). Si legò con legami familiari a Roma poiché la figlia del re Tarquinio il Superbo sposò un nobile tusculano, Ottavio Mamilio, la cui famiglia discendeva da Telegono stesso. Quando Tarquinio fu cacciato da Roma, i Tusculani si schierarono con lui e furono duramente puniti da Roma. Ci sono tutti gli elementi di base di una potenziale ribellione: la nobiltà produce superbia e la sconfitta desiderio di rivalsa. Mescolando i due elementi si ottiene un veleno silenzioso e tenace. A Tibur. Oltre a essere sede del celebre santuario di Ercole Vincitore, è sempre stato e tutt’ora è un centro economico di primaria importanza (vedere pag. 85). La strategica posizione del santuario lo rende una tappa obbligata per chiunque si debba spostare da Roma verso il Mare Adriaticum e controlla praticamente la via del sale. È, quindi, una potenza economica ma anche militare: attraverso il santuario passano sia la via Tiburtina che il fiume Anio. Bloccando entrambe le vie si renderebbe impossibile il passaggio di truppe o convogli da e per Roma. Un’ultima notazione, infine: durante la Guerra Latina la città si alleò con i Galli contro Roma, cosa che ai miei occhi la rende possibile sede di intrecci cospiratori assai inquietanti. A Velitrae. Fondata dai Volsci, fu probabilmente una delle più ricche città della Lega Latina. La segnalo perché c’è una profezia che coinvolge la città. In tempi antichissimi un fulmine colpì le mura della città senza danneggiarle e anzi, facendo diventare lucida come vetro la pietra su cui si era abbattuto. Il prodigio fu interpretato come indizio del fatto che un figlio di Velitrae ALBA LONGA, SORELLA MAGGIORE DI ROMA Alba Longa aveva una dignità e un’eredità di sangue pari a quella di Roma stessa. Fu fondata, infatti, da Ascanio, il giovane figlio che Enea portò in Italia fuggendo dalla distruzione di Troia. Dalla discendenza di Ascanio nacquero i gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma. Qualcuno fa derivare il nome Alba, “bianca” e Longa, “lunga” dalla scrofa bianca che secondo una profezia avrebbe indicato ad Ascanio dove fermarsi per fondare la città. Altri connettono questo nome con il bianco delle nuvole, ad indicare che fu fondata per ispirazione divina. Qualcuno, infine, ritiene che i due elementi del nome si riferiscano al suo aspetto fisico e che indicasse una città di forma allungata e tutta composta di case bianche. Tutte queste versioni hanno in comune la considerazione quasi sacra con cui le genti antiche consideravano la città. La sua autorevolezza era tale che fu sempre considerata la capitale della Lega Latina e nessuno pensò mai di contestare questo diritto. Per lunghi anni, Roma e Alba Longa andarono d’accordo e si considerarono sorelle. Ma quando a Roma regnava il terzo re, Tullo Ostilio, la situazione cambiò. In questo periodo l’espansione di Roma ebbe un’accelerazione e cominciò a contrastare l’egemonia di Alba Longa. Le due città decisero di scontrarsi, ma anziché combattersi in una guerra fratricida, decisero di affidare la sfida a tre giovani albani, gli Orazi, e tre romani, i Curiazi, che avrebbero combattuto tra loro. Vinsero i Curiazi e Alba Longa si sottomise al dominio di Roma. Molti albani, però, non volevano accettare questo tipo di sconfitta e sobillarono il re di Alba, Fufezio, a tradire i patti e rivoltarsi contro i Romani. Il re Tullo Ostilio, venuto a sapere della cospirazione, fece uccidere tutti i nobili albani e anche il re Fufezio. Alba Longa fu distrutta e ormai non si ricorda più neppure il luogo in cui una città così nobile sorgeva.


157 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM un giorno avrebbe conquistato il potere assoluto. Poiché la famiglia dell’Imperatore Augusto, la gens Ottavia, era originaria della città, si è sempre interpretata questa predizione come relativa all’ascesa al trono di Augusto. Dopo di lui, dunque, la profezia fu dimenticata perché ormai compiuta. Da qualche tempo però la predizione è tornata in auge e viene sussurrata con tono diverso e molto poco rassicurante. Ã IL SANTUARIO FEDERALE DEL MONS ALBANUS Le molte città della Lega Latina erano accomunate dalla devozione per un santuario dedicato a Giove situato sul Mons Albanus. Il monte si erge solitario nella campagna a sud-est di Roma. Una strada detta “via Sacra”, lunga 20 miglia, parte da Roma e conduce al monte, collegando nello stesso percorso l’Urbe con altri luoghi sacri come il lago di Diana e il santuario di Diana Nemorense (vedere pag. 69). Dalle pendici del monte un altro percorso di circa quattro miglia, meno agevole e degno di un vero pellegrinaggio, si arrampica tutt’ora ssulla cima. Alla sommità si trovava il santuario di Juppiter Latiaris, “Giove Laziale”, fondato da Ascanio, il figlio dell’eroe troiano Enea e progenitore di Romolo e Remo. Nel luogo sacro ogni, anno alla fine di aprile, si celebravano le Feriae Latinae, feste che riunivano tutti i popoli del Latium Vetus. Le feste si aprivano con una solenne processione su per le pendici del monte per accompagnare un toro bianco da offrire a Giove. Giunti al tempio, sull’altare prospicente l’edificio sacro, si faceva il solenne sacrificio. Le viscere dell’animale venivano esaminate per trarre i vaticini e infine le carni cotte erano distribuite a tutti i partecipanti. La cerimonia serviva a rinsaldare i legami tra i le città federate della Lega Latina ma non prevedeva l’elezione di un capo comune, superiore in autorità a tutte le città dell’unione, come nel caso della Lega Etrusca (vedere pag. 158): il capo riconosciuto della Lega Latina era e rimase sempre il re di Alba Longa, fino al momento in cui Roma distrusse la città e assunse la guida della federazione. Per una questione di pietas religiosa, il santuario non venne distrutto, ma il culto di Iuppiter Latiaris venne spostato sul colle Capitolino dove già si trovava un magnifico tempio dedicato al dio. Sulla sommità del Mons Albanus, però, i sacrifici non sono mai cessati e continuano anche oggi. Nessuno ha il cuore di vietarli, ma questa pur rispettabile debolezza può rivelarsi un giorno controproducente. Non abbiamo idea, infatti, di chi siano coloro che si riuniscono ogni anno alla fine di aprile sul monte per sacrificare un toro bianco a Giove. Segnalo che sarebbe necessaria qualche indagine approfondita per assicurarsi che non esista un movimento teso a creare una nuova Foederatio Priscorum Latinorum. GUERRE LATINE, UNA LUNGA SERIE DI OSTILITÀ Finché Roma fu piccola nessuna città della Lega Latina fu ostile. Ma naturalmente più Roma cresceva più si crearono tensioni. A un certo punto, addirittura, lo scopo della Lega Latina divenne quello di aiutare le varie città a contrastare la potenza di Roma. Se Roma avesse attaccato una di loro, tutte sarebbero corse in aiuto dell’alleata. Scoppiò una prima guerra che si concluse nel 257 aUc con la vittoria di Roma nella battaglia del lago Regillo. Questa vittoria è ricordata da secoli non solo perché fu l’inizio della potenza di Roma, ma anche perché le leggende sostengono che le truppe romane fossero state aiutate dai gemelli divini Castore e Polluce. Alla vittoria seguì un’alleanza, sancita ufficialmente nel 260 aUc con un trattato detto Foedus Cassianum dal nome del console Spurio Cassio Vecellino che l’aveva proposto. La tregua nasceva su buone basi, con ragionevole intento di allargare la fratellanza latina anche a Roma. Per esempio, furono autorizzati i matrimoni misti tra Romani e Latini, fino a quel momento proibiti. Fiorirono anche i successi militari: la Lega potè respingere gli attacchi degli Equi e dei Volsci, bellicosi popoli dell’Italia centrale. Il comando congiunto, affidato in coppia a un condottiero Latino e a uno Romano, funzionò in maniera eccellente. Persino la distribuzione dei bottini di guerra non provocò discussioni, poiché il Foedus Cassianum regolava con precisione anche quell’aspetto delle alleanze militari. Anche la presenza Etrusca, di gran lunga la più potente di quel periodo storico, fu ridotta di molto. Roma riuscì a conquistare la città etrusca di Veii, evento che determinò l’inizio del declino etrusco. A questo punto però, Roma rivendicò la sua maggiore importanza all’interno della Lega Latina. Pretese di assumerne la guida al posto di Alba Longa e altri privilegi. Gli alleati originali, allora, dichiararono sciolto il Foedus Cassianum. Scoppiò una nuova guerra o meglio una serie di scontri che videro Roma opporsi, tra il 413 e il 415 aUc, a varie città latine. Queste lunghe ostilità sono raccolte sotto il nome di Guerra Latina anche se tecnicamente per la loro frammentarietà andrebbero definite “Guerre Latine”. Infine, nel 415 Roma vincitrice dichiarò sciolta la Lega e rimase unica potenza a dominare il Latium Vetus.


158 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM LA FRATELLANZA DEI DODICI POPOLI (LEGA ETRUSCA) Certamente la questione etrusca ti sarà già stata esposta da persone competenti nelle materie soprannaturali (vedere pag. 122). Mi limiterò dunque ad aggiungere alcuni dettagli di natura più strettamente politica. Sarai certamente già al corrente che nell’antica Etruria, prima di Roma, c’erano dodici città che avevano una preminenza sulle altre. Esse erano: Arretium, Caere, Clusium, Cortona, Perusia, Rusellae, Tarquinia, Veii, Vetulonia, Volsinii, Volaterrae, Vulci. Il gruppo veniva collettivamente denominato “la Dodecapoli”, cioè appunto “le dodici città” anche se ognuna restava comunque indipendente dalle altre. Potremmo chiamarla una federazione di libere città. A questa federazione viene di solito attribuito un significato puramente religioso. I rappresentanti di queste dodici città si sarebbero riuniti ogni anno nel santuario del dio Voltumna per celebrare la fine e il susseguente inizio di un ciclo annuale. Un capodanno religioso, insomma. Esistono, tuttavia, indicazioni che questa riunione annuale avesse anche uno scopo politico: i dodici rappresentanti avrebbero eletto un capo comune, un re che aveva autorità sull’intera federazione. La Lega Etrusca, alla luce di certi indizi, sembra aver resistito all’ondata dei secoli che ha cancellato gli Etruschi dalla Storia. Potrebbe ancora creare problemi all’Impero cercando di infiltrarne le più alte gerarchie. Ã I DODICI LUCUMONES I rappresentanti di queste dodici città avevano il titolo di lucumon (plurale lucumones). Il termine è, in realtà, una latinizzazione di una parola etrusca oggi dimenticata. Dalle mie ricerche sembra che il termine originale fosse lauchum. I lucumones, in realtà, non erano solo capi politici ma anche militari e religiosi. Forse potremmo paragonarli all’antico rex di Roma, che all’alba della nostra nazione aveva competenze sia di condottiero che di primo sacerdote del popolo. E, considerando l’abilità degli Etruschi in tutte le materie soprannaturali, non è difficile ipotizzare che questi lucumones fossero i più abili sacerdoti delle rispettive comunità. Da quanto è possibile comprendere, dopo così tanti secoli, i lucumoni erano i mediatori tra gli uomini e le molte divinità del pantheon etrusco e possedevano poteri soprannaturali che venivano loro conferiti dagli Aruspici al momento dell’elezione. Questi poteri erano certamente connessi con la capacità di interrogare la volontà divina e di saperla interpretare a vantaggio del popolo. Ogni lucumone riceveva, al momento dell’entrata in carica, alcuni oggetti legati al suo status: un mantello di porpora, una corona d’oro, uno scettro, un’ascia rituale a doppio filo. Inoltre, aveva diritto di sedere su un trono d’avorio. Il simbolo del suo potere era il fascio di verghe legate tra loro con al centro una scure: ciò indicava che egli era il giudice supremo del suo popolo e poteva applicare punizioni a partire da quelle leggere fino alla pena capitale. Questo simbolo è poi passato a indicare il sommo potere politico anche a Roma. Ã LO ZILATH RASNAL L’immagine del fascio potrebbe rappresentare qualcos’altro, in realtà. I nostri studiosi che hanno discusso più ampiamente queste materie, Servio e Tito Livio, sostengono che questi dodici lucumoni si riunissero ogni anno per eleggere un capo per così dire “federale”, con competenza su tutto il popolo etrusco. Il titolo originale di questo capo dovrebbe essere zilath mechl Rasnal, cioè “il capo (zilath) dei popoli (mechl) dell’Etruria (Rasnal)”. Il simbolo del fascio etrusco, dunque, rappresenterebbe i dodici lucumoni (i bastoni) e il capo supremo (la scure al centro). È difficile oggi comprendere quali prerogative avesse questo capo. Di sicuro egli aveva l’imperium, il potere supremo di comando, come oggi il nostro Imperatore. Secondo Tito Livio, tuttavia, il capo della Lega Etrusca era essenzialmente un sacerdos, un sacerdote. L’affermazione si riferisce forse ad una capacità molto elevata di trattare materie relative al soprannaturale. Era lo zilath a celebrare il “rito del chiodo”. Conficcava cioè un chiodo rituale in un edificio sacro del santuario di Voltumna per segnare il passaggio da un anno all’altro. Il conteggio di questi chiodi era importante per tenere traccia del volgere dei “cicli”, i periodi che gli dèi avrebbero assegnato ai vari popoli per regnare sulla terra (vedere pag. 124). Per questa sua specifica funzione lo zilath avrebbe avuto probabilmente una visione del futuro molto più chiara di qualunque sacerdote romano. Ho consultato alcuni studiosi che oggi cercano di strappare alla sapienza etrusca gli ultimi segreti. Essi sostengono che lo zilath assommava in sé le abilità degli Aruspici, i veggenti più abili degli Etruschi, e dei Fulgatores, in grado di scatenare il potere della folgore (vedere pag. 131). Si tratterebbe quindi di una persona in grado di dirigere efficacemente un esercito in guerra ma anche di intessere trame politiche di lunghissimo orizzonte. Ã UNA COSPIRAZIONE SECOLARE E proprio questo è il pericolo che mi è sembrato di poter individuare nei miei sopralluoghi in terra d’Etruria. Diversi elementi mi portano a sospettare che questa Lega Etrusca non sia scomparsa e che si sia solo inabissata al di sotto della Storia, come un ruscello sotterraneo che erode da dentro le rocce più salde. La Lega Etrusca raggiunse il suo massimo potere nel III secolo aUc. In quel periodo, l’influenza etrusca non soltanto dominava


159 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM l’Etruria propriamente detta ma si estendeva anche oltre il Padus tra le genti celtiche, in Campania, sui mari. In seguito, cominciò un lento ma inarrestabile declino parallelo all’ascesa di Roma. Il colpo di grazia fu probabilmente la conquista di Veii, la più vicina a Roma delle città etrusche, avvenuto nel 357 aUc. I lucumoni sparirono, assorbiti nelle magistrature romane che si installarono in tutte le città della Dodecapoli e anche nelle altre. Ed è qui la genialità di questo popolo che, nonostante la sconfitta, l’espropriazione delle terre e l’inglobamento dei propri rituali in una nuova religione, o forse proprio per questo, ha deciso di procedere alla conquista del conquistatore in un modo sottile e impercettibile. I lucumoni non sono propriamente scomparsi. Molti loro discendenti siedono oggi in Senato, in piena luce. Non sono, infatti, eredi di nemici sconfitti. Piuttosto, questa lunga linea di sangue che li collega ai tempi in cui Roma era ancora giovane e l’Etruria potente costituisce oggi un elemento di nobiltà. Molti discendenti etruschi, ancora oggi preferiscono utilizzare la versione etrusca del proprio nome invece di quella latinizzata. E, anziché suscitare fastidio o aperto biasimo, questa pratica produce ammirazione e fascino perché è prova di antica origine della famiglia. Di conseguenza coloro che possono dimostrare questa discendenza vengono rispettati e considerati dai nostri patrizi come fossero dei pari, nonostante il titolo di “patrizio” spetti solo a quelle famiglie i cui fondatori furono i compagni di Romolo. C’è il rischio concreto che questa presenza in Senato e tra le più alte cariche dello stato non sia causale. Dopo un sopralluogo approfondito, sento di poter affermare che siamo in presenza di una cospirazione lunga secoli, anche se devo ammettere che non sono riuscito a trovarne le prove. Non sono, infatti, riuscito a capire se i tanti discendenti etruschi che oggi siedono in Senato siano riconducibili precisamente alle dodici città della Lega Etrusca o provengano un po’ da tutta l’Etruria. È difficile risalire così indietro nel tempo, non c’è rituale di Retrocognizione che possa servire allo scopo. La mia sensazione è che la Lega Etrusca si sia trasformata da federazione politica in cospirazione segreta. Credo che gli Etruschi dei tempi antichi, constatando la sconfitta, abbiano proiettato la rivalsa lungo un percorso di secoli. Ciò si è reso possibile, probabilmente, a causa della capacità dei loro sacerdoti di leggere i segni degli dèi con più competenza dei nostri. Forse ci siamo illusi di aver assorbito tutta la sapienza etrusca. Solo una pallida immagine di quella conoscenza è confluita nei rituali romani. Gli Etruschi, da secoli, continuano a vedere più lontano di noi e pianificano, passo dopo passo, l’avvicinamento al trono di Roma. Non vorrei che un giorno non lontano sul quel trono non sedesse più un Imperator, ma uno zilath. PORSENNA, LUCUMONE DI CLUSIUM Forse l’unico lucumone etrusco di cui si conosca ancora con certezza il nome è Porsenna, della città di Clusium. In realtà, da come lo descrivono gli storici, si potrebbe persino ipotizzare che egli fosse uno zilath, ben più potente di un lucumone. Plinio il Vecchio, Dionigi di Alicarnasso e Floro lo definiscono, infatti, “re dell’Etruria”, titolo che in realtà non esiste poiché l’Etruria non fu mai un’unica nazione. Tuttavia, sappiamo che i rappresentanti delle dodici città etrusche nominavano ogni anno un capo supremo, appunto lo zilath, che aveva autorità su tutta la Lega Etrusca. Forse è proprio ciò che i tre storici volevano intendere definendo Porsenna re d’Etruria. Un altro indizio della sua posizione di zilath è la descrizione delle sue abilità particolari e della sua capacità di condurre le battaglie. Sappiamo, infatti, che intorno alla metà del III secolo aUc, Porsenna appoggiò le richieste di aiuto del re Tarquinio il Superbo, che noi avevamo cacciato dalla città per la sua condotta empia. Nel tentativo di rimettere Tarquinio sul trono, dunque, Porsenna portò guerra a Roma e addirittura cinse d’assedio la nostra città. Tito Livio racconta che “Non unquam alias ante tantus terror senatum invasit, adeo valida res tum Clusina erat magnumque Porsennae nomen”, “Mai prima il Senato aveva provato un panico simile, tante erano allora la potenza di Chiusi e la fama di Porsenna”. Il terrore era giustificato poiché Porsenna era probabilmente in possesso di una sapienza antica relativa all’evocazione delle folgori, che gli Etruschi conoscevano ma che ovviamente era esercitata solo dai più abili di essi (vedere pag. 131). Tarquinio non tornò sul trono e tuttavia Porsenna non sconfisse Roma. Restò infatti così ammirato dalla virtù romana mostrata da alcuni coraggiosi guerrieri: Orazio Coclite, Muzio Scevola e dalla giovane Clelia, che scaricò lo scomodo alleato e abbandonò il Latium. Decise di dirigersi verso la ricca zona campana. Le città di Cumae e Aricia gli si opposero. Porsenna, quindi, mandò suo figlio Aruns a combattere contro di loro ma il giovane perse la vita in battaglia. Morto il figlio, Porsenna perse ogni interesse a concludere la campagna nel sud d’Italia e tornò a Clusium. Qui morì e fu sepolto in una tomba leggendaria di cui si è persa l’ubicazione. Si dice che il corredo funebre includesse un cocchio d’oro trainato da dodici cavalli pure d’oro e da documenti segreti relativi a potenti rituali di magia etrusca.


160 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM IL CERCHIO CELTICO L’area italica che comprende la pianura del Padus fu per lungo tempo territorio celtico. Noi chiamammo i Celti d’Italia “Galli”, come quelli al di là delle Alpes oggi, nella provincia di Gallia. Per distinguere gli uni dagli altri definimmo il territorio gallico italico “Gallia cisalpina”, ovvero la Gallia “al di qua delle Alpes”. Di conseguenza, il territorio al di là delle Alpes fu la “Gallia transalpina”. I Celti erano una grande famiglia che univa più popolazioni e che si estese a occidente fino nella penisola Iberica e a oriente in quella che oggi è la provincia di Asia. A nord si insediarono nelle isole britanniche, a sud il limite fu proprio la pianura del Padus. I Galli giunsero in Italia attraverso le Alpes in varie ondate migratorie tra il III e i IV secolo aUc. Si dice che siano stati attratti soprattutto dal vino, che essi amavano ma non producevano nelle loro terre. Restarono volentieri in Italia perché, oltre al vino, trovarono terra fertile e clima dolce. Inoltre, poiché erano guerrieri esperti, furono anche incoraggiati a prestare servizio come mercenari per le genti che, tra il II e il III secolo aUc, si contendevano l’egemonia sull’Italia, soprattutto i Cartaginesi e Greci della Sicilia. Avendo citato i Greci, possiamo senz’altro paragonare la loro influenza sulle italiche terre meridionali a quella dei Galli sulle terre settentrionali. L’Italia, quindi, fu a lungo divisa in due metà, una che si riconosceva nella cultura greca e l’altra nella cultura celtica. Non starò a ripercorrere tutte le tappe che portarono Roma a imporsi sia sugli uni che su gli altri e anche su ulteriori potenze della regione, come i Cartaginesi e gli Etruschi. Sono cose risapute e senz’altro ci sarà chi potrà riepilogarle meglio di me (vedere pag. 14). Dirò soltanto che tra il nostro popolo e i Celti si stabilì da subito una forte inimicizia, confermata in ogni regione del mondo dove li abbiamo incrociati. Infatti, ovunque abbiamo incontrato i Galli abbiamo dovuto combattere aspramente. Dopo la vittoria, pur avendo concesso perdono, integrazione e infine libertà, ci siamo lasciati dietro rancori e giuramenti di vendetta. Eravamo troppo diversi: noi controllati e razionali, grandi pianificatori e amministratori; loro mutevoli, istintivi, paghi dell’immediata conquista e di un facile bottino. Non è facile stringere alleanze sicure con gente portata più alla razzia che alla politica. Ã UNA FEROCE FEDELTÀ Ciò che soprattutto ha reso impossibili stabili alleanze con i Celti fu la terribile fedeltà che essi riservavano esclusivamente alle proprie genti. Essi giuravano vendette tremende a chi avesse infranto i patti stabiliti con giuramento verso di loro, ma non sentivano di dovere la stessa fedeltà ai giuramenti stipulati da loro con altri popoli. A Roma ancora ricordiamo con rabbia il gesto che fece Brenno, il capo dei Galli che conquistò Roma nel 366 aUc. Egli pretese un riscatto di mille libbre d’oro per andarsene dalla città. Ma i piatti della bilancia erano truccati e qualcuno protestò per quella mancanza di onestà. Brenno, per tutta risposta, gettò un altro peso sul piatto, quello della sua spada, gridando la frase “Vae victis!”, “Guai ai vinti” a indicare che chi era stato sconfitto non aveva più diritto di giustizia. E oltre a tutto l’oro già pesato pretese che fosse aggiunto anche l’equivalente della spada. Né possiamo dimenticare che, nel corso delle guerre puniche, durante la sanguinosa battaglia del Trasimeno del 536 aUc, i cavalieIL METUS GALLICUS La discesa dei Galli in Italia e la corsa verso Roma, nel V secolo aUc, vennero anticipate da una vera e propria ondata di panico, detto “metus Gallicus”, il terrore gallico. Le popolazioni italiche temevano la furia irrazionale con cui i Galli scendevano in battaglia. Essi erano noti, infatti, per le stragi che accompagnavano le battaglie in cui uscivano vincitori. Iniziavano con i prigionieri, che venivano uccisi con atroci tormenti anche se tra essi c’erano donne o bambini. Poi passavano anche alle popolazioni civili della zona. D’altra parte, i Galli esercitavano la durezza anche all’interno del loro proprio popolo. Tra le tante leggende si narra che quando veniva chiamato il Concilium Armatum, cioè il Concilio dei guerrieri, l’ultimo ad arrivare era sottoposto a mille torture e poi sacrificato agli dèi per propiziare la battaglia. Chiaramente simili racconti viaggiarono di bocca in bocca più veloci degli eserciti gallici, diffondendosi in ogni angolo d’Italia. Le popolazioni erano terrorizzate ben prima che i Galli arrivassero e spesso scappavano in massa lasciando terre, campi e abitazioni a disposizione degli invasori. Secoli dopo, lo stesso Cesare fu testimone della crudeltà gallica. Nel 701 aUc, durante il lungo assedio che il condottiero pose alla città gallica di Alesia, i guerrieri gallici radunarono le proprie donne e i bambini e li legarono fuori dalle mura, in modo che le legioni romane li vedessero bene. Fecero questo per due motivi: il primo, per eliminare dalla città delle bocche da sfamare e lasciare il poco cibo che c’era ai guerrieri; il secondo, per indurre i Romani a prendere con sé i poveretti e a privarsi a loro volta del cibo per sfamarli. Ovviamente, Cesare vietò alle nostre truppe di avvicinarsi alle donne e ai bambini gallici. Essi morirono quindi di fame e di sete sotto gli occhi sgomenti dei legionari e quelli indifferenti dei propri mariti e padri.


161 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM LA LITANA SILVA, FORESTA SCOMPARSA Non soltanto le presenze galliche in territorio italico vanno controllate, ma anche le assenze. Un territorio nella Regio Aemilia sembra apparentemente addomesticato dalla precisa centuriazione romana ma nasconde il ricordo sanguinoso di un agguato gallico, una strage di legioni romane che ancora grida vendetta agli dèi. Si trattava di una foresta intricatissima eppure non si può indicare con precisione la sua ubicazione poiché, appunto, è scomparsa dalla Storia. L’evento accadde nel drammatico periodo della Seconda guerra punica, il VI secolo aUc. Annibale era in Italia e si era aggiudicato l’alleanza dei Galli che dominavano i territori tra Mediolanum, gli Apennini Montes, le pianure dell’Aemilia e le coste dell’Umbria, cioè Insubri, Boi, Lingoni e Sènoni. Avendo sconfitto le nostre truppe nella sanguinosa battaglia del Trasimeno, si dirigeva verso la Apulia per passare l’inverno. Il Senato, allora, decise di mandare un grande esercito a contrastare Annibale e uno minore a distruggere le compagini di Galli che gli guardavano le spalle a nord. Annibale vinse ancora e sgominò le nostre truppe a Canne. I Galli, eccitati da questa ennesima vittoria dell’alleato Cartaginese, entrarono in una fase di grande ostilità. Il console Lucio Postumio Albino, nel 537 aUc, guidò, dunque, due legioni e numerosissimi alleati, per un totale di venticinquemila uomini, verso la pianura del Padus. E infine si trovò ad attraversare un’immensa foresta, la Litana Silva, non lontano da dove oggi sorge Forum Livii. I Galli avevano predisposto un’audace imboscata: avevano segato tutti gli alberi pur lasciandoli in piedi, in modo che bastasse solo un debole urto perché i tronchi si spezzassero del tutto abbattendosi a terra. Le legioni si addentrarono nella foresta senza sospettare nulla. In poco tempo gli alberi cominciarono a rovesciarsi sulle truppe e sui cavalli che, presi dal panico, si diedero a muoversi così scompostamente da favorire la caduta di sempre più tronchi. Si salvarono in pochi, e quei pochi furono massacrati dai Galli. Al console Postumio, che era caduto in battaglia, fu tagliata la testa; il teschio, scarnificato e incastonato in oro, divenne una coppa per riti religiosi. La selva fu dichiarata “nefas”, luogo infausto, e teoricamente avrebbe dovuto essere lasciata così com’era, consacrata alle anime di coloro che vi erano caduti. Invece, poiché intollerabile era il ricordo di tanta strage, fu poco a poco tagliata e rasa al suolo anche con il fuoco e trasformata in terreno agricolo. Il nome fu colpito da damnatio memoriae e cancellato da tutte le carte geografiche. Per questo oggi nessuno sa dove si trovi. O meglio, i discendenti dei romani lo ignorano. I discendenti dei Galli della zona, invece, continuano a considerarla un luogo sacro. Pare che, segretamente, sacrifichino ancora ai loro sanguinari dèi tra le spighe del grano innocente. ri della tribù degli Insubri, che combattevano dalla nostra parte, disertarono in massa per schierarsi con Annibale. E neppure Annibale, comunque, si fidava dei Galli. Quando si aggirava per zone dominate dai Galli si travestiva cambiando abito e parrucca anche più volte al giorno. E quando valicò gli Apennini Montes, affidò al fratello Magone l’incarico di seguirlo in retroguardia per proteggere l’esercito da eventuali imboscate degli “alleati” gallici. Anche per dimostrare l’obbedienza ai loro dèi, i Galli usavano modi che in noi suscitano orrore: per onorare il dio Teutates immergevano la testa di un uomo in una tinozza, a Taranis dedicavano uomini bruciati vivi, per Esus appendevano un uomo a un albero e lo facevano morire dissanguato. Ovunque passarono i Galli, dunque, i nostri dèi furono sfidati con sacrifici di sangue intollerabili e con lo spergiuro della parola data, crimine sommo in faccia a Giove. Ã LA FRATELLANZA TRANSNAZIONALE Questo strettissimo legame, che si manifestava anche tra le tribù che di tanto in tanto si combattevano, è alla base del pericolo che sono qui a segnalare. Anche altri inviati sotto copertura come me in varie regioni dell’Impero confermano che vi è un fermento tra le discendenze galliche e celtiche, una spinta a una nuova unione. E, in effetti, abbiamo sentito più di una volta un’espressione che non fa presagire nulla di buono. Si starebbe formando un “Cerchio Celtico”, una fratellanza allo scopo di riunire nuovamente i popoli che un tempo avrebbero condiviso religione e costumi celtici in tutto l’Impero. Si tratterebbe di un’enorme coalizione, coinvolgente milioni di cittadini e una buona parte dei legionari dell’Impero in almeno cinque province: di sicuro Italia, Gallia, Germania, Britannia e Raetia, con sicure ricadute in Iberia, e forse persino in Asia. Un pericolo di portata inimmaginabile! Il nucleo fondante di questo Cerchio Celtico sarebbero le tribù che storicamente furono più legate tra loro: A Aquitani, stanziati in Gallia tra il fiume Garumna e i Pirenei Montes. A Belgi, tra le coste settentrionali della Gallia e il fiume Rhenus, vicino ai confini della Germania. A Elvetii, nella provincia di Germania tra l’alto Rhenus e alto Danuvius. A Galli cisalpini, in Italia, nella pianura del Padus.


162 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM Gioca fortunatamente a nostro favore il fatto che queste popolazioni siano geograficamente assai separate: tra loro ci sono sia confini di tipo naturale come le Alpes sia “cuscinetti politici” costituiti da aree in cui la romanizzazione è sempre stata molto più radicata, come nella Gallia Narbonense. L’Italia, purtroppo, presenta una larga area esposta a questa possibile cospirazione. Vi è un rischio concreto sia politico che economico, poiché l’area padana è una delle più ricche della provincia. Ã IL SOGNO DELLA “NAZIONE GALLICA” Il fatto che i Galli italici e i Celti delle altre province siano ormai da secoli integrati nella società romana non deve trarre in inganno e suggerire che essi abbiano dimenticato i legami tribali. In molte città italiche ho potuto rilevare che si risveglia una “identità” gallica, una consapevolezza dell’antichità della propria storia unita al rimpianto di aver perduto un così grande territorio. Si vedono di nuovo i torques, le collane celtiche, al collo di insospettabili cittadini romani. Poco importa che non sia mai esistita una “nazione gallica”. Il rimpianto ha poco a che fare con i fatti reali. Molti giovani, nati e cresciuti tra le braccia di Roma, forse perché viziati dalla pace e dall’abbondanza dell’Impero, si innamorano di un ideale irrealistico e sono facile preda di cospirazioni. Ciò è davvero sorprendente e anche molto ingrato. I Galli ebbero un trattamento di favore una volta sconfitti. Giulio Cesare, l’artefice stesso della definitiva sconfitta gallica, concesse ai Galli la cittadinanza romana. Pochi decenni dopo, l’Imperatore Claudio ne ammise parecchi nel Senato e diversi druidi divennero sacerdoti romani ufficiali. Purtroppo, esiste un precedente assai pericoloso a cui i congiurati si rivolgono come modello e ispirazione. Tra il 1012 e il 1027 aUc, un’epoca di crisi per il nostro Impero, Gallia e Britannia si staccarono dall’Impero e crearono un “Impero delle Gallie”, nominalmente retto da usurpatori eletti dalle proprie truppe, ma in realtà manovrato da una coalizione di druidi. Questo impero fasullo fu presto sconfitto dal grande Aureliano, ma idee di rivalsa furono piantate come semi velenosi nelle nostre terre. Con questo modello in mente, il Cerchio Celtico mira a ricostituire questo impero allargandolo però su tutte le terre in cui, in secoli antichissimi, si espandeva la stirpe gallica. Ã IL RUOLO DEI DRUIDI Poiché ho citato il ruolo dei druidi nella secessione delle Gallie, devo soffermarmi brevemente su questo punto. Benché la cospirazione che sto descrivendo abbia obiettivi soprattutto politici, infatti, l’aspetto religioso non va trascurato. L’unico elemento di unificazione della grande diversità gallica è sempre stata la presenza dei druidi, sacerdoti senza tempio, sapienti senza libri. I druidi ebbero, nei tempi antichi, un ruolo al di sopra delle limitazioni tribali e ogni popolo gallico, anche se in guerra con altri popoli, rispettava e onorava i druidi che potevano andare e venire liberamente attraverso i territori in guerra. Una volta debellato il pericolo gallico, i druidi furono costretti a rinunciare alla pratica religiosa e all’insegnamento in tutti i territori conquistati. Gli irriducibili furono eliminati senza pietà. È rimasta celebre la distruzione del principale santuario druidico in Britannia, sull’Isola di Mona, operata da Gaio Svetonio Paolino nell’814 aUc. Come spesso accade, pur nella generale ostilità esisteva una corrente di druidi non maldisposti nei confronti di Roma. Questi druidi, dunque, furono ricompensati e nello stesso tempo posti sotto sorveglianza grazie a un astuto stratagemma politico: furono “trasformati” in flamini augustali o sacerdoti municipali nelle città principali (per maggiori informazioni su questi sacerdozi vedere anche Encyclopaedia Arcana). Non dovettero quindi rinunciare agli onori spettanti al ruolo di sacerdoti e furono inglobati nell’organizzazione ufficiale di Roma, dove potevano essere tenuti discretamente sott’occhio. Oggi dobbiamo riconsiderare questa scelta: probabilmente questa fazione perseguiva obiettivi di lungo termine e trovava, utile per scopi segreti, la pace che Roma aveva imposto tra i litigiosi popoli gallici. Non vorrei dunque che tanta generosità oggi si ritorcesse contro Roma: i nostri nemici si troverebbero già annidati nel cuore delle istituzioni governative provinciali. Ã LE ZONE DEL RISCHIO CELTICO Purtroppo, non posso indicare con precisione dove si annidino i cospiratori del Cerchio Celtico in Italia. Posso però fornire una lista, con relativa collocazione geografica, delle tribù galliche che nella storia della provincia hanno avuto maggiore importanza, in modo che sia possibile rafforzare la sorveglianza. Sono, infatti, le aree dove oggi si rintraccia abbondanza di indizi relativi al Cerchio Celtico. Raccomando di fare lo stesso anche in altre province. A Boi. Si insediarono nella pianura del Padus in tempi antichi provenendo, secondo Plinio il Vecchio, dall’Aquitania. Diedero subito molto filo da torcere agli Etruschi ai quali strapparono la città di Felsina cambiandole poi nome in Bononia, che contiene la stessa radice del nome di questa tribù. I Boi sono tristemente noti per essere stati in grado di distruggere ben due legioni romane e migliaia di alleati nell’agguato della Silva Litana. Nell’area dove tale strage si verificò esistono ancora discendenti dei Boi che, a mezza bocca, si vantano di questa impresa. Va esercitata particolare sorveglianza. A Carni. I più isolati. La presenza di Veneti, Histri e Camuni impedì alla stirpe gallica di occupare la parte centrale dell’odierna Regio Venetia et Histria, perciò i Carni restarono separati dagli altri Galli e dovettero accontentarsi delle montagne sopra Aquileia. Tuttavia, non bisogna abbassare la guardia per questa storica marginalità: Aquileia è un fondamentale snodo militare e commerciale per l’Impero e la presenza di una cospirazione celtica potrebbe nuocere molto. A Cenomani. Li segnalo, in realtà, perché potrebbero essere utili aiutanti in un’indagine segreta sulle nuove coalizioni galliche. Originari della Gallia Lugdunensis, varcarono le Alpes attorno al V secolo aUc e cacciarono gli Etruschi dalla regione a sud del Lacus Benacus. Qui si stabilirono pacificamente e presero molte usanze dei vicini Veneti. Forse per questo non aderirono all’alleanza degli altri Galli con Annibale. Restarono, anzi, piuttosto fedeli a Roma. A Insubri. Secondo Tito Livio, giunsero in Italia molto prima di tutti gli altri Celti, addirittura già nel II secolo aUc. Intorno al IV secolo, fondarono la loro principale città con


163 COMPENDIUM SECRETORUM ITALICORUM il nome di Medhelan, oggi Mediolanum. Sono forse i più pericolosi poiché non erano dei brutali guerrieri; sapevano scrivere usando un alfabeto che condividevano con i Leponzi. La loro influenza non sembra cessata a Mediolanum, dove esiste ancora un tempio dedicato alla dea gallica Birgit. A Leponzi. Occupavano un ampio territorio delle Alpi centro-occidentali, oggi diviso tra la provincia d’Italia (nella Regio Transpadana) e quella di Raetia. La loro origine è dibattuta: lo storico Polibio riteneva fossero imparentati con i Liguri; il geografo Strabone li diceva affini ai Camuni. Essi contesero alcune aree di pianura agli Etruschi padani, dai quali tuttavia appresero l’arte della scrittura. Svilupparono poi un proprio alfabeto, il Leponzio appunto. La loro presenza è ancora consolidata nella città di Oscela Lepontorum e in quella di Bilitio. A Lingoni. Si stanziarono in Italia nel V secolo aUc, provenendo dalla Gallia centrale. Occuparono, quindi, la parte della pianura del Padus più vicina alla foce. Qui ebbero contatti con gli Etruschi di Spina con i quali trovarono modo di convivere in relativa pace. Ottimi guerrieri, furono assorbiti nel nostro esercito. Un paio di secoli fa ne furono inviate alcune coorti in Britannia, dove si ambientarono molto bene. Questo mi induce a raccomandare una certa attenzione sui rapporti tra questi Galli italici e i Celti britannici. A Salassi. Occuparono la zona oggi nella Regio Transpadana attorno a Augusta Praetoria. La città, anzi, è di fondazione gallica e prima di Roma portava il nome di Cordelia. La zona dei Salassi fu sempre di fondamentale importanza strategica poiché controlla i passi alpini verso e dalla Gallia. Questo popolo, quindi, gestì a lungo i commerci nella zona e Annibale se lo fece alleato quando intraprese la spedizione attraverso le Alpi. A causa di questa alleanza, Roma fu costretta a sottometterli con fermezza e ne deportò un gran numero in altre regioni. La città di Cordelia fu trasformata in castra militari, dai quali derivò l’odierna città di Augusta. A Sènoni. Il territorio su cui abitavano è collocato nell’odierna Regio Aemilia a sud della foce del Padus e nella Regio Umbria tra gli Apennini Montes e la costa. Segnalo questo territorio con grande preoccupazione. L’area, ancor oggi, è definita “ager gallicus”, il distretto gallico. La città principale dell’area, Sena Gallica, mantiene ancora nel nome il ricordo dell’antica popolazione. Sono i Galli che anche oggi dobbiamo temere di più, poiché furono loro a saccheggiare Roma. Il nome del loro capo Brenno, che guidò l’assalto al Campidoglio e ci impose pesanti riscatti, suscita ancora sussulti di rabbia in ogni bravo romano. Tra tutte le popolazioni galliche d’Italia furono quelli puniti con particolare durezza: tutti i maschi adulti furono uccisi, le donne e i bambini ridotti in schiavitù. È quindi comprensibile che proprio in questo territorio alberghi ancora un forte sentimento antiromano. A Taurini. Segnalo questo popolo solo per dovere di completezza, avendone già parlato a proposito dei Liguri (vedere pag. 137). Tra il II e il VI secolo aUc, occuparono l’area attorno Augusta Taurinorum nella Regio Transpadana. Non si tratta però di una stirpe di pura discendenza gallica ma di una popolazione mista di Galli e Liguri. Forse per questa loro diversità da tutte le popolazioni dell’area, ebbero una storia completamente diversa. Instaurarono a un certo punto un vero e proprio regno indipendente, il Principato dei Cottii, sulle montagne sopra Augusta Taurinorum. Roma lo lasciò prosperare a lungo e ancora oggi la regione ha una relazione peculiare con il governo imperiale. Chiudo con questo il mio rapporto raccomandando di non accontentarsi di questa mia indagine, per quanto accurata essa sia. I segreti d’Italia sono ancora molti e ben nascosti e una persona sola non può svelarli tutti. Sarà necessario inviare molti altri agentes sotto copertura o investigatori specializzati che sappiano mescolarsi alle tante genti italiche per riportare alla luce eventi la cui eredità può influire sul futuro dell’Impero. AD MAIOREM ROMAE GLORIAM! LA LINGUA DEI GALLI ITALICI Pur con le dovute sfumature, le popolazioni galliche italiche condivisero una lingua comune che noi oggi definiamo “lingua gallica cisalpina”. Il ceppo principale è costituito dalla lingua parlata dalle popolazioni che vivevano sull’arco occidentale delle Alpes, e cioè Insubri, Cenomani e Sènoni. Quando giunsero in Italia i Galli dell’area transalpina, cioè al di là delle Alpes, quei tre popoli si spostarono verso nuovi insediamenti e la lingua si allargò su un’area molto maggiore, arricchendosi di ulteriori sfumature e inglobando termini del gallico al di là delle Alpes. Il gallico cisalpino e il gallico transalpino, comunque, restano ancora oggi due lingue affini ma diverse. I Galli cisalpini cominciarono a mettere per iscritto il proprio linguaggio con l’alfabeto utilizzato dai Leponzi, a dimostrazione di come questo ulteriore rimescolamento di lingue e culture sia stato proficuo. I Leponzi, a loro volta, derivarono il proprio alfabeto da quello etrusco. L’uso della scrittura, comunque, non fu mai molto diffuso tra i Galli d’Italia. Ovviamente, oggi la lingua principale è ovunque il latino, obbligatorio in qualunque documento ufficiale e anche nella parlata comune. Non si può negare, comunque, che in tutte le zone di discendenza gallica la gente del popolo parli ancora comunemente un dialetto locale diretto erede dell’antica lingua gallica cisalpina.


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PARTE IV NUOVE REGOLE


166 NUOVE REGOLE In questa sezione vengono esposte regole che introducono nuovi rituali di magia italica. Poiché l’Italia è una terra benedetta da una grande abbondanza di acque e sorgenti si è sviluppata qui una speciale variante di Divinazione che utilizza l’acqua come elemento essenziale per i propri rituali, che si aggiungono ai tanti che la Cohors Arcana insegna ai suoi membri. All’antico dio Fauno è inoltre legato un nuovo rituale di interpretazione dei sogni. Tra i nuovi, potenti rituali legati ai Culti Tollerati vi è quello dell’Evocazione delle folgori, originatosi nella misteriosa terra di Etruria e finora considerato solo una leggenda. Sempre collegati a questa antica terra sono i nuovi Indigitamenta, invocazioni a Dèi Indigetes tanto antichi da essere stati ormai dimenticati dalla maggior parte dei cittadini dell’Impero. Vengono introdotti, poi, alcuni nuovi elementi di equipaggiamento, utili in ogni avventura: gli speciali specchi ustori ideati dall’inventore Archimede per concedere all’uomo di utilizzare la forza del sole; le mitiche ali che Dedalo costruì e che permisero per la prima volta all'uomo di volare; una selezione di armi e armature ideate e sviluppate da alcuni popoli del territorio italico. NUOVI RITUALI IDROMANZIA L’Idromanzia è una speciale disciplina di Divinazione che utilizza l’acqua come mezzo per ottenere oracoli. Non è necessario utilizzare fonti magiche, ma si può eseguire praticamente ovunque: in effetti non è neppure necessario essere in presenza di un corso d’acqua, ma è sufficiente avere a disposizione dell’acqua pura. L’Idromanzia si suddivide in vari rituali che si esercitano in modi diversi, spesso utilizzando degli oggetti specifici assieme all’acqua. La Specializzazione applicabile al tiro per officiarli è Idromanzia, e la disciplina ha una SD pari a 6. CEROMANZIA Ã CEROMANZIA Discipline. Idromanzia (SD 6). Costo. 6 Pietas. Durata. Breve (pochi minuti). Procedura. Si esercita gettando nell’acqua certe quantità di cera fusa. Osservando come la cera si solidifica e si agglomera, la velocità con cui cambia e la forma che assume si ottengono le predizioni. Il rituale fornisce un responso favorevole o sfavorevole riguardo una persona, un fatto, un’azione imminente o da poco accaduta. La stessa divinazione si può eseguire con il piombo ma in questo caso la pratica è guardata con sospetto a causa della natura di questo metallo, spesso legato a dèi ostili o addirittura malvagi (la difficoltà si abbassa di 1 livello, ma il rituale viene considerato appartenente ai Culti Proibiti). Responso. Favorevole (fas) o sfavorevole (nefas). Più elevato è il grado di successo, più il responso è dettagliato. Costo di apprendimento. 60 Punti Curriculum. Ci sono diversi tipi di magia. Praticata con l'acqua, per esempio, si ottiene una precognizione sulle cose a venire. Caio Plinio Secondo Naturalist Historia, Libro XXX, cap. 5,2


167 NUOVE REGOLE LECANOMANZIA PEGOMANZIA Ã LECANOMANZIA Discipline. Favore degli Dei (SD 6), Idromanzia (SD 6). Costo. 6 Pietas. Durata. Breve (pochi minuti). Procedura. Questo rituale prevede di riempire di acqua un recipiente consacrato (in greco lekane), aggiungervi dell’olio anch’esso consacrato e osservare come l’olio si distribuisce nell’acqua: se in goccioline o larghi agglomerati, oppure se si formano delle strisce o delle figure oppure, infine, se l’olio affonda. Responso. Un I grado di successo permette all’officiante di ottenere un responso favorevole (fas) o sfavorevole (nefas) riguardo una persona, un fatto, un’azione imminente o da poco accaduta, e di percepire se una o più divinità sono favorevoli, indifferenti o sfavorevoli all’oggetto della divinazione. Non vi è differenziazione in base al grado di successo. Costo di apprendimento. 60 Punti Curriculum. Ã PEGOMANZIA Discipline. Idromanzia (SD 6). Costo. 3 Pietas. Durata. Brevissima (pochi istanti). Procedura. Per questa divinazione è sufficiente gettare un qualunque oggetto nell’acqua calma di una comune fontana (in greco peghè). Il vaticinio è dato dall’osservazione del comportamento dell’acqua dopo l’immissione degli oggetti e consente di ottenere un responso favorevole o sfavorevole riguardo una persona, un fatto, un’azione imminente o da poco accaduta. Questo era il rituale preferito dall’Imperatore Tiberio, che lo praticava con i dadi da gioco. Responso. Favorevole (fas) o sfavorevole (nefas). Non vi è differenziazione in base al grado di successo. Costo di apprendimento. 60 Punti Curriculum. RITUALI DI IDROMANZIA


168 NUOVE REGOLE L’EVOCAZIONE DELLE FOLGORI Gli Etruschi conoscevano il segreto per evocare le folgori. Lo scoprì Porsenna e vi ricorse per eliminare un terribile mostro che si avvicinava alla città di Bolsena dopo averne devastato le campagne. Con la scomparsa della civiltà etrusca, tale conoscenza fu persa: i Romani conservarono solo l’abilità di interpretare il significato delle folgori al loro apparire nel cielo (rituale dell’Ars Fulguratoria) e dimenticarono come evocarle. Esiste un solo modo tramite il quale i personaggi potrebbero, però, venire a conoscenza del segreto di Porsenna: il ritrovamento della Lamina di Pursna (vedere pag. 187). Nella sua Naturalis Historia, Plinio il Vecchio sostiene che esistono tre tipi di folgori: secche, che non scottano ma dissolvono; umide, che non bruciano ma anneriscono; chiare, che colpiscono solo i contenuti delle cose ma lasciano intatti i contenitori. La Lamina di Pursna insegna come evocare ciascuno di questi tipi. Qualora i Custodes giungano in possesso della lamina e siano in grado di comprendere la lingua etrusca, possono decidere di applicarsi nello studio dei tre rituali di evocazione. La Specializzazione applicabile al tiro per officiarli è Evocazione delle Folgori. Nota. Alla disciplina dell’Evocazione delle Folgori non corrisponde una specifica Soglia di Difficoltà, bensì la difficoltà varia a seconda delle condizioni climatiche, secondo la tabella seguente. DIFFICOLTÀ DI EVOCAZIONE DELLE FOLGORI Clima SD Sereno e secco 12 Nuvoloso 9 Piovoso o temporalesco 6


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170 NUOVE REGOLE INCUBATIO FAUNI Ã EVOCAZIONE DELLE FOLGORI (CULTI TOLLERATI) Disciplina. Evocazione delle Folgori (SD variabile). Costo. 3 Pietas. Durata. Brevissima (3 tempus). Procedura. Per qualunque dei rituali sotto descritti, valgono le seguenti regole. Il personaggio si concentra per tre tempus sul tipo di folgore che vuole evocare; durante il periodo di concentrazione, l’evocatore non deve essere disturbato: se per esempio viene attaccato in combattimento, il rituale è interrotto e deve essere ricominciato da capo. Al terzo tempus, il Custos effettua un tiro di De Magia (SD variabile a seconda delle condizioni climatiche, vedere tabella sopra). All’aperto si possono evocare folgori di tutti i tipi, mentre in stanze prive di finestre aperte si possono evocare solamente folgori umide. Effetto. Se il rituale riesce si hanno gli effetti di seguito elencati in base al tipo di folgore, e non possono essere effettuati nuovi tentativi di evocazione per il resto della giornata. B Folgori secche. Il bersaglio viene colpito da un’ondata di calore. Se è un oggetto, si fonde o si incendia, a seconda del materiale: per esempio vetro e metalli si fondono, carta e legno prendono fuoco. Se il bersaglio è una creatura, subisce 12 Punti Dado di danni per ogni grado di successo ottenuto dall’officiante (l’armatura non protegge); il bersaglio può effettuare un tiro di Coordinatio per dimezzare i danni ricevuti (arrotondando per eccesso) oppure per annullarli completamente ottenendo un III grado di successo. B Folgori umide. Il bersaglio viene colpito da una nube di vapore bollente generata dalla folgore. Se è un oggetto, si danneggia come se fosse stato esposto a un forte calore per alcuni secondi, ma non dato alle fiamme: il metallo si arroventa ma non fonde, il legno e la carta anneriscono in più punti. Se il bersaglio è una creatura, subisce 12 Punti Dado di danni per ogni grado di successo ottenuto dall’officiante (l’armatura non protegge); il bersaglio può effettuare un tiro di Vigor per dimezzare i danni ricevuti (arrotondando per eccesso) oppure per annullarli completamente ottenendo un III grado di successo. B Folgori chiare. Il bersaglio viene colpito da una folgore, ma non sembra subire altro effetto che una scossa di lieve entità a meno che non si trovi racchiuso in un involucro metallico. Se è un contenitore, resta intatto, ma nel caso in cui sia fabbricato in metallo gli oggetti che contiene si fondono o dissolvono, a seconda del materiale. Se il bersaglio è una creatura, subisce 8 Punti Dado di danni per ogni grado di successo ottenuto dall’officiante (l’armatura non protegge; raddoppiare i danni nel caso il bersaglio indossi un’armatura metallica); non è concesso alcun tiro per ridurre i danni. Se tiro di De Magia fallisce di 3 punti o meno, non giungono folgori; se fallisce di 4 punti o più, la folgore colpisce l’officiante anziché il bersaglio predestinato. Costo di apprendimento. 120 Punti Curriculum. ALTRI RITUALI DEL CULTO UFFICIALE Ã INCUBATIO FAUNI Discipline. Interpretazione dei Sogni (SD 6). Costo. 9 Pietas. Durata. Media (un’ora). Procedura. Questo rituale divinatorio permette di creare le condizioni per generare un sogno premonitore a richiesta. Differisce dalla normale procedura della Somnii Interpretatio (vedere Manuale Base) nel fatto che si richiede specificamente al dio Fauno di mandare un sogno per sciogliere un interrogativo chiaramente espresso. Per fare ciò il postulante deve dormire in un bosco dopo aver compiuto sacrifici a Fauno. Durante il sonno il dio penetrerà nella mente del richiedente e darà la risposta, con lo stesso dettaglio della domanda. Si potrà cioè essere molto specifici e chiedere indicazioni accurate. Responso. Più elevato è il grado di successo, più il responso è dettagliato e chiaro da comprendere. Costo di apprendimento. 60 Punti Curriculum.


171 NUOVE REGOLE Nota. Questo rituale è comunque una procedura rischiosa. Benché il dio sia propizio e ben disposto a entrare in contatto con il postulante, il potere che lo circonda, in quanto manifestazione delle potenze naturali, è travolgente. Il dialogo che si intreccia tra la debole mente umana e l’essenza del dio può provocare danni anche senza che Fauno ne abbia volontà: in termini di gioco, se il tiro di De Magia fallisce si può perdere il senno o rimanere “bloccati” nel sogno, fallendo un tiro di Ratio (SD 6). In entrambi i casi, il giocatore perde il controllo del proprio personaggio fino a quando riceverà cure adeguate (a discrezione del Demiurgo). Ã LUSTRATIO AQUAE ET IGNIS Discipline. Favore degli Dei (SD 6). Costo. 9 Pietas. Durata. Lunga (alcune ore). Procedura. La normale lustratio è un rito di purificazione che comunemente si esegue spruzzando acqua cerimoniale su persone, oggetti o luoghi che devono essere liberati da malocchi, maledizioni, empietà varie. La lustratio di acqua e fuoco è invece un rito molto raro, di solito eseguito soltanto nelle feste del dio Pales: l’uso simultaneo di acqua e fuoco, due elementi opposti ma senza i quali la vita è impossibile, esprime la dualità che contraddistingue questo dio. È possibile eseguirla anche in altre date, purché accompagnando il rito con invocazioni a Pales e seguendo con attenzione la procedura antica. Si procede così: si circonda il campo o l’ovile o l’area prescelta con una sottile striscia di una polvere fatta di rametti di olivo, alloro, erbe locali e zolfo. Si dà quindi fuoco a questo “confine” mentre si spruzzano le greggi e i campi con acqua purificata. Le ceneri vengono disperse dal vento oppure si lascia che le zampe degli animali (o i piedi dei partecipanti al rito) le spargano liberamente. Si recita quindi una speciale preghiera a Pales rivolgendosi a oriente. Effetto. Questo rito aiuta a placare spiriti dei boschi o delle acque che siano stati inavvertitamente offesi e protegge i campi per tutto l’anno a venire. Può essere utilizzato anche per: B riconsacrare un’area dove si sia compiuto un sacrilegio o un’azione empia o contraria alla pax deorum (se uno o più dèi erano ostili o indifferenti, questo rituale ne ripristina il favore); B ripulire un luogo dove abbia dimorato un demone o altra creatura malvagia evitando eventuali ritorni (per un anno, Demoni e Non Morti non potranno manifestarsi nella zona); B estinguere per sempre l’influsso di un dio malvagio da un luogo a lui consacrato (evitando la perdita di Pietas o la condizione Maledetto causate dall’attraversarlo); B rafforzare il potere dei confini (aumentando di 1 livello la difficoltà di qualunque tiro effettuato per oltrepassarli): alcuni comandanti di origine laziale fanno tutt’ora eseguire il rito lungo le mura dei propri castra ovunque essi siano. Costo di apprendimento. 60 Punti Curriculum. NUOVI INDIGITAMENTA Questi Indigitamenta sono relativi a divinità che pur facendo parte a buon diritto degli dèi Indigetes sono ormai quasi dimenticati dalle genti dell’Impero. Fanno, infatti, parte della più arcaica storia di Roma e sono fortemente legati ai territori italici e soprattutto dell’antico Latium. A essi si applicano le normali regole degli Indigitamenta degli dèi Indigetes (vedere Manuale Base). Ã DIANA LUCINA (CHE CONDUCE ALLA LUCE) Nel Latium più arcaico la dea Diana veniva venerata come colei che squarcia la tenebra, reale o figurata, e conduce fuori dal buio. Virtus. Sensibilitas Costo. 3 Pietas. Requisiti. Dopo che l’invocatore ha effettuato un qualunque tiro. Effetto. L’invocatore guadagna sensi acuti e una straordinaria lucidità di intelletto, e somma il risultato del tiro di Sensibilitas legato all’invocazione a quello del tiro precedente. LUSTRATIO AQUAE ET IGNIS


172 NUOVE REGOLE


173 NUOVE REGOLE Ã FERONIA REGINA LIBERTATIS (REGINA DELLA LIBERTÀ) Feronia è una dea selvaggia che non sopporta di essere costretta o legata. Chi la invoca potrà liberarsi da qualunque costrizione. Virtus. Auctoritas Costo. 3 Pietas. Effetto. Per ogni grado di successo ottenuto nel tiro, l’invocatore può liberare una creatura (compreso se stesso) da un giogo fisico di qualunque tipo (come corde, catene, ecc.), oppure dagli effetti dei poteri magici di Blocco (nuovo potere descritto a pag. 192), Paralisi e Pietrificazione. In aggiunta, i beneficiari avranno automaticamente successo nei tiri di resistenza contro i poteri sopra elencati fino all’alba o al tramonto successivi (a scelta dell’invocatore). Ã OPS MATER ABUNDANTIAE (MADRE DELL’ABBONDANZA) Ops è spesso invocata come Domina Abundantia, la signora della ricchezza. Per questo chi la invoca in questa forma avrà garantita una resistenza simile a quella che viene fornita dal buon cibo anche in mancanza di alcun nutrimento. Virtus. Vigor Costo. 3 Pietas. Effetto. Per 3 giorni per ogni grado di successo ottenuto nel tiro l’invocatore non necessita di mangiare o bere, ignora gli effetti della condizione Debilitato (anche come parte di altre condizioni) e gode sempre dei benefici di un riposo in un luogo confortevole. In alternativa, Ops potrebbe essere invocata come Ops Mater Turrita, in relazione al fatto che è la protettrice delle fortificazioni, delle cinte murarie che assicurano la difesa della vita civilmente ordinata. In tal caso, gli effetti descritti sopra si applicano a un luogo scelto dall’invocatore (e a tutti coloro all’interno di quel luogo) anziché all’invocatore stesso. Ã PALES UNUS ET MULTIPLEX (UNO E MOLTEPLICE) Pales è una divinità di cui non è nota la natura. Il nome è sia maschile che femminile, singolare e plurale. L’invocazione riversa un po’ di questa natura mista e imprevedibile sull’invocatore che può produrre un’illusione per moltiplicare la propria immagine, producendo copie di sé del tutto uguali. Virtus. Ingenium Costo. 3 Pietas. Effetto. L’invocatore crea una immagine di sé per ciascun grado di successo ottenuto nel tiro. Le immagini sono immateriali e perfettamente identiche all’invocatore e non c’è modo di distinguerle dall’originale (se non verificandone l’intangibilità). Un’immagine può muoversi e parlare secondo i desideri dell’invocatore entro breve distanza da esso: può ingaggiare o essere ingaggiata da un avversario e usa gli stessi punteggi di De Bello (o De Corpore) dell’invocatore per difendersi (eventuali bonus alla Parata o Abilità in Combattimento non sono applicabili), ma non può infliggere alcun danno né fornire alcun bonus derivante dal combattimento in superiorità numerica. Un qualunque attacco a segno contro l’immagine la dissolve (anche se non dovesse infliggere alcun danno), così come qualsiasi potere magico che infligga danni. Le immagini si dissolvono automaticamente dopo pochi minuti, oppure al termine del combattimento. Ã SILVANUS FINIUM TUTOR (CUSTODE DEI CONFINI) Nei tempi antichi, Silvano era considerato il protettore dei confini. Edicole dedicate al dio, a volte semplici paletti rozzamente scolpiti, venivano poste a segnare il limite tra campi coltivati o pascoli e le selvagge foreste. Silvano verifica, infatti, che vengano rispettati i confini tra il regno delle potenze antiche e quello degli uomini e che tutto resti in equilibrio e che ogni sfera (naturale, umana, divina) sia rispettata. Virtus. Ratio Costo. 3 Pietas. Effetto. L’invocatore traccia un confine invisibile a protezione di un luogo (un accampamento, un’abitazione, l’ingresso di una grotta). Per un numero di ore pari al grado di successo ottenuto nel tiro, nessuna creatura può oltrepassare il confine senza il permesso dell’invocatore. Ã VERTUMNUS DOMINUS MUTATIONIS (SIGNORE DEL MUTAMENTO) Nel nome latino di questo antico dio è contenuta la radice del verbo vertere, ovvero “mutare”, “cambiare” ma anche “far tornare indietro”. La sfera di competenza del dio riguarda quindi tutto ciò che cambia, comprendendo in questo senso sia il cambiamento verso una nuova forma che, al contrario, il ritorno a una forma precedente. Virtus. Coordinatio Costo. 3 Pietas. Effetto. L’invocatore può prendere le sembianze di un’altra persona, purché l’abbia già vista almeno una volta con i suoi occhi (non valgono ritratti, anche perfettamente eseguiti), oppure di un animale (ma non un animale mostruoso, sacro o una creatura fantastica). Se la forma scelta è quella di un animale, fare riferimento alle regole riportate nella descrizione del potere magico Metamorfosi su Altri (pag. 192). La trasformazione dura per un numero di ore pari al grado di successo ottenuto nel tiro. In alternativa, il Custos può usare l’invocazione per cancellare gli effetti dei poteri magici di Metamorfosi e Metamorfosi su Altri su un numero di creature pari al grado di successo ottenuto nel tiro. NUOVE SPECIALIZZAZIONI Ã ASTRONOMIA (DE SCIENTIA). Possedere questa Specializzazione consente di individuare la posizione dei pianeti, delle stelle e delle costellazioni celesti. Queste conoscenze permetteranno di orientarsi meglio di notte, prevedere eclissi e cicli lunari, calcolare la posizione degli astri nel cielo, redigere oroscopi. Possedere la Specializzazione abbassa di un livello la SD delle divinazioni basate sul rituale di Sideratio.


174 NUOVE REGOLE Ã MATEMATICA (DE SCIENTIA). Rappresenta la capacità di calcolo e di risoluzione di problemi legati all’aritmetica e alla geometria. Il Custos può utilizzarla per valutare distanze, aree e volumi; verificare con precisione resoconti commerciali; risolvere indovinelli basati sui numeri. A discrezione del Demiurgo, la Specializzazione può essere utilizzata a supporto di altre Specializzazioni scientifiche (es. Astronomia, Decifrare, Architettura). NUOVO EQUIPAGGIAMENTO Ã DISCI SOLARES (SPECCHI DI ARCHIMEDE PORTATILI) I disci solares, "dischi solari" (sing. discus solaris) sono una versione più piccola dei grandi specchi solari che l'inventore Archimede fece montare sulle mura di Siracusa per bruciare le navi romane. Questi sono portatili e utilizzabili dalle truppe in qualunque luogo debbano operare. Richiedono solo un semplice treppiede per essere posizionati e, anche se non si possono usare in movimento, sono tuttavia molto versatili e adatti a ogni tipo di terreno. La loro caratteristica specifica è di canalizzare il riflesso della luce solare in un fascio luminoso molto concentrato e sottile che può essere facilmente puntato su un bersaglio abbastanza ridotto. Un discus solaris è costituito da una serie di spicchi di metallo estremamente lucido che consente di richiuderlo come un ventaglio. Quando si vuole utilizzare un discus si aprono gli spicchi e si agganciano in modo da formare un’unica superficie specchiata rotonda. Il tutto poi si monta su un treppiede, anch’esso pieghevole. Questi specchi sono leggermente concavi al centro quindi raccolgono facilmente il calore del sole. Inoltre, la superficie metallica è cosparsa da una sostanza segreta, ideata da Archimede, una specie di vernice catarifrangente che amplifica la luce. Sono, quindi, più efficaci di un semplice specchio casalingo e il raggio che producono è molto più intenso come calore e come gittata. Il danno che provocano, inoltre, è quasi immediato, non occorre lasciare il raggio puntato sul bersaglio per molto tempo come nel caso degli specchi normali. Ne esistono di diversi diametri: A Discus bessalis. Ha un diametro di 2/3 di piede (20 cm). Non viene utilizzato come arma ma come meccanismo di segnalazione in codice (vedere riquadro). È utilizzabile anche di notte poiché lo speciale trattamento della superficie amplifica i raggi della luna in modo da emettere luce come una piccola fiaccola fredda. Naturalmente la luna deve essere presente e visibile, quindi il disco può operare con efficacia solo in presenza di almeno un quarto di luna e cielo sereno. Rispetto a una fiaccola ha il vantaggio di non necessitare di materiale di accensione e non produce fumo o odori di combustione. A Discus pedalis. Ha un diametro di 1 piede (30 cm), è utilizzabile anche a meno libera, purché molto ferma. Produce un raggio molto sottile che può colpire con efficacia un bersaglio lontano 100 piedi (30 metri), perforando materiali come carta, legno o vetro (lo surriscalda fino a farlo incrinare e esplodere). In termini di gioco, il discus pedalis infligge 1d6 danni per tempus (l’armatura protegge normalmente). A Discus sesquipedalis. Ha diametro di 1,5 piedi (45 cm). Produce un raggio robusto che può raggiungere i 200 piedi (60 metri), perforando una spessa porta di legno o il fianco di un grosso carro, danneggiando una parte di una macchina da guerra o incendiando un materiale infiammabile. In termini di gioco, il discus sesquipedalis infligge 2d6 danni per tempus entro 100 piedi e 1d6 danni per tempus entro 200 piedi. A Discus bipedalis. Ha un diametro di 2 piedi (60 cm): raggiunge i 300 piedi e mantiene abbastanza potenza da perforare un tetto o il fianco di una piccola nave. In termini di gioco, il discus bipedalis infligge 3d6 danni per tempus entro 100 piedi, 2d6 danni per tempus entro 200 piedi e 1d6 danni per tempus entro 300 piedi. Poiché l’utilizzo di questi meccanismi è legato alla presenza della luce solare non è possibile utilizzarli di notte (a parte la variante “bessalis”). Resta possibile usarli con tempo atmosferico non perfetto poiché la speciale sostanza di cui sono rivestiti i dischi riesce a assorbire la luce con più efficienza rispetto a uno specchio normale, ma con un effetto ridotto: con cielo nuvoloso, il danno viene diminuito di 1d6 (rendendo quindi inservibile il discus pedalis); con copertura totale (pioggia), il danno viene diminuito di 2d6 (rendendo quindi inservibili il discus pedalis e il sesquipedalis).


175 NUOVE REGOLE SEGNALI IN CODICE Per comunicare a distanza con segnali luminosi è necessario che entrambe le parti coinvolte nella comunicazione si accordino sul sistema di codifica alfabetica. Il metodo più usato è quello dell’“alfabeto quadro”, che prevede di inserire le lettere in una griglia: Ogni lettera è quindi identificata da due numeri, uno sulla colonna verticale e uno sulla riga orizzontale. Volendo scrivere la parola “legio” si userà questo codice: I/ III – V/I – II/II – IV/II – IV/III Il segnalatore dovrà quindi scoprire lo specchio (o la fiaccola, per sistemi più tradizionali) dapprima una volta per indicare che la prima lettera è nella colonna 1, poi tre volte per indicare che si tratta della terza lettera dall’alto, e così via. Le pause tra l’indicazione di riga e colonna sono minori di quelle che suddividono le singole lettere. Per maggiore sicurezza, ci si può accordare su un sistema diverso di distribuzione delle lettere sulla tabella, ottenendo così comunicazioni cifrate. Lo stesso sistema si può utilizzare anche con suoni o colpi di tamburo: il testo resta cifrato ma, ovviamente, si perde la segretezza della comunicazione. Nota. per semplificare l’utilizzo della griglia si è scelto di utilizzare tutte le lettere presenti nell’alfabeto moderno più un segnale di fine messaggio. Se il Demiurgo preferisce essere più aderente alla tradizione latina può modificare il quadrato eliminando la “w” e il segnale di fine, riposizionando in maniera adeguata le altre lettere.


176 NUOVE REGOLE NUOVE ARMI Ã ASCIA MAMERTINA È una piccola ascia bilama ideata e sviluppata dai mercenari Mamertini. È la loro arma caratteristica e la portano sempre infilata alla cintura. Ogni guerriero decora in maniera personale il manico e la lama, sicché ciascuno può riconoscere la sua arma anche in mezzo a tante apparentemente uguali. Ã SPADA CAMUNA Le spade camune assomigliano in dimensioni al gladius. Per i gusti romani hanno un aspetto un po’ “barbaro”, con una strana elsa che termina in una doppia spirale. Sono spesso ingioiellate con pietre preziose e le più pregiate hanno decorazioni d’ambra. Le lame sono sempre ricoperte di “glifi”, simboli composti da segni nell’antica lingua dei Camuni. È difficile dire se questi simboli sulle spade siano solo decorativi, o indichino il nome del primo proprietario o del fabbro che la realizzò, o infine se siano segni magici. Certo è che nessuno degli abitanti della Valle Camunia venderà mai una di queste spade. Non c’è neppure modo di ottenerne una nuova, perché i locali dicono che nessuno sappia più costruirne una. A parte queste caratteristiche, puramente estetiche, un particolare rende le spade camune del tutto diverse da altre spade pregiate: la lama è di un metallo lucentissimo, più chiaro del comune ferro, inattaccabile dalla ruggine. Questo metallo conferisce alle spade camune anche la particolarità di essere insolitamente robuste pur restando leggere. Esse, infatti, sono state create in tempi molto antichi per contrastare i mostri delle montagne camune, i Badalisci, che hanno pelle di pietra e si dice possano essere feriti solo da queste spade. L’ASCIA DEI MAMERTINI L’ascia mamertina è un’arma molto personale, non soltanto perché viene portata sempre addosso ma anche perché è una specie di “alter ego” di ogni guerriero. Gli viene consegnata al compimento dei sedici anni, cioè alla maggiore età, che tra loro è leggermente anticipata rispetto alla legge romana. Lo accompagnerà poi nella tomba come unico corredo. I Mamertini la usano nello stesso modo in cui altre popolazioni usano il pugnale ed è utilizzata anche nella vita di tutti i giorni, per esempio per tagliare la legna o cacciare piccoli animali. Viene inoltre utilizzata come arma da lancio sia in battaglia che per divertimento e sfida tra compagni d’arme. Se un’ascia viene danneggiata al punto di non poter più essere utilizzata, il guerriero la seppellisce in una piccola cerimonia funebre a cui partecipano i commilitoni e gli amici più cari. Anche se potrà farsene realizzare una nuova il legame non sarà più lo stesso. Perdere la propria ascia è un po’ come perdere un pezzetto di anima ed è considerato un terribile presagio che annuncia una morte imminente. Nonostante questo intenso legame, non è impossibile per una persona estranea ai Mamertini procurarsi una delle loro asce. Da bravi mercenari le vendono volentieri e anzi, le fanno pagare care! Non sono preoccupati dal fatto che qualcun altro possa avere nelle mani la loro arma più caratteristica. Sono comunque certi che nessuno saprebbe mai utilizzarla come loro. Quello che non rivelerebbero mai sono le tecniche segrete di utilizzo, la speciale “arte marziale” che consente loro di utilizzare l’ascia al suo meglio e che comunque va appresa in lunghi anni di esercizio.


177 NUOVE REGOLE Ã FUSTIBALUS Si tratta di una fionda speciale dotata di un’impugnatura di legno. È costituita da un lungo bastone, circa 5 piedi (1,5 m.), alla cui estremità è fissata una sottile striscia di cuoio morbido o corda di canapa. A metà della striscia c’è un alloggiamento a cucchiaio detto habena, in cui si colloca il proiettile. Il fromboliere, quindi, tiene in mano il bastone e imprime una forte rotazione alla fionda, poi lancia. Un fustibalus può essere utilizzato anche come arma ravvicinata, con valori del tutto identici a quelli di un randello (Danno 4, Ingombro 2, Versatile). ARMI RAVVICINATE Arma Danno/Difficoltà Ingombro Caratteristiche Ascia Mamertina 5/7 2 Ancestrale*, Da Lancio Spada Camuna 6/8 2 Ancestrale* ARMI A DISTANZA Arma Danno/Difficoltà Ingombro Gittata Caratteristiche Fustibalus 5 2 Lunga A due mani LE GLANDES ARGENTAE Le glandes argenteae sono proiettili utilizzabili sia con le fionde tradizionali che con i fustibali. Una glans argentea è biconica, con due estremità appuntite, forgiata con una lega d’argento e piombo. Alcune creature soprannaturali, come i Versipellis, sono particolarmente vulnerabili contro questi proiettili a causa della presenza dell’argento che sopprime il loro potere di Rigenerazione. Tuttavia, sulle glandes argentae possono anche essere incise parole magiche specifiche per altre categorie di creature, che permettono di ignorare i loro poteri di Invulnerabilità e Rigenerazione. Per esempio, alcune glandes possono avere iscrizioni contro i non morti, altre contro i mutaforma come i berserkir nordici. Solitamente, questi proiettili incantati vengono venduti a caro prezzo e non più di 5 alla volta (possono comunque essere recuperati alla fine di ogni combattimento).


178 NUOVE REGOLE NUOVE CARATTERISTICHE DELLE ARMI Ã ANCESTRALE Un’arma Ancestrale possiede dei segreti nel suo utilizzo conosciuti solamente dal popolo che l’ha creata. I valori base ne rappresentano l’uso senza addestramento: l’arma ottiene +2 Danno se il personaggio che la impugna si è esercitato a lungo con essa, spendendo un numero di Punti Curriculum tra quelli accumulati in De Bello pari al valore di Difficoltà dell’arma X 10. A seconda delle circostanze, vanno applicate le seguenti modifiche: A se il personaggio viene istruito da un maestro, il costo di addestramento si abbassa di 30 PC; A se il personaggio non è Expertus nell’uso dell’arma (ovvero, il suo De Bello non è pari o superiore al doppio della Difficoltà dell’arma), il costo di addestramento si alza di 60 PC. NUOVE ARMATURE Ã LORICA PECTORALIS Questa armatura deriva dalla piastra pettorale tipica dell’equipaggiamento degli antichi Sanniti e rispetto alle normali Loricae sacrifica parte della propria copertura e affidabilità in favore di un minore ingombro. A Una Lorica Pectoralis fornisce il suo valore di Protezione come di norma, ma solo i tiri di Protezione che hanno superato la metà di quel valore vanno conteggiati al fine di ridurre i danni subiti. Esempio. Un personaggio che indossa una Lorica Pectoralis Temperata (Protezione 6) non riduce alcun danno se ottiene 1, 2 o 3 con il tiro di protezione, mentre riduce normalmente i danni se ottiene 4, 5 o 6. Grazie alla sua leggerezza la Lorica Pectoralis è facilmente occultabile sotto vestiti pesanti o da viaggio, il che la rende l’armatura preferita dagli agentes in rebus o da coloro che svolgono incarichi sotto copertura. La sua segretezza la rende indispensabile anche per la protezione dell’Imperatore quando questi non può presentarsi in armatura militare: alle cerimonie religiose, a corte, al ricevimento di personaggi illustri, al circo e all’anfiteatro. In questi casi, sotto la tunica di seta purpurea, l’Imperatore indossa un rarissimo modello di Lorica Pectoralis sviluppato dai Pitagorici di Kroton, realizzato in due soli esemplari (uno per l’Imperatore e uno per il suo primogenito) avente Protezione 12 e Ingombro 4. ARMATURE Armatura Protezione/Ingombro L. Pectoralis Simplex 4/3 L. Pectoralis Temperata 6/4 L. Pectoralis Duplex 8/5 L. Pectoralis Triplex 10/6


179 NUOVE REGOLE NUOVI OGGETTI MAGICI ALEA CAESARIS (IL DADO DI CESARE) Alea iacta est: questa fatidica frase di Cesare è passata alla storia come un modo per dire che ormai una decisione importante è stata presa e non si può più tornare indietro. Il dado è stato gettato, e come in un gioco d’azzardo ci si deve prendere le responsabilità per un gesto che può portare grandi guadagni ma anche la rovina più totale. Eppure, forse Cesare non parlava in modo figurato. Alcuni cercatori di oggetti magici, da qualche tempo, ricollegano la frase alla pratica divinatoria detta idromanzia e in particolare ad una variante di questa, la pegomanzia (vedere pag. 109). Questa pratica si esegue gettando oggetti nell’acqua e osservando le reazioni sia degli oggetti che dell’acqua stessa. In passato sono stati utilizzati a questo scopo anche i dadi da gioco. Costoro, quindi, ipotizzano che Cesare abbia gettato nelle acque del Rubicone un dado speciale, adatto a fornire predizioni molto accurate a coloro che lo sappiano utilizzare in modo corretto. Alcuni si spingono a identificare questo oggetto con il dado con cui il re Atys di Lydia prese la decisione di inviare il proprio figlio Tyrrhenus in Italia, a fondare il popolo che oggi chiamiamo Etruschi. Si ipotizza, infatti, che tale dado possa aumentare le capacità predittive se utilizzato in un ambito dove le forze soprannaturali sono più presenti. Il confine magico del Rubicone avrebbe offerto a Cesare l’ambiente perfetto per ottenere la predizione più completa in quel difficile frangente. Non è inconsueto, dunque, incontrare alcuni cercatori di oggetti magici sulle rive del Rubicone: perlustrano il tratto in cui si dice che il condottiero si fosse accampato mentre attendeva le comunicazioni del Senato. Secondo loro, il dado di Cesare è ancora lì. A Per ottenere predizioni bisogna porre un quesito, tirare il dado nell’acqua e osservare come cade. Il dado però deve essere utilizzato in un ambiente vibrante di forze soprannaturali, uno specchio d’acqua in qualche modo connesso con creature ultraterrene o, come fece Cesare, un fiume consacrato. Il risultato è del tutto analogo a quello di un rituale di Pegomanzia (vedere pag. 167) effettuato con successo. A In alternativa, un Custos che conosca il rituale di Pegomanzia può utilizzare il dado di Cesare per potenziarne il responso. Chi riesce in un rituale di Pegomanzia usando il dado di Cesare riceve informazioni e ispirazione per l’avventura in corso: tale vantaggio si concretizza nel tiro da parte del Custos di 1d6, il cui risultato si va a sommare a quello di eventuali tiri per azioni collegate alle persone o ai fatti su cui il rituale è stato effettuato. ALI DI DEDALO Per utilizzare le ali di Dedalo occorre innanzi tutto convincere i sacerdoti del Tempio di Apollo a prestarle, cosa che avviene con molta difficoltà e comunque solo dopo un tiro riuscito di Auctoritas o De Societate (SD 18; con un'ottima ragione o un mandato imperiale è possibile ridurre la SD a 9). A L'aspirante aeronauta deve godere del favore di Apollo per poter utilizzare efficacemente le ali. Si considera che, grazie ai loro riti di consacrazione, tutti i Custodes godano normalmente di questo favore. Tuttavia, in caso di indifferenza o di ostilità da parte di Apollo (o più in generale, degli dèi del pantheon romano), benché le ali siano utilizzabili ugualmente la difficoltà di ogni tiro che verrà effettuato per decollare o durante il volo aumenta di un livello. Il modo migliore per decollare con queste ali è lanciarsi da un'altura o da un luogo sopraelevato, superando un tiro di Coordinatio o De Corpore (SD 3). Se il tiro fallisce, inutile dirlo, si precipita disastrosamente (andando quasi certamente incontro alla morte). In mancanza di luoghi elevati, si può partire da un posto pianeggiante e sgombro per qualche metro, purché si attenda di avere un vento forte e propizio. Si prende poi la rincorsa sbattendo energicamente le ali e con un agile balzo ci si può staccare dal suolo. Così fecero Dedalo e Icaro per fuggire dal Labirinto, non avendo punti elevati da cui saltare giù. Per decollare con questo sistema occorre riuscire in un tiro di De Corpore o Vigor (SD 6). Fatto importante: il vento propizio deve essere forte e "teso", cioè non a raffiche, e venire incontro all’aeronauta in rincorsa. Partire con la rincorsa quando il vento è debole o a raffiche, o con vento laterale o alle spalle, equivale a fallire automaticamente il tiro per decollare. I personaggi che riescono in un tiro di De Natura o De Scentia (SD 6) potranno intuire tutto ciò; gli altri dovranno fare di testa loro, e sarà il Demiurgo a valutare l’esito più o meno fortunato delle loro azioni. Ã VOLARE PER I CIELI Volare non è affare per tutti e durante il volo sono innumerevoli le difficoltà che si presentano all’ardimentoso aeronauta. Si può incappare in uno stormo di uccelli che confonde la vista e l’assetto di volo; si può essere attaccati da uccelli predatori, che anche se non di grandi dimensioni possono ugualmente mettere in difficoltà l’aeronauta e ferirlo, e giungere persino a tranciare i laccioli di cuoio che fissano le ali al corpo; può succedere di attraversare banchi di nuvole temporalesche, che possono bagnare le piume causando così la perdita di portanza delle ali o addirittura scaricare sull’aeronauta folgori pericolosissime. Ugualmente pericoloso è il ghiaccio; inutile citare poi il caldo eccessivo e i suoi effetti. Inoltre, l’aeronauta può essere vittima di un attacco di mal d’aria: esso può pregiudicare il corretto utilizzo delle ali e confondere il senso dell’orientamento. È possibile volare a tre livelli di quota: bassa (fino a poche centinaia di metri da terra), media (fino a un migliaio di metri da terra), alta (oltre i mille metri da terra). Volare per troppo tempo a quota alta


180 NUOVE REGOLE di giorno significa far sciogliere la cera e precipitare. In regioni molto calde come le province africane e del vicino Oriente, nonché le regioni meridionali d’Italia, la quota media è altrettanto letale. Per vedere se l’aeronauta riesce a sostenersi senza perdere le forze o farsi cogliere dal mal d’aria, vanno effettuati continuamente tiri di Vigor (SD 3 a bassa quota, SD 6 a media quota, SD 9 ad alta quota) a intervalli di un’ora. Comprensibilmente sono fortemente penalizzati gli aeronauti che indossano pesanti armature (Protezione 5 o superiore): in tutti questi casi la difficoltà dei tiri viene aumentata di un livello. Se il personaggio fallisce il tiro, perde un livello di quota; se si trovava a bassa quota, deve effettuare immediatamente un tiro di Coordinatio (SD 6) per evitare di precipitare al suolo subendo 6d6 danni (è possibile effettuare un ultimo, disperato tentativo di attutire la caduta, superando un tiro di De Corpore contro SD 9, per dimezzare i danni). Se si precipita in acqua o su altre superfici in grado di attutire la caduta, i danni sono ridotti a 3d6 (dimezzabili con un tiro di De Corpore contro SD 6). Ogni volta che l’aeronauta deve effettuare una manovra, deve superare un tiro di Coordinatio o De Corpore. La Soglia di Difficoltà è pari a 3 per manovre semplici come atterrare, cambiare quota o direzione, ecc., oppure a 6 (o più) per manovre più complesse o repentine. Se il tiro fallisce, si applicano le medesime conseguenze descritte sopra nel caso di fallimento del tiro di Vigor. Inutile dire che un aeronauta impegnato nel volo non può combattere in alcun modo. Ã COSTRUZIONE DI NUOVE ALI Se si ha avuto modo di esaminare attentamente le ali di Dedalo, è possibile tentare la costruzione di uno o più paia di ali simili. Per costruirle si dovrà disporre di una sufficiente quantità di cera d’api purissima, nonché di penne e piume di uccelli di grandi dimensioni come pellicani, avvoltoi, albatros e così via. Si dovrà costruire la struttura in modo corretto, pena l’impossibilità di volare: per fare ciò, è necessaria un’azione prolungata di De Scientia (SD 12, 6 successi richiesti, ogni tiro equivale a una giornata di lavoro; fallire più di 3 tiri equivale a dover ricominciare da capo, procurandosi nuovamente tutti i materiali richiesti). Una volta costruite, è necessario consacrare le ali ad Apollo: il rituale di consacrazione può essere effettuato solamente da un personaggio dotato di una qualsiasi invocazione (indigitamentum) di Apollo, il quale dovrà superare un tiro di De Magia (SD 12): se il tiro fallisce, le ali non potranno mai volare e sarà necessario ricominciare da capo. Quando le ali vengono costruite, il Demiurgo effettua in segreto un tiro di Ingenium (SD 9) per il personaggio che le fabbrica. Se il tiro fallisce, le ali sono difettose: con un qualunque fallimento in un tiro per decollare o effettuare una manovra, le ali si rompono e l’aeronauta precipita al suolo. Poiché le ali costruite artigianalmente non saranno mai ben fatte come quelle di Dedalo, i tiri per decollare e volare verranno effettuati come se si usassero quelle originali ma con un ulteriore aumento della difficoltà di un livello. Per una buona impresa l’aeronauta deve guadagnarsi il favore di Apollo, esattamente come se usasse le ali originali: dal momento che esse sono state consacrate al dio, quest’ultimo potrebbe considerare una mancanza di riguardo il copiarle senza rendergli debitamente omaggio. AMBRA MAGICA DEL PADUS L’ambra del Padus non è solo gialla come quella che viene dai paesi nordici ma si può trovare in quattro varianti di colore: gialla, rossa, bruna e nera. Ciascun tipo ha proprietà diverse, anche se tutti hanno poteri di protezione relativi al fuoco e al calore o sfruttano certi effetti delle fiamme. Ogni qualità di ambra può essere utilizzata in due modi: indossata come amuleto oppure utilizzata come ingrediente per ottenere effetti magici. A Amuleto. Deve essere indossata, sia nascosta tra gli abiti o legata addosso come un monile. Deve inoltre avere una grandezza non inferiore a quella di una noce, che può sia essere raggiunta da un solo pezzo sia unendo pezzi più piccoli fino a raggiungere una massa adeguata. Si possono quindi comporre amuleti, gioielli o pendenti con vari pezzi di ambra per ottenere un oggetto protettivo. Per essere efficace, però, i pezzetti devono essere del medesimo colore. A Ingrediente magico. La grandezza del pezzo da utilizzare può variare in ragione dell’uso (vedere più avanti). Una volta usata, però, viene consumata completamente e per ottenere un nuovo effetto è necessario procurarsi un altro pezzo di ambra. Ã GIALLA Protegge dal fuoco nel senso più ampio, sia “naturale” che magico. A Amuleto. Chi la porta addosso è protetto dai danni e dal calore provenienti da fiamme di qualunque tipo, compreso il fuoco prodotto magicamente (per esempio, dal potere Soffio Infuocato di alcune creature fantastiche). Una volta che ha assorbito un totale di 20 danni, il pezzo di ambra viene del tutto polverizzato e annerito e non potrà più essere utilizzato, neppure come ingrediente magico. Alcuni pezzi di ambra particolarmente grandi possono offrire protezione anche agli edifici o a sezioni di esse, e assorbire una quantità di danni maggiore.


181 NUOVE REGOLE A Ingrediente magico. La polvere ottenuta dall’ambra triturata è un medicamento che risolve tutte le ustioni: ne va mescolato mezzo cucchiaino a una tazza di una sostanza grassa per farne un unguento che viene poi applicato sull’ustione. Per ungere tutto il corpo di un ferito gravemente ustionato ci vogliono sei tazze di unguento e di conseguenza tre cucchiaini di polvere di ambra. In termini di gioco, un personaggio che abbia ottenuto ferite da fuochi di qualunque tipo può segnare la casella Cura senza effettuare tiri di Primo Soccorso e guarisce immediatamente 2d6 Punti Vita. Ã ROSSA Protegge dalla febbre e abbassa la temperatura del corpo. A Amuleto. L’effetto principale è di evitare la febbre in chi lo indossa, ma anche di farla scendere se già è salita. Tradizionalmente l’amuleto di ambra rossa era un prezioso bene di famiglia che veniva usato nelle case per abbassare la febbre in assenza di antipiretici e agevolare la guarigione dalle più comuni malattie, dalle febbri invernali fino alle infezioni. Tuttavia, va tenuto presente che l’effetto antipiretico può essere controproducente se chi indossa l’amuleto non ne capisce bene le proprietà: la febbre scende ma la malattia non è curata. Quindi chi è sotto l’effetto dell’ambra rossa si sente bene e può credersi guarito: non si renderà conto che invece sta peggiorando fino a che perderà i sensi o addirittura morirà. In termini di gioco, l’amuleto permette di ignorare la condizione Affaticato come parte della condizione Ammalato. A Ingrediente magico. Macinata finemente e bevuta con acqua o vino, la polvere di ambra rossa è un farmaco che combatte febbre e infiammazione. Non ha solo effetto antipiretico, insomma, ma anche antinfiammatorio e se non cura proprio tutte le malattie è comunque di aiuto in quasi tutte perché le rende meno aggressive. La dose per un adulto è mezzo cucchiaino di povere d’ambra in un bicchiere di liquido e l’effetto dura quattro ore. In termini di gioco, il farmaco permette a un personaggio Ammalato di subire solamente gli effetti della condizione Debilitato (e di ignorare quindi la condizione Affaticato e la perdita di Punti Vita come parte della condizione Ammalato); il personaggio dovrà comunque superare il tiro di Vigor per guarire dalla malattia. Ã BRUNA La caratteristica specifica di questa varietà è di proteggere dai fulmini e pertanto, anticamente, era spesso associata alla pratica dell’Ars Fulguratoria (vedere pag. 131). A Amuleto. Protegge una persona dall’effetto delle folgori, naturali o evocate. Quando la folgore si abbatte, l’amuleto attira su di sé la sua potenza e la assorbe, dissolvendola del tutto. La persona non riceve alcun danno, ma il pezzo di ambra viene del tutto polverizzato e annerito (a prescindere dalla quantità di danni assorbiti) e non potrà più essere utilizzato, neppure come ingrediente magico. A Ingrediente magico. Ridotta in polvere e mescolata in parti uguali con cenere di quercia (albero sacro a Giove, signore delle folgori) viene utilizzata per tracciare un “confine” a terra entro il quale le folgori, naturali o evocate, non possono colpire. Il confine è, in pratica, un cordoncino di polvere che non deve avere uno spessore inferiore a un pollice e che viene tracciato attorno a una persona o una cosa che deve essere protetta. L’ambra bruna è molto rara, perciò è difficile circoscrivere aree grandi. Non si riesce a procurarsi abbastanza polvere per formare un cordoncino del giusto spessore. Né è una buona idea aumentare la quantità della cenere di quercia per compensare una quantità scarsa d’ambra. Cordoncini troppo sottili o troppo scarsi nella percentuale di ambra produrranno un confine che non è in grado di isolare la forza della folgore, e chi è al centro ne subirà i normali effetti. Ã NERA La varietà più rara di tutte, può essere confusa con l’ossidiana o con il vetro nero, ma se osservata controluce si distinguono all’interno dei bagliori rossastri che le identificano inequivocabilmente come ambra nera del Padus. Produce fiammate lunghe e direzionate. A Amuleto. Proietta una lingua di fuoco verso l’esterno. È un efficace sistema di autodifesa, ma deve essere innescato da una fiammella. Per esempio, se un personaggio porta sul petto un amuleto di ambra nera può cercare di colpire qualcuno che si trovi proprio davanti a lui con un’improvvisa fiammata, ma deve prima attivare l’amuleto toccandolo con un rametto infuocato o una candela. La portata della fiammata è di 3 piedi (un metro circa) e provoca 3d6 danni. La fiamma scompare immediatamente e dopo tre utilizzi l’ambra ne viene consumata, lasciando un vuoto annerito nel punto in cui era incastonata nell’amuleto. A Ingrediente magico. Se inserita nel fuoco di una grossa torcia emette un fascio di fiamme dritte e tese, lunghe tre piedi (circa un metro). Se utilizzata con accortezza può diventare una specie di spada fiammeggiante (Ingombro 2, Difficoltà 6, Danno 18, Versatile) che dura per 3 tempora di combattimento. Se invece viene gettata su un falò o un fuoco rituale ne aumenta tremendamente la grandezza, sollevando una lingua di fuoco alta più di 20 piedi (circa 6 metri), dritta come una colonna di un tempio. Nella notte risulterebbe visibile da parecchie miglia come un faro. Il fascio fiammeggiante è contenuto nella superficie del falò e non si espande oltre quel limite, infligge 3d6 danni a chiunque lo attraversi e scompare dopo pochi minuti.


182 NUOVE REGOLE BACCHETTA MAGICA DI CIRCE La principale funzione della bacchetta magica di Circe sembrerebbe quella di esercitare la trasmutazione. È cosa nota che questa maga trasformasse in animali gli esseri umani che si comportavano rozzamente una volta sbarcati sulla sua isola. È possibile, d’altra parte, che la bacchetta agisca anche sull’indole degli animali e li renda mansueti. L’isola di Circe, a quanto raccontano i vari autori antichi, era piena di belve che si aggiravano come animali domestici, mangiando dalle mani della dea e giocando in pace senza far male a nessuno. Poiché nessuno ha mai potuto osservare questo magico strumento non si può sapere se sia utilizzabile esclusivamente dalla sua divina proprietaria (che l’ha probabilmente anche costruita) oppure se avrebbe le stesse potenzialità anche nelle mani di un mortale. D’altra parte queste sono vane speculazioni: chi potrebbe mai strappare la bacchetta dalle mani di Circe? La bacchetta di Circe è lunga circa due piedi e mezzo. È più spessa nell’estremità da cui la si impugna e si va assottigliando verso l’estremità opposta. È di un legno sconosciuto ma la maggior parte degli studiosi si dice convinta che sia di mirto. Essa è stata tagliata da un ramo vivo, privata delle foglie e della corteccia, essiccata e lucidata. Non porta decorazioni di alcun genere e anzi, la superficie è così liscia e lucente da sembrare quasi di metallo brunito. A La bacchetta conferisce due poteri, del tutto analoghi agli omonimi poteri magici: la Metamorfosi su Altri (descritta a pag. 192) e l’Incantamento. Entrambi i poteri hanno una forza pari a 2d12, agiscono su un massimo di 6 creature alla volta e possono essere utilizzati solo una volta al giorno (le energie della bacchetta si ricaricano nottetempo). CHIAVI DI REITIA Con questo nome vengono tutt’ora indentificati dalle genti venete dei simboli che ricordano un serpente attorcigliato che si morde la coda. Sono simboli di grande potere, spesso presenti su amuleti che venivano portati addosso o appesi nelle case. Sul corpo del serpente venivano inscritte parole nell’alfabeto veneto relative a diversi effetti che si volevano ottenere grazie al potere della dea. Ogni amuleto era realizzato per una sola persona e per un solo scopo. A quanto si sa non esistevano due amuleti uguali né amuleti di uso generico: essendo delle “chiavi” potevano aprire una sola serratura. A Per indentificare una Chiave di Reitia e comprendere il tipo di effetto che offre è necessario eseguire un tiro di De Magia o De Scientia (SD 9). Esistono moltissimi tipi di chiavi, ciascuna legata a una determinata Specializzazione (vedere Manuale Base): indossare l’amuleto permette, una volta al giorno, di ripetere il tiro della Peritia corrispondente, se pertinente alla Specializzazione a cui è legata la chiave (il personaggio deve utilizzare il secondo risultato, anche se inferiore al primo). ERBA MOLY Questa erba misteriosa è chiamata in greco moly e in latino immolum, anche se il secondo termine viene usato raramente. L’unica descrizione di questa erba magica, infatti, proviene dall’Odissea di Omero (libro X, vv. 290-306). Quando Ulisse sta per sbarcare sull’isola di Circe, Mercurio lo mette in guardia: “Circe farà per te una pozione, getterà nel cibo degli ingredienti magici ma neppure così ti potrà stregare: lo impedirà il benefico medicamento che io ti darò.” Poi è lo stesso Ulisse a descrivere in dettaglio l’azione: “Così detto Mercurio mi porse il farmaco strappandolo dalla terra, e me ne mostrò la natura. Gli dèi lo chiamano moly e per gli uomini mortali è duro strapparlo: gli dèi però tutto possono.” Dunque, le uniche informazioni certe su questa erba sono che ha radice nera, fiore bianco e che è difficile da estirpare. Decisamente poco per poterla identificare con certezza. L’espertissimo erborista Dioscoride, che visse alla corte dell’Imperatore Nerone, credette di identificarla con la ruta indiana, una pianta che cresce soltanto nella lontana India. Ne fece importare alcune piantine e le piantò nei giardini della Domus Aurea, il magnifico palazzo di Nerone. Fece parecchi esperimenti, incoraggiato dallo stesso Imperatore, e scrisse estese osservazioni in rotoli che oggi sono scomparsi. Purtroppo, dopo la morte di Nerone il suo palazzo fu distrutto e la zona in cui sorgeva è stata riedificata. A quanto si sa nessuna piantina di ruta indiana è sopravvissuta. A L’erba moly permette a chi la ingerisce di diventare completamente immune alle metamorfosi, sia come effetto dell’omonimo potere magico, sia come conseguenza di maledizioni e malattie soprannaturali (come ad esempio la Malattia del Versipellis o il Contagio Vampirico, vedere Manuale Base). L’effetto di una dose dura per un giorno.


183 NUOVE REGOLE L’erba è talmente potente che può anche essere ingerita dopo che la metamorfosi ha avuto effetto, cancellandone completamente e permanentemente gli effetti. I RAMI D’ORO Nella fortunata terra d’Italia esistono due ramoscelli magici che concedono il potere di interagire in vari modi con il regno dei morti. Sono nascosti nel cuore di due boschi sacri, uno sulle sponde del Lacus Nemorensis caro alla dea Diana, nel Latium, e l’altro attorno al Lacus Avernus in Campania, una delle entrate dell’Oltretomba. La collocazione dei due ramoscelli ha una sua logica: il Lacus Nemorensis è sotto la protezione del sacerdote della dea Diana, il Lacus Avernus è sorvegliato dalla sacerdotessa di Apollo. Diana e Apollo sono gemelli, ed è ragionevole che i magici ramoscelli gemelli siano affidati alla custodia dei loro sacerdoti. Vi è comunque una lieve differenza tra i due ramoscelli: quello Avernale serve a richiedere profezie ai defunti, come fece Enea. Quello Nemorense serve a richiedere profezie direttamente a Proserpina. Entrambi offrono un gran privilegio poiché essendo Proserpina una dea, vede con chiarezza il futuro e dà risposte sempre chiare e comprensibili. I defunti, d’altra parte, essendo liberi dalle costrizioni umane vedono il futuro più chiaramente dei profeti viventi, condannati a emettere profezie più o meno oscure. Ã RAMUS AUREUS NEMORENSIS (IL RAMO D’ORO DEL LACUS NEMORENSIS) Questo ramoscello d’oro cresce all’interno di un normale cespuglio di corbezzolo ed è necessario un tiro di De Natura (SD 15) per scorgerlo nell’intrico delle foglie. È il dono che bisogna portare a Proserpina se si vuole tentare l’impresa di interrogarla direttamente sulle cose umane o divine. A Il Ramo d’oro del Lacus Nemorensis permette di ottenere un effetto del tutto equivalente al rituale di Oraculum, senza alcuna spesa di Pietas e come se il possessore avesse ottenuto un III grado di successo nel tiro di De Magia. Proserpina parla attraverso la bocca del possessore e fornisce risposte estremamente dettagliate a un totale di tre domande. Al termine dell’effetto, il ramo si spezza diventando inutilizzabile. Sarà necessario attendere tre giorni prima che sia possibile trovarne un altro. Ã RAMUS AUREUS AVERNALIS (IL RAMO D’ORO DEL LACUS AVERNUS) Si tratta di un cespuglio di alloro che, anche in questo caso, all’interno nasconde in realtà un ramo d’oro dalle proprietà magiche. Il Ramo d’oro Avernale, a differenza di quello Nemorense, ha una specie di volontà propria e acconsente a farsi strappare solo da chi è prescelto dal Fato. Una volta colto garantisce a chi lo impugna il privilegio di richiamare i morti dal loro sonno eterno e di interrogarli sul futuro o sul passato, conversando con loro sotto forma di ombre come se fossero vivi e ottenendo risposte chiare. Qualcuno addirittura si spinge a dire che consentirebbe ai mortali di entrare e uscire dall’Oltretomba. In effetti, si dice che così abbia fatto Enea, che si addentrò nell’Oltretomba protetto dal ramoscello magico e poté chiedere profezie allo spirito del suo defunto padre Anchise. Il Ramo d’oro Avernale permette di ottenere uno di due effetti, a scelta del possessore: A Il primo effetto consiste nell’evocazione di un morto, il cui spirito viene richiamato sulla Terra per essere interrogato sul proprio passato, o su cose che potrebbe aver appreso nell’oltretomba. Per ottenere questo effetto, il possessore del Ramo deve trovarsi, dopo il tramonto, in un luogo che costituisce un canale diretto con l’aldilà, come un cimitero o una caverna profonda. Deve poi scavare una fossa e versarvi del sangue di animali sacrificati e recitare le opportune formule necromantiche. L’anima convocata può rispondere a tre domande, di solito con una singola frase o un’unica parola. Gli eventi legati alla sua morte sono quelli più chiari nel ricordo del defunto, mentre, man mano che si torna indietro nel tempo, le memorie si fanno sempre più confuse e incoerenti. A Il secondo effetto, ben più rischioso, consiste nella discesa nel mondo dei morti, un vero e proprio viaggio fisico nell’aldilà. Il possessore, assieme a coloro che compiranno la traversata con lui, deve trovarsi nelle vicinanze di un luogo tradizionalmente considerato un ingresso al regno dei morti, come il Lacus Avernus. Dopo aver compiuto sacrifici agli dèi inferi e recitato formule segrete, il possessore invoca il potere del Ramo per sé e per tutti coloro che viaggeranno con lui nell’oltretomba: il Ramo permette di intraprendere la discesa, ma se dovesse spezzarsi finché il possessore e i suoi compagni si trovano nell’aldilà, essi saranno condannati a rimanervi per sempre. Dopo aver effettuato l’invocazione, il possessore e i suoi compagni scompaiono tra le ombre e lasciano il mondo dei vivi per avventurarsi in quello dei morti. Le conseguenze specifiche del viaggio sono lasciate al Demiurgo, ma l’aldilà visitato dai personaggi non possiede caratteristiche definite: esso è un non-luogo dai tratti indistinti, privo di luci o colori e immerso nell’oscurità, dalla quale emergono di tanto in tanto figure spettrali. Se il possessore sta cercando uno spirito in particolare, esso si manifesterà per primo, ma a discrezione del Demiurgo potrebbero presentarsi anche altri spiriti, che possono essere o meno legati all’avventura in corso. Le azioni dei personaggi dovrebbero essere limitate a interagire con le anime dei defunti, dai quali è possibile ricevere informazioni, consigli e avvertimenti sull’avventura in corso, impiegando solo il tempo strettamente necessario. Tuttavia, non è detto che i morti siano sempre ben disposti verso i personag-


184 NUOVE REGOLE gi e l’oltretomba è popolato anche da altre, pericolose entità… se i personaggi dovessero attardarsi, perdere la via o attirare attenzioni indesiderate, le conseguenze per il gruppo potrebbero essere nefaste. Quale che sia l’effetto ottenuto, il Ramo scompare dopo aver esaurito la sua funzione, e sarà il Fato a decidere se esso sia destinato a essere trovato di nuovo. TIBIAE FAUNI (IL FLAUTO DI FAUNO) In apparenza è un semplice flauto doppio fatto di due canne acquatiche poco lavorate con buchi a certi intervalli, tenute insieme da un laccio vegetale arrotolato più volte nella parte vicina all’imboccatura. È lungo circa un piede e ha un aspetto molto rustico. Le due canne hanno lunghezza diversa: quella a sinistra è più corta di circa 3 dita. Il flauto produce otto melodie “magiche”, inducendo otto stati d’animo diversi. Per usarlo bisogna saper suonare correttamente un flauto normale o riuscire in un tiro De Societate (SD 6). Questo tiro non produce alcun effetto magico, ma serve a determinare se chi usa il flauto sa produrre musica: anche se è incantato l’oggetto è comunque uno strumento musicale e va utilizzato correttamente, altrimenti non serve a nulla. Se il tiro iniziale ha successo, è possibile suonare il flauto per produrre un effetto magico su tutti coloro che sono in grado di udire la melodia dello strumento (incluso il suonatore stesso, se lo desidera): bisogna superare un tiro di De Magia (SD 9) e poi scegliere liberamente un effetto della tabella più avanti. Se si fallisce il tiro di De Magia, l’effetto è determinato casualmente dal Demiurgo tirando 1d8 e influenza anche il suonatore (in tal caso, si considera che il suonatore abbia ottenuto 0 come risultato del tiro di resistenza). IL PIÙ ANTICO STRUMENTO ITALICO Il termine più comune per indicare questo semplice strumento a fiato in lingua latina è tibia: i più primitivi flauti, infatti, si ricavavano dalle ossa lunghe di animali (le tibie, appunto). Questi però producevano suoni poco controllabili, poiché la forma e eventuali imperfezioni dell’osso rendevano impossibile avere strumenti regolari. Si cominciò quindi, a utilizzare pezzi di legno tagliati e lavorati apposta per ottenere conformità di forma e suono e infine si produssero flauti anche in metallo, spesso molto eleganti e decorati, caratterizzati da un suono limpido e elegante. La tibia viene di solito suonata in coppia, ponendo tra le labbra il bocchino di due canne distinte. Per indicare il flauto più comune, infatti, si usa infatti il termine al plurale, tibiae. Ciascuno dei due strumenti emette un suono su una tonalità diversa ma armonica, in modo che anche la più semplice melodia è creata dall’intreccio di due suoni complementari. Esistono fondamentalmente due tipi di tibiae: A Tibiae pares. Le due canne sono di lunghezza uguale e differiscono nella posizione dei buchi su cui si poggiano le dita per produrre il suono. A Tibiae impares. I due elementi sono di lunghezze diverse, accordati uno su una tonalità più alta e l’altro su quella più bassa. Le canne possono essere sia cilindriche, cioè con diametro eguale ad entrambe le estremità, o coniche, in cui l’estremità più stretta è quella che si mette tra le labbra. Nelle varie raffigurazioni del dio Fauno il suo flauto viene rappresentato in maniera molto variabile, poiché ovviamente nessuno l’ha mai visto. Tuttavia, se dobbiamo basarci sullo stile degli strumenti usati dai pastori, più vicini al mondo di Fauno, dobbiamo immaginare che le due canne siano fatte di materiali vegetali, non di metallo. Si tratta quasi certamente di due canne acquatiche, probabilmente legate tra loro alla sommità da una cordicella vegetale. Lungo il corso dei fiumi laziali, infatti, si formavano spesso larghe zone acquitrinose che permettevano la crescita di folte macchie di canne. Queste sono già cave, e ci vuole poco sforzo per lavorarle quel tanto che basta a renderle un vero strumento musicale. Queste furono il più antico strumento musicale delle genti laziali del corso del Tiberis.


185 NUOVE REGOLE TABELLA DEL FLAUTO DI FAUNO Tiro 1d8 Effetti 1 Apatia. Si è svuotati da ogni energia e non si ha voglia di fare anche il più piccolo sforzo. Anche le cose che prima erano gradite o importanti vengono rimandate, inclusi gli stimoli della fame e della sete. In termini di gioco, l’effetto è del tutto analogo al potere magico Blocco (la vittima deve udire il suonatore), descritto a pag. 192, tranne che non può essere utilizzato sugli oggetti. L’effetto dura per 1d3 giorni, a meno che il suonatore non decida di interrompere prima gli effetti (non può farlo se ne è caduto vittima egli stesso). 2 Spensieratezza. Ci si dimentica delle preoccupazioni e si tende a perdere tempo chiacchierando di cose futili o organizzando feste e bevute. In termini di gioco, l’effetto è simile a quello dell’Apatia (sopra), tranne che coloro che sono influenzati non rischiano l’inedia e anzi godono dei benefici di un riposo in un luogo confortevole per tutta la durata dell’effetto. 3 Amicizia. Si prova un forte legame con chi suona il flauto, come fosse un vecchio amico o compagno d’arme e si desideri compiacerlo e aiutarlo. L’effetto è del tutto analogo al potere magico Incantamento (la vittima deve udire l’utilizzatore), avente una forza pari al tiro di De Magia del suonatore e limitato al I grado di successo. Se l’effetto è ottenuto in seguito a un tiro di De Magia fallito, il suonatore e tutti coloro che sono in grado di udire la melodia sono invece soggetti all’effetto Spensieratezza (vedere sopra). 4 Lascività. Si cade in uno stato di desiderio erotico diretto verso chi suona. Il sentimento è molto forte, tale da rendere le persone colpite irritabili se non riescono a placarlo. L’effetto è simile a quello dell’Amicizia (sopra), ma limitato al II grado di successo. Se l’effetto è ottenuto in seguito a un tiro di De Magia fallito, il suonatore e tutti coloro che sono in grado di udire la melodia si lanciano in un’orgia sfrenata, al termine della quale si considerano tutti Affaticati e Debilitati per 1d3 giorni. 5 Follia. Le persone colpite provano un sentimento irrazionale verso chi suona il flauto, un’ammirazione sconfinata o un desiderio irrealizzabile che spinge alla follia. Si è perfino disposti a combattere per lui, a litigare con i propri compagni o ad aggredirli. L’effetto è simile a quello dell’Amicizia (sopra), ma senza alcun limite al grado di successo. Se l’effetto è ottenuto in seguito a un tiro di De Magia fallito, il suonatore e tutti coloro che sono in grado di udire la melodia iniziano a combattere tra loro per 1d3 tempus o fino a che uno o più di essi viene ridotto a 0 Punti Vita. 6 Inquietudine. Le persone colpite avvertono una forte inquietudine non spiegabile con le circostanze in cui si trovano. L’effetto è del tutto analogo al potere magico Terrore, avente una forza pari al tiro di De Magia del suonatore e limitato al I grado di successo. 7 Paura. Le persone colpite provano un sentimento di paura vera e propria e provano l’irrazionale desiderio di allontanarsi e mettersi al riparo. L’effetto è simile a quello dell’Inquietudine, ma limitato al II grado di successo. 8 Terrore. Questo è il terrore primordiale ispirato dalle divinità agli umani. Non è possibile ragionare né tenere un comportamento razionale, si urla di spavento, si scappa in direzioni a caso. L’effetto è simile a quello dell’Inquietudine (sopra), ma senza alcun limite al grado di successo.


186 NUOVE REGOLE ARTEFATTI ETRUSCHI Gli Etruschi possedevano numerosi oggetti magici, per lo più relativi all’arte della divinazione, che sono andati perduti e dispersi nel corso dei secoli, ma che possono ancora venire ritrovati. In seguito agli ordini di Teodomiro, la Cohors Arcana ha sguinzagliato i propri membri alla ricerca di questi oggetti, sparpagliati nei luoghi più disparati di tutt’Italia: alcuni giacciono sotto il suolo, in ricche tombe o anche nella nuda terra, magari tra le rovine sepolte di vecchie cittadine; altri si trovano presso privati, facoltosi signori o miseri contadini, che ne ignorano le caratteristiche e l’uso. Il recupero di uno di questi potenti oggetti può costituire per il Demiurgo lo spunto per una breve avventura o per un episodio di avventure di più ampio respiro. FEGATO DI PLACENTIA Si tratta di un modellino bronzeo di un fegato di pecora, suddiviso in parti su cui sono segnate le diverse zone del cielo e i nomi delle divinità che le presiedono. In realtà l’Etruria è piena di questi modellini, perché servivano e tutt’ora servono per praticare la divinazione e per insegnarla ai nuovi Haruspices. Tuttavia manca proprio il più leggendario. Il “fegato di Placentia” si chiama così perché l’ultima volta fu visto in uso nella città di Placentia, ma è da lungo tempo scomparso anche da lì. La complicata storia di questa città spiega la difficoltà di rintracciare un così mitico oggetto. La città si trovava inizialmente in territorio di influenza ligure. Ai Liguri si sovrapposero gli Etruschi, ma il territorio passò presto nelle mani dei Galli. Infine, nel 535 aUc, la togliemmo ai Galli e le mettemmo il nome di Placentia che conserva tutt’ora. In tutti questi cambi di mano la città restò il più nordico tra i centri di istruzione degli Aruspici, rispettati da tutti per l’utilità che fornivano alla prosperità del territorio. A un certo punto comparve presso questo centro di studi un modello di fegato che, si dice, aveva proprietà magiche. Come tutti i modellini di questo tipo mostrava linee che formavano partizioni relative alle sfere di influenza degli dèi, secondo le regole del templum etrusco. La differenza con altri modelli è che questo sarebbe stato coperto da iscrizioni che identificavano con precisione non solo le partizioni relative agli dèi principali ma anche a una grande quantità di divinità etrusche ora non più conosciute. Nel modellino, infatti, erano indicate le sedici regioni principali della volta celeste (come di consueto), ma anche ben ventiquattro regioni minori, per un totale di quaranta iscrizioni riguardanti divinità e annotazioni di metodo. Ciò consentiva di eseguire predizioni estremamente accurate. Il prezioso artefatto restò nella città di Placentia anche dopo la conquista di Roma, ma a un certo punto semplicemente sparì. Naturalmente veniva conservato sottochiave, e potevano passare anche diversi mesi senza che fosse necessario consultarlo. Così non si sa esattamente quando scomparve. A un certo, punto la cassa in cui era custodito fu aperta e fu trovata vuota. Nessuno seppe dire da quanto tempo non era stata controllata, o chi fosse stato l’ultimo a vedere l’oggetto. Il mistero si trascina ormai da molti secoli. Il fegato di Placentia è un potente ausilio nell’eseguire rituali di divinazione. A I personaggi che hanno occasione di trovare e studiare tale modello (per la qual cosa devono conoscere la lingua etrusca, vedere riquadro a pag. 188, e spendere un totale di 30 Punti Curriculum accumulati in De Magia) da quel momento in poi diminuiscono di 1 livello la difficoltà dei rituali di Haruspicina, qualora essi vengano effettuati tramite viscere di pecora.


187 NUOVE REGOLE LITUO DI TARKHNAS I litui sono corti bastoni dall'estremità superiore arrotolata a spirale, tipicamente impugnati dagli Auguri durante i loro rituali (il lituo romano è estesamente descritto nel modulo Encyclopaedia Arcana). È necessario però un avvertimento riguardo al lituo di Tarkhnas: si tratta di un lituo etrusco e non romano. I litui etruschi non sono bastoni ma coltelli sacrificali (in termini di gioco, hanno le stesse caratteristiche di una Sica). Hanno sempre un lato a ricciolo come il lituo romano ma l’altra estremità è una lama affilatissima che di solito è protetta da un cappuccio di cuoio. Vengono infatti usati per la pratica dell’Haruspicina, cioè per leggere le viscere degli animali sacrificali. Il mitico lituo di Tarkhnas porta il nome etrusco dalla città di Tarquinia. La città, infatti, è da secoli la sede ufficiale del collegio degli Haruspici, veggenti espertissimi nella lettura delle viscere di animali sacrificali. Nonostante il nome, tuttavia, non è affatto sicuro che oggi questo oggetto magico si trovi ancora qui. Poiché esiste una sostanziale differenza tra lituo romano e etrusco è possibile che persone non esperte di tradizioni etrusche non riconoscano nel lituo di Tarkhnas un oggetto rituale quando lo incontrano. Sarà difficile, in pratica, capire per prima cosa che quello strano coltello con il manico a ricciolo è un lituo (De Scientia SD 6); in secondo luogo capire che è un oggetto magico (De Magia SD 9). A Chi impugna il mitico lituo di Tarkhnas è in grado di effettuare rituali di Haruspicina senza spendere Pietas (tranne in caso di fallimento del tiro di De Magia). TÙTULUS DI TURMS Si tratta di un berretto conico dal bordo arrotolato, di stoffa pesante color vinaccia. Per lunghi secoli il tùtulus è stato il tradizionale copricapo della gente etrusca, utilizzato da uomini, donne e persino bambini. Spesso eseguito in stoffe colorate e ricamate, è ancora indossato da qualche persona fortemente legata alle tradizioni antiche ma solo in terra etrusca. Indossarlo a Roma è considerato una ridicola stravaganza ed è proibito a corte e in Senato. Il Tùtulus di Turms è legato al dio di cui porta il nome, l’equivalente etrusco di Mercurio, messaggero degli dèi. Pertanto questo oggetto magico favorisce la comunicazione. A Chi indossa il Tùtulus di Turms è in grado di comprendere qualunque lingua, scritta o parlata, ma non di scriverla o parlarla a sua volta. È ovvio comunque che, una volta capito un documento sufficientemente lungo in una lingua straniera, se ne può trascrivere la traduzione e avere così uno strumento per imparare i primi rudimenti di quell’idioma. LAMINA DI PURSNA Si tratta di una sottile lamina d’oro su cui è inciso, ovviamente in etrusco, il modo per evocare le folgori. L’oggetto prende il nome dal celebre re etrusco Porsenna, il cui nome originale etrusco è appunto Pursna. Porsenna ricorse all’evocazione delle folgori per eliminare un mostro che minacciava la città di Bolsena e ne aveva devastato le campagne. L’evocazione delle folgori è una potentissima arte magica che consentirebbe a chi la pratica di evocare liberamente le folgori dal cielo e di scatenarle a suo piacere contro un bersaglio (vedere pag. 170). Negli antichi tempi etruschi era praticata da uno speciale collegio sacerdotale, i Fulgatores. Oggi il collegio esiste ancora ma, a quanto ne dicono i membri, essi non conoscono più la tecnica di evocazione delle folgori e si limitano a osservarle per trarne vaticini e auspici. È diventata quindi una semplice arte divinatoria. Per questo, trovare la lamina di Pursna sarebbe un incredibile vantaggio per l’Impero. Oggi la lamina rappresenta l’unico mezzo per


188 NUOVE REGOLE apprendere questa arcana e potente arte: tramite essa è infatti possibile imparare a evocare tutti i tipi di folgori: secche, umide e chiare. Naturalmente, se la lamina cadesse nelle mani sbagliate costituirebbe un pericolo tremendo per la stabilità dell’Impero. Il problema principale per l’utilizzo di questo oggetto magico è costituito dal fatto che è scritta in alfabeto etrusco e in lingua etrusca. Ci sono, quindi, due ostacoli da superare: A Leggere l’alfabeto etrusco. È ormai scomparso da molto tempo e può essere facilmente confuso con il greco arcaico o con alcuni antichi alfabeti italici come il venetico. A Comprendere la lingua etrusca. Se anche si riuscisse a dare a ogni segno alfabetico etrusco il suo corrispettivo latino e quindi a traslitterare correttamente un testo non si capirebbe comunque il significato di parole completamente diverse dal latino. LIBRI SIBYLLINI Nell’anno della quinta Olimpiade, a re Tarquinio il Superbo si presentò una vecchia che gli offrì nove libri di profezie in forma di rotoli, i Libri Sibyllini, per trecento filippi d’oro. Il re rifiutò l’acquisto ritenendo il prezzo eccessivo: la vecchia bruciò tre libri davanti ai suoi occhi e gli offrì i restanti sei allo stesso prezzo. Il re rifiutò di nuovo: la vecchia distrusse altri tre libri. A questo punto, Tarquinio il Superbo cedette e comprò i tre rimasti al prezzo iniziale. Quindi chiese alla vecchia di riscrivergli i libri bruciati, ma ella si rifiutò dicendo che le dovevano essere ispirati dal dio Apollo. I preziosi volumi vennero conservati nel Tempio di Giove Capitolino, ma furono distrutti da un incendio che nel 670 a.U.c. devastò l’edificio. Quelli che girano attualmente per Roma sono copie di un compendio di circa mille versi che il Senato fece raccogliere in giro per il mondo, nei luoghi celebri come dimore di Sibille, e porre nel Tempio di Apollo fatto costruire da Augusto. A Da qualche parte, comunque, sono ancora nascosti i nove rotoli originali: quelli offerti dalla vecchia non erano che una copia. I libri contengono profezie sul futuro di Roma e dell’Italia: molte si sono ormai avverate negli ultimi sei secoli, ma altre devono ancora compiersi. Le profezie sono scritte in etrusco, in tono piuttosto oscuro. A I rotoli potrebbero essere nascosti in contenitori che li rendano difficili da identificare. Anziché in una scatola per rotoli come quelle in uso nelle biblioteche potrebbero essere infilati in piccole anfore o simili contenitori per materiali del tutto diversi. L’ALFABETO ETRUSCO Per poter utilizzare alcuni artefatti etruschi che presentano iscrizioni è necessario conoscerne la lingua ma soprattutto l’alfabeto. Nel mondo in cui agisce la Cohors Arcana, gli Etruschi come popolo sono scomparsi da molti secoli, e con essi la loro lingua. Si dice che nell’Appennino toscano esista ancora una specie di dialetto locale derivato dalla lingua etrusca, tuttavia non viene scritto e nessuno di coloro che parlano il dialetto “moderno” potrebbe leggere le iscrizioni antiche. Quando gli Etruschi erano una potenza diffusa in varie regioni italiane, ogni area aveva un suo alfabeto locale che presentava varianti in alcune lettere. Pare che l’Imperatore Claudio, appassionato etruscologo, avesse provveduto a una specie di semplificazione dei vari sistemi alfabetici producendo un alfabeto unificato allo scopo di consentire agli Auguri di accedere alla sapienza etrusca degli antichi testi.


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PARTE V NUOVI POTERI MAGICI, CREATURE FANTASTICHE, PNG


192 NUOVI OGGETTI MAGICI, CREATURE FANTASTICHE, PNG L’Italia è una terra profondamente intrisa di magia, pertanto il catalogo delle creature magiche presente in questa sezione è particolarmente nutrito. Nella sezione non mancano anche creature che non hanno caratteristiche soprannaturali ma che sono uniche e specifiche di questa provincia. Al "bestiario italico" sono collegati nuovi poteri magici qui di seguito esposti. Infine, sono presentati anche i personaggi non giocanti che è possibile incontrare vagando nell’antica terra d’Italia. NUOVI POTERI MAGICI BLOCCO È la capacità, posseduta da alcune strane creature, di immobilizzare sul posto persone o cose, solitamente col tocco; non causa alla vittima o al bersaglio una vera e propria paralisi, ma solo l’assoluta impossibilità di spostarsi da dove e come si trova. Se il potere è indirizzato contro un personaggio, gli effetti sono del tutto analoghi a quelli del potere magico Paralisi (descritto nel Manuale Base), tranne che esso è limitato al I grado di successo, e in aggiunta, impedisce alla vittima di staccare i piedi dal suolo, mentre potrà comunque muovere ogni altra parte del corpo e anche combattere, benché con efficacia ridotta. Se il potere è indirizzato verso cose inanimate (una nave, una porta, ecc.), queste rimangono assolutamente ferme nella posizione nella quale si trovavano (un’imbarcazione, ad esempio, potrà alzare le vele, ma neppure la tempesta più potente riuscirà a smuoverla dal tratto di mare ove si trova). La creatura deve comunque riuscire in un tiro della forza del potere contro una difficoltà che dipende dalla grandezza dell’oggetto (SD 3 nel caso di oggetti di dimensioni umane, come porte e mobili; SD 6 per carri e piccole imbarcazioni; 9 o più per oggetti di dimensioni maggiori). FULMINE Alcune creature possiedono la capacità di evocare fulmini dal cielo e scatenarli contro uno o più bersagli, provocando loro danni molto gravi. Questo potere può essere usato dalla creatura un massimo di 3 volte al giorno e solamente all’aperto; la prima volta, i danni causati dall’attacco corrispondono al tiro di 3DV, la seconda a 2DV e la terza a 1DV. Analogamente, il primo attacco può coinvolgere fino a tre vittime che si trovano vicine fra loro, il secondo due e il terzo solo una. In combattimento, la creatura può evocare il fulmine prima o dopo il normale tiro di De Bello contro nemici ingaggiati o non ingaggiati, purché si trovino entro distanza Lunga. Solo nel caso in cui vi sia un qualche riparo vicino, sotto il quale rifugiarsi, i personaggi tirano Coordinatio (SD 9) per dimezzare i danni ricevuti (arrotondando per eccesso) oppure per annullarli completamente ottenendo un III grado di successo. Scudi e armature non offrono alcuna protezione. Se il bersaglio è un oggetto inanimato, esso si incendia (se è infiammabile) o viene danneggiato in maniera più o meno estesa, a seconda del materiale di cui è composto (legno e tessuti vengono squarciati e avvolti dalle fiamme, pietre e mattoni si fratturano, solo i metalli restano relativamente intatti). METAMORFOSI SU ALTRI Alcune creature sono in grado di trasformare altri esseri, anziché se stesse. Questo potere funziona anche in senso opposto, ovvero per riportare le vittime trasformate alla forma iniziale. È possibile solamente trasformare un essere umano o animale in un altro essere umano o animale. La trasformazione deve essere compatibile con la massa della vittima: non è possibile, ad esempio, trasformare un uomo in un passerotto, né un bambino in un elefante. All’interno dei parametri fisici, però, tutto è possibile purché la creatura abbia ben chiara la forma che ha scelto, che deve appartenere a una creatura realmente esistente (ad esempio, non può trasformare un uomo in uno struzzo se non ne ha mai visto uno). La vittima oppone un tiro di Ratio contro la forza della metamorfosi. A seconda del grado di successo ottenuto dalla creatura, si applicano i seguenti effetti: B I grado di successo: la vittima viene trasformata nella forma scelta dalla creatura per 2d6 ore. Il punteggio di De Corpore e le capacità speciali della forma scelta (riportati nella sua scheda) rimpiazzano quelli della vittima, che assume anche un eventuale punteggio di Danno innato (non derivante quindi dall’utilizzo di un’arma) della forma scelta; come valore di De Bello va utilizzato il più basso tra quello della vittima e quello della forma. Se la forma scelta non è in grado di parlare, la vittima perde l’uso della parola (con tutte le conseguenze del caso) e il suo valore di De Societate va considerato pari a 0. Se la forma scelta è molto diversa da quella originale (per esempio, un essere umano trasformato in un animale), durante la trasformazione la vittima perde anche tutti i propri poteri magici (se ne possedeva) e l’Abilità di Combattimento (nel caso dei Custodes). B II grado di successo: come per il I grado di successo, tranne che la vittima viene trasformata per 2d6 giorni. B III grado di successo: come per il I grado di successo, tranne che la vittima viene trasformata permanentemente, o fino a quando è possibile invertire la trasformazione. NEBBIA È la capacità di emettere fumi e nebbie che impediscono di vedere e disorientano, aumentando di 1 livello la difficoltà di tutti i tiri normali (non opposti) basati sulla vista, inclusi gli attacchi a distanza e i tiri per evitare imboscate, per tutti coloro che vi si trovano in mezzo.


193 NUOVI OGGETTI MAGICI, CREATURE FANTASTICHE, PNG NUOVI PNG PNG NON COMBATTENTI Ã DECURIONES CIVITATIS Valore medio: DV5 1 dado: De Bello, Sensibilitas 2 dadi: De Corpore, De Scientia (Legge), De Societate, Punti Vita 3 dadi: De Societate (Oratoria, Politica), Ratio Punti Vita: 10 Armi: nessuna Protezioni: nessuna I Decurioni cittadini (sing. Decurio civitatis) sono i membri del Senato cittadino, detto appunto Ordo Decurionum (lett. “ordine dei decurioni”). Solitamente sono in numero di cento e devono avere un censo superiore a 100.000 sesterzi annui. Ã DUOVIRI IURE DICUNTO Valore medio: DV8 1 dado: De Bello, De Corpore, Punti Vita, Sensibilitas 2 dadi: De Scientia (Legge), De Societate, Ratio 3 dadi: De Societate (Oratoria, Politica) Punti Vita: 8 Armi: nessuna Protezioni: nessuna I Duoviri (sing. Duovir) sono i due governatori della città, a somiglianza dei consoli di Roma; presiedono l’assemblea cittadina dei Decurioni, propongono a essa le nuove leggi e giudicano le cause in tribunale. Ogni cinque anni, i Duoviri svolgono le funzioni di censori, esaminando le liste dei cittadini ed escludendone coloro che non ne sono più degni a causa di una condotta immorale o di un reddito inferiore al minimo stabilito. Nel contempo, possono ammettere nuovi membri nell’Ordo Decurionum, se ne possiedono i requisiti. Ã AEDILES Valore medio: DV5 1 dado: De Bello, Sensibilitas 2 dadi: De Corpore, De Scientia (Architettura), De Societate, Punti Vita 3 dadi: De Societate (Burocrazia, Politica), Ratio Punti Vita: 10 Armi: nessuna Protezioni: nessuna Gli edili (sing. Aedilis) sono i magistrati preposto alla manutenzione delle strade, degli edifici pubblici e privati, dei templi. A loro è affidata anche la supervisione dei mercati, la tutela dell’approvvigionamento idrico, l’allestimento dei ludi cittadini. Ã QUAESTORES Valore medio: DV5 1 dado: De Bello, Sensibilitas 2 dadi: De Corpore, De Scientia (Economia), De Societate, Punti Vita 3 dadi: De Societate (Burocrazia, Negoziare), Ratio Punti Vita: 10 Armi: nessuna Protezioni: nessuna I questori (sing. Quaestor) sono gli amministratori finanziari della comunità cittadina. Spesso sono corrotti e quasi sempre molto ricchi. PNG COMBATTENTI Ã CACCIATORI DELLA LUCANIA Valore medio: DV6 1 dado: De Magia (Superstizioni), Ratio 2 dadi: De Bello, De Corpore, De Natura, Punti Vita, Sensibilitas 3 dadi: De Bello (Dardi), De Natura (Cacciare) Punti Vita: 12 Armi: Lancia (Danno 6), Fustibalus (Danno 5, a distanza; i proiettili ignorano il potere di Rigenerazione dei Versipellis e di creature simili) Protezioni: Pelli di animali (Protezione 3) B Capacità Speciali: Furtivo, Sensi Acuti I Cacciatori della Lucania sono specializzati nel pattugliamento e difesa di territori in cui si annidino creature soprannaturali malvagie. La loro specialità sono tutte le varianti di lupo, dai Versipellis ai lupi speciali presenti sul suolo italico, ma non si tirano indietro contro altre specie magiche. Operano in piccole bande composte da 15-20 individui. Durante le azioni, seguono una specie di comandante che però non riveste un vero e proprio grado superiore: è solo il più adatto per il lavoro che stanno facendo in quel momento. Il comando passa quindi di mano in mano molto spesso all’interno di uno stesso gruppo. L’organizzazione interna è molto informale. Benché il loro luogo di intervento tradizionale siano le foreste del centro Italia, sono disposti a spostarsi se la situazione lo richiede, poiché considerano un loro dovere contribuire a mantenere le terre libere dal flagello dei mostri. Quando si trovano in una zona a loro poco nota, compiono diversi turni di esplorazione per imparare il più possibile sul nuovo territorio di caccia e sulle varietà di creature presenti. Sono quindi raramente sorpresi dalle circostanze. Qualcuno dice che, come i lupi, abbiano un “sesto senso” che li avverte del pericolo. I Cacciatori lucani sono generalmente inclini a servire le cause dell’Impero e collaborano volentieri con chi abbia missioni affini alle loro, cioè liberare genti innocenti da mostri e creature malvagie. A questo scopo hanno sviluppato un’arma speciale, una specie di fionda con un lungo manico: il Fustibalus. L’arma è di solito equipaggiata con speciali proiettili d’argento, le Glandeae Argenteae (vedere pag. 177).


194 NUOVI OGGETTI MAGICI, CREATURE FANTASTICHE, PNG Ã HIRPI SORANUS (“LUPI DI SORANUS”) Valore medio: DV5 1 dado: Ratio 2 dadi: De Bello, De Corpore, De Natura 3 dadi: De Magia (*Soranus), Punti Vita, Sensibilitas Punti Vita: 15 Armi: Scramasax (Danno 5) Protezioni: Pelli di lupo (Protezione 3) B Capacità Speciali: Tattiche del Branco B Poteri Magici: Invulnerabilità (al fuoco), Tiro del Fato B La specializzazione di De Magia dei sacerdoti di Soranus si applica ai rituali legati esclusivamente a questo dio” Il capobanda viene chiamato Primus Hirpus (DV6) e indossa, oltre alla pelle di lupo, anche una collana di denti di questo animale, segno del proprio rango. I sacerdoti di Soranus sono detti Hirpi, cioè lupi (sing. Hirpus). Non sono un ordine sacerdotale in senso tradizionale, poiché i suoi membri non si dedicano solo alla pratica religiosa in onore del dio. Si tratta di un sodalizio di uomini dediti alla guerra e al saccheggio, che agisce attaccando e ritirandosi in fretta come un branco di lupi. Le loro azioni, tuttavia, assumono valenza religiosa poiché queste sono attività gradite a Soranus, che incoraggia e ama il caos e la rapina. Durante queste attività indossano sopra gli abiti una pelle di lupo, animale sacro al dio, unico segno di riconoscimento di questo particolare sacerdozio. Le loro attività sacerdotali comprendono anche il sacrificio cruento dei malcapitati che cadono nelle loro mani, preferibilmente con la tortura per compiacere il loro dio (e la loro stessa sete di sangue). Sono esseri privi di ogni morale, se non direttamente malvagi: è quindi molto rischioso cercare un’alleanza con loro, anche se sembrano ben disposti. Si dice che gli Hirpi Soranus abbiano poteri magici e possano attraversare il fuoco senza bruciarsi o trasformarsi in lupi. In realtà, sono più simili ai berserkir della Germania e possono combattere insensibili al dolore e alle ferite perché invasati dallo spirito del lupo. Quando sono in questa condizione, diventano invulnerabili alle fiamme. Una delle prove per poter entrare in questo sodalizio è, infatti, legata ad affrontare il fuoco: gli aspiranti devono camminare su un tappeto di carboni infuocati durante la “festa del sole nero”. Se non sentono dolore e non riportano scottature significa che Soranus è entrato in loro concedendo questo potere magico, di fatto, accettando il nuovo guerriero al proprio servizio. L’appartenenza ufficiale al branco di Soranus viene sancita dal dono della pelle di lupo, che il nuovo guerriero indosserà da quel momento in poi durante le scorrerie. I membri di una banda sono spesso in competizione tra loro sia per il bottino che per scalare la gerarchia e guadagnarsi il rango di Primus Hirpus, ovvero il capobanda, e non esitano a tradirsi o uccidersi tra loro per ottenere più potere all’interno del gruppo. Il Primus Hirpus viene scelto senza spargimento di sangue se un certo candidato sembra avere le qualità per poter guidare il gruppo verso ricchi bottini. Altrimenti, i vari candidati si sfidano a duello e il più forte prevale. Resterà in carica finché qualcun altro non si sentirà pronto per la scalata. Ã MERCENARI MAMERTINI Valore medio: DV5 1 dado: Sensibilitas 2 dadi: De Corpore, De Natura, Ratio 3 dadi: De Bello, Punti Vita Punti Vita: 15 Armi: Ascia mamertina (Danno 7), Lancia (Danno 6) Protezioni: Lorica Hamata (Protezione 5), Clipeus (Parata +2) B Capacità Speciali: Formazione – questa capacità si attiva se in combattimento tre o più Mercenari Mamertini combattono fianco a fianco ed è presente un Comandante. I Comandanti (DV6) sono uomini valorosi e dalle qualità non comuni, dal momento che non c’è posto per favoritismi o manovre diplomatiche per raggiungere e mantenere il potere. Indossano una Lorica Plumata (Protezione 6). I Mamertini sono fenomenali combattenti in vendita al miglior offerente. Sono, infatti, mercenari che non guardano tanto in faccia alle qualità morali di chi li ingaggia quanto piuttosto alle quantità di sesterzi nei loro borsellini. I Mamertini, benché mercenari, hanno una profonda etica guerresca. Sono molto solidali tra loro, fedeli fino alla morte al loro comandante. Se questo stipula un patto con qualcuno, un ingaggio formale o solo sulla parola, lo rispetteranno tutti correttamente. Non prendono però posizioni su questioni etiche e non si sentono particolarmente inclini a combattere con i “buoni”. Non sono questi i tasti su cui battere se si cerca il loro aiuto. Solitamente i Mamertini operano in bande che loro definiscono “legioni”. Una Legione Mamertina è costituita da circa 400 uomini suddivisi in cinque manipoli, sotto il comando di un condottiero. La legione presta giuramento di sangue al suo comandante e obbedisce solo a lui. Chi voglia ingaggiare un gruppo di Mamertini deve trattare con il comandante, sicuro che tutti suoi uomini lo seguiranno. Poiché ogni comandante è indipendente, potrebbe in teoria capitare che bande in campo avverso si trovino a dover combattere le une contro le altre. In realtà, ciò non accade perché i comandanti, benché autonomi, si tengono comunque in contatto segretamente e evitano gli ingaggi che possono sfociare in scontri fratricidi. Sono disposti a combattere ovunque, in qualunque provincia dell’Impero e anche al di fuori, purché pagati abbastanza. Ã PIRATI LIGURI Valore medio: DV5 1 dado: Sensibilitas 2 dadi: De Bello, Punti Vita, Ratio 3 dadi: De Corpore, De Natura (Navigare), De Societate (Negoziare) Punti Vita: 10 Armi: Scramasax (Danno 5), Fionda (Danno 3) Protezioni: Nessuna


195 NUOVI OGGETTI MAGICI, CREATURE FANTASTICHE, PNG I “pirati” liguri si offendono molto se vengono definiti così. Essi si considerano, infatti, commercianti che si adattano alle dure circostanze della vita. Se possono, quindi, svolgono onesto commercio. Se non possono (secondo il loro personale giudizio) sono “costretti” a darsi al contrabbando. Apprezzano un cliente che sa contrattare e sono disposti a svolgere incarichi rischiosi se adeguatamente compensati. La struttura operativa è basata sui legami familiari. Ogni famiglia possiede una barca più o meno grande e con essa opera i suoi traffici. La nave appartiene al capofamiglia che però non sempre la comanda personalmente. Alcuni capifamiglia preferiscono badare agli affari a terra, mentre incaricano un figlio (o una figlia) di comandare la nave di famiglia. Tutti i Liguri sono espertissimi marinai e navigano volentieri anche di notte o con la nebbia, circostanze quanto mai utili ai loro traffici. Anche se esistono “flotte di clan” composte da molte navi (fino a una quarantina), di solito i Liguri operano in piccole unità per dare meno nell’occhio e non dover fare i complicati calcoli di divisione del bottino. I Liguri dell’interno sono “pirati” in un altro modo. Svolgono, infatti, traffici attraverso le montagne portando uomini o merci senza la scomodità di informare le autorità di questi spostamenti. Come i loro “cugini” della costa sono in grado di “navigare” nei territori più ostili e possono viaggiare di notte o con la nebbia senza perdere mai la direzione. Anche in questo caso si organizzano per famiglie e ciascun gruppo familiare ha un proprio territorio di competenza. Ã TOMBAROLI Valore medio: DV5 1 dado: De Magia (Superstizioni), Ratio 2 dadi: De Bello, De Natura, De Societate (Bassifondi), Punti Vita, Sensibilitas 3 dadi: De Corpore Punti Vita: 10 Armi: Scramasax (Danno 5), Fionda (Danno 3) Protezioni: Nessuna B Capacità Speciali: Furtivo I Capibanda hanno DV6 e di solito usano un Arcus al posto della Fionda. Abilissimi nell’interpretare ogni monticello di terreno o impercettibili deformazioni di alberi e cespugli, riescono a comprendere se sotto il terreno si nascondano tumuli funebri, grandi tombe monumentali, piccole camere segrete e sepolture di ogni genere. Sono in grado di indentificare sia tombe dimenticate, scomparse per le modifiche del paesaggio dovute al trascorrere del tempo, sia quelle non visibili perché appositamente nascoste. Sono capaci di individuare quale sia il punto più facile e comodo per penetrare all’interno senza fare troppo danno, in modo da recuperare intatto il corredo funerario e soprattutto gli oggetti preziosi. Ovviamente, sono anche bravissimi a piazzare la merce al giusto compratore. Anche tra i tombaroli esiste una differenza: esistono quelli che trattano solo oggetti genuini, veramente prelevati da tombe e di un certo pregio, altri invece sono in combutta con esperti falsari e spacciano per lo più oggetti veri di mediocre pregio mescolati a altri che sembrano molto pregiati, ma falsi. PNG ETRUSCHI Ã FULGATORES Valore medio: DV8 1 dado: De Corpore, Punti Vita, Ratio 2 dadi: De Bello, De Magia 3 dadi: De Magia (Evocazione delle folgori), Sensibilitas Punti Vita: 8 Armi: Bastone (Danno 4) Protezioni: Nessuna B Poteri Magici: Fulmine, Tiro del Fato I Fulgatores (sing. Fulgator) sono veggenti specializzati nell’interpretazione delle folgori secondo la disciplina detta Ars Fulguratoria. Questa è stata inventata in Etruria ma da secoli fa parte dei riti del culto tradizionale romano. I migliori Fulgatores, però, si formano di preferenza in Etruria, a Volsinii. Un Fulgator è in grado di interpretare i segnali che vengono inviati dagli dèi mediante un “linguaggio” speciale, legato alla parte del cielo in cui i fulmini appaiono e alla particolare forma o colore delle folgori. Non è solo un veggente quindi, ma anche un interprete della volontà degli dèi. Tutta questa vicinanza con il terribile potere del fulmine fa sì che i Fulgatores risultino tutti un po’ strani, o almeno è ciò che si mormora tra gli ordini sacerdotali di tradizione romana. In effetti, sono spesso irritabili, come percorsi da un’energia a stento trattenuta, un po’ insofferenti ai lunghi discorsi diplomatici. Sono gente abituata a pensare in fretta e a prendere decisioni sul filo del rasoio. I Fulgatores hanno tutti grande capacità di osservazione e occhi veloci, perché il fulmine appare e scompare nello spazio di un battito del cuore e sono costretti a raccogliere un gran numero di indizi in tempo molto breve. Per questo alcuni tra di loro sono anche discreti combattenti perché capaci di molta velocità e di azioni che sorprendono l’avversario. Pochissimi tra i Fulgatores hanno un potere speciale: sanno come evocare le folgori per servirsene come arma o come messaggio per i confratelli. Il Collegio mantiene uno strettissimo segreto su questa capacità e preferisce lasciar credere che l’antica arte dell’evocazione del fulmine sia scomparsa con la conquista dell’Etruria da parte di Roma. Ã HARUSPICES Valore medio: DV6 1 dado: De Bello, De Corpore 2 dadi: Punti Vita, Ratio 3 dadi: De Magia (Culto Ufficiale, Favore degli Dèi), Sensibilitas Punti Vita: 12 Armi: Lituus Etrusco (Danno 4) Protezioni: Nessuna B Poteri Magici: Tiro del Fato Gli Haruspices (sing. Haruspex) o Aruspici sono veggenti specializzati nella lettura delle viscere degli animali, in particolare il fegato. Il loro collegio è composto da 60 sacerdoti il cui capo, il Sommo Aruspice


196 NUOVI OGGETTI MAGICI, CREATURE FANTASTICHE, PNG Domizia Claudilla, risiede a Tarquinia (vedere pag. 130). Gli altri vanno dove sono richiesti. Le predizioni degli Haruspices sono sempre corrette e chiare e per questo sono grandemente richiesti al servizio di alti magistrati e governatori in province lontane e al seguito di generali in missione per l’Impero. La formazione di ogni Haruspex viene fatta a Tarquinia. In Etruria sono grandemente rispettati e trattati con lo stesso riguardo dei consoli. Non è raro che la gente comune si inchini al loro passaggio o chieda speciali benedizioni. Al di fuori di questa Regio, gli Haruspices sono ugualmente rispettati in quanto sacerdoti ma le varie popolazioni non attribuiscono loro maggiore importanza che a altri ordini sacerdotali. In qualche caso, questo provoca problemi diplomatici. Gli Haruspices di discendenza etrusca, infatti, hanno un gran concetto di loro stessi e del loro sacerdozio e spesso esibiscono una certa spocchia: ciò riesce a innervosire anche il più pacifico dei personaggi con i quali si trovino a collaborare. Ogni Haruspex ha in dotazione un proprio personale lituus etrusco, il coltello rituale con il quale esamina le viscere delle vittime (vedere pag. 187). Perderlo o lasciarselo sottrarre è una colpa gravissima e il malcapitato farebbe di tutto (nel bene e nel male) per recuperarlo. Ã LUCUMONES Valore medio: DV8 1 dado: De Bello, De Corpore, Punti Vita 2 dadi: De Magia, De Scientia, Ratio, Sensibilitas 3 dadi: De Societate Punti Vita: 8 Armi: Sica (Danno 4) Protezioni: Nessuna B Poteri Magici: Maledizione (2DV, la vittima deve udire la creatura), Tiro del Fato I Lucumones (sing. Lucumon) erano anticamente i capi delle città etrusche, un misto di re e sacerdote come ai tempi antichi di Roma. Oggi il titolo è puramente onorario e viene concesso al più autorevole dei magistrati di una città nella provincia di Etruria. Questo è ciò che si dice ufficialmente: in realtà il Lucumon di una città viene selezionato accuratamente tra i più illustri cittadini di sicura appartenenza alla Fratellanza dei Dodici Popoli, l’associazione segreta etrusca che mira riportare il dominio dell’Etruria e dell’Impero tutto nelle mani di governanti etruschi (vedere pag. 158). Un tempo i Lucumones erano dodici, come le città che facevano parte della Dedecapoli Etrusca; oggi sono un numero imprecisato, poiché la loro attività si è trasformata in una specie di incarico segreto per tessere trame di respiro internazionale e transgenerazionale. I Lucumoni, infatti, formano una rete diplomatica segreta. Hanno una grande capacità politica, sono dotati di carisma e di intuito che permette loro di ideare piani a lunga scadenza, intricati e complessi, per muovere le pedine politiche a loro favore. La rivoluzione che pianificano, infatti, non vuole essere cruenta. O meglio, se è necessario eliminare discretamente qualche avversario che si mette di mezzo a un piano ben congegnato, nessun problema. Ma i Lucumones vogliono riprendere il potere con una lenta e costante operazione di conquista silenziosa, secondo loro più solida e destinata a durare rispetto ad una rivoluzione in armi. I Lucumones sono intelligenti e privi di scrupoli: parlano diverse lingue per potersi mettere in contatto diretto con esponenti anche di altri popoli purché utili alle proprie trame; sono molto colti, perché secondo loro la conoscenza è potere; sono spregiudicati, perché il fine giustifica i mezzi. Tra loro ci sono anche diverse donne, amanti di personaggi chiave della politica imperiale o provinciale o integerrime madri e spose di famiglie nobili o plebee, purché al centro del potere. A tutte queste caratteristiche i Lucumones uniscono anche abilità sacerdotali, poiché persino la religione è per loro veicolo di potere. Sono quindi bravi veggenti ma, soprattutto, molto esperti nel lanciare maledizioni con varie metodologie sui nemici politici. Sono coordinati dallo Zilath (vedere avanti). Ã ZILATH Valore medio: DV10 1 dado: De Bello, De Corpore, Punti Vita 2 dadi: De Bello (Tattica), De Scientia, Ratio, Sensibilitas 3 dadi: De Magia, De Societate Punti Vita: 10 Armi: Scramasax (Danno 5) Protezioni: Nessuna B Poteri Magici: Fulmine, Maledizione (2DV, la vittima deve udire la creatura), Tiro del Fato Lo Zilath (sing e plur. uguali) era anticamente il capo supremo della Lega Etrusca, eletto annualmente dai dodici Lucumones. Oggi, ufficialmente, questa carica non esiste più, essendo stato sconfitto il potere etrusco. In realtà, esiste ancora una società segreta etrusca, la Fratellanza dei Dodici Popoli (vedere pag. 158), che mantiene in vita antiche tradizioni scomparse tra cui quella di eleggere questo capo segreto. Uno (o una) Zilath deve avere qualità eccezionali di diplomatico, politico e conoscenza approfondita di ogni aspetto dell’antica Etrusca Disciplina, il complesso di nozioni teoriche e pratiche che riguarda i rapporti tra il mondo umano e quello divino. Sa riconoscere schemi nelle manifestazioni soprannaturali e quindi sa come sfruttarle a proprio vantaggio. Uno Zilath, infatti, assomma in sé le abilità degli Aruspici, i veggenti più abili degli Etruschi, e dei Fulgatores, in grado di scatenare il potere della folgore. Oltre a ciò, è in grado di leggere i più antichi testi profetici della sua gente e anzi, probabilmente, alcuni dei testi considerati scomparsi sono da secoli nelle mani degli Zilath. Si dice che gli Zilath abbiano in dono dagli dèi etruschi una vita più lunga di un uomo normale. È per questo che sarebbero in grado di predisporre e poi mettere in opera piani politici a lunghissima scadenza. Di sicuro, essendo esperti in ogni disciplina profetica, hanno capacità di veggenti superiori alla norma che gli permettono di intessere trame che coinvolgono più di una generazione. In passato, lo Zilath era anche il condottiero del suo popolo e lo guidava in guerra. Oggi, benché si preferisca evitare scontri diretti che potrebbero infrangere il segreto della Fratellanza, lo Zilath mantiene le qualità di uno stratega.


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