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Published by uygufguuydadsdas, 2022-08-15 14:35:27

Vrbs Aeterna

Vrbs Aeterna

cominceranno a conquistare l’entroterra, varcheranno i monti Rifei (anche detti
Urali) e colonizzeranno per conto di Roma tra il quinto ed il decimo secolo una
fascia di terra estesa addirittura fino all’Oceano Pacifico confinante a sud con il
territorio mongolo. Più ardua si rivela la lotta contro i Vichinghi, contro i quali
Costantino deve lottare per altri cinque anni, fino al 322 d.C. (1075 aUc)
quando ottiene una convincente vittoria nel fiordo di Bocnus la quale provoca
la sottomissione di molti capitribù norvegesi. Una parte dei Vichinghi però
rifiuta di arrendersi e parte con le sue navi verso una destinazione rimasta
sempre sconosciuta (c’è chi ipotizza l’America) né di loro si saprà mai più
nulla. Alla fine Costantino annette al proprio Impero le nuove province di
Dania (Capitale Haunia), Norvegia (Capitale Oslo) e Svetia (Capitale Holmia).
Più tardi anche i Finni, divenuti fedeli alleati di Roma, verranno organizzati in
provincia (Finnia). Una volta sottomessi, i Variaghi ed i Vichinghi divengono i
migliori navigatori dell’Impero e da qui in poi costituiranno il nerbo della
marina mercantile e militare romana. Spinti dal loro spirito di avventura, essi
non utilizzano più i loro velocissimi navigli per piombare sulle popolazioni
inermi e per saccheggiarle ma per colonizzare nuove terre ed esplorare nuove
vie commerciali. È a loro che si deve l’esplorazione dell’estremo nord del
continente eurasiatico. Nel 337 d.C. (1090 aUc), l’anno della morte di
Costantino, i Vichinghi raggiungono capo Nord, l’anno successivo lo doppiano
e mettono piede nella penisola di Cola mentre nel 366 d.C. (1119 aUc) il prode
condottiero Pell sbarca sulle coste del Mar Bianco e battezza quelle terre con il
nome di Biarmalandia. In seguito le truppe imperiali formate da Finni che
combattono sotto le insegne romane le raggiungono via terra, vi fondano la
città di Templum Mavors e ne fanno una remota provincia, rinomata per la
caccia ai cetacei ed alle foche oltre che per il commercio di pelli (i cristiani
daranno poi a quella città il nome di Archangelus). In seguito i Vichinghi
colonizzano la provincia di Thule, battezzandola con il nuovo nome di Islanda
(terra del ghiaccio), e poi si spingono in Groenlandia; ma di questo riparleremo
più avanti. Alla morte di Costantino, in virtù delle sue riforme amministrative,
l’Impero romano si trovava diviso in tre prefetture (EUROPEA, AFRICANA
ed ARIANA) ognuna con a capo un co-augusto con il titolo di “prefetto”
nominato direttamente dall’Imperatore ma di rango inferiore ad esso (per
evitare il ripetersi dei problemi con la tetrarchia). Le tre prefetture sono divise
ognuna in quattro diocesi (al posto delle 15 di Diocleziano) ognuna con a capo
un vicario nominato dal prefetto locale con l’approvazione dell’Imperatore:

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PREFETTURE

EUROPEA AFRICANA ARIANA

Mediterranea Aegyptica Mesopotamica

DIOCESI Germanica Nubiana Arabica
Persiana
Sarmatica Mauretana

Scandinava Cyrenaica Bactriana

In totale le province dell’Impero diventano 139, 140 se contiamo anche la
provincia di LATIUM VETUS, ognuna governata da un “Pretore” nominato
dal vicario di diocesi con l’approvazione del prefetto:

1 - LATIVM VETVS 71 - LYDIA
2 - TVSCIA 72 - CARIA
3 - VMBRIA 73 - RHODVS
4 - PICENVM 74 - AEGEVM
5 - SAMNIVM ET CAMPANIA 75 - LYCIA ET PAMPHILIA
6 - APVLIA ET CALABRIA 76 - PISIDIA
7 - BRVTIVM 77 - BITINIA
8 - SICILIA 78 - PAPHLAGONIA

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9 - MELITA 79 - GALATIA
10 - SARDINIA 80 - LYCAONIA
11 - CORSICA 81 - CILICIA
12 - LIGVRIA 82 - CYPRVS
13 - AEMILIA 83 - CAPPADOCIA
14 - CISALPINA 84 - PONTVS
15 - VENETIA ET HYSTRIA 85 - COMMAGENE
16 - HELVETIA 86 - EVPHRATENSIS
17 - ALPES COTTIAE ET MARITIMAE 87 - ARMENIA MINOR
18 - GALLIA NARBONENSIS 88 - PONTVS POLEMONIACVS
19 - NOVEM POPVLI 89 - COLCHIS
20 - AQVITANIA 90 - IBERIA
21 - ARMORICA 91 - ALBANIA
22 - GALLIA BELGICA 92 - ARMENIA MAIOR
23 - GALLIA LVGDVNENSIS 93 - GORDYENE
24 - GALLAECIA 94 - OSROENE
25 - HISPANIA TARRACONENSIS 95 - MESOPOTAMIA
26 - LVSITANIA 96 - ASSYRIA
27 - HISPANIA BAETICA 97 - CHARACENE
28 - HISPANIA CARTHAGINENSIS 98 - SYRIA
29 - BRITANNIA LONDINIENSIS 99 - ABILENE
30 - BRITANNIA CAESARIENSIS 100 - PALAESTINA
31 - NOVA BRITANNIA 101 - AVGVSTA LIBANENSIS
32 - CALEDONIA 102 - PHOENICE
33 - HIBERNIA 103 - ARABIA PETRAEA
34 - GERMANIA INFERIOR 104 - ARABIA NABATAEA
35 - RHENANIA 105 - AEGYPTVS
36 - BATAVIA 106 - THEBAIS
37 - FRISIA 107 - LYBIA
38 - CIMBRIA 108 - CYRENAICA
39 - GERMANIA SVPERIOR 109 - TRIPOLITANA
40 - SAXONIA 110 - BYZACENA
41 - BAIOVARIA 111 - AFRICA PROCONSVLARIS

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42 - BOEMIA 112 - NVMIDIA CIRTENSIS
43 - RAETIA 113 - NVMIDIA SITFENSIS
44 – NORICVM 114 - NVMIDIA MILITIANA
45 - PANNONIA SVPERIOR 115 - BALIARES
46 - PANNONIA INFERIOR 116 - MAVRETANIA CAESARIENSIS
47 - IAZYGIA 117 - MAVRETANIA TINGITANA
48 - DALMATIA 118 - PERSIA
49 - ILLYRICVM SVPERIORE 119 - MEDIA
50 - ILLYRICVM INFERIORE 120 - NABATEA
51 - EPIRVS 121 - NVBIA
52 - MACEDONIA 122 - CARMANIA
53 - THESSALIA 123 - ARIANA
54 - ACHAIA 124 - MARGIANA
55 - CRETA 125 - ARACHOSIA
56 - THRACIA 126 - BACTRIANA
57 - BYZANTIVM 127 - OMANIA
58 - MOESIA SVPERIOR 128 - ARABIA FELIX
59 - MOESIA INFERIOR 129 - SABAEA
60 - DACIA SVPERIOR 130 - THVLE
61 - DACIA INFERIOR 131 - SHETLANDIA
62 - TOMITANA 132 - FAER
63 - SCYTHIA MINOR 133 - AESTIA
64 - DACIA NOVA 134 - VENEDIA
65 - BASTARNIA 135 - VNGARIA
66 - SCYTHIA MAIOR 136 – RVSSIA MINOR
67 - TAVRICA 137 - DANIA
68 - SARMATIA 138 - NORVEGIA
69 - CAVCASIA 139 - FINNIA
70 - PHRYGIA 140 - SVETIA

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LA LENTA CONQUISTA DELL’INDIA:
DALLA DISFATTA DI COSTANZO II AI
TRIONFI DI TEODOSIO (337-395 d.C.,

1090-1148 aUc)

Costanzo II e la disfatta contro l’Impero Kushano (337-361 d.C., 1090-
1114 aUc)

Costantino muore nel 337 d.C. (1090 aUc) e gli succede il figlio Costanzo II.
Dopo la fatica della guerra vichinga e delle spedizioni punitive contro gli
Ungari, mentre l’Europa si sta faticosamente risollevando dalle tragedie che la
hanno travagliata nel corso dell’undicesimo secolo dalla fondazione di Roma,
si ricomincia a pensare a conquiste redditizie per ridare fiato all’economia
romana. Costanzo II inizia a volgere il suo sguardo verso oriente, considerato
giustamente più interessante delle sterili coste ghiacciate della scandinavia, e
rispolvera così i piani di Traiano e di Settimio Severo che sognavano
un’espansione indefinita verso l’oriente sperando di conquistarsi la fama
imperitura con una guerra rapida che lo copra di gloria.

Le premesse per ripetere le imprese dei predecessori ci sono, a partire dalla
grande Via Caesarum che da Smirne, sul Mar Egeo, giunge fino ad Harmotia e
a Bactra, nell’attuale Battriana, e consentirebbe rapidi spostamenti di truppe.
Inoltre, gli Ungari ed i Vichinghi hanno accettato di deporre le armi, i Venedi si

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stanno lentamente integrando nell’Impero, le ribellioni nelle province
recentemente conquistate sembrano terminate e cinquanta legioni vegliano sui
confini permettendo all’augusto di occuparsi nuovamente dell’oriente. Il vasto
Impero Kushano si trova oltre il confine orientale, ad est della provincia di
Bactra, ed è esteso su India e Turkestan con Capitale Taxila sull’Indo. Questo
Impero è stato fondato ai tempi di Antonino Pio da genti di stirpe afghana, ha
come religione di stato il buddismo, è fortemente influenzato dalla cultura
ellenistica di cui si considera erede e proprio ora si trova nel pieno del proprio
rigoglio. Prima dell’arrivo delle legioni romane sui propri confini occidentali
esso ha creato un’alleanza di popoli che giunge fino alla riva sinistra del Volga
ed ai confini della Mongolia ed è ben deciso a resistere ad ogni guerra di
invasione ed anzi, se possibile, a conquistare l’altopiano persiano caduto sotto
il dominio romano che i Kushani considerano come il loro “spazio vitale”
(tanto per usare un’espressione del folle Adolfo Tito Lerio e del suo famigerato
Terzo Impero durante la seconda guerra mondiale).

Alcuni esploratori inviati in ambasceria presso l’Impero rivale avvisano
Costanzo II del pericolo rappresentato dai Kushani in caso di guerra che miri a
turbare lo status quo, ma il trentenne Imperatore è ormai accecato dall’idea di
ricevere il titolo di Magno e preferisce prestare orecchio ai cortigiani e generali
adulatori che gli promettono piuttosto una facile vittoria contro un Impero
ormai in decadenza. “Costanzo II Indico, il conquistatore dei tesori dell’India”
è il titolo con cui lo fregiano ancor prima che la spedizione sia iniziata. E così
lo sventato sovrano decide per la guerra, puntando anzitutto a fare del Mare
Ircano (mar Caspio) un lago romano come Mediterraneo e Ponto Eusino (il Mar
Nero) allo scopo di saldare la nuova provincia di Parthene alle terre di là del
Volga. Il principale ostacolo che si para di fronte a questo disegno è la città di
Astrakhan abitata da stirpi turco-mongole e posta sulla foce del Rha. Ed è
contro di essa che muove l’irruente Costanzo II.

Dichiarando che il Khan della città ha dato protezione ad alcuni transfughi
bulgari che si sono macchiati di atti di guerriglia contro la dominazione romana
egli invoca la “guerra preventiva” (tristemente nota ai giorni d’oggi tanto che il
Presidente di origine americana Giorgio Valio Bassio è stato costretto alle
dimissioni dopo aver dissanguato le casse della Federazione Mondiale nella
guerra preventiva di invasione della provincia della Mesopotamia di Sadamio
Assone nel 2003 d.C., 2756 aUc) e la cinge d’assedio. Egli non ha però
considerato il fatto che il khanato di Astrakhan è solo l’estremità occidentale
della vasta Federazione mongolica che i Kushani hanno creato nel Turkestan
per proteggersi le spalle da eventuali attacchi romani in quella direzione. Subito
l’Impero Kushano onora il trattato di amicizia con questi popoli ed invia ampi

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rinforzi cosicché l’Augusto, da assediante, si ritrova assediato. Lo scontro si
risolve in un disastro ed egli perisce insieme alle cinque legioni impegnate nella
battaglia. Nelle foreste del Turkestan gli sventurati soldati e lo stesso
Imperatore vengono trucidati e le loro teste impalate sui legni degli alberi come
accaduto a Teutoburgo 350 anni prima. È il 361 d.C. (1114 aUc) e lo scalpore
nell’Impero è enorme. Il Senato, sconvolto, nomina come successore
l’Imperatore Flavio Giuliano.

Da Giuliano l’Apostata a Valentiniano II (361-379 d.C., 1114-1132 aUc)

Flavio Giuliano, non appena salito al soglio imperiale, si affretta a richiamare le
legioni superstiti all’interno dei confini e ad inviare un ambasciatore a Taxila
per assicurare i kushani che l’Impero non ha alcuna intenzione di invaderli ed
anzi vuole intraprendere negoziati di pace con i potenti vicini. A questo punto
però le cose si mettono male perché i Kushani uccidono l’ambasciatore e, non
accontentandosi dell’epica vittoria ottenuta, oltrepassano il Volga invadendo la
Provincia della Sarmazia orientale. Allora il Senato, da troppo tempo
emarginato dalla vita politica e ridotto ad organo di ratifica delle decisioni degli
Augusti, riprende in mano la situazione, sconfessa Giuliano dichiarandolo
nemico della patria perché ha trascinato Roma in un’impresa disastrosa (anche
se l’Imperatore si era trovato suo malgrado ad ereditare la tragica situazione
scatenata dal suo predecessore) ed offre la corona imperiale al generale Flavio
Valentiniano (364 d.C., 1117 aUc) già distintosi nella guerra contro i
Vichinghi, con l’esplicito compito di rimediare ai disastri dei suoi due
predecessori. Giuliano verrà ricordato con il titolo di Apostata dato che durante
il suo breve regno abbandona il Cristianesimo (Rinnegatore) e concepisce il
progetto di restaurare la cultura e la religione pagana e, pur senza bandire vere
e proprie persecuzioni contro i cristiani, egli li allontana dalla corte e dai posti
di responsabilità che avevano occupato sotto Costantino il Grande. Priva,
inoltre, la Chiesa di ogni privilegio e protezione ed occupa molte chiese
cristiane facendone dei templi per gli dei pagani. Giuliano è divenuto presto un
mito. Alcuni pagani, in particolare Ammiano Marcellino e Libanio ne hanno
fatto un eroe di tolleranza, di virtù e di energia, un uomo troppo grande per il
suo tempo che soccombette sotto i colpi della meschineria e della malvagità
(cristiana, ma non solo) che lo circondavano, deposto senza avere alcuna colpa.
Al contrario gli autori cristiani lo hanno presentato come un imbecille frenetico
(Gregorio di Nazianzo, che l’aveva conosciuto come studente ad Atene) o come
un mostro (gli storici ecclesiastici, che gli attribuiscono diverse profanazioni e
sacrifici umani), un apostata perverso (tutte le misure che aveva preso,
compreso il suo editto di tolleranza, sarebbero state volte a lottare
ipocritamente contro il cristianesimo). Nel XVIII secolo i nuovi filosofi (in

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particolare Volterra) hanno voluto riabilitarlo come campione dei “lumi” contro
l’oscurantismo cristiano e come campione della libertà contro l’assolutismo del
Primo Impero. Anche durante il Romanticismo ci si è appassionati per il
personaggio, vedendovi un romantico ante litteram, spirito lucido e disperato,
incompreso nel suo tempo e la cui morte in giovane età (fu ucciso un mese
dopo essere stato deposto dal Senato) dava il segno del trionfo dei mediocri.
Nel XX secolo queste tre immagini: Giuliano l’apostata, Giuliano il filosofo e
Giuliano eroe di una causa ormai perduta, si prolungano non solo nella
narrativa ma anche nei tentativi di riflessione storica. Anche per questo motivo
è oggi così difficile distinguere chi fu il vero Giuliano.

Il nuovo Imperatore Valentiniano è un generale e non ha doti di governo per cui
lascia tutto il potere a suo fratello Valente, che resta a Roma, ed al Senato ben
lieto di riprendere il controllo dell’Impero Romano da troppi decenni in mano
ai Cesari tanto che in questi anni si pensa di fondare una Seconda Repubblica
nella quale l’Augusto torni ad essere solo il comandante delle legioni.
Valentiniano non se ne cura e pensa ad un unico scopo: vendicare l’ucciso
Imperatore Costanzo II, del quale era un fedelissimo, e mostrare all’Impero
Kushano quello che possono fare le legioni di Roma se vengono provocate.
Fulmineamente egli attraversa il mar Caspio via nave, sbarca truppe al di là di
esso, si ricongiunge con altre due legioni provenienti dall’ex regno partico,
sgomina facilmente un presidio Kushano ed attacca Astrakhan espugnandola
(maggio 366 d.C., 1119 aUc). In questo modo taglia la ritirata alle truppe
kushane penetrate nell’Impero, impegnate inutilmente nell’assedio della città di
Tanais sul lago Meotide (Mar d’Azov). Queste tentano di riguadagnare il loro
territorio ma vengono battute ed annientate da Valentiniano (autunno 366 d.C.,
1119 aUc). Incurante dell’inverno che arriva ed indebolisce le sue truppe, egli
si sposta sul Lago d’Aral e sconfigge, per ben due volte, la lega Mongola
alleata dei Kushani. Prosegue poi verso est, sgominando tribù dopo tribù grazie
alla superiorità militare e tattica delle sue truppe e sottomette le steppe
dell’attuale Kazakhstan espugnando la fortezza di Karaganda ed
impossessandosi delle leggendarie miniere di turchesi che danno il nome a
quelle terre. Torna quindi verso sud, perché i Mongoli si stanno riorganizzando
con l’aiuto dei Kushani, ed attacca i Kirghisi, i più valorosi abitanti di quella
regione, mentre uno dei suoi generali assedia Khazan sede di un Khanato che si
estende fin quasi ai confini della Finnia ed un altro tiene impegnati i Kushani
che minacciano il confine persiano.

I senatori intanto gongolano per la conquista delle ricchissime miniere
asiatiche, ne utilizzano i proventi per rimpinguare le casse dello Stato ma anche
le proprie tasche, e de facto governano proprio come ai tempi dell’antica

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Repubblica dato che Valente si disinteressa sempre di più al potere per
dedicarsi alla bella vita. Nell’estate del 375 d.C. (1128 aUc) Valentiniano
conquista anche Balkash, sull’omonimo lago, e giunge ai limiti della Zungaria
minacciando da vicino il cuore dell’Impero Kushano. Quando sembra possibile
un attacco decisivo, tuttavia, egli cade vittima di un’imboscata mentre punta su
Bactra per ricongiungere le conquiste del Nord con le province persiane.
Scavalcando il Senato che non ne sa ancora nulla, i due figli Graziano e
Valentiniano II si proclamano reggenti, esiliando il povero Valente a
Costantinopoli, e marciano su Balkash che è stata riconquistata dalle truppe
Kushane e dai loro alleati, la espugnano per la seconda volta e la radono al
suolo. Non appena la notizia giunge a Roma, il Senato si affretta a nominarli
Augusti. Dopo aver attraversato il territorio kushano con l’aiuto degli elefanti
passando dal Turkestan alla Battriana senza colpo ferire e, come voleva il loro
padre e predecessore, organizzano le nuove province di Uralia (tra Khazan e il
fiume Ural), Aralia (intorno al Lago d’Aral) e Kirghizia, lasciando quattro
legioni a presidiare il nuovo confine e a sedare le ribellioni. Una volta sedate le
ribellioni decidono di marciare su Roma per raccogliere i frutti del loro trionfo.
Sulla via del ritorno, a Smirne, vengono però catturati entrambi a causa di un
complotto organizzato dall’oligarchia senatoria che temeva la restaurazione di
un potere imperiale forte: di loro non si saprà più niente. Il Senato si affretta a
nominare il nuovo Imperatore Teodosio (379 d.C., 1132 aUc) con il mandato di
concludere vittoriosamente la guerra contro i Kushani.

Teodosio il “Conquistatore dell’India” (379-395 d.C., 1132-1148 aUc)

Teodosio riorganizza le nuove province e vi raduna un esercito imponente,
formato da ben sei legioni, con l’intento di chiudere definitivamente i conti con
i nemici e addirittura di conquistare l’Impero Kushano, succeduto ai Parti come
ipostasi del nemico per eccellenza nell’immaginario suo e dei suoi colleghi.
Intanto traccia una strada che congiunge Astrakhan, Tanais, Aquincum,
Mediolanum e Roma. Mentre però è impegnato in questi preparativi il re
kushano, compreso il gioco del rivale, decide di giocare d’anticipo ed invade
senza preavviso la Persia romana, travolgendo ogni difesa e spingendosi in
profondità fino ad Ecbatana. Tuttavia egli non riesce ad ottenere una
sollevazione dei persiani contro Roma, anche a causa della brutalità di molti tra
i suoi generali che requisiscono donne per le loro truppe dopo averne ucciso i
mariti. Inoltre un attacco in quella direzione, e non in quella del Turkestan, era
proprio ciò che Teodosio si aspettava ed aveva già dato disposizioni al
riguardo. Subito una flotta che per la prima volta annovera anche ufficiali
Variaghi salpa dai porti di Saba e dell’Oman e sbarca a Girnar, oltre la foce
dell’Indo; le truppe da essa sbarcate pongono l’assedio ad Ujjan, ai limiti del

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Deccan, seconda città dell’Impero Kushano. Con un’azione di forza, intanto, il
Caesar rompe la linea difensiva nemica, invade la Sogdiana e si impossessa di
Alessandria Escate, la più remota delle città fondata da Alessandro Magno nel
suo itinerario vittorioso. Subito dopo passa il Pamir, chiamato Parapanisus dai
geografi greci e romani, e punta su Taxila, la Capitale Kushana, dopo aver
travolto le difese dei rivali. Troppo tardi i kushani si accorgono di quello che è
successo e tentano di porvi rimedio precipitandosi di nuovo oltre l’Indo perché
i romani provenienti da nord e dal mare si sono già ricongiunti alle loro spalle.
Ad Indraprastha, presso Delhi, il 21 gennaio del 380 d.C. (1133 aUc) avviene
lo scontro decisivo. Il re kushano e suo figlio muoiono in battaglia e Taxila
cade nelle mani del Cesare di Roma. In quella data anche l’Impero Kushano
cessa di esistere.

Altri dieci anni sono però necessari al conquistatore dell’India per portare a
termine la conquista del Deccan, perché solo pochi popoli di questo
subcontinente accettano senza combattere di passare dal dominio kushano a
quello della lontanissima Roma. Teodosio conquista province dai nomi esotici
(Kashmiria, Ariavarta, Rajastania, Punjabia, Pradeshia, Maesotia, Karnatakia,
Dakshinapatha) ma non riesce ad ottenere la sottomissione dei quattro piccoli
regni di Chola, Pandya, Tamil e Kerala nel sudest della penisola indiana né
della maggior parte della valle ad oriente del Gange con la grande città di
Palibothra che era stata la Capitale del grande re buddhista Asoka
contemporaneo di Annibale e di Scipione. Alla fine viene consolidata almeno la
conquista del Deccan che era appartenuto ai Kushani e poste fortificazioni sul
nuovo confine del Gange.

Teodosio fu un anche un fervente cattolico ed aderì alla fede cristiana dopo la
guarigione miracolosa dalla malattia tropicale che lo colpì durante la conquista
di Taxila. Il 27 febbraio 380 d.C. 1133 aUc), poco dopo la battaglia decisiva di
Taxila e la fine della guerra indiana, lancia il famoso editto che il Senato
ratifica l’anno dopo in cui si dice di volere unificare la Chiesa secondo la
dottrina di Nicea (Editto della Fede):

“Noi vogliamo che tutti i popoli governati dalla clemenza nostra seguano la
religione che il santo apostolo Pietro rivelò ai Romani e che il Pontefice
Damaso e il Vescovo Pietro d’Alessandria professano. Noi crediamo che il
Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo formino un sola divinità sotto un’eguale
maestà e una pia trinità. Pertanto ordiniamo che tutti quelli che seguono questa
fede si chiamino Cristiani cattolici, e poiché crediamo che gli altri siano
dementi e insani, vogliamo che essi subiscano l’onta dell’eresia e che i loro
conciliaboli non abbiamo più il nome di chiese. Oltre la condanna della divina

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giustizia, essi riceveranno le severe pene che la nostra autorità, guidata dalla
celeste sapienza, vorrà infliggere loro.”

Terminata la conquista dell’Impero kushano ed iniziata la lenta organizzazione
delle nuove province l’Imperatore, che prende dimora nel palazzo reale
kushano di Taxila, può dedicarsi nuovamente all’amministrazione del nuovo,
più grande, Impero. Il 10 gennaio del 381 d.C. (1134 aUc) dichiara la
confessione nicena la sola ortodossa; nel maggio dello stesso anno convoca un
concilio di centocinquanta vescovi dell’Oriente che riconferma il simbolo di
Nicea e assegna alla chiesa di Roma il primo posto e il secondo a quella di
Costantinopoli; un altro concilio è tenuto nello stesso anno ad Aquileia che
condanna il vescovo ariano Ursicino, quelli della Mesia e della Dacia e impone
al clero cattolico di pregare ogni giorno per gli imperatori. Per assicurare il
trionfo del Cattolicesimo vengono presi altri provvedimenti: si proibisce agli
eretici di tenere assemblee e predicare le loro dottrine, si vieta agli Ariani
d’innalzare chiese e si toglie il diritto di intestare ed ereditare beni agli apostati.
Ai provvedimenti contro i Cristiani che non professano il Cattolicesimo
seguono quelli contro il paganesimo. Verso la fine del 381 d.C. (1134 aUc) si
minacciano pene a chi compie cerimonie o professa culti pagani. Nel 382 d.C.
(1135 aUc) viene ordinato al Senato di Roma di togliere dalla loro sede l’altare
della Vittoria che, dopo la battaglia di Azio, Ottaviano aveva fatto innalzare
nella Curia. Si sopprimono le rendite di cui godono i templi pagani, se ne
confiscano i beni, si vietano i legati in loro favore e ai sacerdoti e alle vestali si
tolgono i privilegi. Gli imperatori lasciano il titolo e la carica di pontefice
massimo.

Era una grande vittoria della chiesa questa cui doveva seguirne un’altra,
clamorosa. A Tessalonica, nel 390 d.C. (1143 aUc), mentre Teodosio si
apprestava a lasciare l’India dopo aver stabilizzato le nuove province ed
assegnato i governatori locali, la popolazione si ribella per i soprusi ingiuriando
il governatore Boterico. Questi, in previsione dei giochi annuali una specie di
olimpiade, volle vendicarsi e con il pretesto dell’ordine pubblico non fece
scendere in lizza gli atleti della città. Nacquero discussione, poi tumulti, ci
furono scontri sempre più incontrollabili, fin quando si passò alle vie di fatto e
messe le mani su Boterico qualcuno gridò “a morte”: gli inferociti gli saltarono
addosso e messogli una corda al collo lo impiccarono a un albero e con lui
qualche altro malcapitato della milizia. Teodosio fu informato delle rivolte
mentre era in Persia, sulla via di ritorno per Roma, ed ordinò una rappresaglia
(senza specificare come e in quale misura). Le milizie, forse perchè erano stati
uccisi dei loro colleghi, andarono ben oltre gli ordini ricevuti: dopo alcuni
giorni dal misfatto, con un pretesto di una gara di bighe, fecero entrare nel

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grande circo quasi tutta la popolazione della città, poi sbarrarono le porte e si
misero a fare la strage dei Tessalonicensi. Si narra che le vittime furono 7.000
con l’arena trasformata in un lago di sangue. Ambrogio, vescovo di
Mediolanum, venuto a conoscenza dell’efferato delitto “barbarico” ordinato da
Teodosio, prese a pretesto una indisposizione e partì da Mediolanum per
destinazione ignota e non volle più ricevere né più incontrarsi con l’Imperatore.
Prese penna e calamaio e scrisse di proprio mano una lettera privata
all’Imperatore che lo raggiunse quando Teodosio stava per imbarcarsi dal porto
di Antiochia per raggiungere Roma. Esigeva che a un tale crimine dovesse
seguire un profondo e sincero pentimento pubblico. “E fino a quel giorno”, gli
scrisse Ambrogio, “in presenza sua non avrebbe mai più celebrato il sacrificio
della Messa, lui non era degno di Dio; lui con questa colpa infame non era
nemmeno degno di vivere. E ci avrebbe pensato Dio, perchè l’angoscia
l’avrebbe perseguitato per sempre in una vita d’inferno fino a soccombere.”
Teodosio decise di rimanere ad Antiochia e rimandare la partenza perchè, in
effetti, stava già soccombendo dato che l’orrendo delitto stava offuscando il suo
prestigio imperiale ottenuto con la conquista dell’Impero kushano e perfino la
sua dignità di uomo in ogni angolo dell’Impero, dove la mostruosa notizia si
sparse in un baleno ed era ascoltata e commentata con raccapriccio. Nessun
“barbaro” aveva mai commesso un così spietato delitto e per una banale lite
sportiva. Teodosio capì che non c’erano altre alternative. Giunto in Italia dalla
lontana India decide di non fermarsi a Roma per godersi il trionfo per le sue
vittorie ma si reca a Mediolanum con il suo seguito dove giunge alla fine di
dicembre del 393 d.C. (1146 aUc), si spoglia della porpora, entra nella
Cattedrale di Mediolanum con i vestiti di un comune cittadino si avvicina
all’altare dove c’era Ambrogio si prostra umilmente ai suoi piedi e gli depone
sui gradini le sue insegne. Più che ad Ambrogio chiese perdono alla maestà
offesa del cielo, voleva acquietare la sua coscienza in pena. Ed era quello che
voleva l’umile prete di Mediolanum. Questo evento sancisce d’ora in avanti il
potere della Chiesa sul potere temporale. Da quell’anno lo Stato non era più
dipendente da un sovrano ma condizionato da un uomo della Chiesa. La
sottomissione di Teodosio è emblematica: l’autorità morale prendeva il
sopravvento su quella temporale. Il gesto di umiltà voluto da Ambrogio al
cospetto del pubblico affermava la potenza e l’autorità della Chiesa cristiana,
così come l’aveva concepita Ambrogio. Ricordiamo che dopo questa vittoria di
Ambrogio, Teodosio emanò un provvedimento di assoluto divieto del culto
pagano prima a Roma, poi lo estese l’anno dopo a Costantinopoli. Ed è il
trionfo di Ambrogio e il trionfo del cristianesimo. Il Paganesimo muore ma non
muore solo: la strana malattia indiana di Teodosio, dalla quale era
miracolosamente guarito tredici anni prima, torna a minarne il fisico ed il
morale. Teodosio decide di tornare a Roma per curarsi meglio dove finalmente

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giunse nel 394 d.C. (1147 aUc) dopo quasi quindici anni di assenza per il suo
impegno al fronte kushano e mentre il Senato si appresta a concedergli il
meritato trionfo il 17 gennaio dell’anno successivo egli muore senza nemmeno
godersi il prestigio delle nuove conquiste e senza che gli sia concesso di vedere
per l’ultima volta i confini del grande Impero che era riuscito a creare.
La guerra con l’Impero kushano è stata lunga e difficile ed è costata quasi un
milione di morti: si prospetta lunga l’integrazione della parte occidentale
dell’India nell’Impero a causa della sua lontananza dal Mediterraneo e dei
fanatismi politici e religiosi che la agitano; tuttavia i tesori depredati coprono
abbondantemente le spese, i mercanti si ritrovano nuovi ricchi porti aperti ai
loro traffici e soprattutto l’Europa gode di un periodo di pace e di floridezza, è
in piena ascesa economica e tecnologica e può permettersi di dominare un
Impero che si estende ormai dalla Lapponia al Gange (nuovo confine orientale),
dall’Atlante all’Indukush, dall’Islanda alla Nubia. La politica di espansione ha
dunque salvato Roma da un possibile periodo di declino che avrebbe potuto
addirittura portare allo smembramento ed alla caduta dell’Impero Romano
come profetizzato nello scritto di Adriano.

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L’ESPANSIONE AFRICANA
DELL’IMPERO ROMANO (395-474

d.C., 1148-1227 aUc)

Onorio, l’Imperatore che scomparve in Africa (395-423 d.C., 1148-1176
aUc)

Dopo la morte di Teodosio, il Senato proclama Imperatore suo figlio
secondogenito Onorio. Egli decide di fermare l’espansione dell’Impero verso
oriente dato che le nuove province dell’India sono ben lungi dell’essere
pacificate e romanizzate ed innumerevoli sono gli interventi dell’esercito
dell’Est per sedare le rivolte. Con la precaria situazione orientale, un’ulteriore
espansione oltre il Gange che porterebbe i confini dell’Impero Romano a
ridosso di quelli del potentissimo Impero Cinese è completamente da escludere.
L’Imperatore Onorio decide, quindi, di riprendere l’espansione in Africa
penetrando la valle del Nilo ed inoltrandosi verso l’Africa nera. Già durante
l’Impero di Costanzo II i rapporti tra Roma e l’Impero di Axum, floridissima
città dell’Etiopia settentrionale, si sono fatti sempre più stretti, tanto che il re
Ezana, colui che porta Axum al suo massimo splendore, è stato addirittura
educato a Roma e ad Atene. Intanto, però, astuti commercianti senza scrupoli
esplorano per conto loro le regioni del corno d’Africa, fondandovi basi
commerciali nelle quali, subito dopo, fanno irruzione le legioni romane
estendendo lentamente ma inesorabilmente i confini dell’Impero. Il primo
passo è lo stabilimento di una base commerciale nelle isole Dahlak, subito dopo

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occupate dalle navi da guerra provenienti dai porti sabei e quindi colonizzate da
tribù arabe. Nel 397 d.C. (1150 aUc) Onorio raggiunge le sue truppe in Africa
ed ordina la penetrazione romana nella costa di quella che sarà chiamata
Aeritrea con l’occupazione della strategica baia di Assab; successivamente
viene fondata Asmara, sul luogo di un preesistente villaggio camitico, ma la
provincia di Aeritrea viene organizzata formalmente solo nel 410 d.C. (1163
aUc). Prima di quella data, già nel 396 d.C. (1149 aUc) i mercanti arabi
stabiliscono protettorati anche sulla costa somala a partire dal già potente regno
di Obbia. Le tribù somale offrono scarsa resistenza alla penetrazione delle
legioni e così ben presto il regno di Axum si trova circondato. La conquista
dell’Eritrea e dell’Etiopia fu merito soprattutto dell’ex-console della prefettura
germanica Alarico, che Onorio nominerà poi Caesar per il suo valore, e del
generale Stilicone suo capo di stato maggiore. Alarico, infatti, fu richiamato a
Roma dal Senato per dare supporto alle truppe imperiali di Onorio stremate dal
caldo, dalla sete e dalla malaria. Egli giunse a Roma il 24 Agosto 410 d.C.
(1163 aUc) dove prese il comando, insieme a Stilicone, di un’armata di ben
5000 uomini che si imbarcarono per l’Africa dal porto di Ostia. I poderosi
rinforzi di Alarico piegarono facilmente le deboli difese tribali africane, anche
se il valoroso generale Stilicone fu ucciso in combattimento in Eritrea nel 408
d.C. (1161 aUc). La penetrazione romana diventa in sostanza un’enorme
invasione ma nel 412 d.C. (1165 aUc) i ras (cioè i potenti feudatari locali)
cominciano ad unirsi per convincere il re a scuotersi di dosso il giogo
dell’oppressore, come essi lo chiamano, nonostante la contrarietà del clero
locale che mette in guardia il re dal ribellarsi a tanto soverchiante potenza.
Abbagliato dall’idea di ritagliarsi un regno africano esteso fino all’Egitto e
considerando erroneamente i greci, i romani e gli arabi come dei decadenti
crapuloni dediti alle orge ed all’omosessualità, il re dichiara guerra a Roma, ma
con una guerra fulminea su tre fronti (dalla Nubia, dal mar Rosso, dalla
Somalia) egli viene rapidamente sconfitto ad Adua dalle truppe di Alarico,
detronizzato e deportato in India. È l’anno 413 d.C. (1166 aUc) e l’Imperatore
Onorio può annettere formalmente la provincia di Aetiopia che Settimio Severo
provò inutilmente a conquistare duecento anni prima. L’integrazione è
comunque rapida, grazie alla saggia opera del comandante in capo della guerra
d’Etiopia. Alarico, infatti, conserva intatto il potere dei feudatari e nomina
governatore della provincia il più potente di essi; anzi, si serve delle loro truppe
per ultimare la penetrazione nel Corno d’Africa. Solo venti anni più tardi (nel
433 d.C., 1186 aUc) però verranno annesse formalmente le province di Somalia
e di Phutia. Abbagliato da questo successo, Onorio decide di imitare i suoi
predecessori e di conquistarsi la fama eterna di conquistatore rivolgendosi
all’Africa. Del resto, la lunga opera di colonizzazione grecoromana dell’India
assorbe tutta l’energia delle province orientali e dunque rende impossibile

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un’ulteriore espansione in quella direzione in tempi brevi. Inoltre, l’invasione
dell’Africa nera era già cominciata non solo lunga la costa dell’oceano indiano
ma anche lungo la costa atlantica. Infatti, già si possono considerare vassalli i
deboli regni dei Mauri nell’attuale Marocco, spingendo l’influenza romana fin
sotto il trentesimo parallelo; per ordine di Onorio, ad Alarico non resta altro da
fare che annetterli con un’azione di forza creando la provincia di Morroccus. È
il 414 d.C. (1167 aUc). Nell’estremo sud della provincia egli fonda la città di
Alariana Morroccus (417 d.C., 1170 aUc) da usarsi come base militare per le
future spedizioni nell’Africa Nera. Quindi, Alarico si spinge più a sud tra i
bellicosi regni dei Bafuri; egli sfrutta le loro divisioni interne e la loro
incapacità di eleggere un unico capo per batterli separatamente a più riprese,
organizzando nel 418 d.C. (1171 aUc) la provincia di Baphuria. Si impossessa
anche della strategica città di Atar, nodo fondamentale per il controllo delle
carovaniere che attraversano il Sahara da nord a sud. A questo punto egli
giunge alle frontiere nord dell’Impero del Ghana, vasta organizzazione statuale
estesa sui bacini dei fiumi Niger e Senegal dalle coste del golfo di Guinea fino
all’arido deserto dei Tuaregh. Un esploratore romano, il mercante Aderbale di
Cartagine, ha già attraversato il Sahara lungo le vie carovaniere alla metà del
terzo secolo, raggiungendo i ricchi regni dell’Africa subsahariana, ed ha
lasciato un dettagliato diario di viaggio che descrive minuziosamente l’Impero
del Ghana a quel tempo nel pieno del proprio rigoglio. Alarico, dunque, sa
quanto sia potente quella grande Federazione di popoli, paragonabile sotto
molti aspetti all’Italia dominata da Roma nel terzo secolo avanti Cristo. Onorio
invece, agendo in verità piuttosto stoltamente, pretenderebbe un’immediata e
massiccia azione di guerra per annettere il ricchissimo Impero, così come era
accaduto per l’Etiopia, e permettergli di fregiarsi di qualche sciocco titolo come
“Conquistatore dell’Africa” come il suo predecessore Teodosio fu
“Conquistatore dell’India”. Dopo un lungo braccio di ferro tra il Cesare realista
e l’Augusto utopista, questo ultimo ordina al primo di rientrare a Roma via
terra prendendo possesso delle vie carovaniere che dalla Bafuria portano in
Numidia. Ma mentre il fedele Alarico obbedisce, Onorio organizza una grande
spedizione militare che costeggi le coste atlantiche dell’Africa sulle orme del
navigatore cartaginese Annone (V sec. a.C.). Egli stesso si pone al comando
della spedizione, di nascosto dal Caesar, convinto di coprirsi di gloria. Tuttavia
la spedizione nasce subito male per i superstiziosi romani, se è vero che
l’Augusto cade in mare a causa del beccheggio mentre sta percorrendo la
passerella per salire a bordo della nave ammiraglia. I fatti sembrano dare
ragione alla Cabala, poiché tempeste e naufragi affliggono la spedizione che
arriva decimata ed indebolita alla foce del grande fiume Senegal. Quando
Alarico giunge infine a Cartagine, è appena giunta la notizia che la flotta
imperiale è stata attaccata e distrutta dalle veloci canoe dei nemici e lo stesso

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Imperatore Onorio è caduto prigioniero: di lui non si saprà più niente. È il
gennaio 423 d.C. (1176 aUc). Lo scalpore nell’Impero è grandissimo, perché
una cosa del genere non era mai successa! I popoli oppressi danno vita a
ribellioni in ogni dove, convinti che la potenza romana stia per crollare e gli
Ebrei tentano l’ennesima sollevazione provocando così un’altra dura
persecuzione anche contro Cristiani e Zoroastriani che non venivano perseguiti
dai tempi dell’Editto di Costantino del 313 d.C. (1066 aUc).

Alarico doma le rivolte nell’Africa mediterranea lasciando ai suoi luogotenenti
il compito di domare quelle in Etiopia, Turkestan e India, ma viene catturato da
una tribù dell’Impero del Ghana. A Roma intanto il Senato, duramente
contestato per aver sventatamente assecondato le manie di grandezza di Onorio
che per poco non hanno trascinato l’Impero al disastro, nomina Imperatore il
ventenne governatore della provincia di Pannonia Attila nel 424 d.C. (1175
aUc) con il difficile compito di rimediare alla situazione critica in Africa.

L’astuto Attila, flagello di Dio (424-455 d.C., 1175-1208 aUc)

Attila compie subito un estremo tentativo di salvare Alarico che è stato ridotto
in schiavitù nella città di Niani, Capitale dell’Impero nemico. Con sole quattro
navi ripercorre la via di Annone e si presenta in pace ai Takrour, popolo
suddito del Ghana, convincendoli a consentirgli di raggiungere la Capitale.
Nella grande città di Niani può incontrare di persona l’Imperatore, al quale i
suoi sudditi attribuiscono origini divine, e gli fa ricchi doni nel tentativo di farsi
restituire Alarico. Il sire sembra acconsentire ma Attila si vede consegnare solo
la pelle di Alarico imbottita di paglia. Superato l’orrore e la rabbia iniziali
Attila decide di giocare d’astuzia e fingendosi sinceramente atterrito dalla
potenza dell’Impero del Ghana accetta di pagare un tributo annuo. Ritornato a
Roma attraverso le carovaniere di cui è ormai un esperto egli si sente
rampognare dal Senato che lo accusa di scarsa energia e addirittura di
sudditanza al nemico e lo dichiara deposto dandogli anche dell’inetto. I suoi
soldati però lo difendono occupando in armi la sala del Senato nel tempio di
Marte. La guerra civile è evitata perché egli spiega ai senatori che il tributo
nasconde in realtà un astuto piano, volto a rabbonire i ghanesi, convinti di
essere usciti vittoriosi dallo scontro, ma in realtà ad aggirarli e a circondarli
così come era successo per il regno di Axum. Si tratta di un piano che
apparentemente svilisce la potenza di Roma e richiede molto tempo, perciò
esso viene approvato solo da una strettissima maggioranza. Attila, comunque,
si dimostra l’uomo adatto per metterlo in pratica. Egli, infatti, percorre di
nuovo le carovaniere, stavolta verso sud, in compagnia del suo fido generale
Ezio riducendo all’obbedienza il popolo dei Garamanti già soci del popolo
romano, più tardi organizzati in provincia e si spinge nel regno di Timbuctù,

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del quale aveva avuto notizia dai resoconti di Aderbale di Cartagine. Esso è
rivale del Ghana, ma a differenza del potente Impero è in decadenza per cui
Attila può sottometterlo (437 d.C., 1190 aUc) anche perché il popolo lo
accoglie a braccia aperte quando sa che egli vuole distruggere la potenza del
Ghana. Di vittoria in vittoria Attila esplora e conquista tutto il medio corso del
Niger guadagnandosi la fama tra i suoi soldati di “Flagello di Dio”. Egli teme
una spedizione punitiva dei suoi avversari ma riceve nuovo slancio dalla notizia
che il re del Ghana è morto ed è in corso una lotta per la successione tra i vari
clan tribali. Ne approfitta conquistando il regno del Dahomey che lo proclama
spontaneamente suo re e giunge così, per la prima volta nella storia di Roma,
sulla costa del torrido golfo di Guinea. Oramai le truppe romane riescono ad
avanzare abbastanza agilmente nell’inospitale e caldo territorio africano anche
se la malaria e la sete mietono più vittime dei poveri e male organizzati eserciti
tribali nemici. Mentre egli assoggetta il regno di Gao, già vassallo del Ghana ed
ora suo nemico, il suo luogotenente Ezio risale la costa verso est sottomettendo
la Costa d’Oro, la Costa d’Avorio e la Costa degli Schiavi (oggi Liberia) fino ai
confini con l’Impero del Ghana che a questo punto si trova accerchiato. È
l’Ottobre del 451 d.C. (1204 aUc) quando Ezio entra trionfante in Costa
d’Avorio completando l’accerchiamento progettato dall’astuto Attila. Vengono
create le nuove province di Dahomey, Gao, Costa d’Avorio, Costa d’Oro e
Costa degli Schiavi. Attila il Flagello di Dio e Conquistatore dell’Africa si
spegne a Timbuctù a causa della malaria nel 455 d.C. (1208 aUc) senza aver
mai regnato da Roma in tutta la sua vita, in questo sostituito dal Senato, e senza
poter raccogliere i frutti della sua brillante strategia.

Leone I di Bisanzio e la Conquista del Ghana (456-474 d.C., 1209-1227

aUc)

La notizia della morte dell’Imperatore Attila giunge a Roma accompagnata
dall’indicazione dell’erede: Leone I di Bisanzio che viene incoronato
Imperatore nel 456 d.C. (1209 aUc). Questi continua l’opera del predecessore
alimentando e sostenendo la guerriglia interna all’Impero del Ghana. Fonda
nuove colonie sul golfo di Guinea, tra cui la più importante è Leonia Guineana
destinata a divenire successivamente la Capitale di tutta la regione. Egli
colonizza la regione con Berberi, Fenici, Arabi, Persiani e persino con Ebrei nei
confronti dei quali è tollerante avendo sposato un’etiope di religione ebraica
(falascià).

Nel 472 d.C. (1225 aUc) Kankan Moussa, l’ultimo re del Ghana, decide di
mettere fine all’isolamento dalle grandi vie carovaniere in cui i romani lo hanno
costretto e muove guerra verso Roma. A quel punto però l’Impero è abbastanza

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indebolito per essere duramente sconfitto a Bamako. Moussa è catturato e
Leone lo fa scorticare vivo per vendicare Alarico. Egli divide l’Impero nelle
cinque province di Diara, Senegal (quest’ultima con Capitale nel porto di
Dakar), Malinke, Bambara e Sosso. Leone manda anche esploratori nella
regione del lago Ciad e comincia a preparare piani per una possibile
ricongiunzione della Guinea all’Etiopia ma questi progetti vengono interrotti
dalla sua morte improvvisa per dissenteria il 18 gennaio 474 d.C. (1231 aUc)
ad Abomey. Ecco un altro sovrano che regna per diciassette anni senza mai
essere stato nella Capitale: un paradiso per i membri del Senato che
spadroneggiano senza rivali in Europa ed in Asia mentre gli Augusti sono
impegnati nelle conquiste africane. Ma la situazione cambia notevolmente con
la nomina del successore Giulio Nepote eletto Imperatore nel 474 d.C. (1227
aUc) che inaugura un lungo periodo di decadenza e di stallo militare.

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CLAUDIO NEBRIDIO:
L’ESPLORATORE DELL’ANTICA
GRECIA (447-545 d.C., 1100-1198 aUc)

Riprendono le persecuzioni anticristiane (474 d.C., 1227 aUc)

Alla morte di Leone (474 d.C., 1227 aUc) il Senato designa al suo posto Giulio
Nepote già comandante della XXXVII legione stanziata sull’Alto Volga e
marito di una nipote del defunto Imperatore. Egli intraprende subito una feroce
persecuzione contro i Cristiani, accusati di essere i sobillatori delle nuove
province africane per ribellarsi contro Roma. In questo modo, egli costringe
molti Cristiani desiderosi di salvarsi la vita senza rinnegare la loro fede a
lasciare l’Urbe e le città più importanti, per rifugiarsi nelle terre più remote
dell’Impero, ed in particolare il Turkestan, il Kashmir, la Norvegia e l’Islanda.
Quest’ultima, ricolonizzata dai Vichinghi, risulterà alla fine popolata almeno
per l’80 % da Cristiani in fuga dalle persecuzioni. Ma questo non è il solo
risultato della persecuzione scatenata da Giulio Nepote; in effetti, senza il suo
complotto anticristiano la storia della Scienza sarebbe risultata assai più povera
e non sarebbero state possibili neppure le successive conquiste operate dalle
aquile romane. Tutto questo lo si deve a Claudio Nebridio, il più grande
viaggiatore dell’età imperiale, nato nel 447 d.C. (1200 aUc) in un villaggio
dell’Attica da genitori convertitisi al Cristianesimo in seguito alla predicazione

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di San Claudio Filantropo vescovo di Atene esiliato in Crimea e poi nella
Moesia sul Volga dove morrà in seguito alle persecuzioni volute dal Senato
contro i Cristiani accusati di attività antiromane perché rifiutano il servizio
militare e la violenza delle armi. Claudio, che ha ricevuto il nome del santo
vescovo, è dotato di una spiccata intelligenza e di una incredibile memoria che
lo rende particolarmente portato per l’apprendimento delle lingue; per questo è
preso a benvolere da un filosofo neoplatonico seguace delle idee di Plotino.
Secondo la leggenda, Claudio è un ragazzo e legge un libro mentre pascola le
capre del gregge paterno quando il filosofo in viaggio da Tebe verso Atene si
imbatte nel giovane e comincia a discutere con lui del libro che sta leggendo, il
“Fedone” di Platone. Colpito dalla loquela e dalle risposte argute del ragazzo,
lo porta con sé ad Atene e lo fa studiare. Claudio assorbe così tutta la cultura
platonica allora dominante, tra l’altro trovandola perfettamente conciliabile con
il messaggio evangelico, e comincia egli stesso a scrivere dialoghi di natura
filosofica. I maestri decidono allora di inviarlo a studiare a Roma, al tempo
dell’Impero di Leone, dove egli frequenta lezioni di retorica, grammatica e
poesia. Ben presto diviene tanto esperto e tanto famoso da tenere egli stesso
lezioni di filosofia e di retorica ed intanto comincia la carriera politica
assumendo la carica di questore. Ha anche contatti segreti con il Papa e con i
Cristiani delle catacombe che lo considerano una specie di eroe capace di fare
strada in quello stato romano che di solito i Cristiani li perseguita non li onora,
a causa del loro suddetto rifiuto di far uso delle armi.

Il Primo Viaggio (475-499 d.C., 1227-1252 aUc)

Purtroppo però la persecuzione scatenata dal nuovo Imperatore Giulio Nepote
tronca la carriera di Claudio Nebridio, chiamato come tutti a bruciare
pubblicamente incenso agli dei pagani. La notte tra il 5 ed il 6 febbraio del 475
d.C. (1228 aUc), all’età di 28 anni, come egli stesso narra nella sua
Autobiografia scritta in età avanzata, il nostro eroe lascia nascostamente l’Urbe
e si imbarca ad Ostia per la Grecia lasciando la sua casa tutta sottosopra ed
incaricando alcuni amici di diffondere la voce che sia stato rapito per ordine di
chissà quale avversario politico. Tornato in Attica, scopre che il suo villaggio
nativo è stato bruciato ed i suoi anziani genitori passati per le armi. Decide
allora di lasciare per sempre quell’Impero che gli ha causato tanto dolore e,
grazie al discreto gruzzolo che ha messo da parte a Roma, di raggiungere quelle
lontane terre di cui ha sentito narrare nelle descrizioni di viaggio di mercanti ed
avventurieri. Egli entra così nel novero dei grandi viaggiatori del mondo antico
e ne diventerà il primo per ampiezza e durata delle sue peregrinazioni. Il suo
primo viaggio comincia dunque da Atene. Arriva via mare al porto di Gaza e
raggiunge Gerusalemme, dove constata che i templi pagani sono caduti in

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rovina, ed egli può discendere nel sepolcro di Cristo per la prima volta dopo la
rivolta del Bar Kochba. Sale dunque a Damasco, dove incontra la locale
comunità cristiana fondata da Paolo, quindi raggiunge Antiochia di Siria e poi
Samosata nel Commagene, la patria del grande poeta Luciano dove si aggrega
in qualità di geografo e di interprete ad una carovana di mercanti diretta nei
lontanissimi paesi della seta. Egli, infatti, ha studiato da sempre le carte
geografiche ed i racconti di viaggio e, oltre al latino e al greco, ha imparato
l’ebraico, l’aramaico, il persiano ed il sanscrito. La carovana percorre la grande
via Caesarum attraverso la Mesopotamia, la Persia e la Battriana, quindi supera
i passi dell’Indukush dove si trova il confine dell’Impero Romano e percorre la
via della seta attraverso i deserti dell’Asia centrale. Raggiunge così l’Impero
cinese che proprio in quell’epoca stava rifiorendo e ritrovando l’unità dopo un
lungo Medioevo feudale sotto la dinastia dei Wei del Nord e nel 499 d.C. (1252
aUc) ne visita la Capitale Nanchino, cercando subito i dotti dai quali può
apprendere quanto più possibile su quella civiltà affatto sconosciuta. Impara il
cinese ad una velocità straordinaria tanto che dopo poco tempo può discutere da
pari a pari con i saggi confuciani, i quali non tardano a rendersi conto di
trovarsi davanti una persona fuori dal comune. Egli è introdotto alla corte del
giovane Imperatore, il quale lo ascolta e ricavatone una grandissima
impressione lo vuole accanto a sé come maestro e consigliere. Dopo sei anni di
servizio nella Capitale lo nomina proprio legato e gli ordina di visitare le
province del suo Impero per fargli accurata relazione di ciò che funziona e di
ciò che non funziona nella loro amministrazione.

Il Secondo Viaggio (500-511 d.C., 1254-1264 aUc)

Così Claudio Nebridio inizia quello che è considerato il suo secondo viaggio in
ogni angolo del complesso subcontinente cinese. Nel 502 d.C. (1255 aUc) egli
è inviato come legato in Giappone per trattare accordi commerciali e nel 505
d.C. (1258 aUc) è incaricato di una difficile ambasceria presso i Mongoli nella
città-fortezza di Karakorum, che egli conduce con fine diplomazia. L’anno
successivo visita il sud della Cina e l’attuale Cambogia. Quando alfine torna a
Nanchino, nel 511 d.C. (1264 aUc), chiede all’Imperatore di lasciarlo ripartire
per le proprie esplorazioni; il Figlio del Cielo acconsente a malincuore e lo
carica di doni, incluse perle e rubini grossi come noci, che gli consentiranno di
proseguire la propria opera senza preoccupazioni finanziarie.

Il Terzo Viaggio (511-518 d.C., 1264-1271 aUc)

Egli inizia così, all’età di 64 anni, il suo terzo viaggio. Su una nave messagli a
disposizione dall’Imperatore egli costeggia la Cina e si spinge nella penisola di
Malacca e quindi nel Borneo e tra le isole Molucche. Ritorna poi verso

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occidente, costeggia Giava e Sumatra dove vede l’”unicorno” (il rinoceronte,
ovviamente) e costeggia l’India le cui province, dopo un secolo dalla conquista
romana di Teodosio, stanno meditando la secessione per sfuggire
all’Imperatore tiranno Teodorico. Egli risale il Gange fino a Palibothra, poi
decide di tornare indietro e di costeggiare tutta la penisola del Deccan,
approdando infine in Arabia Felice dove si congeda per sempre dai marinai
cinesi. È il 518 d.C. (1271 aUc), dalla sua partenza da Roma sono passati
quarantatre anni, egli ne ha 71 ed ormai tutti si sono dimenticati di lui; inoltre
in quel periodo l’Imperatore Teodorico, ancora al potere, continua le
persecuzioni dei Cristiani, per cui egli decide di infrangere la promessa fatta a
sé stesso davanti alle tombe dei genitori, viaggiando ancora attraverso i
possedimenti di Roma.

Il Quarto Viaggio (518-533 d.C., 1271-1286 aUc)

Dopo essersi soffermato un anno in Arabia riprende il mare iniziando il suo
quarto viaggio. Sbarca nella penisola del Sinai, sale al monte di Mosè, quindi
raggiunge le Piramidi e la Valle dei Re. Risale poi il Nilo, deciso a scoprirne le
sorgenti. Dopo un viaggio periglioso e con l’aiuto di portatori nubiani
raggiunge per primo il Lago Vittoria (528 d.C., 1281 aUc), poi si inoltra
nell’interno alla ricerca dei mitici Monti della Luna da cui nascerebbe il Nilo.
Egli scopre invece la “grande montagna innevata”, il vulcano Kilimangiaro, che
vede ergersi da lontano sulle ampie savane africane. Ritornato sul lago Vittoria
punta verso ovest e raggiunge il fiume Congo che discende fino alla foce (531
d.C., 1284 aUc); egli è il primo grecoromano a percorrere tutto l’interno
dell’Africa dall’Oceano Indiano all’Atlantico. Durante questa impresa ha
contratto la febbre gialla ma ne guarisce pressoché miracolosamente, risale la
costa fino al confine romano, si imbarca, costeggia tutto il continente africano,
rientra nel Mediterraneo e decide di ritornare a Roma (533 d.C., 1286 aUc) da
cui manca da cinquantotto anni e la quale non è più da tempo la Capitale
dell’Impero che è stata trasferita a Costantinopoli dall’Imperatore Odoacre nel
476 d.C. (1229 aUc).

Il Quinto ed ultimo Viaggio (533-545 d.C., 1286-1298 aUc)

Il periplo via mare dalla foce del Congo fino alla Capitale è considerato il suo
quinto ed ultimo viaggio e non è meno avventuroso degli altri perché nel corso
di esso Claudio Nebridio approda alle isole di Capo Verde, disabitate e prima di
allora del tutto trascurate dai Romani, vi fonda un fortilizio e da lì tenta
addirittura di attraversare il Mare Oceano. Egli infatti è convinto che la terra sia
sferica e che sia possibile giungere in Cina per via marittima. Una tempesta
tropicale lo costringe immediatamente a recedere dal suo tentativo di valicare

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l’Oceano; la stessa via sarà intrapresa solo undici secoli dopo da Caio
Cristoforo Colombo che scoprirà il nuovo continente americano. È l’estate del
535 d.C. (1288 aUc). Claudio Nebridio ha 88 anni e decide finalmente che è
ora di dire basta alle avventure. Via mare raggiunge Atene, dopo un’ultima
visita a Roma, e si fa costruire una villa sul luogo dove sorgeva il suo villaggio
natio. Qui si ritira per redarre in greco il suo capolavoro, la “Cosmographia
Universalis” in cento libri, compendio di tutte le sue scoperte geografiche e di
tutte le sue osservazioni naturalistiche ed etnologiche. Gli si attribuiscono oltre
cinquanta libri di storia, geografia ed antropologia tradotti in latino, persiano,
sanscrito e persino in cinese, oltre ad una grande mappa del mondo antico che
sarà usata per generazioni. Claudio Nebridio muore nel 545 d.C. (1298 aUc)
sotto l’Imperatore Giustiniano alla incredibile età di 98 anni.

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NASCE IL SECONDO IMPERO DI
ROMA: I COLPI DI STATO DA

ODOACRE A TEODORICO (474-526
d.C., 1227-1280 aUc)

Gli effimeri regni di Giulio Nepote e Romolo Augustolo (474-476 d.C.,
1227-1229 aUc)

Facciamo ora un passo indietro e riprendiamo il discorso là dove lo avevamo
interrotto per raccontare le epiche spedizioni di Claudio Nebridio in ogni
angolo del globo dal Giappone alle isole di Capo Verde. Giulio Nepote asceso
al trono nel 474 d.C. (1227 aUc) passa alla storia soprattutto come persecutore
dei Cristiani. Durante il suo brevissimo regno, e durante quello dei suoi
successori, le guerre di espansione conoscono una pausa per riprendere solo
con l’Imperatore Giustiniano nel 527 d.C. (1280 aUc). Nepote fu subito molto
impopolare presso il Senato a causa delle ripresa delle persecuzioni (molti
senatori erano cristiani) e quando fece l’errore di affidare al generale germanico
Oreste la gestione dell’esercito questo non ebbe altro effetto che rafforzare
l’antipatia del Senato per Nepote. Il Senato, allora, comincia a contattare Oreste
per defenestrare l’Imperatore e nominarne uno più “consono”. Oreste prende il
controllo di Ravenna e costringe Nepote a scappare verso la Dalmazia. Oreste,
che era di origini germaniche, non ottiene il consenso del Senato per diventare
Imperatore. Fa allora acclamare Imperatore suo figlio Romolo Augustolo la cui

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madre era romana anche se era un bambino di meno di 10 anni (476 d.C., 1229
aUc). Il Senato ratifica la nomina ma subito scoppiano le rivolte nella prefettura
della Germania Magna che sostiene il console germanico Odoacre come
legittimo Imperatore. Corrompendo i generali dell’esercito del Nord, Odoacre
piomba a Roma e depone il bimbo Imperatore Romolo Augustolo per farsi
acclamare Imperatore di Roma.

Il “colpo di stato germanico” di Odoacre e la nascita del Secondo
Impero di Roma: Costantinopoli Capitale (476-488 d.C., 1229-1241 aUc)

Il Senato non ha altra scelta che accettare Odoacre come Imperatore. È il 476
d.C. (1229 aUc) ed il bimbo Romolo Augustolo viene imprigionato e lasciato
morire in carcere. Tale data è stata scelta dagli storici come punto di divisione
tra il primo ed il Secondo Impero di Roma inaugurato dalla lunga stagione dei
colpi di stato. Primo atto di Odoacre è quello di spostare la Capitale da Roma a
Costantinopoli ritenuta, dopo le conquiste indiane, città più “centrale”e per la
prima volta la Città Eterna perde lo status di Capitale (che riacquisterà solo nel
IX secolo con l’Imperatore Carlo Magno).

Odoacre dedica tutto il suo regno, durato dodici anni, a riorganizzare
politicamente l’Impero, essendosi reso conto che esso in breve tempo è
cresciuto a tal punto da necessitare di riforme radicali. Fonda città e colonie nei
nuovi territori conquistati, vi trasferisce coloni e vi insedia le guarnigioni di
frontiera affinché proteggano i loro poderi assieme ai confini dello stato, traccia
nuove strade che consentano rapidi spostamenti di truppe oltre che di mercanti,
dà impulso alla romanizzazione degli antichi regni di Ghana, Dahomey e
Timbuctù, diventati province romane, disegna con precisione i confini delle
nuove province e combatte l’inflazione con un’accorta politica dei prezzi,
scegliendo i propri ministri e collaboratori tra i borghesi più ricchi ed
illuminati. Egli viene ricordato, quindi, come un buon amministratore e durante
il suo regno non si sposterà mai dalla Capitale Costantinopoli. Il Secondo
Impero era iniziato: le prodigiose conquiste del Primo Impero che avevano
spinto i confini di Roma sulle rive del fiume Gange nella penisola indiana, sulle
ghiacciate coste scandinave e nelle torride lande africane avevano anche
lasciato una difficile eredità ai successori per gestire un territorio di tale
ampiezza con tutte le lentezze del trasporto dell’epoca. Gli storici interpretano i
lunghi anni dei colpi di stato da Odoacre a Teodorico come una necessaria
pausa di riflessione, un periodo di tregua per amministrare le conquiste
effettuate allo scopo di evitare il collasso dell’Impero sotto il suo stesso peso.

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Zenone ed il “colpo di stato borghese” (488-491 d.C., 1241-1244 aUc)

Alla morte di Odoacre (488 d.C., 1241 aUc) il suo successore Zenone regna
solo tre anni: tanto tempo occorre per mettere in atto un nuovo colpo di stato
contro l’Imperatore ed il Senato ad opera della borghesia mercantile colta.
Tarasicodissa, così Zenone era noto da giovane, era un Isauriano proveniente
dalla provincia di Armenia. Ben noto come guerriero, Tarasicodissa attirò
l’attenzione dell’Imperatore Leone che lo nominò comandante delle legioni di
confine in Armenia. Per rendersi più accettabile alla gerarchia romana militare
Tarasicodissa adottò il nome greco di Zenone e lo usò per il resto della sua vita,
anche dopo il matrimonio con la figlia di Leone Ariadne nel 468 d.C. (1221
aUc). Zenone viene descritto come un governante indolente e lassista e si rese
molto impopolare presso il popolo ed il Senato e ciò portò al colpo di stato
borghese del 491 d.C. (1244 aUc) che causò la morte dell’Imperatore.

Il colpo di stato è reso possibile dai seguenti fatti:

1) la classe equestre compra con ingenti somme di denaro i capi di trenta
legioni, convincendoli a tenere a freno le proprie truppe al momento della
caduta del Senato;

2) tra i primi atti dei golpisti si annovera un’elargizione di terre ai veterani, che
accontenta la maggior parte di essi, ed un aumento del soldo delle nuove leve
appena arruolate;

3) le legioni del Nord e dell’Asia covavano già da tempo la ribellione contro il
Senato, accusato di favorire unicamente le legioni africane perché è in quella
direzione che è avvenuta l’espansione nell’ultimo secolo, e non muovono un
dito per difendere gli alti gerarchi contro la ribellione.

Anastasio il “mercante stolto” (491-493 d.C., 1244-1246 aUc)

Il Senato viene esautorato e tra tutti i pretendenti al trono un’assemblea simile
alla bulè greca che si riunisce lungo la via Trionfale ed i Fori elegge come
Imperatore Anastasio, un ricchissimo mercante di Corinto. Questi per alcuni
mesi governa secondo le aspettative dei borghesi che lo avevano eletto ma poi,
da buon mercante, tratta l’Impero come una mera proprietà privata. Egli
dichiara finita per sempre l’era dell’espansione, nel timore che qualche abile
generale possa prendere il suo posto o solo fomentare delle ribellioni contro di
lui, e si abbandona alla bella vita ed al lusso disinteressandosi completamente
dell’Impero e della politica. Il Senato non è stato ancora ricostituito dal colpo di
stato borghese del 491 d.C. (1244 aUc) e l’Impero è virtualmente senza guida.

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Tutto questo stato di cose provoca un primo attentato contro di lui sventato da
un pretoriano che poi egli come ringraziamento farà uccidere. Il generale
Teodorico, governatore della prefettura di Germania Magna, prende allora in
mano la situazione e nel tentativo di emulare il suo predecessore e
consanguineo Odoacre si mette al comando dell’esercito del Nord e scende in
Italia. Le truppe del Nord affrontano i pretoriani alle porte di Roma e riescono
ad avere la meglio mentre il vigliacco Anastasio fugge in Grecia e di lui non si
saprà più niente. Teodorico viene acclamato dalle truppe del Nord nuovo
Imperatore e non c’e nessun organo senatorio a ratificare. Egli è così, dopo solo
cinque anni, il secondo Imperatore germanico di Roma.

Le Scelleratezze di Teodorico: secessione delle province indiane e del
Dahomey (493-526 d.C., 1246- 1279 aUc)

Teodorico viene ricordato come uno dei peggiori tiranni della storia imperiale.
Egli approfitta appieno dell’assenza del Senato e quindi dell’organo di
controllo a garanzia delle azioni del Protettore dello Stato e, appoggiandosi al
Pretorio che ha ricoperto letteralmente d’oro, instaura una pesantissima
dittatura personale basata sul terrore. Fa eliminare tutti i rivali alla propria
elezione e si abbandona ad atti di crudeltà di ogni genere, forse accecato dal
potere immenso che si era ritrovato tra le mani. Egli intende regnare sul
modello dei monarchi assiri, persiani ed indiani preesistenti alla conquista
romana e per questo vieta ogni produzione poetica che non tessa i suoi elogi ed
ogni opera d’arte che non lo ritragga, cosicché l’Impero si riempie dei suoi
ritratti come in tempi recenti è accaduto alla Provincia della Mesopotamia di
Sadamio Assone. Per perfezionare questo culto della personalità egli si
appoggia alla religione, dichiarandosi incarnazione terrena di Giove Ottimo
Massimo e pretendendo che tutti lo adorino come un’autentica divinità. Inutile
dire che questo causa nuove stragi di Cristiani, Ebrei e Zoroastriani ma anche
(ed è la prima volta) di Buddisti che nelle province indiane rifiutano l’omaggio
ad una creatura mortale. Dopo ciò la sua violenza cieca e la sua follia
inferociscono ancor di più, provocando vaste sollevazioni di popolo e ribellioni
di truppe in ogni parte dell’Impero le quali causano tra l’altro la secessione del
Dahomey, provincia africana, e di tutte le province indiane così difficilmente e
duramente conquistate un secolo prima con enorme dispendio di uomini e di
mezzi, con il confine orientale dell’Impero che arretra nuovamente in Battriana.

Sono poche le note positive del lungo regno del tiranno. Egli costruisce nuovi
palazzi e un buon numero di edifici per il suo culto personale. Esempio ancora
esistente della sua attività edilizia è il famoso Mausoleo detto di Teodorico.
Teodorico si trova in conflitto con il suo consigliere Boezio specie per quanto

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riguarda l’etica del potere. Il pensiero di Boezio, relativo all’ingerenza
dell’Imperatore nella giustizia e nella gestione della dottrina religiosa, irrita
fortemente Teodorico. Costui, pur di eliminarlo, si avvale di una falsa delazione
dei due calunniatori già condannati da Boezio, e lo fa incriminare come
fomentatore di una rivolta a suo danno. Il grande filosofo, conosciuto come
precursore degli scolastici, viene portato a Pavia e viene rinchiuso in una torre.
Non solo per i filosofi sono tempi duri ma anche per i Pontefici; infatti
Teodorico, per divergenze politiche con Papa San Giovanni I, lo fa incarcerare
e non lo libera nemmeno quando viene a sapere che il sant’uomo sta per
morire.

Finalmente, il 25 dicembre del 526 d.C. (1279 aUc) un mercante ebreo di cui
ha fatto sterminare l’intera famiglia si infiltra nel Pretorio e lo trafigge da parte
a parte ponendo fine ad uno dei peggiori tiranni che la storia di Roma ricordi.
Sulle ragioni e sulla meccanica della sua fine esiste, però, più di una versione:
secondo la favola, ripresa dai poeti romantici, si descrive Teodorico roso dai
ricordi delle sue orrende azioni. Egli si mette a tavola. La bocca del pesce si
spalanca e fra i suoi denti appare la testa di un uomo: è quella del senatore
Simmaco! L’Imperatore, qualche giorno prima aveva ordinato che gli venisse
mozzato il capo e quindi gettato in mare. A Teodorico sfugge un urlo di
raccapriccio, trema, poi spalanca gli occhi e la bocca in una terrificante
smorfia. Si rovescia in avanti verso il pesce e si ritrova faccia a faccia con il
capo mozzo del senatore. Entrambi morti stecchiti.

San Felice III Papa, appena succeduto a San Giovanni I morto in carcere, che
ha elevato speciali preghiere a Gesù Bambino ed alla Vergine Madre per la fine
delle persecuzioni, da allora ed in perpetuo fissa la data del Natale di Cristo il
25 dicembre, giorno della morte di Teodorico, facendola peraltro coincidere
con la festa pagana del Sole Invitto quasi a testimoniare il fatto che Gesù è il
nuovo Sole. Il Senato viene ricostituito l’anno successivo dopo un’assenza di
trentotto anni dalla scena politica imperiale e con l’elezione di Giustiniano, nel
527 d.C. (1280 aUc), il sole ricomincia a splendere anche sul martoriato Impero
di Roma le cui frontiere, sia in Asia che in Africa, non avanzano neppure di un
palmo dalle conquiste africane dell’Imperatore Leone, cioè da più di
quarantasei anni, anzi arretrano a causa della secessione indiana e del
Dahomey. Ma sotto il regno di Giustiniano riprende l’avanzata di Roma per
merito dei Vichinghi, che procedono nella loro esplorazione dell’estremo Nord,
sotto la guida di abilissimi condottieri e di esperti navigatori.

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LE STRAORDINARIE IMPRESE DEI
VICHINGHI E L’ESPANSIONE

ROMANA OLTRE IL GANGE (527-616
d.C., 1246-1369 aUc)

Giustiniano e le straordinarie imprese dei Vichinghi: dalla Lapponia
alla Groendlandia (527-565 d.C., 1246- 1318 aUc)

Con l’elezione di Giustiniano riprende l’espansione dell’Impero di Roma verso
Nord mentre le province ribelli indiane e del Dahomey restano ancora
indipendenti dal governo centrale. I nuovi territori vengono annessi all’Impero
ad opera degli irresistibili guerrieri vichinghi. Già si è detto di Pell che,
circumnavigata la Scandinavia, approda sulle coste del Mar Bianco (Mare
Album) scoprendo quella Biarmalandia che l’Imperatore Giustiniano
organizzerà in provincia non appena eletto nel 527 d.C. (1280 aUc). Ma già nel
499 d.C. (1252 aUc) Rolfsson era penetrato nell’interno della penisola
scandinava sgominando i Lapponi, troppo arretrati culturalmente per resistere
alle spade di metallo vichinghe. Così è sempre Giustiniano ad organizzare la
provincia di Lapponia (532 d.C., 1285 aUc). Intanto i Vichinghi, in
soprannumero nelle loro province, prendono la via del mare e cercano nuove
terre di conquista. Ad un certo numero di danesi è concesso il permesso di
stanziarsi in una regione della Gallia (o Francia, se si preferisce) lungo il canale
della Manica, che dal nome dei Normanni prenderà il nome di Normandia.

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Essendo entrati in conflitto con i Franchi, parte di essi emigra in Britannia,
causando altri problemi per i loro attriti con i Britanni di stirpe celtica e con gli
Angli e Sassoni di stirpe germanica. Scoraggiati dalle cattive esperienze in terre
europee, molti vichinghi decidono di emigrare in massa sulle isole Orcadi,
Shetland, Faer Oer e soprattutto sull’isola di Thule che essi ribattezzano Islanda
(terra del ghiaccio, nella loro lingua). Ma non finisce qui. Il leggendario
navigatore Gunnbjorn Asvaldsson, persa la rotta fra le isole Faer Oer e
l’Islanda in seguito ad una tempesta, tocca per primo una terra più ad ovest cui
dà il nome di Groenlandia, cioè terra verde, avendola vista lussureggiante di
muschi e licheni (543 d.C., 1296 aUc). Gunnbjorn vi crea il primo campo
trincerato ed il primo insediamento fondandovi l’avamposto romano più
occidentale dell’Impero. Lo stesso Gunnbjorn giunge nel 547 d.C. (1300 aUc)
alle isole Svalbard, la più settentrionale delle terre mai toccate dai Romani, che
vengono provvisoriamente incluse nella provincia di Norvegia. Quell’erma
terra sarà esplorata nel secolo successivo dai cacciatori di pellicce che
giustificheranno la sua inclusione all’interno della provincia di Biarmalandia.
Inoltre, nel corso del settimo secolo un vascello di cacciatori di foche si perde
tra i ghiacci ed asserisce di aver toccato un lembo di terra ancora più
settentrionale ma non ci sono prove che si tratti di quello che noi chiamiamo
arcipelago di Francesco Giunio.

Il regno di Giustiniano fu illuminato dal successo in ogni impresa e da
un’attività prodigiosa in ogni campo. In politica interna Giustiniano, fedele al
suo ideale politico di tradizione romana, tese a rafforzare ed a rendere assoluta
l’autorità dell’Imperatore riordinando l’amministrazione dello stato in modo
che ogni provincia fosse strettamente dipendente dall’autorità centrale. In
campo religioso Giustiniano si trovò stretto nel dibattito sulla natura di Cristo,
duplice o soltanto divina, che impegnava in quegli anni le menti migliori della
Chiesa. L’Imperatore tentò una complicata soluzione di compromesso ma, vista
l’opposizione della Chiesa di Roma, non esitò a prelevare il Papa con la forza
ed a costringerlo ad accettare le risoluzioni di un concilio indetto nella Capitale
dell’Impero, Costantinopoli. Gli interventi diretti sul papato, con il ricorso
anche alla forza militare, provocarono la diffidenza della Chiesa latina che si
trasformò in aperta frattura con la lotta dell’Iconoclasmo, la disputa cioè sulla
legittimità delle immagini sacre. Ma l’attività di Giustiniano si esplicò
soprattutto in campo artistico con grandiose costruzioni quali S. Sofia a
Costantinopoli e S. Vitale a Ravenna e soprattutto in campo giuridico dove per
organizzare un Impero così vasto con la collaborazione del ministro Triboniano
fu raccolta, catalogata e commentata tutta la complessa scienza giuridica e
legislativa romana. Il risultato di quest’opera, svolta fra il 528 d.C. (1247 aUc)
ed il 565 d.C. (1318 aUc), è il “Corpus Iuris Civilis” che ha costituito nei secoli

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la base del diritto e della giurisprudenza fino ai giorni nostri.
Nessuno potrà negare taluni aspetti negativi della politica di questo Imperatore:
per esempio la crudeltà, la sospettosità, il favore mostrato verso funzionari
corrotti e incapaci. Giustiniano è chiamato a narrare la storia dell’aquila
imperiale, la cui fortuna è voluta dalla Provvidenza divina, poiché nel pensiero
di Dante egli fu il restauratore dell’autorità imperiale decaduta dopo il periodo
dei colpi di stato germanici. Giustiniano muore nel 565 d.C. (1318 aUc)
portando i confini occidentali dell’Impero addirittura in Groenlandia ma
disinteressandosi delle province ribelli orientali.

Alboino e la riconquista dell’India (565-572 d.C., 1318-1325 aUc)

Il Senato, alla morte di Giustiniano, elegge inaspettatamente Imperatore il
prefetto della Germania Magna Alboino che così diventa il terzo Imperatore
germanico ed il primo eletto regolarmente senza colpi di stato. Alboino, nei
primi due anni del suo regno, fa restaurare le grandi vie e fa presidiare le
carovaniere che portano in India, in Cina e nell’Africa centrale. Egli decide
inoltre di riprendere possesso delle province indiane perdute sotto Teodorico,
dove si sono formati degli effimeri regni per lo più in lotta tra loro. Nel 567
d.C. (1320 aUc) egli sconfigge a Calicut una coalizione di maragià indiani
riprendendo di fatto il controllo del Deccan. Nel frattempo il Generale Elmichi
occupa la valle del Gange e l’anno seguente assedia con successo Palibothra, la
Capitale di Asoka il grande. Nell’anno 571 d.C. (1324 aUc) egli riesce ad
ottenere la sottomissione delle popolazioni del delta del Gange, occupa
Tamalites (più o meno dove oggi si trova Calcutta) e per la prima volta si
affaccia con le sue legioni sul Golfo del Bengala. Le legioni romane non erano
mai arrivate fino a lì. Alboino non si accontenta e passa i monti Ghati ed
occupa i quattro piccoli regni preariani di Chola, Pandya, Tamil e Kerala, nel
sudest indiano, coalizzatisi inutilmente contro di lui dopo secoli di lotte.
Conquista anche la città di Madras di cui fa la Capitale della nuova provincia
da lui creata. La sottomissione dell’interno invece richiederà ancora parecchi
anni. Alboino proprio mentre faceva sosta nella città di Madras nel 572 d.C.
(1325 aUc) cade vittima di una congiura organizzata da sua moglie Rosamunda
assieme al generale Elmichi suo amante che l’ha convinta ad uccidere suo
marito per poi regnare insieme, ma i due non riescono nel loro intento dato che
sono costretti a fuggire una volta scoperta la congiura. Con le campagne
belliche di Alboino l’Impero riesce non solo a riconquistare le province indiane
ribellatesi sotto Teodorico ma ad espandersi verso sud conquistando quel sud-
est indiano sfuggito fino ad allora alle aquile romane. In questo modo l’Impero
può estendersi senza soluzione di continuità in tutta la parte orientale del sub-

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continente indiano fino alla frontiera del Gange che verrà presto superata dalle
conquiste dei suoi successori.

Tiberio Costantino e l’espansione nel sud-est Pacifico (573-582 d.C.,
1326-1335 aUc)

Il Senato, alla morte di Alboino, elegge come nuovo Imperatore il generale
dell’esercito dell’Arabia Felix Tiberio Costantino che si disinteressa dell’India
appena riconquistata (limitandosi a dividere tutta l’India ad occidente della
frontiera del Gange in province romane) e si dedica alla colonizzazione delle
isole dell’Oceano Pacifico. Egli dal 574 d.C. (1327 aUc) al 582 d.C. (1335
aUc) colonizza prima l’isola di Taprobane, oggi Ceylon, nominata nel poema
epico indiano Ramayana con il nome di Lanka, sede dell’orrido demone
Rhavana e poi le isole Maldive (580 d.C., 1333 aUc). Mentre però queste sono
disabitate e vengono popolate proprio da marinai sabei, l’isola di Ceylon è
abitata da fieri popoli Tamil che si oppongono in ogni modo all’invasione ed
alla colonizzazione. Saranno i generali del successore Agilulfo nel 615 d.C.
(1368 aUc) a ridurli all’obbedienza dopo una dura campagna; comunque l’isola
resterà divisa in due province: Taprobane (Capitale Methora) a sudovest e
Tamraparnis (Capitale Trincomalae) a nordest. Tiberio muore durante il ritorno
in India a causa di una tempesta tropicale che affonda buona parte della flotta
conquistatrice delle isole del Pacifico.

Agilulfo e l’Indocina (583-616 d.C., 1336-1369 aUc)

Il Senato giunta la notizia della morte di Tiberio nel 582 d.C. (1335 aUc)
elegge come Imperatore il longobardo Agilulfo, quarto Imperatore germanico,
che eredita un Impero che finalmente sembra di nuovo in grado di espandersi e
prosperare. Egli, non appena eletto, lascia Costantinopoli per arrivare alla
frontiera del Gange deciso a realizzare il sogno del suo predecessore Alboino e
dimostrare la superiorità germanica nell’Impero: invadere anche l’India ad
oriente del Gange, quella che oggi noi conosciamo come Indocina. Egli si
rivela subito un ottimo comandante in capo perché sfrutta le perpetue lotte
intestine tra le centinaia di tribù che abitano l’attuale Birmania e riesce alfine
ad ottenere la sottomissione dei Cirradi, la stirpe dominante immediatamente
superata la frontiera del Gange. Prima li riduce a regno vassallo e con l’aiuto
dei mercanti arabi che hanno fondato numerose basi commerciali sulle coste
dell’India Trans Gangem (Indocina) diffonde tra di loro la cultura greca che già
sta spopolando in India; poi (anno 601 d.C., 1354 aUc) li annette come
provincia di Cirrhadia (nel nono secolo diverrà Birmania) con Capitale Temala,
oggi Rangoon, e porta il confine romano sul fiume Besynges (chiamato Syttang
dalle popolazioni indigene). Si prepara quindi ad invadere l’Assam che resiste

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alla penetrazione romana. Nel frattempo nella provincia di Arabia un certo
Maometto, nato alla Mecca nel 570 d.C. (1323 aUc), comincia a diffondere la
profezia dell’arcangelo Gabriele apparsogli in sogno nel 610 d.C. (1363 aUc)
che gli comanda di leggere i rotoli di Allah da lui ricevuti in sogno. La Mecca
diventerà sacra per i seguaci di Maometto, detti musulmani, che adoreranno la
Caaba che conserva la pietra nera, considerata sacra perché inviata da Allah e
diventata nera per i peccati degli uomini (oggi sappiamo che si tratta solo di un
meteorite). Agilulfo, non contento di aver spostato la frontiera orientale di
centinaia di chilometri, nel 615 d.C (1368 aUc) dà il via libera alla guerra
contro l’Impero Khmer, vasta formazione politica dell’Indocina creata
dall’Impero cinese come stato cuscinetto, che preme contro il confine del fiume
Besynges e secondo alcuni storici è questo il vero inizio della terribile guerra
che si combatterà tra il VII e l’VIII secolo tra le due massime potenze del
tempo: l’Impero Romano e l’Impero Cinese. Agilulfo muore
nell’accampamento di frontiera a Besynges nel 616 d.C. (1369 aUc).

Il regno di Agilulfo non viene ricordato solo per le conquiste militari oltre il
Gange ma anche per interessanti produzioni artistiche, sia coeve sia successive
e legate al suo personaggio. Il nome di Agilulfo è legato ad un gioiello detto
Croce di Agilulfo. La croce votiva era probabilmente appesa al centro della sua
corona regale. È a forma di croce latina, con le braccia che si intersecano nelle
reciproche metà. I bracci sono svasati verso le estremità, è in oro tempestato di
pietre preziose provenienti dalle ricche miniere indiane. Un’altra importante
produzione artistica sotto il suo regno è “La chioccia con i pulcini”, scultura in
argento dorato e lavorata a sbalzo raffigurante una chioccia con i suoi sette
pulcini. Le otto piccole sculture sono posizionate su un piatto base di rame che
sostituisce l’originale che era in argento. Altro gioiello di quel periodo è la
Corona Ferrea. È strutturata in sei placche rettangolari di oro legate fra loro da
cerniere e vincolate da un anello di ferro interno. Il mito e la tradizione narrano
che il ferro fu ricavato da un chiodo con cui fu crocefisso Gesù Cristo e qui ne
discende il nome. Le placche sono decorate da gemme, smalti e rosette d’oro
che creano un delicato insieme floreale. Il valore della Corona Ferrea è
fortemente simbolico ed il mito la lega anche a Napoleone Bono Partenio
quando si incoronò Imperatore dei romani con la famosa frase: “Dio me l’ha
data, guai a chi la tocca”. Tutti questi gioielli sono attualmente custoditi presso
il Museo del Duomo di Monza in Italia.

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LA DINASTIA DEI CAROLINGI E LA
CONQUISTA DELLA CINA (616-814

d.C., 1369-1567 aUc)

Dagoberto e l’Annessione dell’Impero Khmer (616-639 d.C., 1369-1392
aUc)

Alla morte di Agilulfo, il Senato elegge come nuovo Imperatore il governatore
della prefettura di Francia Dagoberto, ultimo della grande dinastia franca dei
Merovingi, che eredita un Impero in piena guerra sul fronte orientale. La guerra
con il giovanissimo Impero Khmer, rifornito e riarmato dai Cinesi che temono
il pericoloso avanzare dei romani verso i loro confini orientali, si protrae per
vari anni finché, nel 632 d.C. (1385 aUc), i conquistatori di Roma non riescono
ad espugnarne la Capitale Angkor. Ma molte città resistono ancora ed i
guerriglieri Khmer continuano la loro azione partigiana nel folto delle foreste
tropicali, per cui la conquista non si può ritenere completa. Ciò nonostante
all’Imperatore viene accordato il trionfo con il titolo di “Conquistatore delle
Terre al di là del Gange” ed il Senato inizia l’organizzazione delle quattro
province in cui ha diviso l’ex Impero Khmer: Khmeria, Angkoria, Chalcitis e
Chryse. Durante il regno di Dagoberto nel 630 d.C. (1383 aUc) il profeta
Maometto entra alla Mecca a capo di 10.000 uomini ed abbatte tutti gli idoli
ammassati nel tempio della Kaaba per proclamare la vera fede in Allah.
Maometto muore nel 632 d.C. (1385 aUc) lasciando il libro del Corano come
summa di tutte le rivelazioni di Allah e gettando un seme che porterà il mondo

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arabo ad un ruolo decisivo nell’Impero dei secoli a venire. Sarà proprio una
flotta araba che colonizzerà e conquisterà prima le isole Andamane e Nicobare
e poi la penisola di Malacca nel 638 d.C. (1391 aUc) che più tardi costituirà la
provincia di Malesia. È però a questo punto, con i confini dell’Impero romano a
ridosso di quelli dell’Impero cinese, che la già difficile coesistenza tra le due
superpotenze in oriente diventa insostenibile. Sembra solo questione di tempo
affinché scoppi la scintilla e si passi alla guerra aperta. E guerra fu.

Cenni di storia cinese (221 a.C.-639 d.C., 532-1392 aUc)

La Cina, grande Impero fondato addirittura nel III millennio a.C. e quindi
contemporaneamente all’edificazione delle grandi piramidi d’Egitto, è stato
riunificato nel 221 a.C. (532 aUc) dal leggendario sovrano Shi Huan-Ti
(“Primo Augusto Imperatore”) che ha fatto costruire la Grande Muraglia per
difendere il suo regno dagli attacchi delle tribù turco-mongole stanziate tra le
montagne del nord. A lui si deve tra l’altro il grande esercito di guerrieri di
terracotta a grandezza naturale posti a difesa della sua tomba e riportati alla
luce solo in epoca recente. Dopo la sua morte prende il potere la dinastia Han e
con il sovrano Wu Ti (140-87 a.C., 613-666 aUc; pressappoco contemporaneo
di Mario e Silla) l’Impero raggiunge l’apogeo. Ma, come spesso accade,
l’apogeo coincide con l’inizio della decadenza: i mandarini (cioè i governatori
locali) crescono in potenza ed instaurano un regime feudale. Il malcontento
cresce, soprattutto nelle campagne, dando vita a terribili rivolte tra cui la più
sanguinosa fu quella dei Turbanti Gialli seguaci del Taoismo fondato dal
monaco Lao-Tse. Alla fine, nel 220 d.C. (973 aUc), mentre Roma si espandeva
in oriente gli Han sono detronizzati ed il paese piomba nel caos suddividendosi
in piccoli regni di cui i maggiori sono il regno di Wei nel nord, il regno di Shu
nell’ovest ed il regno di Wu nell’est. L’Impero cinese si riorganizza come
entità politica unitaria con la Dinastia Tang e nel 618 d.C. (1371 aUc)
raggiunge la sua massima estensione e una notevole floridezza economica:
epoca d’oro della poesia e dell’arte (terracotta e porcellana), invenzione della
stampa e introduzione della carta moneta, diffusione del buddismo e del
confucianesimo che con i suoi principi etici e politici permea la struttura
statale. Sotto i Tang la Cina comincia ad espandersi rapidamente ed ormai essa
mira a costituire un Impero asiatico che, oltre al territorio nazionale, comprenda
anche l’India e l’Indocina romana. I Romani erano già a conoscenza di questa
realtà, a causa degli intensi scambi commerciali lungo la Via della Seta da essi
chiamata Via Serica; per loro la Cina è per antonomasia l’Impero della seta,
tanto che nella loro lingua essi la chiamano Serica più frequentemente che non
Sina.

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Il Pacificatore Rotari (639-652 d.C., 1392-1405 aUc)

Dopo la morte di Dagoberto, il Senato elegge di nuovo un longobardo: Rotari,
che diventa Imperatore nel 639 d.C. (1392 aUc). Egli, che ha scambiato
ambasciatori con Nanchino, ha coscienza del fatto di ritrovarsi di fronte una
grande potenza e che l’Impero confinante è irritato dalla politica
espansionistica di Roma ai danni di quelli che sono considerati dei satelliti
cinesi. E così, convintosi che i suoi predecessori abbiano sbagliato a provocare
il vicino con la conquista dell’Indocina, nel 644 d.C. (1397 aUc) promulga
l’Editto di Rotari dove ordina l’abbandono di quelle province oltre il Gange
lasciate al potente vicino in cambio della pace perpetua. Questa risoluzione
provoca l’immediata ostilità dell’esercito che si somma a quella dei pretoriani,
causata dal fatto che egli desidera ripristinare la disciplina tra i militari stessi,
minata dalla convinzione di sentirsi onnipotenti in un Impero impegnato in
guerre di espansione quasi ininterrotte da oltre due secoli e mezzo. E così
l’Imperatore Rotari finisce per essere ucciso dalla sua stessa scorta, insieme alla
madre, durante un viaggio in Hibernia. È il 652 d.C. (1405 aUc).

Tre imperatori e nessuna guerra contro l’Impero Cinese (652-668 d.C.,
1405-1421 aUc)

Sempre per elezione da parte del Senato, all’Imperatore pacifista succede il
governatore della provincia di Arabia, il sultano arabo romanizzato Otmano.
Egli era membro di una ricca famiglia che osteggiava il Profeta ma dopo il
successo politico della sua predicazione non solo si era alleata a Maometto ma
si era addirittura trasferita a Medina cercando di contendergli la supremazia.
Questi, a differenza del suo predecessore, promette la guerra alla Cina con la
quale interrompe le relazioni avviate da Rotari ma non mantiene la parola data
preferendo gozzovigliare nella Capitale Costantinopoli, vivendo nel lusso più
sfrenato. Fa la fine del predecessore, venendo assassinato dopo soli tre anni nel
656 d.C. (1409 aUc). Viene rimpiazzato con il console longobardo Ariperto. I
militari ed i grandi borghesi sperano che egli favorisca la guerra per la
conquista dell’Impero rivale, che nel frattempo ha chiuso la Via Serica ed ha
interrotto ogni rapporto commerciale con Roma, perché in tal modo i veri
padroni del potere imperiale potrebbero controllare il commercio delle spezie e
delle perle e soprattutto potrebbero impossessarsi del segreto della produzione
della seta. Ariperto, invece, muore di morte naturale dopo soli cinque anni nel
661 d.C. (1414 aUc) senza risolvere il problema della Cina e lasciando il potere
al figlio Bertarido, il primo dopo molti anni a regnare per successione dinastica.
Questi è a sua volta tenuto impegnato in Africa da una grande insurrezione dei
Garamanti, popoli del Sahara, e dalla guerra con i Tuaregh stanchi del

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vassallaggio all’Impero. Bertarido muore in un incidente a cavallo il 6 giugno
del 668 d.C. (1421 aUc) in un’oasi del Sahara oggi identificata con
Tamanghasset. Una settimana dopo, il 14 giugno, le truppe dell’Imperatore
cinese Wu Zetian (ricordato dagli storici romani con il nome latinizzato di
Zetiano), approfittando del vuoto di potere del potente vicino, superano il
confine con la provincia di Angkoria ed in breve tempo occupano tutta
l’Indocina e la Cirrhadia, anche grazie all’aiuto delle popolazioni locali che
accolgono i cinesi come dei liberatori. Angkor cade dopo due sole settimane di
assedio, i soldati ed i funzionari romani sono scacciati e le legioni LVI, LVII e
LVIII, a prezzo di gravissime perdite umane, riescono ad attestarsi sulla foce
del Gange fermando l’impeto dell’avanzata cinese che puntava su Palibothra.
Solo gli arabi, che hanno colonizzato la Malesia, resistono sulle loro posizioni
ed anzi infliggono una dura sconfitta alla flotta cinese che tentava di
attraversare lo stretto di Malacca per attaccare le coste dell’India.

Giustiniano II e la prima Guerra Serica (668-695 d.C., 1421-1448 aUc)

È questo l’inizio di quella che gli storici chiamano la Prima Guerra Serica. Il
compito di affrontare quest’epico scontro fra le due massime civiltà dell’epoca
tocca al giovane Imperatore Giustiniano II, nominato in fretta e furia dal Senato
dopo l’arrivo della notizia della morte di Bertarido assieme a quella del disastro
in Indocina. Giustiniano sa di non avere di fronte una piccola nazione che può
essere facilmente sottomessa, ma che deve battersi con una superpotenza finora
mai affrontata dalle aquile romane; un nemico alla pari, così come accadde a
Scipione l’Africano quando dovette respingere gli attacchi di Annibale molti
secoli prima. Passionale, dispotico e mentalmente poco equilibrato, egli decide
di agire come i cinesi non si aspettano: anziché precipitarsi di persona in India,
dove i nemici concentrano i loro munitissimi eserciti nel tentativo di sfondare la
linea difensiva del Gange con la forza del numero, vi invia il proprio
luogotenente alla testa di ben dieci legioni. Giustiniano si separa da lui in Persia
e, con sole due legioni, percorre audacemente la Via Serica tra difficoltà di ogni
genere, superando il Pamir nonostante sia pieno inverno (egli verrà definito
l’”Annibale romano”, con riferimento alla celebre traversata delle Alpi). Dopo
aver annientato la guarnigione cinese di frontiera, che non si aspettava certo un
attacco da quella parte, espugna senza colpo ferire le città di Issedon (oggi
Kashgar), Thagura e Daxata, le fortezze del Turkestan orientale che controllano
la via della seta, e dopo una marcia di 2800 Km, compiuta sotto la guida di
mercanti che l’hanno già percorsa in passato, piomba nel cuore dell’Impero
cinese lasciato quasi sguarnito dalle truppe impegnate nella guerra in India.
Dopo una prima vittoria a Tai Yuan riesce a porre l’assedio addirittura alla
Capitale dei Ch’in, la città di Lo Yang. Subito per difenderla i cinesi

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sguarniscono il fronte sud, com’era nei piani di Giustiniano che non pensava
certo di conquistare la Cina in una sola battaglia ma voleva almeno alleggerire
la pressione sull’India. Il piano riesce: approfittando dell’indebolimento del
fronte causato dalla sortita dell’Augusto, il suo luogotenente contrattacca,
sfonda le linee cinesi e rioccupa la Cirrhadia attestandosi di nuovo sul fiume
Besynges, originale confine romano. L’India in tal modo non è più minacciata
di invasione. Intanto, all’accorrere dei rinforzi cinesi Giustiniano si ritira da Lo
Yang ma sicuramente sarebbe morto nella morsa in cui vogliono stritolarlo gli
orientali, furenti per le sconfitte subite in casa loro, se non fosse fuggito a
cavallo davanti all’esercito nemico che massacra senza pietà le legioni romane
abbandonate al loro destino. Giustiniano II torna a Costantinopoli dove era già
giunta la notizia del massacro di Lo Yang e l’Imperatore codardo subisce
l’umiliazione di essere deposto, gli viene amputato il naso e viene esiliato nel
Cherson. Il cuore dell’Impero cinese è stato, comunque, devastato dalle legioni
romane e l’esercito ha subito gravi perdite. La morte dell’Imperatore cinese
causata dalle ferite riportate durante la difesa di Lo Yang e la situazione di
stallo sul fiume Besynges, con le truppe che si decimano a vicenda senza
riuscire a spostare di un palmo il fronte di guerra, fanno sì che entrambe le
potenze chiedano un armistizio. È il maggio del 695 d.C. (1448 aUc) quando
finisce la prima guerra serica con Roma che riesce solamente a riconquistare le
province indiane perdute a causa dell’invasione del potente nemico.

Leonzio e la “pace armata” (695-705 d.C., 1448-1458 aUc)

Nuovo Imperatore è il generale Leonzio. Approfittando del periodo di relativa
pace, l’Imperatore Leonzio cerca di mettere ordine nelle disagiate province
orientali dissanguate dalla guerra ed in piena decadenza economica. Riordina
l’esercito aggiungendo nuove legioni a difesa dei territori indiani riconquistati
ma quando l’esercito romano sembra nuovamente pronto a chiudere
definitivamente i conti con la Cina il folle Giustiniano, aiutato dal governatore
della provincia di Moesia Tervel, si precipita a Costantinopoli ed uccide il
povero Leonzio auto-incoronandosi di nuovo Imperatore (705 d.C., 1458 aUc).

Il ritorno di Giustiniano II ed il breve regno di Filippico (705-714 d.C.,
1458-1465 aUc)

Giustiniano II dedica il suo secondo regno alla vendetta personale, getta
l’Impero nel caos e nel terrore. L’Impero Romano è fortunato a non subire un
invasione cinese in quegli anni dato che, in quelle condizioni, le possibilità di
arginare gli orientali sarebbero state davvero esigue. Il popolo, stanco di queste
usurpazioni, si solleva contro l’Imperatore nel 711 d.C. (1464 aUc)
appoggiando il colpo di stato dell’armeno Varden che spodesta il trono col

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nome di Filippico. A Giustiniano stavolta viene tagliata la testa che viene in
seguito spedita da Costantinopoli a Roma per essere mostrata alla popolazione.
Filippico regna solo due anni dato che perisce per un’altra rivolta dell’esercito
del Nord che impone al Senato la nomina del franco Carlo Martello come
Imperatore. È il 714 d.C. (1465 aUc) quando inizia la dinastia carolingia degli
imperatori franchi.

Carlo Martello e la seconda Guerra Serica (714-741 d.C., 1465-1494

aUc)

Sia i romani che i cinesi sanno che la tregua non potrà durare in eterno,
servendo solo a raccogliere le forze per sferrare l’attacco decisivo ed infatti la
guerra riprende già alle none di aprile del 718 d.C. (1471 aUc) in seguito ad un
banale incidente di frontiera causato da soldati ubriachi. È questa quella che
verrà ricordata come la Seconda Guerra Serica. Anche stavolta i cinesi
decidono di prendere per primi l’iniziativa, percorrendo la Via Serica verso
ovest ed irrompendo nel Turkestan, ma Carlo Martello li blocca davanti al lago
Balkash. Nel frattempo, mentre le truppe continuano a fronteggiarsi vanamente
in Cirrhadia con attacchi che costano perdite umane ingentissime per spostare il
fronte solo di pochi metri, Carlo Martello si imbarca e giunge in aiuto degli
arabi che, al comando del valente generale Abd al-Rahmān al-Ghāfiqī, hanno
eroicamente tenuto la penisola di Malacca nonostante siano rimasti isolati fin
dall’inizio della guerra. Circumnaviga la penisola, stringendo anche alleanze
con i piccoli regni guerrieri dell’isola di Sumatra e sbarca a Saigon
riconquistandola (dicembre 721 d.C., 1474 aUc). Egli è aiutato dal fatto che i
cinesi, già accolti dai Khmer come dei liberatori, si sono resi odiosi con una
politica di occupazione tale da far rimpiangere la pacifica amministrazione
romana, pretendendo tra l’altro fanciulle ma anche giovanetti per saziare gli
appetiti sessuali degli ufficiali, oltre alla confisca di oro e vettovaglie che, in
caso di resistenza, provoca veri e propri massacri fra la popolazione civile.
Parte dei Khmer si allea così con i Romani contro i Cinesi, per cui Carlo può
risalire la costa del Vietnam e catturare la piazzaforte cinese di Cattigara, oggi
Hanoi. Dalla Malesia intanto salpa una flotta araba che, dopo aver sgominato
quella cinese nelle acque dell’isola di Hainan, assedia il porto di Guang Zhou,
chiamato Canton dai romani, riportando la guerra sul territorio nemico
(primavera 725 d.C., 1478 aUc). Nel nord, invece, le truppe riescono prima a
ricacciare i cinesi di là dal Pamir e poi ad invadere nuovamente la Cina
settentrionale. Mentre Carlo Martello assedia nuovamente Lo Yang, il generale
arabo Abd al-Rahmān al-Ghāfiqī si spinge fin sul Mar Giallo ed a Chinkiang
riesce ad infliggere una pesantissima sconfitta ai cinesi, nonostante questi gli
abbiano mandato contro un esercito quattro volte più numeroso del suo, se le

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cronache del tempo non contengono esagerazioni. Lo Yang cade dopo un anno
di assedio (10 aprile 732 d.C., 1485 aUc) con l’eroica morte sul campo del
generale Abd al-Rahmān al-Ghāfiqī, ma la corte imperiale non risiedeva più in
essa essendosi trasferita a Beijing, ritenuta più facilmente difendibile. Poiché le
truppe di Carlo puntano proprio su Beijing, i Cinesi invocano l’aiuto dei
Mongoli, già loro acerrimi nemici, per aiutarli a sconfiggere i Romani. Al loro
capo, Qabul Khan, non pare vero di poter varcare la muraglia eretta proprio
come baluardo contro i barbari come lui ed accorre in forze, ma il generale
Omar, succeduto a Abd al-Rahmān al-Ghāfiqī al comando delle legioni arabe
che sa tutto perché ha intercettato un corriere con dei dispacci segretissimi, lo
precede, varca per primo la Grande Muraglia e gli infligge una pesante
sconfitta costringendolo a ritirarsi più a nord. Carlo è perciò libero di occupare
anche Beijing, da lui ribattezzata Pechino. L’ascesa di questa città inizia
proprio con l’occupazione romana. Secondo alcuni storici, fu a seguito di
questa vittoria che Carlo fu soprannominato Martello, dal momento che aveva
violentemente colpito le truppe cinesi a mò di martello (il martello era all’epoca
anche un’arma da combattimento). Carlo Martello muore nel 741 d.C. (1494
aUc) senza poter vedere la fine della sanguinosa seconda guerra serica.

Pipino il breve e l’infinito assedio di Nanchino (741-768 d.C., 1494-1521

aUc)

Nuovo Imperatore viene eletto Pipino III, figlio di Carlo Martello e meglio
conosciuto come Pipino il Breve (741 d.C., 1494 aUc). Intanto, al sud, il
generale Omar non se ne sta certo con le mani in mano, ma anzi passa di
vittoria in vittoria attaccando alle spalle le truppe cinesi in Indocina e
riconquistando così tutta l’India trans Gangem. Insegue, quindi, le truppe cinesi
in rotta nello Yunnan, regione estremamente impervia, e poi fino ai confini del
Tibet; la popolazione locale si arrende e lo acclama come un liberatore, visto
che i Cinesi avevano imposto un giogo pesantissimo su quelle terre arrivando
persino a chiudere i monasteri lamaisti. Egli prudentemente evita di entrare a
Lhasa, la sede del Dalai Lama (“Oceano di Saggezza”, titolo della guida
spirituale di tutti i tibetani), per rispetto alla sacralità del luogo e non sottomette
la regione ma la trasforma in uno stato vassallo. Più tardi si convertirà lui stesso
al Buddismo Lamaista lasciando l’islam. Pipino ed Omar pongono insieme
l’assedio a Nanjing, detta Nanchino in latino, ultima roccaforte dei Ch’in e
Capitale ufficiale dell’Impero. I cinesi tentano il tutto per tutto per difendere la
loro antica Capitale e concentrano tutte le forze militari rimanenti contro i
romani che assediano la città. Il resto del territorio cinese viene lentamente
invaso dai romani che incontrano scarsa resistenza dato che l’Imperatore cinese
aveva ordinato lo sgombero delle linee difensive e la difesa ad oltranza della

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Capitale. Gli ordini erano di resistere fino alla morte, di combattere strada per
strada e di uccidere ogni occidentale che dovessero incontrare. Pipino non
aveva intenzione di sacrificare le già provate legioni in uno scontro all’ultimo
sangue contro un nemico così determinato. Egli fa in modo di accerchiare i
cinesi attorno Nanchino e di tagliare tutti i rifornimenti alla città che viene
isolata dal resto del mondo. Con un’azione che rasenta l’incoscienza,
l’Imperatore romano richiama le legioni di confine dell’Europa orientale, dato
che quelle province non correvano pericoli imminenti di invasione dei pacifici
abitanti delle steppe russe. Nanchino viene stretta d’assedio da ben dieci legioni
mentre altre trenta legioni provvedono ad occupare militarmente i centri
operativi e le città strategiche dell’immenso Impero cinese. I romani mettono in
campo più della metà del loro potenziale militare (ammontante all’epoca a
sessanta legioni) per portare a termine la sanguinosa guerra serica. Pipino
muore nel corso dell’assedio di Nanchino nel 768 d.C. (1521 aUc) ma aveva
già designato il suo successore, il figlio Carlo, che viene nominato Imperatore
dal Senato nel 769 d.C. (1522 aUc).

Carlo Magno conquista la Cina: Roma di nuovo Capitale (769-814 d.C.,

1522-1567 aUc)

Una volta nominato Imperatore, Carlo prende le redini del comando supremo
delle legioni e si concentra sul difficile compito di suo padre di assoggettare i
cinesi. L’assedio di Nanchino continua per altri cinque anni dalla nomina di
Carlo senza che gli avversari mostrino cenni di cedimento. La cintura d’assedio
intorno Nanchino è pressoché totale ed i legionari romani non capiscono come i
cinesi possano sopravvivere senza rifornimenti (tra le truppe inizia a circolare
la voce che l’Imperatore cinese abbia ordinato il cannibalismo pianificato per
far sopravvivere gli stremati sudditi). Finalmente, all’inizio del 773 d.C. (1526
aUc) i cinesi escono allo scoperto ed attaccano a sorpresa gli accampamenti
romani che non si aspettavano una reazione del genere dopo tanto tempo. Quasi
1000 soldati romani vengono uccisi nel sonno. Carlo, allora, rompe gli indugi
ed ordina l’attacco finale. Le legioni romane sfondano le linee difensive di
Nanchino a metà gennaio e dilagano in città dove affrontano gli stremati soldati
cinesi. Lo spettacolo che si presenta agli occhi dei romani è surreale: la città
pullula di cadaveri e sporcizia ed i poveri sudditi si barricano in casa mentre per
le strade infuria la guerriglia. Dopo solo sei giorni Carlo ottiene la
capitolazione di Nanchino, atto questo che formalmente chiude la Guerra
Serica. L’ultimo Imperatore cinese De Zong si arrende nelle mani di Carlo al
termine dell’assedio di Nanchino consegnandogli la corona dell’Impero Cinese,
supplicandolo di risparmiare il suo popolo e chiedendo una morte onorevole.
Carlo invece gli risparmia la vita, rinunciando alla consuetudine romana che

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vorrebbe il nemico vinto trascinato dietro il carro del vincitore attraverso le vie
dell’Urbe e poi decapitato come accadde a Vercingetorige, e con la corona
cinese in mano che rifiuta di indossare di fronte allo sconfitto imperatore
afferma di essere il garante dell’unità del popolo romano e di quello cinese
assicurando il deposto sovrano che i suoi sudditi saranno governati esattamente
come i romani. Sorprendendo tutti assegna allo sconfitto sovrano il regno
vassallo di Tai Wan, chiamata Formosa dai Romani, che resterà suo fino alla
sua morte per poi essere riassorbita dall’Impero Romano. Carlo inquadra subito
nei ranghi dell’esercito romano le truppe cinesi che gli si sono arrese, portando
il numero delle legioni a settantacinque, ed “arruola” i mandarini (funzionari)
cinesi nell’amministrazione delle province che intende creare. Inoltre, egli
mantiene i confini ed anche i nomi delle 23 province cinesi (Hopei, Anhui,
Gansu, Guangdong, Guizhou, Hainan, Hebei, Heilongjiang, Henan, Hubei,
Hunan, Jangxi, Jiangsu, Jilin, Liaoning, Qinghai, Shanxi, Shangdong, Sichuan,
Xinjang, Xizang, Yunnan e Zhejiang) evitando di latinizzarle e volendo segnare
una netta continuità con il regime precedente. Lascia il cinese come lingua
ufficiale del popolo ed introduce il latino come lingua per l’amministrazione e
la difesa aprendo scuole gratuite di latino per i funzionari ed i soldati (le famose
Scuole Palatine). Tanta generosità colpisce favorevolmente l’animo dei cinesi
che sotto un tale signore sono disposti ad accettare la dominazione straniera,
tanto più che chiunque può incontrare l’Augusto e presentargli le proprie
rimostranze per qualunque questione mentre il Figlio del Cielo cinese viveva
nella Città Proibita e nessuno aveva il diritto neppure di guardarlo negli occhi.
Insomma, se con le guerre Seriche l’Impero ha acquistato delle province
ricchissime, anche la Cina ci ha guadagnato molto conoscendo per la prima
volta nella sua storia il concetto di monarchia liberale. Intanto, nella lontana
Capitale Costantinopoli giungono le notizie della fine della guerra serica e dei
nuovi ricchissimi ed immensi territori caduti sotto il dominio della Città Eterna.
Con la conquista della Cina, l’Impero di Roma può vantarsi di controllare, oltre
all’Africa centro-settentrionale, l’intero territorio del continente euro-asiatico,
con l’esclusione dei domini mongoli separati dalla grande muraglia, nuovo
confine nord dell’Impero, e con l’esclusione dei freddi territori russo-siberiani
situati tra il circolo polare artico, i confini orientali di Roma e lo stesso
territorio mongolo. Tali territori vengono, in ogni caso, lentamente colonizzati
dai variaghi e dai vichinghi che li annettono lentamente all’Impero che arriverà
ad affacciarsi, nel X secolo, al mar del Giappone. Il Senato di Roma, nel
frattempo, si spacca in due: alcuni Patres Conscripti approvano la politica di
conciliazione dell’Augusto, altri vorrebbero una romanizzazione o perlomeno
una grecizzazione della Cina, così come è avvenuto in larga parte per l’Etiopia
e per l’India. Carlo, una volta giunto a Costantinopoli ed accolto trionfalmente
dal popolo, parte per Roma per derimere la questione. Egli, accentrando tutti i

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poteri nelle proprie mani, convince il Papa, ormai importantissimo e tenuto in
grande considerazione in un Impero a maggioranza cristiana, a benedire la sua
politica benevola e di tolleranza con i cinesi. La notte di natale dell’800 d.C.
(1553 aUc), durante la messa celebrata in San Pietro a Roma, Carlo, cui già i
contemporanei accordano il titolo di Magno, pronuncia il famoso discorso
insieme a Papa Leone III che posa per la prima volta sul suo capo la corona
imperiale (tradizione poi ripresa da tutti gli imperatori carolingi che verranno
incoronati dal Papa) nel quale si conferma la politica accomodante verso i
cinesi e si comunica che la Capitale dell’Impero è di nuovo Roma mentre
Pechino viene designata come seconda Capitale. Carlo Magno si fa erigere un
grande palazzo imperiale ad Aquisgrana in Germania, che succede a
Costantinopoli come residenza augustea, e protegge gli scrittori come
Eginardo, autore della Vita di Carlo che fa discendere l’Imperatore addirittura
dall’eroe troiano Antenore, lo storico longobardo Paolo Diacono, il poeta
Teodolfo ed il monaco Alcuino di Eburacum cui Carlo affida il compito di
ricostruire il sistema scolastico dell’Impero, le già nominate Scuole Palatine.
Merito di Carlo Magno è anche un’importantissima riforma monetaria che
porta alla sostituzione del soldo di Costantino in vigore dal III secolo d.C. con
la libbra imperiale detta anche libbra carolingia, poi volgarmente chiamata lira
imperiale. La lira imperiale resterà la valuta in vigore nell’Impero addirittura
fino alla riforma monetaria del 2001 d.C. (2754 aUc) con l’introduzione
dell’attuale aureo, moneta corrente nella nostra Federazione Mondiale.

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LE TRE GUERRE MONGOLICHE E
L’INIZIO DELLA CRISI

DELL’IMPERO (814-912 d.C., 1567-1665
aUc)

La disastrosa Prima Guerra Mongolica (814-844 d.C., 1567-1597 aUc)

Alla morte di Carlo Magno nell’814 d.C. (1567 aUc) gli succede l’unico figlio
maschio superstite, Lodovico il Pio, così detto per la propria assiduità nella
pratica religiosa che sconfina nel fanatismo e nella tetraggine. Subito dopo la
sua ascesa assicurò la sua posizione come Imperatore con una “purga morale”
con la quale mandò tutti i suoi fratellastri illegittimi nei monasteri e tutte le sue
sorelle celibi furono fatte suore. Nell’817 d.C. (1570 aUc) suo nipote Bernardo,
governatore della prefettura italiana, si ribellò contro la sua supremazia e
Lodovico, dopo la repressione della rivolta, fece accecare ed imprigionare
Bernardo che morì l’anno successivo. Uomo profondamente religioso,
Lodovico desiderò fare penitenza per aver causato la morte di Bernardo e così
fece ammenda davanti ai nobili dell’Impero. Questo atto ridusse notevolmente
il suo prestigio come governante. Lodovico, inoltre, pensava che l’Impero fosse
ormai giunto al culmine della propria estensione, avendo assorbito tutti gli
imperi conosciuti, e che gli Augusti del futuro dovessero limitarsi a proteggerne

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le frontiere contro le scorrerie dei popoli mongoli della steppa da lui
sottovalutati e ritenuti inadatti ad essere civilizzati. Ordina perciò il restauro
della muraglia cinese che in alcuni punti stava letteralmente cadendo a pezzi e
dispone la costruzione di analoghe fortificazioni nel confine orientale
dell’Impero, nel nordest della Russia, per proteggere l’Europa dalle incursioni
dei popoli di stirpe mongolica. Ma proprio i mongoli tanto poco considerati dal
Signore di un Impero che ormai va dall’Atlantico al Pacifico daranno tanto di
quel filo da torcere ai Romani da convincerli che c’è molto altro al mondo da
conquistare e da pacificare.

Infatti, la Via Serica, ormai interamente in mano romana, è minacciata in
continuazione da questi popoli nomadi, adoratori della natura, privi di
un’organizzazione statuale sul modello delle culture cittadine dell’Europa, della
Persia, dell’India e della Cina, e che a dir la verità non costituiscono neppure un
popolo omogeneo essendo formati da un miscuglio di Buriati, Oirati, Kirghisi,
Naimani, Keraiti, Merchiti, Tungusi e Tartari. Essi sono uniti fra di loro solo
dall’odio per i cinesi prima e per i romani poi, percepiti come fiacchi ed inetti
padroni delle ricchezze della Terra da cui vogliono escludere i “figli
primogeniti” della Gran Madre Universale, cioè loro stessi. Vista la resistenza
offerta dalle legioni romane (ma in realtà formate quasi interamente da cinesi)
stanziate lungo la Grande Muraglia, questi popoli decidono di concentrare i
loro attacchi proprio sulla Via Serica e sulle fortezze che la presidiano,
costituendo così una vera e propria spina nel fianco per l’Impero di Lodovico.
Purtroppo, l’Augusto deve confrontarsi con il grande condottiero Ambaqay
Khan II, figlio del cugino del capo Qabul Khan già sconfitto nel corso della
seconda Guerra Serica da Carlo Martello: questi ha compreso l’importanza di
una struttura politica organizzata come quella dell’Impero romano ed ha
federato tutte le tribù mongole e siberiane in una sorta di stato che ha dotato
anche di una Capitale, il campo trincerato di Karakorum. Ambaqay Khan II,
animato da profonda avversione nei confronti di coloro che hanno inflitto a suo
zio una bruciante sconfitta, estende rapidamente la sua supremazia anche alla
Corea, che i Romani si sono limitati a considerare un regno vassallo, ed alla
Zungaria (Turkestan orientale) premendo sul Tibet e sulle province orientali
della grande Cina. In tal modo può letteralmente boicottare i commerci via terra
tra l’Europa e la Cina tanto che nel 819 d.C. (1572 aUc) Lodovico è costretto a
chiudere la Via Serica perché ormai troppo insicura. La consapevolezza di
avere inflitto una sconfitta sul piano militare e commerciale insuperbisce a tal
punto Ambaqay da convincerlo ad attaccare direttamente la Grande Muraglia
presso Ninghsia, nel tentativo di espugnarla (giugno 820 d.C., 1573 aUc). Lo
stesso Lodovico accorre allora in forze per fronteggiare il nemico ma nel
violento scontro contro l’orda mongola è ferito e preso prigioniero. Lo scalpore

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è grandissimo, come ai tempi in cui l’imprudente Onorio fu catturato dagli
indigeni del Ghana, e l’Impero è scosso alle fondamenta dalla notizia che
l’Augusto è caduto in mano nemica mentre la fama di invincibilità delle legioni
romane subisce un colpo tremendo. Allora, dopo aver mandato i propri generali
a sedare le insurrezioni sorte alla notizia della cattura dell’Imperatore, il figlio
di Lodovico Lotario lascia Roma con il sostegno del Senato, dei militari e dei
borghesi che lo hanno acclamato Augusto e a tempo di record raggiunge
Pechino dove organizza immediatamente una spedizione punitiva, passata alla
storia con il nome di Prima Guerra Mongolica. Inizialmente egli trova scarsa
resistenza e riesce a penetrare in profondità fino alla fortezza mongola di Khara
Khoto, la chiave per arrivare a Karakorum; ma, prima ancora di mettersi sulla
strada che porta alla Capitale di Ambaqay, viene a sapere che i Mongoli alle
sue spalle stanno di nuovo insidiando la muraglia ed anzi l’hanno sfondata in
un punto pericolosamente vicino alla città di Pechino. Fa precipitosamente
dietro-front, ma i Mongoli sono già rientrati nel loro territorio dopo aver
menato morte e disperazione nella Cina del nord. Avendo avuto notizia da
alcuni delatori che suo padre sarebbe imprigionato a Mukden, al confine tra
Corea e Manciuria, Lotario si lancia allora all’assedio di quella piazzaforte ma
lo sfortunato muore durante l’operazione di salvataggio nel 844 d.C. (1597
aUc) senza essere riuscito a rivedere il padre. Di Lodovico non si saprà mai più
nulla e sulla sua sorte fioccheranno le leggende: da quella che lo vuole morto
dopo essere stato sepolto vivo dai Mongoli in una località segreta in una
terribile agonia con gli occhi e le orecchie riempiti di argento fuso fino a quella,
diffusa dai pagani, che lo crede liberato dalla prigionia per opera del dio Marte
in persona che poi lo avrebbe portato con sé sull’Olimpo.

La Seconda Guerra Mongolica ed il primo Imperatore cinese di Roma

(844-881 d.C., 1597-1634 aUc)

Il Senato elegge allora Imperatore, nel 844 d.C. (1597 aUc), il figlio
primogenito di Lotario Lodovico II che dimostra subito eccezionali doti militari
portando a termine la conquista di Mukden e poi facendo irruzione in Corea
che punisce con stragi e con la deportazione di tutta la classe nobiliare per aver
aperto le porte a Ambaqay. Dopo aver costituito la provincia di Corea, con
Capitale Seul, ritorna verso Mukden che le orde mongole stanno cercando di
recuperare e la espugna una seconda volta (anno 848 d.C., 1601 aUc). Risale
poi lungo la Manciuria e penetra in pieno territorio mongolo mentre il suo
luogotenente, il prode generale Xuan Zong che si è già distinto durante la
Guerra Serica, tiene a bada i mongoli impegnandoli in tre punti
immediatamente al di là della Grande Muraglia. Questa nuova, vittoriosa
campagna prende il nome di Seconda Guerra Mongolica ma l’Augusto non può

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portarla a termine perché anch’egli muore in battaglia nella difesa della
fortezza di Hailar da lui stesso fondata, che diverrà una delle città più
settentrionali dell’Impero in terra asiatica. Allora il generale Xuang Zong
assume il titolo di Augusto (856 d.C., 1609 aUc), primo cinese della storia a
farlo, in un certo qual modo “vendicando” la vittoria romana nella Guerra
Serica visto che ora è un cinese a governare Roma, non Roma a governare i
cinesi. Il Senato, però, si rifiuta di ratificare la nomina dichiarando che
l’Impero di Roma non è ancora pronto per un Imperatore cinese e preferisce
indicare un Imperatore occidentale, individuato in Ratislao di Moravia. Xuang
Zong risponde assumendo il nome latino di Caro Bono, come ad affermare che
l’unico vero Imperatore è lui, nomina Cesare il proprio braccio destro Quan
Dhu, che lascia a controllare la situazione nella Cina settentrionale, e riparte
contro gli odiati barbari del nord. Adotta una tecnica quanto mai ardita e
singolare: attraversa tutta la steppa mongola, sgomina prima i Tungusi, poi i
Kirghisi ed infine i Buriati e giunge fin sul lago Bajkal, il lago più profondo del
mondo, da lui ribattezzato Lacus Valerianus; quindi ritorna indietro, punta su
Karakorum da nord e dopo una marcia di duemila miglia (quella che nella
storia sarà ricordata come la Lunga Marcia) affronta i nemici in campo aperto.
Stavolta tutto l’ardore ed il valore delle orde mongole non possono nulla contro
di lui, rinforzato dalle sei legioni condotte da Quan Dhu proveniente da sud che
hanno appena conquistato la Mongolia Interna. Il nemico è annientato ed anche
Ambaqay Khan III, figlio del defunto Ambaqay II, cade combattendo
valorosamente ed a questo punto l’Augusto ed il Cesare piombano su
Karakorum mettendola a ferro e fuoco (2 luglio 860 d.C., 1613 aUc). La
seconda guerra mongolica termina con il trionfo di Caro Bono e di Quan Dhu a
Pechino, il primo celebrato fuori da Roma. La riduzione della Mongolia a
possesso romano, ma dovremmo dire cinese, e la sua divisione in tre grandi
province costituiscono un successo incontestabile ed il Senato, che per un
decennio ha insistito prima su Ratislao e poi su altri imperatori occidentali
fantocci, è costretto a cedere ed a riconoscere al vittorioso cinese il Consolato
Perpetuo e la Tribunicia Potestas. Tutta la Cina è in festa, sia per la conquista
della Mongolia dopo anni e anni di scorrerie, sia per il fatto di essere divenuta
improvvisamente il cuore dell’Impero Romano: lungi dall’essere rimpicciolita e
sottomessa, ha esteso fino all’oceano Atlantico il potere del suo Imperatore
autoctono cui infatti i cinesi tornano a riconoscere l’attributo di Figlio del
Cielo. Dopo un Romano padrone della Cina, ecco un Cinese padrone di Roma.
Caro Bono muore a Pechino nel 869 d.C. (1622 aUc) lungamente compianto da
tutta la popolazione cinese e non solo da essa. Il Senato elegge allora come
successore Carlo III, detto il Grosso, l’ultimo della dinastia dei Carolingi (869
d.C., 1622 aUc).

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Mentre le guerre mongoliche tengono impegnati gli eserciti cinesi e romani,
ormai divenuti una cosa sola, al sud i navigatori arabi proseguono la loro opera
colonizzatrice raggiungendo prima Sumatra e Giava, con cui i mercanti cinesi
avevano già avuto relazioni prima di loro, e poi il Borneo e le Molucche. Da
ultime, verso la fine del nono secolo, verranno raggiunte le isole Filippine, così
dette dal suo scopritore l’avventuriero arabo Filippo di Carace. Tutte le isole or
ora nominate verranno organizzate come province prima dell’anno 1000 d.C.
(1753 aUc) assicurando così a Roma anche il pieno controllo delle vie
marittime per le isole delle spezie.

La Terza Guerra Mongolica di Carlo il Grosso (881-882 d.C., 1634-1635
aUc)

Ma le guerre mongoliche non sono concluse perché nel 881 d.C. (1634 aUc) un
capotribù tunguso presentandosi (quasi per certo mendacemente) come il figlio
naturale del defunto Ambaqay III assume il nome di Ambaqay Khan IV, riesce
a radunare intorno a sé le tribù tunguse, mongole, tartare e siberiane che non
hanno voluto accettare la supremazia cinese e romana, espugna alcune
piazzeforti lungo la Via Serica e giunge a compiere razzie fin quasi alle porte di
Pechino: pur non trattandosi di una vera guerra dichiarata da una nazione
contro l’Impero questa verrà ricordata dagli storici con il nome di Terza Guerra
Mongolica. L’Imperatore Carlo il Grosso gli invia allora contro le truppe
imperiali con al comando il figlio di Xuang Zong, Xi Zong, e questi prima lo
attira allo scoperto in una battaglia campale, quindi lo batte e lo uccide a
Thagura e ne rade al suolo la Capitale Karadong. In questo modo la via della
Seta è definitivamente posta sotto il controllo dell’Impero ed anche la Zungaria,
l’unica regione al centro dell’Asia finora sfuggita al controllo romano, può
essere organizzata in provincia già nel 882 d.C. (1635 aUc).

Fino al 60° parallelo (882-912 d.C., 1635-1665 aUc)

Così come era accaduto ai Germani ed agli Slavi in Europa, latinizzati dopo
essere stati battuti e soggiogati nel II secolo, anche i Mongoli a poco a poco
vengono “cinesizzati”: gran parte di essi abbandona lo stile di vita nomade per
risiedere nelle nuove città, tra di essi si diffonde il Buddismo (e, in misura
minore, il cristianesimo monofisita) a discapito dei culti tradizionali, la loro
lingua comincia a venire scritta con caratteri cinesi ed in buona sostanza essi
diventano parte integrante dell’Impero, almeno fino all’avvento dell’era Gengis
Khan nel XII secolo. Ma la fine delle guerre mongoliche non arresta
l’espansione cinese e romana perchè continua, come già detto, la penetrazione
in Siberia. Come visto, già dalla fine del V secolo d.C. i vichinghi avevano
iniziato una lenta penetrazione nelle steppe russe esplorando ed annettendo

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all’Impero nuovi territori asiatici. A questa espansione contribuiranno anche i
Russi ed i Kazakhi. I Russi giungeranno sul Pacifico nel 890 d.C. (1643 aUc)
dove fondano la città di Vladivostok (Porta dell’Oriente) ed organizzano ben
tre remote province nel grande nord: Siberia, Tuva ed Amuria (dal nome del
fiume Amur). Ma questa penetrazione non sarà affatto indolore, dato che
causerà numerosi attriti tra gli invasori ed i nomadi siberiani, finché nel 901
d.C. (1654 aUc) le truppe russe si scontreranno con quelle Jacute in una
sanguinosa battaglia sulle rive del grande fiume Lena. Sarà proprio questa
battaglia a convincere il nuovo Imperatore Pietro Tribuno di Venezia,
subentrato a Carlo il Grosso nel 888 d.C. (1641 aUc), ad arrestare l’espansione
verso nord fissando definitivamente il confine del suo Impero sul 60° parallelo,
il cui tracciato sarà fissato con somma precisione dagli astronomi cinesi,
nonostante la straordinaria impresa del generale kazakho Bering che nell’anno
900 d.C. (1653 aUc) riuscirà a scendere lungo il fiume Jenisei sino alla foce nel
Mar Glaciale Artico (ma questa sarà l’unica volta nel mondo antico che
qualcuno ci è riuscito). Con il tracciamento dei confini nord, l’Impero romano
all’inizio del X secolo ha finalmente unificato sotto il suo dominio l’intero
continente euro-asiatico. Inoltre, l’attività dei pirati giapponesi lungo tutte le
coste cinesi porterà alla conquista del Giappone, l’ultima provincia che ancora
manca all’Oriente; ma di questo riparleremo nei capitoli seguenti. Purtroppo
però, come vedremo nel capitolo successivo, Roma non riuscirà a mantenere
intatti tali domini ma, con la divisione in due dell’Impero, la parte occidentale
attraverserà un periodo di crisi e decadenza e perderà progressivamente
l’influenza sulle province africane, arabe ed europee nel corso dei tre secoli
successivi chiamati per questo secoli bui, riducendosi alla fine del XII secolo
alla sola Italia, Francia e Germania.

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