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Published by uygufguuydadsdas, 2022-08-15 14:35:27

Vrbs Aeterna

Vrbs Aeterna

I TRE SECOLI BUI: LA DIVISIONE
DELL’IMPERO E LA DECADENZA
DELL’OCCIDENTE (912-1189 d.C.,

1665-1942 aUc)

Enrico L’Uccellatore e l’inizio della decadenza (912-936 d.C., 1665-1689
aUc)

La Morte di Pietro Tribuno di Venezia nel 912 d.C. (1665 aUc) segna la fine
del periodo di espansione di Roma, che ha ormai unificato sotto il suo dominio
l’intero continente euro-asiatico oltre naturalmente l’Africa centro-
settentrionale. Roma aveva conquistato territori immensi ed al culmine del suo
apogeo inizia il lento declino del suo potere nel mondo ed un lungo periodo di
decadenza, che durerà per quasi tre secoli, causato soprattutto dalla
suddivisione dell’Impero in due entità distinte: Oriente ed Occidente, anche se
la parte orientale prospererà a differenza di quella occidentale. La crisi
dell’Impero Romano inizia quando il Senato non riesce a nominare un
successore di Pietro nel 912 d.C. (1665 aUc), avvenimento che scatena una
lotta dinastica tra il pretendente al trono, supportato dal Senato, Enrico
L’Uccellatore e Zhu Wen (dinastia Liang), prefetto dell’enorme prefettura
cinese e sostenuto da tutte le province orientali. Enrico deve lottare fino al 929
d.C. (1682 aUc) per restare unico Imperatore, ma è costretto a regnare da
Pechino con il nome cinesizzato di En Yuan I per evitare le rivolte dei sudditi

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orientali. Durante i venticinque anni del suo regno Enrico, o En Yuan, assiste
all’inizio della crisi economica dell’Impero che porterà alla sua lunga ed
inesorabile decadenza. La decadenza economico-sociale interessa soprattutto la
parte occidentale dell’Impero ed Enrico non può far nulla per arrestarla: i
domini di Roma si stanno spaccando progressivamente in due. Sul piano
religioso egli si converte alla versione ariana del Cristianesimo. Uniche note
positive sotto il suo regno sono le scoperte geografiche dei naviganti arabi che
toccano per la prima volta le coste di un’isola lussureggiante che essi chiamano
Nuova Guinea ma, come emblematico segnale della crisi, essa verrà
colonizzata solo molto più tardi.

Ottone I e la suddivisione dell’Impero: la crisi dell’Occidente (936-973

d.C., 1689-1726 aUc)

Enrico Muore nel 936 d.C. (1689 aUc) e la corona passa al figlio Ottone che
assume il nome di Ottone I. A questo punto scoppia una rivolta in Cina per
insediare sul trono imperiale un Imperatore autoctono e così Ottone, per evitare
una nuova lotta dinastica, decide di suddividere l’Impero in due entità distinte:
Impero Romano d’Occidente ed Impero Romano d’Oriente. Ottone viene
associato al trono con il titolo di Cesare d’Occidente mentre come Cesare
d’Oriente viene nominato Shi Jingtang che si insedia a Pechino, designata
Capitale dell’Impero d’Oriente. L’Impero non è più unitario e per la prima
volta dal fallito esperimento della Tetrarchia di Diocleziano viene suddiviso in
due entità distinte governate da due distinti Imperatori. Ottone I non risiederà
quasi mai nella Capitale Roma ma preferisce vivere a Lutetia Parisiorum,
dando inizio allo sviluppo di quella città, futura Capitale della Repubblica
Romana dal XVIII al XX secolo, con la costruzione di palazzi e terme. Inoltre,
egli abbandona ogni velleità di conquista dell’Africa a sud delle province
romane acquisite secoli prima ed anzi sgombera il presidio a nord del
Madagascar. Ottone è cristiano e con lui i cristiani rientrano in possesso della
piena libertà di culto. Egli promuove nuove riforme economiche per cercare di
tamponare la crisi dilagante in Occidente ma deve accorrere in Africa Nera
dove le tribù subsahariane sono in piena rivolta contro l’Impero dato che i
Pigmei delle foreste di là dal Congo vengono spesso in aiuto dei loro cugini
dominati da Roma. Ottone promuove una spedizione nella foresta equatoriale
ma la stessa fallisce a causa di un’imboscata presso il guado di Lisala (938
d.C., 1691 aUc). Egli conclude, allora, una pace assai ingloriosa con i Pigmei,
con Roma costretta a cedere vasti territori delle sue province di frontiera in
Africa. Ormai, infatti, l’Occidente fatica a sostenere le crisi economiche, non
c’è più denaro per pagare le truppe e queste si ammutinano creando regni
transitori nelle varie province, regni che durano quanto le loro ribellioni. Il

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regno di Ottone I trascorre tutto nel tentativo di reprimere queste ribellioni. Nel
frattempo sotto l’Imperatore Li Zhiyuan (succeduto a Shi Jingtang) l’Oriente
prospera ed anzi strappa all’Occidente il controllo di gran parte della Battriana
e dell’Aracosia e scopre le isole Palau, primo brandello d’Oceania ad essere
controllato dall’Impero d’Oriente. Ottone I riesce a battere i Pigmei nel 942
d.C. (1695 aUc), nuovamente sollevatisi nel Gabon, ma tollera la formazione di
un regno del Gabon vassallo di Roma all’interno dei confini dell’Impero.

Egli nel campo religioso procede all’abolizione definitiva del paganesimo ed
eleva al rango di Religione di Stato la dottrina di Sant’Atanasio, cioè quello che
noi oggi chiamiamo cattolicesimo, definendola «la dottrina che il divino
apostolo Pietro ha trasmesso ai Romani». Ottone I abolisce definitivamente
anche la schiavitù, la crocifissione, i giochi gladiatori, le Olimpiadi (celebrate
ininterrottamente dal 776 a.C., -23 aUc, e reintrodotte solo in età moderna nel
1898 d.C., 2651 aUc, con le Olimpiadi di Atene). Ottone tutela anche Ebrei e
Zoroastriani al punto da meritarsi il titolo di Magno. Muore nel 973 d.C. (1726
aUc) ma il suo nome, purtroppo, resterà eternamente legato alla drammatica
separazione dell’Occidente dall’Oriente.

Lo sfaldamento dell’Impero d’Occidente ed il sacco di Roma (973-980
d.C., 1726-1733 aUc)

Mentre l’Oriente continua a prosperare e a dotarsi di nuovi leggi l’Impero
d’Occidente va lentamente sfaldandosi, dato che alla morte di Ottone anche il
Malì, il Ghana ed il Dahomey si trasformano in regni vassalli; l’Etiopia
riafferma invece la propria fedeltà all’Impero mentre l’Egitto è in pieno
fermento rivoluzionario. Anche l’Europa comincia ad entrare in fermento, vista
la facilità con cui gli Africani si sono svincolati dal controllo di Roma, ed a
difendere l’unità del cuore storico dell’Impero non è rimasto nessuno.
L’Hibernia si proclama indipendente mentre la Britannia e la Caledonia
vengono scosse da continui disordini. Gli arabi ottengono la secessione ed
arrivano addirittura ad assediare Roma. Le truppe a difesa della Capitale sono
deboli (non più di 5.000 uomini) e gli assedianti bloccano tutte le vie d’accesso,
compreso il Tevere ed i rifornimenti dal Porto di Ostia. Dopo quasi cinque mesi
di privazioni i romani sono costretti a cibarsi di gatti, topi e cani. Le malattie
infettive mietono vittime, le fonti parlano di peste, ma si trattò più
verosimilmente di colera e si citano casi di cannibalismo. Il popolo meno
abbiente è il più sofferente e nessuna legione accorre in difesa della Capitale
dell’Impero. Molti affamati che non hanno nulla da perdere verso la fine di
agosto si mettono d'accordo per dire basta! Nella notte del 24 Agosto qualcuno
apre nascostamente la Porta Salaria: quasi 500.000 arabi si riversano in città

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come un fiume in piena. Inizia così un violento saccheggio della Città Eterna. È
il 980 d.C. (1733 aUc) e lo scalpore è grandissimo dovunque poichè Roma non
conosceva saccheggio dal 390 a.C. (363 aUc) quando a devastarla era stato
Brenno. Nonostante tutto, Roma incute rispetto agli invasori e nei tre giorni di
saccheggio gli arabi salvaguardano dei valori: viene impartito l’ordine di non
uccidere (quantunque perdite umane ve ne dovettero essere ed ingenti),
vengono risparmiati i luoghi di culto e viene messo sotto tutela Papa Benedetto
VII. I vescovi africani devono immediatamente difendere i cristiani dall’accusa
di aver causato la decadenza ed il crollo di Roma. L’Imperatore fantoccio
Basilio II è anche costretto a sgomberare Islanda e Groenlandia che si
trasformano in una Repubblica con un proprio parlamento, l’Althing, mentre gli
arabi si stanziano nel sud della Spagna estendendo il loro califfato (vedi
successivamente).

Un nuovo sacco di Roma: Leone il cinese si sostituisce all’Imperatore

d’Occidente (980-994 d.C., 1733-1747 aUc)

Già nel 930 d.C. (1683 aUc) la Persia si era proclamata indipendente mentre la
Russia settentrionale ottiene di essere elevata a regno vassallo. Nel 950 d.C.
(1703 aUc) anche le province balcaniche, la Grecia, l’Armenia e l’Anatolia si
rendono indipendenti dall’Impero d’Occidente. L’Anatolia dichiarerà fedeltà
all’Impero d’Oriente nei primi anni del nuovo millennio. Nel 983 d.C. (1736
aUc) Basilio II muore assassinato da due partigiani tedeschi che lo accusano di
non aver voluto concedere ai loro popoli germanici quella indipendenza de
facto che è stata invece concessa ai Russi. Sul trono di Roma non siede alcun
Imperatore ed i Normanni muovono allora su Roma che subisce nel 985
d.C.(1738 aUc) un altro e più grave saccheggio, nonostante Papa Giovanni XV
abbia ottenuto da loro la promessa di risparmiare le Basiliche maggiori e la vita
dei civili. Intanto a Roma si susseguono ben otto imperatori senza importanza,
elevati al trono e abbattuti a piacimento dal governatore dei Vichinghi
Ricimero VII, eletto patrizio e protettore dell’Impero senza mai cingere la
corona.

Nel frattempo, nel 957 d.C. (1710 aUc) in Oriente sale al trono il generale Li
Yun, noto in Occidente come Leone il Cinese. Dal 985 d.C. (1738 aUc) al 994
d.C. (1747 aUc) Leone, intervenuto a frenare l’anarchia dopo i due sacchi di
Roma, regge il potere imperiale anche in Occidente mentre a Ricimero tocca il
governo; è questo, storicamente, il primo tentativo orientale di riconquistare
l’Occidente, tentativo che sarà ripetuto con successo nel XII secolo da Gengis
Khan. Ma ormai l’Occidente alla fine del X secolo è ridotto ad una parte
dell’Europa, alle coste del Mediterraneo ed al bacino del fiume Nilo. L’Italia

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esce stremata dalle invasioni arabe e normanne: esse hanno devastato le
campagne, spopolato le città, distrutto parte delle grandi strutture
architettoniche dell’Impero (in primis gli acquedotti, tagliati per far mancare ai
nemici gli approvvigionamenti d’acqua) ed hanno precipitato l’Europa nel caos.
Solo i monasteri cristiani diventano isole di cultura che preserveranno la civiltà
greca e latina durante i Tre Secoli Bui.

Il Feudalesimo durante il Secolo Ferreo (994-1138 d.C., 1747-1891 aUc)

Nei decenni a cavallo dell’anno mille il potere politico centrale tende
ulteriormente a dissolversi dato che i feudatari che spalleggiano i discendenti di
Carlo Magno, in lotta per il titolo, vedono accresciuta progressivamente la loro
potenza, tanto che a partire da Ottone I gli Imperatori sono costretti a concedere
ai loro vassalli l’ereditarietà dei loro feudi. In Europa la debolezza del potere
centrale contro gli attacchi di pirati saraceni e di predoni russi favorisce la
formazione di unità autonome su base etnica, governate sotto vari titoli (duca,
visconte, barone, conte, marchese) dai Grandi dell’Impero. Questi Grandi
Nobili, non essendo in grado di controllare da soli il territorio, ne affidano una
parte a dei vassalli, i quali a loro volta concedono delle terre a dei valvassori e
questi a dei valvassini; così, nella pratica, l’autorità imperiale si dissolve in
Occidente. Chi prospera in Occidente è il solo mondo arabo che è stato
riunificato sotto il califfato di Baghdad fondato nel 796 d.C. (1549 aUc) da Al-
Mansur, oramai praticamente autonomo dall’Impero. Gli Arabi sviluppano
l’algebra, la trigonometria e l’astronomia, entrano in stretti rapporti
commerciali con l’Impero d’Oriente e giungono a riconquistare il Golfo di
Guinea, continuamente scosso da guerre tribali e ridotto allo stremo
dall’assenza di un’autorità centrale forte. I leggendari navigatori arabi
esplorano le coste dell’Africa Orientale fino al capo di Buona Speranza,
compiono viaggi lungo le coste dell’India, di Sumatra e della Cina e toccano
anche l’Australia. Ottone III, nipote di Ottone I e figlio della principessa greca
Teofano, tenta negli anni immediatamente precedenti la fine del primo
millennio dell’era cristiana di porre fine all’anarchia ottenendo l’obbedienza di
Vichinghi, Polacchi, Ungaresi e Greci. Educato sotto la guida della madre dai
maestri più dotti del tempo il giovane Imperatore, appena dichiarato
maggiorenne, elegge Papa il cugino e quasi coetaneo Brunone col nome di
Gregorio V e viene da lui incoronato nel 996 d.C. (1749 aUc) a Roma. Qui gli
sono a fianco alcuni esponenti del mondo religioso che influiranno in modo
determinante sulla sua vita: Gerberto Aureliano, uno tra i maggiori scienziati
del medioevo, e Alberto di Praga. Gerberto ha fama di persona coltissima, è un
grande matematico e fa diffondere in Europa i numeri arabi che presto
soppiantano quelli romani. Dinanzi alla grandiosità dei resti di Roma antica e

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sotto l’influenza di Gerberto e di Leone Vescovo di Vercelli, nasce in Ottone
l’idea di una Renovatio Imperii, la rinascita di un Impero universale esteso sui
tre continenti conosciuti e fondato sull’unione di Papato ed Impero con
Capitale Roma. Ma già nel 997 d.C. (1750 aUc) i Romani, capeggiati da
Crescenzio Nomentanus, si ribellano ed eleggono come antipapa Giovanni
Dilagatone di Rossano, antico maestro dell’Imperatore. Questi, però, doma la
rivolta: Crescenzio è decapitato sugli spalti di Castel Sant’Angelo, l’antipapa
viene mutilato ed accecato. Morto misteriosamente Gregorio V nel 999 d.C.
(1752 aUc), Ottone riporta ordine a Roma con una dura repressione e con
l’elevazione al soglio pontificio di Gerberto Aureliano, già suo precettore, con
il nome di Silvestro II (2 aprile 999 d.C., 1752 aUc-12 maggio 1003 d.C., 1756
aUc). Il nome da lui scelto, Silvestro II, conferma il comune ideale di rinascita
dell’Impero romano cristiano che il primo Papa Silvestro aveva condiviso con
il primo Imperatore cristiano Costantino. Per espiare la crudeltà nella
repressione della rivolta romana, ma anche per realizzare attraverso la fede
l’unione delle diverse province europee, Ottone intraprende una serie di
pellegrinaggi che lo portano, dopo S. Michele sul Gargano e Gaeta, presso il
santo monaco Nilo di Rossano alla tomba di Adalberto trucidato dai prussiani
che tentava di convertire e sepolto in Polonia. Il modello al quale Ottone si
ispira è soprattutto Carlo Magno, di cui alla fine dell’anno 1000 d.C. (1753
aUc) fa riaprire la tomba ad Aquisgrana prelevandone reliquie. In memoria di
Adalberto, di cui ha riportato dalla Polonia parte del corpo, l’Imperatore
innalza a Roma, sull’isola Tiberina, una splendida chiesa che vuole dotare di
altre preziose reliquie, tra cui la pelle di S. Bartolomeo il cui nome sostituirà
presto quello, dimenticato, di S. Adalberto; fa poi prelevare da una chiesa
presso il Soratte, quasi certamente quella dei SS. Abbondio ed Abbondanzio
poco ad Est di Rignano, le reliquie dei Santi titolari, martirizzati con Marciano
e Giovanni al XIV miglio della Flaminia ed accolti dalla matrona Teodora nel
suo podere al XXVIII miglio, forse nel sito della catacomba di Santa Teodora
presso la Flaminia. Dal febbraio del 1001 d.C. (1754 aUc) l’incomprensione dei
romani sfocia in una nuova rivolta: assediato nei palazzi del Palatino, Ottone
deve abbandonare Roma. Richiesti rinforzi di truppe dalla Germania, si insedia
nel castello di Paterno alle falde del Soratte, senza tuttavia rinunciare a ritirarsi
in meditazione fra i discepoli dell’eremita Romualdo a Pomposa, S. Apollinare
in Classe e l’isola di Perreum tra Ravenna e Comacchio. Ma mentre
giungevano i primi contingenti delle truppe germaniche ed una principessa di
Costantinopoli sbarcava come promessa sposa nelle Puglie, il 23 Gennaio del
1002 d.C. (1755 aUc) Ottone, forse logorato anche da febbri malariche
contratte nelle paludi di Ravenna, moriva nel castello di Paterno a soli 22 anni.
I Romani, non contenti di aver respinto il più sincero sostenitore della loro
grandezza, favoleggiarono che la vedova di Crescenzio, Stefania, fosse riuscita

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a vendicare lo sposo facendo innamorare di sé Ottone per avvelenarlo. I suoi
fedeli soldati attraversando l’Italia ostile trasportarono il corpo del loro infelice
Imperatore ad Aquisgrana dove, secondo il suo desiderio, fu sepolto accanto al
grande Carlo: ma come del suo sogno di pace e fratellanza universale anche del
suo sepolcro si è ormai perduta memoria. L’Europa è in piena decadenza, le
truppe si ammutinano ed il tentativo di Ottone è miseramente fallito con la sua
morte che segna anche l’inizio di un secolo di anarchia, detto il “Secolo
Ferreo”, nel quale si susseguono una cinquantina di Imperatori ed almeno
altrettanti Pontefici, continuamente creati e continuamente rimossi da un Senato
corrotto ed invischiato nelle lotte per il potere. L’Impero d’Occidente perde
progressivamente tutte le province africane, le isole britanniche e scandinave e
tutta l’Europa orientale riducendosi, all’inizio del XII secolo, alla sola Italia,
Francia e Germania. Roma è insomma in piena decadenza ed è Capitale di un
Impero fantasma mentre gli Imperatori Orientali della dinastia cinese Liao si
disinteressano completamente di tutte le terre ad ovest di Costantinopoli.

Gli Imperatori della Casa di Svevia (1138-1189 d.C, 1891-1942 aUc)

In Europa l’unica potenza politica degna di nota a sorgere in questi decenni
burrascosi è quella dei due imperatori della Casa di Svevia che pongono fine al
secolo ferreo e tentano di riportare ordine nell’Impero, anche se la loro autorità
effettiva non riesce ad estendersi al di là dei confini di Italia e Germania.
L’Imperatore Corrado III (1138-1152 d.C., 1891-1905 aUc) parte per una
crociata in terrasanta nel tentativo di riconquistare le perdute province della
mesopotamia, ora facenti parte dell’autonomo califfato arabo di Baghdad, e
convertirle al cristianesimo lasciando il figlio decenne Enrico sotto tutela
dell’Arcivescovo di Magonza ma Papa Eugenio III destituisce l’arcivescovo e
dalla sua residenza a Treviri tenta di imporsi nella guida dell’Impero.
La crociata di Corrado III si rivela disastrosa ed inconcludente. I romani sono
gravemente sconfitti sul fiume Bathys, presso Dorileo, dai Selgiuchidi di
Masud II sultano di Rum. Corrado assedia vanamente Damasco ed Ascalona
(1148 d.C., 1901 aUc) e muore sul campo di battaglia mentre le sue legioni
sono travolte. Suo figlio Federico diventa quindi Imperatore nel 1152 d.C.
(1905 aUc) con il titolo di Federico I Cestio Aulfo di Svevia detto il Barbarossa
(1152-1189 d.C., 1905-1942 aUc) a soli 27 anni. Hanno calcolato che al tempo
di Barbarossa in tutto l’Impero esistevano circa 10.000 castelli feudali e che
non vi era più alcuna possibilità di creare nuovi feudi. Federico Barbarossa,
discendente per linea paterna dai ghibellino e per linea materna dai guelfo, si
dimostrò subito dotato di grande iniziativa ed autorevolezza ponendo fine alle
lotte interne, concedendo a Enrico il Leone, figlio di Enrico il Superbo, il
governo della Sassonia e della Baviera. Per Federico l’autorità imperiale aveva

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due aspetti: un aspetto politico, per il quale esercitava il suo dominio in tutto
l’Impero d’Occidente, ormai sostanzialmente ridotto all’Italia, alla Germania ed
alla Francia, ed un aspetto spirituale, per il quale era considerato il capo
dell’occidente cristiano. Questo riconoscimento poteva avvenire solo con una
sua incoronazione a Roma da parte del Papa. Si convinse che governare da
Roma era essenziale per la ripresa della sua autorità imperiale perciò,
stabilizzata la situazione in Germania, iniziarono le sue discese in Italia per
rinnovare la sua autorità in questa parte dell’Impero, tentativo reso più facile
dai contrasti che cominciavano a sorgere tra le città vicine a causa dello stesso
sviluppo dei Comuni più importanti. Mediolanum era in contrasto con Lodi e
con Como per una concorrenza nel campo tessile e per problemi di accesso al
Po, mentre Firenze era in conflitto con Siena (battaglia di Montaperti), tutte
contese che l’Imperatore poteva utilizzare a suo vantaggio. Nel patto di
Costanza (1153 d.C., 1906 aUc) Federico I promette al Papa Eugenio III il suo
aiuto contro i Normanni che minacciano di saccheggiare nuovamente Roma e
contro Arnaldo da Brescia, oramai padrone della Città Eterna lasciata allo
sbando. Prima di assentarsi, Federico raccoglie numerose avvocatizie in
Germania meridionale, fa largo uso di missi imperiali, aumenta la feudalità
infeudando anche rendite ed aliena numerosi beni demaniali. La sua prima
discesa in Italia avvenne nel 1154 d.C. (1907 aUc): Federico catturò Arnaldo
consegnandolo al nuovo Papa Adriano IV che lo fece bruciare vivo. Il Papa in
cambio lo incoronò Imperatore a Roma, ma una ribellione popolare esplosa
dopo l’esecuzione di Arnaldo e l’opposizione dei feudatari tedeschi
obbligarono Federico a tornare subito in Germania. Nel frattempo erano apparsi
in Europa i Comuni, in Germania, in Inghilterra, in Francia, nelle Fiandre, ma
soprattutto in Italia, tipica forma di governo autonomo delle città, in antitesi
alla vecchia autorità feudale, che trovavano spesso il loro punto di riferimento
nel vescovo. Tutto questo faceva parte del programma teocratico che era stato
di Papa Gregorio VII e ripreso da Papa Innocenzo III, nel tentativo di riunire
tutta la cristianità sotto il supremo potere del Pontefice. La seconda discesa di
Federico Barbarossa ebbe luogo nel luglio 1158 d.C. (1911 aUc) quando
convocò subito una assemblea dei delegati di tutti i vari Comuni, dei vassalli
laici ed ecclesiastici italiani e tedeschi e di giuristi dell’università di Bologna,
assemblea che si tenne a Roncaglia, cittadina nei pressi di Piacenza, scelta al
posto di Pavia probabilmente perché più vicina a Bologna (dieta di Roncaglia).
In questa assemblea Federico discusse ed elaborò la “Costitutio de regalibus” la
quale riaffermava l’autorità dell’Imperatore d’Occidente sui vari Comuni, sui
vassalli italiani ed anche la superiorità dell’Impero sul Papato, considerato
anche lui feudo dell’Impero e stabiliva quali fossero le “regalie”, cioè i suoi
diritti, dei quali i vari Comuni si erano man mano appropriati e cioè la
riscossione di pedaggi, dei dazi da pagare per il passaggio lungo le vie

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pubbliche, per la navigazione lungo i fiumi ed i canali, per l’ingresso nei porti,
la facoltà di nominare magistrati per rendere giustizia, lo sfruttamento delle
miniere d’argento, delle saline ed i proventi delle multe. Naturalmente il
documento fu ratificato dall’Imperatore e dal giuramento di tutti i
venuti. L’obiettivo di Federico era quello di creare una monarchia basata sul
diritto romano e sulle consuetudini feudali. La conseguenza di questa
assemblea fu l’inizio di una lunga lotta tra l’Imperatore, i comuni ed il Papato,
quando risultò chiaro che la “Costitutio de regalibus” non era una semplice
dichiarazione di diritto, una semplice formalità, e nelle varie città si
presentarono gli emissari dell’Imperatore che chiedevano la riscossione di tutti
i tributi. Alcuni Comuni si rifiutarono di riceverli e la reazione di Federico fu
spietata: durante la ennesima discesa in Italia rase al suolo Crema (1159 d.C.,
1912 aUc) e nel 1162 d.C. (1915 aUc), con un esercito di soldati tedeschi ed
italiani forniti dai feudatari a lui fedeli, assediò per due anni Mediolanum che
era il Comune più ricco e più ribelle, radendola al suolo nello stesso anno. Il
rapporto tra il Barbarossa ed il Comune di Mediolanum è ben descritto dal
poeta italiano Giosuè Cardo Cestio nella sua ballata “Il Parlamento”, della
quale riportiamo qualche strofa: “Sta Federico Imperatore in Como / Allor fè
cenno il console Gherardo, / e squillaron le trombe a parlamento / Signori
milanesi il consol disse / la primavera in fior mena tedeschi / pur come d’uso.
Fanno Pasqua i lurchi / ne le lor tane e poi calano a valle / Como è cò i forti e
abbandonò la lega / Il popol grida: L’esterminio a Como / Quale volete,
milanesi? mandar messi a Cesare o affrontar / a lancia e spada il Barbarossa in
campo / A lancia e spada, tuona il parlamento, a lancia e spada il Barbarossa in
campo.” Morto Adriano IV, Federico pretese di nominare il nuovo Papa Vittore
IV, mentre i Normanni ed i Bizantini davano il loro appoggio ad un altro Papa,
Alessandro III divenuto il simbolo della resistenza contro l’Imperatore.
Un’altra discesa ebbe luogo nell’ottobre 1163 d.C. (1916 aUc) e, mentre
Federico era in Italia, scoppiò una rivolta feudale contro il governatore
normanno Guglielmo il Malo. I feudatari ribelli si rivolsero per aiuto al Papa, a
Federico Barbarossa ed all’Imperatore Orientale che inviò una spedizione in
Puglia. Federico Barbarossa non poté intervenire, perché i suoi generali
avevano giudicato l’impresa troppo rischiosa. Il Papa, l’Imperatore Orientale ed
il governatore normanno stipularono un accordo escludendo Federico: l’Impero
d’Occidente era prossimo al collasso. La penultima venuta di Federico in Italia
avvenne nell’ottobre del 1166 d.C. (1919 aUc) quando il Barbarossa,
accompagnato da Pasquale III un Papa nominato da lui e successore di Vittore
IV, si mosse contro Roma ma una epidemia di colera decimò il suo esercito e
trasformò la sua impresa in un fallimento. Federico Barbarossa scese per
l’ultima volta in Italia nel settembre del 1174 d.C. (1927 aUc) passando questa
volta attraverso la Contea di Savoia, senza poter sfruttare le discordie dei

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Comuni che anzi si erano associati nella Lega Lombarda composta da più di
venti Comuni tra i quali Mediolanum, Lodi, Como, Bologna, Modena, Vercelli,
Verona, Padova e Treviso. L’Impero d’Occidente, con i dissidi con il Papato e
la Lega Lombarda, stava perdendo anche l’Italia cuore storico della potenza di
Roma. I comuni lombardi avevano tracciato un programma comune ed a
Pontida avevano fatto il famoso giuramento contro il Barbarossa. Anche il Papa
Alessandro III diede il suo pieno appoggio e la Lega, per sottolineare questa
presa di posizione del pontefice, diede il nome di Alessandria ad un comune di
recente fondazione. Lo scontro decisivo avvenne il 29 maggio del 1176 d.C.
(1929 aUc) nei pressi di Legnano e l’esercito dei confederati, comandati da
Alberto di Giussano, inflisse una dura lezione alle truppe imperiali. Federico
Barbarossa, al quale durante il combattimento era stato ucciso il cavallo, si
salvò a stento e perse questa battaglia per una errata valutazione strategica della
situazione e per un inutile orgoglio, in quanto non aveva voluto accettare
l’aiuto militare che gli aveva offerto l’Imperatore Orientale della dinastia Jin, il
quale avrebbe dovuto affrontare l’anno successivo la terribile minaccia di
Gengis Khan. Dopo lunghe trattative il 25 giugno del 1183 d.C. (1936 aUc) si
giunse alla pace di Costanza, con la quale tutti i Comuni ottennero il
riconoscimento dei loro diritti, soprattutto l’autonomia, pur riconoscendo
l’autorità imperiale ed accettando il pagamento di tributi. Dal punto di vista
religioso terminò lo scisma iniziato con la nomina, ancora al tempo di Enrico
IV e GregorioVII, di un antipapa. Un concilio ecumenico del marzo 1179 d.C.
(1932 aUc) eliminò il diritto di conferma da parte dell’Imperatore per la
nomina di un nuovo Papa, i Comuni riconobbero la sua sovranità e l’Imperatore
la loro autonomia. Federico riuscì a ridurre all’obbedienza i popoli dei Balcani
sollevatisi contro di lui (battaglia sulla Lech, 1179 d.C., 1932 aUc) ma ogni
opera di riforma e di rinascita dell’ormai morente Impero d’Occidente viene
troncata dalla repentina ed inaspettata invasione da parte dei Mongoli di Gengis
Khan che, come vedremo nel prossimo capitolo, loro malgrado, riporteranno
all’unità l’immenso Impero di Roma evitando l’imminente fine dell’Impero
d’Occidente.

Le cause della decadenza dell’Occidente

Quali le cause immediate della decadenza dell’Occidente, che giunge vicino al
tracollo? Anzitutto la crisi militare per via della preminenza di ausiliari barbari
(specie russi ed africani) che poi rivendicano l’indipendenza, ma anche lo
spopolamento delle campagne dovuto all’eccessivo fiscalismo ed alla
diffusione del latifondo e del servaggio della gleba; il rincaro dei prezzi
conseguente alla inflazione monetaria; la corruzione fra i funzionari e gli
esattori delle imposte, che pretendono di arricchirsi a danni dei cittadini e dello

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Stato. Non è da trascurare però la mancanza di una cintura di stati satelliti che
impedisca a popolazioni esterne (i Pigmei, in questo caso) di infiltrarsi nei
confini, né l’eccessiva vastità dello stato che ha raggiunto contrade troppo
remote per tenerle tutte sotto controllo in un’epoca in cui i viaggi sono ancora
difficoltosi e rischiosi. L’irruzione di popoli stranieri entro i confini e la
creazione di regni secessionisti instabili e sempre in lotta tra di loro e con il
potere centrale romano rende poi insicuri i traffici e paralizza ogni attività
economica, che è alla base della prosperità di un Impero. La scomparsa della
moneta a favore del baratto è tuttavia un male secondario rispetto alla fine della
circolazione della cultura e alla decadenza delle lettere e delle arti; queste
ultime, come si è detto, restano rinchiuse nei monasteri come un messaggio
dentro una bottiglia in balia dell’oceano e la diffusa ignoranza diffonde l’idea
che l’unica legge degna di essere obbedita sia quella dettata dalla forza delle
armi (il grande poeta italiano Alessandro Manlio Zonio nel XIX secolo la
chiamerà la «rea progenie / degli oppressor, (...) / cui fu prodezza il numero, /
cui fu ragion l’offesa, / e dritto il sangue, e gloria / il non aver pietà »). Se non
fosse avvenuta l’invasione mongola di Gengis Khan che avrebbe riunificato
l’Impero, pur senza dimenticare tutte le violenze e le brutalità dei popoli della
steppa, probabilmente oggi non sarebbe sopravvissuto nulla dell’antica gloria di
Roma.

111

L’INVASIONE DEI MONGOLI E LA
RIUNIFICAZIONE DELL’IMPERO DI
ROMA SOTTO GENGIS KHAN (1189-

1239 d.C., 1942-1992 aUc)

Le leggendarie imprese di Temujin (1155-1195 d.C., 1908-1948 aUc)
Mentre l’Occidente è in piena crisi e l’Impero virtualmente non esiste più,
l’Impero d’Oriente ha continuato a crescere e prosperare prima sotto la dinastia
cinese dei Song, poi sotto quella dei Jin. Si è ritirato dal 60° parallelo fino ai
confini tra Mongolia e Siberia e dalle Molucche, ma nel complesso è rimasto il
grande Impero ceduto da Ottone I del 936 d.C. (1689 aUc). Ma l’avvento del
mongolo Temujin, detto Gengis, nato da Yesughei nel 1155 d.C. (1908 aUc)
cambia repentinamente la situazione. Il piccolo Gengis cresce forte e robusto,
sveglio nella mente e quando compie nove anni il padre ritiene giunto il
momento di trovargli la futura sposa. Come voleva il costume mongolo i due si
misero in viaggio per visitare i clan più lontani, visitarono i Kin e furono ospiti
di Dai Sescen capo dei Qongghirat. La leggenda vuole che Temujin, ospite di
Dai Sescen, s’innamorò della bella figlia di dieci anni del capo Borte, più
probabilmente ciò rientrava nella politica unionista di Yesughei il quale offrì il

112

proprio stallone nero al capo e lasciò al campo Temujin perché lavorasse
gratuitamente per un certo numero d’anni per il futuro suocero e fornisse prova
di se prima del matrimonio, sempre secondo il costume mongolo. Raggiunta la
maturità Temujin, che afferma di essere il «lupo azzurro» predetto da una
leggenda, unifica tutte le tribù tartare suddite di Pechino ed assume il nome di
Gengis Khan. Egli al comando dei temibili guerrieri mongoli attacca le
province della Cina, superando la Grande Muraglia ed occupando la Capitale
dell’Impero d’Oriente Pechino senza colpo ferire. Con rapidissime e devastanti
campagne, nelle quali fa valere tutta la superiorità della cavalleria leggera
mongola, riduce in suo potere ogni provincia dell’Impero d’Oriente, del quale
si proclama Imperatore detronizzando gli Jin. Gengis Khan nell’anno 1180 d.C.
(1933 aUc) era il dominatore assoluto di tutto il territorio dell’Impero
d’Oriente: dalle coste dell’Oceano Pacifico al Mar Rosso. Le notizie delle
straordinarie imprese di Gengis Khan raggiungono le province ribelli europee
ed i regni africani sorti dopo l’indipendenza da Roma, mentre il piccolo Impero
di Federico Barbarossa era impegnato a sedare le rivolte dei comuni italiani e
tedeschi. Nei primi anni di dominio mongolo furono poste le basi della
riorganizzazione imperiale, fu riorganizzato l’esercito, fu imposta una
legislazione fiscale, istituita una rete postale di stato e creata anche
un’organizzazione burocratica composta prevalentemente di Uiguri, un popolo
di cultura superiore abitante il Sinkiang settentrionale arresosi senza resistenza
al conquistatore mongolo. Temujin impose ai suoi parenti, agli ufficiali
dell’esercito ed ai dignitari di corte d’imparare a leggere e scrivere nel
linguaggio degli Uiguri che divenne la lingua ufficiale del nascente Impero.
Creata la struttura dello stato, il sovrano mongolo diede inizio alla grande
stagione delle conquiste: il Gran Khan credeva di essere investito della sacra
missione di conquistare il mondo intero, in nome dell’Eterno Paradiso Blu, ma
ciò che offriva ai suoi seguaci era la prospettiva del bottino. Il servizio militare,
sebbene obbligatorio per tutti i maschi dai 14 ai 60 anni, non era senza
ricompense. “Le future generazioni della nostra razza” promise Gengis Khan
quando fu nominato sovrano universale “indosseranno vestiti ricamati d’oro,
mangeranno cibi grassi e appetitosi, cavalcheranno stupendi cavalli e terranno
fra le braccia belle donne”. I suoi sudditi mongoli si convincono che la loro
missione sia quella di conquistare e governare «le quattro parti della Terra» e
così Gengis Khan nel 1185 d.C. (1938 aUc) varca gli Urali e sottomette gli stati
Russi da tempo indipendenti dall’Impero d’occidente. Partendo da questa base
le sue orde penetrano in Europa da ben tre direzioni ed a Legnice (Polonia)
annientano l’esercito che i Tedeschi, i Polacchi e gli Ungaresi hanno schierato a
difesa dell’Occidente. È la primavera dell’anno 1189 d.C. (1942 aUc). Le
tecniche e le strategie di guerra da lui impiegate per la conquista dell’Impero
romano sono ancora fonte di meraviglia per gli esperti. Il segreto

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dell’affermazione dei mongoli stava nella velocità e nel vigore, comparendo in
luoghi distanti centinaia di chilometri in pochi giorni. Un ruolo vincente
durante le battaglie era giocato dall’impiego del cavallo: i cavalieri mongoli
sono passati alla storia per la loro abilità in sella e nell’uso dell’arco. Durante
l’assedio alle città usavano addirittura cadaveri infetti che lanciavano
all’interno della mura per diffondere il morbo. La morte dell’Imperatore
Federico Barbarossa al comando delle truppe imperiali di difesa presso
Vindobona, unitamente alle sciagure delle guerre civili e della secolare
decadenza del continente, getta l’Europa nello scoramento e Gengis Khan può
occupare senza colpo ferire Aquisgrana, Costantinopoli ed infine Roma dove
giunge nel 1195 d.C. (1948 aUc). Papa Celestino III va incontro a Gengis nella
speranza di convincerlo a non distruggere la città, che ha già subito due
saccheggi due secoli prima, ma questi afferma che non ha intenzione di farlo e
pretende invece di essere incoronato dal Papa come successore di Federico
Barbarossa ed unico Imperatore di Roma. I Mongoli sono infatti tolleranti in
fatto di religione, credono nei «quattro profeti» (Mosè, Confucio, Buddha,
Gesù) e quindi per Gengis il Papa è un prete come tutti gli altri, in grado di
incoronarlo e di confermare il suo dominio sul mondo conosciuto se in
Occidente si usa così. Il Papa sceglie di obbedire e la sua scelta salva Roma e
tutta l’Europa. L’Impero romano sull’orlo della fine si trova inaspettatamente
nuovamente riunificato, anche se sotto la corona mongola.

Gengis Khan Imperatore di Roma: Pechino Capitale dell’Impero (1195-
1239 d.C., 1948-1992 aUc)

Intanto Ogodey, figlio di Gengis, ha occupato la Persia e le sue orde dilagano
nel Vicino Oriente conquistando prima l’autonomo califfato di Baghdad e poi
l’Africa Settentrionale. Solo gli Etiopi riescono a sconfiggere a Napata un
esercito mongolo indebolito dalle marce a tappe forzate nel deserto ma poi le
tribù africane capitolano ed accettano la dominazione del nuovo sovrano. In
pochi anni le truppe Mongole hanno messo in ginocchio quasi tutto il mondo
conosciuto ed hanno riportato sotto il proprio dominio gli innumerevoli regni
formatisi durante i tre secoli bui dell’Occidente.

Gengis nel 1195 d.C. (1948 aUc) assume il titolo di Gran Khan dell’Impero e
dichiara Pechino nuova Capitale al posto di Roma: da quasi trecento anni
l’Impero Romano non si trovava riunito sotto un’unica potestà mentre la Città
Eterna perde nuovamente lo status di Capitale che aveva riacquistato quattro
secoli prima con Carlo Magno. Egli fu uno dei più grandi condottieri della
storia: grazie al suo genio strategico seppe conquistare in pochissimi anni
l’immenso Impero romano che era virtualmente scomparso nella sua parte

114

occidentale, evitandogli il sicuro tracollo. Morì il 25 agosto 1227 d.C. (1980
aUc) cadendo durante un trasferimento a cavallo a causa delle ferite riportate
nei pressi di Yinchuan nell’odierna provincia cinese del Gansu. Pare che i suoi
resti, che non sono ancora stati rinvenuti, si trovino nelle montagne del Khentii.
La leggenda narra che chiunque si fosse trovato ad assistere al passaggio del
carro con la sua salma avrebbe pagato con la propria vita, accompagnando il
suo Imperatore nel viaggio nell’aldilà.
Alla sua morte suo figlio Ogodey eredita l’immenso Impero Romano di nuovo
riunificato. Egli viene ricordato per non aver permesso i festeggiamenti dei
2000 anni dalla fondazione di Roma, creando malumori e rivolte in tutti i
sudditi occidentali che si sentivano usurpati e dominati dai mongoli. Per
l’Europa, però, iniziano gli anni della ripresa sotto la stabilità inaugurata dal
dominio orientale mongolo. A vegliare sul continente rimane, infatti, il khanato
di Qipciaq o dell’Orda d’Oro, fondato da Batu altro figlio di Gengis che dalla
Russia Meridionale controlla la vita politica europea, anche se a poco a poco i
Mongoli assumono i costumi delle popolazioni soggiogate: in Cina si
cinesizzano, in Occidente si russificano e la dittatura straniera si trasforma in
una tranquilla dominazione che vede con favore la rinascita dell’economia e
delle scienze.

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LA LENTA PENETRAZIONE IN
AFRICA SOTTO IL DOMINIO
MONGOLO: ROMA RAGGIUNGE IL
FIUME CONGO (1239-1294 d.C., 1992-

2047 aUc)

Oltre il fiume Niger (1239-1241 d.C., 1992-1994 aUc)
L’Imperatore Ogodey muore nel 1248 d.C. (2001 aUc) durante la sua
campagna africana e gli succede Guyuk anche se il suo regno durerà solo tre
anni. Alla sua morte salirà al trono l’Imperatore Mongha (1251-1259 d.C.,
2004-2012) mentre con lo stolto Imperatore Qubilai (1259-1294 d.C., 2012-
2047 aUc) già si intravede il tracollo della dinastia mongola: nel 1368 d.C.
(2121 aUc) il movimento unitario cinese nato dal malcontento della
popolazione rurale e guidato da un monaco buddista (Tsiu Yuan-tsciang) fonda
la dinastia Ming, che darà a Roma alcuni importanti imperatori, mentre le
redini dell’Impero verranno prese da Edoardo III d’Inghilterra che nel 1327
d.C. (2080 aUc) scaccerà l’ultimo inetto Imperatore mongolo Yesün Temür
(vedi capitolo seguente). La dominazione Mongolo-Tartara era finita e il
vastissimo Impero di Roma entrava in una nuova era, il cui inizio viene
purtroppo funestato dalla peste nera che schiude in modo drammatico la nuova

116

stagione del Rinascimento. Durante il dominio mongolo, in Occidente si apre
una lunga disputa tra i governatori delle più importanti province e prefetture ed
il Papa sulla questione riguardante a chi tocchi la guida nel mondo cristiano
occidentale. Il governatore della prefettura di Germania Magna Federico II,
nipote del Barbarossa, e Papa Innocenzo III (1198-1216 d.C., 1951-1969 aUc)
si confrontano a lungo con reciproche scomuniche. Nel 1303 d.C. (2056 aUc) il
governatore della prefettura francese Filippo il Bello fa addirittura imprigionare
Papa Bonifacio VIII (1294-1304 d.C., 2047-2057 aUc) il quale morirà in
cattività. I successori di Bonifacio saranno tutti francesi e costretti a risiedere
ad Avignone anziché a Roma. Ciò provocherà una crisi spirituale, a cui si
aggiungono i ripetuti tentativi dell’Orda d’Oro di riprendere il controllo
dell’Europa che si stava lentamente svegliando dal torpore anche se a causa
della peste nera nel 1347 d.C. (2100 aUc) il continente perderà un quarto della
propria popolazione. L’Occidente dominato dagli orientali sembrava
nuovamente vicino al tracollo ma, paradossalmente, proprio uscendo da questa
crisi trovava nuovo slancio per riprendere il controllo dell’Impero.

Ma torniamo ai decenni di dominio mongolo dell’Impero romano: durante il
regime dell’Orda d’Oro Roma riprende la sua lenta penetrazione in Africa, oltre
il fiume Niger. Ciò avviene ad opera di arditi mercanti-esploratori prima e di
governatori desiderosi di fama e di ricchezze poi. A ciò si aggiunge anche il
desiderio, da parte dei missionari cristiani, di convertire i pagani di razza nera
ritenuti in balia di culti sciamanici di origine diabolica.

Questa lenta colonizzazione conduce nel 1241 d.C. (1994 aUc) sotto
l’Imperatore Ogodey all’espugnazione della città di Aba posta immediatamente
al di là della foce del Fiume Nero ed all’istituzione della provincia di Nigeria.
Ciò porta l’Impero Romano a confinare direttamente con il più vasto Impero
indigeno africano, il giovanissimo regno di Kanem-Bornu esteso dai confini
meridionali del Sahara centrale fino al Nilo Bianco ed alla foresta equatoriale
del Congo già esplorata parecchi secoli prima da Claudio Nebridio.

Guerra contro i Tuaregh (1241-1255 d.C., 1994-2008 aUc)

L’amministrazione mongola dell’immenso Impero ritarda ogni progetto di
sottomissione del grande stato africano, che in ogni modo non è all’ordine del
giorno poiché, pur mantenendo il monopolio del commercio dell’avorio, degli
schiavi e delle belve feroci con l’Africa Nera, rispetto all’opulento reame della
seta esso appare poco più che una Federazione di villaggi indigeni, dediti a culti
ridicoli e ad un’agricoltura di sussistenza. Inoltre, in Africa i romani e
l’amministrazione mongola hanno altri grattacapi: nel 1229 d.C. (1982 aUc),
sotto il regno di Ogodey, si verifica una grande insurrezione dei popoli

117

sahariani vassalli di Roma capeggiati da quei Tuaregh che ai Romani erano noti
come “gli uomini blu”: l’Augusto mongolo muore proprio mentre è impegnato
nella campagna contro il Bey Azaouad nel 1248 d.C. (2001 aUc), che ha
fondato un regno garamantico nella regione del Tanezrouft rendendo insicure le
carovaniere per il commercio via terra con le colonie romane fondate lungo il
golfo di Guinea. Durante il Regno di Mongha il Senato decide che ne ha
abbastanza di Azaouad e che è arrivato il momento di rendere nuovamente
sicure le grandi vie carovaniere: invia così il generale libico Agostino a sbrigare
definitivamente quella pratica. Ma l’effimero regno garamantico crollerà più
per colpa delle sue divisioni interne e per le rivalità tra Berberi, Mauri e
Tuaregh, che non per il valore di Agostino, il quale anzi si macchia di orrendi
crimini attaccando le tribù inermi e sterminando vecchi, donne e bambini.
Tanta ferocia è sicuramente dettata dal desiderio di mettersi in luce agli occhi
della classe senatoria per poter aspirare ad un ruolo nella vita politica di
Pechino. È il 1252 d.C. (2005 aUc).

Preso dall’entusiasmo, Agostino annette tutta la carovaniera che congiunge la
Tripolitania al lago Ciad, quindi inizia la conquista della regione di Manga,
anch’essa ai margini del regno di Kanem-Bornu e sua alleata ed anch’essa
teatro di orrendi bagni di sangue, ma muore prima di essere riuscito a ridurla a
provincia. Secondo la leggenda, durante l’ennesimo attacco ai danni di un
villaggio inerme egli è colpito da una freccia che nessuno sa da chi e da dove
sia stata scagliata, tanto che i Padri della Chiesa la definiranno la “Freccia di
Dio” (Sagitta Dei), scagliata da un angelo per punire il perfido generale così
come era accaduto con Eliodoro. Ma è meglio attenerci ai dati storici e non alle
interpretazioni leggendarie.

Il tiranno senza corona (1255-1268 d.C., 2008-2021 aUc)

Come avrete capito, mentre gli Imperatori mongoli ed i loro luogotenenti erano
impegnati nella conquista dell’Africa il Senato, che nonostante la Capitale sia
stata spostata a Pechino risiedeva sempre a Roma, e la classe Equestre che lo
domina sono i veri padroni dell’Occidente. Pechino è lontana ed essi governano
l’Europa come se fossero a capo di una Repubblica oligarchica (gli storici
contemporanei parlano al proposito di «Falso Impero»). Hanno perciò tutto
l’interesse a controllare i regni indigeni dell’Africa, oltre alle remote contrade
dell’Estremo Oriente, e danno vita ad una sorta di “guerra parallela” di
conquista per riaffermare il loro potere e la loro influenza. Tra tutti questi
appaltatori di guerre che si risolvono in tremende stragi ai danni della
popolazione nera armata solo di lance e frecce si distingue per astuzia e ferocia
il macedone Filippo Filopatore, così detto ironicamente perché sospettato di
aver organizzato l’assassinio del padre durante una finta rapina per ereditare le

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sue immense ricchezze ed il suo posto in Senato. Divenuto il capo della
corrente maggioritaria all’interno del Senato, e quindi in sostanza il Presidente
del Senato medesimo, egli arriva a fare le veci di Imperatore mentre Mongha
trascura del tutto l’Occidente ed impone le sue decisioni come se il macedone
fosse davvero investito del titolo di Augusto, tanto che gli storici arriveranno a
definirlo «il tiranno senza corona». Il suo più ardito progetto è proprio
l’annessione del Kanem-Bornu all’Occidente, annessione che porterebbe il
confine romano praticamente sulla linea dell’Equatore, raccordando fra di loro
Nigeria ed Etiopia.

Ma alla morte di Mongha nell’autunno del 1259 d.C. (2012 aUc) il suo
successore Qubilai che pretende una rapida guerra contro il Kanem-Bornu invia
il generale indiano romanizzato Carino di Taxila lungo la carovaniera annessa
da Agostino per conquistare il vasto regno africano. Carino però è il contrario
esatto di Agostino: per lui la guerra ha senso solo come difesa, non come
conquista, e c’è chi dice che su di lui abbiano fatto breccia le dottrine buddiste
e cristiane. Sta di fatto che quando giunge a N’Djamena, Capitale del regno di
Kanem, la popolazione lo accoglie in pace ed egli se ne guarda bene dal
muoverle guerra, presentandosi anzi come il garante della libertà dei popoli
stanziati a sud del lago Ciad.

Purtroppo lo stolto Imperatore Qubilai, che non approva l’indulgenza di Carino
verso gli inermi sudditi del Kanem-Bornu, invia in Africa anche un suo vecchio
compagno d’armi, il generale trace Massimino, che porta il nome
dell’omonimo Imperatore della fine del III secolo che inaugurò il cinquantennio
di anarchia militare, affinché porti a compimento il piano di Filippo Filopatore.
Egli dimostra notevole freddezza e pragmatismo, poiché sa benissimo che il
controllo del commercio di schiavi, avorio, oro e prodotti esotici fa gola a molti
di quei Cavalieri che devono sostenerlo politicamente. Massimino il Trace, già
semplice centurione ed ora assurto all’alta dignità di comandante delle legioni
africane, è rozzo e brutale quanto Agostino il Libico e piombato sugli inermi
abitanti del Kanem-Bornu che pensano di accogliere in pace pure lui,
letteralmente li stermina, facendo vendere tutti i superstiti come schiavi nelle
grandi piantagioni romane di canna da zucchero dell’Africa Occidentale. Rasa
al suolo N’Djamena e fattala sparire dalla carta geografica attacca Bangui,
seconda città del regno posta sul fiume Ubangi, la conquista, la ricostruisce
come città romana con il nome di Massimiana Pigmaea quindi supera l’Ubangi
e si spinge fino al fiume Congo (1268 d.C., 2021 aUc). Ben deciso a proseguire
la guerra “fino all’angolo meridionale dell’Africa” egli manda esploratori ed
avanguardie nella foresta al di là del fiume, ma essi non faranno più ritorno;
timoroso di chissà quale mistero annidato in quella foresta pluviale (i biografi

119

lo descrivono come del tutto irreligioso ma assai superstizioso) egli decide di
assestarsi temporaneamente sulla riva destra di quel fiume in attesa di varcarlo
in un futuro prossimo. Non sa che esso resterà il confine meridionale ed
invalicabile dei possessi di Roma in Africa per molto tempo ancora.

Dopo il Kanem-Bornu, il Camerun (1268-1294 d.C., 2021-2047 aUc)

Massimino dopo aver deciso di non oltrepassare il fiume Congo invia nelle
regioni orientali dell’ex regno di Kanem il suo fidato luogotenente, il
senegalese Kedogo che ha assunto il nome latino di Massimiano, con l’intento
di sottometterle e di aprire finalmente una via tra l’Etiopia ed il golfo di Guinea
più a nord dell’infido fiume Congo. Egli, invece, decide di spostarsi ad
occidente e di invadere il regno del Camerun, già vassallo di N’Djamena, che è
stato toccato dal navigatore cartaginese Annone già nel V secolo a.C.. Senza
incontrare troppa resistenza ne espugna sanguinosamente la Capitale, Yaoundé,
e riesce a raggiungere prima il grande vulcano Camerun che dà il nome al paese
e poi l’Atlantico. Il Camerun diventa, quindi, l’ennesima provincia romana.
Dopo aver conquistato il Camerun, Massimino raggiunge il Nilo Bianco, lo
risale, giunge ad Alessandria d’Egitto e da lì a Roma dove lo attende una
straordinaria onorificenza: il titolo di coAugusto.

Non appena giunto nella Città Eterna, il coAugusto Massimino viene investito
da Qubilai del compito di presidiare l’Europa e tenere d’occhio il Senato,
mentre l’Imperatore mongolo si sposta nella Capitale Pechino da dove
intraprende la riorganizzazione amministrativa dell’Oriente e di tutto l’Impero
Romano. Così facendo egli sanziona che l’immenso dominio su cui egli regna
non è più soltanto romano: all’egemonia di Roma si è sostituita una pari dignità
tra i principali centri di cultura del mondo, che attualmente sono cinque:
l’Europa che gravita attorno a Roma dove il cristianesimo e la cultura pagana si
contendono ancora il predominio; l’Africa dove invece il cristianesimo
comincia a penetrare insinuandosi tra i culti tribali ed il cui centro principale è
Leonia Guineana; l’Arabia che gravita intorno alla Mecca; l’India con centro a
Palibothra (dove prevale l’induismo); e la Cina buddista con Capitale Pechino.
L’Imperatore Qubilai muore a Pechino nel 1294 d.C. (2047 aUc) e con la sua
dipartita si può già intravedere la fine del predominio mongolo sull’Impero di
Roma.

120

LA FINE DELLA DINASTIA
MONGOLA ED IL LUNGO REGNO DI

EDOARDO III (1294-1377 d.C., 2047-
2130 aUc)

La nuova organizzazione dell’Impero e la fine della dinastia mongola
(1294-1327 d.C., 2047-2080 aUc)

Alla morte di Qubilai nel 1294 d.C. (2047 aUc) lo scettro imperiale passa a
Ghazan che si converte all’islamismo sunnita. Egli traccia un confine netto tra
l’Occidente e l’Oriente, confine che passa lungo i monti Urali, il fiume Ural, il
mar Caspio e poi lungo gli antichi confini pre-romani della Persia e della
Battriana e lungo il fiume Indo. Il mongolo decide, quindi, di dividere l’Impero
in quattordici diocesi, sette ad Oriente e sette ad Occidente, a loro volta
suddivise in prefetture le quali controllano, ognuna, un certo numero di
province. Ciascuna diocesi ha una Capitale con a capo un governatore, ma
nessuno di essi ha grado pari a quello dell’Imperatore che quindi evita di
nominare Cesari o Co-augusti. La Capitale dell’intero Impero resta Pechino
mentre Roma, in piena decadenza, perde anche lo status di Capitale regionale di
diocesi per cederla a Mediolanum, ritenuta più piccola, ben più facilmente
gestibile e più sicura di Roma che conserva solo il titolo di centro culturale di
tutto l’Impero. Ecco, in ogni modo, l’elenco delle diocesi con le loro capitali:

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OCCIDENS ORIENS
Europa Occidentalis (Mediolanum) Sina (Pechinus)
Europa Orientalis (Costantinopolis) Tibetana (Lhasa)
Mongolia (Karakorum)
Ariana (Ctesiphon) Iaponia (Edo)*
Nubia (Alexandria Aegyptiaca) India cis Gangem (Delhi)
India trans Gangem (Angkor)
Aetiopia (Axum) Hyrcania (Meracanda)
Lybia (Dakar)

Guinea (Leonia Guineana)

Il Giappone è inoltre integrato nell’Impero, anche se continua a costituire una
diocesi per sé stante.

(*) Leggasi più sotto le circostanze dell’annessione del Giappone all’Impero e
del suo particolare status.

Ma Ghazan è ricordato anche per le sue massicce riforme militari ed
economiche. Separati i comandi militari dalle funzioni civili, infatti, egli
aumenta la forza della milizia vicina all’Imperatore ed accresce nell’esercito il
numero degli elementi non Romani, creando soprattutto milizie di legionari
Mongoli, Sciiti e provenienti dall’Africa Nera. Inoltre, l’Augusto stabilisce
precisi confini sia in Africa che in Asia, riduce l’estensione delle province e ne
aumenta notevolmente il numero per renderle più agevolmente amministrabili
(si arriva addirittura a 555 province per la diocesi di Europa Orientalis). Il suo
però non è un regno pacifico: anzitutto egli vuole rendere sicuro il cuore
dell’Impero e per questo combatte a lungo i pirati giapponesi che devastano le
coste di Cina, Indocina e Corea, infliggendo loro una pesante sconfitta navale al
largo di Okinawa. Ghazan guida ben due spedizioni militari contro il Giappone,
nel 1299 d.C. (2052 aUc) e nel 1300 d.C. (2053 aUc), riuscendo alla fine ad
occuparlo, a scacciare la locale dinastia dei Tenno ed a cingere la corona
nipponica. Egli annette l’arcipelago nel 1302 d.C. (2055 aUc), ma pur
assegnandolo alla diocesi di Iaponia ne fa un possesso personale, così come era
stato l’Egitto per Augusto. Per quanto riguarda invece il confine meridionale,
per proteggerlo dagli attacchi delle popolazioni africane ordina al Generale
delle armate d’Africa Massimino Daia di avanzare verso sud e di annettere il
Gabon, regione ricca di metalli e di diamanti (1301 d.C. 2054 aUc). Ghazan ed
i suoi successori riescono così a spingere il confine romano sul basso corso del
Congo, ne raggiungono la foce ed ingrandiscono il villaggio di Cabinda che
diventa l’importante colonia di Cabinda Augusta; questo sarà per due secoli

122

l’estremo avamposto meridionale romano lungo la costa atlantica dell’Africa.
Sulla costa dell’Oceano Indiano, invece, proseguono le missioni commerciali e
le ambasciate presso i potentati neri delle coste del Tanganica e del Mozambico
e nel 1324 d.C. (2077 aUc) il navigatore arabo Alì Nippur esplora il
Madagascar ma le legioni restano ferme sul fiume Giuba, dove si erano
attestate già alla metà del quarto secolo. Congo e Giuba segnano dunque
l’estremo confine meridionale romano del mondo antico. L’unico acquisto
territoriale in questa direzione è costituito dall’isola di Zanzibar, annessa
all’Impero dall’ultimo Imperatore mongolo Yesün Temür nel 1326 d.C. (2079
aUc) per controllare il fiorente traffico di schiavi con l’Africa Nera. Ma
l’Europa in questi primi anni del XIV secolo è in grande fermento e gli
imperatori mongoli non riescono più a controllarla.

Edoardo III e l’inizio della guerra dei cento anni: Roma di nuovo

Capitale (1327-1377 d.C., 2080-2130 aUc)

Nel 1327 d.C. (2080 aUc) Edoardo III, governatore della prefettura
d’Inghilterra, spalleggiato dai generali europei che non potevano più tollerare il
dominio mongolo di Pechino, rivendica la corona imperiale detronizzando il
debole Imperatore Yesün Temür che è costretto a fuggire in Mongolia
mettendo fine alla dinastia dei Khan. Ma, purtroppo, Enrico non era il solo ad
aspirare alla massima carica imperiale. Il prefetto di Francia, Filippo VI,
rivendicò il titolo e scatenò una sanguinosa guerra dinastica con la conseguenza
che il trono imperiale restò virtualmente vuoto. I primi decenni del conflitto
furono disastrosi per la Francia che fu ripetutamente sconfitta mentre la
situazione interna del Paese era resa drammatica dall’epidemia di peste e dalle
lotte contadine. Nel 1356 d.C. (2109 aUc) il prefetto francese Giovanni il
Buono (1350–1364 d.C., 2103-2117 aUc) fu sconfitto nella famosa Battaglia di
Poca Terra (1356 d.C., 2109 aUc) e fatto prigioniero. Nel 1360 d.C. (2113 aUc)
la Francia fu costretta ad accettare la pace di Bretonia, con la quale Edoardo III
fu riconosciuto unico Imperatore. La sua prima decisione fu quella di spostare
la Capitale da Pechino a Roma, che diventava nuovamente il centro dell’Impero
ed iniziava un lento risanamento. Ma il conflitto dinastico non terminò con la
nomina dell’Imperatore Edoardo III. Nel 1368 d.C. (2121 aUc) il governatore
della potentissima prefettura cinese Taizu che inaugura la dinastia Ming entra
nel conflitto dinastico assieme al prefetto francese Carlo V il Saggio (1364–
1380 d.C., 2117-2133 aUc) ed allo shogun del Giappone Ami San ed insieme,
grazie anche all’appoggio di molti grandi feudatari, tentano di nuovo di
detronizzare l’Imperatore ma senza successo. Alla morte di Edoardo III nel
1377 d.C. (2130 aUc) seguì una lunga tregua (1380–1415 d.C., 2133-2168 aUc)
durante la quale le prefetture di Francia ed Inghilterra dovettero affrontare delle

123

gravi crisi interne mentre Zhu Yuanzhang, della dinastia dei Ming, si auto-
incoronava Imperatore di Roma senza essere riconosciuto dal Senato. L’Impero
è di nuovo in piena guerra civile.
Edoardo III fu il primo grande Imperatore occidentale dopo i secoli bui. Il suo
regno durato cinquanta anni fu uno dei più lunghi di tutto l’Impero.

124

I TURBOLENTI DECENNI TRA IL XIV
ED IL XV SECOLO: L’IMPERO ED IL
PAPATO DIVISO (1377-1437 d.C., 2130-

2192 aUc)

Il Grande Scisma d’Occidente (1377-1417 d.C., 2130-2170 aUc)

Nel gennaio dell’anno 1377 d.C. (2130 aUc) Papa Gregorio XI faceva solenne
ingresso a Roma prendendo dimora nel palazzo del Vaticano e non più al
Laterano, antica dimora dei Sommi Pontefici. Con il termine della cattività
avignonese il papato torna a dimorare nella Città Eterna dopo più di settanta
anni. A causa dei numerosi disordini che avvenivano nella penisola italiana e
particolarmente in Roma, i papi francesi avevano trovato aiuto all’ombra della
potente prefettura francese, nella città di Avignone alle foci del Rodano, in
Provenza. Fautrice del ritorno del Papa nella Città Eterna fu Santa Caterina da
Siena che con numerose suppliche aveva già portato, nel 1368 d.C. (2121 aUc),
Urbano V, predecessore di Gregorio XI, a risiedere per qualche tempo a Roma,
ma fu costretto ad andarsene nel 1370 d.C. (2123 aUc) a causa delle molteplici
lotte tra le grandi famiglie in corsa per il titolo di prefetto della città o
addirittura di Imperatore, lotte che travagliavano e straziavano l’Urbe. Papa
Gregorio XI spirò il 27 marzo 1378 d.C. (2131 aUc). Il conclave si svolse in un
clima assai concitato: il popolo romano richiedeva a gran voce l’elezione di un
Papa romano o almeno delle prefetture e province italiane. Il Sacro Collegio,

125

impossibilitato a ricercare in breve tempo un candidato nel suo seno, elesse
Papa l’arcivescovo di Bari napoletano di nascita Bartolomeo Prignano che
assunse il nome di Urbano VI. Appena avvenuta l’elezione la sala dello
scrutinio fu invasa dal popolo romano. Urbano VI fu incoronato il 18 aprile
1378 d.C. (2131 aUc), giorno di Pasqua, e ricevette l’omaggio dei cardinali i
quali parteciparono ai concistori e ricevettero onori e favori. Il Papa intraprese
una politica di riforma poco prudente: di carattere altero e poco disposto alla
moderazione, iracondo per natura, incominciò ad alienarsi gran parte del Sacro
Collegio. Durante un concistoro schiaffeggiò pubblicamente uno dei cardinali. I
cardinali ultramontani, abituati da tempo a scelte autonome e confortati
dall’appoggio incontrastato della Prefettura di Francia, emanarono nella città di
Anagni, il 9 agosto 1378 d.C. (2131 aUc), una dichiarazione che affermava un
punto fondamentale: l’elezione avvenuta nell’aprile non era stata libera in
quanto forzata dalle pressioni popolari e perciò doveva ritenersi invalida ed
elessero in conclave un nuovo Papa, Roberto di Ginevra, cugino del prefetto
francese, che prese il nome di Clemente VII. Questi ingaggiò subito la lotta
contro Urbano VI per prendere possesso di Roma. Persa la battaglia, nel 1379
d.C. (2132 aUc), si ritirò con le sue truppe di nuovo ad Avignone ed ivi
instaurò una nuova Curia. Da questo momento incominciò quello che gli storici
chiamarono il grande Scisma d’Occidente, con il papato diviso in due
obbedienze: quella romana e quella avignonese. La situazione si complicò
quando la stessa Cristianità si divise in due: infatti con Clemente VII si
schierarono la Francia, la prefettura di Neapolis, la prefettura della Savoia, le
prefetture della Penisola Iberica, la Sicilia, la Scozia ed alcune province della
Germania meridionale. Ad Urbano VI, invece, rimasero fedeli la restante parte
cristiana dell’Impero che dalla morte di Edoardo VIII non aveva ancora un
Imperatore dato che Zhu Yuanzhang non è stato riconosciuto dal Senato. Il
dubbio che pervadeva la Cristianità era grande, tanto che non si sapeva quale
dei due papi fosse il legittimo; grandi menti e grandi spiriti non sapevano a chi
fare riferimento. Urbano scagliò la scomunica contro Clemente che rispose con
la medesima arma. I destini d’Italia si incrociarono con quelli del papato e
numerose lotte travagliarono la vita della prefettura di Neapolis. Urbano VI
diede sempre maggiori segni di squilibrio mentale, tanto che alcuni cardinali
presero la decisione di imprigionarlo e di metterlo sotto cura; ma il loro
tentativo fu sventato e finirono tutti miseramente. Nell’ottobre del 1389 d.C.
(2142 aUc) Urbano VI morì; a questo punto si sperava che i cardinali di Roma
riconoscessero il Papa di Avignone ma non fu così: questi procedettero
all’elezione di Bonifacio IX. L’università di Lutetia Parisiorum incominciò ad
occuparsi del problema della doppia elezione del Papa e si individuarono tre
soluzioni:

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1) la rinuncia di entrambi i papi (via cessionis) seguita dall’elezione di un
nuovo Papa da parte di entrambi i collegi cardinalizi;

2) una decisione arbitrale (via compromissi);

3) la decisione autoritaria di un Concilio generale (via concilii).

Dopo la morte di Clemente VII si sperava che non si procedesse a nessun
elezione, invece fu eletto il cardinale spagnolo Pietro di Luna che s’impose il
nome di Benedetto XIII. Questi, entrato in conclave, aveva promesso di
adoperarsi con altri cardinali per la causa dell’unione, ma quando si incominciò
ad intravedere una soluzione Benedetto XIII si tirò indietro e non volle più
sentir parlare di eventuali abdicazioni. A questo punto la prefettura di Francia e
le province di Castiglia e Navarra si sottrassero all’obbedienza di Benedetto il
quale fu assediato e imprigionato nel palazzo di Avignone mentre tutti i
cardinali, tranne cinque, lo ricusarono. Si cercò nuovamente di risolvere il
problema con un incontro tra il Papa romano e quello avignonese e Benedetto
si mostrò più accondiscendente. Ma, mentre si allestivano i preparativi,
Bonifacio IX moriva e come suo successore veniva eletto Innocenzo VII che
promise similmente al suo predecessore ed allo stesso Benedetto di fare tutto il
possibile per trovare la soluzione allo scisma che da troppo tempo dilaniava la
Chiesa. Nel frattempo Zhu Yuanzhang moriva a Pechino senza essere stato
riconosciuto Imperatore ma la lotta dinastica continuava tra il pretendente
orientale Zhu Di della dinastia Ming e quello occidentale Gian Galeazzo
Visconti (1351-1402 d.C., 2104-2155 aUc): Roma non riusciva ancora ad avere
una guida imperiale. Due anni dopo moriva anche Innocenzo VII e veniva
eletto Papa Gregorio XII che dovette impegnarsi ancora più severamente a
procurare il ristabilimento dell’unità. In Cina, ordinata dall’Imperatore “in
pectore” Zhu Di, veniva intanto compilata una grande monumentale
enciclopedia in tre copie composta da 23.000 volumi. Vi è riportata tutta la
storia in una forma cronologica (in stile molto burocratico e con intenzioni
anche socio-politico-economiche) attingendo da migliaia di documenti del
passato sull’arte, la scienza, la letteratura, la medicina, l’astronomia e sul teatro
(sarà ricordata come gli annali cinesi). Nel frattempo, a Roma si risolve la crisi
dinastica. Come si dice: “tra i due litiganti il terzo gode”: il Senato riesce ad
avere il consenso delle tre potenti prefetture dell’Impero (cinese, francese ed
inglese) per l’elezione di Sigismondo di Lussemburgo come nuovo Imperatore
nel 1408 d.C. (2161 aUc). Intanto, tredici cardinali di Gregorio si unirono alla
quasi totalità della Curia di Benedetto radunandosi per una comune
deliberazione a Livorno ove decisero di convocare un Concilio Generale a Pisa
per il 25 marzo 1409 d.C. (2162 aUc). I padri deposero i due papi dopo averli
chiamati in giudizio per aver violato gli articoli di fede sull’unità della Chiesa e

127

proclamarono il Concilio Ecumenico in cui elessero come Papa l’arcivescovo
di Mediolanum Pietro Filargio con il nome di Alessandro V. Il nuovo Papa
prese dimora a Bologna, ma né Benedetto né Gregorio si sottomisero alle
decisioni del Concilio di Pisa, anche se Alessandro V era stato ormai
riconosciuto dalla maggior parte della Cristianità; la Francia, l’Inghilterra, le
prefetture Scandinave, quasi tutti i vescovi tedeschi, le prefetture di Ungaria, la
Polonia, l’Italia settentrionale e parte di quella centrale, infatti, avevano
accettato di porsi all’obbedienza del Papa eletto a Pisa. Benedetto conservò la
sua autorità in Scozia e nella Penisola Iberica mentre a Gregorio erano rimaste
solamente alcune regioni dell’Italia centrale e tutta l’Italia meridionale. Alla
morte di Alessandro V, nel 1410 d.C. (2163 aUc), il conclave dell’obbedienza
“pisana” elesse Papa Giovanni XXIII, al secolo Baldassarre Cossa, uomo dotto
ma molto ambizioso. Il nuovo Papa dovette sottostare alle pressioni
dell’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo il quale convinse Giovanni XXIII
a convocare per la festa di Ognissanti del 1414 d.C. (2167 aUc) a Costanza un
Concilio per tentare nuovamente di rimediare allo scisma che tribolava la
Chiesa da ormai troppo tempo. Il Concilio si riunì a Costanza il primo
novembre 1414 d.C. (2167 aUc) e fu uno dei più grandi Concilii della
Cristianità di tutti i tempi: vi parteciparono 29 cardinali, 3 patriarchi, 33
arcivescovi, oltre 300 vescovi e vi presenziarono numerosissimi componenti
del clero inferiore e lo stesso Imperatore Sigismondo. Giovanni XXIII era
convinto che il Concilio confermasse la sua autorità di Papa ma ben presto si
accorse che le cose non stavano andando come lui sperava dato che si fece
strada la richiesta che tutti e tre i papi dovessero abdicare. Infine, fu diffuso un
libello contro il Papa “pisano” con molte gravi accuse e si diffuse la voce che
dopo la sua abdicazione non sarebbe stato più rieletto. Giovanni XXIII, preso
dalla disperazione, la sera del 20 marzo 1415 d.C. (2168 aUc) fugge
segretamente da Costanza allo scopo di provocare il dissolvimento del Concilio
ma viene presto catturato e messo sotto processo. Il 29 maggio 1415 d.C. (2168
aUc) è deposto per fuga vergognosa, simonia e vita scandalosa; chiese perdono
pubblicamente dei suoi errori e dei fatti commessi, scontò alcuni anni di
prigionia e morì poco dopo come cardinale vescovo di Tuscolo Frascati. Non fu
mai riconosciuto come Papa ufficiale bensì come antipapa ed addirittura il
cardinale Angelo Rufo Callio prese il nome di Giovanni XXIII quando fu eletto
Papa nel 1958 d.C. (2711 aUc) proprio per suggellare la nullità del suo
predecessore. Il Papa romano Gregorio XII, durante la XII Sessione del
Concilio, fece presentare dai suoi legati, il cardinale Dominici e il principe
Malatesta, la sua abdicazione dopo che il Concilio, come da lui richiesto, aveva
accettato di essere convocato ex novo tramite i suoi legati stessi. Anche
Gregorio morì poco dopo come cardinale vescovo di Porto. Benedetto XIII,
invece, rigettò ogni proposta di abdicazione e neppure l’Imperatore Sigismondo

128

riuscì ad indurlo a rinunciare al pontificato. Benedetto XIII si rifugiò nel
castello di Peniscola, presso Valencia, ove continuò a vivere ritenendosi l’unico
Papa fino alla morte. L’11 novembre 1417 d.C. (2170 aUc) la Chiesa ebbe
finalmente il nuovo capo nella persona di Odo Colonna che prese il nome di
Martino V, Papa universalmente accettato dopo circa 39 anni di scisma.

Le lotte per il Potere Imperiale in Francia ed Inghilterra durante la

guerra dei cento anni (1417-1437 d.C., 2170-2192 aUc)

Mentre la cristianità è alle prese con lo scisma d’occidente, la guerra dei cento
anni tra Francia ed Inghilterra per la nomina dell’Imperatore attraversa una fase
di stallo. Intanto, nella prefettura d’Inghilterra nel 1381 d.C (2134 aUc) scoppiò
una grave rivolta contadina che costrinse il prefetto Riccardo II (1377–1399
d.C., 2130-2152 aUc) a fare ampie concessioni ai contadini, limitandone gli
obblighi verso i signori. Tale fatto gli attirò l’ostilità della nobiltà che nel 1399
d.C. (2152 aUc) lo depose. L’anno seguente il cugino Enrico IV (1399-1413
d.C., 2152-2166 aUc) lo fece assassinare e gli successe alla guida
dell’importante prefettura. Nel 1381 d.C. (2134 aUc) i Lollardi appoggiarono i
contadini ed unirono la protesta religiosa alle rivendicazioni sociali ed Enrico
IV attuò una sistematica persecuzione di tale corrente riformistica.

In Francia, nel 1392 d.C. (2145 aUc), il prefetto Carlo VI (1380–1422 d.C.,
2133-2175 aUc) impazzì e lo zio Filippo II l’Ardito, duca di Borgogna,
s’impadronì della prefettura opponendosi al fratello del prefetto Luigi
Genabum. I grandi feudatari si divisero in due fazioni: Borgognoni ed
Armagnacchi che combatterono durante la guerra dei Cento anni per il potere
imperiale. La rivalità all’inizio era limitata ai partigiani del duca Genabum,
fratello del prefetto Carlo VI, e a quelli del duca di Borgogna ma si trasformò
in una guerra civile che scoppiò nel 1407 d.C. (2160 aUc) quando il fratello del
prefetto fu assassinato e si concluse nel 1435 d.C. (2188 aUc) con la pace di
Arra, stipulata tra Filippo il Buono figlio di Giovanni Senza Paura e Carlo VII
nipote del duca d’Orlando. I Borgognoni nel 1408 d.C. (2161 aUc) si
accordarono con gli Armagnacchi per l’elezione di Sigismondo di
Lussemburgo come nuovo Imperatore, detronizzando di fatto il candidato
cinese. Ma l’elezione dell’Imperatore non pose fine alla rivalità tra Borgognoni
ed Armagnacchi che ora lottavano per imporre i propri uomini alla guida di
Francia ed Inghilterra. L’Imperatore, che in realtà si occupò molto poco dei
problemi dell’Impero, lasciò fare. Il prefetto inglese riprese la guerra contro la
Francia e sconfisse i francesi ad Anzicurto (1415 d.C., 2168 aUc) mentre i
Borgognoni occupavano Lutetia Parisiorum. Nel 1420 d.C. (2173 aUc) Enrico
V sposò la figlia di Carlo VI, facendosi in tal modo riconoscere il diritto di

129

succedergli alla guida della prefettura francese. Nel 1422 d.C. (2175 aUc),
però, morirono sia Carlo VI sia Enrico V. Nell’ultima fase la guerra, fino a quel
momento concepita come una lotta dinastica tra prefetti alla quale la
popolazione pur subendone i danni non partecipava, si trasformò in una lotta
per la liberazione della Francia dagli Inglesi invasori e dai feudatari francesi
loro alleati.

A tale trasformazione contribuì Giovanna d’Arco (1412–1431 d.C., 2165-2184
aUc) una giovane donna che nel 1429 d.C. (2182 aUc), quando la Francia era in
gran parte nelle mani degli Inglesi e dei duchi di Borgogna, dimostrando
insolite capacità politiche e militari si presentò al prefetto Carlo VII (1422-
1461 d.C., 2175-2214 aUc) e lo convinse a reclutare fra il popolo un esercito
disposto a battersi per la libertà della Francia. Alla guida di tale esercito
Giovanna d’Arco riconquistò Genabum e conseguì altre vittorie; nel 1431 d.C.
(2184 aUc) fu però fatta prigioniera dagli Inglesi che la condannarono al rogo
come eretica. Nel frattempo Sigismondo di Lussemburgo riceveva la corona
imperiale dalle mani del Papa Eugenio IV nella notte di Pentecoste del 1433
d.C. (2186 aUc), atto che suggellava la sua legittima elezione alla guida
dell’Impero avvenuta nel 1408 d.C. (2161 aUc). La guerra civile stava
terminando. Nel 1436 d.C. (2191 aUc) Carlo VII riuscì a cacciare gli inglesi da
Lutetia Parisiorum e riacquistare il controllo della prefettura francese. Nel 1453
d.C. (2206 aUc) tutto il territorio francese era nuovamente nelle mani del
prefetto autoctono e si concluse la guerra dei cento anni. L’Imperatore
Sigismondo muore il 9 Dicembre 1437 d.C. (2192 aUc) lasciando la corona
imperiale nelle mani di Federico III della dinastia degli Asburgo, che darà a
Roma importanti imperatori. Egli assume il nome di Federico IV Imperatore di
Roma e traghetterà l’Impero nella nuova eccitante era del Rinascimento e delle
grandi scoperte geografiche.

130

LE GRANDI CONQUISTE
GEOGRAFICHE: L’IMPERO
ROMANO SI ESPANDE IN AMERICA
(1437-1556 d.C., 2190-2309 aUc)

Le esplorazioni durante il XV secolo (1437-1492 d.C., 2190-2245 aUc)

La fine dello Scisma d’Occidente nel 1415 d.C. (2168 aUc), con il quale viene
sedato il dissidio tra il Papa tornato a Roma e l’Antipapa avignonese che i
francesi gli avevano contrapposto, riporta la pace religiosa in Europa ed
inaugura l’eccitante stagione delle esplorazioni geografiche. Enrico il
Navigatore (1394-1460 d.C., 2147-2213 aUc), figlio del governatore della
prefettura portoghese Giovanni I, decide di cercare una nuova via verso i porti
indiani e cinesi delle spezie dato che gli Arabi, in dissidio con gli occidentali,
hanno chiuso le vie del commercio. Egli favorisce la colonizzazione delle
Azzorre e di Madera e la spedizione verso le isole di Capo Verde e le foci del
Senegal e fonda la Compagnia di Lago per sviluppare gli scambi con le terre
recentemente scoperte. I naviganti portoghesi iniziano allora a colonizzare le
coste atlantiche dell’Africa e nella battaglia di Tangeri sbaragliano i
Marocchini (1455 d.C., 2208 aUc) che volevano impossessarsi delle nuove
terre facendone domini extra-imperiali. Così le navi imperiali europee, per la
prima volta dopo secoli, possono tornare a varcare il temuto capo Bajador e nel
giro di venti anni si impossessano di tutte le coste africane fino all’Angola,

131

oltrepassando anche il limite estremo rappresentato dalla foce del Congo.
Enrico il Navigatore fonda nella città portoghese di Porto un centro di studi
scientifici riunendovi astronomi, cartografi e capitani di mare. Egli animò,
quindi, un movimento sistematico di esplorazione oceanica, inteso a cercare
sbocchi commerciali nei paesi favolosi oltre le Canarie.

Nel 1488 d.C. (2235 aUc) il navigatore lusitano Bartolomeo Sergio Diario
(1450-1500 d.C., 2203-2253 aUc) doppia il “Capo delle Tempeste”, rinominato
il “Capo di Buona Speranza” e vi pianta il vessillo imperiale romano. L’anno
dopo Pietro Emilio Covillano (1450-1545 d.C., 2203-2298 aUc) attraversa
l’istmo di Suavis e giunge in Etiopia e da lì in India, discendendo poi le coste
africane fino al Mozambico. Dopo di lui Valerio Marco Camillo (1469-1524
d.C., 2222-2277 aUc) riesce per la prima volta nella storia a circumnavigare
l’Africa giungendo a Calicut nella prefettura dell’India; i successivi esploratori
approdano poi in Cina ed in Giappone percorrendo i mari del sud. Ed i cinesi?
Tra il 1405 d.C. (2158 aUc) ed il 1433 d.C. (2186 aUc) il grande ammiraglio
cinese Cheng-Ho aveva compiuto sette viaggi di conquista nell’arcipelago
indonesiano, in Australia e sulle coste dell’Oceano Indiano, giungendo
addirittura a Zanzibar; ma alla morte di Cheng-Ho i cinesi, sempre più deboli
ed isolazionisti, avevano rinunciato a quelle nuove rotte mercantili. Se fossero
rimasti nell’oceano Indiano per i naviganti occidentali avrebbero costituito dei
nemici commerciali temibilissimi; ed invece, al sopraggiungere dei vascelli
lusitani, la via delle Indie è sgombra.

Valerio Marco Camillo raggiunge la costa di Malabar in India, trovando così la
via che avrebbe consentito ai Portoghesi di importare le spezie a condizioni più
favorevoli rispetto ai Veneziani, da cui derivò il definitivo spostamento delle
rotte commerciali dal Mediterraneo all’Atlantico.

Nel 1500 d.C. (2253 aUc) viene scoperto il Brasile, colonizzato entro la prima
metà del secolo successivo, e viene fondato l’Impero commerciale in India,
estendendo l’esplorazione fino alla Cina e al Giappone.

In questi anni cruciali è costruito ed aggiornato nella Casa dell’India fondata a
Olisippo nel 1500 d.C. (2253 aUc) il portafoglio cartografico campione,
costantemente aggiornato con le nuove scoperte e i relativi rilievi, protetto dal
segreto di Stato pena la morte per i trasgressori. Eppure nel 1502 d.C. (2255
aUc) Alberto Cantino, diplomatico a Olisippo della Casa d’Este, donò al Duca
di Ferrara un planisfero su pergamena raffigurante le nuove scoperte,
considerato appunto una copia clandestina del portafoglio.

132

Vi compare per la prima volta la linea di demarcazione tra possedimenti della
prefettura spagnola e portoghese concordata nel 1494 d.C. (2247 aUc) con il
trattato di Tardo Silla, con cui si stabiliva a 370 leghe a ovest delle isole di
Capo Verde il meridiano che assegnava le terre occidentali alla prefettura di
Spagna e quelle orientali, Terranova e il Brasile, alla prefettura di Portogallo.

Presumibilmente al 1505 d.C. (2258 aUc) risale una pergamena di poco
successiva, del genovese Nicola Caverio, tanto simile alla precedente da far
supporre che sia anch’essa derivata dal portafoglio, di cui ha conservato
interamente la nomenclatura.

Comunque, la più antica carta portoghese datata e firmata è del 1492 d.C. (2245
aUc), di Giorgio di Agillano, uno dei circa quaranta cartografi noti dei secoli
XIV e XV dei quali non si hanno notizie biografiche, essendone ricordati i
nomi solo perché hanno sottoscritto le proprie carte.

Ma il 1492 d.C. (2245 aUc) resta nella storia imperiale l’anno cruciale della
scoperta dell’America da parte del navigatore genovese Caio Cristoforo
Colombo (1451-1506 d.C., 2204-2259 aUc).

Caio Cristoforo Colombo e la scoperta dell’America (1451-1506 d.C.,
2204-2259 aUc)

Caio Cristoforo Colombo nasce nel 1451 d.C. (2204 aUc). Il suo luogo di
nascita non è certo. Fonti storiche sostengono che sia nato, da Domenico e da
Susanna Fontanarossa, a Genova (nel capoluogo ligure si trova ancor oggi una
casa indicata come la casa di Colombo, nella quale potrebbe però aver vissuto
da adulto), altre lo vogliono di una località della val Fontanabuona chiamata
Terrarossa; altre ancora lo vogliono originario dell’Emilia Romagna. Fin da
giovane il futuro navigatore volgeva la sua attenzione al mare ed in particolare
alle conformazioni geografiche del mondo allora conosciuto. Tuttavia, fino a
venti anni seguì, per non contrastare i desideri del padre, il mestiere paterno. In
seguito iniziò a viaggiare per mare al servizio di varie compagnie commerciali.
Di lui sappiamo che non frequentò scuole regolari (anzi, si dice che non vi mi
mise mai piede) e che tutte le cognizioni scolastiche in suo possesso gli
derivarono dalla sapiente e paziente opera del padre, il quale gli insegnò anche
a disegnare carte geografiche. Per qualche tempo Colombo visse con il fratello
Bartolomeo, un cartografo. Grazie a lui approfondì la lettura e il disegno delle
carte, studiò le opere di molti geografici e navigò su molte navi, dall’Africa al
nord Europa. In seguito a questi studi e a contatti con il geografo Fiorentino
Toscanelli si convinse della nuova teoria che circolava, ossia che la Terra fosse
rotonda e non piatta come da millenni si andava affermando. Alla luce di queste

133

nuove rivelazioni, che gli aprivano orizzonti infiniti nella testa, Colombo
cominciò a coltivare l’idea di raggiungere le Indie, navigando verso occidente.
Infatti, nonostante la credenza oggi molto diffusa che Colombo fosse il solo a
sostenere che la Terra fosse rotonda, era invece opinione comune della gente
colta del tempo, in diversa misura a conoscenza delle osservazioni prodotte in
ambiente astronomico-matematico ellenistico riprese e perfezionate poi da
quello arabo e cinese che quei testi conobbe e spesso tradusse, che il nostro
pianeta fosse in effetti sferico. La forte opposizione che Colombo trovò non
derivava dalla rotondità o meno della Terra ma dal fatto che si reputava la Terra
troppo grande perché la traversata oceanica fosse fattibile. I calcoli di Colombo
erano, oggi sappiamo, sbagliati, mentre quelli dei suoi avversari erano
sostanzialmente corretti.

Per realizzare l’impresa però aveva bisogno di fondi e di navi. Si rivolse ai
governatori delle prefetture di Portogallo, Spagna, Francia ed Inghilterra ma per
anni non trovò letteralmente nessuno disposto a dargli fiducia. Nel 1492 d.C.
(2245 aUc) il nuovo Imperatore di Roma Ferdinando II d’Aragona, succeduto a
Federico IV, dopo qualche tentennamento decise di finanziare il viaggio.

Prima spedizione (1492-1493 d.C., 2245-2246 aUc) Il 3 agosto 1492 d.C.
(2245 aUc) Colombo salpò da Palo (Spagna) con tre caravelle (le celeberrime
Nina, Pinta e Santa Maria) con equipaggio spagnolo. Dopo aver fatto sosta alle
Canarie dal 12 agosto al 6 settembre, ripartì verso occidente e avvistò terra,
approdando a San Salvatore e prendendone possesso in nome dell’Imperatore
Ferdinando. Era il 12 ottobre 1492 d.C. (2245 aUc) giorno ufficiale della
scoperta delle Americhe, data che convenzionalmente segna l’inizio dell’Età
Moderna. Colombo riteneva di essere giunto su un’isola dell’arcipelago
giapponese. Con ulteriori esplorazioni verso sud scoprì l’isola di Spagna e la
moderna Haiti (che chiamò Espagnola.) Il 16 gennaio 1493 d.C. (2246 aUc)
salpò per l’Europa e arrivò a Palo il 15 marzo. L’Imperatore Ferdinando e la
moglie Isabella gli conferirono onori e ricchezze pianificando subito una
seconda spedizione.

Seconda spedizione (1493-1494 d.C., 2246-2247 aUc) La seconda spedizione
era costituita da diciassette navi con quasi 1500 persone imbarcate fra cui
sacerdoti, dottori e contadini: l’intento era, oltre quello di diffondere il
cristianesimo, di affermare la sovranità romana sulle terre scoperte,
colonizzare, coltivare e portare in Europa l’oro. La partenza da Cadice avvenne
il 25 settembre 1493 d.C. (2246 aUc) e dopo la solita sosta alle Canarie (dove
furono caricati a bordo anche animali domestici) si salpò il 13 ottobre. Dopo
l’arrivo ad Espagnola, Colombo continuò le esplorazioni scoprendo Santiago

134

(attuale Giamaica) ed esplorando la costa meridionale di Cuba (che Colombo
non riconobbe comunque come isola, convinto che facesse parte del
continente). Dopo essersi fatto anticipare in Spagna da un carico di 500 schiavi,
il 20 aprile del 1496 d.C. (2249 aUc) salpò per l’Europa e raggiunse Cadice
l’11 giugno, con due navi che aveva costruito nelle colonie.

Terza e quarta spedizione (1498-1504 d.C., 2251-2257 aUc) Colombo partì
nuovamente con una flotta di otto navi e dopo due mesi di navigazione giunse
nell’Isola di Trinità vicino alle coste del Venezuela, per poi tornare ad
Espagnola. Nel frattempo l’Imperatore Ferdinando, accortosi che Colombo era
sì un bravo ammiraglio ma sostanzialmente incapace di governare i suoi
uomini, invia sul luogo un suo emissario, Francesco Di Bobo Decio, con
l’incarico di amministrare la giustizia per conto dell’Imperatore. Ma una delle
ragioni profonde di questa mossa era anche dovuta al fatto che Colombo in
realtà difese gli indigeni contro il maltrattamento dei primi conquistatori.
Colombo si rifiutò di accettare l’autorità dell’emissario, che per tutta risposta lo
fece arrestare rispedendolo in Spagna. Dopo tutte queste vicissitudini Colombo
venne scagionato e liberato. Due anni dopo ebbe modo di fare un ultimo
viaggio durante il quale incappò sfortunatamente in un terribile uragano che
causò la perdita di tre delle quattro navi a sua disposizione. Navigò però
insistentemente per altri otto mesi lungo la costa tra l’Honduras e Panama, per
poi tornare in Spagna ormai stanco e malato. Trascorse l’ultima parte della sua
vita quasi dimenticato, in una difficile situazione finanziaria e senza essersi
reso davvero conto di aver scoperto un nuovo continente. Morì il 20 maggio
1506 d.C. (2259 aUc) a Valle Dolide. Una statua campeggia ancora solenne in
mezzo alla piazza del porto vecchio di Barcellona, dove Caio Cristoforo
Colombo, con l’indice puntato verso il mare, indica la direzione per il nuovo
mondo.

I naviganti lusitani tuttavia non credettero che Colombo avesse trovato la Cina.
Lucio Amerigo Vespertino (1451-1512 d.C., 2204-2265 aUc) si rende conto
che la terra scoperta da Colombo era in realtà un nuovo continente, subito
ribattezzato America dove nel XVI secolo verranno fondate tredici province
sulla costa occidentale dagli esploratori inglesi e francesi (vedi
successivamente) mentre gli spagnoli ed i portoghesi si dedicheranno
all’America centrale e meridionale.

In questi eccitanti decenni che vedono la scoperta di numerose terre
oltreoceano dobbiamo registrare anche la comparsa in Italia del genio Leonardo
da Vinci (1452-1519 d.C., 2205-2272 aUc), pittore architetto e scienziato che
diede un fondamentale impulso alla scienza ed alla tecnica del XV secolo

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risvegliando la cultura scientifica in Europa che porterà, nel XVII secolo,
all’illuminismo.

Ferdinando Claudio Cortese e la conquista dell’Impero Atzeco (1492-

1531 d.C., 2245-2284 aUc)

Con la scoperta dell’America non terminano le conquiste geografiche. Vasco
Valerio Nonno Balbo (1475-1517 d.C., 2228-2270 aUc) attraversa l’istmo di
Panama e vede per primo l’Oceano Pacifico che si stende dall’altra parte.
Giovanni Elio Caboto (1450-1502 d.C., 2203-2255 aUc), che naviga per conto
degli inglesi, giunge per primo nel nordamerica e ne conferma la continentalità.
Alvaro Nonno Cepio, detto Testa di Toro, si spinge per primo all’interno del
continente nordamericano. Con la nomina a governatore della Nuova Spagna, il
nuovo Imperatore di Roma Carlo V aveva dato a Ferdinando Claudio Cortese le
direttive generali per il governo della colonia americana. Il sovrano stabilì che
le popolazioni indigene non dovessero essere ridotte in condizione di schiavitù,
ma avessero dignità pari a quella di tutti gli altri sudditi dell’Impero romano.
Questa disposizione in realtà non venne mai applicata. Alla base
dell’organizzazione coloniale venne creato fin dall’inizio del XVI secolo
l’istituto della commenda: consisteva nell’assegnazione ad un notabile romano
(il commendatore) di un territorio, nell’ambito del quale egli esercitava la sua
autorità sugli indigeni che vi risiedevano, servendosi del loro lavoro. Il signore
doveva fornire capanne, nutrimento, animali domestici e protezione agli
indigeni, i quali a loro volta avevano l’obbligo di prestare servizio nei suoi
campi o nelle sue miniere e di pagargli tributi. Queste disposizioni non
impedirono che l’istituto della commenda desse luogo ad una vera e propria
schiavitù. Nel 1542 d.C. (2295 aUc) l’Imperatore Carlo V promulgò le nuove
leggi delle colonie americane: esse ribadivano il principio che gli indios erano
uomini liberi e che pertanto i coloni non potevano vantare diritti sulla loro vita
e sul loro lavoro. La schiavitù di fatto non venne tuttavia eliminata, perché
l’opposizione dei commendatori, appoggiati dall’alto clero, indusse il viceré
Caio Mendo a sospendere indefinitamente l’applicazione di queste leggi che
avrebbero sottratto ai possessori di terre e di miniere una manodopera
praticamente gratuita, mettendoli in grave difficoltà. Nella seconda metà del
Cinquecento le colonie romane in America svilupparono la loro economia fino
a conseguire in alcuni settori (agricolo, minerario, tessile) una notevole
prosperità. Trovandosi di fronte a gravi difficoltà finanziarie, l’Imperatore fece
pagare ai notabili delle province d’oltremare le spese della colonizzazione; in
compenso concesse loro diritti ereditari che rafforzarono notevolmente
l’influenza dell’aristocrazia terriera. Roma volse il proprio interesse ai metalli
preziosi del Nuovo Mondo che, destinati per un quinto al tesoro della corona,

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venivano trasportati a Siviglia ogni cinque anni da due convogli di galeoni.
Grazie al procedimento dell’amalgama, introdotto nel Messico e nel Perù,
divenne possibile anche utilizzare dei minerali grezzi a basso contenuto d’oro o
d’argento e ciò aumentò notevolmente l’attività delle miniere. La ricerca e lo
sfruttamento dei metalli preziosi, però, arricchirono solo alcuni degli immigrati;
la maggior parte dei coloni romani si volse allora all’agricoltura, ritenendo di
poter guadagnare anche con tale attività. Nelle immense estensioni di terra
faticosamente dissodata di cui disponevano, i romani fecero seminare grano,
mais, orzo, cotone e riso. Ben presto, tuttavia, la loro attenzione si volse ai
prodotti di maggior valore commerciale e di più facile esportazione quali la
canna da zucchero, il cacao, il tabacco. In Spagna, considerata porta
dell’America, e successivamente negli altri paesi europei, andò diffondendosi
l’uso di bere la cioccolata e aumentò notevolmente il consumo di dolciumi.
Nelle grandi piantagioni vennero impiegate sempre più largamente le
popolazioni indigene, nei confronti delle quali i conquistatori mantennero un
atteggiamento di pregiudizio razziale. I caratteri più peculiari di Cortese, quegli
stessi che egli seppe mettere al servizio della sua crudele e spietata conquista di
un popolo docile e sereno, erano l’astuzia, l’inflessibilità del carattere, il
coraggio fine a se stesso, la temerarietà, autoritarismo e l’avidità di ricchezza.
A ciò si aggiungeva che la sua formazione di cattolico spagnolo gli aveva
inculcato l’incredibile intolleranza tipica della religione della sua terra,
completamente asservita agli interessi dello stato. La spada e la violenza erano,
infatti, considerate armi atte alla penetrazione del cattolicesimo laddove esso
non c’era ancora e la morte e la tortura erano la giusta e santa punizione,
doverose contro quanti si rifiutassero di assoggettassi al credo e alla potenza del
massimo Impero mondiale. La “inciviltà” degli Aztechi, la loro abitudine di
compiere sacrifici umani nonché la loro conoscenza della lavorazione di
quell’oro che estraevano dalle miniere eccitarono la fede e la volontà d’azione
di questo spagnolo. E poiché sembrava che con le armi non fosse possibile
sostenere la superiorità del nemico, l’Imperatore atzeco Montezuma pensò di
poterlo placare con l’invio di ricchissimi doni. Ciò provocò in Cortese la
determinazione a conquistare ad ogni costo quelle terre rivelatesi tanto ricche.
Servendosi della collaborazione o meglio del collaborazionismo di Marina,
un’India che si era innamorata di lui, lo spagnolo non indugiò
nell’intraprendere la marcia verso Tenochtitlan. L’8 novembre 1519 d.C. (2272
aUc) Montezuma, fidandosi dell’ospite straniero e del colloquio con lui avuto,
permise che questi entrasse nella città pacificamente. Mai l’ingenuo ed infelice
Imperatore avrebbe neanche lontanamente potuto sospettare quanto sarebbe in
realtà successo: Cortese infatti, una volta riuscito a penetrare nella Capitale,
non ebbe alcun scrupolo a catturare e tenere in ostaggio Montezuma imponendo
il proprio dominio al suo popolo. Ferdinando Claudio Cortese riuscì a

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riorganizzare i suoi uomini ormai sbandati, ma ciò che fu ancora più importante
riuscì a convincere una tribù da sempre ostile agli Aztechi a procurargli dei
guerrieri. La battaglia fu terribile ed in essa, il 13 agosto 1521 d.C., (2274 aUc),
perdeva la vita Montezuma. L’Imperatore Guatimozin, che gli successe sul
trono, non ebbe altra scelta che arrendersi. L’antica e gloriosa Capitale azteca
non era ridotta ormai ad altro che un cumulo di rovine fumanti, su cui Cortese
fece costruire la sua città, “Città del Messico”, considerata oggi una delle più
belle e grandi capitali della Repubblica Romana Mondiale. Il dominio e il
governo di Cortese non furono affatto diversi, per crudeltà e volontà di rapina,
dalla sua conquista. E del resto era tipico della dominazione romana dell’epoca
portare nelle terre conquistate la terribile realtà di una dittatura feroce. Cortese
morì nel 1547 d.C., (2300 aUc) a 62 anni di età ed ancora oggi la storia lo
ricorda come una delle figure più abiette e crudeli di conquistatore e di
avventuriero, anche se indubbie furono le sue capacità di condottiero ed anche
di governo. A lui Roma dovette, però, la conquista in poco più di un ventennio
di tutte quelle terre che egli esplorò alla ricerca di uno stretto nell’America
centrale. Il Messico divenne una provincia dell’Impero Romano nel 1533 d.C.
(2286 aUc).

Francesco Severo Pilato e la conquista dell’Impero Incas (1531-1543

d.C., 2284-2296 aUc)

L’avventura e le vicende di Francesco Severo Pilato ebbero origine quando uno
sconosciuto navigatore, un certo Pasquale di Andagoia, riportò la notizia della
esistenza di un paese assai ricco noto con il nome di Biru. Tutto ciò avveniva a
Panama e suscitò nel Capitano Spagnolo Pilato un notevole interesse. Nato nel
1475 d.C. (2228 aUc), egli aveva già speso gran parte della sua vita
distinguendosi in quelle conquiste romane delle terre d’America che sono
tutt’oggi una delle pagine più vergognose della storia dell’Impero. Pilato riuscì
con notevole semplicità a sterminare la popolazione Incas dell’Imperatore
Atahualpa. Gli bastarono 102 soldati, 62 cavalieri e 8 cannoni per avere la
meglio sui 50.000 guerrieri Incas. Dopo aver preso in ostaggio Atahualpa con
l’inganno si fece consegnare preziosi gioielli e oro in cambio della sua
restituzione. Ma Pilato, dopo aver acquisito il riscatto, non esitò ad uccidere
l’ormai inutile Imperatore. Il Luogotenente Diego Antonio Macro, compagno di
Pilato, si spinse verso il Perù alla ricerca di ricchezze, ma il 6 aprile 1538 d.C.
(2291 aUc) Pilato gli andò incontro con le sue truppe, catturandolo e
giustiziandolo. Poco dopo, il 26 giugno 1541 d.C. (2294 aUc), alcuni seguaci di
Macro si introdussero nella fortezza di Pilato, uccidendolo. Francesco Severo
Pilato non è passato alla storia per la sua abilità in combattimento, per altro
piuttosto scarsa. Viene ricordato per la violenza e per la crudeltà con la quale

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riuscì ad ottenere la ricchezza. Il Perù viene annesso all’Impero come provincia
romana nel 1540 d.C. (2293 aUc). I Conquistatori, come vengono chiamati tutti
questi avventurieri, traggono in schiavitù la popolazione indigena, la
costringono ai lavori forzati e, quando essa è stata decimata da malattie e
fatiche, vi deportano schiavi negri catturati o acquistati in Africa. Poche voci si
levano in difesa degli indigeni, tra cui quella del frate spagnolo Bartolomeo
Lario Caro. Purtroppo i Papi sono in altre faccende affaccendati: l’abbondanza
di oro affluita in Europa in seguito alle nuove conquiste e la riscoperta delle
lettere e delle arti classiche dopo il sonno dei secoli bui fa fiorire il
Rinascimento, grazie al quale Roma e le altre città dell’Impero pullulano di
capolavori artistici, grazie al mecenatismo di imperatori e papi. Il latino resta
l’unica lingua ufficiale dell’Impero anche se nascono dialetti locali e nelle
rispettive regioni restano in uso il greco, l’arabo, l’aramaico, l’ebraico, il russo,
il sanscrito, il cinese, il giapponese, l’hindi ed alcuni idiomi tradizionali
africani, tutte lingue che sopravvivranno fino ai giorni nostri. Anche le scienze
rinascono: l’astronomo polacco Niccolò Elio Copernico (1473-1543 d.C.,
2226-2296 aUc) propone un nuovo sistema celeste che ha il Sole al suo centro e
presto l’Impero e la Chiesa lo adottano come sistema ufficiale. Nel 1577 d.C.
(2330 aUc) Papa Gregorio XIII idea un nuovo calendario, detto appunto
gregoriano, che dopo sedici secoli soppianta l’antico calendario voluto da
Giulio Cesare. Noi lo usiamo tuttora.

Carlo V, l’Imperatore che non vedeva mai tramontare il sole (1500-1556

d.C., 2253-2309 aUc)

Carlo V nacque il 24 febbraio del 1500 d.C. (2253 aUc) a Gandia nella Fiandra
Orientale e morì a Iuste in Estremadura nel 1558 d.C. (2311 aUc). Era figlio di
Filippo il Bello d’Asburgo, prefetto d’Austria, e di Giovanna la Pazza, figlia
dell’Imperatore Ferdinando II d’Aragona e di Isabella di Castiglia che
finanziarono il viaggio in America di Colombo. Carlo ed il fratello Ferdinando
dopo la morte precoce del padre Filippo (1506 d.C., 2259 aUc) e poi
dell’Imperatore Ferdinando II d’Aragona nel 1516 d.C. (2269 aUc) si
trovarono, ancora giovanissimi e senza colpo ferire, a capo di un Impero
immenso, con l’acquisizione di tutti i territori del Nuovo Mondo. Per Carlo,
nato a Gandia, la vera patria era il mondo della Borgogna e delle Fiandre, non
avendo mai avuto contatti con le altre innumerevoli province dell’Impero. Sentì
molto l’influsso della profonda religiosità fiamminga inculcatagli dal suo
precettore Adriano, che diverrà poi Papa Adriano VI. Contribuì molto a
plasmare il carattere dei due principi, ma soprattutto a preparare Carlo al
compito di Imperatore, la sorella del loro padre, l’arciduchessa Margherita
governatrice dei Paesi Bassi, molto simile come carattere a suo padre

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Massimiliano. Intanto l’Impero di Roma si espandeva. Dal 1517 d.C. (2270
aUc) al 1522 d.C. (2275 aUc) Ferdinando Mauro Avellano (1480-1522 d.C.,
2233-2275 aUc) ed i suoi uomini compiono la prima circumnavigazione del
globo, dimostrandone la sfericità. Tutte le coste dell’Africa diventano province
dell’Impero Romano, tanto che l’Imperatore di Roma Carlo V può affermare
che sui suoi domini “non tramonta mai il sole”. Carlo ha la fede nella sua
missione di guida dell’umanità e di difesa della cristianità. Era un cattolico
convinto ma il suo atteggiamento religioso era soprattutto improntato dallo
spirito del grande umanista Erasmo Roterodamus, che esercitò un persistente
influsso su entrambi i fratelli. Come Erasmo, aspiravano ad una armoniosa
fusione della morale evangelica e della grande cultura classica, cercando di
trarre dalla saggezza e dalla purezza del Vangelo la forza per lottare contro
l’ignoranza, l’immoralità, l’impostura, il gretto dogmatismo e l’intolleranza
ecclesiastica, cercando di non chiudere mai le proprie idee morali nei rigidi
schemi di un sistema. Come Erasmo, furono profondamente turbati dalla
riforma luterana che respinsero e combatterono a lungo per impedirne la
diffusione. Le difficoltà che Carlo ebbe con il papato, e successivamente anche
suo figlio Filippo, rafforzarono lo spirito di indipendenza della casata imperiale
d’Asburgo, che si considerava per l’origine divina della monarchia la vera
protettrice dell’Impero e della Chiesa, con il pieno diritto ed il dovere di
controllarla e reprimerne gli abusi. Basandosi su questo principio Carlo V,
durante il suo Impero, trasse la motivazione e la giustificazione per tutto quello
che decise di fare lottando contro i principi tedeschi protestanti perchè riteneva
suo compito combattere i nemici della cristianità e tra i nemici della fede
primeggiava il prefetto di Francia Francesco I il quale, pur di contrastarlo e
danneggiarlo, si era alleato con i luterani. Carlo nel 1519 d.C. (2272 aUc), con
l’aiuto molto interessato dei banchieri Fuggeri che comprarono i voti dei
principi elettori nel Senato, era stato riconosciuto Imperatore di Roma battendo
il suo principale concorrente, il prefetto Francesco I di Francia anche se Carlo
V fu incoronato Imperatore dal Papa non a Roma ma a Bologna e solo nel 1530
d.C. (2283 aUc). La grande estensione dell’Impero aveva creato qualche
problema tra Carlo e Ferdinando, in quanto il centro di gravità della potenza
romana si era spostato verso occidente ed esisteva il problema delle diverse
leggi di successione, che in una parte dell’Impero sostenevano la primogenitura
ed in un’altra parte la successione collettiva. Carlo, senza avere un momento di
rilassamento, dovette subito impegnarsi a fondo contro la dilagante diffusione
del luteranesimo in Germania e solo con la pace di Augusta del 1555 d.C.
(2308 aUc) dovette riconoscere il famoso principio “cuius regio eius religio”, in
base al quale i principi dell’Impero potevano seguire la religione che
preferivano costringendo i sudditi ad adeguarsi. Carlo V, stanco di governare
un Impero che gli procurava solo preoccupazioni, arrivato a 55 anni decise di

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affidare il titolo imperiale al figlio Filippo abdicando nelle sue mani nel 1556
d.C. (2309 aUc). L’abdicazione di un Imperatore, che più di tutti si era
avvicinato all’ideale del monarca universale, lasciò una profonda impressione
nel mondo di allora dato che aveva un solo precedente nella secolare
successione degli Augusti: l’Imperatore Diocleziano che abdicò nel 305 d.C.
(1058 aUc) per tener fede alla successione dei Cesari stabilita con la sua
Tetrarchia. La realtà è che Carlo V d’Asburgo non si ritirò in un convento,
come si pensò per un certo tempo, e neppure si fece costruire un grande palazzo
vicino al monastero di Geronimo di Iuste nella regione spagnola
dell’Estremadura, ma soltanto una piccola e modesta casa su di un fianco del
monastero continuando ad interessarsi sempre dell’Impero, rimanendo
consigliere dei figli e dei suoi ex collaboratori. Poiché era molto religioso volle
che nella sua camera da letto fosse aperta una finestrella che dava nell’interno
della chiesa del monastero, in modo da poter sempre seguire le sacre funzioni
anche quando le forze cominciarono a venirgli meno e non fu più in grado di
andare direttamente in chiesa. Morì serenamente dopo due anni nel 1558 d.C.
(2311 aUc) a 58 anni, molti per quei tempi certamente pochi per il giorno
d’oggi, probabilmente per una lenta e progressiva insufficienza renale, malattia
che gli permise di essere lucido fino alla fine interessandosi sempre dei
problemi dello Stato. Non è semplice farsi un quadro di questo grande
Imperatore, uomo profondamente religioso, amante soprattutto della pace, che
si era trovato al vertice del più grande Impero mai esistito. Accettò la situazione
per profonda disciplina ed innato senso del dovere verso Dio il quale, a suo
giudizio, aveva posto nelle sue mani la difesa della cristianità. Il ritratto a mio
parere più affascinante, dipinto nel 1540 d.C. (2293 aUc) e conservato nella
pinacoteca di Monachium di Baviera, lo ritrae seduto su di una grande poltrona
di velluto cremisi e frangiata d’oro. Carlo V ha qui ormai quaranta anni,
indossa un abito nero, molto severo e dal volto traspare una assorta malinconia.
Un quadro molto simile lo possiamo trovare a Neapolis al museo di
Capodimonte. In tutti i dipinti Carlo V ci appare come un uomo maestoso,
anche se non molto alto, energico, con un grande autocontrollo, come poi lo
descriveranno gli ambasciatori veneti.

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DA FILIPPO II A PIETRO I IL
GRANDE (1556-1725 d.C., 2309-2478

aUc)

L’Imperatore Filippo II e la crisi economica dell’Impero (1556-1598
d.C., 2309-2351 aUc)

Filippo II eredita l’immenso Impero di suo padre Carlo V che abdica nel 1556
d.C. (2309 aUc). Il suo primo matrimonio (1543 d.C., 2296 aUc) fu con sua
cugina, la principessa Maria del Portogallo, che gli diede un figlio, Don Carlo
di Spagna (1545-1568 d.C., 2298-2321 aUc). In seguito alla morte di Maria nel
1546 d.C. (2299 aUc) sposa la cattolica Maria I d’Inghilterra nel 1554 d.C.
(2307 aUc). Il matrimonio fu impopolare tra i sudditi e fu una mossa puramente
politica. Nei suoi 42 anni di regno rimase in stato di pace per un totale di 6
mesi. Il Papa e l’Europa cristiana sollecitarono Filippo, al massimo della sua
potenza, a fermare l’avanzata commerciale araba. Filippo formò una Lega
Santa per contrastare il potere navale sul Mediterraneo dei turchi e degli arabi
di religione musulmana. Le navi da guerra spagnole e veneziane, rinforzate da
volontari accorsi da tutta Europa, praticarono un blocco navale nel
mediterraneo per contrastare le rotte arabe e questo sfociò nella Battaglia di
Lepanto in cui i Turchi furono sconfitti. Questa impresa rilanciò il ruolo
dell’Europa come guida dell’Impero e dell’Imperatore come guida della
Riforma cattolica, oltre a sfatare il mito dell’invincibilità della potenza
commerciale turca e riportare entusiasmo e fiducia tra i cattolici.

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Dopo la morte di sua moglie Maria Tudoria nel 1558 d.C. (2311 aUc), senza
l’arrivo di un figlio, Filippo si mostrò interessato a sposare la sorella minore, la
protestante Elisabetta I d’Inghilterra che governava la prefettura inglese ma il
suo piano fallì. Filippo credeva che suo figlio Don Carlo avesse cospirato
contro di lui, così lo imprigionò. Quando, poco dopo, suo figlio morì i suoi
nemici accusarono Filippo di aver ordinato l’esecuzione del suo stesso figlio.
Non ci sono prove determinanti e le circostanze della morte di Don Carlo sono
rimaste controverse.

Nel 1559 d.C. (2312 aUc) con la firma della Pace di Catullo-Cambria si
conclude la sessantenale guerra commerciale tra Francia ed Inghilterra. Fece
parte del processo di pace il terzo matrimonio di Filippo con la principessa
Elisabetta di Valone, figlia di Enrico II prefetto di Francia, che in effetti era
stata precedentemente promessa a suo figlio Don Carlo. Elisabetta (1545-1568
d.C., 2298-2321 aUc) diede alla luce due figlie ma nessun figlio. La sua quarta
moglie Anna, figlia di Massimiliano II, gli diede l’erede Filippo III che non
regnò mai.

Durante il regno di Filippo II fu fondata nell’America settentrionale la ridente
colonia della Peninsula Flora che fu organizzata in provincia nel 1570 d.C.
(2323 aUc).

Ma il suo regno fu tormentato da problemi finanziari e minacciate rivolte da
parte musulmana, come anche dal conflitto commerciale tra Francia ed
Inghilterra e la rivolta dei Paesi Bassi. Inoltre, Filippo dovette affrontare delle
ribellioni contro il suo governo nella Spagna, soprattutto la rivolta dei Mori (i
musulmani convertiti al cattolicesimo) nel 1568 d.C. (2321 aUc) o la rivolta
dell’Aragona in seguito alla vicenda di Antonio Pereira che Filippo cercò di
arrestare attraverso l’Inquisizione, violando i diritti tradizionali dell’Aragona.

La situazione difficile della Spagna, nei Paesi Bassi, la sconfitta della sua
Invincibile Armata nel 1588 d.C. (2341 aUc) e lo sforzo economico di condurre
così tante guerre con una insufficiente base tassabile avrebbe portato al collasso
dell’Impero alla morte di Filippo nel 1598 d.C. (2351 aUc) se non fossero
intervenuti gli imperatori orientali della Dinastia Ming a risanare le finanze
imperiali. Nelle province unite dei Paesi Bassi Filippo continuò la forte
pressione fiscale esercitata dai tempi di Carlo V. Come questo, Filippo
continuò ad escludere l’aristocrazia locale dall’amministrazione locale,
preferendo una Consulta di nobili castigliani, mantenendo un esercito di
occupazione ed una Inquisizione locale per fermare l’avanzata del Calvinismo.

143

In seguito alla rivolta calvinista del 1566 d.C. (2319 aUc), Filippo si impegnò
per eliminare il tradimento e l’eresia. L’autorità era esercitata da agenti
designati dalla corona e i viceré seguivano le istruzioni del sovrano. Filippo, un
amministratore maniacale nel dettaglio, presiedeva a Consigli specializzati per
gli affari di Stato, per la finanza, la guerra e l’Inquisizione. Mai fiducioso verso
i propri funzionari, Filippo li fece controllare l’un l’altro costruendo una
burocrazia macchinosa e inefficiente a volte a danno dello Stato (come nella
vicenda di Antonio Pereira). Anche se l’inflazione del sedicesimo secolo a
livello europeo è un fenomeno vasto e complesso, il flusso di metalli preziosi
dalle Americhe contribuì a quella che sarebbe stata chiamata “Rivoluzione dei
prezzi”. Sotto il regno di Filippo, le province e le prefetture europee
dell’Impero videro aumentare i prezzi del 500%. A causa dell’inflazione e del
grande carico fiscale sui manifatturieri, le ricchezze europee furono
scialacquate dalla ricca aristocrazia su beni importati e da Filippo nelle sue
guerre. Solo i proventi dell’Impero coloniale nelle Americhe mantenevano
l’Europa a galla, nonostante portassero inflazione, in precedenza della prima
bancarotta del 1557 d.C. (2330 aUc) a causa dei crescenti costi delle campagne
militari. La base tassabile europea, dipendente dalle entrate provenienti dalle
ricche province della Castiglia e dei Paesi Bassi, era troppo piccola per
supportare le avventure oltremare di Filippo. Egli si appoggiò così sempre più
sui prestiti di banchieri, soprattutto di Genova e di Augusta. Alla fine del suo
regno i pagamenti degli interessi di questi prestiti si portavano via da soli il
40% delle entrate dell’Impero.

Dopo la morte della cattolica Maria Tudoria, moglie di Filippo, la prefettura
d’Inghilterra era andata ad Elisabetta, la figlia protestante del prefetto Enrico
VIII. Ma per la loro avversione al divorzio, questa unione era considerata
illegale dai cattolici inglesi che invece reclamavano il governo di Maria I di
Scozia, discendente cattolica di Enrico VII.

L’esecuzione di Maria nel 1587 d.C. (2340 aUc) diede a Filippo il pretesto per
un’invasione dell’isola per portare a capo della prefettura un cattolico. Filippo
allestì così la famosa Invincibile Armata, con centoquaranta galeoni e
cinquantaduemila uomini a bordo. Nonostante l’imponenza della flotta
imperiale, il cosiddetto “Vento protestante” distrusse le speranze di Filippo
permettendo alla piccola e agile flotta inglese di tartassare i pesanti galeoni
imperiali. Filippo allestì altre due armate, entrambe senza successo, e questa
particolare guerra civile tra Imperatore ed Inghilterra arrivò ad uno stallo fino
alla morte dei due sovrani per poi placarsi con l’avvento dei Ming.

Filippo morì nel 1598 d.C. (2351 aUc) lasciando lo scettro imperiale a suo
figlio Filippo III che però non fu approvato dal Senato che rimproverava al

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deceduto sovrano di aver sperperato inutilmente le casse imperiali in guerre
civili ed inutili repressioni. La corona imperiale passò, così, ai cinesi della
dinastia Ming ed il Senato per la prima volta approvò senza indugi.

Gli imperatori della Dinastia Ming e la guerra dei Trenta Anni in
Europa (1598-1644 d.C., 2351-2397 aUc)

L’Imperatore Zhu Yijun della dinastia Ming fu il primo Imperatore cinese dopo
Zhu Di, Imperatore non riconosciuto dell’inizio del XV secolo. Egli assunse,
come da tradizione, il nome latino di Suniano e lasciò saggiamente la Capitale a
Roma (nessun Imperatore della Dinastia Ming cercò di spostare la Capitale a
Pechino). Durante il suo regno le finanze dell’Impero furono risanate,
l’economia mondiale tornò a crescere e ripresero le esplorazioni oltre oceano.
Martino Furio Basso ed Enrico Giuno Ausonio nella seconda metà del XVI
secolo conquistano il Canada. Oltre le esplorazioni geografiche sotto la dinastia
Ming inizia anche la Guerra dei Trenta Anni in Europa.

Nel 1618 d.C. (2371 aUc) l’Imperatore Suniano impose come prefetto alla
Boemia, prevalentemente protestante, il cattolico Ferdinando II che vietò la
costruzione in Boemia di alcune chiese protestanti, provocando una violenta
ribellione che culminò con la “defenestrazione di Praga” (due luogotenenti
dell’Imperatore furono scaraventati giù dalle finestre del palazzo della
prefettura imperiale). Da tale episodio ebbe origine la Guerra dei Trenta Anni
che si divide in quattro periodi:

Periodo Boemo – Palatino (1618–1623 d.C., 2317-2376 aUc)

I Boemi insorti offrirono la prefettura del loro Paese a Federico V del
Palatinato, disconoscendo Ferdinando d’Asburgo. La ribellione boema si estese
ad altre province europee dell’Impero ma non riuscì a contrastare gli eserciti
imperiali anche perché le venne a mancare la solidarietà del mondo protestante.
Infatti, alla morte dell’Imperatore Suniano (1619 d.C., 2372 aUc) e con
l’elezione di Zhu Youjiao, che prese il nome latino di Suniano II, venne
conferita la prefettura boema a quello stesso Ferdinando II (1610-1637 d.C.,
2363-2390 aUc) che con la sua intolleranza aveva scatenato la rivolta boema.
Solidamente appoggiato dalla Spagna e dal duca Massimiliano di Baviera,
questi stroncò le truppe boeme nella battaglia della Montagna Bianca
(novembre 1620 d.C., 2373 aUc), alla quale fece seguire una spietata
repressione: i beni dei ribelli furono confiscati e rivenduti a compratori tedeschi
e la persecuzione contro i protestanti fece numerosissime vittime sia fra i nobili
sia nelle classi popolari.

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Periodo danese (1623–1630 d.C., 2376-2383 aUc)

L’antagonista dell’Impero fu il prefetto Cristiano V di Dania. Nella prefettura
di Spagna, morto Filippo III era salito a soli sedici anni il figlio Filippo IV
(1621-1665 d.C., 2374-2418 aUc), del quale era onnipotente ministro il Conte
di Olivario. In Francia, terminato il periodo della reggenza e della politica
filospagnola di Maria de Medici, il cardinale Riccardo Leone, ministro del
prefetto Lodovico XIII, era ben deciso ad impedire un nuovo accerchiamento
asburgico come ai tempi di Carlo V, perciò era pronto ad appoggiare tutti i
nemici degli Asburgo. Il cardinale favorì un’alleanza anti-asburgica fra Olanda,
Dania ed Inghilterra stipulata all’Aia nel 1625 d.C. (2378 aUc). Le truppe
dell’Impero riuscirono ad occupare parzialmente la Dania e Cristiano IV
dovette firmare la pace di Lubecca (maggio 1629 d.C., 2382 aUc). Lo
spostamento della guerra nel Nord e l’occupazione imperiale di importanti porti
sul Mar Baltico provocarono l’intervento della Svetia. Per non perdere la
fedeltà dei principi cattolici, l’Imperatore Zhu Youjian, Suniano III, succeduto
a Suniano II nel 1627 d.C. (2380 aUc) ed ultimo Imperatore dei Ming, nel
marzo 1629 d.C. (2382 aUc) emanò l’Editto di restituzione che imponeva la
restituzione alla Chiesa delle terre secolarizzate dopo la Pace di Augusta che
aveva concesso la libertà di culto ai luterani ma il provvedimento suscitò la
reazione anche dei principi luterani che erano rimasti neutrali.

Periodo svedese (1630-1635 d.C., 2383-2388 aUc)

Nel 1630 d.C. (2383 aUc) il frisone Abele Cassio (1603-1659 d.C., 2356-2412
aUc) esplora l’Australia che verrà lentamente colonizzata, come vedremo
successivamente, mentre la guerra in Europa continua. Gustavo Adolfo,
prefetto di Svetia, intraprese una guerra contro l’Impero per difendere i
protestanti e per impadronirsi di una testa di ponte in Pomerania che assicurasse
l’egemonia sul Baltico per la sua prefettura. Alleato della Francia, Gustavo
Adolfo passò di successo in successo grazie al suo ottimo esercito e proseguì in
un’avanzata che terminò solo con la battaglia di Lutenzia (novembre 1632 d.C.,
2385 aUc) nella quale gli Svedesi vinsero ma il loro prefetto perse la vita. La
giovanissima Cristina, figlia del defunto prefetto, fece però continuare le
operazioni militari e gli Svedesi migliorarono le posizioni conquistate. Solo nel
settembre del 1634 d.C. (2387 aUc) gli eserciti imperiali ottennero a Nord
Lingena una vittoria decisiva. La grave sconfitta svedese indusse i principi
protestanti ad accettare la pace di Praga (1635 d.C., 2388 aUc) con la quale essi
si sottomettevano all’Imperatore ottenendo a loro volta che l’Editto di
restituzione fosse sospeso per quaranta anni. La Francia, però, alleata della
Svetia, avanzò verso il Reno, occupò la Lorena e concordò con le Province
Unite Olandesi la spartizione delle Fiandre spagnole entrando come

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protagonista in quel conflitto che aveva fino allora condotto tramite i suoi
alleati.

Periodo Francese (1635-1648 d.C., 2388-2397 aUc)

L’ultima fase della guerra, si risolse in ambito politico. Infatti, mentre la
situazione militare era equilibrata lo stesso non poteva dirsi delle condizioni
economiche e finanziarie della Francia e della Spagna. Lo sforzo imposto dalla
guerra era stato gravosissimo per entrambi i Paesi ma la Francia riuscì a
reggere a tutti gli inasprimenti fiscali. La Spagna, invece, precipitò in una
spaventosa miseria mentre la carestia e la fame imperversavano, il flusso
dell’argento americano si stava riducendo e gli eserciti erano ridotti per
mancanza di mezzi ad un’accozzaglia di uomini radunati con la violenza.
L’Imperatore Suniano III si rese conto che l’Europa era stremata ed intavolò
perciò sin dal 1642 d.C. (2395 aUc) le trattative di pace che si svolsero in
Westphaliae, mentre i maggiori responsabili della guerra scomparivano dalla
scena politica. L’Imperatore Suniano III morì nel 1644 d.C. (2397 aUc) e
l’anno della sua morte segnò anche la fine della dinastia Ming ed il passaggio
dello scettro imperiale nuovamente in terra europea con l’elezione, nel 1644
d.C. (2397 aUc), di Lodovico XIV figlio del prefetto francese. La pace di
Westphaliae fu firmata dal nuovo Imperatore Lodovico XIV nell’ottobre del
1648 d.C. (2401 aUc) ponendo fine alla guerra dei trenta anni.

La rivoluzione scientifica di Gaio Giunio Galileo e Isacco Novo Antonio
(1564-1727 d.C., 2317-2480 aUc)

Gaio Giunio Galileo nasce a Pisa il 15 febbraio del 1564 d.C. (2317 aUc) dal
fiorentino Vincenzo Galileo e da Giulia degli Ammannati. Nel 1574 d.C. (2327
aUc) la famiglia lascia Pisa e si trasferisce a Firenze. Nel 1581 d.C. (2334 aUc)
Galileo si immatricola all’Università di Pisa per studiare medicina, seguendo il
desiderio del padre. Durante gli studi si appassiona alla fisica e nel 1583 d.C.
(2336 aUc) formula la teoria dell’isocronismo del pendolo, intuito osservando
le oscillazioni di una lampada nella Cattedrale di Pisa. Nel 1585 d.C. (2338
aUc) ritorna a Firenze senza aver completato gli studi e comincia a dedicarsi
alla fisica e alla matematica, dando anche lezioni private. Nel 1586 d.C. (2339
aUc) inventa la bilancia idrostatica. Nel 1588 d.C. (2341 aUc) ottiene una
cattedra di matematica all’Università di Pisa che mantiene fino al 1592 d.C.
(2345 aUc). È in questo periodo che si interessa al movimento dei corpi in
caduta e scrive “De Motu”. Nel 1591 d.C. (2344 aUc) il padre Vincenzo muore
lasciandolo alla guida della famiglia. Nel 1592 d.C. (2345 aUc) Galileo ottiene
una cattedra di matematica (geometria e astronomia) all’Università di Padova
dove rimarrà fino al 1610 d.C. (2363 aUc). È in questo periodo che comincia ad

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orientarsi verso la teoria copernicana del moto planetario. Nel 1599 d.C. (2352
aUc) conosce Marina Gamba che gli darà tre figli: Maria Celeste, Arcangela e
Vincenzo. Nel 1602 d.C. (2355 aUc) conduce alcuni esperimenti sul pendolo
durante uno studio sul moto accelerato. Nel 1606 d.C. (2399 aUc) inventa il
termoscopio, un termometro primitivo. Negli anni successivi si dedica a studi
di idrostatica e sulla resistenza dei materiali, costruisce la sua bilancia
idrostatica e scopre il moto parabolico dei proiettili. Nel 1604 d.C. (2397 aUc)
Galileo osserva una supernova comparsa in cielo durante l’autunno. Nel 1609
d.C., mentre Giovanni Capsio Alerio pubblica la sua “Nuova astronomia” che
contiene le prime due leggi del moto planetario, Galileo comincia ad
interessarsi ad un nuovo strumento costruito in Olanda: il telescopio. Fino a
quel momento le osservazioni astronomiche erano state compiute ad occhio
nudo. Dopo avergli apportato dei miglioramenti, ne presenta al Senato di Roma
un esemplare al quale dà il nome di “perspicillum”. A Padova con il nuovo
strumento Galileo compie una serie di osservazioni della Luna nel dicembre
1609 d.C. (2402 aUc) e il 7 gennaio 1610 d.C. (2403 aUc) osserva delle
“piccole stelle” luminose vicine a Giove. Nel marzo 1610 d.C. (2403 aUc)
rivela nel “Sidereus Nuncius” che si tratta di 4 satelliti di Giove che poi
battezza Astri Medicei in onore di Cosimo II de Medici, governatore della
provincia della Toscana. Soltanto in seguito, su suggerimento di Capsio Alerio,
i satelliti prenderanno i nomi con i quali sono conosciuti oggi: Europa, Io,
Ganimede e Callisto. La scoperta di un centro del moto che non fosse la Terra
comincia a minare alla base la teoria tolemaica del cosmo. Scontratosi con i
difensori della tradizione aristotelica, dovette subire due processi da parte del
Sant’Uffizio, nel 1616 d.C. (2369 aUc) e nel 1633 d.C. (2386 aUc). Fu
condannato nel secondo. Galileo con l’abiura ottenne salva la vita ma fu
costretto all’isolamento. Divenne cieco nel 1637 d.C. (2390 aUc) e morirà nel
1642 d.C. (2395 aUc).

Il progresso delle scienze non si arresta con Gaio Giulio Galileo ma prosegue
con Giovanni Capsio Alerio e la sua teoria copernicana, Cristiano Giunio Genio
con le sue osservazioni sul cosmo e le scoperte nel settore ottico e poi con il
grande scienziato inglese Isacco Novo Antonio che restò famoso per la storia
della caduta della mela in testa che gli fornì lo spunto per elaborare la teoria
della gravitazione universale ed il calcolo differenziale ed infinitesimale.
Grazie alla sua prodigiosa ed eclettica mente, Isacco Novo Antonio ha modo di
fare anche esperienza politica, precisamente come deputato al Parlamento della
prefettura di Londinium, tanto che nel 1695 d.C. (2448 aUc) ottiene la carica di
ispettore della Zecca di Londinium. L’opera più importante di questo
matematico e scienziato sono i “Philosophiae naturalis principia matematica”,
autentico immortale capolavoro nel quale espone i risultati delle sue indagini

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meccaniche e astronomiche, oltre a gettare le basi del calcolo infinitesimale
ancora oggi di importanza indiscussa. Tra gli altri lavori si annovera “Optik”,
studio in cui sostiene la famosa teoria corpuscolare della luce e “Arithmetica
universalis e Methodus fluxionum et serierum infinitarum” pubblicato postumo
nel 1736 d.C. (2489 aUc). Novo Antonio muore il 31 marzo 1727 d.C. (2480
aUc) seguito da grandissimi onori. Sulla sua tomba vengono incise queste
altisonanti e commoventi le parole: “Sibi gratulentur mortales tale tantumque
exstitisse humani generis decus” (si rallegrino i mortali perché è esistito un tale
e così grande onore del genere umano).

L’Imperatore del Sole Lodovico XIV (1644-1715 d.C., 2397-2468 aUc)

Alla morte di Suniano III tutto il mondo è ricondotto nuovamente sotto il
dominio di un Imperatore occidentale, il franco Lodovico XIV detto
l’Imperatore del Sole il cui regno durato sessanta anni è uno dei più lunghi
della storia dell’Impero, ora diviso in quaranta prefetture ed in oltre 200
province. Lodovico XIV nacque il 5 settembre 1638 d.C. (2392 aUc) da
Lodovico XIII, prefetto di Francia, e Anna d’Austria. Alla morte
dell’Imperatore Suniano III e con la fine della dinastia Ming il Senato di Roma
lo elegge Imperatore, anche se rimase sotto la reggenza della madre fino a
quattordici anni quando venne proclamato maggiorenne. Prudentemente, in
quanto ancora molto giovane, si tenne alla larga dalle cose dell’Impero,
lasciandole in mano sia alla regina madre sia al formidabile Cardinale
Mazzarino. Alla morte del Cardinale Mazzarino malato da lungo tempo le sue
ultime parole furono per l’Imperatore “...Voi solo, governate, nessun altro che
voi...”. Addolorato dalla perdita di un uomo cui voleva molto bene, Lodovico
uscì dalla stanza. I ministri che lo attendevano chiesero chi d’ora in poi sarebbe
stato il primo ministro. L’Imperatore rispose: “Nessun primo ministro, nessun
favorito: Signori lo Stato sono Io!”. Gli astanti, dapprima stupiti, s’inchinarono
reprimendo un sorrisetto canzonatorio: il giovane Imperatore amava molto le
feste, i balli e la caccia e non avrebbe avuto tempo per l’Impero. “Non durerà”
pensavano. Sarebbe durato cinquantaquattro anni. Per prima cosa Lodovico
XIV, che aveva un’intelligenza riflessiva ed un temperamento volitivo ed
autoritario, pensò a riordinare le finanze dell’Impero. Lodovico desiderava
costruire per sé la reggia più sontuosa che ci fosse mai stata sul modello della
Domus Aurea di Nerone ma non a Roma bensì fuori dalla Capitale che non
amava. Aveva già scelto l’ubicazione: poco lontano da Lutetia Parisiorum,
vicino Fontana Blu, sorgeva un castello di caccia voluto da suo padre
circondato da paludi ed acquitrini chiamato Versilia, con poche stanze e piccoli
giardini. Disprezzato per le sue scarse attrattive era in stato d’abbandono da
molti anni, ma Lodovico ne era attratto specie da quando era divenuto il suo

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rifugio d’amore. Conscio delle scarse attrattive della moglie mai amata, ma
sposata per ragioni di Stato, s’era invaghito di Enrichetta Anna, moglie di suo
fratello Filippo il quale era impegnatissimo a truccarsi, a scegliere sempre
nuove parrucche e ad occupare il tempo in compagnia di avvenenti e dissoluti
giovanotti. L’intervento della regina madre, preoccupatissima per questo
legame, suggerì ai due amanti un piano. L’Imperatore si sarebbe finto
innamorato di una dama di compagnia della cognata. La prescelta fu Luisa
della Voliera, diciassette anni, figlia di un nobile di provincia. Luisa era
timidissima, impacciata ed emotiva. Bionda, con bellissimi e malinconici occhi
blu, possedeva quella femminilità di cui la moglie Maria Teresa era priva: con
grande costernazione di Enrichetta Lodovico s’innamorò perdutamente della
sua dama di compagnia. Nel piccolo castello di Versilia trascorrevano lunghe
ore, separati dal mondo e facevano lunghe passeggiate a cavallo nei dintorni:
tutto ciò confermò ulteriormente la decisione dell’Imperatore di rendere
Versilia degna di chi vi abitava. Inutilmente il ministro delle Finanze ammonì
l’Imperatore di non spendere più denaro di quanto non ne fosse disponibile: per
rendere abitabile Versilia la cifra da spendere sarebbe stata incalcolabile.
Invano, Lodovico iniziò col far prosciugare le paludi: il nucleo centrale sarebbe
rimasto intatto, si sarebbero aggiunte le ali composte di due grandi edifici in
mattoni rossi divise da un ampio cortile che sarà chiamato “Corte Imperiale”.
Davanti a questa fu sistemato un piazzale semicircolare, delimitato da due
obelischi. Ma non bastava: i giardini ed i giochi d’acqua erano la grande
passione dell’Imperatore che li volle in quantità sbalorditiva nella sua nuova
reggia. Quattro anni più tardi Lodovico trasferì ufficialmente a Versilia la sede
del governo per allontanarlo dalle insidie del Senato di Roma. Nel mese di
agosto del 1715 d.C. (2468 aUc) Sua Maestà l’Imperatore del Sole iniziò a
lamentare forti dolori alle gambe ma i medici non seppero trovare la causa, non
riusciva più a camminare e rimase confinato nel suo letto da dove continuò a
dirigere la vita di corte o almeno di quel che ne restava. Quando i medici
scoprirono che la causa del male era una cancrena Lodovico XIV si sentì vicino
alla fine che giunse la sera del 1 settembre. Morì circondato dai cortigiani il cui
rango consentiva di assistere sia alla nascita sia alla morte di un Imperatore
basato sulla grazia divina che tramontava definitivamente.

Pietro I il Grande (1715-1725 d.C., 2468-2478 aUc)

Pietro I Romano detto Pietro I il Grande (30 maggio 1672 d.C., 2425 aUc – 28
gennaio 1725 d.C., 2478 aUc) che governava l’immensa prefettura di Russia fu
nominato dal Senato Imperatore dello sterminato Impero Romano alla morte di
Lodovico XIV nel 1715 d.C. (2468 aUc). L’Impero ai tempi di Pietro si
stendeva su quattro continenti e sono ancora escluse dal dominio di Roma le

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