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Published by uygufguuydadsdas, 2022-08-15 14:35:27

Vrbs Aeterna

Vrbs Aeterna

regioni polari, le foreste centroafricane, l’Australia, la Nuova Zelanda, gran
parte delle isole dell’Oceania, i territori ad occidente delle tredici province
americane e parte dell’America meridionale. Fin dall’inizio Pietro promuove
ampie riforme volte a modernizzare l’Impero. Notevolmente influenzato dai
suoi consiglieri occidentali, riorganizza l’esercito delle legioni orientali (russe e
cinesi) sul modello di quelli europei. Pietro incontra molta opposizione alla
politica di riforme ma reprime con decisione, anche brutale, qualsiasi ribellione
contro la sua autorità. Durante il suo regno visita le prefetture d’Inghilterra, la
Germania, l’Italia e la Francia entrando in contatto con la cultura dell’occidente
che ammira. Egli studia la costruzione di navi ad Amstelodanum in Olanda. Il
lungo viaggio in Europa convince l’Imperatore che le abitudini dell’Europa
occidentale sono, in generale, superiori alla tradizione russa da cui proviene.
Egli ordina a tutti i suoi cortigiani ed ufficiali provenienti dall’oriente di
tagliarsi le lunghe barbe e di vestire all’occidentale. Pietro fonda la grande città
di Sanctus Petrusurbis (in onore di San Pietro apostolo). Gli ultimi anni di
regno di Pietro I sono contrassegnati da ulteriori riforme meritandosi il titolo di
Grande. Pietro riforma anche il governo della Chiesa Ortodossa di Russia. Il
capo tradizionale della chiesa è il patriarca di Muscae. Nel 1721 d.C. (2474
aUc) istituisce il Santo Sinodo, un concilio di dieci ecclesiastici che prende il
posto del patriarca e del coadiutore. Nel 1722 d.C. (2475 aUc) Pietro crea un
nuovo ordine gerarchico per la nobiltà conosciuto come Tavola dei Ranghi, in
esso la posizione è formalmente determinata dalla nascita. Pietro introduce
anche nuove tasse allo scopo di trovare i fondi per la costruzione di Sanctus
Petrusurbis. Abolisce la tassa sulla terra e quella sulla famiglia sostituendole
con un’imposta pro-capite. Le tasse sulla terra o sulla famiglia erano pagate
solamente dai proprietari o da coloro che mantenevano una famiglia mentre la
nuova tassa è pagata da tutti compresi servi e poveri.

Nel 1724 d.C. (2477 aUc) associa al trono Caterina, la sua seconda moglie,
attribuendogli il titolo di Imperatrice anche se peraltro mantiene nelle sue mani
tutto il potere. Nel 1725 d.C. (2578 aUc) è completata la costruzione della
Domus Petra, un palazzo nei pressi di Sanctus Petrusurbis che diventa famoso
come la Versilia russa. Muore improvvisamente nel 1725 d.C. (2578 aUc) e lo
scettro imperiale passa nuovamente in Francia a Lodovico XV, il penultimo
Imperatore prima dello scoppio della rivoluzione francese e l’avvento della
Seconda Repubblica Romana.

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LA NASCITA DELLE PROVINCE
UNITE D’AMERICA, LA RIVOLUZIONE

FRANCESE E L’AVVENTO DELLA
SECONDA REPUBBLICA ROMANA

(1725-1793 d.C., 2478-2546 aUc)

La difficile situazione dell’Impero sotto Lodovico XV (1725-1774 d.C.,
2478-2527 aUc)

Durante il lungo regno di Lodovico XV (1725-1774 d.C., 2478-2527 aUc) la
situazione economica dell’Impero va progressivamente peggiorando: le
esigenze militari ed i crescenti bisogni della vita di corte che continuava a fare
feste nella sontuosa reggia di Versilia richiedevano l’imposizione di continue
tasse. Per accrescere il gettito delle imposte e contenere il deficit di bilancio, il
governo era ricorso a manovre finanziarie assai pericolose: concessione di alti
tassi d’interesse sui prestiti dei cittadini, indiscriminata vendita di uffici
pubblici, alterazioni del valore della moneta, riduzione arbitraria dei debiti
dello Stato (bancarotta). Tutto questo perché le classi privilegiate (nobiltà e
clero) erano riuscite, per interi decenni, a bloccare ogni provvedimento fiscale
che estendesse anche a loro il peso tributario. Le tasse erano prevalentemente
pagate dai contadini e dalla borghesia. Nelle campagne il diritto di proprietà
spettava ancora quasi interamente alla Corona, alla nobiltà e al clero. I

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contadini non erano più servi della gleba, come nei secoli bui, perché
disponevano della libertà personale però non essendo proprietari di nulla erano
costretti a versare al clero le decime (cioè una parte dei prodotti dei campi),
pagavano imposte e gabelle regie, erano obbligati dallo Stato a prestazioni di
lavoro gratuite per la costruzione di strade e caserme. Gli stessi nobili li
obbligavano a pagare tasse sul commercio al minuto, pedaggi per l’uso di
strade e ponti, tributi in natura ed in denaro. La borghesia si era arricchita
notevolmente, ma non aveva alcun potere politico. Solo una piccola parte s’era
procurata titoli nobiliari ereditari mediante l’acquisto degli uffici pubblici. Le
piccole aziende manifatturiere si erano trasformate in opifici di vaste
dimensioni. La ricchezza dovuta ai commerci, all’industria, alle società per
azioni e agli istituti bancari aveva indotto la borghesia a chiedere la fine del
regime del privilegio di clero e nobiltà, la libera disponibilità della terra, la
piena libertà dei commerci (senza vincoli doganali e corporativi). Durante il
regno di Lodovico XV, inoltre, gli Arabi ed i Cinesi approfittano della difficile
situazione economica occidentale per riconquistare qualche posizione.
Purtroppo per loro, all’inizio del XVIII secolo la marina imperiale è
completamente in mano agli Inglesi che subentrano ad Ispanici e Lusitani e
questi controllano assiduamente tutte le province e prefetture orientali con la
sola eccezione della guerra dei Sette Anni (1756-1763 d.C., 2509-2516 aUc)
per le rotte commerciali orientali terminata con la pace di Lutetia Parisiorum
nel 1763 d.C. (2516 aUc). L’Inghilterra esce dalla guerra come dominatrice dei
mari del mondo mentre le potenze orientali, che hanno speso nella guerra
enormi somme di denaro senza ricavarne alcun risultato, vengono da ora in poi
coinvolte in una crisi sempre più grave dei loro sistemi sociali feudali. Il regno
di Lodovico XV coincide con il saggio pontificato di Benedetto XIV (1740-
1758 d.C., 2493-2511 aUc), alias il cardinale bolognese Prospero Lando
Bertino, una delle figure più sagge e più aperte al dialogo che la storia della
Chiesa ricordi; ma coincide anche (e soprattutto) con l’invenzione della
macchina a vapore e con lo sviluppo della Rivoluzione Industriale, con la quale
l’Europa ed il Nordamerica cominciano a riempirsi di industrie così come nei
secoli bui l’Europa si è riempita di chiese ed il tenore di vita della borghesia
aumenta fino a superare quello dell’antico patriziato per sangue che tuttora
detiene quasi tutto l’effettivo potere politico.

Cenni di storia americana: dal XVII secolo alla Dichiarazione

d’Indipendenza dall’Impero (1600-1776 d.C., 2353-2529 aUc)

Alla morte di Lodovico XV nel 1774 d.C. (2527 aUc) viene eletto l’inetto
Lodovico XVI, ultimo Imperatore prima della nascita della Seconda
Repubblica. Durante il suo breve regno accaddero due avvenimenti

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fondamentali per l’intero Impero: la nascita delle Province Unite d’America e
la rivoluzione francese che fece terminare nel sangue il suo regno e l’Impero di
Roma. Ma andiamo per ordine e ricapitoliamo gli eventi occorsi nel nuovo
mondo durante il XVII ed il XVIII secolo. Nel corso del XVII secolo nella
fascia atlantica estesa dai grandi laghi alla Peninsula Flora si erano formate
dodici province abitate prevalentemente da coloni inglesi che nel 1732 d.C.
(2485 aUc) con l’unione della Georgia salirono a tredici. Queste però non
rappresentavano un meccanismo unitario: erano sorte in tempi e in modi molto
diversi ed erano sempre pronte alla lite o alla zuffa armata. Da sempre avevano
nemici esterni, soprattutto i Pellirosse nativi del continente Nord Americano, ed
erano convinte che senza il legame e la protezione dell’Impero sarebbero state
travolte. A differenza delle colonie spagnole dell’America meridionale e di
quelle francesi del Canada, le colonie inglesi ebbero una rapida crescita della
popolazione per l’afflusso continuo d’immigrati dalle isole britanniche. Le
maggiori città erano Filadelfia (24000 abitanti) nella provincia di Penna Silvana
Nova Eburacum (fondata dagli Olandesi nel 1632 d.C., 2385 aUc, con il nome
di Nova Amstelodanum) nell’omonima provincia e Bastia nella provincia di
Massa Cestio. L’organizzazione politica era in mano ad un governatore il cui
potere era controbilanciato dalle Assemblee rappresentative, elette dai coloni.
Le diverse origini, convinzioni religiose e attività economiche creavano attriti e
fratture tra le colonie che si possono dividere in tre gruppi:

- Quattro colonie del nord (Massa Cestio, Cono Tano, Nova Siria, Insula
del Rodeo) che formavano la Nova Inghilterra, a causa della
maggioranza di provenienza inglese. Qui era forte la tradizione puritana,
prevalevano piccole fattorie famigliari, condotte con tecniche simili a
quelle delle campagne europee; ma gli abitanti di queste regioni, coperte
in gran parte da foreste, si dedicavano anche alla produzione di legname,
resina, canapa e quindi alla costruzione delle navi che erano utilizzate
per la pesca, un’altra importante voce nel campo economico di queste
colonie. Le quattro province del nord occupavano un territorio che non
permetteva un grande sviluppo agricolo ma che era favorevole alle
attività manifatturiere e commerciali. I fiumi davano una forza motrice
per mulini e segherie, le coste offrivano insenature per i porti, le foreste
fornivano abbondante materiale per la costruzione di navi.

- Quattro colonie del centro (Nova Eburacum, Nova Gallia, Penna
Silvana, Delavarii) che possedevano le città ed i porti più importanti ed
erano abitate da gente d’origine diversa: inglesi, olandesi, svedesi,
tedeschi, irlandesi e scozzesi. Nonostante l’attività commerciale dei porti

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e delle città, queste colonie vivevano prevalentemente con l’agricoltura:
la terra era suddivisa in molti appezzamenti dove numerosi piccoli
proprietari coltivavano grano, con la forza delle proprie braccia e dei
familiari. Inoltre i coloni praticavano la caccia d’animali da pelliccia
nelle zone montuose più interne e intenso era il commercio delle pellicce
comprate dai pellirossa, mentre per la loro posizione erano il luogo di
scambio dei prodotti tra il nord ed il sud. La tolleranza religiosa era
massima e nelle colonie centrali si trovavano protestanti di chiese
diverse (calvinisti, luterani, anglicani), cattolici ed ebrei.

- Cinque colonie del sud (Virginia, Terra di Maria, Carolina del nord,
Carolina del sud, Georgia) che fondavano la loro economia sulle grandi
piantagioni di tabacco, d’indaco (la pianta da cui si estraeva il colorante
azzurro per tingere i tessuti) e di riso (il cotone, altro pilastro
dell’economia americana, fu introdotto solamente in seguito). Qui
dominava un’aristocrazia terriera d’origine inglese e di confessione
anglicana, formata da un gruppo relativamente esiguo di grandi
proprietari, i piantatori, mentre i campi erano coltivati da schiavi.

L’eguaglianza era il bene più ambito dagli abitanti delle colonie, tanto da essere
superiore alla libertà. Infatti, nel XVIII secolo, legato a questo amore per
l’uguaglianza è lo spirito di tolleranza, cosicché le sette più disparate si
abituarono a vivere armonicamente insieme. Se la storia anteriore ci mostra il
popolo del Massa Cestio che caccia gli eretici quando non li uccide, se la
legislatura più antica esclude rigorosamente dal diritto di voto chi non
appartiene alla fede religiosa dominante in ogni singola colonia, ora invece il
popolo è tutto per un uguale ed universale tolleranza. Ciò dipendeva anche dal
fatto che la fede robusta e fanatica della prima ora si era notevolmente
temperata e che la lotta quotidiana per domare il nuovo continente e per
raggiungere una condizione di vita accettabile legava fortemente gli uomini agli
interessi materiali, suscitando quella tenace ricerca del benessere che resterà
come un’altra caratteristica silente del popolo americano. Tutto ciò non si
accordava con le esaltazioni religiose che ancora negli ultimi decenni del XVII
secolo faceva considerare a Congregazionisti del Massa Cestio “una distrazione
seria, ma veramente piacevole” il mettere un pò d’ordine tra i feretri deposti
nelle cantine a Natale. Tuttavia lo spirito religioso non si spense. Quindi, le
colonie erano nate in modi assai diversi o per l’iniziativa di singoli individui
per lo più ricchi borghesi e di società commerciali ai quali l’Imperatore di turno
aveva concesso, con un’apposita Carta, il diritto di proprietà e ampi poteri sui
territori occupati: erano le colonie di proprietà. La maggioranza delle colonie

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erano sorte per l’emigrazione di comuni cittadini che avevano abbandonato la
patria per semplice spirito d’avventura o perché perseguitati per motivi religiosi
e politici: inglesi, scozzesi, irlandesi e più tardi olandesi e tedeschi avevano
ricercato nel nuovo continente quella libertà che l’Europa, spesso, non
garantiva loro. Erano queste le colonie della corona, poiché era più diretta
l’autorità dell’Imperatore. Ogni colonia aveva con l’Europa un rapporto duale
di svantaggio e di svantaggio. Per quanto riguarda i vantaggi, gli Americani
non avevano un esercito ben organizzato né una flotta da guerra, erano protetti
dall’armata imperiale nel caso di un attacco massiccio da parte degli indiani o
dei pirati dell’atlantico. Per il resto ogni contadino difendeva i suoi campi dai
pellirosse e dai bisonti a colpi di fucile e ogni porto aveva la sua flottiglia da
pesca. Inoltre, in questa epoca un inglese pagava mediamente 26 lire imperiali
d’imposte dirette, cioè di tasse direttamente versate allo stato, mentre i coloni
americani versavano solo una lira imperiale e non era denunciato il
contrabbando con le Antille. Di contro, anche le colonie americane, come tutte
le colonie dell’Impero Romano, dovevano contribuire alla ricchezza e allo
sviluppo dell’Impero quindi dovevano produrre vino, legname, spezie, tabacco,
rum, cotone, canapa, catrame, pellicce e d’olio di balena. Le spedizioni
dovevano avvenire solo con navi imperiali, i cui proprietari fissavano i prezzi
più convenienti per loro e non si preoccupavano dello sviluppo colonico.
Questo era un freno per lo sviluppo commerciale ed industriale perché le
colonie potavano commerciale solo con l’Europa e importare da questa tutti i
prodotti necessari come manufatti e macchinari e nelle colonie non potevano
essere organizzate quelle attività manifatturiere già presenti in Europa, come la
costruzione d’imbarcazioni o la produzione di tessuti di lana e cotone: le
colonie dovevano quindi limitarsi a tagliare legname nelle foreste, estrarre
minerali da qualche miniera e coltivare tabacco. Tutti questi obblighi tendevano
a salvaguardare gli interessi europei e limitavano fortemente la libera iniziativa
economica dei coloni, i quali contrabbandavano le merci con le Antille e con le
nuove province del Canada e del Messico oltre che con mercanti olandesi.
Inoltre, fu approvata dal Senato una legge che modificava i dazi d’alcuni
prodotti importati nelle colonie: caffè, zucchero, vino, melassa (importata dalle
Antille) che serviva a produrre il rum, seta divennero più cari per i mercanti
americani. Nel 1765 d.C. (2518 aUc) la legge del bollo firmata dall’Imperatore
Lodovico XV impose una tassa su tutti gli articoli di carta: libri, giornali,
almanacchi e soprattutto documenti legali, tra cui quelli necessari alla
compravendita. Gli Americani non accettarono queste decisioni che
avvantaggiavano esclusivamente l’Europa e si richiamarono ad un principio
riconosciuto dalla Costituzione della prefettura inglese (l’unica prefettura al
mondo ad avere una Costituzione liberale): solo i rappresentanti dei cittadini
potevano imporre tasse. I coloni riconoscevano questo compito alle Assemblee

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locali da loro elette, non al Senato Imperiale, nel quale non avevano nessun
rappresentante. Anche la maggior parte dei sudditi dell’Impero non prendeva
parte alle elezioni dei membri del Senato, accettandone tuttavia le decisioni: gli
Americani però oltre ad aver maturato una diversa idea di rappresentanza,
avevano una gran paura e se avessero riconosciuto al Senato il diritto di tassarli
in futuro non avrebbero potuto mai limitare l’entità delle tasse. Roma avrebbe
potuto poi sfruttare le colonie a suo esclusivo vantaggio: ogni centesimo
d’imposta pagato in più dalle colonie sarebbe stato un centesimo pagato in
meno dai cittadini della restante parte dell’Impero. I coloni avrebbero lavorato
e prodotto solo a vantaggio dell’Impero “contro la chiara ed evidente regola per
cui l’uomo laborioso ha diritto alla proprietà dei frutti del suo lavoro” come
disse Samuele Adamo, uomo politico di Bastia. Iniziò così la protesta sulla base
del principio “nessuna tassa senza rappresentanza”: nelle città americane
furono organizzate diverse manifestazioni di piazza guidate da associazioni
spontanee chiamate “figli della libertà” e capeggiati da capi appartenenti alla
classe media, come Samuele Adamo, Riccardo Leo, Tommaso Gefrone,
Tommaso Pane. Le nuove idee di rivolta si diffusero facilmente nelle diverse
colonie anche per mezzo dei comitati di corrispondenza che tenevano informati
i cittadini con lettere, volantini e opuscoli. I giornalisti assunsero il ruolo di
guida della protesta e fecero della stampa un potente veicolo di propaganda
contro le pretese del Senato di Roma. Quello fu l’avvio di un prolungato
braccio di ferro, costellato da episodi violenti da entrambi le parti. Gli
Americani sostenevano che se pagavano le tasse volevano almeno mandare in
Senato dei propri deputati e votare leggi commerciali favorevoli alle colonie. I
senatori non ascoltarono i consigli moderati di due illustri politici del tempo:
dopo aver abrogato lo legge del bollo poiché troppo impopolare (infatti, in
America i commercianti europei erano messi nel catrame e cosparsi di piume,
pena riservata ai ladri, ed erano costretti ad ingoiare del tè) introducevano la
tassa sul tè (molto importato) e altri prodotti di prima necessità. Le colonie
reagirono ai dazi ed alle tasse impedendo alle navi imperiali di scaricare le loro
merci sul suolo americano e ottennero dal Senato la revoca dei provvedimenti
tranne quello della tassa sul tè. Il successo ottenuto con questa azione comune
creò tra le colonie profondi legami: “Le colonie erano state sempre in conflitto
e follemente gelose le une delle altre ma ora… sono unite… e non
dimenticheranno facilmente la forza che deriva da questa stretta unione
d’intenti” scrisse Giunio Varenio del Massa Cestio. Uno scontro riguardo i dazi
imposti dall’Impero e facente parte della lotta anti-tasse tra dimostranti
americani e truppe imperiali sfociò nell’uccisione di cinque civili (Bastia, 1770
d.C., 2523 aUc) che i giornali ingigantirono con titoli a piena pagina riguardo
quello che fu definito il massacro di Bastia. Nel 1773 d.C. (2526 aUc) il Senato
affidò in esclusiva il commercio del tè alla Compagnia delle Indie Orientali che

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riversò tonnellate di tè sottocosto sui mercati americani per battere la
concorrenza del contrabbando delle colonie. Infatti, fino a quel momento il tè
consumato dai coloni americani era stato oggetto di contrabbando tra
Americani ed Olandesi, in violazione delle leggi imperiali ed aveva un costo
elevato. Allora i contrabbandieri di Bastia, travestiti da pellirosse, assalirono tre
navi cariche di tè ancorate nel porto e rovesciarono tutto il loro carico in mare,
poi presero di mira i magazzini portuali distribuendo una parte del bottino ai
Bastiani che applaudirono l’azione e gettando tutto il rimanente in mare.
Questo episodio è noto come la festa del tè di Bastia. Di fronte a questo e ad
altre feste del tè, l’anziano Imperatore Lodovico XV diede mandato al prefetto
inglese Giorgio III di intervenire con durezza per dare un esempio a tutte le
colonie e ricordare loro che dipendevano dalla corona imperiale: tramite il
Senato fece emanare le “Leggi Coercitive” con le quali s’imponeva la chiusura
del porto di Bastia fintanto che il tè non fosse stato risarcito e rafforzò l’autorità
del Governatore cui inviò nuove truppe. Per il Massa Cestio questi
provvedimenti significavano la perdita d’ogni autonomia, il blocco delle
principali attività economiche e la povertà. Le altre colonie corsero in aiuto
della città, furono inviati soccorsi d’ogni genere e nel settembre del 1774 d.C.
(2527 aUc) fu convocato a Filadelfia il primo Congresso continentale dei
rappresentanti al quale partecipavano tutti i delegati delle tredici colonie per
decidere quale azione comune intraprendere. Questi decisero di interrompere
tutti gli scambi commerciali con l’Impero e di “incoraggiare la frugalità,
l’economia, la laboriosità, promuovere l’agricoltura, le arti e l’industria,
soprattutto quelle della lana” nell’attesa del ripristino delle condizioni vigenti
prima del 1763 d.C. (2516 aUc). Ma le richieste del Congresso di considerare le
colonie autonome, pur restando nell’ambito dell’Impero Romano, e la
decisione di sospendere per protesta i commerci con l’Impero furono
considerati dalla Corona un atto di ribellione che doveva essere soffocato con la
forza ed il prefetto inglese Giorgio, su mandato del morente Imperatore
Lodovico XV, inviò nuove truppe per reprimere la rivolta. Gli Americani, però,
ben lungi dal lasciarsi nuovamente imprigionare, e questa volta sarebbe stata
molto più terribile delle precedenti, dalle tasse e dai dazi imperiali speravano
che almeno Beniamino Franco Lino, da molti anni impegnato al Senato,
riuscisse a convincere questi di un allentamento da parte imperiale delle catene
che tenevano legate le colonie d’oltreoceano, facendo presente che questo
atteggiamento alla lunga sarebbe diventato controproducente perché un
individuo continuamente sottoposto a vessazioni avrebbe finito per ribellarsi e
così stavano facendo le colonie americane, stufe di esser maltrattate dal
tirannico regime imperiale. I discorsi di Franco Lino però non ebbero presa sul
Senato ed egli allora, prevedendo ormai un’imminente guerra tra le colonie
americane e l’Impero, si adoperò per convincere il nuovo Imperatore Lodovico

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XVI a concedere maggiore autonomia alle province americane. Nel 1776 d.C.
(2529 aUc) i delegati del secondo Congresso di Filadelfia avevano approvato,
insieme alla Dichiarazione d’Indipendenza, anche un preambolo politico
preparato da Tommaso Gefrone nel quale erano enunciati alcuni principi
fondamentali che dovevano essere alla base dei nuovi stati indipendenti: i diritti
naturali degli uomini (“alla vita, alla libertà, alla ricerca della felicità”), la
sovranità popolare ed il diritto dei sudditi di destituire i governanti che non
rispettassero la libertà del popolo. Il discorso preliminare che apre la
Dichiarazione d’Indipendenza è commosso e solenne. La decisione dei coloni
di separarsi dall’Impero è sofferta, meditata, discussa e si vuole portare fino in
fondo: “Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario ad un popolo
sciogliere i legami politici che lo avevano unito ad un altro e assumere tra le
potenze della terra quel posto separato ed uguale al quale gli danno diritto le
leggi della natura e di Dio, un giusto rispetto per le opinioni dell’umanità esige
che esso renda note le cause che lo costringono alla separazione”.

Il 4 luglio 1776 d.C. (2529 aUc) il Congresso di Filadelfia approvò la
Dichiarazione d’Indipendenza che proclamava: ”Noi riteniamo che tutti gli
uomini sono creati uguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inviolabili
diritti: che fra questi diritti sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità”.
Essa affermava inoltre il diritto dei popoli alla rivoluzione quando il sovrano
calpestava questi diritti: ”Ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a
negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla ed istituire un nuovo
governo fondato su tale principi”. Dal diritto alla libertà rimasero esclusi gli
schiavi e all’ultimo fu cancellato dalla Dichiarazione il divieto alla tratta dei
negri. In nome dei principi sopra enunciati “…queste colonie sono e per diritto
devono essere stati liberi e indipendenti, sciolti da ogni fedeltà alla Corona
Imperiale…” e come tali “…hanno pieno potere di muovere guerra, concludere
pace, stringere alleanze, stabilire rapporti commerciali e compiere tutti gli atti e
le cose che gli stati indipendenti possono fare di diritto…”. Pur con i suoi
limiti, la Dichiarazione ebbe un’importanza ed un eco enorme: per la prima
volta dopo secoli d’assolutismo nasceva uno stato fondato sul rispetto dei diritti
fondamentali dell’uomo e della sovranità popolare. Anche se inizialmente in
America il diritto al voto e soprattutto il diritto di essere eletti fu riservato ai
cittadini più abbienti, la Dichiarazione ispirò tutti i movimenti e le rivoluzioni
democratiche dei decenni successivi. L’inesperto Lodovico XVI, spaventato
dagli avvenimenti d’oltreoceano che potevano portare ad una nuova
suddivisione dell’Impero come accaduto nei secoli bui tra oriente ed occidente,
concesse alle tredici colonie americane un’enorme autonomia amministrativa e
rappresentanza nel Senato imperiale che, con i rappresentanti americani,
arrivava a circa 2000 senatori. A nulla valsero le proteste del guerrafondaio

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prefetto inglese Giorgio III che spingeva per una guerra tra l’Impero e gli
americani. I coloni americani accettano l’autonomia e rinnovano la loro fedeltà
all’Impero: la temuta secessione veniva scongiurata. Se Lodovico avesse fatto
lo stesso in Europa forse l’Impero sarebbe sopravvissuto e lo stesso Imperatore
avrebbe evitato la ghigliottina. Ma così non fu.

La nascita delle Province Unite d’America (1776-1789 d.C., 2529-2542

aUc)

Dopo la concessione dell’autonomia e della rappresentanza al Senato imperiale
restava ancora da risolvere un problema fondamentale: la mancanza di una
costituzione federale e di un governo centrale che unisse le tredici province in
un’unica Confederazione; solo in questo modo le tredici province sarebbero
potute diventare una nazione forte politicamente ed economicamente
nell’immenso Impero di Roma con un non indifferente potere contrattuale
verso il governo imperiale. Su questo problema si fronteggiavano due posizioni
contrapposte: quella dei federalisti che volevano un governo centrale
abbastanza forte e la posizione degli antifederalisti o nazionalisti che volevano
difendere i poteri delle singole province.

Nel 1787 d.C. (2540 aUc) una Convenzione di delegati riunitasi a Filadelfia
riuscì a raggiungere un compromesso tra le due posizioni: fu così promulgata la
Costituzione delle Province Unite d’America che costituiva una Repubblica
presidenziale e democratica nell’ambito dell’Impero. Al comando vi è un
Presidente, eletto a suffragio universale indiretto, che detiene il potere
esecutivo ed è eletto ogni 4 anni (dal 1951 d.C., 2704 aUc, con il 22°
emendamento è permessa una sola rielezione) che è a capo del governo e
sceglie i segretari (ministri). Al governo centrale (Autorità Federale) furono
riconosciuti poteri decisionali solo nei rapporti con il governo imperiale, in
tema di difesa e finanze e nel campo delle principali questioni di comune
interesse, quali l’esplorazione e colonizzazione di nuovi territori. Il potere
legislativo è affidato al Congresso, composto dalla Camera dei Rappresentanti
e dal Senato Continentale (per non confonderlo con il Senato imperiale di
Roma), la Camera è in carica per due anni ed è formata da cittadini eletti in
proporzione al numero d’abitanti della provincia, il Senato, in carica per 6 anni
con rotazione di un terzo di senatori ogni due anni, è formato da 2 senatori per
ogni provincia. In questo modo gli artefici della costituzione avevano raggiunto
un compromesso tra i rappresentanti delle province più popolose, che volevano
un’elezione in base alla proporzione con i loro abitanti, e le province più
piccole che proponevano lo stesso numero di rappresentanti per tutte le
province. Il potere giudiziario è affidato alla Corte Suprema composta da nove

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membri nominati a vita dal Presidente. Essa è il vertice delle corti federali di
tutte le province, ha la facoltà di annullare quelle decisioni che sono contrarie
alla Costituzione e l’incarico di appianare eventuali contrasti tra le province.
Per garantire un certo equilibrio tra i poteri costituzionali e per impedire che
uno prevalesse sull’altro, la Costituzione prevede una serie di controlli
reciproci: il Presidente può porre il veto di sospensione sulle leggi del
Congresso e questo a sua volta esercita un controllo politico sull’attività del
Presidente. La costituzione è formata da un preambolo e da sette articoli ai
quali dal 1791 d.C. (2544 aUc) al 1951 d.C. (2704 aUc) sono stati aggiunti 22
emendamenti (articoli addizionali): i primi dieci si riferiscono alla carta dei
diritti che rispetta la libertà individuale (di culto, parola, stampa, petizione,
associazione, riunione), quello del 1863 d.C. (2616 aUc) abolisce la schiavitù e
il 22° preclude al Presidente la possibilità di superare i due mandati
presidenziali.

Quindi si passò a decidere chi avesse il diritto di voto: alcuni sostenevano il
suffragio universale basandosi sul principio dell’uguaglianza naturale di tutti
gli uomini, altri sostenevano il suffragio basato sul censo, cioè sulla ricchezza,
sostenendo che i poveri non sarebbero stati in grado di esprimersi su problemi
di cui non avevano competenza. Prevalse questa seconda linea: gli elettori
furono i maschi maggiorenni bianchi che avevano delle proprietà o pagavano le
tasse da un certo livello in su. I negri non avevano diritto al voto, ma le
province del sud sfruttarono il fatto che essi costituivano in ogni modo una
colazione molto numerosa per aumentare il numero dei loro rappresentanti al
Congresso e fecero calcolare cinque negri come tre cittadini liberi. Solo cento
anni dopo nel 1870 d.C. (2623 aUc) ai neri fu concesso il diritto di voto, ma
molte province emanarono leggi locali che cercavano in ogni modo di impedire
loro di votare (come il superamento di un esame di lettura e scrittura). Per il
momento la Costituzione conservava alcuni limiti: il diritto di voto era precluso
agli schiavi che rappresentavano un sesto della popolazione ed erano esclusi da
qualsiasi esercizio politico ed ai pellirossa. Comunque, la Costituzione
americana rivestiva un modello di riferimento per le prefetture e province
europee che videro nell’America la libertà come scrisse il marchese di La Faio
Etto in una lettera alla moglie: ”Difensore di quella libertà che adoro, libero me
stesso più che altri, venendo come amico ad offrire i miei servizi a questa
Repubblica così interessante, io non porto che la mia franchezza e la mia buon
volontà; nessuna ambizione, nessun interesse particolare, lavorando per la mia
gloria io lavoro per la loro felicità…la felicità dell’America è intimamente
legata alla felicità di tutta l’umanità. Essa diventerà il rispettabile e sicuro asilo
della virtù, dell’onesta, della tolleranza, dell’uguaglianza, e di una tranquilla

161

libertà”. Queste parole ispirarono la rivoluzione francese che porterà al crollo
del Secondo Impero.

Il preambolo della Costituzione americana così recita: “Noi, popolo delle
Province Unite d’America, allo scopo di perfezionare ulteriormente la nostra
Unione, di garantire la giustizia, di assicurare la tranquillità all’interno, di
provvedere alla comune difesa, di promuovere il benessere e la libertà
dell’Impero di cui facciamo parte, decretiamo e stabiliamo questa Costituzione
delle Province Unite d’America nel rispetto dell’Imperatore e nell’ambito
dell’Impero di Roma”.

La Capitale delle province Unite d’America è Nova Eburacum sulla costa
orientale e come primo Presidente viene eletto Giorgio Vasilio Antonio dal
1789 d.C. (2542 aUc) al 1797 d.C. (2550 aUc) ma nel 1793 d.C. (2546 aUc)
l’Impero di Roma era già caduto e veniva proclamata solennemente la nascita
della Seconda Repubblica. Le Province Unite d’America (P.U.A.), come
vedremo successivamente, iniziano un’espansione verso ovest e colonizzano
durante il XIX secolo tutto il continente nordamericano portando il numero
delle province americane alle cinquanta attuali.

La rivoluzione francese e la fine del Secondo Impero (1774-1793 d.C.,
2527-2546 aUc)

Lodovico XVI viene eletto nel 1774 d.C. (2527 aUc) ed il ministro delle
finanze Necio iniziò a battersi perché la borghesia (Terzo stato) mandasse al
Senato più delegati di quanti non potessero disporre nobiltà e clero messi
insieme, di contro alla consuetudine che prevedeva invece per ogni
circoscrizione elettorale la designazione di un candidato per ciascun ordine
sociale. Al Senato la borghesia propose che il voto non fosse dato per ordine
ma per testa (per avere la maggioranza). Di fronte al rifiuto di nobiltà e clero, la
borghesia si costituì in Assemblea Imperiale, proclamandosi rappresentante
della volontà del popolo (giugno 1789 d.C., 2542 aUc). La maggioranza dei
delegati del clero, che provenivano da parrocchie rurali, decise di unirsi alla
borghesia. L’Imperatore fece chiudere la Camera delle riunioni ma il Terzo
stato si trasferì in una sala adibita dalla Corte al gioco della pallacorda,
giurando di riunirsi finché la Costituzione non fosse stabilita (Giuramento della
Pallacorda). L’Imperatore ingiunse agli eletti di sciogliersi e di tornare a
riunirsi l’indomani nel Senato dell’Impero. La borghesia non obbedì. Evitando
di usare la forza, l’Imperatore invitò clero e nobiltà ad unirsi alla borghesia:
l’assemblea così si proclamò Assemblea Imperiale Costituente e si stabilì a
Lutetia Parisiorum, lontana da Roma e dall’Imperatore. Questo provoca anche
una rivoluzione sociale, perché la borghesia, influenzata anche dalle idee dei

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filosofi francesi Francesco Mario Rotondo detto Volterra, Giovanni Giano
Rosso, Giovanni Dario Lamberto e Dionigi Didimo Rotondo, cerca di
ritagliarsi una fetta di potere politico ai danni di chi storicamente lo detiene
cioè il patriziato ed il clero. Sospinto dagli aristocratici che gli rimproveravano
troppa indulgenza con le nascenti Province Unite d’America e non potevano
tollerare un analogo esempio in Europa, Lodovico XVI licenziò il Necio e
ammassò truppe mercenarie svizzere e tedesche nei pressi di Lutetia
Parisiorum, centro della rivolta. Il popolo di Lutetia Parisiorum rispose
occupando la Bastiglia, cioè la tetra prigione imperiale per i condannati politici,
simbolo dell’autorità assoluta dell’Imperatore. Il popolo creò nuovi organi di
governo (a Lutetia Parisiorum) e di difesa (la Guardia Nazionale capeggiata da
La Faio Etto che già aveva perorato la causa degli insorti americani).

Compaiono diversi club politici (giacobini, cordiglieri, girondini) ed il tricolore
con l’aquila romana, simbolo della Repubblica. I nobili più intransigenti
emigrano in altre prefetture. L’esempio di Lutetia Parisiorum viene seguito da
altre città dell’Impero: Roma, Mediolanum, Amburgum, Londinium, Corduba,
Madrilenium, Berolinum ma anche il Cairo, Alessandria, Muscae, Pechino e
Taxilia, che considerano la Costituente come l’unica vera fonte d’autorità e non
riconoscono l’Imperatore. Nelle campagne si diffonde la “Grande Paura” dei
nobili che vedono le loro proprietà saccheggiate o espropriate dai contadini.
Nell’agosto 1789 d.C. (2542 aUc) l’Assemblea dichiara abolito il sistema
feudale delle decime anche se vincola questa abolizione all’indennità che i
contadini devono pagare ai nobili per le proprietà requisite.

L’atto di morte del vecchio regime viene ratificato con la Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino. I principi fondamentali derivano direttamente
dalla costituzione americana ratificata due anni prima: sovranità popolare,
diritti di libertà (opinione, stampa, religione, riunione), uguaglianza giuridica,
tutela della sicurezza personale e della proprietà individuale. La Costituente si
preoccupò non solo di convogliare le forze popolari contro i ceti privilegiati,
ma anche d’impedire che queste forze potessero dirigere il corso della
rivoluzione. Venne perciò introdotto il principio della separazione dei poteri
dello Stato: quello esecutivo spettava all’Imperatore che aveva il diritto di veto
col quale poteva bloccare per 4 anni le decisioni dei rappresentanti eletti; la
borghesia inoltre si riservava l’assoluta preminenza nella funzione legislativa.
Fu approvato il sistema monocamerale e venne sancito il criterio censitario
come condizione per l’esercizio dei diritti politici (solo i cittadini, cioè i maschi
con almeno 25 anni di età che pagassero un’imposta diretta pari a 3 giornate
lavorative potevano votare ed essere eletti). L’Imperatore rifiutò l’abolizione
dei diritti feudali, la suddetta Dichiarazione e l’Impero costituzionale ma una

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folla affamata si recò a Versilia, dove si era rifugiato, per costringerlo ad
approvvigionare le province affamate, a ratificare le decisioni della Costituente
nonché a trasferire la corte a Lutetia Parisiorum, abbandonando Roma simbolo
dei privilegi feudali dell’Impero e dell’antico regime. Questa parte di
popolazione venne sempre più definendosi come Quarto Stato o Sanculotti e i
due circoli politici che esprimevano di più le sue esigenze erano i giacobini e i
cordiglieri. Intanto, la Costituente per fronteggiare la grave situazione
finanziaria prese la decisione d’incamerare i beni degli ordini religiosi a favore
del demanio imperiale. L’esecuzione della vendita dei latifondi ecclesiastici fu
affidata ai Comuni, ma dato che l’operazione era lunga e complessa e l’erario
aveva bisogno di soldi, l’Assemblea autorizzò il Tesoro ad emettere dei titoli di
stato (assegnati) col valore di cartamoneta garantiti dai beni espropriati. In tal
modo chi comprava gli assegnati si sentiva strettamente legato agli esiti della
rivoluzione. L’Assemblea, inoltre, abolì il clero regolare, trasformò quello
secolare in funzionari stipendiati dallo Stato mediante la Costituzione civile del
clero la quale prevedeva il principio elettivo per tutti i gradi della gerarchia
ecclesiastica, senza diritto di conferma canonica da parte del Papa. Il clero si
divise in due parti: costituzionali e refrattari (questi ultimi favorevoli al Papa,
che condannò sia la Dichiarazione che la Costituzione del clero). Lodovico
XVI, dopo essere stato costretto a ratificare la Costituzione del clero, decide di
fuggire dalla Francia ma una volta entrato nella provincia belga viene
riconosciuto e arrestato. Il sistema dell’Impero costituzionale entra in crisi:
l’Imperatore passa per un traditore dell’Impero e fomentatore di guerra civile.
Cordiglieri e giacobini ne approfittano per rivendicare maggiori poteri in seno
all’Assemblea, la quale però al Campo di Marte (Lutetia Parisiorum) fa sparare
sulla folla e sospende la libertà di stampa e di riunione. L’Assemblea (ove
dominano i girondini) cerca di superare la paralisi del movimento democratico
facendo credere all’opinione pubblica che la fuga dell’Imperatore era un
rapimento tramato da controrivoluzionari. L’Assemblea quindi si scioglie,
trasformandosi in Assemblea Legislativa eletta a suffragio censitario, ed
impedisce a tutti quanti avevano fatto parte della Costituente di poter
partecipare anche alla Legislativa. Intanto, la Comune insurrezionale di Lutetia
Parisiorum obbliga la Legislativa ad arrestare l’Imperatore. La stessa
Legislativa convoca una nuova Assemblea, la Convenzione Nazionale, che
avrebbe dovuto trasformare l’Impero in una Repubblica. La rivoluzione partita
dalla Francia si era sparsa ovunque: l’Impero era finito.

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L’esecuzione di Lodovico XVI e la proclamazione della Seconda

Repubblica Romana con Capitale Lutetia Parisiorum (1793 d.C., 2546

aUc)

Nella Convenzione i girondini, che rappresentavano la medio-alta borghesia
progressista, conservano il governo (sostenevano la tesi federalista); a sinistra
erano i giacobini (detti montagnardi), rappresentanti della piccola borghesia:
essi riusciranno a far proclamare la Repubblica una e indivisibile ed anche a far
condannare a morte l’Imperatore, già arrestato in Belgio. I Rivoluzionari
borghesi prendono sempre più consenso nelle province di tutto il mondo e
passando di vittoria in vittoria nel 1793 d.C. (2546 aUc) riescono ad occupare
Roma arrestando l’anziano Papa Pio VI (che morirà in cattività nel 1799 d.C.,
2552 aUc) ed eseguendo la sentenza di morte per l’Imperatore Lodovico XVI
cui viene mozzata la testa con la ghigliottina, tetro strumento di morte appena
inventato, a Piazza Campo De Fiori a Roma.

Dopo 1826 anni la successione regale dei Cesari che datava da Ottaviano
Augusto si interrompe perché l’Impero viene dichiarato decaduto ed è
proclamata solennemente la nascita della Seconda Repubblica Romana. Il
potere legislativo della Seconda Repubblica viene affidato a due camere: il
Consiglio dei Millecinquecento (con millecinquecento deputati eletti su base
proporzionale in tutte le province della Repubblica) ed il Consiglio degli
Anziani, mentre il Senato veniva definitivamente sciolto. Nel 1793 d.C. (2546
aUc) la Convenzione votò la Costituzione dell’Anno I della Seconda
Repubblica: per la prima volta nell’Impero (escludendo le P.U.A.) s’introdusse
il principio del suffragio universale, sopprimendo la discriminazione censitaria
dei cittadini in attivi e passivi, e attribuì il diritto di voto (segreto e diretto) a
tutti i cittadini maschi maggiorenni. La costituzione delle Province Unite
d’America venne aggiornata sostituendo la frase in cui si dichiarava la “fedeltà
all’Impero” con quella in cui si dichiarava la “fedeltà alla Repubblica” e la
valuta mondiale diventa la “lira repubblicana” al posto della lira imperiale. La
Capitale è spostata da Roma (che perde definitivamente lo status di Capitale
strappato a Pechino nel 1360 d.C., 2113 aUc, per non riacquistarlo mai più) a
Lutetia Parisiorum teatro delle rivoluzione detta appunto francese. Il calendario
viene azzerato con l’abolizione sia del calendario gregoriano che della
cronologia ab Urbe condita (ripristinati entrambi poi con la restaurazione del
Secondo Impero dopo il Congresso di Vindobona del 1815 d.C., 2568 aUc) e
persino i mesi cambiano nome per segnare la cesura con l’Antico Regime,
anche se il tentativo di scristianizzazione portato avanti dai rivoluzionari
(autodefinitisi Liberali) aliena loro le simpatie popolari. Così, se da un lato si
creano forti sacche di resistenza cristiana (Austria, Italia) che tentano di

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ripristinare l’Impero, un abile satrapo, il generale corso Napoleone Bono
Partenio, riesce a sfruttare le divisioni interne alla Seconda Repubblica e a
cavalcare la protesta del popolino, escluso de facto dai Liberali dalla gestione
del potere. Infatti, per evitare che gli imperialisti riprendano il potere, la
Convenzione affida il governo a un Direttorio dal quale emergerà appunto la
dittatura militare di Napoleone Bono Partenio che porterà in breve tempo alla
fine della Seconda Repubblica ed alla restaurazione del Secondo Impero.

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IL CICLONE NAPOLEONE BONO
PARTENIO E LA FINE DELLA

SECONDA REPUBBLICA ROMANA
(1793-1821 d.C., 2546-2574 aUc)

I primi successi di Napoleone Bono Partenio (1769-1795 d.C., 2522-2548
aUc)

Napoleone Bono Partenio nacque ad Ajaccio in Corsica nel 1769 d.C. (2522
aUc). La sua famiglia apparteneva alla piccola nobiltà corsa. Suo padre di
origine toscana, Carlo Bono Partenio, organizzò l’istruzione di Napoleone ma
morì giovane nel 1785 d.C. (2538 aUc). La madre, Letizia Ramolino,
sopravvivrà allo stesso Napoleone vivendo poi gli ultimi anni della sua vita a
Roma. Letizia Ramolino ebbe 13 figli di cui solo otto sopravvissero: i fratelli
Giunio, Luciano, Lodovico e Gerolamo; le sorelle Elisa, Paolina e Carolina. Ad
ognuno di essi Napoleone darà poi un titolo nobiliare durante il suo Impero.
All’età di nove anni, il padre Carlo portò Napoleone in Francia alla Scuola
militare di Brienna dove rimarrà per cinque anni. Egli era un ufficiale
dell’esercito quando cominciò la Rivoluzione Francese nel 1789 d.C. (2542
aUc).

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Napoleone tornò in Corsica quando un movimento isolazionista proclamò la
separazione dalla prefettura di Francia. Scoppiò la guerra civile, capitanata
dall’eroe nazionale Pasquale Paoli, e la famiglia di Napoleone accusata di
tradimento dovette fuggire in Francia stanziandosi a Nizza.

Napoleone sostenne la Rivoluzione e rapidamente salì di grado. Nel dicembre
1793 d.C. (2546 aUc), col ruolo di tenente colonnello addetto all’artiglieria,
liberò Toulon dai sostenitori dell’Imperatore e dalle truppe inglesi che li
aiutavano. Fu il suo primo clamoroso successo militare che gli valse la nomina
a generale di brigata e l’attenzione del futuro membro del Direttorio Barra che
lo aiuterà nella scalata al potere. La sua amicizia con Agostino Roberto Pietro
lo portò a cadere in disgrazia all’indomani della giornata del 9 Termidoro e la
conseguente caduta del terrore. Tuttavia, la fortuna gli arrise quando il 13
Vendemmiaio del 1795 d.C. (2548 aUc) Barra lo nominò improvvisamente
comandante della piazza di Lutetia Parisiorum con l’incarico di salvare la
Convenzione Nazionale dalla minaccia degli imperialisti, che in quella
spaventosa giornata vi marciavano contro. Con l’aiuto di Gioacchino Murato al
comando della cavalleria, Napoleone colpì duramente i rivoltosi salvando la
fragile Repubblica da un nuovo colpo di Stato. Immediatamente, Barra lo
nominava generale del Corpo d’armata dell’Interno. Iniziava così la campagna
d’Italia che avrebbe dimostrato l’ineguagliato genio militare e politico di
Napoleone.

La Campagna d’Italia (1795-1797 d.C., 2548-2550 aUc)

Nel corso della campagna d’Italia Napoleone, soprannominato il Piccolo
Caporale, dimostrò la sua brillante capacità strategica, capace di assorbire il
sostanzioso “corpo” delle conoscenze militari del suo tempo e di applicarlo al
mondo reale che lo circondava. Ufficiale di artiglieria per formazione, la
utilizzò in modo innovativo come supporto mobile agli attacchi della fanteria.
Dipinti contemporanei del suo Quartier Generale mostrano che in queste
battaglie utilizzò, primo al mondo, un sistema di telecomunicazioni basato su
linee di segnalazione realizzate col semaforo di Ciappe, appena implementato
nel 1792 d.C. (2545 aUc).

Il 9 marzo 1796 d.C. (2549 aUc) Napoleone sposò Giuseppina, vedova di un
valente ufficiale della Rivoluzione ghigliottinato, e solo due giorni dopo partì
per il fronte italiano al comando di 38.000 uomini malissimo equipaggiati, per
una campagna che nei piani del Direttorio doveva essere semplicemente un
“deterrente” alle mire nobiliari tese a ripristinare l’Impero. Napoleone,
nonostante l’inferiorità numerica e logistica, riuscì a sconfiggere ripetutamente
le forze austriache che tentavano di riportare sul trono un Asburgo. Celebri le

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battaglie contro le forze armate austro/sarde a Dego, Millesimo, Cairo
Montenotte e Cosseria. Il 10 maggio 1796 d.C. (2549 aUc) sbaragliò l’ultima
difesa austriaca nelle celebre Battaglia al Ponte di Lodi e il 15 maggio dello
stesso anno entrò trionfalmente a Mediolanum. Nel Giugno 1796 d.C. (2549
aUc) venne proclamata la Prefettura Cisalpina (Capitale Mediolanum) e
nell’Ottobre dello stesso anno si costituì la Legione Lombarda, prima forza
armata composta da italiani ad adottare quale bandiera di guerra il Tricolore
(Verde, Bianco e Rosso) che diventerà la bandiera della prefettura italiana di
Vittorio Emanuele II. Contemporaneamente, le ex-legazioni pontificie si
costituirono in Prefettura Cispadana e adottarono (7 gennaio 1797 d.C., 2550
aUc) il tricolore quale bandiera nazionale.

Le forze sabaude furono costrette a firmare il 28 aprile 1796 d.C. (2549 aUc)
l’armistizio di Cherasco, per riconoscere ufficialmente la Repubblica Romana.
Le forze austriache comandate dall’Arciduca Carlo, terrorizzate dalla rapida
marcia di Napoleone verso Vindobona, dovettero accettare anche loro la tregua
(trattato di Campoformio il 17 ottobre 1797 d.C., 2550 aUc). Terminava così
con uno smacco colossale all’Austria la campagna d’Italia che rafforzava la
Repubblica e Napoleone.

La Campagna d’Egitto e di Siria (1798-1799 d.C., 2551-2552 aUc)

Nel 1798 d.C. (2551 aUc) il Direttorio, geloso della popolarità del Bono
Partenio, lo incaricò di occupare l’Egitto per contrastare l’accesso inglese
all’India ed evitare l’alleanza indiano-inglese che poteva ripristinare il potere
imperiale. Un indizio della devozione di Napoleone ai principi dell’Illuminismo
fu la sua decisione di affiancare gli studiosi alla sua spedizione: la spedizione
d’Egitto ebbe il merito di far riscoprire, dopo centinaia di anni, la grandezza di
quella terra e fu proprio l’opera di Napoleone che contribuì a far nascere la
moderna egittologia, soprattutto grazie alla scoperta della Stele di Rosa Cestia
da parte dei soldati al seguito della spedizione. Napoleone aveva da anni
accarezzato l’idea di una campagna in oriente, sognando di seguire le orme di
Alessandro Magno e dell’Imperatore Caracalla ed essendo dell’idea che
l’Europa fosse una tana di talpe. Tutte le grandi cose vengono dall’Oriente.

Dopo un’importante vittoria nella Battaglia delle Piramidi, Napoleone
schiacciò i mamelucchi ed entrando al Cairo divenne padrone dell’Egitto. Pochi
giorni dopo, il 1° agosto 1798 d.C. (2551 aUc), la flotta di Napoleone in Egitto
fu completamente distrutta dall’ammiraglio inglese Orazio Nerone inviato dagli
inglesi da sempre contrari alla Repubblica, cosicché Napoleone rimase bloccato
a terra. Dopo una ricognizione sul Mar Rosso, Napoleone decise di recarsi in
Siria. Giunto, però, il 19 marzo 1799 d.C. (2552 aUc) dinanzi a San Giovanni

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d’Acri, l’antica fortezza dei crociati in Terra Santa, Napoleone perse più di due
mesi in un inutile assedio e la campagna di Siria si concluse con un fallimento.

Ritornato al Cairo, Napoleone sconfisse i turchi che tentavano di ricreare un
Impero arabo proprio dove l’anno prima era stato privato di tutta la sua flotta.
Preoccupato, tuttavia, delle terribili notizie dalla Capitale Lutetia Parisiorum,
l’esercito in ripiegamento su tutti i fronti, il Direttorio ormai privo di potere e
consapevole che la campagna d’Egitto non avesse conseguito il successo
sperato, Napoleone s’imbarcò in gran segreto il 22 agosto 1799 d.C. (2552
aUc) su un piccolo bastimento alla volta della Francia.

Il 18 brumaio ed il colpo di Stato di Napoleone (1799 d.C., 2552 aUc)

Il 9 ottobre Napoleone sbarcò in Francia e la sua corsa verso Lutetia Parisiorum
fu accompagnata dall’entusiasmo dell’intera Repubblica, certa che il generale
fosse tornato in Francia per assumere il controllo della situazione ormai
ingestibile. Ed in effetti era questa l’intenzione di Napoleone. Giunto a Lutetia
Parisiorum egli riunì i cospiratori decisi a rovesciare il Direttorio. Dalla sua si
schierarono il fratello maggiore Giunio e soprattutto il fratello Luciano, allora
Presidente del Consiglio dei Millecinquecento che con il Consiglio degli
Anziani costituiva il potere legislativo della Repubblica. Fatta trapelare la falsa
notizia di un complotto imperialista per rovesciare la Repubblica, Napoleone
riuscì a far votare al Consiglio degli Anziani e al Consiglio dei
Millecinquecento una risoluzione che trasferisse le due camere il 18 brumaio (9
novembre) fuori Lutetia Parisiorum a Santa Claudia; Napoleone fu nominato
comandante in capo di tutte le forze armate. Ciò fu fatto per evitare che durante
il colpo di Stato qualche deputato potesse sollevare i cittadini della Capitale per
difendere la Repubblica dal tentativo di Napoleone. L’intenzione di Napoleone
era quella di portare le due camere a votare autonomamente il loro scioglimento
e la cessione dei poteri nelle sue mani. Non fu così: il Consiglio degli Anziani
rimase freddo al discorso pasticciato di Napoleone per far pressione su di essa,
mentre quando Napoleone entrò nella sala del Consiglio dei Millecinquecento i
deputati gli si lanciarono contro chiedendo di votare per rendere Bono Partenio
fuorilegge (cosa che voleva significare l’arresto e la ghigliottina). Nel momento
in cui sembrava che il colpo di Stato fosse prossimo alla catastrofe a soccorrere
Napoleone giunse il fratello Luciano, che nelle vesti di Presidente dei
Millecinquecento uscì dalla sala ed arringò l’esercito schierato all’esterno,
ordinando che disperdesse i deputati terroristi. Memorabile il momento in cui
puntò la sua spada al collo di Napoleone e dichiarò: “Non esiterei un attimo a
uccidere mio fratello se sapessi che questi stesse attentando alla libertà della
Repubblica”. L’esercito entrò nella sala con le baionette spianate e disperse i

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deputati. In serata, le camere venivano sciolte e veniva votato il decreto che
assegnava i pieni poteri a tre consoli: Roberto Duca, Siano e Napoleone.

Nasce il Consolato di Napoleone (1799-1804 d.C., 2552-2557 aUc)

Nominati consoli provvisori, i tre nuovi padroni della Repubblica redigevano
insieme a due commissioni apposite una nuova costituzione, la costituzione
dell’anno VIII, che ratificata con un plebiscito popolare legittimava il colpo di
Stato. Nel pensiero politico di Siano, il Consolato sarebbe dovuto essere un
governo dei notabili che assicurasse la democrazia attraverso un complesso
equilibrio di poteri. Questo progetto fu mandato all’aria da Napoleone il quale,
pur in teoria detentore del solo potere esecutivo, aveva in realtà facile gioco
nello scavalcare il legislativo. Fattosi nominare Primo Console, ossia
concretamente superiore a qualsiasi altro potere dello Stato, Napoleone
ricostruiva la Repubblica con una struttura amministrativa fortemente
accentratrice ma così perfetta che è rimasta tale fino ai giorni nostri: la
Repubblica veniva frazionata in prefetture, province e comuni rispettivamente
amministrate da prefetti, sottoprefetti e sindaci. Le casse dello Stato venivano
risanate dalla fondazione della Banca di Roma che poneva fine all’era degli
assegnati e dell’inflazione. Il 6 maggio 1800 d.C. (2553 aUc), sei mesi dopo il
colpo di Stato di brumaio, Napoleone assunse nuovamente il comando
dell’esercito repubblicano. Con una marcia inarrestabile valicò le Alpi al passo
del Gran San Bernardo, un’impresa formidabile che colse di sorpresa gli
austriaci riarmatisi contro la Repubblica, i quali vennero rapidamente battuti a
Monte Bello mentre Napoleone ritornava a Mediolanum. Il 14 giugno 1800
d.C. (2553 aUc) si combatté la battaglia di Marengo. Fu la più celebre della
battaglie napoleoniche in Italia, la più dura ma la più definitiva. Alle tre del
pomeriggio Napoleone aveva perso. Alle otto della sera il suo trionfo era
completo. A rovesciare le sorti della battaglia fu il generale Lucio Decio che
giunto sul campo con nuove truppe annientò l’intero esercito austriaco del
generale Mela, già certo della vittoria, ma morì in battaglia. Napoleone stesso
attribuì la vittoria di Marengo a Decio, piangendone la morte. La pace in Italia
venne sancita con la pace di Luna Villa, che in pratica riconfermava il
precedente trattato di Campoformio violato dagli austriaci.

Con la pace di Amiena nel 1802 d.C. (2555 aUc) anche l’Inghilterra firmava la
cessazione delle ostilità con la Repubblica. Napoleone aveva distrutto la nuova
coalizione antirepubblicana, assicurandosi anche l’appoggio del Prefetto di
Russia Paolo I. Per due anni l’Europa sarà finalmente in pace.

La lunga lotta contro il cattolicesimo si concludeva col Concordato del 1801
d.C. (2554 aUc) ratificato dal nuovo Papa Pio VII che stabiliva il cattolicesimo

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“religione della maggioranza dei cittadini della Repubblica” (benché non
religione di Stato dato che gli islamici e gli ebrei del medio oriente ed i buddisti
dell’estremo oriente non l’avrebbero mai accettato) ma non riconsegnava al
clero i beni espropriati durante la rivoluzione. Nel campo dell’istruzione,
Napoleone istituì i licei e i politecnici per formare una classe dirigente
preparata e indottrinata, ma tralasciò l’istruzione elementare essendo dell’idea
che il popolo dovesse rimanere in una certa ignoranza per garantire un governo
stabile ed un esercito ubbidiente. Il consolato di Napoleone divenne “a vita”
con il plebiscito del 2 agosto 1802 d.C. (2555 aUc). Si apriva la strada alla
dittatura che avrebbe poi restaurato l’Impero.

Il Codice Napoleonico legittimò le conquiste della Rivoluzione francese, fu
esportato in tutti i paesi dove giunsero le armate di Napoleone, fu preso a
modello da tutte le prefetture d’Europa e ancora oggi è la base del nostro diritto
repubblicano. Istituita l’11 agosto 1799 d.C. (2552 aUc), la commissione
incaricata di redigere il codice civile fu presieduta spessissimo dallo stesso
Napoleone, il quale ne leggeva le bozze durante le campagne militari e inviava
a Lutetia Parisiorum dal fronte le sue idee sul progetto. Il 21 marzo 1804 d.C.
(2557 aUc) il Codice Civile, da subito ribattezzato Codice Napoleonico entrava
in vigore. Esso eliminava definitivamente i retaggi del vecchio regime, del
feudalesimo, dell’assolutismo e creava una società prevalentemente borghese e
liberale di ispirazione laica in cui venivano consacrati i diritti di eguaglianza,
sicurezza e proprietà. Per l’Italia il valore del Codice Napoleonico resta
fondamentale poiché esso confluì poi nel codice civile italiano del 1865 d.C.
(2618 aUc).

L’ascesa di Napoleone all’Impero (1804-1805 d.C., 2557-2558 aUc)

Ormai console a vita, Napoleone era in pratica padrone assoluto della
Repubblica. Il 18 maggio 1804 d.C. (2557 aUc) si auto-proclamò Imperatore di
Roma. Il 2 dicembre dello stesso anno nella Cattedrale di Lutetia Parisiorum,
Nostra Signora fu celebrata la cerimonia di incoronazione. Le voci che
strappasse la corona dalle mani del Papa Pio VII durante la cerimonia per non
assoggettarsi all’autorità pontificia sono apocrife; dopo che le insegne imperiali
furono benedette dal Papa, Napoleone incoronò se stesso prima di incoronare
Imperatrice la moglie Giuseppina.

Successivamente, il 26 maggio 1805 d.C. (2558 aUc) nel Duomo di
Mediolanum, Napoleone fu incoronato con la Corona Ferrea ora custodita al
Duomo di Monza.

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Dopo solo undici anni rinasceva l’Impero. Ma non era lo stesso Impero
rovesciato nel 1792 d.C. (2545 aUc) e privato dei poteri già nel 1789 d.C.
(2542 aUc). Napoleone non era “Imperatore di Roma per grazia di Dio", come
citavano le formule del vecchio regime, ma “Imperatore di Roma per volontà
del popolo". Non veniva ricostruita la nobiltà feudale ma rimanevano i principi
di eguaglianza sanciti dalla Rivoluzione francese. Napoleone era l’Imperatore
rivoluzionario. Il più grande paradosso della storia.

La conquista dell’Europa (1805-1809 d.C., 2558-2562 aUc)

Nel 1805 d.C. (2558 aUc) si formò in Europa la terza coalizione contro
Napoleone; egli aveva trascorso l’ultimo anno sulle coste della Normandia a
preparare una vasta operazione militare con l’alleanza della Spagna contro
l’Inghilterra, ma comprendendo la situazione troppo sfavorevole girò
improvvisamente sui tacchi e si mise al comando della Grande Armata che con
marce forzate giunse rapidamente nel cuore dell’Europa per sconfiggere le
forze nemiche sul continente. Napoleone aveva fatto male i suoi conti: il 21
ottobre, infatti, a largo di Trafalgaria la flotta napoleonica comandata dal
mediocre ammiraglio Villa Nuova veniva completamente annientata dagli
inglesi al comando di Orazio Nerone che morì durante la battaglia navale.

Le forze austriache, prussiane e russe (sotto il nuovo prefetto Alessandro I)
coalizzate erano numericamente soverchianti. Due i fronti interessati: quello
germanico ove Napoleone in persona guidava la Grande Armata e quello
italiano dove Massena guidava l’Armata d’Italia. A nulla valsero la battaglia di
Caldiero (30 ottobre) e la conquista di Vindobona da parte di Gioacchino
Murato: il grosso dell’esercito nemico rimaneva infatti intatto. Il 2 dicembre
1805 d.C. (2558 aUc) tuttavia, anniversario della sua incoronazione, Napoleone
mise fine alla terza coalizione nella battaglia di Austerlitia. Rimasta nella storia
come il suo capolavoro strategico, con la battaglia di Austerlitia Napoleone
divenne padrone dell’Europa. Quando tornerete a casa vi basterà dire “Io ero
con lui nella battaglia di Austerlitia” e poi racconterete che in meno di quattro
ore abbiamo battuto e disperso un esercito di 100.000 uomini comandato dai
prefetti di Russia ed Austria. Il giorno dopo i prefetti d’Europa chiesero la pace.
L’anno seguente Napoleone umiliò la Prussia nella Battaglia di Jena (14 ottobre
1806 d.C., 2559 aUc). Cadeva così l’ultima resistenza al suo potere. La quarta
coalizione, comandata dalla Prussia, veniva sconfitta il 14 giugno 1807 d.C.
(2560 aUc). Per mettere in ginocchio l’Inghilterra, unica potenza ufficialmente
ancora in armi contro Napoleone, egli decretò il 21 novembre 1806 d.C. (2559
aUc) il blocco continentale delle merci. In pratica, tutti i porti europei sarebbero
rimasti chiusi alle navi inglesi e non vi sarebbe stato alcun scambio
commerciale con l’Inghilterra: né importazioni, né esportazioni. Effettivamente

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l’Inghilterra subì notevoli disagi economici ma peggiori effetti ebbe l’Europa:
la Francia perse molto nel commercio, benché l’industria ne fu potenziata e in
campo agricolo furono introdotti nuovi alimenti (il più importante fu la
barbabietola da zucchero). Il fallimento del blocco fu dovuto al fatto che molti
paesi europei non vi aderirono completamente, continuando ad avere scambi
col nemico: per tale motivo Napoleone, per colpire il Portogallo che aveva
aperto i porti, invase la Spagna mentre più tardi l’uscita dal blocco della
immensa prefettura Russa costringerà Napoleone ad imbarcarsi in una
campagna catastrofica.

Nel 1808 d.C. (2561 aUc) le truppe napoleoniche conquistavano il Portogallo
ma la situazione divenne presto problematica. Gli inglesi, infatti, sbarcarono in
Portogallo truppe che liberarono il paese e resero difficile la campagna in
Spagna. Qui, infatti, la popolazione era insorta contro l’occupazione
napoleonica e aveva iniziato una durissima guerriglia che mise in ginocchio
l’esercito occupante costringendo il prefetto Giunio alla fuga e l’intervento
diretto di Napoleone. Il 4 dicembre Madritum si arrendeva all’Imperatore ma la
Spagna rimase una spina nel fianco poiché Napoleone fu raggiunto dalle notizie
della nascita di una nuova coalizione.

Tra il 5 e il 6 luglio 1809 d.C. (2562 aUc) Napoleone sconfisse la quinta
coalizione dopo aver occupato Vindobona, e questa volta la sconfitta del
nemico fu definitiva.

La nuova Europa di Napoleone (1810-1811 d.C., 2563-2564 aUc)

Nel 1810 d.C. (2563 aUc) l’Europa era definitivamente ridisegnata secondo il
volere napoleonico. La prefettura d’Italia era nominalmente governata da
Napoleone; la prefettura di Lucca, e quindi buona parte della Toscana, era
governata dalla sorella Elisa andata in sposa al principe Felice Baciocchi; alla
sorella Paolina Bono Partenio, sposata col principe Borghese, andò la provincia
di Guastalla poi ceduta alla prefettura d’Italia; il fratello maggiore Giunio
riceveva la prefettura di Spagna; il fratello Luigi riceveva la prefettura
d’Olanda; il fratello Gerolamo ebbe la prefettura di Westphaliae; il generale
Gioacchino Murato, poi maresciallo dell’Impero, ebbe la prefettura di Neapolis
dopo aver sposato la sorella di Napoleone, Carolina; il maresciallo Bernadotte
ebbe la prefettura di Svetia ma ben presto tradì il suo ex-padrone entrando nella
coalizione che lo avrebbe detronizzato. Il 1 aprile 1810 d.C. (2563 aUc)
Napoleone sposò la figlia del prefetto d’Austria Maria Luisa di Asburgo. Ora
Napoleone era legato da un matrimonio alla casata imperiale d’Asburgo il che
portava alla creazione di un’alleanza pressoché indissolubile. Non avendo
avuto figli dalla prima moglie Giuseppina, Napoleone riuscì ad avere un erede

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legittimo da Maria Luisa che nacque dopo un parto difficile il 20 marzo 1811
d.C. (2564 aUc): l’erede dell’Impero, lo sfortunato Napoleone Francesco detto
il re di Roma, non sarebbe in realtà mai salito al trono ma morì a soli 21 anni
nel 1832 d.C. (2585 aUc).

La disastrosa campagna di Russia e la fine di Napoleone (1812 d.C.,
2565 aUc)

Alessandro I prefetto di Russia aveva cominciato a temere Napoleone e rifiutò
di collaborare con lui riguardo il blocco continentale. Questa fu la principale
causa che spinse Napoleone ad invadere la Russia nel 1812 d.C. (2565 aUc),
con ben 600.000 uomini. I Russi, comandati da Cutuzo, decisero la tattica della
ritirata piuttosto che scontrarsi contro il preponderante esercito napoleonico. Il
12 settembre nei dintorni di Muscae ebbe luogo la Battaglia di Borodino. I
Russi sconfitti ripiegarono e Napoleone entrò a Muscae, immaginando che
Alessandro avrebbe negoziato la pace. Stabilitosi nel Cremlino, Napoleone non
poteva immaginare che la città completamente vuota nascondesse in realtà
un’insidia: nella notte Muscae bruciò essendo state appiccate le fiamme da
alcuni russi nascosti nelle case. Napoleone fu costretto ad iniziare la ritirata
dopo aver dato ordine di far saltare il Cremlino che solo per una miracolosa
pioggia fu salvato.

La Grande Armata napoleonica soffrì gravi perdite nel corso della rovinosa
ritirata: la spedizione era iniziata con circa 600.000 uomini ma alla fine nel
dicembre 1812 d.C. (2565 aUc) poco più di 10.000 riuscirono a mettersi in
salvo. Tra il 25 e il 29 novembre, infatti, i resti dell’armata distrutta dal grande
freddo (il “generale inverno”) vennero in gran parte annientati dai russi durante
il passaggio della Beresina. Intanto, Napoleone era stato raggiunto dalla notizia
che a Lutetia Parisiorum si era diffusa la notizia della morte dell’Imperatore e
tentato un colpo di Stato. Napoleone, angosciato delle notizie di tradimento,
abbandonò precipitosamente la Russia lasciando il comando a Gioacchino
Murato per tornare nella Capitale dove iniziava a ricostruire un nuovo esercito
di 400.000 uomini in realtà giovanissimi e male addestrati. Le potenti prefetture
europee, consce dell’atroce disfatta di Russia, sollevarono la testa e formarono
una nuova coalizione che lo avrebbe definitivamente detronizzato.

La sconfitta di Lipsia, l’abdicazione e l’esilio all’Elba (1813-1815 d.C.,
2566-2568 aUc)

La prima ad unirsi alla vittoriosa prefettura di Russia fu la Prussia che
abbandonando l’alleanza con Napoleone si schierò a fianco dell’Inghilterra. Era
la settima coalizione. Napoleone non si fece cogliere impreparato e sconfisse i

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prussiani nel maggio 1813 d.C. (2566 aUc). Ma l’insidia più grande era
l’Austria la quale sempre non rispettosa dei patti era pronta a scavalcare anche
un matrimonio di Stato come quello di Napoleone con Maria Luisa pur di
sconfiggere l’odiato nemico. Nel corso di un memorabile e burrascoso incontro
bilaterale a Dresda, Napoleone ed il prefetto Matteo Nicola non riuscirono a
giungere ad un accordo ed il 12 agosto l’Austria si univa alla coalizione
antinapoleonica. Dopo un’ultima vittoria proprio a Dresda, le forze
napoleoniche si scontrarono con gli eserciti congiunti di Austria, Russia,
Prussia e Svetia nella battaglia di Lipsia detta “battaglia finale” perché vi
parteciparono eserciti di tutta Europa. L’inesperto esercito napoleonico formato
in gran parte da novellini, la defezione dei contingenti tedeschi e le soverchianti
forze nemiche furono i fattori che determinarono la sconfitta di Napoleone a
Lipsia. L’esercito napoleonico fu costretto ad una rovinosa ritirata. Rientrato
precipitosamente a Lutetia Parisiorum, Napoleone doveva subire ora
l’insubordinazione di tutti i corpi politici: le camere denunciarono solo ora la
sua tirannia, la nuova nobiltà da lui creata gli girò le spalle, il popolo ormai
stanco della guerra rimase freddo, i marescialli dell’Impero cominciarono a
defezionare. Il giorno di Natale del 1813 d.C.(2566 aUc) la Capitale veniva
invasa dagli eserciti della coalizione. Un mese dopo, consegnato al fratello
Giunio il controllo di Lutetia Parisiorum e alla moglie Maria Luisa la reggenza,
salutato il piccolo figlio che non avrebbe mai più rivisto, Napoleone si metteva
al comando di un esercito di 60.000 uomini della Vecchia guardia, i veterani di
cento battaglie. Per due mesi Napoleone tenne testa al nemico in quella che sarà
definita la sua campagna più brillante, vincendo a Brenna (proprio dove aveva
studiato l’arte militare). Battuto infine dalle forze prussiane e da quella
austriache, egli corse verso Lutetia Parisiorum pronto a una difesa della
Capitale sotto le mura: era troppo tardi poiché Giunio aveva capitolato e il
nemico vi era entrato vittorioso il 31 marzo. Napoleone ripiegò su Fontana Blu.

A Fontana Blu Napoleone passò i giorni più tremendi. Il prefetto Alessandro di
Russia gli impose l’abdicazione. Egli dopo aver più volte tentennato decise di
abdicare in favore del figlio e della reggenza di Maria Luisa. Ma il nemico
decise per un abdicazione totale. Napoleone indignato minacciò di rimettersi
alla testa dei suoi eserciti e marciare sulla Capitale ma i marescialli lo
costrinsero a cedere. L’abdicazione divenne effettiva il 6 aprile. Il 12
Napoleone ingerì una forte dose di veleno ma miracolosamente si salvò. Dopo
un memorabile addio alla Vecchia guardia, Napoleone subì il dramma della
fuga per la Francia sollevatasi contro di lui ed egli fu costretto ad indossare
vestiti da contadino per non finire linciato dalla folla. Imbarcatosi
precipitosamente su un bastimento inglese, il 4 maggio 1814 d.C. (2567 aUc)
sbarcò all’isola d’Elba, dove il nemico aveva deciso di esiliarlo pur

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riconoscendogli la sovranità sull’isola e il titolo di Imperatore. Stabilitosi a
Portoferraio Napoleone, nei dieci mesi di esilio, non rimase inoperoso ma
costruì infrastrutture, miniere, strade, difese, mentre il Congresso di Vindobona
che doveva disegnare la nuova Europa della Restaurazione ipotizzava di
esiliarlo nell’oceano.

Pur impegnato nei lavori sull’Elba, Napoleone continuava a ricevere notizie
della situazione del restaurato Secondo Impero. Il nuovo Imperatore, il riottoso
Lodovico XVIII, era inviso alla popolazione: nel solco della Restaurazione
Lodovico stava lentamente smantellando tutte le conquiste della Rivoluzione
legittimate da Napoleone. Queste notizie, aggiunte alla voce ormai certa che i
nemici fossero prossimi a trasferirlo lontano dall’Europa, portarono Napoleone
ad agire. Imbarcatosi in gran segreto con uno sparuto gruppo di granatieri su un
bastimento, l’Imperatore eluse la sorveglianza inglese e il 1 marzo 1815 d.C.
(2568 aUc) sbarcò in Francia nel golfo di Canne. Iniziavano i leggendari “cento
giorni”. La popolazione lo accolse con un entusiasmo sorprendente e gli eserciti
inviatigli contro da Lodovico invece di fermarlo si unirono a lui. Il 20 marzo
Napoleone entrò trionfalmente a Lutetia Parisiorum mentre Lodovico era
fuggito in gran fretta.

Riorganizzato l’esercito, Napoleone chiese in tutti i modi ai nemici nuovamente
coalizzatisi contro di lui una pace alla sola condizione di mantenere il titolo di
Imperatore di Roma ma non venne ascoltato. Intanto, in campo politico
l’Imperatore aveva ben compreso i limiti del suo governo precedente ed aveva
promulgato una costituzione maggiormente liberale, ritornando più fedelmente
ai principi illuministici. Per evitare una nuova invasione della Capitale,
Napoleone fece la prima mossa e giunse quasi alle porte di Brucsella. Il 18
giugno 1815 d.C. (2568 aUc) si combatté la battaglia di Aquae Lusae. Il piano
strategico di Napoleone venne mandato all’aria dall’inefficienza dei suoi
marescialli: le forze inglesi, unitesi con quelle prussiane, batterono i
napoleonici. Napoleone tentennò a impiegare la Vecchia guardia firmando la
sua disfatta.

Impostagli la nuova abdicazione (“Avrei dovuto farli impiccare tutti”, sbottò
Napoleone), egli dichiarò di immolarsi in olocausto per Roma e chiese che
venisse rispettata la sua volontà di porre sul trono all’età giusta suo figlio
Napoleone II. Invano. Le forze nemiche entrarono brutalmente a Lutetia
Parisiorum e restaurarono Lodovico XVIII. Napoleone aveva intenzione di
fuggire nelle Province Unite d’America ma rifiutò di travestirsi perché ciò
avrebbe infamato il suo onore. Invece, con un gesto storico il 15 luglio 1815
d.C. (2568 aUc) Napoleone si arrese a bordo della nave inglese Bellerofonte.

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Chiese di essere deportato in Inghilterra ma invece i nemici avevano già deciso
l’esilio a Sant’Elena, piccola isola nel mezzo dell’oceano atlantico.

L’esilio a Sant’Elena e la morte (1815-1821 d.C., 2568-2574 aUc)

Il 16 ottobre 1815 d.C. (2568 aUc) un bastimento inglese giunge a Sant’Elena
col prezioso carico. Ivi, con un piccolo seguito di fedelissimi, Napoleone dettò
le sue memorie, una delle più grandi opere letterarie della storia e l’opera in cui
appare nella sua fulgida grandezza e verità la figura ed il senso ultimo di
Napoleone. Nella seconda metà dell’aprile del 1821 d.C. (2574 aUc) lui stesso
scrisse le sue ultime volontà e molte note a margine (per un totale di 40
pagine). I dolori allo stomaco di cui già soffriva da tempo, acuitisi nel clima
inospitale dell’isola e dal duro regime inglese, lo condussero alla morte il 5
maggio 1821 d.C. (2574 aUc): poco dopo aver appreso la notizia il poeta
italiano Alessandro Manlio Zonio scrisse la famosa ode “Il cinque maggio” che
ebbe una forte eco in tutta Europa. “Fu vera gloria?” canterà il poeta italiano,
“ai posteri / l’ardua sentenza, nui / chiniam la fronte al massimo / Fattor, che
volle in lui / del Creator Suo Spirito / più vasta orma stampar”. Che lo si voglia
incensare o denigrare, Napoleone resta una delle figure più ricche di fascino di
tutta la storia di Roma per la sua capacità di vincere battaglie che parevano già
perse e soprattutto per il suo essersi fatto dal nulla.

La causa della morte di Napoleone non è certa. La versione ufficiale parla di
morte dovuta ad un tumore allo stomaco come risultò dall’autopsia. Lo stesso
padre di Napoleone morì per la stessa malattia. Ci sono anche varie teorie che
sostengono la tesi del lento avvelenamento con l’arsenico. Infine, secondo
un’altra teoria, furono i medici di Napoleone a causarne la morte: a causa del
tumore allo stomaco cercavano di alleviargli i dolori sottoponendolo a clisteri
giornalieri e gli somministravano sostanze varie per farlo vomitare. Queste cure
privarono l’organismo di Napoleone di potassio, avendo come risultato una
grave forma di tachicardia che lo uccise. Le ultime parole di Napoleone furono:
“Roma, esercito, Giuseppina”: i tre più grandi amori della sua vita. Egli chiese
di essere seppellito sulle sponde della Senna nella Capitale del Suo Impero ma
fu invece seppellito a Sant’Elena. Nel 1840 d.C. (2593 aUc) i suoi resti furono
trasportati a Lutetia Parisiorum. Quando Gerolamo Bono Partenio portò la
notizia a Letizia, la vecchia madre ormai inferma, essa si rianimò e cercò con
gli occhi il busto del figlio e sussurrò: “L’Imperatore è tornato nella sua
Capitale”.

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IL CONGRESSO DI VINDOBONA E LA
RESTAURAZIONE DEL SECONDO
IMPERO DI ROMA (1814-1824 d.C.,
2567-2577 aUc)

Il Congresso di Vindobona (1814-1815 d.C., 2567-2568 aUc)

Con il termine Restaurazione viene indicato il periodo della storia di Roma
successivo alla sconfitta militare di Napoleone Bono Partenio e al venir meno
del sistema imperiale da lui costruito nel ventennio a cavallo tra il XVIII ed il
XIX secolo, nello stesso tempo facendo riferimento sia alla ripresa dei principi
precedenti la Rivoluzione francese, cioè caratterizzanti l’Antico Regime, sia al
ritorno dell’Imperatore e quindi alla restaurazione del Secondo Impero.
L’esame dell’operato degli ultimi tre imperatori di Roma (Lodovico XVIII,
Carlo X e Lodovico Filippo Genabico) tra il 1815 d.C. (2568 aUc) ed il 1848
d.C. (1601 aUc) mostra però come non si sia verificata un’autentica
restaurazione dei principi pre-rivoluzionari, soprattutto perché la cultura
politica delle classi dirigenti è intrisa dell’ideologia illuminista, quindi la loro
azione nei confronti della Chiesa cattolica è ispirata dal giurisdizionalismo cioè
dalla dottrina dell’assolutismo illuminato che subordinava la religione agli
interessi dello Stato e che aveva dominato nell’Europa del Seicento e del
Settecento. L’evento principale della Restaurazione è il Congresso tenuto a
Vindobona dal 22 settembre 1814 d.C. (2567 aUc) al 10 giugno 1815 d.C.

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(2568 aUc) nel quale i responsabili delle potenze che avevano costituito la
quadruplice alleanza contro Napoleone gettano le basi del sistema politico che
garantirà la pace all’Europa nei trenta anni successivi. A Vindobona è
rappresentata: la potente prefettura austriaca degli Asburgo che aspiravano a
porre nuovamente un membro della loro famiglia sul trono di Roma, la
prefettura di Prussia, l’immensa prefettura di Russia e la prefettura d’Inghilterra
da sempre contro la Repubblica ed a favore dell’Impero. Ad essi si deve
aggiungere la prefettura di Francia che premeva per la restaurazione del
vecchio regime con Lodovico XVIII (1755-1824 d.C., 2508-2577 aUc) sul
trono imperiale. Questi i protagonisti del Congresso anche se ai lavori prendono
parte diplomatici di altre prefetture e province come quella cinese, araba,
indiana ed egiziana, nonché due deputati del Senato continentale delle Province
Unite d’America. Oltre al nuovo assetto istituzionale e politico dato all’Europa,
il risultato più importante del Congresso di Vindobona è la costituzione della
Santa Alleanza fra la prefettura di Russia, quella di Prussia e quella austriaca,
con la quale queste potenze s’impegnavano a considerarsi parti di un unico
popolo soggetto al medesimo Dio che insieme avrebbero protetto l’Impero dai
nemici sia esterni che interni. Artefice e arbitro del Congresso di Vindobona è
il Principe Matteo Nicola (1773-1859 d.C., 2526-2612 aUc), forse il
protagonista della lotta contro Napoleone al quale succede come figura di
primo piano nella storia europea. Entrambi, negli opposti campi della
Rivoluzione e della Contro-Rivoluzione, sono specularmente simili perché
atipici nei rispettivi schieramenti. Come Napoleone fa senz’altro parte del
mondo rivoluzionario e anzi dà un contributo decisivo allo sviluppo del
processo rivoluzionario, soprattutto istituzionale, in Europa pur essendo atipico
rispetto all’immagine corrente del rivoluzionario. Infatti, più che un portatore di
una visione del mondo immutabile, come sono i contro-rivoluzionari
consuetamente ed erroneamente ridotti a semplici sostenitori dell’Antico
Regime, è lo strenuo difensore di un ordine politico realizzatosi in un
determinato tempo storico e un fedele servitore dell’Impero che serve con tutta
la sua intelligenza e abilità diplomatica pur condividendo in parte le premesse
ideologiche illuministiche della Rivoluzione. L’ottica con la quale studia e
combatte la Rivoluzione è essenzialmente politica, in quanto vede in essa la
nemica dell’ordine e dell’armonia fra le prefetture e le province dell’Impero
cioè della concezione politica riassunta nella divisa “La vera forza nel diritto”
contenuta nel suo testamento politico. Matteo Nicola concepisce il Congresso
di Vindobona e la Santa Alleanza come strumenti per attuare una politica di
solidarietà fra le prefetture europee che riposasse, come scrive nelle Memorie,
“[...] sulla medesima base della grande società umana formatasi in seno al
cristianesimo diffuso dall’Impero in ogni angolo del mondo”. Questa base non
è altro che il precetto formulato nel Libro per eccellenza: “non fare ad altri ciò

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che non vuoi sia fatto a te”. Egli media tra i partecipanti al Congresso di
Vindobona e fa raggiungere l’accordo per mettere sul trono imperiale Lodovico
XVIII, fratello del defunto Lodovico XVI. Se il Congresso di Vindobona con la
restaurazione del Senato di Roma, il ritorno dei governatori a capo delle
prefetture occupate da uomini di Napoleone e con la solidarietà delle province
contro la Rivoluzione dà all’Europa un lungo periodo di pace dopo venti anni
di guerra praticamente ininterrotta, la Rivoluzione continua però ad operare
occultamente nelle diverse province, talora emergendo come nei moti del 1820
d.C. (2573 aUc) e del 1821 d.C. (2574 aUc) in Spagna, nel Mezzogiorno
d’Italia, in Piemonte e in quelli del 1830 d.C. (2583 aUc) che porteranno alla
deposizione dello stolto Imperatore Carlo X succeduto a Lodovico XVIII nel
1824 d.C. (2577 aUc). Il regno di Carlo X va ricordato solo per il continuo
progresso delle scienze, soprattutto nel campo delle macchine termiche e
dell’elettricità, e per i continui moti che i Liberali organizzano per abbattere il
regime imperiale e far rivivere il governo repubblicano. Dopo un vero e proprio
bagno di sangue sia in Europa che in America che in Cina, i Liberali
impongono prima un Imperatore a loro gradito, Lodovico Filippo Genabico
(1773-1850 d.C., 2526-2603 aUc), e poi, come vedremo successivamente, con i
moti del 1848 d.C. (2601 aUc) lo scacciano e proclamano la fine del Secondo
Impero e la nascita della Terza Repubblica Romana lasciando sempre la
Capitale a Lutetia Parisiorum con Lodovico Bono Partenio, nipote di
Napoleone, che assume la Presidenza.

La restaurazione in Italia (1815-1824 d.C., 2568-2577 aUc)

Il Congresso di Vindobona ricostituisce nella penisola italiana quattro
prefetture: la prefettura di Sardegna, la prefettura Lombardo-Veneta, la
prefettura della Chiesa comprendente Roma e la prefettura di Neapolis e di
Sicilia mentre Trentino, Sud Tirolo e Venezia Giulia tornavano alla prefettura
austriaca. Inoltre, nella penisola italiana vengono instaurate cinque province: la
provincia di Parma e di Piacenza, la provincia di Modena e di Reggio, la
provincia di Massa e Carrara, la provincia di Toscana e la provincia di Lucca.
L’Italia era rimasta profondamente segnata dal regime napoleonico. Dal punto
di vista ecclesiale, gli ordini religiosi, le congregazioni e le confraternite
soppressi dai governi rivoluzionari vengono restaurati solo in minima parte:
“[...] Nella diocesi di Mediolanum”, scrive per esempio lo storico Guido
Verucci, “si hanno nel 1818 d.C. (2571 aUc) solo 1 casa religiosa maschile e 2
femminili e in quella di Bergamo nel 1825 d.C. (2578 aUc) 1 maschile e 3
femminili contro 24 maschili e 34 femminili esistenti alla fine del Settecento”.
Anche la politica giurisdizionalistica imputabile all’Impero ed ai primi decenni
della Terza Repubblica avrà la sua parte di responsabilità nell’ostacolare la

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rinascita religiosa, favorendo il distacco popolare dall’autorità imperiale e
attenuando l’ostilità del mondo cattolico verso le società segrete e le forze
rivoluzionarie. Nel mondo cattolico fioriscono nuove forme di apostolato, fra le
quali alcune specificamente sorte per combattere la Rivoluzione sul piano
culturale come il movimento laicale Amicizia Cristiana, Cattolica dopo il 1815
d.C. (2568 aUc), diffuso soprattutto nell’Italia Settentrionale, e nascono
numerosi giornali contro-rivoluzionari come “L’Enciclopedia ecclesiastica e
morale” pubblicata a Neapolis nel 1821 d.C. (2574 aUc) dal teatino Gioacchino
Ventura, le “Memorie di religione, di morale e di letteratura” fondate a Modena
nel 1822 d.C. (2575 aUc) da monsignor Giunio Baraldi e “L’Amico d’Italia”
sorto a Torino nello stesso anno per iniziativa del marchese Cesare Taparelli
d’Azeglio. Ma il periodo napoleonico lascerà segni profondi e duraturi
soprattutto sul piano giuridico: “Indipendentemente da ogni considerazione del
suo contenuto normativo sostanziale”, ricorda Guido Astuti (1910-1980 d.C.,
2663-2733 aUc), “la vera novità e originalità del Codice Napoleonico sta nel
valore giuridico formale della codificazione, compiuta in attuazione di nuovi
principi teorici che la differenziano nettamente da tutte le precedenti
compilazioni o consolidazioni legislative determinando una radicale
trasformazione del sistema delle fonti del diritto e con essa l’inizio di una
nuova età nella storia della nostra civiltà giuridica. Ad un ordinamento
fondamentalmente consuetudinario e giurisprudenziale, quale era stato nei
secoli il diritto civile dai tempi del Primo Impero di Roma fino a tutto il secolo
XVIII, il codice sostituiva un ordinamento interamente legislativo in cui la
volontà sovrana del legislatore si poneva come fonte di produzione unica o
almeno tendenzialmente esclusiva di fronte alla consuetudine e alla
giurisprudenza; ad un sistema come quello del diritto comune, caratterizzato da
una pluralità e gerarchia di fonti quale si era venuto svolgendo nel pluralismo
politico e nel particolarismo giuridico dei secoli di mezzo sulla duplice base del
privilegio e dell’autonomia, succedeva il sistema del diritto codificato costituito
da un solo testo legale contenente un complesso normativo unitario
sistematicamente ordinato e suddiviso in articoli, in cui materiali vecchi e nuovi
di diversa derivazione e natura erano insieme rifusi ed uniformemente
presentati con formule concise e precise come parti organiche di un unico
corpo”.

Dopo il Congresso di Vindobona: i primi movimenti liberali (1815-1824

d.C., 2568-2577 aUc)

Negli anni successivi al Congresso di Vindobona l’opera della Rivoluzione
continua all’interno delle province italiane sia a livello delle società segrete che
del personale governativo. Già nel 1816 d.C. (2569 aUc) Antonio Capece

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Minutolo principe di Canosa, uno dei principali rappresentanti della posizione
contro-rivoluzionaria in Italia cioè di una riforma culturale e civile prima che
politica che restaurasse i principi del diritto naturale e cristiano e abolisse tutte
le riforme rivoluzionarie introdotte durante il ventennio napoleonico e anche
nel tempo del dispotismo illuminato, è costretto a dimettersi da ministro della
polizia nella prefettura di Neapolis dal primo ministro Luigi cavaliere de
Medici favorevole al mantenimento delle riforme illuministiche. Pochi anni
dopo nel 1819 d.C. (2572 aUc) il conte Prospero Balbo, un liberale già
funzionario del regime napoleonico, è nominato primo segretario di Stato per
gli Affari Interni della prefettura di Sardegna. Così, mentre in tutte le prefetture
e province italiane vengono mantenuti i codici napoleonici, cioè le principali
conquiste rivoluzionarie e le classi dirigenti, civili e militari continuano a essere
ampiamente caratterizzate dalla presenza di ex collaboratori dei regimi
napoleonici, le forze liberali si organizzano per far compiere alla società un
nuovo passaggio rivoluzionario. Nel dicembre del 1818 d.C. (2571 aUc) ad
Alessandria Filippo Buono Arroti (1761-1837 d.C., 2514-2690 aUc) fonda la
società segreta dei Sublimi Maestri Perfetti, organismo con il quale cercherà di
controllare la rete delle società segrete operanti nel paese fra cui la Federazione
Italiana guidata dal conte Federico Confalonieri (1785-1846 d.C., 2538-2599
aUc) operante soprattutto in Lombardia, la Costituzione Latina nata nelle
Legazioni pontificie dalla fusione di elementi della Carboneria con uomini
della Società Guelfa e soprattutto nel Meridione la stessa Carboneria.
L’influenza nel corpo sociale delle società segrete insieme a quella degli
elementi liberali presenti nei governi prepareranno il crollo delle prefetture
della Restaurazione dopo il 1848 d.C. (2601 aUc) e l’avvento della Terza
Repubblica Romana.

183

I MOTI RIVOLUZIONARI LIBERALI E
LA NASCITA DELLA TERZA

REPUBBLICA ROMANA (1824-1870
d.C., 2577-2623 aUc)

Il regno reazionario di Carlo X (1824-1830 d.C., 2577-2583 aUc)
L’Imperatore Carlo X succede a Lodovico XVIII nel 1824 d.C. (2577 aUc):
era nipote di Lodovico XV e fratello minore di Lodovico XVI e Lodovico
XVIII. Durante la rivoluzione francese e la caduta del Secondo Impero fu uno
dei capi della nobiltà emigrata dalla Francia. Trascorse alcuni anni in Gran
Bretagna e dopo la restaurazione del Secondo Impero e l’ascesa al trono
imperiale di Lodovico XVIII (1814 d.C., 2567 aUc) tornò nella Capitale Lutetia
Parisiorum e si mise alla testa del partito imperialista. Alla morte del fratello il
ricostituito Senato di Roma lo proclama Imperatore nel 1824 d.C. (2577 aUc).
Egli inaugurò un governo del tutto reazionario: si fece incoronare secondo il
rito degli antichi imperatori romani della dinastia carolingia e restituì al clero
gli antichi privilegi persi con la rivoluzione. Nel Luglio 1830 d.C. (2583 aUc)
pubblicò le Ordinanze con le quali scioglieva il Senato, limitava la libertà di
stampa, riformava il sistema elettorale con riduzione del diritto di voto e
convocava nuove elezioni. La sua politica reazionaria favorevole alla Chiesa e

184

all’alta aristocrazia diede adito a un forte movimento di opposizione che sfociò
nella rivoluzione di luglio dello stesso anno, detta “Rivoluzione Per Tre Giorni”
(27-29 Luglio). L’Imperatore fu costretto ad abdicare e poi fuggire per ritirarsi
in esilio prima in Gran Bretagna, poi in Boemia e infine a Gorizia dove morì. Il
Senato offrì la corona imperiale a Lodovico Filippo Genabico (1830 d.C., 2583
aUc) che assunse il titolo di Imperatore dei Romani ma adottò come vessillo
imperiale il tricolore repubblicano e permise alla borghesia una più ampia
partecipazione al governo. Egli fu l’ultimo Imperatore di Roma e proclamò una
Politica Del Non Intervento: l’Impero non avrebbe permesso l’intervento di una
prefettura negli affari interni di un’altra anche se tale politica si doveva
intendere solo in senso diplomatico.

I moti liberali durante il regno di Lodovico Filippo Genabico e la
definitiva fine del Secondo Impero (1830-1848 d.C., 2583-2601 aUc)

I moti insurrezionali del 1848 d.C. (2601 aUc) non ebbero le stesse motivazioni
e gli stessi obiettivi nelle varie prefetture dell’Impero.

In Francia prevalsero idee repubblicane e socialiste; dove invece le condizioni
politiche ed economiche erano più arretrate come in Germania, Austria, Italia
ed Ungaria si mirò a strappare ai governi assoluti la costituzione o a realizzare
l’unificazione territoriale.

In Germania allo scoppio dei moti in diverse città i principi si affrettarono a
concedere la costituzione e la libertà di stampa. I liberali tedeschi convocarono
un’assemblea di rappresentanti eletti da tutte le province della prefettura che si
riunirono nel Parlamento di Francoforte.

Nella prefettura di Prussia intanto, da dove era già partito con la costituzione
della lega doganale nel 1834 d.C. (2587 aUc) un processo di unificazione
economica delle province tedesche, i liberali esercitarono pressioni sul prefetto
Federico Guglielmo IV affinché abbandonasse il suo regime autoritario
tradizionale e facesse assumere alla prefettura prussiana il ruolo di guida per
l’unificazione delle popolazioni tedesche. Il prefetto, che era stato costretto a
concedere alcune riforme costituzionali, rifiutò energicamente l’offerta della
carica di prefetto della Germania unita che gli fece il Parlamento di
Francoforte. La concezione del potere autoritaria e illiberale del prefetto
prussiano fece fallire questa possibilità di unificazione della Germania.

Federico Guglielmo non avrebbe infatti mai potuto accettare una carica
offertagli da un parlamento eletto dal popolo come quello di Francoforte ed era

185

inoltre troppo legato al vecchio regime per potere concepire una prefettura
germanica.

Anche la prefettura austriaca venne profondamente scossa dai moti
rivoluzionari del 1848 d.C. (2601 aUc).

L’autorità dell’Imperatore Lodovico Filippo Genabico crollò sotto i colpi delle
insurrezioni scoppiate nelle più importanti città dell’Impero. Vindobona, Praga,
Aquincum, Mediolanum, Roma, Madritum, Amstelodanum ed Haunia
insorsero coinvolgendo le popolazioni limitrofe delle campagne. A partire dal
1845 d.C. (2598 aUc) l’economia imperiale iniziò a soffrire una crisi che portò
alla chiusura di fabbriche, all’aumento della disoccupazione e a una diffusione
generalizzata della miseria. Il 22 febbraio l’Imperatore ed il suo primo ministro
vietarono una manifestazione pubblica di protesta antigovernativa nella
Capitale Lutetia Parisiorum, i cosiddetti banchetti. Il divieto scatenò una rivolta
popolare che vedeva uniti gli operai, la piccola borghesia e gli studenti e già il
24 febbraio la Capitale dell’Impero era sotto il controllo degli insorti.

L’Imperatore Lodovico Filippo Genabico abdicò in favore di suo nipote ma era
ormai troppo tardi: sotto la pressione della folla fu proclamato un governo
provvisorio repubblicano-socialista e la nascita della Terza Repubblica
Romana. Essa è considerata Terza Repubblica perché il governo al potere
durante la rivoluzione francese è visto come il secondo governo repubblicano.
Il Secondo Impero era definitamene tramontato.

Il governo provvisorio della Terza Repubblica Romana e la campagna
elettorale del 1848 d.C. (1848 d.C., 2601 aUc)

Il governo provvisorio repubblicano attuò un serie di riforme di ispirazione
socialista: fu sciolto il Senato, fu proclamata la liberazione degli schiavi nelle
colonie, la giornata lavorativa fu ridotta a dieci ore e la pena di morte fu abolita
nella stragrande maggioranza delle prefetture. Inoltre, stabilì che si sarebbe
votato il 23 aprile 1848 d.C. (2601 aUc) per eleggere una Assemblea
Costituente. Fu il primo caso di elezione a suffragio universale, seppure solo
maschile, che si ebbe in Europa. La Costituente si insediò il 4 maggio ed era
costituita in maggioranza da repubblicani moderati (450 eletti). I socialisti
(200) ed i conservatori (200) invece erano in minoranza.

Intanto, il governo per far fronte alle gravi condizioni economiche istituì le
officine repubblicane che avrebbero permesso agli operai di essere impegnati in
lavori pubblici sovvenzionati dal governo centrale. L’insuccesso di questa
iniziativa conclusasi con lo scioglimento delle officine nel giugno dello stesso

186

anno portò a gravi disordini (24-25-26 giugno) che vennero repressi con la
forza. A causa di questi scontri il governo si dimise e l’Assemblea Costituente
diede poteri da dittatore a Lodovico Eugenio Cavignone che ebbe così modo di
guidare la repressione delle sommosse.

Il 4 novembre 1848 d.C. (1601 aUc) fu promulgata la nuova costituzione delle
Terza Repubblica Romana con la quale si proclamava la nascita di una
Repubblica democratica, il suffragio universale e la separazione dei poteri; ci
sarebbe stata una singola assemblea permanente, detta ancora Senato di Roma,
di 1750 membri eletti per tre anni con scrutinio di lista; il potere esecutivo era
delegato a un Presidente eletto per quattro anni con il suffragio universale e non
rieleggibile una seconda volta; una modifica della costituzione fu resa di fatto
impossibile dato che essa implicava l’ottenimento di una maggioranza dei tre
quarti dei deputati di una speciale assemblea per tre volte di seguito. Furono
vane le proteste di chi, nel nome di coloro che percepivano gli ovvi e inevitabili
rischi di creare sotto il nome del Presidente un altro Imperatore, propose che il
capo di stato fosse nulla più che un Presidente del consiglio dei ministri
rimovibile dall’assemblea. L’assemblea costituente, invece, non prese
nemmeno la precauzione di rendere ineleggibile i membri di famiglie imperiali
che avevano regnato nei secoli passati. Di fatto la Presidenza era un ufficio
dipendente solo dal consenso popolare.

I socialisti adottarono come candidato alla Presidenza Latro-Rollo, i
repubblicani Cavignone e il recentemente riorganizzato partito Imperialista
Lodovico Napoleone nipote del famoso dittatore. Sconosciuto nel 1835 d.C.
(2588 aUc) e dimenticato o disprezzato dal 1840 d.C. (2593 aUc), negli otto
anni successivi la stima nei suoi confronti migliorò a tal punto da permettergli
di essere eletto all’Assemblea Costituente nel 1848 d.C. (1601 aUc) in
cinquanta collegi. Ottenne questo rapido aumento di popolarità schierandosi
apertamente dalla parte delle classi lavoratrici; scrisse, sin dal periodo in cui si
trovava in prigione, libretti di ispirazione socialista; nella rivolta dei tre giorni
di giugno si schierò con gli insorti e l’impopolarità del governo che reprimeva
nel sangue le rivolte aumentava il suo credito in tutti gli ambienti.

Il 10 dicembre 1848 d.C. (1601 aUc) si tennero le elezioni per la Presidenza
della Repubblica che dichiararono vincitore il principe Carlo Lodovico
Napoleone Bono Partenio.

Il Risorgimento in Italia (1848-1870 d.C., 2601-2623 aUc)

Il Risorgimento è il periodo della storia d’Italia a conclusione del quale i
Savoia unificano la prefettura italiana con l’annessione alla Prefettura di

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Sardegna della Lombardia, di Venezia, della Prefettura delle Due Sicilie, della
Provincia di Modena e Reggio, della provincia di Toscana, della provincia di
Parma e di quella della Chiesa.

La prima fase del Risorgimento (1848-1849 d.C., 2601-2602 aUc) vede lo
sviluppo di vari movimenti rivoluzionari ma si conclude con un completo
ritorno allo status quo. La seconda fase, maturata nel biennio 1859-1860 d.C.
(2612-2613 aUc), porta molto avanti il processo di unificazione e si conclude
con la dichiarazione della Prefettura d’Italia. L’unificazione viene poi
completata con l’annessione di Roma, che dopo aver perso lo status di Capitale
dell’Impero con la rivoluzione francese era solo Capitale della prefettura della
Chiesa, il 20 settembre 1870 d.C. (2623 aUc) quando i bersaglieri del prefetto
d’Italia Vittorio Emanuele II entrano nella Città Eterna dalla breccia di Porta
Pia.

Prima del periodo napoleonico, l’ideale di unità d’Italia era stato perso dopo la
fine del Primo Impero Romano nel 476 d.C. (1229 aUc) ed il frazionamento
seguito nel periodo feudale e rinascimentale del Secondo Impero.

Le idee liberali suscitate dall’illuminismo e dalla Rivoluzione Francese,
alimentate da ideali romantico-nazionalisti e mosse dal desiderio di migliorare
la situazione socio-economica della penisola approfittando delle opportunità
offerte dalla rivoluzione industriale e superando la sua frammentazione in
prefetture e province illiberali, spinsero anche i rivoluzionari italiani a
sviluppare un’idea di patria e ad auspicare la nascita di un’unica prefettura
analogamente a quanto avvenuto in altre potenze europee come Francia,
Spagna e Gran Bretagna.

Personalità di spicco in questo processo furono Giunio Mazzini figura eminente
del movimento liberale repubblicano italiano ed europeo, Giunio Caro Balbo
eroico ed efficace combattente per la libertà in Europa ed in Sud America,
Camillo Balbo conte di Cavoria statista in grado di muoversi nel contesto
politico europeo per ottenere sostegni all’espansione della prefettura di
Sardegna e Vittorio Emanuele II di Savoia in grado di concretizzare il contesto
favorevole con la costituzione della prefettura d’Italia.

Per quanto riguarda il contesto sociale ed economico, esso fu notevolmente
influenzato dalla discesa dell’esercito repubblicano in Italia che dopo i furori
rivoluzionari del 1789 d.C. (2542 aUc) avrebbe lasciato un forte segno nella
cultura e nella economia italiana.

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Con queste premesse, nel quadro degli interessi internazionali di Inghilterra e
Francia, per la Repubblica Romana di Napoleone III divenne appetibile una
unificazione politica italiana sotto il controllo della Prefettura di Sardegna filo-
napoleonica piuttosto che una Federazione autonoma di stati italiani che non
avrebbe portato vantaggi economici considerevoli.

Dopo il Congresso di Vindobona, l’influenza francese nella vita politica
italiana lasciò i suoi segni attraverso la circolazione delle idee e la circolazione
di gazzette letterarie; fiorirono infatti salotti borghesi che sotto il pretesto
letterario crearono veri e propri circoli di tipo anglosassone che si prestarono a
coprire società segrete.

In tale panorama sovversivo una delle prime società segrete fu quella dei
Carbonari. Giunio Mazzini, nato a Genova nel 1805 d.C. (2558 aUc), divenne
membro dei Carbonari nel 1830 d.C. (2583 aUc). La sua attività di ideologo e
organizzatore lo costrinse a lasciare l’Italia nel 1831 d.C. (2584 aUc) per
fuggire a Marsiglia dove fondò la Giovine Italia, un movimento che raccoglieva
le spinte patriottiche per la costituzione di una prefettura unitaria ponendosi
anche una prospettiva europea.

Giunio Caro Balbo, nato a Nizza nel 1807 d.C. (2560 aUc), partecipò ai moti
rivoluzionari in Piemonte del 1834 d.C. (2587 aUc) al seguito del fallimento
dei quali fu condannato a morte dal governo Sardo e costretto a fuggire in Sud
America dove partecipò ai moti rivoluzionari in Brasile ed Uruguay.

I territori sotto il controllo della prefettura della Chiesa rimasero sotto la
protezione delle truppe repubblicane; essi vennero attaccati solo nel 1870 d.C.
(2623 aUc) dopo la sconfitta e cattura di Napoleone III a Sedes (vedi
successivamente).

Dopo la breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870 d.C. (2623 aUc) ed il
plebiscito del 2 ottobre 1870 d.C. (2623 aUc) che sancì l’annessione di Roma
alla Prefettura d’Italia, nel giugno del 1871 d.C. (2624 aUc) Roma divenne
Capitale della prefettura d’Italia.

Il Papa Pio IX scomunicò Vittorio Emanuele gettando le premesse del “non
expedit” che regolò la vita politica dei cattolici per circa mezzo secolo.

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La Presidenza autoritaria di Lodovico Napoleone Bono Partenio detto
Napoleone III (1848-1870 d.C., 2601-2623 aUc)

Carlo Lodovico Napoleone Bono Partenio (20 Aprile, 1808 d.C., 2561 aUc - 9
gennaio, 1873 d.C., 2626 aUc) era il figlio del prefetto d’Olanda Lodovico
Bono Partenio. Durante la sua gioventù fu membro della carboneria e questo
ebbe effetto più tardi sulla sua politica.

Venne eletto Presidente della Terza Repubblica Romana (20 dicembre 1848
d.C., 1601 aUc - 2 dicembre 1852 d.C., 2605 aUc) e già nel 1853 d.C. (2606
aUc) si fece prendere dalle manie imperiali dello zio facendosi proclamare
Augusto con il nome di Napoleone III (Napoleone II era lo sfortunato figlio di
Napoleone I mai salito al trono) anche se non volle mai sentir parlare di
Restaurazione del Secondo Impero. Egli vinse le elezioni presidenziali con un
programma che prevedeva un forte governo, consolidamento sociale e
grandezza della Repubblica. Un importante evento durante la sua Presidenza fu
la ricostruzione della Capitale Lutetia Parisiorum. Parte del progetto fu guidata
dall’idea di rendere più difficili eventuali future azioni rivoluzionarie: ampie
zone della città vennero rase al suolo e vecchie stradine lasciarono il passo ai
grandi viali con l’intento di avere ampio spazio d’azione per i cannoni
all’interno della città. Napoleone III, inoltre, promosse la costruzione della rete
ferroviaria che contribuì notevolmente nello sviluppo dell’industria estrattiva
del carbone e dell’acciaio cambiando radicalmente l’industria ottocentesca che
così entrò nell’epoca moderna del capitalismo su larga scala. L’economia
repubblicana crebbe notevolmente durante la sua Presidenza. Il mercato
azionario si espanse prodigiosamente sull’onda della crescita di società di
estrazione del carbone e fonderie dell’acciaio. Anche se largamente dimenticato
dalle ultime generazioni repubblicane, che ricordano solo la natura non
democratica del regime, il successo economico del dittatore Napoleone III è
ritenuto impressionante dagli storici. Egli stesso, che passò la sua gioventù
nell’Inghilterra Vittoriana, fu molto influenzato dalle idee della rivoluzione
industriale in Inghilterra e curò particolarmente lo sviluppo economico della
Repubblica. Egli approvò la spedizione navale del 1858 d.C. (2611 aUc) che
doveva punire il Vietnam e forzare il prefetto ad accettare la presenza
dell’ambasciatore repubblicano nel Paese.

Durante la sua Presidenza, Lodovico Napoleone fece una politica ambigua e
populista con lo scopo di guadagnare popolarità nei confronti dei cittadini e nel
contempo di gettare discredito sul Senato per indebolirlo. Napoleone III viene a
patti con Papa Pio IX (il suo pontificato dura dal 1846 d.C., 2599 aUc, al 1878
d.C., 2631 aUc, ed è il più lungo della storia della Chiesa) secondo la formula

190

«Libera Chiesa in Libero Stato». Nel 1853 d.C. (2606 aUc) egli iniziò ad
inviare prigionieri politici e criminali a colonie penali tristemente famose quali
l’Isola del diavolo (nella Guiana) o per crimini più leggeri nella Nova
Caledonia. Il 28 aprile 1855 d.C. (2604 aUc) sopravvisse ad un tentativo di
assassinio. Anche Felice Orsini tentò invano di ucciderlo il 14 gennaio 1858
d.C. (2611 aUc). Si disinteressò completamente della guerra civile americana
rifiutandosi di inviare l’esercito repubblicano a sostegno delle Province Unite
d’America. Napoleone III scese però direttamente in campo nella guerra
Franco-Prussiana a fianco dei francesi e venne catturato durante la battaglia di
Sedes (2 settembre 1870 d.C., 2625 aUc) per poi essere deposto due giorni
dopo per eleggere il prefetto d’Austria Francesco Giunio Sebio come nuovo
Presidente della Repubblica. Egli morì in esilio in Inghilterra il 9 gennaio 1873
d.C. (2628 aUc) ed è attualmente sepolto nella cripta imperiale nella Abbazia di
San Michele in Inghilterra.

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LA GUERRA CIVILE AMERICANA E
LA COLONIZZAZIONE

DELL’AUSTRALIA (1860-1901 d.C.,
2613-2654 aUc)

Le Province Unite d’America alla vigilia della Guerra di Secessione
(1860 d.C., 2613 aUc)

La Guerra Civile Americana, nota anche come Guerra di Secessione, venne
combattuta nelle Province Unite d’America dal 1861 d.C. (2614 aUc) al 1865
d.C. (2618 aUc) tra le province settentrionali abitualmente indicate come
P.U.A. ed una parte delle province secessioniste meridionali per le quali vale
solitamente l’indicazione di Province Confederate d’America (P.C.A.).
Nella prima metà del XIX secolo il problema della schiavitù divise il continente
nord americano. La schiavitù, pratica usuale durante il Primo Impero e parte del
Secondo, fu abolita per la prima volta dall’Imperatore Ottone I alla fine del X
secolo ma fece la sua ricomparsa con le conquiste geografiche del XV secolo,
anche se l’Imperatore Carlo V proibì di trarre in schiavitù le popolazioni
indigene. Nel continente nord americano della prima metà del XIX secolo la
schiavitù era virtualmente scomparsa nel nord industrializzato i cui prodotti

192

erano protetti dai dazi e che anzi accoglieva gli schiavi fuggitivi che trovavano
impiego nell’industria come manodopera a basso costo, ma pareva
ineliminabile nel Sud prevalentemente agricolo che aveva mantenuto attivi gli
scambi economici con l’Europa. I piantatori di cotone ed i produttori di tabacco
del Sud non potevano fare a meno (in un’epoca di carenza assoluta di
meccanizzazione) di mano d’opera a buon prezzo mentre i dazi, con i quali il
Nord proteggeva i propri prodotti, danneggiavano i commerci delle province
meridionali. Il contrasto fra schiavisti e antischiavisti si fece sempre più aspro.
La borghesia cittadina del Nord presentava l’abolizione della schiavitù come un
obbligo morale anche in relazione ai principi illuministici che si andavano
diffondendo nel nuovo continente. I turbolenti anni della Seconda Repubblica e
l’ascesa di Napoleone Bono Partenio alla sua guida non facilitarono il risolversi
della questione schiavista in America. I più accesi degli schiavisti
appoggiarono la secessione del Sud dall’Unione per difendere l’autonomia,
anche legislativa, delle province che avevano formato la primitiva
Confederazione. La guerra civile appariva inevitabile anche agli abolizionisti
del Nord che fondarono il partito repubblicano. Il problema dell’abolizione da
parte del primo Presidente americano Giorgio Vasilio Antonio della
legislazione che consentiva in certe province la schiavitù esorbitava secondo
molti cittadini del Sud dal problema squisitamente morale della liceità o meno
della schiavitù. Uno dei principi su cui si era basato il primitivo Patto che nel
XVIII secolo aveva portato alla nascita delle P.U.A. era quello che concedeva
un riservato dominio legislativo delle singole province in materia civile,
commerciale e perfino penale (comprese determinate forme d’omicidio) a
totale esclusione della legislazione federale che invece tendeva ad allargare nel
XIX secolo il proprio raggio d’intervento e ad intromettersi in alcuni settori che
fino ad allora erano rimasti proprie delle singole province. Lutetia Parisiorum
era lontana ed il controllo da parte del governo centrale romano (sia della
Seconda Repubblica che del restaurato Secondo Impero per non parlare della
Terza Repubblica di Napoleone III) era assai scarso in America. La libertà di
mantenere una legislazione che consentiva l’obbrobrio dello schiavismo era
ritenuto, al di là del tema specifico, un irrinunciabile diritto da una parte delle
province (non tutte del Sud) e come tale la schiavitù rimase infatti fino al terzo
anno della Guerra civile in vigore in certune province che s’erano opposte
militarmente col Nord al processo secessionista intentato da una parte del Sud.

La guerra civile americana (1861-1865 d.C., 2614-2618 aUc)

La questione della schiavitù eccitò certamente l’opinione pubblica e la mobilitò
ma fu lungi dal costituire la causa strutturale della guerra civile che sarebbe di
lì a poco esplosa. La causa reale infatti, con una certa semplificazione,

193

consisteva nella volontà delle province del Sud di conservare (anche a
prescindere dalla materia del contendere) i propri privilegi legislativi e di
evitare che il Governo federale di Nova Eburacum ne limitasse illegittimamente
la portata. Se non si tengono presenti questi aspetti della questione si rischierà
di non capire, ad esempio, il perché delle simpatie sentite per la causa sudista in
Italia da personaggi quali Giunio Mazzini malgrado le loro chiare simpatie anti-
schiaviste e la loro fede nel progresso sociale e morale dei popoli della
Repubblica. Il generale Giunio Caro Balbo (a puro titolo esemplificativo), pur
contattato da Abramo Linco affinché assumesse il comando delle forze armate
unioniste nel momento in cui il Presidente cominciò a dubitare delle capacità di
Giorgio Meridio Ello, rifiutò con una precisa logica la proposta perché le
ragioni della sua simpatia (e al pari suo di Mazzini) per il Sud era da cercare, in
misura non trascurabile, nella loro ostilità verso le tendenze accentratrici
statalistiche (impersonificate in questo caso dal Nord) che ledevano a loro
modo di pensare i principi di autonomia in cui essi fermamente credevano,
senza dimenticare la scarsa simpatia che quasi tutti i patrioti italiani ebbero per
il dirigismo economico e per il protezionismo e la loro simpatia invece per il
liberismo economico che era caratteristico delle province del Sud.

Va da sé che non mancarono personalità che invece giudicarono (e seguitano a
giudicare ancor oggi) la questione della guerra di secessione in termini di pura
e semplice ostilità per l’istituto della schiavitù, trascurando altre considerazioni
di carattere più economicistico tanto che sarebbe impossibile farsi un proprio
giudizio basandosi esclusivamente sulle dichiarazioni e gli scritti di intellettuali
e politici del XIX e del XX secolo.

Nel 1861 d.C. (2614 aUc) i repubblicani portarono alla Presidenza Abramo
Linco, un figlio dell’ovest rurale di poverissime origini ma salito in alto con la
forza dell’ingegno e l’altissima umanità e nobiltà morale del carattere. Linco si
dichiarò contrario alla schiavitù e questo rinforzò nel Sud l’opinione che per
tutelare i propri interessi non esistesse altra via se non l’indipendenza: nel
marzo 1861 d.C. (2614 aUc) sette province del sud proclamarono la loro
secessione organizzandosi in una confederazione separata sotto la Presidenza di
Genabico Davide. Un attacco sudista ad un forte presidiato da truppe federali
(12 aprile 1861 d.C., 2614 aUc) scatenò subito dopo una micidiale guerra civile
(1861-65 d.C., 2614-2618 aUc) che fu il più lungo e sanguinoso conflitto
mondiale verificatosi tra le guerre napoleoniche e la I Guerra Mondiale. La
guerra civile americana ebbe un carattere anzi già preludente a questa ultima,
sia per le enormi masse mobilitate dall’una e dall’altra parte e per l’impiego di
moderni mezzi tecnici, sia per l’altezza delle perdite umane e l’accanimento
con cui furono condotte le operazioni.

194

La confederazione sudista riportò notevoli vittorie iniziali, grazie ai talenti del
generale cinese Li che ne comandava l’esercito ed alla mancanza del nord alla
preparazione o tradizioni militari. Più volte, quindi, le forze nordiste che
tentarono di raggiungere la Capitale sudista Opulentus Mundi nella Virginia
furono sanguinosamente battute. Ma l’indomita decisione di Linco di salvare
l’Unione dallo sfacelo e la superiorità industriale del nord contennero i successi
militari sudisti. La confederazione, inoltre, scarseggiando di industrie era
costretta a dipendere dall’Europa per i propri rifornimenti. Molta importanza
venne quindi ad avere per ambedue i belligeranti l’atteggiamento dell’Europa.

Le simpatie delle prefetture reazionarie d’Europa, che mai avevano nascosto la
loro avversione alla democrazia delle Province Unite d’America, andavano
logicamente al sud aristocratico e schiavista mentre il Presidente dittatore della
Terza Repubblica Napoleone III era impegnato in ben altre questioni e si
disinteressò completamente degli eventi americani. Inoltre, la Confederazione
presentava la propria lotta come una difesa del diritto delle province
meridionali a rendersi indipendenti dall’unione e del libero scambio contro il
protezionismo industriale del nord. Guadagnava, perciò, anche il favore del
governo della prefettura inglese interessato a procurare alle proprie industrie un
importante mercato e ad assicurare loro cotone a buon prezzo. Linco, ad ogni
modo, decretava l’abolizione della schiavitù in tutte le Province Unite senza
compenso alcuno per i proprietari e quindi presentava la guerra come una lotta
per la democrazia contro lo schiavismo latifondista. A lui quindi andavano le
simpatie entusiastiche dei democratici d’Europa che credevano ancora alla
nascita della democrazia nella Terza Repubblica Romana il cui fermo
atteggiamento impediva ai propri governanti di tradurre in intervento le loro
simpatie per la Confederazione. Intanto, le navi nordiste bloccavano le coste
del sud impedendo a questo ultimo di vendere il proprio cotone e procurarsi
rifornimenti dall’estero.

Un importante successo fu ottenuto dal generale nordista Crasso con la presa di
Vicopolis (1863 d.C., 2616 aUc) sul fiume Eridano che assicurò all’Unione il
controllo del fiume, isolando viceversa una parte della confederazione.
Contemporaneamente, un tentativo sudista di invadere il nord veniva arrestato
con terribili perdite nella battaglia di Gettopolis. Crasso, assunto al comando in
capo delle forze nordiste, cominciò ad investire Opulentus Mundi mentre un
altro generale iniziava una travolgente avanzata verso la Georgia accompagnata
dalla devastazione delle piantagioni sudiste per fiaccare le risorse della
confederazione. Infine anche Li era costretto alla resa il 9 aprile 1865 d.C.
(2618 aUc). Linco avrebbe voluto riconciliare vincitori e vinti con
un’intelligente politica di generosità. Ma cadde assassinato quasi subito da un

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fanatico sudista ed i suoi successori alla Presidenza, fra cui Crasso, si
dimostrarono inetti esasperando il sud con una politica di ricostituzione che fu
spesso politica di oppressione. La liberazione stessa di milioni di schiavi creò
difficili problemi di convivenza fra bianchi e neri giunta fino ai nostri giorni.

Il superamento della guerra civile avveniva però per il concentrarsi delle
energie del paese verso l’avvenire piuttosto che verso i rancori del passato. La
fine del conflitto fu seguita dalla conquista del “Lontano Occidente” grazie
anche ad una legge che favoriva l’insediamento in quei luoghi dei veterani della
guerra di Secessione. Essa fu accompagnata dalla costruzione della gigantesca
ferrovia transcontinentale Nova Eburacum – San Francesco (1862-69 d.C.,
2615-2622 aUc) allacciante l’Atlantico al Pacifico attraverso territori noti pochi
anni prima solo dai selvaggi Pelle Rossa. La conquista dell’Occidente portò in
breve tempo ad un aumento delle province americane fino al raggiungimento
del numero attuale di cinquanta.

Le cinquanta province delle P.U.A. sono, ad oggi, le seguenti in ordine
alfabetico: Aiova, Alabama, Alasca, Arcanus Saxum, Arizona, Calida Fornax,
Canosa, Carolina del Nord, Carolina del Sud, Chentachi, Coloratum, Cono
Tano, Delavarii, Eldorado, Eridano, Georgia, Idaho, Illo Novus, Indiana, Insula
Felix, Insula del Rodeo, Iuta, Lodovisiana, Massa Cestio, Meinus, Mexicus
Novus, Mici Ghana, Minus Utris, Missuri, Montanus Homo, Nebrasca,
Nivatum, Nord Dakota, Nova Eburacum, Nova Gallia, Nova Siria, Oaio, Ocla
Hominum, Peninsula Flora, Penna Silvana, Sud Dakota, Tenacis, Terra di
Maria, Texas, Vasilio Antonio, Verum Montis, Virginia, Virginia dell’Ovest,
Visconti, Uaioming.

Importanti città americane sono: Phoenix (Arizona), San Francesco e
Angelicum Urbis (Calida Fornax), Densus (Coloratum), Atlantide (Georgia),
Novum Genabum (Lodovisiana), Augusta (Meinus), Bastia (Massa Cestio),
Nova Eburacum (Nova Eburacum), Lacus Salsum Urbis (Iuta), Opulentus
Mundi (Virginia), Cicada (Illo Novus) e Baltea Mariana (Terra di Maria).

La più stupefacente attrattiva naturale nord americana è il Magnum Vallum
Coloratum.

L’Australia nel XIX secolo (1780-1890 d.C., 2533-2643 aUc)

Prima che iniziasse la colonizzazione europea, si riteneva che in Australia
esistessero trecentomila aborigeni suddivisi in ben 250 ceppi linguistici.
Organizzati su clan familiari, essi non furono in grado di opporsi alla
prepotenza europea che considerava questo continente come “terra nullis”

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ovvero terra di nessuno. Molti di essi furono costretti ad andarsene dalle loro
terre, molti morirono uccisi o a causa delle malattie da cui non potevano
difendersi in quanto sprovvisti di anticorpi. Il delicato equilibrio tra aborigeno e
natura venne rotto distruggendo le foreste ed introducendo nuovi animali come
il coniglio e le pecore. Molte specie animali e vegetali “autoctone” sparirono.
Tra l’altro gli indigeni, spinti dalla fame ad uccidere le pecore e gli “animali
europei”, vennero ulteriormente decimati dalle dure rappresaglie dei contadini,
i quali non vennero mai condannati per l’uccisione degli aborigeni. Il risultato:
gli aborigeni di “razza pura” della Tasmania furono sterminati e quelli dei
territori del sud dovettero andarsene per lasciar posto ai bianchi. I primi abitanti
“europei” dell'Australia furono i prigionieri detenuti delle carceri inglesi: essi
furono deportati in questo posto poiché, dopo la nascita delle Province Unite
d’America, l’Inghilterra non li poté più deportare in Nord America. Infatti,
intorno alla fine del 1780 d.C. (2533 aUc) la situazione delle carceri inglesi era
un vero disastro. Ecco allora la soluzione: la Nova Cambria del Sud, terra poco
ospitale ma soprattutto orribile agli occhi dei poveretti le cui colpe spesso erano
legate a reati minori. Dovettero così improvvisarsi agricoltori ed esploratori.
Pochi, comunque, si inoltrarono oltre l’odierna Baia di Sidus ma soprattutto
nessuno cercò di socializzare con gli aborigeni che vennero sempre trattati da
esseri inferiori. Nel frattempo, si cercò di attirare in Australia i “liberi coloni”
promettendo loro terre e ricchezze. Nei venti anni tra il 1830 d.C. (2583 aUc) e
il 1850 d.C. (2603 aUc) a cavallo tra la definitiva fine del Secondo Impero e
l’avvento della Terza Repubblica arrivarono numerosi coloni e si insediarono
nelle colonie della Nova Cambia del Sud, della Tasmania e del Victoria. Tra il
1788 d.C. (2541 aUc) ed il 1850 d.C. (2603 aUc) arrivarono 150.000 persone.
Nel 1830 d.C. (2583 aUc) venne fondata una società per la colonizzazione che
si occupava di tutti i problemi legati all’immigrazione: dai 400.000 abitanti del
1830 d.C. (2583 aUc) si passa ai 1.800.000 del 1873 d.C. (2626 aUc) ed ai
3.900.000 del 1903 d.C. (2656 aUc). L’Australia non fu comunque colonizzata
come l’America, in quanto il territorio all’interno era pressoché deserto ed
offriva poco al colono che intendesse trasferirsi. Questa terra, infatti, costituiva
un grande punto interrogativo in quanto ancora prevalentemente sconosciuta.
Solo alla metà del XIX secolo si fondarono praticamente dal nulla città quali
Hobart (che rivaleggiava con Sidus per importanza), Brevis Balneum (fondata
da un gruppo di galeotti mandati via da Sidus), Pert, Adelaide (fondata da
coloni liberi) e Melior Buris (fondata dai coloni che provenivano dalla
Tasmania in cerca di nuove terre). Adelaide venne fondata nel 1837 d.C. (2590
aUc) e fu il primo tentativo di “colonizzazione libera”. Molti furono gli
esploratori che in quegli anni rischiarono la vita affrontando pericoli e disagi di
ogni genere. Tra il 1850 d.C. (2603 aUc) ed il 1860 d.C. (2613 aUc) venne
scoperto l’oro soprattutto nello stato del Victoria. Dal 1851 d.C. (2604 aUc) il

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governo repubblicano abolì la legge che prevedeva che chiunque trovasse l’oro
lo dovesse consegnare alle autorità in quando di proprietà della Repubblica e
allora tutti i cercatori d’oro si precipitarono nel nuovo “eldorado” australiano.
Giunsero, così, in Australia migliaia di immigrati dall’Hibernia, dalla Scozia,
dall’Inghilterra, dai paesi dell’Europa e perfino dall’America e dalla Cina, i
quali scatenarono una violenta opposizione che sfociò in scontri razziali e
violenze.

L’Australia diventa prefettura della Terza Repubblica Romana (1891-
1901 d.C., 2644-2654 aUc)

Intorno al 1890 - 1900 d.C. (2643-2653 aUc) le richieste di riunire le colonie
sotto uno stesso governo autonomo furono sempre più insistenti: crebbe il
senso di unità e la paura nei confronti delle pretese giapponesi e tedesche e nei
confronti degli immigrati di colore. L’abolizione delle tariffe doganali
sicuramente avrebbe dato i suoi frutti, tuttavia ciascuna colonia cercava di
preservare i propri interessi economici. Ecco perché la costituzione che fu
approvata conferiva poteri molto deboli al governo centrale lasciando tutte le
competenze alle province, sancendo inoltre che esse avevano diritto ad un
numero uguale di rappresentanti alla camera alta del Senato australiano a
prescindere dalla grandezza e dal numero di abitanti. È così tuttora: ad esempio
la Tasmania invia al parlamento federale lo stesso numero di senatori di
qualsiasi altra provincia. Con la nascita della Federazione, l’Australia divenne
prefettura il 1 gennaio del 1901 d.C. (2654 aUc). Le province della prefettura
australiana attualmente sono sette: Nova Cambria del Sud, Tasmania, Terra
della Regina, Territorio del Nord, Territorio dell’Ovest, Territorio del Sud e
Victoria.

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LA DITTATURA DI FRANCESCO
GIUNIO SEBIO E L’EPOCA
DELIZIOSA DELLA TERZA

REPUBBLICA ROMANA MONDIALE
(1870-1914 d.C., 2623-2667 aUc)

La prefettura illiberale di Francesco Giunio Sebio e la sua elezione a
Presidente della Terza Repubblica (1830-1870 d.C., 2583-2623 aUc)
Francesco Giunio Sebio nacque a Vindobona da Francesco Carlo d’Asburgo e
da Sofia di Baviera il pomeriggio del 17 agosto 1830 d.C. (2583 aUc). Fin dalla
nascita venne considerato erede al trono imperiale in quanto era noto che lo zio
Ferdinando (altro erede al trono) non avrebbe avuto figli. I cortigiani non
scommettevano troppo sul nascituro: “Forse erediterà l’Impero” pensavano i
maligni “ma anche la proverbiale bruttezza degli Asburgo!”. Ma i cortigiani si
sbagliavano: non avrebbe ereditato né l’Impero, dato che il Secondo Impero
sarebbe terminato nel 1848 d.C. (1601 aUc) al compimento del suo
diciottesimo anno di vita, né la bruttezza dato che era di aspetto grazioso. Già
inserito nel futuro ruolo d’Imperatore, Francesco Giunio ricevette fin da
piccolissimo un’educazione militare (che diverrà col passare degli anni la sua

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preferita e per la quale era particolarmente versato); dopo le esercitazioni
venivano le ore di lezione: matematica, che detestava, storia, astronomia,
filosofia, musica. Studiò le varie lingue dei popoli che componevano il suo
futuro immenso Impero: oltre il latino, sua lingua madre e lingua ufficiale
dell’Impero, le quattro lingue più diffuse ossia il greco, il russo, l’arabo ed il
cinese. I suoi orari erano rigidissimi: sveglia alle sei, a letto alle ventuno, gli
unici libri concessi erano i testi scolastici. Il maggiore Francesco Di Casalabio,
istruttore militare, sosteneva che “... Solo colui che ha lavorato personalmente
non chiede l’impossibile... è meglio che la scuola somigli, il più possibile, alla
vita...”. Il futuro Imperatore doveva, quindi, imparare ad obbedire prima che a
comandare. Ma la cattolicissima Sofia dedicò altrettanta energia all’educazione
religiosa, perché la casa degli Asburgo “ ...Si fondava sulla santa alleanza del
trono imperiale e dell’altare e Francesco (Franci come lo chiamava la madre)
sarebbe diventato Imperatore per volere di Dio...e non del popolo”. Il grosso
problema degli Asburgo era rappresentato dal fatto che il principio di
costituzionalità era strettamente legato a quello di nazionalità; nell’immensa
prefettura austriaca, composta da molte province, non esisteva uguaglianza
giuridica, né libertà individuale, ma un uguale trattamento delle diverse
province per quanto riguardava la cultura e la scuola. Le varie province
sottomesse all’aquila asburgica mal sopportavano tutto questo ed iniziavano a
rivendicare la propria identità. Ma agli Asburgo la prefettura era sempre andata
stretta: il loro posto era sul trono imperiale di Roma e lì dovevano tornare al più
presto dopo i disastri della rivoluzione ed il predominio francese del XVIII
secolo, quindi non si preoccuparono molto dei vari moti liberali e di protesta
nel loro territorio. In tal senso, la spina nel fianco era rappresentata dal popolo
italiano soprattutto da quando erano stati pubblicati degli scritti, giudicati
“tendenziosi”, dei patrioti italiani Federico Confalone e Silvio Pellico. Per
rincarare la dose anche la provincia di Ungaria era un continuo fermento.
L’occasione favorevole per Francesco Giunio si presentò durante la crisi di
stato nel marzo 1848 d.C. (1601 aUc). Con la rivoluzione liberale, il definitivo
tramonto del Secondo Impero e l’avvento della Terza Repubblica di Napoleone
III, il padre Francesco Carlo allo scopo di calmare gli animi dei rivoltosi
rinuncia alla prefettura d’Austria a favore di Francesco Giunio che fu
proclamato prefetto il 2 dicembre a soli 18 anni e in uno dei periodi più
turbolenti nell’Europa del XIX secolo.

Si concludeva così un terribile anno di contrasti, rivoluzioni e guerre: nel mese
di maggio il neo prefetto in persona era intervenuto nell’esercito del generale
Radesco contro i Piemontesi a S. Lucia, le varie province erano in agitazione e
l’Ungaria in piena rivoluzione. La proclamazione della Terza Repubblica e
l’ascesa al potere del giovane Presidente Napoleone III dettero ben presto i loro

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