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Persone, fatti e situazioni vere che sembrano fantasie

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Published by , 2019-12-15 08:05:41

Ricordi del dopoguerra (me ricordi apéna finì la guèra)

Persone, fatti e situazioni vere che sembrano fantasie

Keywords: MILANO,Porta Cicca,Dopoguerra,Storie Meneghine

sole, e, prima di cominciare la salita ci
concedemmo un po’ di riposo. Alla
ripartenza “el Bertin” che era uno di
quelli che andavano più forte disse “Chi
riva sù per ultim l’è un pirla” (chi arriva su per
ultimo è un pirla).
Per farla breve arrivammo per primi io e
il “Balin” che, essendo più piccoli e più

leggeri, come si
vede dalla foto, in
salita andavamo
meglio. Il Bertino
giunse fra gli
ultimi e accampò
la scusa “me burlà
giò la cadena do
volt” (mi è caduta la
catena due volte).
Naturalmente tutti lo presero per i

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fondelli. In cima visitammo il santuario, in
religioso silenzio e in una bancarella
comprammo una medaglietta che si
fissava al manubrio della bicicletta
perché “l’è la Madona dei ciclisti e la mè
mena bun” (è la Madonna dei ciclisti e ci protegge).
Decidemmo di ritornare, sempre su
suggerimento di Marchino, dalla stessa
parte dove eravamo arrivati, con mio
disappunto, perché la discesa, troppo
ripida, non era la mia preferita e la
percorrevo con un certo timore; di
conseguenza, arrivavo sempre dopo gli
altri che andavano giù come proiettili. A
metà discesa, a una curva, vedo alcuni
miei compagni fermi vicino alla
recinzione di una villa. Mi fermo e chiedo
cosa è successo “el Bertin l’ha sbandà in
cùrva e el se infilà nel cancel e adess el

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riess pù a tira foeura la roeuda” (Bertino ha

sbandato in curva e si è infilato nel cancello e adesso non

riesce a liberare la ruota). Ma la cosa peggiore era
che, dentro la villa al di la del cancello,
c’era un pastore tedesco che gli stava
azzannando il copertone riducendolo a
brandelli. Recuperata la bicicletta,
strattonandola via dalla bocca del cane
mentre Adriano lo distraeva con la
pompa, e cambiato il “palmer”(così si
chiamava la gomma delle biciclette da
corsa) e, visto che, per fortuna, il mezzo
non aveva altri danni, percorremmo,
questa volta con prudenza il resto della
discesa; una volta in paese cercammo
una farmacia per fare medicare Bertino
che, nell’urto, si era sbucciato entrambi
gli avambracci e commentava “la
Madona del Ghisal la m’ha salvà, pudevi

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rumpum el coo” (la Madonna del Ghisallo mi ha
salvato, potevo rompermi la testa). Il farmacista
dopo averlo medicato chiese a Bertino se
avesse mai fatto l’antitetanica e siccome,
il prode discesista, non sapeva neanche
cosa fosse, il dottore si presentò con
bambagia e siringa. A quella vista Bertino
sbiancò in volto, si alzò di scatto dalla
sedia, farfugliò qualcosa di
incomprensibile, infilò la porta, salì in
bicicletta e sparì dalla vista. Pagammo il
farmacista, salimmo in bici anche noi, e
cominciammo a inseguire il fuggitivo. Lo
riprendemmo alle porte di Milano, dopo
un inseguimento di due ore, che
viaggiava a una velocità da corsa a
cronometro. Giunti in piazzetta
chiedemmo “Bertin perché te se scapà?”
(Bertino perché sei scappato?). La risposta fu

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“perché chel pirla là el vureva fam la
puntùra e mi vurevi no tirà giò i calsun
davanti a tucc” (perché quel pirla là voleva farmi la
puntura e io non volevo calarmi i pantaloni davanti a tutti).
Risposta che tutto il gruppo fece finta di
condividere ben sapendo che, il nostro
amico, in realtà aveva un sacrosanto
terrore per le punture.

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SAN COLOMBANO

Altra escursione finita tragicamente.
Un giorno Alberto propone di andare a
trovare la sua “morosina” che abitava a
San Colombano al Lambro. Visto che il
posto è abbastanza vicino, per noi ciclisti
di lungo corso, decidiamo di partire nelle
prime ore del pomeriggio. Siamo in sette
(la foto è stata fatta proprio quel giorno).
Nell’andata non ci furono, particolari
intoppi tranne una foratura del Balin che,
però, non aveva il “palmer” di scorta. Me
sum minga ricurdà de purtal adree” (non mi
sono ricordato di portarlo) mentì sottovoce. In
realtà la bicicletta che usava non era sua,
ma prestata perché lui non se la poteva
permettere e il proprietario non l’aveva
corredata di pezzi di ricambio. Edo si offrì

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di prestarglielo, pur sapendo che non
sarebbe mai stato restituito. Risolto
l’inconveniente mezz’ora dopo
giungemmo a destinazione. Ci accolsero
con grande cordialità e ci offrirono da
bere e la merenda. Dopo due ore di
panini con salame e gassosa allungata col
vino locale, decidemmo di rientrare,
anche perché, se tramontava il sole, non
potevamo più circolare, essendo le bici
da corsa sprovviste di fanale. Saluti,
ringraziamenti e siamo già in marcia,
allineati verso Milano. Il gruppo
procedeva a velocità sostenuta, in testa
c’ero io, cosa insolita perché tra noi
c’erano dei passisti notevoli e io preferivo
fare il “succhiaruote”. Il Balin, dietro di
me, distratto non so da cosa, con la sua
ruota anteriore urta la mia posteriore

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facendola scartare di fianco. In un attimo
mi ritrovai sdraiato sulla parte sinistra del
corpo, con la bicicletta ancora inforcata,
che strisciavo sull’asfalto. Dopo un
secondo mi piombò addosso il Balin, con
la bicicletta, dopo tre secondi arrivò il
Savi, anche lui con la bicicletta. Gli altri,
per fortuna, riuscirono chi a fermarsi, chi
a schivarci. Quando ci sgarbugliarono e
riuscimmo a rimetterci in piedi, i danni
alle persone erano limitati a qualche
sbucciatura ma la mia bicicletta e quella
di Savi, erano malridotte. Le ruote
avevano perso la forma, con la quale
erano nate e i manubri erano piegati
all’interno, quasi fossero delle braccia
conserte, un chiaro segno di
disapprovazione del nostro
comportamento. Malgrado il nostro

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ottimismo, per lo scampato pericolo, ci
rendemmo conto che le biciclette erano
inutilizzabili. Adesso sorgeva il problema
di come tornare a casa. Fosse successo
adesso, la cosa si sarebbe risolta con una
chiamata dal cellulare e qualcuno ti
veniva a prendere con la macchina, però
a quei tempi non solo non c’erano i
cellulari ma, a casa mia, non avevamo
neanche il telefono fisso. Dopo esserci
informati presso alcuni residenti, che
erano accorsi in aiuto, decidemmo, io e
Savi, di prendere la corriera che sarebbe
passata dopo mezz’ora. Raccomandai agli
amici di avvertire i miei del ritardo così da
non farli preoccupare (in casa mia gli
orari erano una cosa ossessionante).
Saliti sulla corriere, dopo aver caricato le
bici sul tetto, qualche viaggiatore

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ridacchiando insinuò che tornavamo
motorizzati perché eravamo scoppiati e
non ce la facevamo più a pedalare. Savi,
che in quel momento non aveva voglia di
scherzare e inoltre era inviperito al
pensiero di quanti soldi avrebbe dovuto
spendere per le riparazioni, lo guardò di
traverso e rispose “Sem burlà giò, pirlun,
guarda chì” (siamo caduti, pirlone, guarda qui) e
indicò le varie sbucciature che avevamo,
sparse per il corpo. Giungemmo a
Milano, in piazzale Cadorna, verso le otto
di sera, e ci incamminammo, biciclette in
spalla, verso corso Ticinese. Arrivati in
zona, Savi mi salutò con un allegro “che
giurnada de merda” (non serve traduzione) e ci
dirigemmo verso le nostre case. Come
entrai nel portone, una signora, che
abitava al primo piano, chiamò mia

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nonna “sciura Gina l’è rivà” (signora Gina è
arrivato) e da lì capii che era già scattato
l’allarme rosso in tutto il caseggiato.
Mentre salivo le scale, bici in spalla,
cominciò a farmi male anche la spalla
sinistra che avevo battuto durante
l’atterraggio sull’asfalto. Ma non ebbi
tempo di farci caso perché fui investito
da “l’è questa chì l’ura de rivà? Nun sem
chì che pensum mal e lù el riva bel
traquill. Te vè in gir pù cun la bicicleta” (è

questa l’ora di arrivare? Noi siamo qui che pensiamo male e

lui arriva bel tranquillo. Non vai più in giro con la bicicletta).
Da questo ho dedotto che, quei
disgraziati dei miei compagni, non
avevano avvertito nessuno. Cominciai a
tentare di spiegare ciò che era successo,
supportato anche dal fatto che la
maglietta bianca era sporca di sangue e

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che la bici era un mezzo rottame, ma la
cosa era di secondaria importanza, il
problema prioritario era che avevo
ritardato e loro erano preoccupati.
Adesso che ero arrivato tutto il resto
passava in secondo piano. Ogni famiglia
ha la sua filosofia di vita, la mia era legata
alle lancette dell’orologio.

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L’ANGURIA

Con la mia compagnia di ciclisti, una
domenica siamo partiti per la solita gita
di circa 150 km, tanto per non impegnarci
troppo. Nelle prime ore del pomeriggio,
al rientro verso Milano, il percorso
prevedeva il passaggio da Lecco e poi si
puntava verso casa. Marchino era il
nostro ufficiale di rotta e si vantava di
conoscere a memoria tutte le strade, era
il precursore dei moderni navigatori
satellitari. Era lui che decideva i percorsi
e le strade più consone alle nostre
esigenze e a lui, il gruppo, si affidava
ciecamente. Solo qualche tempo dopo
scoprimmo da dove veniva la sua cultura
geografica: era in possesso di una cartina
della Lombardia in scala 1/200.000, della

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Michelin, avuta da suo padre. Il padre,
questa cartina, la dava in omaggio ai
clienti che andavano a fare benzina al suo
distributore. Dopo questa scoperta non
potemmo fare a meno di prendere per i
fondelli il nostro Tom Tom umano il quale
non si perse d’animo e rispose “si, vialter
ciapem per el cù, ma bisogna vess bun de
legela la cartina, pirluni” (si voi prendetemi in

giro, ma bisogna essere capaci di leggerla la cartina,

stupidoni). Tornando alla nostra gita
domenicale, dicevo, che da Lecco
stavamo pedalando verso Milano quando
il Marchino, visto che eravamo in anticipo
sui tempi, propose di passare da Melzo
“inscì la slungum un pù” (così l’allunghiamo un
pò). Prima di entrare in Melzo, sulla
strada, un baracchino situato al bordo di
un campo, vendeva delle meravigliose

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angurie a prezzi scontati. Fu così che mi
venne la malaugurata idea di comprare
un’anguria di circa cinque chili, da
portare a casa e mangiare in famiglia.
L’anguria, cocomero in Italia del sud,
nome scientifico “Citrullus lanatus”è una
pianta della famiglia delle cucurbitacee
che fa un frutto buonissimo ma, siccome
nulla di buono ti viene dato senza che ci
sia la parte cattiva, ha una forma sferica,
lucida, scivolosa che sembra fatta
apposta per non starti nelle mani. Solo
quando sono risalito in sella mi sono
accorto della fesseria che avevo fatto. Mi
si prospettava un viaggio di circa 30 km,
in bicicletta da corsa, con una sfera
scivolosa di cinque chili sotto un braccio e
con l’altro dover azionare il manubrio e
un freno. Il viaggio fu piuttosto tribolato,

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primo perché ogni tanto dovevo passare
l’anguria da un braccio all’altro per il
subentrare di crampi, poi perché i
componenti del gruppo mi guardavano
con aria infastidita inviperiti dal fatto che
dovevano tenere un’andatura moderata
per non perdermi per strada. Quando,
finalmente, giungemmo nei pressi della
chiesa di San Lorenzo, senza fermarci, ci
salutammo e ognuno prese la strada di
casa. All’incrocio fra corso Ticinese e via
Mulino delle Armi, a circa cinquanta
metri dal mio portone, l’anguria, che
oramai sembrava pesasse quaranta chili,
scivolò dal braccio, ormai completamente
atrofizzato, e rotolando pigramente sul
selciato, si infilò sotto le ruote del filobus
che avevo alle spalle. Mi fermai, con aria
sconsolata a guardare il fallimento di tutti

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i miei sforzi e, al tempo stesso, timoroso
che qualcuno mi rimproverasse d’aver
sporcato la strada. Un vecchietto, che
passava di lì mi guardò e sogghignando
mi disse “l’era mei mangiala eh eh eh”
(era meglio mangiarla). Dentro di me lo mandai a
quel paese e mi avviai verso casa.
Quando mia nonna seppe dove eravamo
andati disse “Te pudevet cumprà
un’ingùria de chi part lì hin bun e custen
pocc” (potevi comprare un’anguria da quelle parti sono
buone e costano poco). Per non fare la figura di
quello che le cose non le pensa risposi
“G’avevi pensà ma cume fasevi a purtala
a cà cun la bici de cursa?” (ci avevo pensato
macome facevo a portarla a casa con la bicicletta da corsa?).
Mia nonna mi guardò di traverso e
sentenziò “Ti te trùet semper una quei
scùsa per fa nagot de bun” (tu trovi sempre una

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scusa per combinare nulla di buono). Quel giorno mi
sorse un dubbio : l’era mei fa la figura del
pirla o quela del fanigutun? (era meglio fare la
figura dell’allocco o quella del lazzarone?)

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