Marcello Sèstito
IL PONTE
INCONTINENTE
Nello Stretto di Messina l’avventura di
un archetipo il condensarsi di un simbolo
MEDIANO EDITORE
Gratulatoria
Un libro non è mai veramente concluso, richiama altri libri, e chi scrive ha sempre l’impressione che qual-
cosa, malgrado la mole del lavoro prodotto, sia rimasto nascosto in un angolo della storia, ma pronto a
ridestarsi dall’oblio.
Malgrado ciò, risulta anche inutile farsi prendere la mano dalla sindrome del ricercatore o del collezionista
e dedicarsi ai dovuti ringraziamenti.
Grazie allora a Rainaldo Perugini per avermi gentilmente fornito del materiale inedito in merito al ponte
progettato dal padre Giuseppe Perugini per il famoso concorso del 1969.
A Franco Purini che con la solita generosità mi ha consentito un dialogo in merito al progetto del ponte
del suo maestro Sacripanti.
All’amico Riccardo Dalisi per avermi donato del materiale prezioso sui suoi innumerevoli quanto fanta-
siosi ponti, e tra questi uno pensato per lo Stretto di Messina.
A Francesco Cellini, Presidente dell’Accademia di San Luca, per avermi messo a disposizione l’archivio e i
relativi materiali in possesso sul progetto ponte di Sacripanti.
A Renato Nicolini, amico straordinario di cui avverto sempre più la mancanza. Con Lui ho condiviso
numerose esperienze, la sua testimonianza, solo in minima parte, dà conto del nostro complice rapporto.
All’indimenticabile Vittorio Giorgini e Marco Del Francia per il materiale aggiuntivo della loro proposta
di Ponte.
All’Ing. Mario Petrangeli per la bella conversazione telefonica, ricca di spunti e riflessioni.
A Francesco Borella per i materiali forniti riferiti al ponte di Marcello D’Olivo.
A Paolo Soleri che moltissimi anni fa in occasione di un workshop da me organizzato ad Arcosanti in
Arizona mi consegnò dei fantastici progetti di ponti in diapositive che custodisco gelosamente
A Nicoletta Nunnari per il materiale riferito alla Società Ponte sullo Stretto di Messina.
A Domenico Cogliandro che mi ha fornito del materiale con generosità.
A Pino Donato per avermi fornito i materiali del ponte da lui pensato, così come a Bernardo Re che con
generosità ha messo a disposizione il suo lavoro.
A Franco Cardullo, mio vicino di stanza nel dipartimento, che sopporta con pazienza il fumo del mio siga-
ro toscano, amico da oltre una quarantina d’anni, che mi ha donato i suoi libri sullo Stretto e su Giuseppe
Samonà, particolarmente utili per questo lavoro.
Ad Attilio Terragni amico, che ci ha visto coinvolti insieme nel piano per la realizzazione del CEDIR
(Centro direzionale del ponte sullo Stretto), per averm fornito i materiali del progetto, infine selezionato,
redatto da Daniel Libeskind e dal suo gruppo.
A Emanuele Bertucci, amico e non solo editore, che ha creduto fin da subito e senza esitazioni in quest’o-
pera.
A mia moglie Antonella Pavia che si è sottratta, nella sua modestia, dal voler comparire con me in coperti-
na. senza la sua tenacia e abnegazione il volume probabilmente non avrebbe visto la luce. Un grazie, forse,
è poca cosa, per chi quotidianamente guida la nostra esistenza. Il mio debito con Lei aumenta esponen-
zialmente.
In copertina: Marcello Sèstito, “Un Ponte di Fumo?”. Acquerello 2018
“Il ponte è un occhio dato dal suo riflesso sull’acqua, un occhio che
si sdoppia, metà reale, metà virtuale. Uno di pietra, l’altro d’aria”.
“...e l’enorme ponte si alzava contro l’azzurro del cielo come un pa-
lato d’acciaio”.
Josif Brodskij
Marcello Sèstito, “Ponte di Parole”. Disegno su carta 2015
ad Antonella
sempre
IL PONTE
INCONTINENTE
Nello Stretto di Messina
l’avventura di un archetipo
il condensarsi di un simbolo
“Il luogo non esiste già prima del ponte. Certo, anche prima
che il ponte ci sia, esistono lungo il fiume numerosi spazi che
possono essere occupati da qualcosa. Uno di essi diventa a
un certo punto un luogo, e ciò in virtù del ponte. Sicchè il
ponte non viene a porsi in un luogo che c’è gia, ma il luogo si
origina solo a partire dal ponte. Il ponte è una cosa, riunisce
la Quadratura, ma la riunisce nel senso che accorda alla Qua-
dratura un posto. A partire da questo posto si determinano
le località e le vie in virtù delle quali uno spazio si ordina e si
dispone. “
Martin Heidegger, Costruire abitare pensare, a cura di Gian-
ni Vattimo, Mursia Milano 1976, pp.102-103.
“ La nave Argo si stava avvicinando a Scilla e Cariddi, sulla
via tormentosa del ritorno. .. Per passare da un mondo all’al-
tro bisogna insinuarsi fra rocce in perpetuo movimento, che
schiacciano. O attraverso un ponte che è come la lama di un
rasoio”.
Roberto Calasso, Il cacciatore celeste.
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Marcello Sèstito, “Passeggiata sullo stretto”. xxxxxxxx 2018
6
Indice
1 Il Cavalcamare__________________________________________________________ Pag. 11
2 Lo Stretto di Messina sempre più largo_______________________________________ Pag. 21
3 Come unire le sponde____________________________________________________ Pag. 35
4 Un ponte elettrico_______________________________________________________ Pag. 45
5 Un singolare precedente: La Città-Ponte sullo Stretto di Maurizio Sacripanti_________ Pag. 55
6 Sul progetto della Città-Ponte di Maurizio Sacripanti colloquio con Franco Purini____ Pag. 59
7 Il Concorso Internazionale di idee per il collegamento stabile viario e ferroviario
fra la Sicilia e il Continente del 1969 ________________________________________ Pag. 69
8 I ponti in tasca il concorso del 2007_________________________________________ Pag. 115
9 Una testimonianza di Renato Nicolini_______________________________________ Pag. 129
10 Ponti singolari _________________________________________________________ Pag. 135
11 Il ponte di sotto mitigare le sponde una proposta di Alessandro Anselmi ___________ Pag. 163
Pag. 168
12 Il CEDIR,Centro Direzionale del Ponte sullo Stretto di Messina versante Calabro_____ Pag. 197
13 Un ponte invisibile______________________________________________________
Bibliografia____________________________________________________________ Pag. 208
Indice delle illustrazioni__________________________________________________ Pag. 214
Indice dei nomi ________________________________________________________ Pag. 215
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“La separatezza fisica fra due luoghi non ha bi- Il Cavalcamare
sogno di essere modificata quando ad essa cor-
risponde una mancanza di interesse a comuni-
care”.
“L’artificiale non trova i caratteri della bellezza
per fortuiti giochi di coincidenze, ma in ragione
(e ciò vale, più in generale, per il territorio) di una
precisa volontà: un progetto politico, una ‘sostan-
za di cose sperate’ che ha, proprio nell’artificiale,
quella sostanza cercata”.
Antonio Quistelli
“Ero rigido e freddo; ero un ponte gettato sopra un abisso. Da
questa parte erano conficcate le punte dei piedi, dall’altra le
mani: avevo i denti piantati in un’argilla friabile. Le falde della
mia giacca svolazzavano ai miei fianchi … Una volta gettato, un ponte
non può smettere di essere ponte senza precipitare … E mi volsi per ve-
derlo. Il ponte che si volta! Non ero ancora voltato e già precipitavo…“1
Questa sorprendente immedesimazione kafkiana sintetizza le vicende
che riguardano la possibile costruzione del ponte sullo Stretto di Mes-
sina, anticipandone, in chiave pessimistica, da scongiurare coi migliori
auspici, persino un possibile crollo. Ma la figura di questo grande esse-
re proiettato sulle sponde con la giacca svolazzante che pende sui lati
ci pare metafora efficace visto che la medesima giacca viene tirata in
più direzioni tanto da far traballare la struttura.
A fugare qualsiasi equivoco diciamo subito che siamo d’accordo affin-
ché il ponte si realizzi e le ragioni non andremo a cercarle né nell’inda-
gine sociologica, né nella necessità economica, né nella volontà politica
oscillante nelle sue tesi, né nel congiungimento dell’isola alla terra fer-
ma, né in qualsivoglia ipotesi che vedrebbe nell’opera faraonica la riso-
luzione per posti di lavoro inevasi, ieri come oggi, né nella scommessa
1 tecnologica che si vedrebbe impegnata nelle sue risorse planetarie alla
realizzazione del manufatto più complesso del pianeta.
Le nostre ragioni, del tutto e legittimamente non condivisibili, risiedono
solo in una volontà estetica inespressa, e nel tentativo, forse ingenuo,
nel dichiarare che tale progetto da sempre desiderato non ha trovato
nei secoli, per non dire nei millenni, adeguate menti e mani capaci di
tradurlo concretamente.
Se le ragioni del nostro “si” si scontreranno con i molti “no” è doveroso
tratteggiarne i confini entro cui l’indagine estetica si muove, ora a tratti
sincopati, più in là scorrevoli o fluidi.
Il PONTE INCONTINENTE, non solo vuole essere un’opera di unifi-
cazione dello stivale, ma si configura come una macchina celibe, un
objet a reazione poetica, se ne accorse bene Domenico Cogliandro,
2 una granata dalle infinite schegge, capace di incontenibili valenze e di
accelerazioni della coscienza: il ponte è una provocazione, un’espe-
diente mnemonico, capace di far riflettere le menti più argute su come
scavalcare questo tratto di mare di 3333 metri tra i più discussi della
storia. Un totem che convoglia a sé come un sifone i tentativi più arditi
e le proposte più azzardate del pensiero umano concentrate su di un
singolo aspetto: come configurarsi questo “Cavalcamare”?
Il PONTE INCONTINENTE, perchè deborda dal suo stesso essere ele-
mento fisico architettonico o ingegneristico che sia, fino a lambire ambiti
a lui apparentemente non dovuti: letteratura, mito, sociologia, poesia,
3 filosofia, archeologia…
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Il testo si aggira tra queste imprese, e più che costituire una storia del
ponte, storia su cui si sono già cimentati in molti, 2 tenta fin dove possi-
bile di illustrare, con un apparato iconografico il più dettagliato possibile,
i progetti che si sono succeduti nel tempo.
Il tratto di mare compreso tra Calabria e Sicilia si può oltrepassare con
raggi luminosi, con cavi elettrici e teleferici, con istmi, con gallerie sotto-
marine, con sommergibili direzionati, con imbarcazioni legate assieme,
4 con tubi semisommersi, con botti o zattere galleggianti, con cordate di
varia natura, con nuvole allineate, con sguardi, e persino con parole!
“Il problema Sicilia-Continente nasce dall’opporsi tra loro di due condi-
zioni: la continuità compiuta delle relazioni e la discontinuità fisica (posto
che un tratto di mare sia una forma di discontinuità). Isola e Continente
esigono che sia modificata la separatezza relativa, perché costante e
ricca è la domanda di comunicazione”.3
Si sono cimentati i migliori architetti ed ingegneri, gli artigiani più arguti, i
politici più accorti che ne hanno fatto una bandiera, la satira più pungen-
te o i fumetti più dissacranti, rimane il fatto che questo corpus documen-
tario in assenza della sua realizzazione concreta alimenta speranze e
delusioni, accrescendone l’immaginario. Il ponte è un mito fragile teso
5 tra due corde tirate dalle sponde, così elastiche da comprendere nel
mezzo l’aria che vi circola e i flussi sottostanti.
Da Archimede in poi, le ipotesi di collegamento tra la terraferma e l’isola
Trinacria si sono susseguite ininterrottamente fino ad oggi in una molti-
tudine di ipotesi come quella singolare e utopistica di un certo “Franco
Italiano” Giuseppe Fichera con progetto architettonico di Ricard Gilbert,
finito in una leggendaria cartolina stampata da Mars, dal titolo Progetto
6 del ponte sullo Stretto di Messina. Il progetto propone due dighe costru-
ite a contenere nelle basi due porti in ambo i lati che fanno da sostegno
e da supporto per eventuali attracchi turistici, si compone inoltre di due
torri reggenti i cavi per un’unica campata ridotta di dimensioni a causa
dell’inoltrarsi delle dighe in mare sia nel versante calabro che in quello
siculo. Ispirato alle architetture degli anni cinquanta dove si avvertono
echi dei progetti di Renzo Picasso per Genova, tra monumentalismo e
indagine tecnologica offre di sé un’immagine sufficientemente convin-
cente per l’epoca. L’innesto con il paesaggio appare piuttosto puerile
e la proposta si innerva nell’immaginario leggendario dell’opera a cui
faranno seguito le molte altre quasi tutte (si spera!) qui riprodotte.
C’è chi spaventato dall’opera si preoccupa del suo impatto ambientale
7 dimenticando che la buona architettura ha sempre provocato una re-
azione dei luoghi: visiva, concettuale, paesaggistica. E non vi è opera
seria in tal senso che possa sottrarsi a tale energia provocatoria.
Ecco, allora, gli appelli degli ecologisti, degli ambientalisti, dei biologi
marini, degli esperti dei fondali, ergersi a protezionisti di specie in pe-
ricolo, ecco gli isolani che vogliono rimanere ancora e di più isolati per
non perdere il privilegio e l’esclusiva di appartenenza ad un popolo che
non si vuole mischiare, ecco una politica globalista, di chi guarda le
carte dall’alto, che sembra essere interessata ad un collegamento che
avvicinerebbe Berlino alla Tunisia, avendo nello stretto una strozzatura,
8 una sospensione di continuità da sanare con una ulteriore striscia di
terra anche se sospesa. Questo tratto di mare conteso dalla mitologia,
sintetizzato nei due mostri omerici di Scilla e Cariddi, genera uno iato,
un vuoto che non è solo assenza del costruito ma un vuoto come attesa
del probabile, dell’inconsueto, dell’inatteso.
Intanto nel mondo, come si affrettano a enucleare gli ingegneri di spes-
sore, si sono realizzati ponti di notevole fattezza e di alto rischio am-
bientale, dal dramma del Takoma Bridge, avvitatosi su se stesso, fino
al ponte di Akashi in Giappone che si attesta nella dimensione di 1991
metri ad una unica campata.
Le due sponde che non dialogano affatto tra loro, tanto che Reggio
deriva il suo nome da Rezzo: la divisa, la separata, tentano un ricon-
giungimento nell’ipotesi, anch’essa vecchia, ma sempre riaggiornabile,
di una Città dello stretto, una conurbazione urbana a scala geografica,
9 la Città Rezzina degna di rapportarsi alla dimensione di esperienze ur-
12
bane ragguardevoli per dimensione e per capacità attrattive, come dire
alla Brodskji che è sempre la geografia che determina la storia.
Questo dialogo, in fondo mai avvenuto, per quanto le due città condivi-
dano l’effetto ottico della Fata Morgana: una terza città posta in mezzo
alle altre due, ma evanescente, e improbabile perché riflessa, riflette a
sua volta, in un gioco di specchi, la condizione sospesa, di attesa di ogni
possibile intervento che ne possa scongiurare l’ulteriore separatezza.
Un effetto virtuale che traspone, parallelamente all’esistente, le città in
un altrove dove forze mitiche tentano un ricongiungimento.
Ma la separazione resiste, per quanto il mare si configuri come una
piazza interna, deposito dello sguardo, malgrado venga solcato ininter-
rottamente da scafi in tutte le direzioni, tanto che questo andirivieni, una
10 vera e propria naumachia, si presta ad un alto rischio di incidenti, come
quello avvenuto di recente e destinato a crescere di numero.
Un canale orizzontale attraversato ortogonalmente in più punti aumenta
ovviamente il pericolo.
Ma la grande nasse convoglia dentro se non solo le acque tumultuose
nei refoli e garofali, o i resti di rotte ormai svanite nelle scie dei ricordi,
solchi di imbarcazioni che come trame e fili hanno cercato di ritessere
un legame tra le sponde come chi cuce e ricuce una stoffa pregiata,
ma a tutt’oggi gli sforzi non vanno al di là di pochi rigurgiti politicizzanti,
quando basterebbe, ad esempio, ridurre i costi del biglietto per attra-
versare le sponde a cifre irrisorie, tanto da consentire una mobilità più
efficace al di là delle spese faraoniche previste per qualsiasi ricongiun-
gimento.
Ma la separazione, che non è solo fisica ma anche concettuale, si pone
come frattura ancestrale, geologica a cui i popoli hanno opposto evi-
denti strategie di collegamento, ma che resiste nell’immaginario epico.
Alcuni, nostalgici, sospettano persino che l’isola non sarebbe più tale se
solo si costruisse questo cordone ombelicale tanto da legarla alle Cala-
brie. Per altri persino il mito perderebbe di fascino perché depotenziato
dal faraonico progetto. Mentre ambientalisti retrò vedono nella costru-
zione possibili cambiamenti di rotte migratorie come se gli uccelli non
sapessero adattarsi ai cambiamenti, o come se l’intelligenza dei delfini
11 non sapesse sopportare il peso dell’ombra prodotta dalla struttura
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13
sull’acqua, peggio, lo abbiamo visto, quelli che si appellano all’impat-
to ambientale, come se la buona architettura non lo facesse, ma che
con la pretesa del danno ecologico non si avvedono che intere porzioni
di paesaggio, soprattutto nei pianori di Sant’Elia di Palmi, a causa dei
lavori autostradali, hanno cambiato i loro connotati, tanto da farci sup-
porre che in futuro dovremmo ricorrere, con le dovute cautele, a forme
di protezione dei profili delle montagne come di chi protegge un volto
noto e familiare.
Il ponte sembra così coagulare su di se tutte le aspettative del costruito
e del non costruito, del possibile e del prevedibile, dell’astratto e del
concreto, del rischio e dell’attesa, della paura e del cimento, della tec-
nica e dell’utopia.
Filo teso come corda di violino, linea retta che misura e incide, Il ponte
è sempre un ponte del Diavolo, lo ricorda Omar Calabrese in un suo
splendido saggio, affonda la sua presenza nel mito delle origini, si frap-
pone tra due opposizioni duali e come vorrebbe Heidegger rivela, con
la sua presenza, le sponde.
La letteratura se ne è ampiamente occupata così come la pittura e le
arti in genere sia per interpretarlo come elemento di conflitto che di se-
13 duzione: “il ponte funge essenzialmente da operatore di trasformazioni
… la funzione essenziale del ponte pertanto viene ad assomigliare a
quella di un deittico, cioè di un indicatore di circostanze enunciative: il
ponte serve per dire ‘tutto ciò (che io dico qui) avviene là”4. Rappresen-
ta il discontinuo di un sistema, un fenomeno qualitativo, visto nel suo
punto critico, per questo è rapportato alla teoria delle catastrofi di Renè
Thom, uno stato neutro, lo stato della totale imprevedibilità, dove si in-
contrano la dispersione e la speranza, la città e l’altrove, la conoscenza
dell’ignoto e la vittoria dell’irrazionale5.
E il Ponte sullo Stretto, emblema di tutti ponti, sembra convogliare entro
se quanto qui elencato.
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La bufala
Tra le varie espressioni polemiche, di rigetto, o di contestazione
all’opera, che riempirebbero scaffali, qualora un diligente studen-
te o ricercatore intendesse recuperarli allo studio, una cartolina
riproduce una bufala -nel doppio aspetto di frode e di animale- che sca-
valca, con la sua schiena allungata, il canale. Sintesi assoluta delle
molte promesse, mai mantenute, il ponte animato e animista, seppure
bestiale, alimenta l’archetipo in una politica che nei suoi tentennamen-
ti e ipocrisie, ha generato un fastidioso opportunismo, che serpeggia
persino negli addetti ai lavori, e in coloro i quali, e parlo persino di ami-
ci, negli anni si sono posti in una posizione revisionista nei confronti
dell’opera, attraversando tutte le ipotesi, dal rigetto del ponte, prima, poi
dalla sua indifferenza realizzativa, e infine alla sua fattibilità. Essendo
fuori da tale cambiamento di rotta, come sostenevamo tantissimi anni
fa, con il solo plauso di Antonio Quistelli, fortemente convinto della sua
validità, ci scontravamo con i nostri stessi amici (ideologici!), come se
l’opera stessa potesse appartenere ad una ideologia. Ideologia che ha
cavalcato l’onda sottostante la grande trave, per i suoi programmi a
favore o contro.
In sostanza generando un fastidioso rituale: Ponte si Ponte no, ora di-
22 venuto una melopea ripetitiva per congressi mirati, ove persino i politici
nel dubbio della sua ipotetica costruzione sospendono il giudizio in un:
non si sa mai lo facessero per davvero! Rivendicando ognuno primati
e iniziative di fattibilità, mentre una Società (nemmeno segreta!) Ponte
sullo Stretto è costata allo stato, negli anni, una cifra vicina alla stessa
realizzazione. E c’è da dire che se si potessero sommare i documenti
cartacei prodotti costituirebbero, allineati, già una diga sullo stretto.
Il ponte, tornando a Kafka, è un personaggio che si autodetermina, im-
pone la sua volontà realizzativa perché ha da raggiungere le sponde
come la celebre frase che Francesco Venezia riprende da un verso
della poesia Vento sulla mezzaluna di Montale: “Il grande ponte non
portava a te, ti avrei raggiunta anche navigando nelle chiaviche”.
In questa autodeterminazione realizzativa le ideologie hanno intravisto
loro stesse possibilità di cooptazione, ed in questo hanno allontanato
le sponde: la destra e la sinistra, sintetizzando come se alla falce di
Messina si fosse contrapposto un martello sulla costa calabra. Ma lui
stava lì, in mezzo, sempre in attesa che si accorgessero di lui, sapeva
perfettamente che tutti sarebbero passati da lì e che ne avrebbero va-
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lutato la sua assenza-presenza: le architetture sono come gli uomini,
malgrado la democraticità auspicabile, alcuni sono più determinanti di
altri. Ora non c’è passante che non lo intravede nella foschia e nei raggi
di luce, divenuto mitologia del luogo, come Glauco o Colapesce, sovra-
sta nell’immaginario, l’imbocco Peloro. C’è chi lo ha visto innalzarsi tra
Cannitello e Ganzirri, chi ancora spostarsi lungo l’asse parallelo in cerca
di un guado migliore dove lanciarsi nel folle volo dei 3.333 metri, su un
vuoto assoluto, dove solo le voci degli dei sembrano sostenerlo visto
che ancora, per ora gli uomini non affrontano il grande rischio sempre
più ridimensionato: la proposta di Calzona di ridurlo a 2000 metri di
campata superando di pochi metri quello di Akashi di 1991 metri, suona
come la scommessa di Sinan che per tutta la vita si adoperò a superare
la cupola di Antemio di Tralle a Santa Sofia di Costantinopoli, di pochi
metri. Ma lui esige di più non solo di bellezza, ma soprattutto di rischio,
altrimenti perché la geografia si sarebbe predisposta in tale misura? Le
coste, nè tanto distanti, né tanto vicine: 3.333 metri, quanto basta, ed è
molto, per il cimento (cemento!) umano.
Segno Mediterraneo
Nelle carte di Ignazio Danti, che affrescano le sale vaticane, un raggio
misuratore va a cadere nei pressi dello stretto come un ponte luminoso
e irrealizzato, anticipazione casuale di un progetto millenario che lega,
nel Mediterraneo, l’isola triangolare alla terraferma costituendo un fram-
mento di un asse orizzontale che congiungerebbe idealmente lo stretto
di Gibilterra al Bosforo, simbolo e segno Mediterraneo di una volontà di
potenza per alcuni, per altri volontà di progresso, per altri ancora rischio
o mito rinnovato.
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Note
1-Franz Kafka, Die Brücke, 1916, trad.it. Il ponte, in Id., Il messaggio dell’imperatore. Racconti di Franz
Kafka, versione e nota introduttiva di Anita Rho, Frassinelli, Torino, 1935. Ora in Frassinelli, Milano 1968,
pp.319-321.
2-Del resto la tradizione costruttiva dei ponti, solo per rimanere in ambito italiano è di lunga tradizione, e
come si sa ponte derivava da pontefice.
E basta scorrere i testi di Enzo Siviero, costruttore di ponti pure lui, per accorgersene, campeggiano i nomi
che hanno fatto la storia dell’ingegneria del novecento: Arturo Danusso, Hennebique, Alessandro Peret-
ti, Attilio Muggia, Luigi Santarella, Eugenio Miozzi,Giulio Krall, Carlo Pradella, Riccardo Morandi, Adriano
Galli, Silvano Zorzi, Guido Oberti, Luigi Stabilini, Carlo Cestelli Guidi, Sergio Musmeci, fino ai più con-
temporanei Frabrizio de Miranda, D.Danieli e G. Ferrero, G. Mazzoli, Ruggero Gigli, Pietro Matildi, Guido
Furlanetto, Mario Paolo Petrangeli, G. Vassallo, S.Caramelli, G.Mazzoli, Giorgio Zuccolo, F. Martinez y
Cabrera, Michele Mele, G. Mancini, G. Romero, Camillo Bianchi, Mario Valdemaria, Massimo Viviani, Luca
Romano, Gian Carlo Giuliani, Raffaello Barteletti, Giorgio Navarra, Giorgio Macchi, Massimo, Majowiecki,
Michele Mele. Vedi Siviero Enzo con Stefania Casucci e Antonella Cecchi, Il ponte e l’architettura, Città
Studi Edizioni, Milano 1995.
Siviero Enzo, Il tema del ponte, in AA.VV. Catalogo mostra, Compositori, Ean 2002.
3-Antonio Quistelli, presentazione al volume di Alessandro Bianchi e Manlio Vendittelli, L’attraversamento
dello Stretto, Casa del Libro, Reggio Calabria-Roma 1982, p.7.
4-Ci riferiamo al testo di Omar Calabrese, Uno sguardo sul ponte, in “Casabella”, n.469, maggio 1981,
p.55 .
5- Ibid.p.60.
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DIDA??
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“Ho per complice lo stretto di Messina Lo diStretto Messina
che sonnecchia all’alba, allungato bianco e lìscio
Sempre più
come un gatto d’Àngora ....
Ho per complice lo stretto dì Messina, Largo
col suo aspetto stanco dì materasso di seta
Lo Stretto di Messina, il riconco oceanico, accoglie nel suo invaso,
color turchese, quasi una fossa abissale, le avventure del Mediterraneo, i miti, le
e con le dolci parole arabe ricamate leggende, gli scontri epocali, le battaglie e i conflitti, le aspettative
dalle scie delle nuvole e delle pigre vele, e le speranze. Una “lavagna d’acque, come vuole Stefano D’Arrigo,
scheggiata di ferri delle traffinere, incrociata dalle balenanti ombre delle
tessute, suppongo, in silenzio, lunghe aste, una lavagna schiumeggiante di salsedine, bava e sangue,
con un filo d’argento sulla veste del mare. la lavagna dove il destino di tutti si cancellava, si segnava, tornava a
cancellarsi, a segnarsi senza fine”. Lavagna d’acqua che lentamente
Ho per complice la luna menzognera, sfoggia il suo attuale malessere e fa venire a galla, quasi come tra-
la più imbellettata delle cortigiane siderali, scrizioni geografiche, i racconti che lo hanno definito che lo hanno vo-
che in nessun luogo mai è tanto carezzevole, luto. I miti si danno convegno, le forze naturali pure, come se qui si
concentrassero ad evocare forze misteriose, cataclismi e smottamenti,
lusinghiera e persuasiva. forze telluriche mai sopite che si ripresentano a distanza di cento anni a
In nessun luogo mai la luna è così attenta ricordarci che anche la terra ha il suo respiro, e qui il suo fiato si fa ma-
a sedurre i rossi e duri fanali dei piroscafi, nifesto, agisce sulla coscienza e sulla geografia a ricordarci la caducità
dell’esistenza e la fugacità di ogni proposta di progetto.
passanti burberi che se ne vanno In sostanza lo stretto come laboratorio fisico di idee e concetti, di stra-
con un grosso sigaro tra i denti tegie e scorribande, di analisi e proposte.
cacciando fumo contro l’azzurro.” Lo stretto che assurge a dirimpettaio ad alveo in cui, sospesa la Fata
Filippo Tommaso Marinetti, L’aeroplano del Papa. Morgana, questa anticipatrice della città virtuale, fa le sue apparizioni,
cosciente del suo essere evanescente, come lo sono le idee e i concetti
2 che a volte permangono a volte scompaiono lasciando deboli tracce o
durature opere.
3 Morgana è il riassunto istantaneo di ciò che avvenne nello Stretto di
Messina, coagulo storico, riproduce in una immagine riflessa il tempo
4 del luogo e degli avvenimenti che lo definirono.
Città di mezzo, sospesa, “edificata di raggi”, costruita di luci, distinta
5 nelle ombre, immateriale, inabissata e riemersa.
C’è da chiedersi come mai nel corso degli anni non si sia riusciti a fo-
tografarla… o forse lei sfugge alla macchina da presa che ridurrebbe,
in un certo qual modo, la portata visionaria delle sue particelle edilizie
disperse tra cielo e mare.
Ma l’acqua è soprattutto specchio e come tale si comporta. La Fata
Morgana nelle sue triplici manifestazioni: aerea, multipla o d’iride fregia-
ta, mai sarebbe stata visibile se l’acqua non avesse deciso, in condizio-
ni d’assoluta calma, di rispecchiarne il volto.
Morgana si divide, e non solo nelle sue molteplici facce, nate dalla defla-
grazione della luce in particelle o pulviscoli, ma nella mitologia e nella
scienza, il suo volto appare ora fortemente deciso dall’andamento dei
raggi ora dalla penna dello scrittore che scava nella sua fisionomia. La
scienza ci fornisce le spiegazioni tangibili del fenomeno spogliandolo,
però è il caso di dire, dalle valenze mitiche che come incrostazioni ma-
rine si sono sommate nel tempo alla sua figura. Conoscere il fenomeno
21
nel suo reale effetto non vuol dire averne sondato le sue possibilità
espressive, crediamo che scienza e mito finiranno col convivere per
lungo tempo nello stretto canale di Sicilia e che Morgana la Fata conti-
nuerà a fare capolino tra le nubi e i raggi pronta ad apparizioni fugaci al
limite dell’inesistente.1
Lo stretto non solo è indispensabile, come più volte dichiarato da La
Cecla in un suo testo dove leggiamo: ”Questo specchio e clessidra tra
6 le due coste e due mondi, rimando di rimandi, riflesso di intenzioni in-
crociate…” ma è anche necessario. Nassa che tutto raccoglie e filtra,
in esso i mari si miscelano come portatori di correnti liquide del pensie-
ro; nell’imbocco, nell’imbuto ci si inoltra da opposte direzioni, quella da
nord richiede una verità da anticipare, lo seppe bene Peloro che diede,
col suo sacrificio, nome all’imbocco dopo che da nocchiero non fu cre-
duto da Annibale quando asseriva che lo stretto aveva sbocco.
Da Sud è diverso, sono le correnti che ti ci portano, le terre man mano
si restringono, la sua verità geografica viene accertata man mano come
una conquista o un destino a cui non ci si può sottrarre. Venire da Nord
vuol dire affrontare il collo di bottiglia in una sfida tra guardiani che il
mito omerico rese celebri: lo Scill’eCariddi sinonimo di tentazioni avver-
se. Venire da Sud significa aver assorbito le acque africane e incanalar-
le sapendo che la rema montante e la rema ascendente finiranno con lo
scontrarsi miscelandosi. E con esse le culture di provenienza.
7 Lo Stretto ha anche un alto e un basso, troppo presi a descriverne le
coste oppositive dimentichiamo il sotto e il sopra, ma sono queste ulte-
riori partizioni che ne determinano l’alveo. Cosa sarebbe l’invaso senza
quelle nuvole cangianti che lo sorvolano come dirigibili d’aria compres-
sa, pennellate di un Velazquez, chiazze di un Turner. Qui le nuvole si
architetturizzano, come quelle di Luke Howard o dell’onnipresente Go-
ethe, scavano nell’aria fino a trovare la loro sede come in un calco bian-
co, scrivono letteralmente in cielo il riflesso della loro ombra sull’acqua,
alcune più impertinenti replicano in negativo le città sottostanti.
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22
Lo Stretto, se si volesse proprio decifrarlo, è nelle sale del museo Ta-
lassografico, posto nell’area zanclea, che andrebbe ricercata la sua es-
senza, è qui che il grande biologo Ernst Haeckel pensa le tavole per il
suo Kunstformen der Natur, come se in esse si convogliassero energie
genetiche, paradossi temporali in grado di decidere persino sulla storia
dell’evoluzione. Goethe nel suo viaggio in Italia proprio sulle rive dello
Stretto può decidere sulla differenza che passa tra prosa e poesia: ”Poi
lo sguardo spaziò libero nello Stretto da nord a sud, per un’ampia esten-
sione di belle sponde d’ambo i lati… Scilla e Cariddi. Questi due famosi
fenomeni, così distanti l’un l’altro in natura e che la poesia ha invece
collocato così vicini sono stati la fonte d’aspre rimostranze sulle fanfalu-
9 che dei poeti, dimenticando che sempre l’immaginazione umana, quan-
do vuol dare risalto a determinati oggetti, se li rappresenta piuttosto alti
che larghi … Troppe volte ho udito lamentare che ciò che si conosce
attraverso il racconto risulta deludente nella realtà, e la ragione non
cambia: il rapporto tra fantasia e realtà concreta è il medesimo che tra
poesia e prosa; la poesia penserà sempre il proprio oggetto imponente
e aderto, la prosa tenderà ad espanderlo in larghezza”.
Lo stretto è crogiuolo e stampo, vi si installano i miti che a turno im-
pongono la loro presenza, e portano con se il loro doppio, il loro essere
duplice, un’opposizione duale insita nel luogo… Il fronteggiarsi degli
10 elementi: le città doppie, “le città ‘porose’ perché irrorate dal mare, de-
stinate ad accogliere le maree” (Cacciari), le doppie correnti, la rema
montante e quella ascendente, i due mari, il Tirreno e lo Jonio, le due
sponde. Due sono persino gli edifici torre per l’ammarraggio dei cavi per
l’attraversamento elettrico dello stretto proposti e realizzati da Morandi:
due grandi cavalli di Troia posti a guardia dell’imbocco. Ancora i due
fari esistenti, o il gorgo: negativo acquatico della roccia della calamita
scillea; tutto ciò a confermare l’esistenza di questo doppio sguardo for-
temente avvertito dal D’Arrigo nell’Horcynus Orca, nel tentativo estremo
di ricongiungere ciò che è diviso dal “ponte sofferto”.
Mata e Grifone: giganti che emulano i ciclopi dell’isola in chiave religio-
sa o in riti pagani; Scilla e Cariddi uniti nel destino; i due Piloni metallici
come nuove colonne d’Ercole; Colapesce ammarato o le Sirene ingan-
natrici che da Randazzo, come vuole Maria Corti nel suo catasto ma-
gico, si involarono, prima uccelli e poi mostri d’acqua, spiaggiati infine
sulla peloritana punta, sulla Finis Terrae. Doppio è persino l’esito archi-
tettonico delle stazioni ferroviarie pensate dal Mazzoni, bianca quella
sicula, nera e lavica quella reggina. Che sia tutto doppio lo ricordano
persino i ferry-boat con le loro fauci spalancate, navi nate per lo sbarco,
navi da guerra riadattate per i passeggeri, navi Caronte a cui porgere
un prezzo per il passaggio che prima era considerato una gentilezza del
luogo. Sono navi simmetriche che contrastano fortemente con l’orogra-
fia del sito, dove avvallamenti e protuberanze, fosse e cime irte fanno
da contrappunto. E poi un doppio sguardo ed una doppia appartenen-
za: lo sguardo di Antonello, e quello del Tempesta.
Lo Stretto è sede della leggendaria isola Aeae di Circe Calipso, da noi
rinvenuta in una carta del King, l’isola luminosa, la zattera di luce. Qui
o si diventa mitomani o mitografi o si muore.
Lo Stretto è il luogo della fauna abissale: il pesce ascia, la spatola dai
tondi occhi glauchi che ha nutrito intere popolazioni, vivono in profon-
dità esseri mostruosi dalle larghe fauci, lucciole e portatori di lanterne,
come Diogene di Sinope, quasi ad illuminarne il fondale; a volte spiag-
giano battendo la testa su Capo Cenide.
Lo Stretto è un convegno a cui partecipano simultaneamente uomini
e cose, attratti come da una calamita percepita nei flussi disegnati nel-
le incisioni di Pietro Ribaud nel suo trattato sulle acque che solidifica
persino la spianata liquida, come una lastra incisa dalle carene dei va-
scelli, poi inabissati nel fondo, in un cimitero di relitti a cui si sommano
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tristemente le nuove salme dell’immigrazione. Un Mediterraneo funesto
e funereo come un cimitero liquido che allaga la nostra coscienza disat-
tenta e incapace verso l’altro.2
Lo Stretto atlante immaginario, qui si sommano carte e cartigli carte
nautiche e portolani come se la lavagna acquatica o lo specchio d’ac-
11 qua riflettesse in negativo le rotte, le vie mediterranee, i dialoghi tra
popolazioni, quei dialoghi ben descritti da Predrag Matvejevic nel suo
Breviario Mediterraneo che si affianca a quello storico e strategico del
Braudel.
Lo Stretto è sonoro, è il vociare dirimpettaio, lo stantuffo del vaporetto,
lo sciabordio delle onde, la risacca e il reflusso, il suono del piroscafo:
allarme e avvertimento della guardia costiera. In passato petardi e bom-
barde, cannoni antiaerei dai fortini disseminati sui crinali come guar-
12 diani di guerra. Ora solo i fuochi d’artificio sono suoni di festa che in
quelle padronali, da Messina a Pace, da Consolazione e Punta Pezzo
rispondono a quelli di fronte di Reggio, Catona, Cannitello, Scilla…
Lo Stretto è luogo del buio. Prima solo gli occhi di brace dei fari scru-
tavano l’orizzonte, ora una rete di luce avvolge l’urbano e le colline re-
13 stituendone l’orografia impossibile da discernere prima dell’elettricità.
Come se l’intera terra si illuminasse imitando l’incandescenza lavica
che dalla bocca del De Etna precipita a valle sciogliendo ogni cosa
al suo passaggio. Guardiamo le coste al buio, le luci si susseguono
ininterrottamente da una sponda all’altra chiudendo l’acqua interna in
un abbraccio, qui dove il mare è più mare, in questo lago che non è un
lago, in questo fiume che non è un fiume solo la notte oblitera le brut-
ture.
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Lo Stretto come luogo del teorema del pesce spada, lo Xiphias, il pesce
indovino di Plinio, il pesce che fischia, il Galeota che si lascia catturare
solo quando l’urlo del timoniere e la direzione del fiocinatore compiono
una perfetta diagonale tra le ascisse e le ordinate date dal pilone metal-
lico e dalla lunga passerella che all’imbarcazione dà il nome.
Lo Stretto, come fiume se è vero quanto riporta Mario del Grande: “Un
vero fiume subacqueo in rapida corsa. E nel 1821 il Parlamento Napo-
15 litano, per evidenti ragioni politiche, volle che lo Stretto si denominas-
se per l’appunto Fiume Faro. Un corso d’acqua non tranquillo nel suo
fluire bensì caratterizzato da tante reme, ciascuna con effetti differenti
e appellativi diversi: Garofalo,Testa, Taglio, Cacciante, Filo, Gualiva o
Lavata, Scala di Rema, Taglio incannalato, Fili disordinati, Bastarda,
Tornata, Mala Rema.”3
Lo Stretto è il luogo della Palazzata. Un progetto di Pier Luigi Nervi lo
ha inteso nella sua vastità e illimitatezza; proponeva una “promenade
panoramica pedonale” nel suo Lido reggino esso risponde abilmente
alle “consapevolezze geostoriche e a quell’afasia progettuale di una ge-
nerazione di politici e progettisti, all’estetica talassourbica” di cui lamen-
ta l’assenza Nicola Aricò. Si può tranquillamente dire che il Lido si con-
trappone come alter ego ai progetti territoriali avviati per Messina, da
Montorsoli a Del Duca, da Juvarra a Samonà che dalla Falce a Peloro,
e viceversa, proponevano le loro architetture nel tentativo di cogliere le
spinte terrestri finendo con l’avvoltolarle nella spirale interrotta del porto
Zancleo o in quella fluttuante del Caribdis, spirali agenti come molle
compresse e pronte a scattare, e la cui spinta architettonica iniziale,
sicuramente non dimenticata dal Guarino Guarini, va ricercata in esse.
Lo Stretto è il luogo delle spirali. Persino la miniatura (araba) con una
Messina acchiocciolata su sé stessa, nel suo porto, culminante con la
Finis Terrae e fronteggiata da un lembo triangolare di terra calabra, ci
dice questo. La lunga silouette del Lido ripropone un progetto che si
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snocciola lungo il fronte reggino, a suo modo, una figura contrastante
quella antica facciata messinese, ma introiettando di questa la matrice
falcata. L’arco del Nervi, un falcetto, va visto e contrapposto all’arco
spiralico della falce messinese, è un’opera terracquea nel Freti Siculi.
Il veneziano Giuseppe Torres, osservando gli esiti del terremoto, bre-
vetta la Casa circolare antisismica e si dice volesse “Messina tutta ro-
tonda e rosata”, forse anch’egli per pareggiare i conti con i gorghi. Nel
nettuniano mare, l’Architettura è costretta e si costringe a direzionare lo
sguardo: ora a destra a punta Faro, ora a sinistra sul Mongibello. A ben
17 vedere cerca ancora la luce, sia quella generata da una lanterna posta
in sommità di una colonna nel Peloro, sia quella generata dalla fucina
di Efesto nelle viscere della “Montagna”. La luce del faro del Montorsoli
adagiata sulla falce tira anch’essa a sé gli elementi ponendosi central-
mente e sulla stessa spirale.
Tra gli altri tentativi di realizzare la Palazzata ricordiamo quello del 1600
dove nel sito falcato della città di Messina, Jacopo Del Duca, allievo
di Michelangelo, realizza i suoi 19 isolati del Teatro Marittimo, seguito
dall’abate Giacomo Minutoli, architetto messinese che ricostruisce con
33 isolati la Nuova Palazzata a mare, per giungere al concorso del 1930
per Messina vinto da Giuseppe Samonà con gli 11 isolati per la Cortina
del Porto, e a cui avevano partecipato tra gli altri Libera, Ridolfi, Panta-
no e Autore.
18 Lo Stretto è territorio per scorribande iconografiche lo ricordano i som-
movimenti vulcanici nella veduta del Van der Aa nell’incisione del 1670
o l’impareggiabile visione del Minasi nella Morgana con il Prospetto del-
la città di Reggio nel Canale di Messina, dove nello specchiarsi in acqua
la città si sfalda in improbabili macerie. Seguono la stampa di Placido
Doria del 164,2 il dipinto di Abramo Casembrot del 1670, le piante del-
la città di Messina del XVII secolo e quella di G.B.Melchiorri incisa da
P.Pilaia.
Di catastrofica figura, per lo Stretto di Messina del 1784, quella del Che-
reau e di Agazio Trombetta sull’evento sismico del 1783. La palazzata
messinese la ritroviamo nelle vedute del Ruiz di Joli (1760 ca.) di Ju-
varra, nel De Fer, in Will, o in Bodenehr fino alle stampe di Pomponio
Schiantarelli e Ignazio Stile. Per il versante reggino la bella descrizione
di G. Capozzo (tratta da: Sul Fenomeno della Fata Morgana): “Siede
Reggio all’estrema punta dell’italiana penisola … le sue strade spaziose
19 fatte a corda, si intersecano ad angoli retti; ed i suoi edifizî di regolaree
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svariata architettura nelle altre strade, in quella che sulla marina giace
e che ne costituisce la fronte si mostrano di una costruzione uniforme
ed eguale sì un sol corpo di fabbrica assomiglia. Esso è chiamato Pa-
lazzina …. si presenta all’osservatore che dalla via di mare la guardi
a guisa di magnifico anfiteatro”. O ancora i progetti di Giovanbattista
Mori (1783-1792), di Stefano Calabrò (1791-1830), o l’autorevolezza
del palazzo Genoese Zerbi in stile neogotico veneziano, e poi ancora i
progetti voluti da Giuseppe Valentino, Ernesto Basile e Camillo Autore,
per le sistemazioni della Via Marina, resa ormai celebre nello slogan
di Gabriele D’Annunzio, fino ai progetti di Gino Zani. Il progetto della
21 “Real Palazzina” di Reggio Calabria, fu varato successivamente all’an-
nessione della Sicilia al Regno Borbonico, la realizzazione di un fronte
unico, continuo, esteso su tutto il lungomare, avrebbe dovuto recupera-
re il rapporto fisico e visivo tra la città ed il mare, fino ad allora negato
dalla cortina muraria delle fortificazioni, fornendo al tratto urbano di co-
sta continuità e decoro, riformulandone del tutto l’identità e l’immagine.
Lunga e travagliata la sua costruzione durata quasi un secolo, dalla fine
del XVIII alla fine del XIX secolo, fu molto osteggiata dalla popolazione
e dagli eventi; breve la sua durata, stroncata nel 1908, ancora una vol-
ta ad opera di un terremoto. In esso le opere architettonicamente più
significative: La Palazzina Reggina e la Palazzata Messinese, come in
22 un riflesso di Morgana dall’iride fregiata, si fronteggiano e si sbriciolano
polverizzandosi in corpuscoli di materie inerti.4
Più tardi, come ci ricorda Daniele Colistra sulla scorta del nostro lavoro,
metodi sempre più raffinati di rilievo topografico terrestre e poi aereo
hanno progressivamente limitato la componente inventiva e fantasiosa
nella cartografia, fino a raggiungere rappresentazioni normate da codici
e, quindi, obiettive dal punto di vista proiettivo, metrico e comunicativo.
Di recentissima scoperta arriva a noi integro in un volume ben rilegato,
forse il sopravvissuto di due, il Codice Romano Carratelli che prende il
nome dal suo acquirente come vuole Giuseppe Fausto Macrì che per
primo lo ha designato. Con esso la storia della Calabria si dota di uno
23 stupefacente album di immagini iconografiche di rara bellezza, 99 fogli
acquerellati databili alla fine del ‘500. L’architetto o ingegnere che fosse
descrive il territorio della Calabria Ultra punteggiato dalle torri costiere,
cosiddette Cavallare, da costruire o già realizzate. Ad esso si sommano
le città fortificate, castelli e basiliche come quella normanna a Squillace
o le singolari doppie colonne di Capo Colonna. Il codice rappresenta
per la Calabria un patrimonio inestimabile non solo per le sue qualità
pittoriche ma soprattutto per le informazioni aggiunte che richiederanno
studi approfonditi e messe a punto di alcuni anelli mancanti. Lo stretto
da Reggio a Palmi, nel caso specifico, somma l’iconografia che lo raffi-
gura al suo patrimonio iconografico già cospicuo.5
Lo Stretto è il luogo del miracolo. È qui che san Francesco di Paola
inventa, in quello dell’attraversamento, il primo windsurf della storia. E’
qui che sul suo mantello imbarcazione- traghetta da Catona a Messina,
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26
come ci racconta l’anamorfosi del Maignan in Santa Trinità dei Monti a
Roma, che in uno sconvolgimento geografico, la migliore raffigurazione
dello stretto in assoluto, assieme a quella del Tempesta, finisce col
restituire del luogo, non solo le valenze topografiche caricandole di
un senso religioso fino a far coincidere il macro al micro, la storia con
la geografia, il mito con la religione, ma persino la topografia con la
meteorologia in un affastellarsi di avvenimenti ove il santo in miniatura
compie altrettanti miracoli seguendo le linee che lo definiscono.
Ma, per quanti santi si possono affacciare sullo Stretto, li domina tutti la
Madonna della Lettera posta a guardia di Messina nella punta zanclea,
che come la statua della Libertà americana accoglie al suo ingresso tutti
i tipi di natanti.
25 Lo Stretto ha i suoi innamorati primi tra tutti gli abitanti dirimpettai poi
in Antonello da Messina, Minasi, Ribaud, Iuvarra, Guarini, Montorso-
li, Brughel, Tempesta, Samonà, D’Arrigo, Consolo, Marinetti, Goethe,
D’Annunzio, Quistelli, Riccobono, Aricò, La Cecla, Carlino, Manganaro,
e noi tra questi. È attraverso questo lavorio amoroso che, lo abbiamo vi-
sto, questa porzione di terra appena percepita da lunga distanza- dilata
sempre più il proprio dominio geografico e fantasmagorico, e anziché
pacificare le nostre aspettative storiche e mitiche le estende oltre ogni
immaginario possibile.
Lo Stretto, che appariva nelle parole di Antonio Quistelli “come labora-
torio ideale non perché quanto preesiste è in sé promessa e valore più
o meno esplicito, ma per la rara circostanza di una combinazione di
fondazione urbana con un sistema di siti, con un contesto naturale d’ec-
cezione; uno dei luoghi del quale l’uomo, alla ricerca della sua dimora,
non può che subire il fascino e l’indicazione imperativa d’insediarsi”.6
E’ questo il luogo che somma le sue energie in attesa, sempre e co-
munque, di un evento, un luogo fatale e fatalista in attesa, sempre, di
qualcosa che lo sublimi.
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Lo Stretto e ancora Lo Stretto, sempre più profondo, sempre più largo.
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Note
1-Vedi il nostro, Fata Morgana o la città riflessa, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010.
Per una esauriente analisi circa le carte storiche riferite allo Stretto di Messina, vedi il nostro Il Gorgo e la
Rocca tra Scilla e Cariddi territori della mente, Giuditta, Roma -Catanzaro 1995, in particolare i capitoli:
Lo Stretto nella cartografia antica, pp.53-61 e Lo Stretto di Messina in alcune rappresentazioni, da pp.73-
84.Da p.227 vedi amplia bibliografia Sul mito, Scilla e Cariddi, Lo Stretto, Fata Morgana, Isola Aeae, San
Francesco di Paola, e altri testi di riferimento a cui si rimanda.
2-Vedi il lavoro svolto usando le tavole del Ribaud da noi suggerite, di Renato Rizzi, Scilla e Cariddi, Invisi-
bilità dell’evidente, Nardin, Cavallino Treporti, (VE), 2008.
3- Vedi Mario del Grande, L’attraversamento dello Stretto, in Renato Laganà, La città e il mare, Gangemi,
Roma 1988, pp.203.
4-Vedi inoltre di Antonietta Iolanda Lima, La palazzata di Messina e i suoi architetti, in L’architettura dell’”Al-
tra” modernità, atti del XXVI congresso di storia dell’architettura, Roma 11-13 aprile 2007, a cura di Marina
Docci e Maria Grazia Turco, Gangemi, Roma,2007,da p. 595.
5-Recentemente, a cura di Emanuele Bertucci sono andati in stampa per la casa editrice Mediano di
Catanzaro due volumi, sull’argomento il primo: Il Codice Romano Carratelli, raccoglie le tavole in filigra-
na del codice con dovizia di particolari e con una lunga descrizione dell’autore che ne tratteggia le tappe
significative e la venuta in possesso del manoscritto ormai patrimonio storico e candidato nel 2013 al patri-
monio Unesco , nel programma “Memoria del Mondo”, il secondo Marcello Sèstito, 99+99 Codice Riflesso,
incontro con il Codice Romano Carratelli, ci vede più direttamente coinvolti. Chi scrive si è cimentato nella
replica del codice usando una espediente da spia: Il moro, che a tutti costi , avendo rinvenuto nel castello di
Scilla il Codice, decide di copiarlo per donarlo a Kaireddin-Barbarossa per decidere del destino della guerra.
6-Antonio Quistelli, Viaggio nella memoria, in rivista degli “Ordini degli architetti, pianificatori paesaggisti e
conservatori della provincia di Reggio Calabria, n.5, 2007, p.24.
Vedi pure: Il Ponte sullo Stretto – Città e Territorio, riflessione di Antonio Quistelli, dove riportiamo alcune
delle sue osservazioni:” Se s’immagina di tracciare con un compasso, su una carta geografica, alla debita
scala, cerchi concentrici il cui centro coincida con il punto medio della distanza tra Scilla e Cariddi, ci si può
rendere conto che il cerchio con un raggio pari a duecento chilometri abbraccia, in Sicilia, Catania e, se si
considera la direttrice che da Messina corre in direzione di Palermo, abbraccia zone che si spingono ben ol-
tre Milazzo e comprendono le Eolie. Il medesimo cerchio, quanto alla Calabria, comprende un territorio che
si attesta, all’estremo, oltre Lametia e, quindi ben oltre Gioia Tauro e il suo Porto. La scelta di un raggio pari
a duecento chilometri non è, ovviamente, casuale: duecento chilometri si percorrono, su gomma e su rotaia,
in tempi (medi) il cui ‘range’ va dai centodieci ai centocinquanta minuti … Il Piano di Reggio degli anni ’60,
per scelta dell’Amministrazione del tempo e per concorde valutazione degli estensori, postulava una cresci-
ta dei rapporti tra le due sponde, riconoscendo un sistema conurbato fondativo di un’area metropolitana, e
indicava in un’opera d’Attraversamento Stabile dello Stretto lo strumento per darle piena vita … La rilevanza
del tema si apprezza se si tiene conto della morfologia sulle due sponde che ha precise corrispondenze:
pendii iniziano dalla costa (talché zone pianeggianti hanno limitata estensione) e rapidamente si elevano.
Su una morfologia di sproni separati l’uno dall’altro da corsi torrentizi (le ‘fiumare’), gli abitati si sono andati
sviluppando in una continuità segnata dai solchi che le acque hanno scavato nel fronte collinare. Vale la
pena di porre l’accento che nei toponimi delle fiumare è la traccia del senso di un’unità territoriale posseduto
fin dal passato: accade che, sulle due sponde, ricorrano nomi identici … Esiste dunque un modo di non
farsi cacciare nel ‘collo di bottiglia” di Villa San Giovanni. Selezionare il traffico secondo le sue destinazioni
e attrezzare lungo le coste altri punti d’imbarco. D’altronde, nella storia delle acque dello Stretto è stata
strategia seguita dalla gente di mare adattarsi a venti e correnti contando su approdi gemelli per il riparo,
in casi avversi, rendendo indifferente rispetto alle condizioni il lavoro e la vita in mare. La mobilità è vitale
nell’area che c’interessa e, pertanto, ogni modo destinato ad agevolarla deve avere un posto importante
nelle strategie di sviluppo … il nostro studio, il nostro progetto non potrà dirsi finito se non iscriveremo nel
progetto modi di contenimento e di attenuazione.
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“ l’immagine delle cose esterne ha per noi questo dop- sCopmoe unnidreele
pio senso: tutto nella natura può valere come collegato,
ma anche tutto come diviso. Le ininterrotte trasforma-
zioni della natura e delle energie portano ogni cosa in
relazione con ogni altra e fanno di tutte le singolarità un
cosmo. Ma, d’altra parte, gli oggetti rimangono costretti
nella spietata separatezza dello spazio. Lo spazio di
una parte della materia non può essere comune a quel-
lo di un’altra.“
Georg Simmel, Ponte e porta, introduzione e note di
Massimo Cacciari, Lavinia, Padova, 1979, pp.1-8.
Lo Stretto (questo stretto) implica un ponte che lo attraver-
si in una sorta di fatalismo del luogo. I tentativi per scavalca-
re questo tratto di mare sono stati nel tempo innumerevoli.
“É dalla notte dei tempi che si parla di collegamento stabile nello Stret-
to di Messina: antiche cronache, miti e leggende narrano di idee, e
di vere e proprie pazzie, pur di collegare Scilla a Cariddi e viceversa.
In realtà il primo Ponte sullo Stretto lo costruirono gli Antichi Romani,
nel luglio 250 a.C. Secondo lo storico Strabone, infatti, il console Caio
Lucio Cecilio Metello, vincitore di Asdrubale nella battaglia di Palermo
2 (siamo nel clou delle guerre Puniche), deve trasferire dalla Sicilia al
continente i 42 elefanti che ha appena catturato ai cartaginesi, venuti
in Sicilia dall'Africa in soccorso di Annibale. Così, questo console ge-
niale e illuminato, decide di far costruire una passerella galleggiante
impiegando centinaia di botti legate a due a due, sovrastate da tavole
di legno su cui viene messa della terra. La struttura, munita di grandi
e robusti parapetti ai lati per non far cadere gli elefanti in acqua du-
rante le operazioni di attraversamento, ospita anche carri e soldati”.1
Una leggenda Romana narra che, sconfitti i cartaginesi in Sicilia,
questo ponte galleggiante viene lasciato lì, nello Stretto, e che rie-
sce a resistere per diversi mesi alle intemperie, prima di venir spaz-
zato via dal mare, consentendo agli abitanti delle due sponde dello
Stretto di entrare in contatto in modo molto facile, semplice e veloce.
Nel corso, poi, del IX secolo d.C., in pieno medioevo, l'imperatore Carlo
Magno, come ricaviamo da notizie e descrizioni per mano di Giovanni da
Salisburi, decide di congiungere le due sponde:” Si tratta del progetto di
realizzare un ponte tra le due sponde … e poi ripreso a metà dell’XI da
Roberto il Guiscardo, il prode Altavilla che con il fratello Ruggero realizzò
3 la conquista dei Normanni nel mezzogiorno d’Italia. Quando l’imperatore
Franco giunse in Calabria e fu sullo Stretto, rilevata l’esiguità della distan-
za tra le due sponde, avrebbe deciso di realizzare una sequenza di pon-
ti sul mare, a cui avrebbero dovuto contribuire Franchi e Sassoni, Avari
e Alemanni, Bavari e Longobardi: come dire, tutte le genti d’Europa”.2
Vicino ai giorni nostri, e con opere maggiormente concrete e meno
leggendarie, nel 1866 l'on. Jacini, Ministro ai Lavori Pubblici, incari-
ca Alfredo Cottrau, costruttore di ponti e strade ferrate, di studiare la
possibilità di realizzare un collegamento stabile tra Calabria e Sicilia
tramite lo Stretto. Nel 1876, nel clou del dibattito sull'attraversamen-
to stabile dello Stretto di Messina Giuseppe Zanardelli in parlamento
tuona: “Sopra i flutti o sotto i flutti, la Sicilia sia unita al Continente!”.3
Ricordiamo che già Spartacus in ritirata, per sfuggire all’accerchiamen-
to di Marco Licinio Crasso che lo inseguiva ne aveva fatto costruire
uno di tavole e botti legate assieme, imitando il Serse nell’Ellesponto, o
come ora fa il genio militare con barche opportunamente affiancate tra
loro ma la cosa gli fallì a causa del tradimento di alcuni pirati cilici (che si
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misero d'accordo con il famigerato governatore della Sicilia Gaio Licinio
Verre), fu costretto a rimanere fermo, nonostante il tentativo di attraver-
sare lo stretto a bordo di zattere improvvisate che però non riuscirono
ad assicurare l'approdo, anche perché Verre aveva nel frattempo fortifi-
cato le coste nei pressi di Messina.4
Ricordiamo che su tale tema del ponte di barche Étienne Louis Boullè
progetta il Ponte Luigi XVI nel 1787, e poco più tardi Claude Nicolas
Ledoux il Ponte sulla Loira.
Si dice che Leonardo non si spinse fino alle coste calabre e sicule ma
che attratto dalla richiesta del sultano Bayazid II propose, nel 1502, un
5 ponte per congiungere Istanbul a Pera, e così lo descrive: ” Largo 40
braccia, alto dall’acqua braccia settanta, lungo braccia seicento, cioè
quattrocento sopra del mare e duecento posa in terra, facendo di sé
spalle e se medesimo”(Codice L 66 r). Un ponte che non seppe pro-
porre con lo stesso vigore Michelangelo, tanto che chi sarebbe salito in
cima avrebbe avuto paura a guardar nel basso.5 E se Palladio si cimen-
tava nell’astutissimo ponte ligneo a Bassano del Grappa, bisognerà at-
tendere la curiosità di Athanasius Kircher perché lo stretto comparisse
in evidenza con la sua sezione ben disegnata. Nell’ incisione che appa-
re nel suo noto testo Mundus Subterraneus per la prima volta abbiamo
una sezione trasversale sull’imbocco e da allora numerosi disegni lo
riporteranno.6
Si narra pure del tentativo fallito di congiungere le sponde con una se-
quenza di barche collegate assieme nel 1701 da parte del viceré spa-
6 gnolo di Sicilia Paleco de Usada, ma purtroppo non si è a conoscenza
di carte che possano attestarne la veridicità.
“nel numero 254 del 1862, come ci ricorda Attilio Borda Bossana “le
Monde illustré Journal hebdomandaire”, pubblicò in ventesima pagina
un disegno con didascalia: Projet d’un pont a quatre travé esproposé
pour franchir le detroit de Messine par M.AlphonseOudry, ingénieur
despont et chaussées”.
L’immagine da noi rinvenuta, color seppia, si stende per tutto il canale
dove si inseguono le quattro campate e dove a dimostrazione dell’u-
nione avvenuta tra le due sponde, due treni sbuffeggianti vanno all’in-
7 contro nel centro della struttura. La didascalia riporta: Projet d’un Pont
Indeformable& sans oscillations, pour circolationordinaire et trains de
Chemin de fer passant a toitevitesse, à établir sur le detroit de Messi-
ne. La legenda posta in basso riporta: Largeur de detroit a l’amplace-
manteu part environ 4.ooo Metres./natura dufond, roche basaltiche nu./
Nombre d’arches 4.Nombre de piles 3/Overture de chaque arche, 1000
Metres/ Profonder d’eau à l’emplacemantdespiles, 110 Metres/Hauter
libre depuis le nivea de la mera u tabler/ segue il costo dell’opera.
Se lo studio per la realizzazione di un’opera stabile attraverso lo Stretto
di Messina risale al 1866, quando l’allora on. Jacini, Ministro ai Lavori
Pubblici, incarica l’ing. Cottrau allo studio di una soluzione per elimina-
re la strozzatura fra le sponde con esito negativo viste le ingenti spese
che occorrevano per costruire i piloni di sostegno del ponte, si deve al
giovane ingegnere laureatosi a Torino con una tesi sull’attraversamento
del ponte la prima ipotesi a noi nota di un tentativo di attraversamento
sotterraneo. L’autore A. Carlo Navone nel 1870 propone un tunnel sot-
terraneo sulla direttrice Ganzirri Villa San Giovanni a 170 metri sotto il
livello del mare. Si tratta di un tunnel che piega piuttosto bruscamente
per poi ottenere la quota di attraversamento.7 Come ci ricorda Carmelo
M. Ardizzone: “l’idea del neo ingegnere suscitò entusiasmo negli am-
bienti tecnici e, dieci anni dopo, nel 1880, anche l’interesse del Parla-
mento. E fu allora che si decise di istituire il servizio delle navi traghetto.
Il primo progetto di ponte sospeso sullo Stretto di Messina risale al 1883
ad iniziativa dei tecnici della direzione delle ferrovie Novara-Pino e Ge-
nova-Acqui-Asti. Essi infatti presentarono in quell’anno, all’Esposizione
Internazionale di Torino il progetto che prevedeva cinque grandi cam-
8 pate-tre centrali di un chilometro di luce ciascuna e le laterali di mezzo
36
chilometro-a doppia sede: una per la ferrovia, a due binari; l’altra per
la strada nazionale. La zona di attraversamento era quella tra Ganzirri
e Punta Pezzo. Questi tecnici possono essere definiti i precursori della
progettazione del ponte sullo Stretto, avendo previsto con ottanta anni
di anticipo la soluzione sulla quale ancora oggi si orientano i tecnici.
Per circa quarant’anni il problema non viene riproposto. Solo un fatto
casuale, consente nel 1904 di studiare i fondali marini dello Stretto di
Messina. La nave “città di Milano” durante i lavori di riparazione del cavo
telegrafico Messina-Reggio, ebbe modo di prelevare alcuni campioni
del fondo. Lo studio di questi campioni, eseguito nel 1909 dal prof. Fran-
cesco Salmoiraghi dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, consentì
di stabilire che la natura della roccia prelevata sul fondo in prossimità
della costa sicula aveva caratteristiche analoghe a quella dei Peloritani
mentre il campione prelevato in prossimità della sponda calabra aveva
caratteristiche uguali alla roccia dell’Aspromonte (…) Solo nel 1921 si
tornava a parlare dell’attraversamento stabile dello Stretto. In occasione
9 dell’ottavo congresso geografico nazionale tenutosi nel maggio 1921 a
Firenze, l’ing. Vismara, amministratore della Società Elettrica della Sici-
lia sostenne la necessità di effettuare degli studi per stabilire la natura
geologica del fondo marino dello Stretto motivando questa sua richiesta
dalla necessità di risolvere il problema dell’attraversamento elettrico tra
le due sponde: Essendosi allora scartata l’ipotesi di un attraversamento
aereo, non restava che scegliere la soluzione del cavo sottomarino. Ma
l’esistenza delle forti correnti di fondo e il dubbio che il fondo medesimo
fosse roccioso (così risultava dalle carte nautiche) creavano la preoc-
cupazione di un sicuro logorio dei cavi. Per superare queste difficoltà la
SGES pensò di realizzare un cunicolo sotto il fondo dello Stretto. Il prof.
10 Piaz interpellato in merito consigliò opportuni sondaggi con trivellazioni.
Da parte sua Vismara sostenne in quella sede che se gli accertamenti
fossero stati positivi si sarebbe potuta realizzare nello Stretto una gal-
leria ferroviaria lunga circa 10 chilometri attraverso la quale sarebbe
stato facile far passare anche il cavo elettrico. Era convinzione gene-
rale (…) che nello Stretto, tra Ganzirri e Punta Pezzo esistesse una
sella di composizione cristallina adatta alla realizzazione di un tunnel.8
Nel 1927 dalla Germania arriva l’utopica proposta dell’architet-
to Herman Sörgel di Atlantropa dove si immagina una serie di di-
ghe tali da poter congiungere l’Europa all’Africa, l’asse, per ov-
vie ragioni geografiche attraversava lo Stretto di Messina dove
compare, nella tavola illustrativa dell’avveniristica proposta, un ist-
mo di terra, e un ponte metallico dove due archi a traliccio sorreggo-
11 no la lunga trave che avrebbe dovuto attraversare il Canale di Sicilia.
Come ci ricorda il nostro dottorando Mauro Scarcella Perino: “La folle
idea di Herman Sörgel, che tanto aveva impressionato gli scienziati e
i visionari negli anni trenta, decade per il disinteresse dei paesi coin-
volti non venendo mai approfondita. Ma era tanto fantascientifica che
fu ripresa poi da Gene Roddenberry in Star Trek: The Motion Picture”.9
Le polemiche e le idee proseguirono e “Soltanto venti anni dopo,
cioè nel 1934 il generale del Genio Navale ing. Antonino Calabretta
presentò agli organi ministeriali il progetto di un ponte a struttura ri-
12 gida costituita da una grande travata a fiancate paraboliche fra Capo
Faro e Punta Pezzo, su tre campate di cui la centrale di un chilome-
tro e 800 metri, a due piani per le sedi ferroviaria e stradale (…) nel
giugno del 1935 il comandante Corridoni rese pubblico un suo pro-
getto che era una via di mezzo fra il ponte ed il tunnel cioè un pon-
te subacqueo costituito da un enorme tubo poggiato sul fondo del-
lo Stretto e dentro cui poteva passare un convoglio ferroviario.”10
Secondo Andò: ”Il 1935 è stato un anno fecondo di interessi per l’at-
traversamento dello Stretto, ma si trattava soprattutto di iniziative
individuali, prese da tecnici, da ingegneri a titolo personale; un utile
sbizzarrirsi di idee, di proposte,(…) al di fuori però delle intenzioni go-
vernative, e in un momento in cui, in Italia, al di fuori delle spese di
interesse e di intervento del Governo non era possibile pensare ad una
realizzazione di qualsiasi mole e di qualsiasi impegno. Da menzionare,
37
in modo particolare, i progetti di due messinesi, l’ing. Edoardo Andò
e l’ing. Tullio Russo i quali rispettivamente nel 1937 nel 1938 proget-
tarono due tunnel con concezioni pressocchè identiche cioè con una
sede capace di ospitare un binario ferroviario ed un piano stradale.”11
Ci piace qui ricordare tra i vari tentativi di attraversamento la sug-
gestiva proposta del capotecnico Curio Paccagnini, di un sommer-
gibile-teleferica capace di trasportare i passeggeri per mezzo di
un cavo teso tra le due sponde. Un’idea che ha suggestioni vernia-
ne persino nella rappresentazione del progetto visto in sezione.
Nel 1941 viene dato l’incarico all’ing. Giuseppe Pini direttore dell’AA.SS
di iniziare gli studi per una galleria sotto lo Stretto di Messina, I sondag-
13 gi, ci ricorda ancora Ardizzone, iniziarono a Ganzirri, contrada Papardo
ed in Calabria a Punta Pezzo nel maggio del 1942 con perforazioni
che raggiunsero i 304 metri di profondità senza che potessero essere
completate. Furono infatti sospese il 12 maggio 1943 appena un mese
prima dell’invasione alleata in Sicilia. Il granito si trovò a 187 metri. Le
14 risultanze di tali sondaggi smentirono definitivamente l’esistenza della
sella cristallina rilevata in precedenza dagli appassionati delle navi oce-
anografiche della Marina Militare. Era uno strato di conchiglie fossili,
di appena un centimetro di spessore, a fare registrare agli apparecchi
ecografici delle navi la presunta esistenza della sella cristallina. Ma i
risultati, forse perché non complete e forse perché eseguiti in tempo di
guerra e cioè col vincolo del segreto militare non vennero resi pubblici”.12
Il dopoguerra vide una ripresa dell’argomento ponte. Nel 1949 l’ing.
Santi Sturiale presenta una proposta per la costruzione di due galle-
rie gemelle monobinarie a 150 metri di profondità, e nel 1949 viene
invitato l’ing. David Bernard Steinman e Mox Wandergerg alla ela-
borazione di un ponte in ferro, fa seguito quello proposto da Fausto
Masi di un ponte sospeso in acciaio, e successivamente di Luciano
Majorana per un ponte galleggiante e la singolare proposta di Nino
Del Bosco per la realizzazione di un istmo congiungente le sponde.
Dopo ripetuti convegni e ispezioni geofisiche del luogo, alcuni redat-
ti dalla nave staffetta “De Pidio” della Marina Militare si perviene alla
proposta di progetti degni di una certa nota. Si tratta della proposta del
ponte Omerico di Armando Brasini del 1955, che prevedeva un’isola nel
mezzo dello Stretto su cui collocare il pilone principale, una proposta
monumentalizzata che tra ispirazioni omeriche e tentazioni mitologiche
15 si erge totemica e perentoria quasi fosse assoluta nel suo barocchismo,
vale però per l’autore quanto afferma Giorgio Muratore:”Brasini proce-
deva all’inverso nel riappropriarsi dei metodi, delle tecniche, dei segni
e delle forme, della stessa manualità gestuale di un passato rivissuto
in prima persona attraverso formule autobiografiche, vuoi attraverso la
conoscenza dei materiali e delle tecniche, vuoi attraverso l’immagini-
fica ricostruzione di un’universalità barocca capace, a suo avviso, di
corrispondere ancora in forme attuali e vitali ai bisogni della società e
quindi della città contemporanea”. Il ponte da lui proposto sotto l’egi-
da di tali intendimenti non si discosta dalle osservazioni muratoriane.
In collaborazione con l’ingegnere Mario Palmieri, il Brasini così de-
scrive il progetto: “Come il Ponte Vecchio a Firenze o nel più recente
esempio del ponte Galata a Costantinopoli, la struttura non è pensa-
ta solo come un elemento di transito, ma ha al suo interno una vita
16 propria. Nei piloni delle “isole”, sotto la quota degli attraversamen-
ti, sono previsti alberghi e strutture per il tempo libero: piscine, sta-
bilimenti balneari, botteghe e luoghi di ritrovo. Sulle due sponde
rivive la grandiosità delle opere brasiniane espressa con moli pirami-
dali coronati da statue colossali che sorreggono torce accese, trion-
fali cadute d’acqua, giganteschi propilei e colonne commemorative”.13
Dal 1957 in poi non sono certo mancate proposte interessanti circa i
tentativi di attraversamento. Singolare la proposta di un istmo tra Punta
pezzo e Ganzirri: “Nel 1957 si costituì a Palermo una Compagnia ita-
liana per la congiunzione siculo-calabra (CO.SI.CA.), per lo studio di
nuove soluzioni di allacciamento e presto presentava al presidente del-
17 la Regione Siciliana il progetto di un istmo tra Ganzirri e Punta Pezzo.
38
L'originale progetto… un istmo lungo 3400 metri costituito da un rilevato
roccioso con le scarpate rivestite da elementi di grandi dimensioni, atti
a resistere all'azione di onde e correnti. La diga, piramidale, sarebbe
emersa di dieci metri sul livello del mare. In sommità, larga 30 metri,
una linea ferroviaria a doppio binario, l'autostrada e una pista cicla-
bile. La congiungente Ganzirri-Punta Pezzo era stata scelta perché il
fondale è una « sella » che separa i fondali marini della parte nord,
che giungono fino a 285 metri, dai fondali della parte sud, la cui pro-
fondità massima è di 1145 metri. Una «conca» navigabile, lunga mil-
18 le metri circa e di larghezza e di profondità tali da essere navigabile
con qualsiasi tipo di nave, con canali di accesso sulla sponda cala-
bra, sarebbe stata scavata nel promontorio di Punta Pezzo.” Faran-
no seguito le proposte per un tunnel a tubi sommersi (ing. Cristaldi);
un ponte a sostegno idrostatico, costruito con travature e pile metal-
liche, scaricanti su puntoni galleggianti (ing. Saya); un tunnel realiz-
zato con tubi sommersi e appoggiati su pile a scogliera alte circa 50
metri.(ing. Merlini).Fa seguito la proposta dell’ing. Chadeson Lucien
per un ponte sommerso a dodici metri sotto il pelo dell’acqua. Ormai
i fondali erano stati scandagliati, e persino su richiesta della Società
ponte Messina venne eseguito nel 1964 una spedizione capitanata da
Jean Yves Cousteau, allora direttore del Museo Oceanografico di Mo-
19 naco, i sondaggi furono eseguiti con la nave “Calypso ed il batisca-
fo “Denise”. I dati di tale ispezione verranno resi noti, come suggeri-
sce ancora Ardizzone, in una conferenza stampa tenutasi a Roma il
22 marzo 1965 e così riassunti: ”è stata accertata la presenza di una
soglia che attraversa lo Stretto: tale soglia è discontinua e rileva una
alternanza di picchi, valli ed erosioni; le zone meno profonde di tale
soglia sono formate prevalentemente da strutture complesse e fragi-
li, inadatto a sostenere il peso dei piloni del ponte; a 130 metri circa
di profondità esistono conglomerati che sembrano adatti ad una fon-
dazione di piloni. Situazione difficile, quindi, ma non impossibile. I
20 mezzi di cui si dispone lasciano sperare che l’impresa nonostante le
immense difficoltà, potrà essere portata a termine con successo.”14
Nel 1965 si costituisce con atto ufficiale il Consorzio per il Ponte sul-
lo Stretto. Attorno al 1968 venne presentato Un progetto dell'ing.
Lombardi che prevedeva "Un ponte a flessione sommersa e non
21 emergente"…15 Il manufatto a sezione circolare con diametro di 32
metri prevedeva due gallerie inferiori parallele per la circolazione
ferroviaria e due gallerie superiori per la circolazione veicolare; piu
tardi un tunnel sommerso a sagoma lenticolare idrodinamica, au-
toportante per il principio di Archimede, dell'ing. Massaro. Nel 69
viene bandito il famoso concorso di cui argomenteremo più avanti.
Dopo il ponte zattera del messinese Patané negli anni ottanta fu pre-
sentato alla Società Stretto di Messina S.p.A. un progetto di tipo som-
merso redatto per conto della Metroroma, Società del gruppo Condot-
te d'Acqua - IRI – ITALSTAT da un gruppo di progettisti comprendenti
Carlo Cestelli Guidi e Silvano Zorzi insieme a Ulrich Rinsterwalder, Alfio
Chisari e a Ludovico Quadroni. Esso prevedeva una soluzione a travata
continua sommersa su luci di circa 500 m, poggiante su pile anch'es-
22 se sommerse. La sezione trasversale del ponte era simile a quella del
ponte di Archimede, cioè composta da un doppio guscio di acciaio riem-
pito di calcestruzzo. Il ponte era progettato per essere equilibrato dalla
spinta idrostatica equivalente al peso di tutti i carichi permanenti mentre
avrebbe avuto un comportamento statico di trave continua per i soli ca-
richi mobili (stradale e ferroviario) e per le incrostazioni che si sarebbero
23 potute depositare sulla struttura. Il nome dei progettisti era garanzia di
fattibilità. Un altro studio, presentato nel 1997 dall'ing. Gilbo, prevedeva
un attraversamento realizzato con una struttura modulare, costituita da
tre ponti strallati con struttura tutta in acciaio, fondata su galleggianti
sommersi e ancorati al fondo. I tre moduli da 1100 metri, in catena ci-
24 nematica, formano l'attraversamento stradale e ferroviario di 3300 m.
39
Note
1-Si veda pure quanto riporta Plinio il Vecchio in Naturalis Historia (VIII, 6) anch’egli descrive la prima
guerra punica nel 251. A.C., dove il console C. Lucio Cecilio successivamente alla sconfitta dei cartaginesi,
decise di far costruire la famosa passerella con botti galleggianti tenute insieme tali da consentire il pas-
saggio per Roma di 142 pachidermi. La notizia viene riportata pure in D’Arrigo Agostino, Natura e tecnica
del Mezzogiorno, La Nuova Italia, Firenze, 1956, in particolare il capitolo: Comunicazione, Energia Mare-
oelettrica e pesca nello Stretto di Messina, p.401,dove leggiamo: ”Quanto mai suggestivo infatti si presenta
ancora, dopo ventidue secoli, il trajectus effettuato lungo lo Stretto di Messina e ricordato da Plinio il Vecchio
(Naturalis Historia,VIII, 6) concernente il passaggio avvenuto nel 251 avanti Cristo, di oltre un centinaio
d’elefanti , catturatio dai Romani ai cartaginesi in Sicilia, imbarcati su zatteroni onerari, sorretti da botti gal-
leggianti, fluitate, sotto la guida di pertitissimi piloti locali, a mezzo di quei docili schiavi che eran divenuti,
una volta sapientemente domate Scilla e Cariddi le ribelli figlie di Nettuno , le stesse correnti di marea”.
Vedi pure Attilio Borda Bossana “Stretto di Messina, traversata e collegamenti” Pungitopo, Messina
2018, pp 6-7.
2-La descrizione si trova in Aurelio Misiti, Il Ponte sullo Stretto, in “Le scienze”, ed. Italiana di “Scientific
American”, n.362, ottobre 1998.
3-Vedi la rivista “Tempo Stretto”, lunedì, 18 dicembre 2001.
4- Vedi Enzo Greco, Spartacus sullo Stretto, Gangemi, Roma 1999, p.68: “in rapidissimo freto”, scrisse Flo-
rio nel suo Bellum Spartacium, con questo indendo le rapide correnti dello Stretto di Messina…” cercarono
di lanciare in mare delle zattere fatte di tavole con ai lati delle botti per farle galleggiare…” p.70: I fugitivi ”si
rifugiarono in quest’estrema parte dell’Italia. Essendo stati relegati in questo angolo del Bruzio… e prepa-
rando la fuga in Sicilia, cercarono di lanciare in mare delle zattere fatte di tavole con ai lati delle botti per
farle galleggiare in quelle rapide correnti dello Stretto”.
5-Vedi Carlo Pedretti, Leonardo architetto, Electa, Milano, 2007, p. 170 dove leggiamo: “…dopo un fallito
tentativo di Francesco di Giorgio, che Leonardo ebbe l’ide dell’enorme ponte da Pera a Costantinopoli (240
metri di campata!), descritto e rappresentato in pianta e alzato nel Ms. L, fol. 66 r. “Per quanto si possa
elogiare lo studio proposto dall’arch. Schettini rimane, per noi, forte il dubbio circa il reale rifacimento geo-
metrico del ponte leonardesco, soprattutto in merito ai sistemi di appoggio che hanno piuttosto andamento
curvilineo e paraboloide anziché nettamente retti. Vedi comunque la ricostruzione dell’architetto Franco
Schettini che riporta il Pedretti a pag. 171.
Il magnifico duello per la costruzione del ponte a Costantinopoli tra i due giganti del Rinascimento: Leonar-
do e Michelangelo, viene ricordata da Alberto Giorgio Cassani, Figure del ponte, simbolo e architettura, cit.,
pp.79-83 e nota 15 e note 16-32, sulla scorta del romanzo storico di Mathias Enard, Parlami di battaglie, di
re e di elefanti, Rizzoli Milano 2013.
6- Athanasius Kircher, Mundus Subterraneus, Amsterdam 1678. Vedi il nostro Il Gorgo e la Rocca, tra Scilla
e Cariddi territori della mente, Giuditta Catanzaro-Roma 1995, p.23. L’immagine si trova a p.23. L’argomen-
to viene ripreso a pp.87 e sgg. Nella descrizione che il Kircher fa nel capitolo XV: Sulla diseguaglianza del
fondo del mare, e nel capitolo XVI sulla Dimensione dello Stretto di Sicilia effettuato dall’autore nell’anno
1638, dove leggiamo a p.88 “…entrai nello Stretto munito di un grosso gomitolo di filo ad uso scandaglio e
per prima cosa misurai la larghezza della parte più angusta dello Stretto tra la riva del Peloro presso Faro e
il Promontorio di Scilla e rilevai che era di 2783 passi geometrici. Fatto ciò, portato dalla barca direttamente
da Faro a detto Promontorio esplorai in profondità del mare e ne riscontrai il fondale dove a 30, a 50, a 60
e a 100 ed anche a 200 piedi; in alcuni punti trovai una specie di rocce franante. Ma tra le altre cose rilevai,
mirabile a dirsi il fondale di questo tratto tutto roccioso, come un ponte dalla Calabria alla Sicilia, che cedette
da ambe le parti adagiandosi sul fondo; il che dava chiari indizi che una volta la Sicilia era unita alla Calabria
per mezzo di questo tratto sassoso e che da tempo immemorabile, poi, sia a causa di terremoti che per la
pressione del mare Tirreno, questo Istmo, infranto si trasformò in Stretto, e così cambiò in Isola quella che
era la penisola di Trinacria”.
Nel medesimo testo ci siamo occupati dell’argomento dell’attraversamento, dove persino la figura del ponte
veniva ad essere tracciata come esigenza di progetto, riportandone alcuni disegni, mentre nella conversa-
zione con Pierre Restany, pubblicata in precedenza nella “Gazzetta delle Arti”, a. XX, novembre-dicembre
1990, col titolo: Mitizzando, e successivamente riportata nel testo gli facevo notare, a p.202, che avevo
“concepito questo libro come una premessa promessa d’architettura. Non ti nascondo che da architetto
sono stato tentato più volte di dare risposte concrete, progettuali ad alcuni problemi che questi luoghi
presentano, a Scilla e all’area dello Stretto come viene, urbanisticamente definita. Ho un taccuino pieno di
disegni e proposte, dal lungomare alla teleferica, al tempio votivo o casa dei venti sullo scoglio di Ulisse, ad
alcuni schizzi per un probabile ponte etc. E c’è nell’aria l’idea di poter realizzare un simposio internazionale
di studi e proposte progettuali su Scilla e su alcune aree limitrofe.” A p.204 la conversazione si incentra
sulla tematica del ponte e Restany introduce la possibilità di un ponte abitato ricordando quello di Isfahan
sul Rio Zenderoudi, un ponte che parla della condizione dell’essere in mezzo, il “da sein “ heideggeriano.
7-Come riporta Aurelio Angelini in Il mitico ponte sullo Stretto di Messina, Franco Angeli, Milano 2011, pp.39-
40: “il progetto di massima, che fu in quello stesso anno presentato alla Camera dei Deputati, prevedeva
un tratto sottomarino di 4 km, a 33 metri sotto il livello del fondo marino, da raccordarsi per mezzo di larghe
curve sotterranee ai due ingressi, situati rispettivamente a Grotte e ad Asarello. L’opera sarebbe stata com-
pletata dalla costruzione di due tronchi ferroviari congiungenti le stazioni d’imbocco con Messina e Reggio
Calabria. I treni inabissati sotto il mare avrebbero dovuto risalire alla luce, vincendo parzialmente la gravità
di ascesa con la forza da essi accumulata nella discesa precedente. L’imbocco del tunnel era previsto in
caloria presso Cannitello e in Sicilia presso Porticatello (Annunziata). La massima profondità sotto il mare
sarebbe stata di 170 metri e il tracciato aveva una lunghezza totale di 8.550 km con i due tratti di entrata e
di uscita inclinati di circa il 4%, e vie di diramazione allo scoperto per oltre 22km. La critica principale che
fu comunque mossa al progetto, riguardava il fatto che le opere di accesso alla galleria dovevano essere
tre volte più lunghe di quelle necessarie per avviare i convogli su un ponte e che per percorrerla sarebbe
stato necessario un tempo quasi uguale a quello sino a quel momento necessario per l’attraversamento
a mezzo navi”. Vedi Pure Navone A.C., Passaggio sottomarino attraverso lo Stretto di Messina per unire
in comunicazione continua il sistema stradale e ferroviario siciliano alla rete della penisola, Torino 1870.
8-Vedi Carmelo M. Ardizzone, L’attraversamento dello Stretto di Messina, Città del Ragazzo, Messina 1965,
p.5.
9-Vedi Mauro Scarcella Perino, Il ponte sullo Stretto di Messina: Storia, Scienza e Simbolo, tesi di dottorato
Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, XXV ciclo 2013. L’idea di prosciugare il Mediter-
raneo per avere a disposizione altre terre emerse e coltivabili viene ripresa da L. Motta e C. Ciancimino,
ne Il prosciugamento del Mediterraneo, Romanzo del futuro, Milano 1932. La descrizione viene riportata
da Gianni Guadalupi, Manuale dei luoghi fantastici, Rizzoli, Milano 1982, pp.351-353. Vedi illustrazione a
p.352.
40
10-Vedi pure Maria Maccarone, Francesco Finocchiaro, Mediterraneo futuro. Med-Tunnel, il collegamen-
to stabile tra Italia e Tunisia attraverso l’isola di Pantelleria, in “Galileo” 248 settembre-ottobre-novem-
bre-dicembre 2020, pp.184-185.
E ancoraOsvaldo Guerrieri, La diga sull’Oceano, la folle avventura di Atlantropa, Neri Pozza, Vicenza
2019.
11- Carmelo M. Ardizzone, L’attraversamento dello Stretto di Messina , cit. p.8.
12-Vedi Oscar Andò, Le più recenti vicende del “ponte sullo Stretto, Arti Grafiche la Sicilia, Messina, no-
vembre 1971, p.56, che però riprende, senza citarlo correttamente, le tesi di Ardizzone su citato, vedi p.9 e
sgg. Prosegue ancora l’Andò: “Il governo fascista si occupò della questione ma lo fece nel momento meno
opportuno e cioè all’inizio della seconda guerra mondiale: nel 1941 infatti l’ing. Giuseppe Pini direttore ge-
nerale dell’azienda Autonoma Stradale dello Stato, ebbe l’incarico ufficiale di studiare un progetto di tunnel
sottomarino. Furono iniziate e condotte alcune perforazioni del suolo fino a profondità di 300 metri presso
le coste calabre. Uno strato di granito fu rinvenuto a 187 metri di profondità, ma poi i lavori furono sospesi
perché le truppe alleate stavano per sbarcare sul suolo siciliano. Il problema fu rispolverato quasi subito
dopo la guerra con due articoli pubblicati nel 1946 dal” Corriere di Informazione” e dal “Giornale di Sicilia”.
Del ponte si tornò a parlare nel 1948. Alcuni giornali dell’epoca diedero notizia dell’iniziativa di un gruppo di
studiosi siciliani residenti negli stati uniti che intendevano realizzare un ponte fra Punta Pezzo e Capo faro
della lunghezza di 6 chilometri. Ma non se ne ebbe alcun seguito. Nel giugno 1949 il messinese Sante Stu-
riale presentò a Catania alla commissione per il piano ERP una proposta per la costruzione di due gallerie
gemelle monobinarie a 150 metri di profondità per realizzare il collegamento ferroviario stabile fra la Sicilia
ed il continente. Anche questa iniziativa non ebbe esito malgrado fosse stato pubblicato successivamente
di un probabile finanziamento del tunnel da parte dell’ERP.”
13- Carmelo M. Ardizzone, op.cit., p.10.
14-Paolo Portoghesi, “Storia dei progetti per il Ponte di Messina”, in “Abitare la Terra”, n.7, 2004, p.4. Vedi
pure di Mario Pisani, L’architetttura di Armando Brasini: dal Barocco magniloquente alla progressiva sem-
plificazione del linguaggio, in L’architettura dell’ ”Altra” modernità, atti del XXVI congresso di storia dell’ar-
chitettura, Roma 11-13 aprile 2007, a cura di Marina Docci e Maria Grazia Turco, Gangemi, Roma,2007,
da p.424.
15-Carmelo M. Ardizzone, cit., p.18.
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44
“La scienza delle costruzioni è una scienza di verifica. Un ponte elettrico:
Per risolvere lo stesso problema ci sono dieci manie- un ponte di Luce
re. Tutte identiche dal punto di vista statico, funzionale,
economico e sociale. La scelta definitiva fra le tante
trascende dunque il fatto puramente tecnico: è una
scelta di carattere spirituale, artistico”.
Riccardo Morandi, da Aspirazione alla coerenza, intro-
duzione di G. Boaga, B. Bruni. Ed. Comunità, Milano
1962.
Il 15 maggio 1956 la Sicilia si unisce al continente, non avviene né per
la pietra né per il metallo che avrebbero dovuto costituire il ponte, bensì
con cavi elettrici (per la verità in acciaio e alluminio) sostenuti da due piloni
metallici a guardia dello stretto, piccole torri Eiffel, come colonne d’Ercole
a guardia del canale. Ciò che non ha potuto la materia lo fece l’energia.1
I tralicci all’epoca suscitarono il disprezzo di Cesare Brandi che così
li descrisse da Messina “… dove vedo per la prima volta gli esecrabi-
li piloni dell’alta tensione. Trabiccoli giganteschi e gretti, provvisori e fria-
bili nella vastità del mare e sulle coste tonde e compatte come pani cre-
2 ta. Tralicci sgarbati, a balze bianche e rosse. Quando ci sarà il ponte, il
costosissimo ponte, questo ingresso mitico e grandioso, con la Cala-
bria alpestre, e la Sicilia come un cane accucciato, un cane di pelo cor-
to, sarà ridotta alla volgarità della Golden Gate di San Francisco”.2
Per quanto implacabile come descrizione, c’è da dire che i tralicci fanno ormai
parte dell’area dello Stretto come testimoni silenziosi di accadimenti. La loro
altezza variabile, più alto quello a Capo Peloro per ragioni tecniche legate allo
studio delle parabole, più basso quello del versante calabro, si impongono con
la loro snella figura nel paesaggio. Per realizzarli ci si è avvalsi di un concorso
interno, che ha visto susseguirsi le proposte della Dalmine, di Savigliano, del
Cifa, di Badoni, Terni, fino al progetto definitivo della SAES. Concorso meno
noto di quello del 1969, ma degno di rilievo per quanto riguarda l’eccellenza
delle proposte che per l’epoca suscitarono vivo dibattito.3 Più tardi ne se-
guirà un altro che si interesserà a loro soprattutto per quello dell’area sicula.4
Per fortuna i tralicci non sono stati smantellati, anche quando più tardi
si è optato per l’elettrodotto Sorgente Rizziconi. I cavi, seppur dismessi,
hanno anticipato, seppur flebilmente, quanto potrebbe accadere nel ri-
congiungimento. Se proprio si volessero riadoperare i tralicci come pure
i cavi si potrebbe optare per una teleferica che unirebbe le sponde. Idea,
3 questa, che chi scrive si porta già dal 1995.5 Più recentemente, si deve
ad Achille Baratta e Massimo Majowiecki la proposta di una teleferi-
ca che porterebbe gli abitanti dall’aeroporto di Reggio Calabria alla Sta-
zione marittima di Messina in soli 15 minuti. Una metropolitana leggera
sospesa a 70 metri dal livello del mare. Seppur suggestiva l’idea non ri-
solve i problemi di un traffico pesante e della comunicazione ferroviaria.6
I cavi oltre che per l’alta tensione dovevano essere pure in tensione, per questo
due grandi edifici per l’ammaraggio, come due cavalli troiani posti nell’area
pelora hanno assolto il compito. Si realizza così una delle architetture più com-
plesse ingegneristicamente dell’intera storia dell’isola. Riccardo Morandi né
è il progettista, pochi anni dopo sarà in commissione per il ponte sullo Stretto.7
Questa vicenda dell’Attraversamento elettrico dello Stretto che meriterebbe
un capitolo ben più lungo di questo qui proposto, rimane come una delle
imprese, che per complessità tecnica e coinvolgimento di risorse e intelli-
genze ingegneristiche, all’avanguardia per il periodo, più riuscite per l’area
in questione. Questo Ponte di fili, sta a testimoniare come collegialmente si
può pervenire a risultati complessi. Per la sua indubbia utilità, che si sappia,
non vi sono state opposizioni particolari alla sua realizzazione, la luce che
4 corre nei cavi fece vedere più lontano di quanto si riesce a vedere oggi!
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Note
1- Vedi soprattutto il volume della Società Generale Elettrica della Sicilia, L’attraversamento elettrico dello
Stretto, Dedalo, Roma 1958.
Vedi L’ENERGIA CHE CI UNISCE http://download.terna.it/terna/0000/0781/58. LA STORIA DEL “PONTE
DELL’ENERGIA” TRA SICILIA E CALABRIA, Dal 1948 al 2016: quasi 70 anni di collegamento elettrico tra
l’isola e il continente ,1948-1955: origine del progetto, costruzione dell’opera ed entrata in servizio:
La storia dell’elettrodotto che attraversa lo Stretto di Messina comincia nel 1948, con la progettazione del
collegamento elettrico tra il continente e la maggiore isola italiana. I cantieri dell’opera furono aperti nel
1952 (nei pressi di Torre Faro venne posato il primo masso di una scogliera di protezione che rappresentò
il primo atto della costruzione dell’elettrodotto) e operarono sino all’estate del 1953 e alla fine del 1955
l’impianto entrò in servizio unendo la costa calabrese a quella siciliana con concezioni avveniristiche per
l’epoca: nasce il “Ponte dell’Energia” tra Calabria e Sicilia. Una parte fondamentale del progetto riguardò gli
studi preliminari di carattere topografico, geologico, geo-marino e meteorologico, in considerazione anche
della delicata situazione sismica dell’area dello Stretto. Le operazioni apparvero particolarmente difficili nel
messinese, dove le fondazioni del traliccio furono realizzate su un terreno sabbioso e richiesero la messa in
opera di 4 enormi pilastri in cemento precompresso e acciaio a 20 metri di profondità.
La tecnologia utilizzata per la realizzazione dell’elettrodotto è così avanzata che nel 1958 l’opera vince il
Premio ANIAI 1957, conferito dall’Associazione Nazionale Ingegneri ed Architetti Italiani, quale migliore rea-
lizzazione di Ingegneria Elettrotecnica Italiana degli anni 1951-1956. Il progetto dell’elettrodotto siculo-cala-
brese fu realizzato dalla Società Generale Elettrica della Sicilia, sulla base di uno studio dell’ingegnere Fer-
rando elaborato nel 1921 ed aggiornato dall’ingegnere Enrico Vismara. L’opera - il cui costo fu preventivato
in un miliardo e 200 milioni di lire - ebbe all’epoca lo scopo di incrementare la disponibilità di energia elettrica
nell’isola, i cui consumi, nel 1950, risultavano triplicati rispetto ai dati del 1938. Torri, campata, tensione: i
numeri del collegamento originario.
L’impresa fece registrare allora numeri da record per complessità di esecuzione e impiego di materiale. La
prima configurazione dell’elettrodotto prevede 2 torri gemelle d’acciaio, 450 tonnellate di peso e 224 metri
11 d’altezza ciascuna, montate su una fondazione in calcestruzzo armato di 11 metri per un’altezza massima
raggiunta dalle torri di 235 metri. Collocati uno sulla sponda siciliana (il pilone di Torre Faro posto sulla
spiaggia di Capo Peloro, a Messina) e l’altro su quella calabrese (il pilone di Santa Trada che sorge su un’al-
tura a quota 165 metri sul livello del mare, in località Santa Trada, a Villa San Giovanni) i 2 piloni vennero
costruiti per resistere ad un terremoto del 10° della scala Mercalli e a raffiche di vento sino a 150 chilometri
orari. I singoli pezzi realizzati a Milano furono poi assemblati sul posto da una squadra di 25 operai. Tra le
torri si snoda la campata di attraversamento sospesa sul mare per il passaggio dell’energia elettrica, lunga
3.646 metri. Inizialmente sono 4 i conduttori dell’elettrodotto – di cui uno di riserva – con una tensione di 150
kV. Solo nel 1971 ne vengono installati altri 2, raddoppiando di fatto la linea elettrica e portando la tensione
del collegamento a 220 kV. 1985: entra in servizio il nuovo cavo sottomarino, via il vecchio elettrodotto
Nel 1985 entra in esercizio il nuovo collegamento sottomarino tra Sicilia e Calabria, alla tensione di 380
kV, preludio allo smantellamento del vecchio elettrodotto - a causa della scarsa conduttività dell’acciaio dei
cavi, ben inferiore al rame come trasmissione di energia - che si concluderà nell’agosto del 1993 con la
demolizione dei conduttori originari che attraversavano lo Stretto di Messina. Nel progetto di allora era pre-
vista anche la demolizione delle 2 torri di sospensione, essendo venuta meno la funzione per le quali erano
state costruite, salvo poi accantonare l’idea dopo l’interesse manifestato dall’Amministrazione Comunale
di Messina e dalla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina a mantenere in sito la torre
sicula, considerato un esempio di archeologia industriale della zona di Capo Peloro.
2000: la torre di Messina diventa un’opera artistica. Su iniziativa dell’Amministrazione Comunale e della Ca-
pitaneria di Porto di Messina, in occasione del Giubileo, viene realizzato l’impianto di illuminazione artistica
della torre sicula con l’obiettivo di dare risalto all’opera in tutta la sua spettacolarità. L’impianto di illuminazio-
ne è composto da 32 proiettori della potenza di 2.000 Watt ciascuno, con lampade a ioduri metallici e vetri a
fascio controllato. Il loro posizionamento alla base della torre viene studiato in modo da avere un effetto illu-
minante tale da dare slancio e verticalità alla struttura, evidenziandone bellezza, trasparenza e volume. Dal
2002 la torre di Messina è stata trasferita all’Amministrazione Comunale di Messina che l’ha inserita in un
più ampio progetto di riqualificazione dell’area. Analogamente la torre posta in Calabria è stata trasferita a
un privato, proprietario di un’area limitrofa alla zona dove la stessa ricade, per un progetto di valorizzazione
dell’area medesima. Infatti, pur non avendo più alcuna funzione pratica, i piloni non furono abbattuti ed oggi,
in qualità di monumenti storici tutelati sono usati per misurazioni meteorologiche, esercitazioni di recupero
in quota e telecomunicazioni. Dal 2006 il pilone sulla costa siciliana è stato aperto al pubblico per un paio
di stagioni: la visita richiedeva di salire una scala di 2.240 gradini per raggiungere la piattaforma più alta.
2003-2016: dall’entrata nel Piano di Sviluppo della Rete elettrica nazionale all’inaugurazione della Sorgen-
te-Rizziconi. Dal dopoguerra ad oggi i consumi di energia elettrica in Calabria e Sicilia sono cresciuti con
12 un tasso medio annuo del 5,5%, raggiungendo un fabbisogno pari a 35 volte quello registrato nel 1948. In
termini di consumi medi di energia elettrica per abitante, si è passati dai circa 140 kWh annui all’inizio degli
anni ’50 agli attuali 3.200 kWh circa. Anche a fronte dell’evoluzione dello scenario energetico degli ultimi
anni nell’area, nel 2003 il progetto viene inserito nel Piano di Sviluppo di Terna e il 7 luglio 2010, a distanza
di ben sette anni, viene autorizzato con decreto del MISE, dopo un periodo di concertazione e condivisione
con gli enti locali durato 5 anni. Oltre 100 gli incontri e i tavoli tecnici più importanti suggellati da accordi e
protocolli d’intesa firmati da tutte le amministrazioni comunali interessate. Il progetto “Sorgente Rizziconi”
ha beneficiato del sostegno finanziario dell’Unione Europea nell’ambito del Programma European Energy
Programme for Recovery (EEPR).
2- Vedi Domenico Cogliandro, Ponte sullo Stretto, http://architettura.it/files/20010816/.
3- Vedi soprattutto il volume della Società Generale Elettrica della Sicilia, L’attraversamento elettrico dello
Stretto, cit., capitolo 12 Studio delle torri di sospensione, pp.131-161. Una curiosità: Il modello della torre
sicula, in scala 1:25 è conservato nel Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.
Vedi esiti del Concorso europeo di idee per la riqualificazione ambientale e funzionale dell’area di Capo
Peloro, Messina 2000.
4-“Il traliccio siciliano, detto “pilone di Torre Faro” (in dialetto messinese u piluni), fu progettato dalla SAE a
partire dal 1951 e costruito tra il 1954 e il 1955 su commessa della Società generale elettrica della Sicilia
(SGES); fu inaugurato nel maggio 1956, dall’allora presidente della Regione Siciliana Giuseppe Alessi, ed
è alto 225 metri, più otto della base di calcestruzzo armato che lo sostiene, per totali 233 metri. Il traliccio
calabrese, situato sulla sommità della collina di Santa Trada, è identico, ma con i 169 metri sottostanti di
promontorio, svetta a ben 394 metri sullo specchio d’acqua dello Stretto. Le fondazioni, sulle due sponde,
con un corpo a struttura scatolare a forma di croce, sono diverse: quella della Torre Sicula, data la natura
del terreno, si appoggia su quattro cassoni indipendenti che si spingono sino a 18 metri sotto il livello del
mare, quella Calabra si appoggia sulla roccia direttamente in un profondo scavo. Proprio l’altezza della torre
calabra, è stata utilizzata dal giornalista Francesco Romeo per entrare nel Guinness dei primati europeo,
realizzando la più alta trasmissione televisiva continentale in una struttura aperta. Il 7 ottobre 2011 infatti,
Romeo e la sua troupe realizzarono lo speciale TV Il superattico più bello del Mondo, dedicato all’incredibile
spettacolo che si ammira dalla sommità del pilone.
I piloni sono stati realizzati sul modello dei tralicci sul fiume Elba, in Germania, ma i costruttori dovettero
adattare il progetto alle caratteristiche geomorfologiche dello Stretto. I due piloni vennero progettati per
resistere ad un terremoto del 10º grado della scala Mercalli e a raffiche di vento sino a 150 km/h.
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