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Il Ponte Incontinente - Marcello Sèstito - Mediano Editore

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Published by Mediano Editore, 2022-01-07 09:09:28

Il Ponte Incontinente - Marcello Sèstito - Mediano Editore

Il Ponte Incontinente - Marcello Sèstito - Mediano Editore

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Note

1-Così Aurelio Angelini, Il mitico ponte sullo Stretto di Messina, cit., pp.89-91, in merito al concorso: “Furono
presentati 143 progetti dei quali 125 elaborati da gruppi composti da progettisti prevalentemente italiani, 8
progetti americani, 3 inglesi, 3 francesi, 1 tedesco, 1 svedese, 1 argentino e 1 somalo. Tra i concorrenti non
mancavano i più qualificati studi e società di progettazione di ponti del mondo.
il bando prevedeva la necessità del transito di due binari ferroviari e sei corsie autostradali applicando le
severe normative vigenti dell’epoca (circ. 384 del Min. LL.PP. e circ. delle FF.SS., senza alcuna riduzione
della lunghezza delle stese di carico conseguenti a valutazioni semiprobabilistiche).
Alla Commissione giudicatrice, nominata congiuntamente dal ministro dei Lavori Pubblici e presidente
dell’ANAS e dal ministro del Tesoro, furono necessari due anni per scegliere, tra i 143 partecipanti, progetti
vincitori…Tra i primi premi solamente una riguardò la realizzazione di un tunnel, alveo flottante con tre
sezioni circolari. Tutti gli altri illustrarono un attraversamento aereo per mezzo di ponti sospesi ad un’unica
o più campate…Si affermava, nonostante la ricca raccolta di dati non riuscisse a dimostrarlo, che il ponte
sospeso fosse la soluzione migliore, anche per le sue ripercussioni sull’economia regionale e la sua capa-
cità di servire le zone collegate”.

2- “L’“architettura degli ingegneri”, esalta proiezioni megastrutturali monofunzionali, come il ponte, una ti-
pologia ricorrente nel lavoro di Morandi, e che vi si definisce in proposizioni di netta evidenza megasegnica
nel contesto paesistico o urbano, in un rapporto di esplicita diversità”, cosi leggiamo in Utopia e crisi dell’an-
tinatura. Momenti delle intenzioni architettoniche in Italia. IMMAGINAZIONE MEGASTRUTTURALE dal
Futurismo a oggi, a cura di Enrico Crispolti, Edizioni La Biennale di Venezia, Venezia, 1979, p.69.
Come ricorda Bruno Zevi, in Instabile e dissonante anche sotto terra, Cronache di Architettura n.6 , La-
terza, Bari 1978, p.296: “Agli antipodi (di un atteggiamento) tecnico e psicologico, l’inquietudine creativa
di Riccardo Morandi non intende compensare le lacerazioni umane con prodotti liricamente affidati ad
impianti e schemi del passato, ma è impegnata ad enunciare l’equazione dell’uomo contemporaneo con
un gusto spericolato e aggressivo…Il vigore creativo di Riccardo Morandi consiste in tale visione anticlas-
sica, travagliata, irta di dissonanze. Nella programmatica rottura dei ritmi tradizionali vi è un’adesione alla
vita contemporanea, a suoi crucci, ai suoi affanni, alla sua instabilità. Quando una struttura esprime queste
cose, si può esserne certi, l’ingegnere che l’ha concepita è un artista, anzi un indice nel linguaggio archi-
tettonico della nostra epoca”.
Vedi pure di Bruno Zevi, Strutture paesaggio di Riccardo Morandi, Ingegnere tra Minimal e Land Art, in
“Cronache di architettura” 18, Laterza Bari,1976, p.1026, la recensione al testo di Lara Vinchi Masini, Ric-
cardo Morandi, De Luca, Roma 1974. Le parole di Morandi:” La mia in complesso è stata una vita difficile,
sempre in polemica sia con gli ingegneri di mentalità più conservativa e accademica, sia con gli architetti,
specialmente quelli della presunzione formale”.
Antonino Saggio così commenta l’opera del nostro: “L’ingegnere Morandi, nato nel 1902, sperimenta le po-
tenzialità del cemento armato e della precompressione in strutture a destinazione diversa, dalle abitazioni
alle sale di spettacolo, dalle autorimesse agli hangar, dai ponti ai viadotti… l’ingegnere sperimenta: dalle
strutture a trave a quelle ad arco ai sistemi con stralli e telai. Del primo caso basti ricordare il cavalcavia a
Corso Francia a Roma e il Ponte Vespucci a Firenze in cui l’aspetto tecnico della precompressione viene
risolto nella elegante essenzialità dei profili e nella tensione estetica verso l’orizzontale; del secondo, il pon-
te sullo Storms River in Sudafrica nel quale la realizzazione (basata sulla rotazione di due archi costruiti in
verticale e poi abbassati ad appoggiarsi in chiave) è altrettanto importante della progettazione stessa. Ma
le opere più importanti e interessanti si fondano su uno schema lontano da ogni struttura voltata o trilitica
del passato. Risulta formato da due compassi strutturali ribaltati che determinano i supporti verticali. Il pri-
mo, più piccolo, è incernierato sulla base di appoggio e sorregge a mensola la prima parte della travatura,
mentre il secondo - più grande - si impenna nello spazio ad ancorare gli stralli cui è appeso il secondo tratto
della travatura. Le forme scultoree e l’equilibrio magico di forze interagenti coagulate in questo schema
statico rappresenta il marchio e il logo di Morandi e gli permette di portare a compimento incarichi presti-
giosi per tutta l’arte italiana del costruire: il ponte di nove chilometri sulla laguna di Maracaibo in Venezuela
all’inizio degli anni Sessanta, il viadotto sul Polcevera a Genova del 1964, il Ponte sul Wadi El Kuff in Libia
completato nel 1971. Sono impetuosi interventi dell’uomo sulle grandi dimensioni della natura o della cit-
tà… Ma con lo stesso equilibrio di forze dà vita anche a piccoli episodi altrettanto calibrati e belli come il
Viadotto sull’ansa del Tevere del 1965. Come si evince Morandi aveva tutte le conoscenze per presiedere
alla commissione giudicatrice.

3-Per una esauriente esposizione circa il progetto per il ponte sullo Stretto di Morandi si veda Riccardo
Morandi innovazione tecnologia progetto, a cura di Giuseppe Imbesi, Maurizio Morandi Francesco Moschi-
ni, Gangemi, Roma in particolare : testimonianza di Bruno Zevi; Suggestioni per una ricerca a venire,
Il fascino delle cose difficili: L’attraversamento dello Stretto di Messina dove leggiamo: “Riccardo
Morandi, che già nel 1963, durante un’intervista televisiva condotta da Luca di Schiena (15 febbraio), aveva
dichiarato che l’idea di progettare questo ponte era il sogno della sua vita, interviene in questa occasione
invitato dai Dirigenti dell’Ente fiera di Messina, quale membro della commissione che esamina i risultati
del concorso, esponendo le sue personali considerazioni sugli aspetti tecnici del problema. Ma è soltanto
nell’aprile del 1976 che egli redige, per l’ANAS un programma di studio dell’ambiente al fine di individuare
le caratteristiche dell’attraversamento e, di conseguenza, le soluzioni tecniche possibili”, p.313. Vedi pure
la testimonianza di Leo Finzi pp.317-318 e quella di Gianfranco Gilardini, pp.319-320. I disegni conservati
nell’archivio Morandi sono stati pubblicati successivamente in D’Eusebio Luca, Il ponte sullo stretto, in
“L’architetto italiano”, agosto-settembre n.3, 2004, p.20. Dimostrano, qualora fosse necessario, che il tema
era così presente tanto da costituire una sfida all’architettura dell’ingegneria, sfida a cui Morandi non si è
certo sottratto.
Del resto, in una intervista concessa ad Eugenio Battisti, così diceva: “…io ho sempre adorato il tema ponte.
Per me il ponte è una cosa bellissima… A parte la forma pura, nel ponte c’è una concretezza, una comples-
sità di possibilità di realizzazioni molto importanti… I ponti sembrano dei miracoli tecnici e formali… alcuni
ponti realizzati verso la fine dell’ottocento sono stati costruiti prima dell’inizio della produzione industriale
dei ferri laminati. Sono quindi il prodotto di una tecnologia agli albori. Lei pensi l’opera miracolosa di questi
ingegneri, che già si appropriano di una tecnologia così giovane, così rivoluzionaria. Perché lei sa che prima
si usava la ghisa, il ferro battuto. Si usavano materiali con una tecnologia completamente diversa. Con re-
sistenze enormemente differenti. Di colpo, si realizzano una serie di capolavori. E nel calcestruzzo armato,
nel cemento armato, c’è stato lo stesso fenomeno. Lei pensi al ponte del Risorgimento di Roma, che è stato
progettato nel 1907. Se lei consulta la letteratura scientifica e tecnica del calcestruzzo armato, vedrà che
nel 1907 eravamo veramente agli albori della costruzione del pensiero del cemento armato. E’ veramente
una cosa miracolosa, una realizzazione di quel genere fatta con una tecnologia così giovane, così appena
accennata. Anche lì, in mano ad un ingegnere, il quale era veramente il nostro padre spirituale, perché
aveva colto la capacità espressiva di questo materiale e in un certo qual modo e di calcolo esce fuori questo
prodotto, questo ponte sul Tevere. Il precompresso lo stesso. Quando lei pensa che nel 1934 Frayssenet
ha fatto i famosi ponti sulla Marna - che sono bellissimi ancora oggi – la tecnologia della precompressione
era poco più di un concetto”. L’intervista è stata realizzata all’interno delle attività del Centro Audiovisivo
dell’Istituto Universitario Statale di Architettura di Reggio Calabria nel 1980, in occasione di un convegno
internazionale tenutosi a Taormina sul Ponte sullo Stretto di Messina.

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4- Testimonianza di Franco Purini, in Riccardo Morandi innovazione tecnologia progetto, a cura di Giusep-
pe Imbesi, Maurizio Morandi, Francesco Moschini, cit., p.311.

5- Testimonianza di Leo Finzi, in Riccardo Morandi innovazione tecnologia progetto, a cura di Giuseppe
Imbesi, Maurizio Morandi Francesco Moschini, cit., p.318. Vedi pure Riccardo Morandi, Criteri di imposta-
zione per le soluzioni tecniche dell’attraversamento stabile dello Stretto di Messina, in “Atti del Convegno: Il
ponte sullo Stretto” 32, Fiera di Messina, 6-22 agosto 1971, pp.39-51; e Riccardo Morandi, Tecnica e imma-
ginazione, in “Quaderni del Dipartimento di Progettazione dell’architettura”, n.10, ottobre 1990, pp.69-67.

6- Vedi Bruno Zevi, Ponte sullo stretto di Messina Gittata di tre chilometri per fondare due città. In “Cronache
di architettura”, n.15, Laterza Bari, 1979, p.849. Il testo merita una lettura complessiva.
Sergio Musmeci, come sostiene Antonino Saggio recensendo il noto volume che dedica Manfredi Nicoletti
al maestro (Sergio Musmeci. Organicità di forme e forze nello spazio, Testo& Immagine, Torino, 1999) cer-
cò… di fare un ragionamento “per forma”. Non il corretto dimensionamento di morfologie astratte e scatolari
nate per tutt’altre ragioni, ma un ragionamento che cerchi la forma migliore per veicolare le forze. Una forma
cioè intimamente logica e allo stesso tempo necessariamente innovativa. La struttura, e l’architettura in
genere, al contrario, sono per Musmeci create dal progettista. “Proprio come una teoria di fisica moderna
che viene creata dal fisico”. La creatività è dunque alla base della scienza contemporanea e l’ingegneria ne
è parte integrante…Si scopre, tra l’altro, come alcune tecniche della progettazione contemporanea, come
quella del folding così centrale nella ricerca di Peter Eisenman, avessero trovato anticipazioni e ragioni
strutturali proprio nella ricerca di Musmeci ... Da una parte è ragione statica (logica innovativa per irrigidire
la struttura e quindi per risparmiare materiale e diminuire le sezioni) dall’altra è strumento per inventare
strutture-paesaggio. …la grande struttura del ponte a Messina si muove sull’idea della campata unica con
una rete di stralli che avvolge l’impalcato tenendolo compresso verso i piloni e contribuendo così alla rigidità
dell’insieme. Ne discende, per seguire un suo amico e collaboratore Manfredi Nicoletti che “La forma è
l’incognita, non le tensioni”.
Così il ponte nella parole dello stesso Musmeci:
“La realizzazione dell’attraversamento viario e ferroviario dello stretto di Messina può divenire un problema
di opere marittime, oppure, alternativamente, un problema di grande luce libera (3.000 m). Questa proposta
nasce dalla convinzione che il secondo problema consente soluzioni più controllabili tecnicamente e quindi
economicamente, in quanto svincolate dalle molte incognite poste da ogni eventuale opera in mare: forti
correnti, fondali profondi e instabili, oltre che poco conosciuti dal punto di vista geotecnico. Tutti problemi
acuiti dalla forte sismicità della zona. Una luce di 3.000 m è più del doppio della luce più grande finora
esistente, che è quella del ponte Giovanni da Verrazzano a New York, realizzato nel 1964, (1.298 m), ma
bisogna subito rilevare che questa luce è rimasta praticamente inalterata dagli anni Trenta; il Golden Gate
di S. Francisco (1.280 m) è del 1937 e da allora vi è stato un notevole progresso tecnologico nel campo
degli acciai strutturali. Ma soprattutto va rilevato che nei più grandi ponti sospesi esistenti il rapporto fra la
freccia e la luce è solo 1/10 e ciò indica chiaramente che le luci possono essere notevolmente aumentate;
portando questo rapporto a 1/5, si possono avere luci doppie senza modificare la sezione dei cavi. Ciò che
aumenta sensibilmente è l’altezza dei piloni. […] Il ponte che si propone è in tensostruttura; la presenza
di cavi traenti lo stabilizza molto efficacemente nei riguardi del vento e delle azioni sismiche. Gli studi e le
esperienze già acquisiti per questo tipo di strutture assicurano la fattibilità tecnica ed economica dell’opera.
Ma ci sono ragioni che trascendono sia la tecnica che l’economia, intese in senso stretto, e che spingono
ad accettare per intero la sfida offerta dai 3 km dello stretto. Sono ragioni di politica generale, di psicologia
sociale e di promozione civile e culturale: il ponte sullo stretto deve essere concepito come un’opera di
avanguardia da affrontare con lungimiranza, decisione e coraggio, perché, alle soglie del 2000, è una oc-
casione unica per stimolare l’intraprendenza della nazione nel campo delle grandi realizzazioni costruttive
e per qualificarne il rango fra i popoli di avanzata civiltà tecnica…Il progetto prevede due piste autostradali
larghe 15 metri ciascuna per complessive otto corsie delle quali due per la sosta, e due binari ferroviari con
pendenze massime del 10%. Le antenne in acciaio di elevate caratteristiche (tipo T I) dovranno sorgere al
limite fra il mare e le due sponde; la loro pianta è a forma di stella a tre punte ed esse saranno accessibili
grazie ad un sistema di ascensori. […]
Questo è stato l’intendimento che ha ispirato il progetto. Oggi dobbiamo Inventare il futuro, proiettando in
esso quell’armonia fra ragione e natura Che è il più prezioso patrimonio ideale che ci ha lasciato la civiltà
classica.”

7- Vedi Tullia Iori, Un sogno lungo tre chilometri, in “Area”, n. 59, anno XII, novembre/dicembre 2001, p.10.

8-Vedi Enrico Crispolti, a cura di, Utopia e crisi dell’antinatura. Momenti delle intenzioni architettoniche in
Italia. IMMAGINAZIONE MEGASTRUTTURALE dal Futurismo a oggi, cit., p.71.

9-Vedi AA.VV, L’area metropolitana dello Stretto, nuovi scenari, Iiriti, Reggio Calabria, 2008.

10-Vedi Francesco Cardullo, Giuseppe e Alberto Samonà e la Metropoli dello Stretto di Messina, Officina,
Roma 2006, p.101. Dello stesso autore, L’idea del Territorio dello Stretto, dalla conurbazione alla città me-
tropolitana, Magika, Messina 2016, in particolare pp.56-64.

11-Ci riferiamo alla cartolina, qui riportata, in cui il ciclope Polifemo sorregge centralmente il ponte tirandone
a se i cavi. La cartolina illustra pure una sezione del ponte e i due attracchi laterali su ambedue le sponde,
come dei rostri su cui si agganciano i cavi. La cartolina d’epoca oltre a riportare in alto il Polifemo nel mezzo
dello Stretto a sorreggere il ponte dalle due campate, in basso riporta i dettagli dei due attracchi e nel centro
una sezione significativa con tanto di passeggeri e veicoli in transito.

12- Franco Cardullo analizza con dovizia di particolari l’intera avventura progettuale nel suo Il Pilone del
Ponte sullo Stretto di Giuseppe Samonà, Officina, Roma 2016. A p. 12 leggiamo:” Questo gigantesco Pilo-
ne non assolve soltanto a una funzione strutturale, non serve solo a sostenere il ponte, contiene dell’altro:
è una ‘architettura’, un gigantesco edificio da abitare e non solo da attraversare, dove si possono svolgere
delle funzioni collettive, dei servizi per la comunita”. Lo ringraziamo in questo contesto per averci fornito
materiale utile al nostro lavoro.
Vedi inoltre di Enzo Siviero, Samonà e il ponte di Messina in “Galileo” 248 settembre-ottobre-novem-
bre-dicembre 2020, p.76. Dove leggiamo:”le grandi torri diventano quasi simbolo del Futuro che affonda
nel passato. Richiamano robot di guerre stellari o mitici totem degli indiani d’America”. In realtà le osserva-
zioni di Siviero che chiama in causa l’ingegnere Giulio Pizzetti che affiancò Samonà alla progettazione, ci
parlano di un conflitto, sicuramente vissuto tra i due protagonisti, architetto e ingegnere che avevano in un
certo qual modo invertito la leadership. Riconosce nel gesto progettuale: “un’iniziazione: l’atto di nascita di
una simbiosi necessaria, una contaminazione salvifica che, negli anni avrebbe poi dato non pochi frutti.La
concezione progettuale dell’oggetto “ponte” oggi, come ieri, appartiene senza distinzione di titoli di studio,
alla cultura universale: “opera unica tecnica plures” parafrasando Eduardo Torroja questa è la vera “razon
y ser”. Ovviamente immedesimandosi fino in fondo in tali contenuti.

13-Vedi Francesco Cardullo, L’idea del Territorio dello Stretto, dalla conurbazione alla città metropolitana,
Magika, cit., p.92.

14-Nel testo dell’autore Figure del ponte, simbolo e architettura, Pedragon, Bologna 2014, si compie una e

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vera e propria esegesi del tipo. Pur essendo un esauriente resoconto su tale opera dell’ingegno umano, e
ben documentata la vicenda del ponte inteso come simbolo, manca tra le tante condizioni rappresentate e
descritte un ponte ad anello come quello proposto da Perugini per il concorso del 69: un ponte che rigira su
se stesso. Così come avrebbe meritato spazio la descrizione della vicenda del Ponte sullo Stretto di Mes-
sina divenuto nel frattempo simbolo indiscusso dell’ipotesi di ‘attraversamento’. Valgono, però, alcune sue
osservazioni:” alcuni Ponti, letti comunemente come protagonisti nella corsa alla ‘luce più lunga del mondo
’, nascondono, per chi sappia vederla, una ‘tensione’ verticale, una spinta ascensionale, che ne riscatta la
semplicistica funzione di ‘Ponte da guinness dei primati‘”, p.150. In merito al ponte sospeso contemporaneo
e sulla sua evoluzione e sulla critica che ne consegue ci dice: “vorrei sottolineare come la nostra posizione,
nei confronti sia della critica sia dell’elogio del Ponte contemporaneo, trascenda tutto ciò”, p.154. Resta il
fatto che il ponte sullo Stretto avrebbe meritato una particolare attenzione se non altro per tutti i tipi messi in
gioco dai progettisti che vi hanno aderito. Avremmo voluto inoltre vedere tra le righe dell’autore comparire,
tra le pur molte opere citate, la Casa Ponte di Amancio Williams, come ulteriore condizione abitativa: oltre
il ponte abitato, l’abitato ponte. Vedi il nostro La casa sobre el arroyo di Amancio Williams a Mar del Plata,
“Controspazio” n.4, 1991, pp.68-75. Ora in Colonne stilate, Sapiens, Milano 1994, pp.191-196, a p.192: ”
Non sappiamo se Amancio Williams si sia ispirato, per la costruzione dell’arco , ai simboli cosmologici legati
alla figura del ponte . Quest’elemento di congiunzione tra terra e cielo che più che heideggerianamente
scopre non tanto l’identità delle sponde rivelate dal loro esserci, quanto il legame diretto tra costruzione
terrena e sua ascesi”.
15- “Gli appoggi sono studiati con sistemi speciali di ammortizzatori per sopportare qualsivoglia vibrazione
sia di origine sismica o casuale. Nelle cerniere di appoggio, oltre a un certo numero di residenze, è prevista
la sistemazione dei computers che regoleranno l’organizzazione di tutte le attività connesse al ponte. Le
più significative di queste attività sono, l’organizzazione di standards polivalenti lungo l’anello per gi usi di-
versamente richiesti; lo smistamento automatico delle autovetture qualora il passeggero volesse usufruire
dei servizi del ponte. Un’altra caratteristica di questa soluzione è quella di permettere con la propria orga-
nizzazione dei servizi di ammortamento rapido dei costi iniziali.” Vedi Mauro Scarcella Perino,Il ponte sullo
Stretto di Messina: Storia, Scienza e Simbolo, cit.
16-Giuseppe Perugini, intervento, Atti del Convegno in occasione della 32° fiera campionaria internazionale
di Messina 6-22 agosto 1971, in Il ponte sullo Stretto, a cura di Ufficio stampa dell’Ente autonomo Fiera di
Messina, p.132.
17- Costantino Dardi, Progetti dello studio Dardi- Morabito 1968-1970, in “Controspazio”, settembre 1971,
pp.21-24. Vedi pure Francesco Moschini, Dal Gioco sapiente agli oggetti a reazione poetica, in Dardi C.,
Semplice lineare complesso, AAM, Roma 1972.
18-Dalla descrizione del progetto Pier Luigi Nervi, Atti del Convegno in occasione della 32° fiera campiona-
ria internazionale di Messina 6-22 agosto 1971, in Il ponte sullo Stretto… cit.
Leggiamo ancora le parole di Nervi:
“Ogni mio sforzo è stato diretto ad eliminare quello che si è manifestato essere il vero punto debole dei
grandi ponti sospesi, ossia la scarsa stabilità laterale degli impalcati nei riguardi delle azioni orizzontali
indotte dal vento. Il rapporto tra la larghezza dell’impalcato e la sua lunghezza è già prossimo ad un va-
lore limite nei maggiori ponti sospesi realizzati; nel caso presente sarebbe stato molto al di sotto di tale
valore, sicché lo schema tradizionale di ponte sospeso con funi parallele doveva essere necessariamente
abbandonato. Riflettendo sul problema di una intrinseca stabilità trasversale dei cavi e per conseguenza
dell’interno dell’impalcato, mi convinsi che tale stabilità sarebbe stata ottenuta in modo del tutto spontaneo
qualora i due cavi anziché paralleli fossero stati disposti in modo da formare delle curve sghembe, con un
andamento parabolico sia nella proiezione verticale sia nella proiezione orizzontale. Per ottenere questo
è indispensabile che i sostegni delle funi ad ognuna delle due estremità siano sensibilmente distanziati tra
loro, salvo a solidarizzare cavi e impalcati nelle sezioni di mezzeria.”
19- Della Rotonda Nervi ci siamo occupati quando nel 2007 proponemmo la Palazzata Bifronte per la
BAAM, Biennale di Arte e Architettura del Mediterraneo di cui ero curatore e responsabile per il settore
Architettura. In quell’occasione il lido di Nervi, di cui eravamo certi della sua paternità per aver consultato
gli archivi dell’Ing, La Face di Reggio Calabria, serviva da supporto per i Palazzetti da collocare lungo la
sua direttrice.
Vedi pure di Giuseppe Arcidiacono, Nervi a Reggio Calabria: Il lido comunale e la rotonda, in Cantiere
Nervi. La costruzione di un’identità pre-print, CSA, Parma 24-11-2010, sessione Restauri del Moderno,
saggio 5.Di imminente pubblicazione gli Atti del convegno internazionale”Cantiere Nervi” (Parma, Ferrara,
Bologna, 24-26. 11.2010), e ancora Giuseppe Arcidiacono, Pier Luigi Nervi: la rotonda sul lido di Reggio
Calabria, in “Ananke”, n.64 settembre 2011, pp.14-24.

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“Certo il ponte muoverà molte acque, nella struttura ma I Ponti in tasca
anche nella cultura delle due terre”. Il concorso del 2007
Glauco Gresleri, Al di qua e al di là dello Stretto

Essendo quasi sempre assente, nelle proposte progettuali attuali,
una visione spaziale del tutto nuova, il ponte meritava, indubbia-
mente, di maggiore attenzione.
Se si escludono alcuni casi, in cui l’architettura dell’ingegneria si fa pa-
lese, i piloni del progetto ultimo presentato sembrano esili bacchette da
pasto giapponese, contestualizzabili in tutte le aree del mondo, come
2 se il segno di questo gigante potesse trasferirsi nella globalità e nell’in-
differenza dei luoghi.
Ci fa rimpiangere i grandi protagonisti: dove sono i Giura, Freyssinet, gli
Zorzi, gli Hennebique, Torroja o Candela, Dieste, Soleri o Calatrava?1
Il concorso da noi indetto: I ponti in tasca, è nato da tale assenza di
bellezza con l’intento di spingere energie progettuali ad estendere l’im-
maginario oltre i ristretti limiti degli ambiti strettamente operativi.2
Aver dedicato il premio a Musmeci ci è sembrato un giusto riconosci-
mento alla sua genialità.
Al concorso hanno partecipato in 50, e nel piccolo spazio della cartolina
a disposizione i concorrenti hanno espresso le loro idee con convinzio-
ne e slancio. Ne è nato un repertorio, una classificazione di tipi che, se
letti consecutivamente, sembrano soddisfare tutti i modelli elencati e
studiati da Cassani. Sono Figure del ponte dai quali non potremo pren-
dere distanze. Ovviamente alcuni concorrenti si sono lasciati andare
verso banalizzazioni elementari, altri verso visioni immaginifiche di cui
si conosce in anticipo l’impossibile realizzazione. Altri si sono indirizzati
3 verso sperimentazioni altamente tecnicistiche, altri ancora non si sono
preoccupati, nell’enfasi della proposta, di tradurre l’opera in futura co-
struzione. Resta il fatto che compaiono, ponti interrotti, ponti strallati,
ponti animalizzati, ponti isole, ponti mitologici, ponti abitati, e poi un
ponte energetico, un ponte istmo, un ponte appeso, ponti di barche,
come quello proposto dal mai troppo compianto amico, Mario Manga-
naro, che seguendo una lunga tradizione, allinea le imbarcazioni per
la caccia al pescespada: le passerelle, tali da consentire l’attraversa-
mento del canale. Molti hanno fatto uso della fotografia per suggestivi
fotomontaggi senza altra pretesa che lanciare un messaggio, ecco il
ponte ombra, o quello spiraliforme, quello a sutura …
L’aver svincolato il tema dalla sua effettiva realizzazione, o quanto meno
di una sua presunta fase realizzativa, ha consentito, come ha avvertito
Renato Nicolini, più avanti, di elaborare delle idee che seppur incoerenti
sotto il profilo ingegneristico, hanno dimostrato la loro validità sotto il
profilo immaginifico.
Il Ponte dei Ponti continua ad alimentare l’archetipo. Aleggia una cer-
ta critica allo strutturalismo, mentre si configura un immaginario ultra
mitico, e il ponte, da espediente diviene protagonista della scena quasi
antropomorfizzato. Valgono ancora, in merito, le acute osservazioni di
4 Paolo Portoghesi: “Il ponte, uno degli archetipi più antichi dell’architet-

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tura, suggerisce due direzioni di movimento: quello del fiume che scorre
sotto e quello della strada che scorre sopra: due movimenti che formano
una croce, due movimenti che diventano entrambi possibili (ancorchè
uno sembra impedire l’altro) in virtù del sollevarsi del nastro stradale
sottraendosi alla condizione vincolante dell’incrocio, il ponte sostituisce
il guado, una vittoria parziale ed effimera dell’uomo rispetto all’ostacolo
dell’acqua. Quando la vittoria diventa stabile è perché la strada si è fat-
ta ponte: ha saltato l’ostacolo ha unito le due “rive” opposte facendone
una stessa cosa; una continuità visiva che supera e fa dimenticare la
frattura. (…) attraverso il ponte il fiume si rivela nella sua natura mobile,
nel suo scorrere in una direzione costante. Quando un uomo si affaccia
e vede la corrente il suo vedere è come trascinato, la sua immagina-
zione suppone nella lontananza la presenza di una sorgente e di una
foce. Così egli si sente fermo al centro, nel cuore di ciò che si muove,
di ciò che muta continuamente. L’acqua che i suoi occhi raggiungono,
dopo un instante non è più la stessa dunque il ponte è l’archetipo dello
scontro tra l’essere e il divenire. Il ponte ha una matrice antropomor-
fa perche il nostro corpo può farsi ponte in ogni momento, lo diventa
quando attraversiamo un piccolo ruscello compreso nel compasso che
5 formano le nostre gambe, lo diventa quando attraverso due mani che si
stringono si crea un rapporto simbolico tra due esseri viventi. Una divi-
nità con il corpo arcuato simbolizzava nell’antico Egitto la volta celeste.
La nomenclatura del ponte esprime la sua matrice antropomorfica; il
ponte ha le sue “spallette”, il suo “cervello” e le sue “reni”. Ogni ponte
ha un suo “parapetto” che ci permette di sporgerci sul vuoto, un muro
che ha la misura giusta per trattenerci, che richiede e appaga il contatto
con il nostro corpo”.3
Si avvertono echi heiddeggeriani, e anche riferimenti a François Truf-
faut, nel film da lui diretto L’uomo che amava le donne (L’homme qui
aimait les femmes) del 1977, c’è una frase indimenticabile: le gambe
delle donne sono un compasso che misura il mondo. Forse il ponte più
bello al mondo!
Vince il concorso, e meritatamente, Vittorio Giorgini, con la collabora-
6 zione di Marco Del Francia, proponendo un ponte singolare appeso ad
un’unica fune, visto di sezione trasversale incastra, nella sua mezzeria,
un corpo reggente due binari per un treno ad alta velocità lasciando
in basso le carreggiate libere per i veicoli su strada. L’eleganza della
struttura, che si può avvicinare al ponte di Musmeci, anche se di esso
ne nega i cavi verticali soprastanti, poggia su dei grandi treppiedi, come
vediamo nei primi schizzi, poi divenuti quattro sostegni, essi reggono
un unico cavo su cui si aggrappano i sistemi triangolati. Vittorio Gior-
gini, che anche in questa occasione onora la sua fama di innovatore
solitario nel diffuso conformismo dell’architettura italiana, propone una
struttura composta da elementi di tensione con schema di sospensio-
ne a tre cavi che tendono a neutralizzare gli sforzi assiali della “tenso-
trave” assicurando ogni elemento in modo indipendente dagli altri. La
sua semplicità strutturale si traduce in chiarezza ed eleganza formale.
L’ ”immaginario” di ponte proposto da Giorgini, come da giudizio della
commissione, composta da Renato Nicolini, Luigi Prestinenza Puglisi e
chi scrive, suona come rifiuto tanto della banalità priva di principi archi-
tettonici quanto della stravaganza gratuita.

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1 Note

9 1-Ci giunge dalla Cina l’idea di un ponte che si trasforma. Alimentato da pannelli solari aiutati da vele in car-
10 bonio: un ponte avveniristico capace di cambiare forma, ma anche di navigare. Si chiama “revolving bridge”
ponte girevole a vela, ed è stato disegnato dall’architetto inglese Margot Krasojevic per la città do Ordus,
sul fiume Wulan Mulun, nella Mongolia cinese. Questo ponte mobile è studiato per gli abitanti della città che
sta crescendo su entrambe le sponde del fiume. E’ infatti una struttura flessibile con tre passerelle espan-
dibili di lunghezze differenti, fissate alla struttura principale galleggiante. Il ponte può essere spostato sul
fiume, posizionato vicino a una banchina, o ancorato in modo permanente. Ecologico. E’ anche un mezzo
sostenibile: è alimentato da pannelli solari che danno energia ai tre motori in dotazione, aiutati da tre vele
di carbonio che sembrano ali (due laterali più una centrale). “ Vedi “Focus”, 303, 21 dicembre 2018, p.80.

2- Riportiamo qui di seguito il testo del bando da noi redatto, e l’esito del concorso i ponti in tasca:
“Vista l’attualità delle vicende riguardanti la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina e sospettando
che in molti abbiano almeno una volta immaginato possibili soluzioni alternative, o quantomeno similari,
circa le forme del possibile attraversamento dello Stretto, dopo aver vagliato le esigenze ingegneristiche
che generano un immaginario iconografico specifico, si è ipotizzata la raccolta di idee e proposte progettuali
che vedano la diffusione, attraverso la realizzazione di una mostra da allestire presso i locali della Facoltà
di Architettura di Reggio Calabria dei materiali prodotti . In tale ambito i partecipanti al concorso possono
produrre idee e suggerimenti che esulano dall’assoluta richiesta e pretesa costruttiva, auspicando e dire-
zionando l’avanzamento del dibattito in merito nonché l’immaginario legato alla figura del Ponte. Soggetto
ormai a ripetuti attacchi tematici oscillanti tra la sua pretesa realizzazione e la sua negazione in quanto
oggetto inutile.
In sostanza il dibattito incentratosi nella sintetica formula del “ponte si-ponte no”, ci sembra lecito ampliarlo
con la richiesta di più punti di vista a cui tutti gli architetti ed ingegneri sono invitati a collaborare.
Dopo essere divenuto discriminante ideologica ci sembra lecito chiederci se soluzioni alternative al progetto
proposto possono divenire patrimonio comune.
I bozzetti da presentare in formato cm.10,5x29,7 dovranno pervenire alla segreteria del concorso entro il
ù31 ottobre 2007 all’indirizzo e-mail [email protected], in formato jpg 300 dpi; tali lavori inoltre
dovranno essere spediti in originale, pena l’esclusione dal concorso, al Dipartimento DASTEC, Università
degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Facoltà di Architettura, Salita Melissari, 89100, Reggio Ca-
labria, all’attenzione del Prof. Marcello Sèstito, ideatore e curatore dell’iniziativa; contrassegnati dal nome
dell’autore sul retro del disegno (per informazioni tel. 3387084052) entro la stessa data. I materiali conse-
gnati non verranno restituiti. Ci si potrà avvalere di tutte le tecniche che si riterranno opportune e potranno
aderire architetti e ingegneri italiani e stranieri, giovani laureati delle facoltàdi architettura e ingegneria.
I lavori saranno valutati da una apposita commissione composta da Renato Nicolini, Luigi Prestinenza
Puglisi, Marcello Sèstito, Massimo Giovannini, Rosaria Amantea. I materiali raccolti faranno parte di un
catalogo della mostra, mentre il premio previsto nella somma di 2000 euro, sarà consegnato al vincitore
nella giornata di inaugurazione della mostra, in cui verranno esposti tutti i lavori, in una data da definire nel
mese di novembre 2007”.
Esito del concorso “I PONTI IN TASCA”: La commissione decide di assegnare un primo premio di 1500
Euro a Vittorio Giorgini,.La commissione decide di assegnare un secondo premio di 500 Euro a Giovanni
Santoro, giovane architetto all’estremo opposto della lunga carriera professionale degli ottant’anni di Vitto-
rio Giorgini (un simbolico ponte tra generazioni) che ha proposto un ponte lamellare di semplice eleganza
strutturale e di forte impatto visivo, forse da verificare dal punto di vista statico nella sua aspirazione alla
costruttività attraverso una legge, sia pur semplice, di variazione delle pieghe.
La commissione decide infine di segnalare altri tre progetti. Il “gioco” del ponte galleggiante appoggiato su
natanti, che rievoca il mitico ponte di botti degli schiavi di Spartacus ed i ponti del Genio Pontieri, di Mario
Manganaro. il ponte di pile con ombricoli e pannelli fotovoltaici, all’insegna dell’utopia ecologica, altra forma
particolarmente attuale ed immaginario, di Enrico Pinna. L’elegante ed immaginifico disegno ponte di Livia
Gobbati e Ivano Bortolussi.
I partecipanti alla commissione: Rosaria Amantea, Massimo Giovannini, Renato Nicolini, Luigi Prestinenza
Puglisi, Marcello Séstito, 9 Gennaio 2008

3- Vedi l’articolo apparso sul web: Il ponte.

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Una testimonianza
di Renato Nicolini

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D4 el Ponte di Messina ne abbiamo già parlato, Marcello Sèstito ed
io, una sera illuminata dalla luna a cena ad Altafiumara, un risto-
rante accanto ad uno dei piloni dell’ENEL che oggi segnano la
minore distanza tra le due coste, uno sulla costa calabrese ed uno sulla
costa siciliana. Eravamo a cena con Stefano Boeri, allora direttore di
Domus da pochi mesi, e su Domus quella conversazione avrebbe do-
vuto essere pubblicata. Abbiamo atteso invano, adesso Stefano Boeri
non è più direttore di Domus. Forse la pubblicherà su Abitare, di cui è di-
ventato il nuovo direttore. Ma perché attendere? Nel frattempo al Ponte
di Messina è andata anche peggio. Varato in grande spolvero da Silvio
Berlusconi, come la principale delle grandi opere del contratto con gli
italiani, che lo portò nel 2001 alla Presidenza del Consiglio, il Ponte è
5 stato poi progettato in vesti dimesse. Così dimesse che, contrariamente

a quello che sarebbe stato legittimo attendersi, i capitali stranieri, anzi-
ché accorrere per partecipare alla realizzazione di quello che sarebbe
stato il più lungo ponte del mondo (roba da Guinnes dei Primati!), se ne
sono subito ritratti… Con conseguenti aggravi per il bilancio dello Stato
italiano e per quello delle Ferrovie dello Stato, subito precettate ad ac-
correre in soccorso.
Caduto il Governo Berlusconi, il Governo Prodi ha definanziato l’ope-
ra, non più considerata come “una delle priorità” dell’Italia del 2008.
Avrebbe anche soppresso la Società che da più di vent’anni dovrebbe
6 lavorare per la realizzazione del Ponte, ed ha accumulato ingenti ca-
pitali a questo scopo, non fosse stata l’opinione contraria di Antonio Di
Pietro… Adesso siamo di nuovo in tempo di elezioni, e Berlusconi ha
ovviamente riproposto il Ponte di Messina come grande opera tra le
grandi opere…
Ma perché guardare come lo stolto (come diceva il grande poeta cinese
Li Bo), il dito che indica la luna anziché la luna? Cerco di ritornare con
la memoria alla sera di Altafiumara, e ritrovare le cose che obbiettavo a
Marcello Sèstito (dopo averlo scoperto, non senza sorpresa, sostenito-
re delle ragioni del Ponte) …
7 Perché tanta attrazione degli architetti per il costruito, tanto da rinchiu-
dere un’idea, un’aspirazione nobile e giusta come quella di passare nel
modo più naturale e più rapido dalla costa siciliana alla costa calabrese
e viceversa, nella prigione del ponte? Non si può passare altro che
attraverso il ponte? Così tanto nel profondo sono entrati nella nostra
fantasia il ponte di Brooklin, e gli altri ponti di Manhattan, la città per ec-
cellenza del ventesimo secolo? Non possiamo passare da una sponda
all’altra anche in altri modi? Non dico con un tunnel sotterraneo, che in
questo caso dovrebbe galleggiare libero sotto l’acqua, esposto alle im-
prevedibili spinte e movimenti originati dalle correnti del mare di Scilla e
Cariddi, come il tunnel che congiunge Francia ed Inghilterra. Dico mol-
tiplicando le navi ed i traghetti. Dico anche raggruppando, aggregando

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navi e traghetti in modo che, per un tempo effimero, diano l’illusione del
ponte, come i ponti di barche che costruivo quando ero geniere sulle
acque del Po e dei suoi affluenti. Certo, lo Stretto non è il Po; ma questi
ponti non dovrebbero durare per un tempo indefinito, non sono ponti mi-
litari, ponti da caserma, ma ponti civili.
Oggi l’architettura non può dire tutto, nonostante vogliano forzarla a que-
sto gli strateghi della comunicazione e gli/le archistar. L’architettura deve
essere completata dalla vita; o, al limite, dai valori simbolici degli even-
ti che viviamo; o, se vogliamo attraversare risolutamente questo limite,
dallo spettacolo.
Poche cose sono emozionanti come attraversare il Mare dello Stretto.
Per un certo periodo l’ho fatto più volte al mese, quando –insegnando
come adesso a Reggio Calabria –andavo però a dormire a Messina a
casa di Fabio Ghersi, allora mio assistente. La mattina prendevamo la
9 Caronte, quando potevo salivo sul ponte scoperto e guardavo il mare,
e nella mia mente il mare che vedevo si confondeva col mare greco,
col mare delle Sirene, e montava dentro di me la stessa nostalgia di
Ulisse… e finivo per telefonare a casa. (Ero forse aiutato a raggiungere
questo stato d’animo dal fatto che Messina per me è una città di Lari e
Penati. Proprio accanto al Municipio sorge il Monumento ai Caduti delle
10 Tre Armi, Fanteria Marina ed Aviazione: lo scultore di questo monumento
è mio nonno Giovanni, l’architetto mio padre Roberto, allora giovanissi-
mo, non aveva ancora compiuto trent’anni. E dall’alto di quel monumento
sono saltato verso il cielo col pugno chiuso, per annunciare a mio nonno
e a mio padre che, dopo tre femmine, mi sarebbe nato un figlio maschio,
che avrei chiamato Giovanni come mio nonno).
Ora, perché non progettare, usando gli artifici su cui lavorava l’archi-
tetto barocco, la traversata dello Stretto? Non sarebbe sicuramente più
economico (e sicuramente più emozionante di un viaggio su un Pon-
11 te, nient’altro che un non luogo, non diverso da un’autostrada per chi
lo percorre)? Col bilancio necessario alla costruzione del Ponte, quanti
scogli delle Sirene, quante macchine Scilla e macchine Cariddi, quante
opere di restauro del paesaggio, quanti aliscafi e quanti traghetti, quanti
collegamenti con le omeriche isole di Eolo (le Eolie) e con l’Africa si pos-
sono attivare!
Come si può capire, a proposito del Ponte (come a proposito di tutte le
cose su cui ci si permette di scherzare) ho un atteggiamento problemati-
co, non dogmatico. Non lo escludo a priori, la conservazione stessa del
paesaggio è un’opera continua di trasformazione. Ma fino ad ora nessu-
12 no dei progetti che ho visto mi ha pienamente persuaso. Mi persuade in-
vece l’ultima posizione di Giuseppe Samonà, che era arrivato a collocare
il Ponte nel progetto di collegamento delle due coste.
Quello che manca ai progetti del Ponte, finora, non è tanto la comple-
tezza del progetto tecnologico, economico, etc. quanto la tensione pro-
gettuale. C’è più tensione progettuale nei progetti volutamente limitati al
formato tascabile del concorso I ponti in tasca, soprattutto nel progetto
vincitore del “grande trascurato” Vittorio Giorgini…

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“Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. Ponti singolari
-Ma quel’è la pietra che sostiene il ponte?
Chiede Kublai Kan.
-Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra,-
Risponde Marco, -ma dalla linea dell’arco che esse
formano.
Poi aggiunse,-Perché mi parli delle pietre?
È solo dell’arco che mi importa.
Polo risponde: -Sanza pietre non c’è arco”.
Italo calvino, Le città invisibili, 1972.

Nella storia del ponte di Messina, di cui se ne tenta qui una tratta-
zione, si affacciano prepotentemente, ad intervalli sincopati, pro-
gettisti dalle più svariate provenienze. Alcune delle ipotesi da loro
avanzate sono strettamente legate ad ambiti universitari, altre ipotesi si
attengono ad avventure solitarie dovute piuttosto a relative conoscen-
ze tecniche o passioni personali, così presenti nella mente dell’autore,
2 che egli si lascia prendere da uno sorta di hybris progettuale; altre volte
compartecipano alle ipotesi di attraversamento designers colti o proget-
tisti più o meno noti.
Nel 1982 una singolare tesi di laurea di Bernardo Re si occupa della
definizione del Ponte sullo Stretto. Si avvertono nel lavoro echi dei lavo-
ri di Nervi e Musmeci, e alcune immagini rimandano persino ad alcuni
ponti di Paolo Soleri. Il ponte nelle parole di Re doveva divenire parte
del paesaggio dello Stretto senza stravolgerne la sua identità. La pro-
posta: “ una ragnatela enorme per impedire alla Sicilia di allontanarsi
dalla Calabria e così unirle: una luce centrale di 3500 metri con due luci
laterali simmetriche di 1500 metri ognuna, i piloni alti circa 400 metri
individuanti in sezione trasversale un arco a sesto acuto a tre cerniere
sulla cui sommità trova alloggio il cavo portante parabolico di circa 140
cm di diametro: “Due mani giunte in preghiera” per un comportamento
a “ruota di bicicletta” (definizione del Prof. Nascè); altri due cavi pa-
rabolici superiori, simmetricamente posizionati, di 90 cm di diametro,
trovano appoggio circa ad un terzo dell’altezza misurata dalla cuspide
in una risega dei semiarchi; la spinta prodotta da questi ultimi tende ad
equilibrare quella del cavo di cuspide che impedisce ai due semiarchi di
aprirsi verso l’alto; da questi tre cavi parabolici partono tre file di stralli
pseudo verticali individuanti dei ventagli col vertice sui cavi e gli attacchi
3 sull’impalcato ad uguale distanza; a questi tre cavi parabolici si contrap-
pongono altrettanti cavi parabolici disposti al di sotto dell’impalcato, uno
sull’asse verticale che, in corrispondenza dei piloni viene ancorato alla
base della pila, gli altri, simmetrici, vanno ad alloggiarsi, curvandosi,
nella base del pilone per poi proseguire sulle campate di riva; l’impal-
cato disposto a 150 m. sul livello del mare con doppio binario ferrovia-
rio al centro e, simmetricamente, due corsie autostradali e due piste
pedonali e ciclabili agli estremi completano il progetto … Il tutto, come
sommariamente descritto, forma una galleria di stralli periodicamente
inclinati lungo l’asse del ponte secondo il ritmo dettato dai quindici ele-
menti composti da otto ventagli, quattro superiori e quattro inferiori, da
una sponda all’altra dello Stretto … La necessità, dettata dallo schema
strutturale, di portare l’impalcato a 150m sul livello del mare, ha offerto
la possibilità di collegarsi direttamente alla parte montuosa sia in Sicilia,
all’interno di una sinuosa insenatura fra le montagne di Punta Pezzo,
sia in Calabria sulle pendici del monte di Punta Calabra”.1
Il ponte proposto da Re rimanda pure ad archi medioevali e le cui punte,

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cercano di insinuarsi nel cielo.
La proposta, come tante, che ha oltre tutto il pregio di non fermarsi solo
alla soglia dell’idea, ma di completarsi con studi accurati e calcoli appro-
fonditi, come si evince pure dalle numerose tavole tecniche, si somma
alle altre proposte qui presentate, andando ad ampliare il già cospicuo
numero di ipotesi di attraversamento.
Stessa sorte per la proposta di Pino Donato, per un ponte sullo stret-
to, di cui si conservava, almeno fino a qualche tempo fa, un modello
nel Museo di Palmi. Ambedue i progetti articolano le loro ragnatele di
cavi fino ad avvolgere letteralmente la struttura, il primo con un modello
5 controllato staticamente, con i metodi dell’ingegneria strutturale del mo-
mento, il secondo avvalendosi anche di conoscenze empiriche. Così
lo descrive egli stesso:” un progetto di Ponte a due campate, costituito
da tre piloni portanti (di cui due in cemento armato sulla terra ferma e
uno in acciaio a metà campata) e da cavi aerei e sottomarini, con la
funzione di sostenimento delle sedi stradali, ferroviarie e pedonali so-
spesi. In seguito allo studio tecnico, creo personalmente un modellino
in scala 1.600. Il progetto è caratterizzato anche da una serie di cavi
6 sottomarini con lo scopo di resistere alla massima spinta di “Archimede”
che si verifica a ponte completamente scarico. Lo schema statico del
Ponte Pino Donato e della struttura dello stesso sono riportati nei dise-
gni tecnici; il modello in scala 1.600 è stato costruito per rendere visiva
l’idea ma senza pretesa di mostrare particolari costruttivi che saranno
descritti graficamente in fase di progettazione esecutiva dell’opera, per
cui alcuni di questi particolari sono stati realizzati sul modello in modo
da rendere più semplice il suo montaggio, ad esempio: la giunzione dei
cavi aerei ai Piloni di appoggio, la unione dei cavi portanti formanti la
catenaria con quelli verticali sostenenti le sedi di transito degli automo-
bili, treni pedoni ecc. Le tensioni in tutti i materiali impiegati, comprese
le sollecitazioni sul terreno, non supereranno dopo appropriati studi di
7 calcolo, quelle ammissibili, e sulla base di questi, si ricaveranno le di-
mensioni necessarie per sopportare tutte le sollecitazioni alle quali il
Ponte sarà soggetto in fase operativa. Metodo di montaggio del Ponte,
materiali da adoperare e loro sedi, dettagli delle varie parti del Ponte,
schemi di montaggio ecc. saranno definiti in fase di accettazione ese-
cutiva che terrà conto di tutti i dati reali, (quote, larghezze per il transito,
dimensioni di diverso tipo, sollecitazioni, agenti in ogni senso ecc). N.
Brevetto 000018261 – stato di domanda rilasciata. “Titolo: - Ponte sullo
Stretto di Messina.
Il terzo ponte, è una proposta di Gaetano Pesce, maestro del design
internazionale, il quale non si lascia sfuggire l’idea di poter dire, anche
in questo caso, una presunta parola nuova!
8 Il ponte di Pesce è un ponte abitato che sviluppatosi lungo una linea a
s, che ricorda tanto la linea della bellezza di William Hogarth, inverte
il processo che vuole il ponte come soggetto per transitare il più velo-
cemente possibile sull’altra sponda:” La mia idea-sostiene- è nata …
guardando il layout del Ponte di Messina: il ponte è ripetitivo, uguale a
centinaia di altri al mondo, una campata di 3 km senza pilastri – qui sa-
rebbe la grande invenzione – progettato da un team giapponese. Allora
mi chiedo: perché spendere 5000 milioni di euro per fare una cosa che
si attraversa in tre minuti a 60 km all’ora? Qual è l’interesse? Non riesco
trovarne la ragione. In Italia abbiamo la tradizione dei ponti abitati, come
Ponte Vecchio a Firenze o Rialto a Venezia. Perché quindi non usare
questo progetto come occasione per ridare alla Sicilia e alla Calabria
un’energia, un’unicità che queste regioni da tempo non hanno, soffo-
cate da interessi di mafia e di partito? È qui che ho pensato a un ponte
abitato, appunto, retto da 20 pilastri, ognuno dedicato a una Regione,
che ospitano alberghi e ristoranti. Un ponte non da attraversare in pochi
minuti, ma talmente attrattivo da passarci una settimana di vacanza.
Un albergo in mezzo al mare, con due coste a vista, un biglietto da visita
per chi affronta l’isola o il continente. Dal punto di vista architettonico
potrebbe diventare uno statement, perché ogni pilastro potrebbe essere
progettato da un architetto di quella Regione”, e poi si lascia andare a

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semplicistiche metafore: ”l’idea della forma a ‘S’ non è solo simbolica
–sta per Sicilia– ma anche funzionale, perché modererebbe la velocità
delle auto, pericolosa per i forti venti.”2
L’idea del ponte abitato, di cui discutevamo con Pierre Rasteny in anni
passati, lo abbiamo visto, non è certamente una novità, dalla proposta
di Perugini, alle molte di cui abbiamo argomentato per il concorso i Pon-
ti in tasca, sembra che tale tipologia riscuoti un certo successo. Come
ci ricorda ancora Cassani, proprio in un capitolo dedicato a tale tipo:
”dal momento in cui il primo uomo ha sostato su un ponte, si è posta
la possibilità che su quel ponte ci si potesse abitare. Perché si sosta
su un ponte? Perché si è attirati dallo scorrere delle acque sottostanti,
9 dall’ammirare un altro ponte … dal meditare sul paesaggio circostante
… se questa meditazione è valsa in passato per i ponti rettilinei, ancor
di più vale oggi in cui molti ponti pedonali hanno abbandonato la linea
retta per un andamento sinuoso, curvilineo, a serpentina”.3 E sem-
bra proprio la descrizione del ponte ideato da Pesce, anche se l’autore
fa esplicito riferimento ad un precedente realizzato: il ponte pedona-
le Pedro e Ines sul fiume Mondego a Coimbra, in Portogallo, di Cecil
Balmond (2007) di cui ne riporta le motivazioni progettuali: “Il viaggio
attraverso l’acqua, come attraverso una gola, una fessura tra forme ter-
restri, è sempre immaginato come un percorso rettilineo. Spaventati dal
vuoto, o forse dagli spazi indefiniti, sembra che vogliamo affrettarci, cor-
10 rere in linea retta. Ma che succede se divaghiamo? Se procediamo per
curve? Attraversiamo sfrecciando e sfioriamo gli eventi. In un’arroganza
artificiale, controlliamo forse il paesaggio. Sollecitiamo una traiettoria,
sorvolando l’acqua con slancio crescente, come un proiettile che non
fa deviazioni?4
La storia dei ponti abitati è piuttosto lunga, da Ponte Vecchio a Firenze,
quello di Rialto, passando per l’Old London Bridge di Londra al Pon-
te di Barth di Robert Adam a Somerset in Gran Bretagna del 1773, al
Ponte di Notre Dame et le Pont ou Change nel dipinto di Nicolas Jean
11 Baptiste Raguenet (conservato nel Museo Carnavalet, 1736), al Ponte
Castello di Philibert de L’Orme a Chenonceaux (Indre et Loire, Francia
1555), non dimenticando i capricci di John Soane (Triomphal Bridge
del 1776) e quello stupefacente del Palladio ( che aveva dato prova di
sé nella costruzione del ponte ligneo a Bassano del Grappa come già
ricordato) nel dipinto del Canaletto (capriccio con edifici palladiani del
1758). Estendendo il paragone fino al XX secolo, lo ricorda ancora Cas-
sani, nei progetti degli architetti dell’Utopia megastrutturale, dimentican-
do, però, forse quello più incisivo in tal senso: Il Monumento Continuo
del gruppo Superstudio del 1969-70: un ponte abitato che attraversa
l’intero globo, da noi rivisto per Architetture Globali.5
Il ponte abitato, poi, rimanda e non solo per assonanza al suo appa-
rente contrario: l’abitato ponte, che trova nella Casa Ponte di Amancio
Williams, a Mar del Plata, il suo migliore e riuscito esempio.6
Piu di recente si deve ad un giovane architetto israeliano Mor Temor 7
la proposta per un ponte, piuttosto singolare per l’attraversamento dello
Stretto. Si tratta di un ponte basato su piattaforme Galleggianti e Abi-
tate. Il progetto prevede che ampi spazi interni al manufatto, nel bel
mezzo dello Stretto, possano essere adibiti a centri commerciali, uffici,
alberghi, parcheggi, parchi alberati e cinema oltre a ville e appartamenti
per migliaia di residenti e anche decine di porticcioli turistici che pro-
teggeranno barche a vela e yacht dalle correnti e dai gorghi di Scilla e
Cariddi. Inoltre il collegamento non viene pensato all’imboccatura dello
Stretto, nella parte in cui le due sponde sono più vicine (tra Ganzirri e
Cannitello), ma più a sud, tra Messina nord e Villa San Giovanni. Pro-
posta temeraria e persino sgraziata, questa che va a sommarsi prepo-
tentemente tra le altre sopra tratteggiate a confermare come l’idea del
ponte susciti una forte capacità immaginativa, a volte persino surreale
o volutamente fantascientifica come questa del giovane israeliano che
avrebbe dovuto, al di là della suggestione del luogo, confrontarsi mag-
giormente con le maree e le reme del sito che molto probabilmente
avrebbero potuto inficiare il progetto.

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Grazie al recente lavoro di riordino dei progetti di Marcello D’Olivo, ab-

biamo ora di questo degli schizzi di progetto del Ponte sullo Stretto di

Messina realizzati nel 1984, dove si evince, in pochi tratti, la tensione

strutturale e l’idea di agganciare i cavi, ad una grande stella che li con-

voglia in un unico sistema.8 Sempre teso verso la dimensione paesag-

gistica sulla scorta dell’organicismo wrightiano, di cui fu sicuramente un

abile interprete, l’opera di D’Olivo, con forti richiami ai progetti presen-

tati nel concorso del ’69 dispone il suo reticolo statico ben consapevole

che l’oggetto non può essere solo lavoro di alta ingegneria ma coinvol-

14 gente l’intero territorio di cui dovrebbe farsi testimone. L’architetto che
anticipava con la sua spirale pitagorica dell’impianto a Lignano Pineta

(Udine 1952-63) persino operazioni di Land Art, basti rapportare questo

lavoro alla Spiral Jetty di Robert Smithson degli anni ’70, per capirne

l’importanza.
L’architetto contadino, secondo la non troppo felice espressione zevia-

na, che lo esalta e lo condanna allo stesso tempo,propone queste im-

magini di un ponte possibile avendo ben in mente le tecniche e le stra-

tegie struttural: lavorò a fianco di Silvano Zorzi al concorso per il Ponte

Amerigo Vespucci a Firenze nel 1953, ed era un appassionato del

lavoro di Sergio Musmeci, e si dice che preferisse, quando frequentava

l’università, le lezioni di Scienze delle Costruzioni impartite allora da

Carlo Minelli. Come aveva intuito bene Leonardo Sinisgalli: “l’ingegnere

letterato, D’Olivo era capace di realizzare “fiori matematici”, trasforma-

re, cioè, il calcolo in poesia”. Purtroppo i pochi schizzi rinvenuti non ci

danno pienamente di conto di ciò che sarebbe potuto divenire il ponte,

proseguendone l’immaginario.

Il ponte, un tema “… che non conosce tempo, pendolo dell’incertezza,

tra sogno e realtà; antico e moderno, con valenze diverse; oggi tempo-

rale moltiplicatore d’interesse o profonda letargia, secondo le stagioni

politiche o il succedersi degli appuntamenti elettorali. Questione che fa

15 riemergere il filo conduttore della storia di Messina ritmata tra intermo-

dalità dei trasporti, collegamenti marittimi e ferroviari o attraversamento

stabile, circonlocuzione questa per mimetizzare la parola’ponte’ “,9 si

ripropone nel progetto proposto dall’architetto Saverio Adriano Marchi-

sciana, rievocante, piuttosto banalmente, i due mitici mostri di Scilla e

Cariddi, inserendo nelle due torri simmetriche una funivia congiungente

le due sponde. Alte 396 metri e distanti 3.200 metri cerca di sopperire

alla carenza “estetica” delle altre proposte presentate, forse ingenua-

mente, ma con grande capacità rappresentativa e visionaria, innesta tra

i corpi delle torri delle enormi ventole.

Più ingegneristicamente veritiero lo studio di Marco Peroni già presente

nel nostro concorso i Ponti in Tasca che propone, sulla scorta del pio-

nieristico lavoro di Sergio Musmeci, una sorta di nasse che potrebbe

estendersi fino a 5 chilometri andando a spostare la collocazione attua-

le del ponte.Dalla relazione di progetto riportiamo: ”In questo caso, vista

la immensa luce libera da coprire,si è sviluppato un concetto innovativo

basato in pratica su una tensostruttura 3D di tipo a paraboloideiperboli-

co, in pratica una “tridimensionalizzazione”del progetto che Sergio Mu-

smeci aveva presentato proprio per lo Stretto diMessina in occasione

delconcorso Anas del 1969...La soluzione da noi proposta potrebbe es-

16 sere considerata sovradimensionata per una luce sia pur grande come
quella di Messina ma forse troppo piccola per uno schema complesso

come il nostro che è forse più spendibile per luci ancora più grandi, vici-

ne ai 5Km. Si potrebbe eventualmente quindi pensare di “spostare” l’at-

traversamento più vicino alla città di Messina riprendendo vecchi per-

corsi già proposti tempo fa per ponti a più campate e scartati allora per

il fatto di non avere piloni al centro dello Stretto… Con il nostro studio

vogliamo invece proporre un innovativo schema strutturale: un sistema

tenso-strutturale a “doppio effetto” che permetta di stabilizzare il ponte

contro gli effetti del vento e che sia, al contempo, più economico o al

peggio di eguale impegno finanziario del ponte presentato fino ad oggi

17

142

(che chiameremo per brevità ponte SM: Società Stretto di Messina)”.10
Altre proposta di collegamento tra le sponde sono state presentate, al-
cune delle quali presenti anche in nostre indicazioni passate, come per
una funivia di collegamento, argomento da noi suggerito per una tesi di
laurea che prevedeva il riutilizzo dei piloni metallici esistenti come torri
reggenti l’impianto.
Successivamente gli ingegneri Achille e Giovanna Baratta e Massimo
Majowiecki hanno presentato una proposta di ‘Metropolitana leggera’
sullo Stretto di Messina basata sulla tecnologia dell’aerobus… Si trat-
18 terebbe di una sorta di funivia che parte dalla Stazione Marittima di
Messina e arriva all’aeroporto di Reggio Calabria in 15 minuti e che
potrebbe, nelle intenzioni dei progettisti, contribuire sensibilmente a re-
alizzare quel collegamento determinante, a giudizio non solo loro, per il
rilancio economico di questa parte di Meridione… Secondo i progettisti
“il collegamento tra Messina e Reggio Calabria permetterà di velociz-
zare e incrementare il flusso pendolare fra le due città aumentando le
possibilità di interazioni economiche e lavorative”… L’idea di Baratta e
Majoviecki prende spunto dal sistema dell’aerobus: carrozze motorizza-
te alimentate da energia elettrica che si muovono sospese a un cavo.
19 Una tecnologia collaudata in Svizzera nel 1974 e operativa per 6 mesi
nella città di Mannheim in Germania dove ha trasportato 2,2 milioni di
persone. I sistemi di aerobus, spiegano i progettisti, sono utilizzati ad
esempio nelle città cinesi di Chongqing e Weihai e per la Malacca Ae-
rorail.
Questa metropolitana sarà realizzata con una monorotaia rigida per il
tratto sulla terraferma e con carrozze collegate alla struttura di funi (tec-
nologia aerobus) per il tratto di attraversamento dello stretto… L’aspetto
energetico è uno dei punti focali della proposta di Baratta / Majowiecki:
l’idea è dotare la struttura di impianti eolici e fotovoltaici che produrran-
no l’energia elettrica necessaria al trasporto ed all’illuminazione a led
dell’intera struttura. 11

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Ovviamente l’idea di poter realizzare quella che è considerata l’opera di
ingegneria più ardita della terra induce i migliori tra ingegneri, architetti
e diverse forme di professionismo a voler a tutti i costi imporsi con le
loro idee e proposte.
Quella di Remo Calzona, che accorcia le distanze proponendo dei piloni
in acqua ravvicinati, seguendo indicazioni che troviamo pure in passati
progetti, riduce assieme alle distanze pure l’immaginario. Come dire
che l’opera che si prospetta come quella a campata unica più lunga del
mondo si riduce per via della sua realtà costruttiva. La proposta seppur
animata da studi all’avanguardia in campo ingegneristico e soprattutto
sull’uso dei nuovi materiali rimane a nostro avviso tra le più significative
degli ultimi anni, ma anche la meno efficace in termini di rischio imma-
ginativo.
Per noi rimane inalterata la scommessa del Cavalcamaredi 3.333 metri,
e seppur ragioni economiche o di ridimensionamento potrebbero far
optare per tale proposta rimpiangeremmo, forse, un giorno, il non aver
tentato l’impresa. Un’impresa che riguarda solo le condizioni politiche e
decisionali del nostro paese e della politica che lo sostiene, non certo
ragioni di tecniche o di progetto.12
Più scenografica che spericolata la proposta di Enzo Siviero. Se il pro-
blema del ponte si concentra sulla reale bruttezza dei piloni di soste-
gno che si andrebbero a realizzare nella proposta finale, piloni ormai
obsoleti e non solo nell’immaginario, allora è possibile rivestirli con una
carrozzeria che ne occulta le sembianze. Una operazione di maquil-
lage che maschera letteralmente, con la scusante del ponte abitato,
ciò che andrebbe reso manifesto. Negando da un lato le valenze inge-
gneristiche di chi risolve forma e struttura come facevano Musmeci o
21 Morandi e dall’altro la stessa architettura costretta visibilmente a fare
da supporto o, meglio, soccorso semantico a ciò che andrebbe rivisto
per intero. “Abitare il ponte”, come vuole Siviero, non è certamente una
novità concettuale e da Sacripanti a Perugini a Pesce e persino in al-
cuni schizzi e proposte di chi scrive, rimbalza fortemente di continuo
come una delle possibilità. Ma una cosa è contemplare l’abitare come
presupposto iniziale e come un dato da risolvere, altra cosa piegarlo
a piacimento a giustificare esiti incerti quanto passatisti o di restyling.
Quando si propose la prima macchina a vapore Watt venne sorretta da
un’inutile colonna dorica, il rischio è lo stesso! 13

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Note

1-Dalla relazione di progetto di Bernardo Re, “PROPOSTA DI UN PONTE PER L’ATTRAVERSAMENTO
DELLO STRETTO DI MESSINA”, tesi per il Conseguimento della Laurea in Architettura, In Scienza delle
Costruzioni. Relatore: Prof. Ing. Giovanni Castellano, Correlatori: Prof. Ing. Vittorio Nascè, Prof. Arch. Carl
Alberto Anselmi, e per la parte relativa all’Elaboratore Elettronico, Dott.Ing. Antuono Castagna, 11/Novem-
bre/1982, Facoltà di Architettura dell’Università Degli Studi Di Napoli “Federico II”. La tesi è pubblicata su
“Acciaio”, n°6, 1983, pp.279-284.

2-Riportiamo per esteso la descrizione data da Gaetano Pesce da un’intervista a cura di Mia Pizzi: “So che
il ponte sullo Stretto probabilmente non si farà mai, ma il pretesto è buono per capire il modo di procedere
tutto italiano. In Italia non abbiamo ricchezze materiali, né petrolio, né uranio, abbiamo però il patrimonio
della creatività: moda, design, cucina, auto. Siamo stati per secoli il Paese più copiato al mondo e ne abbia-
mo goduto di grande prestigio. E la creatività è esponenziale, porta denaro, fa muovere l’economia. La mia
idea è nata un paio di mesi fa guardando il layout del Ponte di Messina: il ponte è ripetitivo, uguale a centi-
naia di altri al mondo, una campata di 3 km senza pilastri – qui sarebbe la grande invenzione – progettato
da un team giapponese. Allora mi chiedo: perché spendere 5000 milioni di euro per fare una cosa che si
attraversa in tre minuti a 60 km all’ora? Qual è l’interesse? Non riesco trovarne la ragione. In Italia abbiamo
la tradizione dei ponti abitati, come Ponte Vecchio a Firenze o Rialto a Venezia. Perché quindi non usare
questo progetto come occasione per ridare alla Sicilia e alla Calabria un’energia, un’unicità che queste
regioni da tempo non hanno, soffocate da interessi di mafia e di partito? È qui che ho pensato a un ponte
abitato, appunto, retto da 20 pilastri, ognuno dedicato a una Regione, che ospitano alberghi e ristoranti. Un
ponte non da attraversare in pochi minuti, ma talmente attrattivo da passarci una settimana di vacanza. Un
albergo in mezzo al mare, con due coste a vista, un biglietto da visita per chi affronta l’isola o il continente.
Dal punto di vista architettonico potrebbe diventare uno statement, perché ogni pilastro potrebbe essere
progettato da un architetto di quella Regione. Si creerebbe così qualcosa di veramente unico, daremmo un
segnale e un’immagine dell’Italia che incomincia a svegliarsi. Perché in Italia abbiamo dimenticato la creati-
vità, la tradizione, la responsabilità della cultura del mondo che abbiamo avuto per secoli. Perché le nostre
istituzioni non lo capiscono? Perché gli architetti italiani non reagiscono a tali progetti? A questo aggiungo
due considerazioni: l’idea della forma a ‘S’ non è solo simbolica – sta per Sicilia – ma anche funzionale,
perché modererebbe la velocità delle auto, pericolosa per i forti venti. Ho inoltre commissionato un vago
calcolo a tre ingegneri americani e la spesa del “ponte abitato” sarebbe di 2 miliardi e 108 milioni di dollari,
meno della metà dell’altro. Per il ponte in progetto bisognerebbe infatti utilizzare materiali sofisticatissimi,
tanto che si resterebbe senza manufatti di acciaio per tre anni. Tuttavia la domanda prima rimane sempre la
stessa: perché proporre cose già esistenti? Vogliamo l’appartenenza a una vaga modernità o all’Italia? Pra-
da e Armani sono conosciuti perché non copiano, ma propongono un loro modo di essere. Dopo la guerra
l’Italia non ha mai scelto la cultura come oggetto di comunicazione. Perché il presidente fa i discorsi da una
stanza stile impero e non da un laboratorio di moda, di design, di auto da dove parte la nostra ricchezza?
Perché parlare solo delle cose che in Italia non funzionano, dei giovani che se ne vanno all’estero e non
di quelle migliaia di giovani che invece vengono in Italia per apprendere la Cultura? I creatori, da qualsiasi
parte vengano, se hanno un’idea, vengono qui a svilupparla, come succedeva ai tempi di Tiziano. Le idee
ci sono, perché andare in giro a cercare altro?”

3- Alberto Giorgio Cassani, Figure del Ponte, Simbolo e architettura, Pendragon, Bologna 2014, cit.p.220.

4-Ibidem.,p.221.

5- Vedi il nostro Architetture Globali, solidi fluidi o del comporre retto e curvo, Gangemi Roma 1999, a
p.142, disegno su carta di pane: architettura globale1992.

6- Vedi il nostro: La casa sobre el arroyo di Amancio Williams a Mar del Plata, “Controspazio” n.4,1991.
Una esauriente raccolta di questa sorprendente e insolita tipologia si trova in Ponti Abitati ,“Rassegna” ,
anno XIII, 48/4 dicembre 1991, dall’introduzione di Vittorio Gregotti e Dario Matteoni leggiamo: “In altri ter-
mini non esiste una tipologia “ponte abitato”, quanto una disponibilità dell’idea di ponte stesso ad accogliere
funzioni e significati aggiuntivi”,p.5; “ E’ forse possibile cogliere nell’idea del ponte abitato gli elementi dii una
riflessione sulla città della società post-industriale. In questo senso il distacco dal suolo urbano ha forse il
valore di un gesto di isolamento, di atto quasi nostalgico di creare al di sopra, o piuttosto nella sospensione
del ponte, un frammento di città altra”,p.9

7- Mor Temor, un architetto di Shaf-amer, provincia di Nazareth, nell’Alta Galilea, diplomato al liceo di She-
fa-Amr, si è laureato in Italia al Politecnico di Milano, consegue il dottorato di ricerca sui ponti galleggianti al
Technion Israel Institute of Technology, sotto la guida dei professori Michael Burt e Yehiel Rosenfeld. L’Isti-
tuto ha sede ad Haifa, è l’istituto israeliano per eccellenza nel settore delle tecnologie avanzate (ingegneria,
elettronica ed informatica in testa), con una spiccata tendenza alla ricerca nel settore militare, nucleare ed
aerospaziale.

8-I materiali gentilmente donati dall’Arch. Francesco Borella hanno fatto parte di una mostra realizzata a
Lignano Sabbiodoro in omaggio ai 100 anni della nascita di Marcello D’Olivo, Architetto-Urbanista-Pittore,
1921-2021.Vedi il regesto delle opere in Marcello D’Olivo Architetto,a cura di Ferruccio Luppi e Paolo Nico-
loso, Mazzotta, Milano 2002, a p.201 si segnala il progetto.

9-Attilio Borda Bossana, Stretto di Messina, Traversata e collegamenti, Pungitopo, Messina 2018, p.5.

10-Vedi Marco Peroni, Toccando il limite, Una proposta innovativa per l’attraversamentodello Stretto di
Messina, “Galileo” 248, Settenbre-Ottobre-Novembre-Dicembre 2020, pp.128-131.

11-Vedi Fabio Nicolosi, Un aerobus per lo stretto di Messina, 16 maggio 2016, ingegneri.info. Ancora: Attilio
Borda Bossana, Stretto di Messina, Traversata e collegamenti, op.cit.,in particolare Funivia sullo Stretto,
p.222 dove leggiamo: …una funivia aerea innovativa costituita da 40 appoggi stazione che costituiscono un
nodo portante dell’idea cambiandone solo la luce…lecabine viaggeranno a 70 metri sul livello del mare…la
lunghezza dal lato della Siciliaè di 13 km 486 metri; quella dell’attraversamento 3km e mezzo, quella sulla
costa calabra di 19km 571 metri, per un totale di 37 km 606 metri”.

12-La proposta da RemoCalzona si affianca a quella già presentata dal Gruppo Ponte Messina S.p.A:
Progetto premiato ex aequo al 1°posto nel 1970 Ponte sospeso di tipo classico a tre campate su progetto di
una società americana (derivato dal progetto del 1953-1955 dell’ing. Steinmann). In ACCADEMIA NAZIO-
NALE DEI LINCEI Convegno -Roma, 4-6 luglio 1978 «L’attraversamento dello Stretto di Messina e la sua
fattibilità» Seduta inaugurale Martedì 4 luglio 1978, e successivamente negli STUDI SUI PONTI CONDOT-
TI DALLA SOCIETÀ «STRETTO DI MESSINA»viene riportata la proposta. “Localizzato in corrispondenza
della “Sella dello Stretto” tra Ganzirri e Punta Pezzo. A tal proposito l’ingegner Remo Calzonanel capitolo
3 “La ricerca non ha fine: indirizzi ed obiettivi futuri “, dopo aver fatto notare che sotto la spinta dell’indu-
stria petrolifera, nell’ultimo quarto di secolo le costruzioni off-shore GBS (GravityBasedStructures) hanno
avuto uno sviluppo notevolissimo e che di tale sviluppo hanno goduto le fondazioni delle pile in alveo dei
ponti sospesi, propone con decisione la realizzazione di piloni GBS sovradimensionati. Ciò in quanto, dato

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che sono già state costruite con successo in tutto il mondo decine di costruzioni offshore, “le pile in alveo
dei ponti sospesi già realizzati sono opere di costruibilità e prestazioni routinaria”.Nel caso dello stretto di
Messina, dopo aver citato i grandi ponti sospesi realizzati con pile in alveo, propone la realizzazione di un
ponte simile all’Akashi Kaikyoovvero della tipologia a tre campate con rapporto dimensionale campata cen-
trale-campata laterale di a-2a-a con a=1000 metri.”Vedi Calzona Remo, La ricerca non ha fine, il ponte sullo
Stretto di Messina, DEI, Roma 2008. Il testo ripercorre le vicende che si sono susseguite nella costruzione
del ponte, focalizzando gli aspetti relativi alla nuova proposta che nasce da studi approfonditi sugli altri ponti
realizzati nel mondo. Un catalogo ragionato con ampia documentazione mirata.
13-Vedi Fonte: Strettoweb, “Abitare il Ponte”, Il sogno dell’Ingegner Siviero,25 Marzo 2021.E ancora l’intero
numero di, “Galileo” 248, Speciale Il ponte Mediterraneo, a cura di Patrizia Bernadette Berardi,Setten-
bre-Ottobre-Novembre-Dicembre 2020, op.cit., di cui Enzo Siviero è Direttore responsabile. Ancora Enzo
Siviero, Calabria live Speciale Ponte sullo Stretto, 30 agosto 2020.

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