Il Ponte Incontinente - Marcello Sèstito - Mediano Editore

le letterature e filosofie in campo: da Palladio a Boullè, da Nietzsche

a Heidegger, da Klee a Ledoux … ma detiene il record dell’unicità in

quanto racchiude tra le sue sponde il decente e l’indecente, il dicibile e

l’indicibile, le tesi a favore e i suoi contrari.

é un ponte viaggiatore come quello mobile di Klee, ma non perché pos-

siede piedi o rotte, bensì perché ha viaggiato ininterrottamente, come

il cavallo di Pamuk, nella storia e nella geografia, lo abbiamo visto, da

Cecilio Metello a Spartacus da Brasini a Musmeci, da Quaroni a Nervi,

da Quistelli a Perugini …

E ha ragione Paolo Portoghesi, in merito al ponte che si andrebbe a co-
struire: “Per quanto riguarda la questione del ponte si è detto che esiste
un sistema urbano Messina Reggio Calabria. erano i tempi in cui anda-
va di moda considerare le città degli insiemi, come la Napoli Roma , in
realtà quei duecento chilometri di storia, di vicende, di paesaggi ed an-
che per la responsabilità di Quaroni, per la sua disponibilità a pensare
tutto il possibile, si è finito per alimentare ciò che non possiamo neppure
definire una utopia… Messina e Reggio non sono come Roma e Napoli
ma dirimpettaie, città che dialogano sotto il profilo visivo e stando in una
13 si vede l’altra come una sorta di interlocutore. Ciò non vuol dire che si
tratti della stessa città, ma indubbiamente costituire un sistema urbano,
in questo caso bipolare in cui vi sono relazioni fittissime ma anche realtà
diverse da rispettare.
Il ponte ovviamente è nato da un desiderio ancestrale di unire ciò che
è diviso e rappresenta una delle istituzioni dell’architettura più ricche
di significato e di valore umano. Basta pensare al ponte di Heidelberg
celebrato da Hölderlin.
Nel primo concorso ha prodotto ipotesi culturali affascinanti come il pro-
getto di Nervi, quello di Samonà, quello di Musmeci sono ipotesi che
forse avrebbero compensato gli aspetti negativi di una operazione che
ha puntato a semplificare il rapporto tra le due città. Se il ponte fosse re-
alizzato si avrebbe come conseguenza inevitabile il fatto di distruggere
l’intensità di desiderio che si è creato tra le due città, non solo facilmen-
te collegate, ma anche in grado di evitare il traffico che dall’Italia si reca
14 in Sicilia. Città obbligate a vivere l’affascinante situazione dello spec-

chio mentre resta ancora un desiderio quello di entrare nello specchio
per raggiungere, dall’altra parte, la città che ci sta difronte…( prosegue
l’autore lamentandosi dell’eccessiva burocratizzazione del problema)
Non ho mai mostrato entusiasmo per il ponte se non l’apprezzamento
di alcuni progetti elaborati per il primo concorso mentre l’elaborazio-
ne successiva ha finito per burocratizzare il progetto stesso e non ho
nessun rammarico se verrà costruito così come era stato definito nelle
ultime ipotesi… Non parteggio né per l’ipotesi di realizzarlo né per l’al-
tra. Certamente il sistema urbano Reggio Messina subirebbe una crisi
d’identità con la realizzazione del ponte mentre avrebbe la possibilità,
se ci saranno buoni amministratori e progettisti, di accrescersi attraver-
so la coscienza della sua duplicità e delle possibili relazioni. Il turismo,
spesso visto come strumento di corruzione, può invece arricchire e ri-
lanciare l’aspetto mitico della relazione a distanza fino a trasformarlo in
15 un colloquio costruttivo per entrambe”. 5

Ora che il ponte ha condensato quanto si poteva dire su di un archetipo,
per noi non resterebbe che realizzarlo, se non altro per confermare il
simbolo e l’archetipo stesso.
Forse che le ragioni del mito che gravita sulle coste dello Stretto sono
più eloquenti della linea che li sorvolerebbe?
Oppure è la geografia che stenta a ricongiungersi in un istmo per lascia-
re ancora un varco, un vuoto aperto di 3.333 metri? Quanto basta per
attivare la sfida?
Come ci avverte acutamente Laura Thermes: “Nell’affresco michelan-
giolesco della Sistina il dito di Dio e quello di Adamo sono separati da
un vuoto. Se si toccassero il loro contatto sarebbe avvenuto una volta
per tutte e chi osserva il dipinto verrebbe di fatto escluso dalla scena:
in realtà ciò che sta per succedere non si compie mai, restando una

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perenne promessa. Questo vuoto dà senso alle due figure e al loro rap-
porto rendendolo assoluto, proprio perché sospeso e attuato solo nella
speranza.
Lo Stretto di Messina è qualcosa di analogo al vuoto sistino. E’ un’entità
che avvicina e al contempo tiene a distanza; uno straordinario ambiente
geografico che è divenuto nel corso dei millenni una realtà territoriale,
fino a farsi il vero spazio pubblico della Metropoli dello Stretto.”6
Ma se il vuoto fosse occupato dal Ponte credo che si instaurerebbe una
nuova tensione, come quella che si avverte all’accendersi del filo nella
lampadina. Questo raggio luminoso che avevamo notato nell’immagine
di Ignazio Danti in Vaticano, troverebbe conferma.
Se le parole sono pietre, come ci ricorda Sciascia, il Ponte è già stato
costruito basta vederlo all’orizzonte appoggiato sul suo stesso flesso,
come un arcobaleno da cui deriva, quell’arcobaleno tanto caro a Lui-
gi Serafini ben indagato in altri contesti7, nei suoi molteplici colori che
risvegliano l’iride, esso si compone non solo di pietre e cavi, ferro o
acciaio, ma delle parole di tutti quelli che ne hanno parlato tenendolo in
vita come il Cavaliere inesistente di Calvino.
E magari solo sul ponte il viaggiatore potrà assaporare quell’esserci
heideggariano: “Lungo i suoi percorsi, l’esserci non è una cosa cor-
porea che misura un segmento di spazio, non <divora i chilometri>,
17 l’avvicinamento e l’ad-lontanamento sono via via un pro-curante esse-
re-all’avvicinato e- all’ad-lontanato. Una via <obbjettivamente> lunga
può essere più breve di una <obbjettivamente> assai più breve, che
magari è un <brutto passaggio> e ci appare interminabile. Ma è solo in
tale <occorrere> che il mondo è via via autenticamente allamano. Le di-
stanze obbiettive di cose sottomano non coincidono con lo star lontano
e vicino dell’ente alla mano nel-mondo”.8
Forse i ripetuti tentativi e le diverse stesure realizzate da Claude Mo-
net, sul ponte giapponese, il ponte sullo stagno del giardino di Giver-
ny, quello Charing Cross, il Waterloo Bridge, il Railroad Bridge, le Pont
D’Europe, possono dare di conto dei diversi tentativi messi in gioco
dall’architettura e dall’ingegneria in quasi due millenni, per prefigurare
il Ponte sullo Stretto di Messina.
Questo voler riproporre lo stesso soggetto in molteplici visioni, come
una ossessione, ci dicono anche di ciò che ad esso sta intorno. Monet:
“Altri pittori dipingono un ponte, una casa, una barca. Io voglio dipingere
l’aria che circonda il ponte, la casa, la barca, la bellezza della luce in cui
esistono”.

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Note

1- Ci riferiamo al numero 1401 di Topolino dedicato al ponte sullo Stretto di Messina, 1982
Walt Disney Production, da un’idea di Elisa Penna, sceneggiatura di Giorgia Pezzin, disegni di Giorgio
Cavazzano
2-Bruno Zevi, Scienza delle costruzioni kaput, in Cronache di Architettura, 10 dal recupero dell’espressioni-
smo al piano regolatore di Roma, Laterza, Bari,1979, p.552.
3-Cassani Alberto Giorgio, Figure del Ponte, Simbolo e architettura, cit., p.16.
4-Del Ponte del Diavolo si è occupato con dovizia di particolari, Eugenio Battisti, L’antirinascimento, Gar-
zanti Milano, 1989, pp.99-103. Per la sua particolare descrizione riportiamo qui di seguito il brano: ”Vorrei
qui ricordare solo, in quanto particolarmente diffuso, il motivo del “ponte del diavolo”, su cui il protagonista
deve passare come prova, a varie condizioni, per raggiungere un premio…Il tema del ponte, rispetto a quel-
lo dell’asse cosmico…è psicologicamente complicato dal terrore della caduta… Nella fiaba ,il valore cosmi-
co del ponte è dimostrabile anche dal fatto che esso è, spesso di cristallo, cioè della incorruttibile materia
delle sfere celesti , ed è in tal modo equiparato al cielo. Analoga interpretazione va data al meno frequente
episodio della salita sull’arcobaleno…Ma in realtà, i numerosi “ponti del diavolo”, disseminati per lo più su
gole alpine…e che spesso recano al centro, a scopo protettivo dei passanti, una croce o una cappella,
paiono affondare in una tradizione locale di origine ben più antica delle prime traduzioni accertate in lingue
romanze del Libro della Scala… Ma mano che si risale nel tempo, sempre più diventa chiaro lo schema
cosmologico sottostante al motivo architettonico del “ponte”. E man mano l’ambito topografico del motivo
diviene più vasto, tanto da giustificare la larghissima distribuzione dei cosiddetti ponti del diavolo, anche
dove la derivazione dall’arabo difficilmente sarebbe potuta avvenire. Inoltre, il motivo del ponte si distacca
da quello del sacrificio edilizio, a cui per contaminazione si è connesso, ad esempio, in poesie popolari
come quella sul Ponte di Arta, dove l’atto del tremare è inteso come la vendetta della sposa sepolta viva,
nelle sue fondazioni…Il tema del ponte sull’inferno, il Činvat, è poi, come dimostra l’Eliade, estremamente
diffuso nello sciamanismo, ed ha probabilmente origine iranica…Il ponte del diavolo-sia detto di passag-
gio- è entrato con una posizione di notevole rilievo nell’iconografia rinascimentale. In Italia si può citare una
xilografia del Polifilo, che rappresenta un ponte in una gola selvaggia; ma forse la più bella raffigurazione si
trova nel fondo del San Michele del Beccafumi, all’Accademia di Siena”.
5-Paolo Portoghesi, La città dello Stretto, rivista dell’“Ordine degli Architetti pianificatori, paesaggisti e Con-
servatori della Provincia di Reggio Calabria”, n.5, Officina grafica, Reggio Calabria 2007, pp.16-17.
6- Laura Thermes, Un vuoto geografico tra assenza e presenza, in L’area metropolitana dello Stretto,
AA.VV.Iiriti, Reggio Calabria, 2008, p7. A p.11 leggiamo: “In un paesaggio del mito come quello dello Stretto,
una valle leggendaria dal fondo liquido e metamorfico, le parole urbanistica, città e architettura assumono
un significato diverso. Esse evocano la necessità e il caso, l’ordine e il disordine, la misura e la dismisura,
rinviando sempre a ulteriori antinomie”.
7-Vedi Luigi Serafini, Codex Serafinianus, Franco Maria Ricci, Milano 1981.
8- Martin Eidegger, Essere e tempo, Mondadori, Milano, 2011, p.157.

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ISBN 978-88-944450-8-4

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