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Published by urbanapneaedizioni, 2016-09-22 15:32:53

0-9. ZERONOVE | 16Ruelle - FreeVersion

0-9. Zeronove - 16Ruelle - FreeVersion

di ALESSANDRO LUPO

LOW
Trust
2002

ETICHETTA: Kranky 2002
NAZIONALITÀ: Stati Uniti
GENERE: Slowcore
BRANI MIGLIORI: (That’s How You Sing)
Amazing Grace, Candy Girl, Tonight
DOVE ASCOLTARLO: In una cerimonia
di iniziazione, di notte, attorno al
fuoco, accanto uno sciamano.
SE FOSSE UN COLORE: Viola scuro
SE TI PIACE ASCOLTA: Cowboy Junkies,
Codeine, La Sagra della Primavera
di I. Stravinskij

LOW
Trust

Le etichette di genere stanno strette ad album come que-
sti. Trust scava nel profondo dell’essere umano con im-
placabile intensità. Quella dei Low è una musica assolu-
ta che ci guida in riti ancestrali e catartici attraversando
temi primari come la paura, la morte, l’amore, l’estasi, e
il divino. (That’s How You Sing) Amazing Grace è un brano
epico, un’ode alla grazia più pura: le voci vellutate di Alan
Sparhawk e Mimi Parker cantano in uno stato trance tra
sublimi chitarre riverberate e rullanti che schioccano fru-
state in uno spazio ultraterreno. The Lamb inizia con un
incedere claudicante, poi un coro spettrale e le voci soli-
ste sempre più esasperate ci guidano in uno straziante rito
sacrificale. Non meno severa l’atmosfera della sontuosa
Candy Girl con gli ossessivi colpi dei tamburi che arriva-
no dritti al petto come l’incedere inesorabile del tempo e
della morte. L’atmosfera si fa più serena con la languida
voce della Parker che ci culla nell’inno alla notte di Toni-
ght. C’è poi spazio per il country scuro di In the Drugs, e
il più confortante indie rock di Canada. Anche le emozioni
più nere, in fondo, sono solo sensazioni: tanto vale avere
fede e accoglierle. Trust.

2002

di FEDERICO ZUMPANI

INTERPOL
Turn On the
Bright Lights
2002

ETICHETTA: Matador Records
NAZIONALITÀ: Stati Uniti
GENERE: Indie Rock,
Post-Punk Revival
BRANI MIGLIORI: NYC, PDA, The New
DOVE ASCOLTARLO: In una notte
d’inverno, per le vie della città
SE FOSSE UN COLORE: Nero
SE TI PIACE ASCOLTA: Joy Division,
Kaiser Chiefs, Kings of Leon

2002

INTERPOL
Turn On the Bright Lights

Gli Interpol disegnano un progetto innovativo nella New York 2002
degli anni zero del 2000. L’obiettivo non è emulare osses-
sioni o nevrosi care a visionari come Jan Curtis o Lou Reed,
ma percepire un senso di inadeguatezza generato dal pro-
gresso. Nel loro album di esordio Turn On the Bright Lights
chitarre piangenti e vaganti, come pensieri scritti su carta
che divengono musica da contemplare, sono un monito, uno
squilibrio sentimentale misto a razionalità. Untitled apre il
disco, e davvero non si può dare un titolo al senso di smarri-
mento del suono invisibile accompagnato da ritmi ridondan-
ti e compatti. Obtacle 1 esplode nel puro post-punk, come
un cammino impietoso, senza luce e senza meta. NYC arri-
va come una tormenta di quiete, conservando un ritmo sot-
terraneo e glaciale precipitato in un giro di basso e chitarra
che trasporta con sé ricordi e sogni lucidi, sullo sfondo di
una New York notturna dal cuore gelido. Non è facile intuire
il senso di estraneità che contamina l’identità degli Interpol,
(Untitled, Obstacle 1), così come non è difficile scoprire la
tendenza a fuggire dall’isolamento stesso (PDA, Say Hel-
lo to the Angels, Roland). Questa bipolarità viene azzerata
dall’oscura empatia rintracciabile in Hands Away, Obstacle
2, The New, Stella Was a Diver and She Was Always Down,
Leif Erikson. Questo disco ha spalancato le porte a uno stile
musicale sfuggente, che di revival mantiene solo una patina
superficiale. Divisi tra critica e pubblico, gli Interpol ricerca-
no un messaggio estetico-musicale singolare e mai deter-
minabile, che ha come risultato un senso di smarrimento.
Le luci rimangono lontane, sullo sfondo, avvolte dalla neb-
bia e dalla notte, come se la speranza fosse la malinconia.
Per il resto, rimane un’eco immutata. Quel futuro immagi-
nato e immaginifico che è diventato realtà.

di VITO POMPEO

WILCO
Yankee Hotel Foxtrot
2002

ETICHETTA: Nonesuch Records 2002
NAZIONALITÀ: Stati Uniti
GENERE: Alternative Country,
Rock, Folk
BRANI MIGLIORI: Jesus Etc., I Am
Trying to Break Your Heart, I’m the
Man Who Loves You, Poor Places.
DOVE ASCOLTARLO: Chicago sarebbe
perfetta, ma se vi crea difficoltà
anche il vostro divano va benissimo
SE FOSSE UN COLORE: Marrone
SE TI PIACE ASCOLTA: Jim O’Rourke,
Lambchop, Sonic Youth, Smog

WILCO
Yankee Hotel Foxtrot

Se penso ai Wilco, la prima cosa che mi viene in mente è
Palermo. Sì, Palermo. E no, non si tratta di schizofrenia
urbanistico-musicale. Jeff Tweedy & Co. sono stati prota-
gonisti di un memorabile concerto in una delle piazze più
antiche e affascinanti della mia città, da sempre bolla-
ta come “fanalino di coda” di ogni categoria dello scibile
umano, ma da sempre in grado di stupire e di certo non
nuova ad eventi musicali di altissimo livello. Così, dopo
Duke Ellington al Palermo POP 70 e Nick Cave in giro per
i vicoli della Vucciria, nell’estate del 2005 a Piazza Ma-
gione risuonarono le note di A Ghost Is Born, Summer-
teeth ma, soprattutto, di Yankee Hotel Foxtrot. Chi l’a-
vrebbe mai detto? Alcune vette assolute del Wilco sound
incastonate nel cuore della Kalsa. E la magia del primo
ascolto si rinnovò, diventando più consapevole. Compre-
si l’importanza di quell’album. Realizzai che brani come
I Am Trying to Break Your Heart, Jesus Etc., Ashes of
American Flags, erano la perfetta sintesi tra tradizione
cantautorale americana ed innovazione, micro-universi
elettroacustici dove il country poteva convivere con bas-
sa fedeltà e riff di chitarra dissonanti. Questa è stato ed è
il merito dei Wilco: essere riusciti a farsi interpreti della
storia musicale a stelle e strisce senza avere paura di
contaminarla e traghettandola verso il futuro. Tutto que-
sto accadde una notte di settembre di dieci anni fa, nella
mia Palermo. Dentro di me la convinzione di avere assi-
stito a un concerto unico di una delle band più importanti
della scena ma sì, diciamolo, mondiale, e autrice di un
album ormai seminale per la scena alt-folk americana.

2002

di FEDERICO ZUMPANI

THE FLAMING LIPS
Yoshimi Battles
the Pink Robots
2002

ETICHETTA: Warner Bros 2002
NAZIONALITÀ: Stati Uniti
GENERE: Neo-Psychedelia,
Space Rock, Indie Rock
BRANI MIGLIORI: Yoshimi Battles the
Pink Robots, Are You a Hypnotist??,
It’s Summertime
DOVE ASCOLTARLO: All’inizio dell’estate,
davanti al mare
SE FOSSE UN COLORE: Giallo
SE TI PIACE ASCOLTA: Animal Collective,
Neutral Milk Hotel, Arcade Fire

THE FLAMING LIPS
Yoshimi Battles the Pink Robots

Sarà talento, rischio o passione, ma questo disco permette 2002
un’interazione, la psichedelia con lo space rock: un viaggio
multiforme, per l’eclettismo che contrassegna i passaggi da
un brano all’altro e per la conformità musicale alla ricerca
di una dimensione capace di materializzare territori sonori
sperduti. Questo disco è difficilmente inquadrabile per la
totale assenza di riferimenti. Fight Test inaugura questo
sogno, rendendo visibili colori sfumati e contorni poliedrici.
One More Robot/Sympathy 3000-21 lascia quasi assuefat-
ti per preparare a Yoshimi Battles the Pink Robots pt. 1 e
pt. 2, le titletracks che identificano l’album, dove si scorge
un’impulsività incontrollata, a cui si contrappone la perfetta
consapevolezza. La ballata In the Morning of the Magicians,
esprime l’umanità ritrovata, la quiete in estasi, ma è solo
un’impressione, perché Ego Tripping at the Gates of Hell ri-
torna a quelle transizioni sonore che tendono alla costante
ricerca, così come Are You a Hypnotist? si impianta come in-
terferenza sonora, stimolante nei risvolti e nei passaggi. Nes-
suna disattenzione, il disco procede come viaggio interstella-
re, mantiene nei ritornelli una comunanza di immagini. It’s
Summertime è un momento di pace, genera sagome di onde
e raggi solari, ma Do You Realize?? è la perfetta continui-
tà, un inno di passione, corroborato da uno sfondo sonoro in
crescendo, mantenendo una base musicale acustica. All We
Have Is Now indirizza l’ascolto verso la fine del viaggio, senza
omettere tutti gli orpelli sonori che arricchiscono di singo-
larità il disco. Approaching Pavonis Mons By Balloon (Uto-
pia Planitia), chiude un disco che lascia più di un segno. La
facciata effimera con cui si presenta questa neo-psichedelia
abbraccia espressioni sonore diversificate che sono la parte
più elegante e cromatica di un genere musicale multiforme.

di MANFREDI LAMARTINA

BROKEN
SOCIAL SCENE
You Forgot
It in People
2002

ETICHETTA: Arts & Crafts 2002
NAZIONALITÀ: Canada
GENERE: Indie Rock
BRANI MIGLIORI: KC Accidental,
Almost Crimes, Anthems for a
Seventeen-Year-Old Girl
DOVE ASCOLTARLO: Dove c’è gente,
casino, sorrisi, vita
SE FOSSE UN COLORE: Sarebbe di sicuro
il bianco: un colore che sta con tutto.
Come questa musica.
SE TI PIACE ASCOLTA: Yuppie Flu

BROKEN SOCIAL SCENE
You Forgot It in People

I musicisti ska sono lì che tentano disperatamente di ravvi-
vare la serata. Si muovono sul palco agitando le braccia ad
angolo retto come se fossero dei trogloditi spaventati che
fuggono da un branco di lupi. C’è il chitarrista saltellante
che sgarra sempre accordo. C’è il sassofonista alle prese
con una serie di prove tecniche di inciampo perpetuo. C’è il
cantante che dice frasi a caso: più taverne meno caserme,
passa la canna cristo, non vi sentoooo. Somiglia vagamente
al nipote nasone di Tony Soprano, uno di quelli che se vuoi
lo butti giù con uno starnuto ma che se vuole ti accoltella
al pisello e discorso chiuso. Ciò che mi colpisce di questa
serata è ascoltare le risate di questi ragazzi. Sul palco stan-
no facendo una festa e chi non si diverte o è un vecchio o è
qualcuno come me. In effetti non mi capita spesso di abbi-
nare la musica a sentimenti che non contemplino l’autodi-
struzione o almeno la lamentela fine a se stessa. Uno dei
miei antidoti preferiti alla paranoia è la musica dei Broken
Social Scene. Per me sono un esempio indie rock di alle-
gria, in senso lato ovviamente. Una cosa del tipo: il mondo
fuori fa sempre schifo, ma se stiamo uniti non è detto che
tutto debba andare male. A parte ritrovarsi a un mediocre
concerto ska, intendo.

2002



2003

DUEMILATRE

RECENSIONI 2003

PERRICONE: Massive Attack − 100th Window
PAULSEN: Morgan – Canzoni dell’Appartamento
DI FIORE: M83 − Dead Cities, Red Seas & Lost Ghosts
POMPEO: Okkervil River − Down the River of Golden Dreams
LAMARTINA: The Radio Dept. − Lesser Matters
PAULSEN: The Dresden Dolls – The Dresden Dolls
DI FIORE: Explosions In The Sky − The Earth Is Not a Cold Dead Place
PERRICONE: The Black Keys − Thickfreakness
CATALDI: Blur − Think Tank
DI FIORE: Death Cab For Cutie − Transatlanticism
POMPEO: Cat Power − You Are Free

di FRANCESCA PERRICONE

MASSIVE ATTACK
100th Window
2003

ETICHETTA: Virgin Records
NAZIONALITÀ: Regno Unito
GENERE: Trip-Hop
BRANI MIGLIORI: Special Cases,
Antistar, Future Proof
DOVE ASCOLTARLO:
Non in compagnia ma in
isolamento, meglio se di notte
SE FOSSE UN COLORE: Cobalto/grigio
SE TI PIACE ASCOLTA: Portishead,
Bjork, Dj Shadow

2003

MASSIVE ATTACK
100th Window

Era il 2003 quando è uscito 100th Window. Forse è stata una
sindrome di Stendhal, dopo più di un decennio continuo a
subirne l’ipnosi, ascoltandolo, assorta, in repeat. Oscuro e
intimo, dai suoni sintetici, freddi, le voci robotiche e profe-
tiche. I bassi vibrano sulla cassa toracica, e la spaccano.
A primo ascolto ho opposto resistenza, rifiutandomi di fare
i conti con il disagio che l’album sprigiona. Anche quando
Sinead O’Connor fa capolino, riscaldando l’atmosfera, ri-
mango guardinga: Take a Look Around the World – ti esor-
ta – You See Such Mad Things Happening. Nove tracce che
ti mettono in guardia da un mondo che non è più quello di
una volta. Dobbiamo fare i conti con la frammentazione del
nuovo millennio. L’uomo-macchina mercificato, vetrificato
ed esploso in mille pezzi. È questo che si scorge fuori dalla
centesima finestra. Una vite che lentamente gira, gira, gira
e instancabile si insinua nella corteccia dura delle nostre
sicurezze. Special Cases, What Your Soul Sings, Antistar,
Small Time Shot Away sono il disturbo anatomico di un
imprevisto ritorno alla consapevolezza. Nudi d’inverno, so-
spesi sul bordo del tetto di un grattacielo, sul punto di cade-
re, lo senti quel brivido sulla schiena?

2003

di FEDERICO DILIBERTO PAULSEN e SILVIA SIANO

MORGAN
Canzoni
dell'Appartamento
2003

ETICHETTA:
Columbia Records/Sony BMG
NAZIONALITÀ: Italia
GENERE: Pop Rock, Cantautorale
BRANI MIGLIORI:
Altrove, Italian Violence, Aria
DOVE ASCOLTARLO:
Nel tuo appartamento
SE FOSSE UN COLORE: Porpora
SE TI PIACE ASCOLTA: Umberto Bindi,
Giorgio Gaber, Bruno Lauzi

2003

MORGAN
Canzoni dell’Appartamento

I nostri appartamenti non sono solo semplici luoghi da abi-
tare. In essi consumiamo la nostra musica e troviamo ispira-
zione, conduciamo profonde autoanalisi, ci sentiamo pro-
tetti e non abbiamo contatto con l’esterno se non da dietro
una tapparella. Rifugi delle nostre intimità. Luoghi magici in
cui anche gli oggetti del quotidiano rivelano di noi, di quello
che siamo stati e di quello che vorremmo essere. Morgan
la pensa come noi. Accantonate le atmosfere eighties dei
Bluvertigo, l’artista, per avviare la sua esperienza solista,
decide di partire proprio dal suo appartamento regalandoci
la parte di lui più personale ma non per questo meno este-
tica o affascinante. Canzoni dell’Appartamento è il luogo di
Morgan, di The Baby e Aria. Un luogo sicuro all’interno del
quale tutto prende vita e agenti atmosferici e festività non
scandiscono più il tempo che passa ma sono parte dell’ar-
redamento. Un luogo perfetto perché più ideale che reale.
Dall’ascolto dell’album emergono la grande competenza
musicale di Morgan, il suo amore per i cantautori italiani
e le innegabili capacità da paroliere visionario. Altrove è la
canzone del nuovo millennio: paradigma perfetto di quello
che avrebbe potuto fare la discografia italiana da lì in poi se
non fosse rimasta intrappolata nella logica dei talent show
di cui Morgan, tra l’altro, ha cercato di essere pars destruens
e costruens dall’interno, prima di rimanerne fagocitato.

2003

di MARGHERITA G. DI FIORE

M83
Dead Cities,
Red Seas
& Lost Ghosts
2003

ETICHETTA: Gooom Disques
NAZIONALITÀ: Francia
GENERE: Elettronica, Shoegaze
BRANI MIGLIORI: Unrecorded,
Run into Flowers, America
DOVE ASCOLTARLO: Su una collina, da
soli, tuffandosi in un tramonto
SE FOSSE UN COLORE: Tutte le sfumature
del blu nello stesso istante
SE TI PIACE ASCOLTA:
My Bloody Valentine, MGMT, The XX

2003

M83 2003
Dead Cities,
Red Seas & Lost Ghosts

Parte Birds, un mantra ossessivo mai invadente, il mood
generale dell’album: ogni singola frase, ripetuta meccani-
camente da una voce sintetica e gelata, aiuta a compren-
dere i brani. Sun Is Shining, un sole che fluttua in un cielo
di chitarre distorte per cedere al magico scintillio di synth
espansi, che dall’alto sposa l’uomo e la macchina per far-
ne un’infinita stagione di suoni. Unrecorded si immerge in
una psichedelia senza confini, e la mente corre tra paesaggi
fiabeschi. Birds Are Singing: il canto è la poesia dei sogni
che si infrangono, diventano sottili, un’estasi notturna con
gli effetti, mescolati agli strumenti in modo perfetto e natu-
rale, in un un panorama con milioni di orizzonti e fra milioni
il tuo. Il sussurro di Run into Flowers è un incantesimo che
unisce il dreampop a beat universali, e la musica diventa un
mezzo per raggiungere nuovi livelli di percezione. Flowers
Are Growing, cresce lo spazio intorno, attraversando organi
e drum-machine, ingoiando i colori decisi per lasciare sfu-
mature di tonalità, si aprono varchi ovunque fino a diventare
tutto il tuo mondo. Eccolo ora di una bellezza che non ri-
cordavi: In Church è un’epica marcia tra una celebrazione
mistica e un’ascesi interiore, i suoni si dilatano fino a coprire
ogni angolo eppure la canzone rimane lieve. America poi,
ti travolge scuotendo emozioni sopite. Clouds Are Looming
rapido candore che taglia l’azzurro, una galassia di elettro-
nica lascia il freddo dei puri artifici per abbracciare il calore
di un cuore che batte fortissimo e, mentre Noise riscalda
notti in cui le certezze vacillano, non abbiamo paura perché
tra la tempesta o la nebbia o la fine di un amore, possiamo
sempre abbandonare tutto, farci leggeri, stendere le braccia
e guardare altissimo: And I Am Flying.

di VITO POMPEO

OKKERVIL RIVER
Down the River
of Golden Dreams
2003

ETICHETTA: Jagjaguwar 2003
NAZIONALITÀ: Stati Uniti
GENERE: Folk, Rock
BRANI MIGLIORI: It Ends With a Fall,
The War Criminal Rises and
Speaks, The Velocity of Saul at the
Time of His Conversion
DOVE ASCOLTARLO:
Nei luoghi della vostra infanzia
SE FOSSE UN COLORE: Grigio
SE TI PIACE ASCOLTA: Counting Crows,
Shearwater, Mumford and Sons,
Mountain Goats

OKKERVIL RIVER
Down the River of Golden Dreams

Ah, la malinconia. Sembrerà strano, ma i dischi che prefe-
risco sono quelli che trasudano tristezza e sofferenza. Sia
chiaro: amo la vita, sono una persona solare e cazzeggio
frequentemente. È però incontestabile che un album risulta
più convincente e immediato quando esprime partecipazio-
ne emotiva e urgenza di comunicare i chiaroscuri del pro-
prio vissuto, basti pensare a Nick Drake. Ascoltando Down
The River of Golden Dreams è evidente che Will Sheff que-
sta esigenza la conosca bene. Brani come It Ends With a
Fall, The War Criminal Rises and Speaks, The Velocity of
Saul at the Time of His Conversion non sono solo “canta-
ti” ma letteralmente urlati in faccia all’ascoltatore, tanto da
stonare. Ma chi non stona quando urla, chi non dimostra
tutta la sua umana imperfezione quando sputa fuori l’uni-
verso di rancori e turbamenti che chissà per quanto tempo
si è tenuto dentro? Lasciatevi dunque strattonare la cami-
cia. Abbandonatevi alle melodie di ampio respiro e agli ar-
rangiamenti d’archi e prestate attenzione alle storie che gli
Okkervil River vogliono raccontarci. E non meravigliatevi se
tra una lacrima e un tuffo al cuore riconoscerete voi stessi.

2003

di MANFREDI LAMARTINA

THE RADIO DEPT.
Lesser Matters
2003

ETICHETTA: Labrador 2003
NAZIONALITÀ: Svezia
GENERE: Shoegaze
BRANI MIGLIORI: Where Damage Isn’t
Already Done, Bus, Lost and Found
DOVE ASCOLTARLO: In una camera dove
i nemici non possono mai trovarti
SE FOSSE UN COLORE:
Avrebbe di sicuro un filtro
sgargiante, di quelli che offuscano
e confondono. E proteggono
SE TI PIACE ASCOLTA: Felpa

THE RADIO DEPT.
Lesser Matters

Ho una collezione alta così di oroscopi dei Gemelli. Sono
ritagli presi da qualsiasi rivista o giornale che abbia avuto
tra le mani. Non li leggo subito, no. Aspetto sempre qualche
mese o addirittura qualche anno prima di vedere che cosa
mi avrebbe riservato quel giorno. Lo faccio perché odio l’in-
certezza, il non sapere che cosa accadrà, ma detesto anco-
ra di più l’attesa di qualcosa che chissà se avverrà. Quindi
prendo tempo, posticipo, cincischio. Tanto l’oroscopo illude:
nel marzo 2003 mi prometteva tre stelle per l’amore, quat-
tro per il lavoro, quattro per i soldi. Se l’avessi letto allora
sarei andato dall’astrologo a chiedergli conto di una mezza
dozzina di stelle mancanti al corso degli eventi. Non sarei
stato gentile. Non ci credo davvero agli oroscopi. Le risposte
non vengono da fattucchiere, preti o comici. Nemmeno la
musica, se è per questo. Però le canzoni giuste, quelle che
ti conoscono, capiscono, accompagnano ogni giorno, pon-
gono le domande giuste. Lo shoegaze casalingo dei Radio
Dept, per dire, mi colpisce quando usa toni soffusi e chitar-
re effettate per porre il solo interrogativo che conta: «Che
cosa farai se non succede niente?» (Bus). Forse dovrei fare
una festa, una roba per gente eccentrica che osserva il cielo
più nero per non guardare negli occhi la realtà più grigia. O
forse non dovrei fare proprio nulla. Dovrei solo chiedere al
me stesso del prossimo decennio: come mi sento oggi? Che
cosa mi succederà?

2003

di FEDERICO DILIBERTO PAULSEN e SILVIA SIANO

THE DRESDEN DOLLS
The Dresden Dolls
2003

ETICHETTA: 8ft, Roadrunner Records
NAZIONALITÀ: Stati Uniti
GENERE: Punk Cabaret
BRANI MIGLIORI: Girl Anachronism,
Half Jack, Coin Operated Boy
DOVE ASCOLTARLO: Dal vivo, se ne
avete la possibilità
SE FOSSE UN COLORE:
Rosso tendone da circo
SE TI PIACE ASCOLTA:
Kurt Weil, Evelyn Evelyn

2003

THE DRESDEN DOLLS
The Dresden Dolls

Infinite ragioni possono farci amare un disco. Fra queste la 2003
sua capacità di evocare immagini, di far viaggiare la nostra
mente. Se ascoltiamo The Dresden Dolls, si apre ai nostri
occhi un sipario che mostra un circo grottesco e affasci-
nante, idealmente collocato nell’epoca d’oro del cabaret
tedesco. Amanda Palmer e Brian Viglione allestiscono il
loro freak show rimandando a un classico immaginario da
storie del terrore, all’interno del quale la coppia spazia con
facilità. Del resto, se due persone s’incontrano nella notte
di Halloween e decidono di creare un progetto artistico,
qualche suggestione horror ci metterà per forza lo zampi-
no. I Dresden Dolls si muovono tra le emozioni riuscendo a
essere commoventi, ironici, malinconici e sensuali al tem-
po stesso. Mentre il pianoforte e le percussioni ossessivi
incalzano come ad accompagnare una marcia di giocattoli
a molla, il rischio della caricatura è dietro l’angolo. Esso
viene però aggirato grazie a una reale intensità, compli-
ce anche una sentita interpretazione dei testi. Narratrice
lievemente folle, Amanda Palmer racconta passione e de-
lusione con una nota d’irresistibile sarcasmo. Mentre se-
guiamo coinvolti le evoluzioni della sua voce che alterna
impeto e delicatezza come nel toccante crescendo di Half
Jack, ci convinciamo dell’autenticità del dramma che vie-
ne messo in scena. Permane, infatti, un’amarezza di fondo
che possiamo scorgere in diverse declinazioni: dal bridge
di Coin Operated Boy, grido di aiuto di chi finge disincanto
di fronte all’amore, al testo di Missed Me, che evoca l’or-
rore della pedofilia. Figlio del cabaret, The Dresden Dolls
è un album che non si esaurisce in se stesso, ma che trova
nuova vita in ogni esibizione live, attraverso imprevedibili
improvvisazioni.

di MARGHERITA G. DI FIORE

EXPLOSIONS
IN THE SKY
The Earth Is Not
a Cold Dead Place
2003

ETICHETTA: 2003
Temporary Residence LImited
NAZIONALITÀ: Stati Uniti
GENERE: Post-Rock
BRANI MIGLIORI: The Only Moment
We Were Alone, Memorial
DOVE ASCOLTARLO: Ovunque purchè
nella più perfetta solitudine
SE FOSSE UN COLORE: Il colore delle
nuvole che incrociano il cielo
SE TI PIACE ASCOLTA:
Mogwai, God is an Astronaut,
Godspeed You! Black Emperor

EXPLOSIONS IN THE SKY
The Earth Is Not a Cold Dead Place

Spesso penso all’inevitabile moltiplicarsi del peso degli anni,
alla distanza dalle cose e dalle persone che cambia quasi
fosse inversamente proporzionale alla memoria che mettia-
mo da parte: il tempo porta la consapevolezza che la solitu-
dine è una condizione necessaria, e che possiamo riempirla
di immagini, suoni, colori, perché è soltanto nostra e per
questo merita bellezza. Arriva The Earth Is Not a Cold Dead
Place a sistemare per bene l’ambiente in cui vivo e in cui so-
gno, a dare una mano di tavolozza di cielo con le sue nuvole
in movimento, a eliminare l’inutilità di certi meccanismi per
salvare le emozioni più intense, e ad aiutare le estremità del
corpo a percepire più forte. Cinque tracce strumentali domi-
nate dalle chitarre che decidono per te l’attimo in cui disten-
derti e quello in cui sparire, con una costante, leggerissima
brina di speranza che ricopre ogni costruzione sonora: The
Only Moment We Were Alone cresce sotto la pelle, la senti
muoversi e montare fino a invadere ogni spazio per scende-
re infine dagli occhi. Memorial è un amore che resta infinito
perché è soltanto tuo, e puoi nutrirlo e cambiargli vestito
ogni volta che vuoi.
Un disco che fa del post-rock l’elemento essenziale per com-
prendere quanto la nostra solitudine meriti passione e mera-
viglia e che il tempo, se lo vogliamo, non ruberà mai l’incanto.

2003

di FRANCESCA PERRICONE

THE BLACK KEYS
Thickfreakness
2003

ETICHETTA: Fat Possum Records 2003
NAZIONALITÀ: Stati Uniti
GENERE: Blues Rock,
Garage Rock, Indie
BRANI MIGLIORI:
Hard Row, Midnight in Her Eyes,
Hold Me in Your Arms
DOVE ASCOLTARLO: On the road!
SE FOSSE UN COLORE: Rosso
SE TI PIACE ASCOLTA:
John Spencer Blues Explosion,
Soledad Brothers, Guadalupe Plata

THE BLACK KEYS
Thickfreakness

Una sera di qualche anno fa, dovendo colmare il vuoto la- 2003
sciato dalla serie tv Breaking Bad, ho messo su Netflix una
nuova serie, Sons of Anarchy. Credo di non essere neanche
arrivata alla fine del primo episodio perché mi ha annoiato
a morte, eppure ricordo benissimo che la colonna sonora
attaccava con un pezzo che non conoscevo, molto adrena-
linico, a metà tra blues e garage rock. Parlo di Hard Row
dei Black Keys, brano dell’album Thickfreakness, che ho
comprato l’indomani mattina a distanza di 9 anni dalla sua
pubblicazione (2003). Ascoltandolo ho pensato “ecco i fa-
mosi Black Keys”! Ne avevo molto sentito parlare. Il duo
dell’Ohio era infatti già celebre grazie a Brothers ed El Ca-
mino (2010/2011) che avevano conquistato le classifiche
mondiali, ma la mia banale inclinazione a snobbare il main-
stream me li aveva fatti ignorare quasi di proposito. È bello
ammettere di aver fatto un errore, perchè Thickfreakness
rientra di certo tra i migliori album rock dei primi anni due-
mila. Una maestosa esplosione di blues rock vintage come
non se ne sentivano da anni. Sporco e graffiante, con gli
assoli incisivi ma equilibrati, Thickfreakness fa sognare di
girare su una bella moto (magari una Harley Dyna come in
Sons of Anarchy) macinando chilometri dal Tennessee alla
Lousiana, per poi fermarsi a bere un bel whiskey in qualche
saloon moderno dove si sente ancora parlare di John Lee
Hooker, Howlin’ Wolf e i Sonics. E a proposito dei Sonics,
questo disco guadagna 1000 punti grazie alla cover di Have
Love Will Travel con cui i Black Keys dimostrano tutto
il loro affetto per il garage rock che, combinato al blues
grezzo, sortisce un effetto caffeina old school che non
manca di colpire diverse generazioni di ascoltatori, anche
i più diffidenti come me!

di SERGIO CATALDI

BLUR
Think Tank
2003

ETICHETTA: Parlophone
NAZIONALITÀ: Regno Unito
GENERE: Alternative Rock, Indie Pop
BRANI MIGLIORI: Ambulance,
On The Way to The Club, Caravan
DOVE ASCOLTARLO: Con un’iPod durante
una passeggiata in riva al mare
SE FOSSE UN COLORE: Grigio metallizzato
SE TI PIACE ASCOLTA: Gorillaz,
The Good, the Bad & the Queen,
Rocket Juice & The Moon

2003

BLUR
Think Tank

Rischio di essere di parte parlando dei Blur, dato che sono
una delle mie band preferite, ma mi sento di affermare
lo stesso che Think Tank è l’album più ispirato ed intenso
della loro discografia. Protagonista dei testi è la guerra e,
nello specifico, l’intervento armato in Afghanistan da parte
dell’America a seguito degli eventi dell’undici settembre
del 2001. Damon Albarn, da convinto pacifista, concentra
tutta la sua sensibilità artistica nel tradurre in melodie
molto articolate e dal sapore lo-fi, tutti gli orrori del con-
flitto bellico di cui è partecipe insieme al resto del mon-
do, denunciandone i nonsensi e le assurdità con la sottile
polemica delle sue liriche. Anche dal punto di vista musi-
cale risulta un episodio a sé stante, vuoi per le sedute di
registrazione effettuate in Marocco (di cui si avvertono a
tratti le sonorità) vuoi per le innegabili influenze con i Go-
rillaz, side-project di Damon. L’unico brano in cui ritroviamo
i Blur più tradizionali, quelli del periodo britpop, è Gene By
Gene, per il resto è un disco sperimentale e d’avanguardia
che testimonia ancora una volta (come se già non fosse
ampiamente dimostrato) la grande capacità del quartetto
londinese.
E dire che proprio questo disco è anche l’unico ad essere
“orfano” del chitarrista Graham Coxon, allontanatosi in via
temporanea dalla band. Ma un’attitudine dei Blur è sempre
stata quella di fotografare con sapienza il contesto storico
dal quale trae origine ogni album e tutti loro sono ottimi
fotografi.

2003

di MARGHERITA G. DI FIORE

DEATH CAB FOR CUTIE
Transatlanticism
2003

ETICHETTA: Barsuk 2003
NAZIONALITÀ: Stati Uniti
GENERE: Pop
BRANI MIGLIORI: The New Year,
Tiny Vessels, Passenger Seat
DOVE ASCOLTARLO: Sul letto, con le
ginocchia strette tra le braccia
SE FOSSE UN COLORE: Il colore che ha
scelto lui/lei e che a te non piaceva,
e ora è ciò che ti resta
SE TI PIACE ASCOLTA: Postal Service,
Modest Mouse, Shins

DEATH CAB FOR CUTIE
Transatlanticism

Celebrare la distanza e le conseguenze sull’amore: quella 2003
evidente che pone un oceano tra te e me, e quella più sot-
tile e dolorosa dell’incontrarci ogni giorno e sentire l’acqua
spingere le nostre mani verso lidi opposti. Transatlanticism
è un volo lieve tra due cuori che battono a ritmo diverso, che
si nascondono nei silenzi per non ammetterlo, perché dire
non ti amo più è un veleno che non vuoi ingoiare, una scon-
fitta che la bocca pronuncia soltanto quando è sola, per sen-
tirne il gusto e trovare il coraggio. Il pop raffinato e mai fuori
misura dei Death Cab For Cutie crea l’ambiente ideale per
sciogliere nodi sentimentali e rannicchiarsi sul letto, strin-
gendo le ginocchia tra le braccia e piegando la testa, di fronte
a uno specchio, dietro scie nostalgiche di noi due, e tutt’in-
torno l’oceano. The New Year apre energica come scene da
un matrimonio tra chitarra e batteria, l’aria è densa come
la voce di Ben Gibbard, concentrato leggero di malinconia
pronta a inondare le pareti e di sentimenti simili provati nel-
la giovinezza che non so definire, ma che sono gli stessi per
tutti. Title and Registration e i suoi Souvenirs from Better
Times colorano di tenui luci il giallo della stanza. Lo prefe-
rivo una tonalità più intensa ma ho sempre ceduto alle tue
scelte, e ora cedo per non scegliere e mi abbandono a Tiny
Vessels, dolce ballata che mi precipita ai piedi di un ricordo:
prima un singolo fotogramma, poi, mentre il brano cresce e
sperimenta, si aggiungono frammenti, dettagli, tutto è più
chiaro e crudele. Il pianoforte di Passenger Seat vince facile
sui miei buoni propositi e mi lascia galleggiare su quel letto
sempre più grande, A Lack of Color è l’amara consapevo-
lezza che non tornerai: I Should Have Given You a Reason to
Stay, e invece io sono qui, a celebrare l’invincibile distanza
tra me e te.

di VITO POMPEO

CAT POWER
You Are Free
2003

ETICHETTA: Matador Records
NAZIONALITÀ: Stati Uniti
GENERE: Dream Pop
BRANI MIGLIORI: I Don’t Blame You,
Good Woman, He War, Evolution
DOVE ASCOLTARLO: A casa
SE FOSSE UN COLORE: Giallo
SE TI PIACE ASCOLTA:
Feist, Joan as Police Woman,
Sleater Kinney

2003

CAT POWER
You Are Free

Dopo l’uscita nel 2003, non ho più ascoltato You Are Free per
parecchio tempo. L’ho tenuto lì, bene in vista sullo scaffale
delle “opere pericolose”, quasi a volermi ricordare della sua
bellezza ma anche del male che può fare. Certi dischi hanno
il potere (terribile) di regalarti sublimi esperienze di ascolto,
andando però a prendere il calco della tua anima ancoran-
dola a precise coordinate emotive e spazio temporali. Fate
attenzione, dunque. I primi semplicissimi accordi di piano-
forte di I Don’t Blame You potrebbero tramutare un norma-
lissimo pomeriggio di fine ottobre in un ricordo che male-
direte per sempre. La voce di Chan Marshall, di struggente
bellezza, farà breccia nella vostra testa e nel vostro cuore.
Le canzoni scorreranno una dietro l’altra con i loro arrangia-
menti minimali. Un tocco di distorsione una volta ogni tanto.
I violini di Warren Ellis e i backing vocals di Eddie Vedder
a darvi il colpo di grazia negli episodi forse più convincenti
dell’intero album. Io ho commesso l’errore di ascoltare You
Are Free in un pomeriggio piovoso di dodici anni fa, lontano
da casa, lasciando che in quelle note si cristallizzasse per
sempre tutta la stramaledetta malinconia del momento. Av-
vicinatevi, dunque, a quest’opera consapevoli di avere tra le
mani un lavoro di rara bellezza da maneggiare con estrema
cura. Il vostro cuore vi ringrazierà.

2003



2004

DUEMILAQUATTO

RECENSIONI 2004

ZUMPANI: The (International) Noise Conspiracy − Armed Love
ZUMPANI: Arcade fire − Funeral
PAULSEN: The Organ – Grab That Gun
BAJARDI: Marillion − Marbles
BAJARDI: Blonde Redhead − Misery Is a Butterfly
LUPO: Kings of Convenience − Riot On an Empty Street
CATALDI: Scissor Sisters − Scissor Sisters
CASANO: Air − Talkie Walkie
CATALDI: The Libertines − The Libertines
POMPEO: Morrissey − You Are the Quarry

di FEDERICO ZUMPANI

THE (INTERNATIONAL)
NOISE CONSPIRACY
Armed Love
2004

ETICHETTA: Burning Heart
NAZIONALITÀ: Svezia
GENERE: Garage Rock, Punk Revival
BRANI MIGLIORI:
Let’s Make History, Black Mask,
Communist Moon
DOVE ASCOLTARLO: In macchina
SE FOSSE UN COLORE: Rosso e grigio
SE TI PIACE ASCOLTA: The Hives,
The Mooney Suzuki, The Datsuns

2004

THE (INTERNATIONAL) 2004
NOISE CONSPIRACY
Armed Love

Verso la fine degli anni novanta, sarà stato il tempo, la moda,
la globalizzazione, la confusione, ma il tentativo di politicizza-
re la musica era una volontà artistica ben radicata. Tuttavia,
pochi come questa band svedese riuscirono a portare luce
nuova sul garage punk, tanto da realizzare una discografia
inattaccabile. Armed Love nasce dalle ceneri del passato
guardando a un futuro più interessante. A Small Demand
introduce un senso di smarrimento inconsolabile, così come
The Way I Feel About You, che unisce il sentimento alla mi-
litanza, cosa che traspare anche in Let’s Make History, un
crescendo di rabbia giovane capace di coinvolgere mente e
cuore (you can call me romantic, you can call me what you will,
but when I think about the revolution you’re still in my dreams).
La disillusione si percepisce nei passaggi di The Dream Is
Over e All in All. Tuttavia, il pregio di Armed Love è quello
di non percorrere un unico binario stilistico, permettendo a
brani come Black Mask di esplodere come cuore pulsante
di un pensiero politico inarrestabile: il garage punk politi-
camente incorreggibile si mescola a un ritmo letterario no-
stalgico. Allo stesso modo, quest’inquietudine e quest’anima
confermano tale struttura con Communist Moon, che parla
di sogno e volontà per lasciare una traccia nel tempo (from
desperate times comes radical minds living armed love). Ma
non c’è spazio per i rimpianti, quello che conta sta in quel
disegno di intenzioni e propositi per il futuro dell’umanità.
This Side of Heaven e Like a Landslide parlano ancora di
libertà e potere. Ecco che quindi l’amore, anche se armato,
chiude il cerchio: Armed Love, title-track relegata al termine
dell’album, definisce i contorni del messaggio generale, cioè
rendersi visibili al tutto, sporcarsi di vita e realtà, anche se
questo futuro non sembra quello atteso.

di FEDERICO ZUMPANI

ARCADE FIRE
Funeral
2004

ETICHETTA: Merge/Rough Trade 2004
NAZIONALITÀ: Canada
GENERE: Indie Rock, Baroque Pop,
Art Rock, Experimental Rock
BRANI MIGLIORI: Neighborhood #1
(Tunnels), Wake Up, Rebellion (Lies)
DOVE ASCOLTARLO: All’inizio della
primavera, passeggiando
SE FOSSE UN COLORE: Marrone chiaro
SE TI PIACE ASCOLTA:
MGMT, The Flaming Lips,
LCD Soundsystem

ARCADE FIRE
Funeral

Che strano risvegliarsi da un sogno interrotto, precipitare e 2004
aprire gli occhi all’improvviso, un’apnea prima della quiete. Il
classico non muore mai e opere come Funeral sono il frutto
di una chiara visione musicale, elegante e raffinata nel detta-
glio, perché il perfezionismo è determinante per un progetto
artistico. L’album di esordi dei canadesi Arcade Fire nasce
dal dolore per la morte di alcuni parenti avvenuta durante il
periodo di registrazione. Il disco parla di disperazione e re-
surrezione, ribellione e amore. Neighborhood #1 (Tunnels),
con l’iniziale pianoforte sullo sfondo, resta una delle intro
più interessanti di questi anni, forse per la commozione in
crescendo che accompagna l’effetto sonoro allo spirito, ma
anche per l’arrangiamento, una sequenza di note in perfetta
combinazione. Neighborhood #2 (Laika) sperimenta tonali-
tà confortanti e regala atmosfere proprie di un baroque pop
maturo, così come Une Année Sans Lumière, che espande
l’orizzonte armonico verso orizzonti rassicuranti. Ma rimane
latente anche un’anima elettronica che si percepisce in Nei-
ghborhood #3 (Power Out), un alternarsi di esperimenti vo-
cali e sonori, attraverso una patina di soave eleganza. Crown
of Love si spinge verso un’alternanza melodica brillante, così
come Wake Up, quasi un inno alla gioia. Haïti sembra essere
la quiete, ma è solo il preludio a Rebellion (lies), il riferimen-
to musicale principale dell’album, una marcia ascendente
che esplode nell’autenticità del sentimento. In the Backse-
at chiude il percorso, lasciando la sensazione che tutto sia
stato solo un sogno perso nel suono. Funeral è lo spettaco-
lo piangente di un’orchestra malinconica alla ricerca di una
resurrezione emozionale. Archi, voci, sinfonie mescolano la
tecnica all’emozione, divenendo lacrime sorridenti che com-
pongono esistenza. Non sembra neanche un esordio.

di FEDERICO DILIBERTO PAULSEN e SILVIA SIANO

THE ORGAN
Grab That Gun
2004

ETICHETTA: Mint Records, Too Pure
NAZIONALITÀ: Canada
GENERE: Indie Rock
BRANI MIGLIORI: Brothers,
Love Love Love, Steven Smith
DOVE ASCOLTARLO: In cima al mondo
SE FOSSE UN COLORE: Bianco
SE TI PIACE ASCOLTA: Interpol,
Ladytron, Metric

2004

THE ORGAN
Grab That Gun

Esistono dischi destinati a diventare pietre miliari di un ge- 2004
nere. E poi esiste un disco come Grab That Gun di The Or-
gan che non è nulla di tutto ciò. Siamo consapevoli che la
sua uscita (avvenuta nel 2004 solo in Canada e poi nel 2006
worldwide) non ha cambiato la storia della musica. Le canzo-
ni dell’album ricalcano fin troppo fedelmente gli schemi del-
la new wave senza aggiungere nulla di nuovo a quanto era già
stato detto negli anni ottanta. Però, a noi che scriviamo poco
importa se il basso sembra scopiazzato fuori tempo massi-
mo da quello dei Cure e se si sente puzza di Siouxsie e nafta-
lina. Questo disco è stato importante per noi, ventenni degli
anni zero, desiderosi di viaggiare e di conoscere tutto, pronti
a raggiungere mete impossibili per poi trovarne di nuove e
più lontane. Il suono dell’organo, marchio distintivo della
band, scorre in tutte le tracce diventando una presenza fon-
damentale che alimenta non solo il disco ma anche le no-
stre anime. Se oggi chiudiamo gli occhi, Brother ci riporta
sul lungo Senna a Parigi in primavera oppure a passeggio
nella Gran Via a Madrid quando l’estate muore. Un attimo
dopo, Love Love Love ci fa tornare nella nostra cameret-
ta a piangere delusioni amorose inconsolabili. E Memorize
This City ci accompagna su quel treno che ci allontana dalla
nostra città natale e dai nostri affetti, mentre impavidi an-
diamo incontro al futuro. Una colonna sonora romantica e al
tempo stesso decadente che ci ha accompagnato negli anni
del cambiamento. Non ci interessa se la critica ha pensato di
mettere The Organ nello stesso calderone dei tanti emulatori
del terzo millennio della new wave, bollando di fatto questo
debutto come “già ascoltato”. Per noi queste cinque ragazze di
Vancouver hanno creato canzoni sofferte, libere e nuove come
le vite che, dopo il loro ascolto, abbiamo desiderato di vivere.

di MARIO BAJARDI e ALESSANDRO SANFILIPPO

MARILLION
Marbles
2004

ETICHETTA: Intact Records
NAZIONALITÀ: Regno Unito
GENERE: Progressive Rock
BRANI MIGLIORI:
You're Gone, Angelina
DOVE ASCOLTARLO:
In un trattore interstellare
SE FOSSE UN COLORE: Nero e viola
SE TI PIACE ASCOLTA: Genesis

2004

MARILLION
Marbles

Cosa dire di uno dei gruppi più grandi del progressive rock
che, ingiustamente, si ritrovano l’eredità di essere etichet-
tati come cloni dei Genesis o affini? Un’ingiustizia, anche
perché, se così fosse, dovremmo eliminare il novanta per
cento della musica esistente, da quella etnica al jazz, e mi
fermo qui. Quindi apriamo bene le orecchie e ascoltiamo
un disco di veri e propri geni che, grazie al cantante Steve
Hogart, giunge a vette inaudite. L’album è il frutto dei preor-
dini che i fan di tutto il mondo hanno messo a disposizione,
partecipando il loro amore con i Marillion. La prima traccia
The Invisible Man, uno dei pezzi migliori, è quasi un incro-
cio tra Massive Attack e Pink Floyd allo stato sperimentale.
Durante l’ascolto dell’album, le quattro parti della title track
Marbles sono delle vere e proprie perle, visto che si parla
delle biglie che Hogart lanciava da bambino con la sua rac-
chetta per rompere la finestra del vicino di casa. L’infanzia e
la follia da cui nasce la tristezza per qualcosa che non c’è più.
La maestosa Ocean Cloud e la visionaria Neverland valgo-
no altri due o tre album. Difficile arrivare ai vertici di questi
capolavori direi Orchestrali! Rispettivamente: quattordici,
diciotto e dodici minuti. Liriche eccezionali e assoli di chi-
tarra del chitarrista Steve Rothery chiamato “God”: come
non ascoltarlo nei suoi assoli mentre urla di goduria. Ma
non finisce qui. Ecco che arriva un brano da inserire nella
storia del progressive rock, Drilling Holes, uno spunto alla
follia: fai buchi nei muri e non trovi nulla. Sfido chiunque a
trovare gruppi simili ai Marillion che sono arrivati a queste
visioni, forse i Flaming Lips? Invito all’ascolto, il resto sono
solo parole.

2004

di MARIO BAJARDI e ALESSANDRO SANFILIPPO

BLONDE REDHEAD
Misery Is a Butterfly
2004

ETICHETTA: 4AD
NAZIONALITÀ: Stati Uniti
GENERE: Dream Pop, Art Rock,
Cantautorale
BRANI MIGLIORI: Falling Man
DOVE ASCOLTARLO: In una casa antica
SE FOSSE UN COLORE: Porpora
SE TI PIACE ASCOLTA: Mercury Rev,
Lali Puna, Genesis

2004

BLONDE REDHEAD
Misery Is a Butterfly

Come se mi trovassi in una di quelle antiche case tipiche
italiane. Un post-no wave con un sound più dark, un disco
registrato per la 4AD etichetta che ha prodotto i Dead Can
Dance e Cocteau Twins. Emozioni e sensazioni che appaio-
no dalle prime note dell’iniziale Elephant Woman, caratte-
rizzata da orchestrazioni d’archi che eseguono melodie di
incomparabile bellezza che Makino, la cantante, ricama con
la sua dolce voce e che caratterizza insieme ai fratelli Pace
che alternano il duo vocale. Poi appaiono immagini di psi-
chedelia che si spingono sul dark e ci ritroviamo in un limbo
con estremi fantastici: Doll Is Mine, Pink Love, con riff al
pianoforte e un uso degli archi eccezionale. Ci si ritrova di
fronte a un gioiello e in questi anni duemila è una fortuna: un
lavoro di pregio, arrangiato a regola d’arte, ritmiche fluide e
originali melodie, denso di atmosfere che, ripeto, ricordano
così bene gli zii affettuosi che senti quasi gli odori di casa.
Più si ascolta, più piace. Un lavoro geniale e forse pensato
per raggiungere vette che non si sentivano da anni: sembra-
no i Genesis del 2100.

2004

di ALESSANDRO LUPO

KINGS
OF CONVENIENCE
Riot On an
Empty Street
2004

ETICHETTA: Astralwerks 2004
NAZIONALITÀ: Norvegia
GENERE: Acoustic Pop
BRANI MIGLIORI: Homesick,
Stay Out of trouble,
Gold in the Air of Summer
DOVE ASCOLTARLO: Su uno yacht, al
tramonto, sorseggiando vodka e
prosecco con gli amici (fighetti)
SE FOSSE UN COLORE: Azzurro olio su tela
SE TI PIACE ASCOLTA: Turin Brakes,
Everything But The Girl,
Simon and Garfunkel

KINGS OF CONVENIENCE
Riot On an Empty Street

Erlend Øye è un musicista poliedrico ed eccentrico, abi- 2004
le chitarrista, cantante e arrangiatore; le sue produzioni
spaziano dall’elettronica dei Röyksopp alla dance (Unrest,
Dj-Kicks) dall’indie pop dei Whitest Boy Alive fino ad escur-
sioni nella canzone italiana. Con Eirik Glambæk Bøe fonda i
Kings of Convenience e il loro album d’esordio, Quiet Is the
New Loud, si può leggere come un manifesto: un elogio alla
rilassatezza e all’importanza della “pacatezza sul clamore”.
Con Riot On an Empty Street sfornano altre dodici canzoni
senza tempo, dall’impronta classica e intimistica: due chi-
tarre, due voci suadenti, pochi tocchi di pianoforte e le rifini-
ture di un quartetto d’archi a completare gli arrangiamenti.
L’incantevole apertura di Homesick e la meditativa Surprice
Ice rimandano alla naturalezza radiosa di The Sound of Si-
lence e April Come She will di Simon & Garfunkel. Stay Out
of Trouble, ballata dal sapore campagnolo, è una sospirata
attesa fino al minuto 3.21, quando nel chorus si raggiunge la
risoluzione armonica in un crescendo da manuale del pop.
Ricordano poi i migliori Style Council ed Everything but the
Girl le più eighty Sorry Or Please, Love Is No Big Truth e I’d
Rather Dance With You. Know How e Live Long sono can-
zoncine dal gusto esotico e Misred è una miniatura di bos-
sanova leggera come una piuma. Dopo tanto fingerpicking
le pennate di Gold in the Air of Summer suonano come una
“Wonderwall” malinconica e westcoastiana. Sul finale, The
Build Up è un’ altra gemma impreziosita dalla voce delicata
della canadese Feist in perfetto stile Fleetwood Mac con an-
damento cadenzato in 6/8. Nessuna rivoluzione, niente cla-
mori, questa è una sommossa sommessa. Così suona una
rivolta in una strada vuota.


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