Cernusco sul Naviglio
La citta’ svelata
Si ringraziano
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Prefazione
il Sindaco, Eugenio Comincini
Questa bella pubblicazione sulla nostra città ha davvero qualcosa di nuovo rispetto ai numerosi libri sinora editati: per la
prima volta sono le immagini a raccontare il territorio, i paesaggi, i luoghi sacri e le dimore patrizie, i monumenti, i cortili
di Cernusco sul Naviglio. La città viene davvero svelata in tutta la sua autenticità e in tutto il suo fascino: per i cernuschesi
„da sempre‰ e quelli di nuova acquisizione questÊopera rappresenta un utile strumento di conoscenza della realtà nella quale
viviamo, delle sue bellezze e dei suoi piccoli e grandi tesori. Un libro che ci aiuta – se ve ne fosse bisogno – a riscoprire
lÊorgoglio di vivere in questa bella città, a sentirci più legati ad essa e alla sua storia. Una città che ha saputo e sa distinguersi
in meglio anche per le attenzioni che si sono nel tempo avute al suo passato e alla sua conoscenza.
Elisabetta Ferrario è la più nota, informata e autorevole conoscitrice della storia di Cernusco sul Naviglio e del suo patrimonio
architettonico: dopo 5 importanti pubblicazione dedicate a ciò, ora ci offre un testo che – facendo sintesi delle informazioni
storiche – ci parla con chiarezza dei monumenti, dei personaggi e degli avvenimenti che hanno caratterizzato il passato,
accompagnando e raccontando le bellissime immagini di cui questo volume è ricco.
La maestria fotografica di Stefano Sgarella ci consegna immagini che raccontano Cernusco sul Naviglio in modo inatteso,
consentendo di elaborare un nuovo e parallelo racconto: quello della nostra vita dentro la città.
Questo bel libro diventa anche invito e impegno a continuare sulla strada della tutela dei nostri beni storico-architettonici
e del paesaggio: se Cernusco sul Naviglio è quello che è lo deve alla sua storia; è per questo che abbiamo tutti il dovere di
conservarne le esistenze e le memorie.
Un grazie a Donatella e Gianni Vidé per la determinazione con la quale hanno voluto e realizzato questÊopera.
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Elisabetta Ferrario
Stefano Sgarella
Cernusco sul Naviglio,
la citta’ svelata
A cura di:
Donatella Fiorini
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In copertina: Chiesetta di Santa Maria in Cernusco, tecnica mista su base fotografica (100x120 cm) di Giovanni Sesia.
LÊopera è di proprietà del Comune di Cernusco sul Naviglio.
Testi: Elisabetta Ferrario
Immagini: Stefano Sgarella
Progetto grafico: Lucrezia Pettinari
Coordinamento editoriale: Donatella Fiorini
© 2012 Pecora Nera adv - www.pecoraneraadv.it
© Gli autori per i testi e le immagini
ISBN
Printed in Italy
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Indice
6 Presentazione 98 Le dimore patrizie
12 Il territorio 104 • Villa Rovida, Gervasoni, Carini
108 • Villa Biraghi Ferrario
16 • LÊagricoltura biologica 112 • Villa Alari, Visconti di Saliceto
20 • I giardini storici perduti 124 • Villa Biancani, Greppi
24 • Il parco di Ambrogio Uboldo 132 • Villa Uboldo
32 • I parchi pubblici 136 • Ville Liberty
38 I luoghi dellÊattività agricola 142 I cortili: tessuto connettivo del borgo
44 • Cascina Imperiale 146 • Palazzo Tizzoni
48 • Cascina Castellana 148 • Palazzo Scotti
52 • Cascina Torriana 150 • Palazzo Viganò
56 • Cascina Ronco 152 • Corte della Senavra
154 • Corte dei Barnabiti
62 I luoghi del culto
158 Verso lÊindustrializzazione
66 • Santa Maria Addolorata, chiesa pievana
72 • Santa Maria Assunta, la nuova parrocchiale 164 • La filanda Gavazzi
78 • Gli oratori campestri
82 • I conventi 170 Le opere del regime
88 Il Naviglio Piccolo 172 • La torre dellÊacqua
92 • La ruota idraulica 176 Bibliografia
94 • La metropolitana 178 Referenze fotografiche
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Nota introduttiva
Donatella Fiorini
San Tommaso affermava che: „Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu‰, cioè „Nella mente non cÊè niente che
non sia già iscritto nei sensi‰.
Cosa cÊentra con questo libro?
Ebbene, quando con Elisabetta e Stefano abbiamo pensato di avventurarci nella stesura di un volume che parlasse al cuore
e liberasse emozioni positive, che in qualche modo svelasse la nostra città, ho pensato che la sua definizione era proprio in
questa frase latina.
Questa piccola città ti fa sentire a casa sempre, anche se le tue radici sono in tuttÊaltro posto, si insinua nel tuo essere e la ami
ancor prima di averla capita come se fosse „iscritta‰ nel tuo DNA o meglio: nei tuoi sensi.
Sicuramente nel produrre questo libro, nei sei mesi della sua lavorazione, ho ricevuto più di quanto ho dato. Ho visto
ciò che sembrava celato e ho conosciuto tante persone: la vera anima di questa città. Ho avuto conferma di vivere in
un posto meritevole di essere custodito, amato, rispettato per essere consegnato alle prossime generazioni come un
tesoro veramente prezioso.
Finita questa bella avventura, ringrazio Cernusco che si è aperta alla nostra curiosità, i cittadini che ci hanno accolto con
pazienza, Elisabetta che mi ha aiutato a vedere la bellezza che ci circonda nascosta tra le cose di ogni giorno. Un particolare
ringraziamento a Stefano che fa della passione il suo lavoro quotidiano.
Con tutta la speranza che insegni ai miei nipoti ad amare e difendere questa città, dedico la mia parte dÊimpegno messa in
questo volume a Lucrezia, senza di lei non ce lÊavremmo fatta!
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Nota introduttiva
Elisabetta Ferrario
Un anno orsono la richiesta di scrivere un libro su Cernusco mi lasciò, confesso, perplessa. Ho allÊattivo cinque pubblicazioni
sul patrimonio architettonico della città a partire dal 1980 e molti interventi su pubblicazioni più ampie, per non citare
i moltissimi scritti di altri storici. La ricchezza degli studi che hanno per oggetto il territorio di Cernusco è significativa
dellÊinteresse che la storia locale ha assunto negli ultimi anni.
La prima trattazione del territorio di Cernusco risale al 1743 quando MarcÊAntonio Dal Re descrive lÊambiente in cui si inserì
villa Alari definita „dÊarchitettura magnifica e di ottimo gusto‰. Dal 1743 ad oggi molto si è scritto su Cernusco, unÊisola
felice rispetto ad altri centri, pur di dimensioni maggiori e ben più ricchi di beni. LÊattenzione dei cernuschesi verso la storia
della loro città è sempre stata vigile ed ogni tematica è stata attentamente studiata.
Cosa si poteva mai trovare di nuovo?
Di quale strumento di conoscenza necessitava ancora il territorio?
La prima idea fu una guida turistica agile, sintetica, con informazioni chiare.
La conoscenza di Stefano Sgarella, il fotografo che mi venne affiancato dallÊeditore, arrivò a sconvolgere tutti i miei progetti.
Davanti alle prime fotografie scattate ho subito realizzato che non potevano essere svilite in formato „francobollo‰.
Sarebbero state le immagini a raccontare Cernusco!
Le parole del testo sono così diventate la voce narrante che guiderà il lettore ad osservare i monumenti più significativi,
a scoprire avvenimenti e personaggi storici che hanno costruito la città rendendo Cernusco una realtà molto singolare.
La trattazione dei beni non pretende di essere esaustiva. Là dove le linee architettoniche erano state pesantemente alterate si è
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preferito inserire vecchie fotografie o dipinti che ne raffiguravano lÊaspetto originario. La descrizione dei beni è preceduta da
unÊintroduzione sullÊevoluzione della tipologia nellÊarea milanese al fine di illustrare come questi beni, che ancora possiamo
fruire, hanno preso forma dallÊuomo, dalla sua operosità e da esigenze di vita vissuta.
Il monumento, nucleo fondamentale dellÊambiente, è quindi un bene prezioso. Auspico che questa pubblicazione possa
costituire lÊavvio di una serie di accadimenti relativi al recupero di alcuni monumenti che non possiamo permetterci di perdere.
Mi associo a Stefano nei ringraziamenti allÊintera famiglia Fiorini - Vidé che ci ha supportato con grande professionalità.
Quando la febbre edilizia
diviene più forte della storia
accade che la memoria storica
sia oltraggiata in nome dei danée
(C. Castellaneta)
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Nota introduttiva
Stefano Sgarella
Che grande amarezza sarebbe sentir dire che queste immagini non danno emozioni, ma trovo conforto nel pensare che
ogni cernuschese, scorrendo le pagine di questo libro, possa accedere ai propri ricordi con occhi nuovi o semplicemente
ri-scoprire la propria città osservandola da un punto di vista differente.
La fotografia, che si fa immagine, è un pretesto per raccontare una storia e le parole sono uno stimolo per la fantasia e
rivelano il tempo che è stato. Ogni singolo fotogramma contiene unÊinfinità di dettagli, gran parte dei quali non sono
visibili, perché vivono nella mente di chi osserva. Per questo motivo sono convinto che lÊopera prestata alla città di
Cernusco sul Naviglio dagli autori possa dare vita a lieti momenti di commozione, di condivisione, di appartenenza e
di orgoglio cittadino, ma anche di riflessione e di buoni propositi per il domani, perché tutelare, valorizzare e difendere
il territorio, lÊambiente, il patrimonio artistico e monumentale della propria città, sono valori indispensabili per non
perdere mai di vista se stessi.
Ringrazio Elisabetta Ferrario per aver fatto conoscere, ad un non-cernuschese, il presente ed il passato della città di
Cernusco sul Naviglio. Ringrazio Donatella Fiorini e Gianni Vidé per avermi supportato, sopportato e motivato per un
anno di intenso lavoro. Ringrazio Lucrezia Pettinari per aver magistralmente impaginato immagini e parole. A queste
meravigliose persone va ogni merito, perché in un momento storico complesso come lÊattuale presente, hanno saputo dar
vita a qualcosa di nuovo, e mi hanno concesso lÊinestimabile opportunità di esprimere pensieri visivi senza porre confini
al mio istintivo bisogno di emozionare.
Un particolare ringraziamento alla città di Cernusco sul Naviglio e ai suoi cittadini.
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Il territorio
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Il territorio
Il territorio di Cernusco si inquadra in quello milanese impostato su fasce ambientali ad andamento est-ovest interagenti con i
bacini lacustri che fungono da collegamento tra la fascia collinare prealpina e la pianura. La natura alluvionale di tale territorio,
costituito dallÊaccumulo di materiali di erosione con depositi ghiaioso-sabbiosi, ha dato origine ad una stratificazione di falde
acquifere intervallate da livelli argilloso impermeabili. Il tipico fenomeno dei fontanili è determinato dal riaffiorare delle due falde
più superficiali. Risorgive si allineano per lÊintera ampiezza della pianura rendendo particolarmente fertili le zone interessate
dal fenomeno. Disposte parallelamente, tali fasce ambientali sono collegate dalle valli fluviali di Ticino, Adda, Olona e Lambro.
La favorevole morfologia del territorio determinò un precoce insediamento antropico divenuto stabile già nel neolitico (V-IV
millennio a.C.) grazie allo sviluppo agricolo che produsse la differenziazione degli ambiti paesistici della zona e la valorizzazione
dellÊambiente mediante lo sfruttamento delle abbondanti risorse idriche. Il paesaggio locale fu soggetto a continue trasformazioni
determinate sia da interventi naturali che antropici. ˚ il territorio a fornire i mezzi di sussistenza alla città la cui nascita, mai
casuale, è strettamente connessa a ben definiti ambiti paesistici ed agli elementi che ne compongono lÊecotessuto.
Le risorse idriche naturali vennero, attraverso i secoli, potenziate dallÊopera dellÊuomo mediante la regolazione dei fontanili
e lo scavo di una rete di canali talmente ricca e articolata da rendere il Milanese famoso in tutta Europa. Ai romani si deve la
riorganizzazione del territorio col metodo della centuriazione di cui rimangono solo sporadiche tracce in quanto nel Milanese
non fu necessario estendere il sistema su grande scala per la già buona conduzione agricola del territorio. In epoca gallica boschi
di querce costituivano il confine dei fondi e nei campi chiusi si insediò la tipologia rurale gallica, di cui rimane memoria
nei tipici casott sparsi nella campagna. Nonostante i notevoli interventi agricoli e di infrastrutturazione del territorio portati
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avanti dai romani, i boschi rimasero a presidio della proprietà, alternati ai campi coltivati col metodo della rotazione biennale.
˚ questo il periodo che vide la nascita della villa rurale, una tipologia che ebbe grande sviluppo a partire dal XV secolo, in
una fase di particolare floridezza del Milanese determinata dallÊarticolato piano ducale di canalizzazione e dallÊintroduzione
di forme industrializzate ai fini della conduzione delle aziende agricole. Colture come la marcita e la risaia, particolarmente
estese a sud di Milano, costituirono un significativo esempio di ecosistema di compromesso. LÊopera dellÊuomo seppe infatti
sfruttare la situazione negativa determinata dalle acque superficiali stagnanti senza distruggere lÊambiente, ma trasformandolo
a suo vantaggio. Indispensabile fattore stabilizzante negli ecosistemi agricoli fu, nel XV secolo, lÊintroduzione della piantata
padana che fortemente ha caratterizzato il paesaggio agrario del Milanese sino in epoche molto recenti.
LÊagricoltura raggiunse il massimo sviluppo nel Milanese intorno alla metà del Settecento grazie alle illuminate riforme del
Governo austriaco ed, in particolare, allÊintroduzione del catasto di Carlo VI attivato, nel 1757, dalla figlia Maria Teresa.
Fu questa la riforma che determinò le maggiori trasformazioni a livello economico implicando unÊintegrale revisione della
politica fiscale che modificò la conduzione dei fondi agricoli incidendo profondamente sulla morfologia del territorio.
La forte caratterizzazione del paesaggio „teresiano‰ fu strettamente connessa allÊattività agricola incentivata dalle riforme e
dallÊestensione del sistema idroviario e di canalizzazione. Le mappe catastali di Carlo VI ben visualizzano la rete idrica di un
territorio già naturalmente ricco di acque. Il sistema idrico venne ulteriormente articolato nella seconda metà dellÊOttocento
come attestano le mappe del catasto Lombardo Veneto (1862).
Il Milanese era governato da un sistema economico di carattere rurale decodificabile mediante lo strumento catastale
che, attraverso lÊampia documentazione conservata presso lÊArchivio di Stato di Milano, fornisce il quadro dettagliato
dellÊorganizzazione sociale e dellÊimpiego dei suoli in Lombardia a partire dagli anni Venti del XVIII secolo.
La coltura a cereali, indicata quale Aratorio, era di gran lunga la più diffusa estendendosi nel 1751 su 15.964 pertiche pari
allÊ83% dei terreni inedificati. La superficie a seminativo, raramente condotta come coltura specializzata, era quasi sempre
consociata alla vite ed al gelso. Il seminativo era ampiamente rappresentato sul territorio da frumento e granoturco, colture
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incentivate dal rialzo dei prezzi sul mercato internazionale. Nel 1858, lÊestensione del seminativo su 10.000 pertiche pari, al
78% del territorio comunale, non giustificherebbe lÊincremento della produzione cerealicola che va imputata al progresso
delle tecniche agronomiche ai fini di un miglior sfruttamento del suolo.
Il pascolo aveva unÊestensione molto minore rispetto allÊaratorio: solo 2.500 pertiche nel 1751 pari al 13% dei coltivi.
Estensioni ridotte della coltura erano localizzate in prossimità degli aggregati rurali per lÊallevamento del bestiame necessario
a coprire il fabbisogno interno, sia a livello alimentare, latte e suoi derivati, che per la lavorazione dei campi con lÊaratro.
Come lÊaratorio, anche il prato era spesso consociato alla vite ed al gelso.
Sempre annessa agli edifici residenziali era una coltura specializzata, lÊorto, che si estendeva nel 1751 su una superficie di
122 pertiche pari allo 0,6 % del territorio destinata a salire allo 0,7% nel 1858. LÊesigua estensione della coltura nel panorama
agricolo locale è motivata da un utilizzo esclusivamente limitato al fabbisogno familiare.
LÊelevatissima estensione dei terreni classificati quali „vitati‰ alla metà del XVIII secolo, pari al 64% del territorio,
ulteriormente incrementata nel secolo successivo sino ad interessare il 70% dei coltivi, parrebbe indicare una fiorente
produzione vinicola. Bisogna peraltro considerare che la coltura della vite era allÊepoca sempre consociata. In assenza di dati
atti a stabilire il numero di piante messe a coltura, come invece avvenne per i gelsi, risulta impossibile quantificare la reale
produzione di vino. La carenza dei dati catastali al riguardo è peraltro indicativa della scarsa commercializzazione del prodotto,
che non forniva quindi una rendita tassabile. La promiscuità della coltura ed il conseguente basso rendimento, conferma lÊuso
familiare che si faceva del prodotto. La qualità scadente di un vino a bassa gradazione alcolica, e quindi conservabile non oltre
lÊanno, non consentiva la sua commercializzazione.
La coltura che rivestiva il maggior interesse nellÊeconomia locale era il gelso che raggiungeva unÊestensione di 12.319 pertiche
pari al 64 % dei terreni coltivati. Nel 1751 furono censite 3.715 piante. Già allÊepoca, lÊalta redditività aveva indotto i rilevatori
a censire ogni singola pianta al fine di una corretta ripartizione del carico fiscale. A Cernusco la coltura ebbe una diffusione
capillare sul territorio andando ad alimentare la fiorente industria relativa alla produzione della seta.
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Il territorio
L’agricoltura biologica
LÊagricoltura che ancora si pratica sul territorio di Cernusco è molto cambiata da quella storica. LÊedificazione ha invaso ampie
fasce di terreni agricoli salvaguardando solo lembi di territorio, insufficienti per le colture estensive. Qui si sono sviluppate
attività orticole e florovivaistiche estremamente raffinate che caratterizzano il territorio agricolo locale.
I terreni interessati allÊagricoltura biologica sono prevalentemente localizzati ad est, verso Bussero. Il metodo utilizzato
permette di ottenere alimenti con tecniche che salvaguardino la salute dellÊuomo, il benessere animale e lÊambiente Si tratta
di un metodo codificato dallÊUnione Europea (Regolamento CEE 2092/91) le cui norme tutelano il consumatore e il
produttore. Il regolamento comunitario si applica ai prodotti vegetali e animali, ma anche agli alimenti trasformati (conserve,
salse, formaggi) e addirittura ai mangimi per animali.
LÊetimologia del termine „biologia‰ deriva da due parole greche: bios (vita) e logos (scienza). Biologica significa quindi
ritorno alla natura contrapponendosi allÊuso indiscriminato di concimi e sostanze chimiche per le colture. LÊobiettivo storico
dellÊagricoltura biologica è stato da sempre „produrre tanto da sfamare le popolazioni‰. AllÊinizio del Novecento, i progressi
dellÊindustria chimica portarono alla produzione di sostanze utili per combattere le malattie delle piante, sterminare gli insetti
dannosi, eliminare le piante infestanti. I pesticidi erano considerati sostanze miracolose.
Ben presto emersero i pericoli di un uso indiscriminato dei prodotti chimici, tanto che già negli anni Venti due ricercatori
posero le basi dellÊagricoltura biologica. LÊagronomo inglese Sir Albert Howard contrapponeva lÊuso di sostanze organiche
degradate (compost) ottenendo risultati analoghi, ma senza danneggiare lÊambiente. Nel 1924 un altro scienziato, lÊaustriaco
Rudolf Steiner descriveva tecniche e principi spirituali dellÊagricoltura biodinamica dando spazio allÊuso di sostanze
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organiche, ma mettendo anche in rilievo lÊinfluenza delle forze cosmiche e astrali sulla crescita delle piante e sui ritmi biologici.
I parametri dellÊagricoltura bio sono ora ben definiti: per fertilizzare si usano concimi organici (letame, sovesci), contro i
parassiti si mandano i loro nemici naturali (insetti, uccelli), per difendersi dalle infestanti si usa la rotazione delle colture.
Sul territorio di Cernusco operano diverse aziende bio. Tra le prime, lÊAzienda Agricola Corbari ha iniziato la sua attività alla
fine degli anni Settanta sui terreni posti in prossimità della cascina Imperiale. Ma ascoltiamo dalle parole del proprietario,
Antonio Corbari, la storia di questa azienda „...nata si può dire dal nulla. Prima il terreno era stato coltivato per 20 anni a
monocoltura di mais. Io non ho solo cambiato il tipo di produzione, ma ho fatto in modo di cambiare lÊaspetto del terreno.
Ho piantato alberi autoctoni, arbusti, siepi, anche fiori... Ho voluto creare dei miniambienti con le loro peculiarità: lo stagno
con le anatre e i cigni, i pezzi di terra lasciati con erbe e fiori selvatici, la zona degli alveari. Si, perché le api sono necessarie
per impollinare. E questo è il vero modo di fare agricoltura biologica‰. LÊazienda è diventata biologica nel 1987, ma con
caratteristiche particolari, come tiene a precisare Antonio. „LÊagricoltura biologica non significa solo non usare i pesticidi.
Bisogna anche riuscire ad assecondare la natura, intervenendo su di essa il minimo indispensabile, con leggerezza. La natura
è in grado di difendersi da sola. Se in un ambiente cÊè biodiversità, ci saranno anche insetti utili che predano quelli nocivi.
Insomma, gli equilibri naturali vanno rispettati e ricreati. Questo è il vero „orto biologico‰. Lo dico sempre ai miei allievi‰.
LÊazienda Corbari è un ecosistema dove batteri, uccelli, insetti, alghe mantengono il terreno sano, in grado di fornire
prodotti genuini. LÊagricoltura biologica è unÊagricoltura della vita, una tecnica che permette di coltivare mantenendo, a volte
addirittura ricreando, gli equilibri naturali dellÊambiente.
Le risorse alimentari delle nostre campagne erano nellÊOttocento molto limitate. I contadini, allÊalba, consumavano la pulta,
una farina di cereali poveri condita con brodo dÊossi. Il pranzo, nei campi, consisteva in cipolle crude e pane di mistura, cotto
una volta al mese, con vino crodello, ottenuto dalla spremitura degli acini caduti. La sera veniva servita zuppa di verdura (rape
o verze) e un pezzo di formaggio. Solo a metà Seicento venne introdotto il mais, dai Balcani, da cui il nome di „grano turco‰
che i contadini tuttora chiamano melgun (grosso miglio).
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Il territorio
I giardini storici perduti
La sequenza delle antiche ville, in una straordinaria concentrazione, assume un ruolo determinante nel paesaggio locale
caratterizzandolo in un progetto paesistico globale.
Il più importante giardino locale, progettato in sintonia con villa Alari dallo stesso architetto Giovanni Ruggeri, è andato
perduto, ma è ben documentato da una dettagliata descrizione e da quattro incisioni realizzate da MarcÊAntonio Dal Re nel 1743.
Il giardino Alari costituiva un esempio significativo del tipo „alla francese‰ per la presenza di tutti quegli elementi distintivi
della tradizione topiaria italiana mediata dallÊinfluenza francese che trovarono massima diffusione in ambito lombardo grazie
anche alla pubblicazione del trattato di Dezallier DÊArgenville la cui prima edizione risale al 1709, in piena fase costruttiva
della villa Alari. I quattro parterres centrali, contornati da festoni in bosso, erano decorati con piante fiorite – tulipani, giacinti,
narcisi, viole, ciclamini, primule – con funzione puramente pittorica.
Gli spazi verdi, destinati al riposo e al soggiorno della famiglia, erano collegati alle stanze private della villa mediante un
giardino pensile cui si accedeva dallo splendido rondò assiale al gruppo scultoreo, confine del giardino che peraltro si
prolungava visivamente con i lunghi assi prospettici. Il rondò simmetrico conduceva al teatro allÊaperto e alla „Peschiera‰
posta verso il canale, su un livello ribassato. Quattro scalinate scendevano fino allo specchio dÊacqua, il maggiore tra quelli
lombardi, tanto che vi si girava in barca e vennero dati spettacoli di danza su pontoni e naumachie.
Di grande suggestione dovevano essere i giochi dÊacqua di questo giardino con la fontana monumentale posta sullÊasse
principale del complesso, tra la villa e lÊapprodo sul canale, e, come traguardo, il lungo cannocchiale prospettico oltre il Naviglio.
Alimentava i giochi dÊacqua una roggia che un tempo scorreva lungo il lato meridionale della via Cavour. Il giardino
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MarcÊAntonio Dal Re, Veduta verso il Naviglio del Palazzo del Sig. Conte Allario in Cernusco, 1743
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era interamente percorso da „passeggi ombrosi‰ riferisce il Dal Re alludendo alle monumentali carpinate con campate
coperte a padiglione.
Il diffondersi dallÊInghilterra della moda del giardino „romantico‰ determinò la distruzione di questo come di molti altri
giardini. Nel 1813 Luigi Villoresi, il noto specialista che aveva operato nel parco di Monza, realizzò la sistemazione
allÊinglese del giardino Alari. Alcune fotografie dÊepoca e una descrizione del 1887 consentono la ricostruzione, seppur
sommaria, dellÊintervento. Soppressi lÊapprodo e la balaustra monumentale lungo il Naviglio, lo spazio antistante la villa
divenne un grande prato attraversato da viali ad andamento curvo. La settecentesca peschiera fu sostituita da un lago dal
perimetro naturale lungo cui vennero piantati salici piangenti, essenza tipica dei giardini allÊinglese. Qui la vegetazione
sÊinfittiva creando una barriera verde. Ben poco rimane anche del secondo giardino storico, sacrificato alle esigenze
ospedaliere dellÊarea e alla più recente conversione ad uso pubblico.
Analoga sorte coinvolse due giardini contigui: lÊappendice verso il canale del parco di Antonio Greppi e il giardino di villa
Rovida, Carini, anchÊesso con struttura allÊitaliana e approdo sul Naviglio.
Il parco Greppi è accuratamente descritto in un documento stilato nellÊagosto 1771 e da una planimetria (1800) conservata
nellÊArchivio dellÊOspedale Maggiore di Milano. La villa vi appare interamente isolata dal borgo tramite diversi giardini.
Quello di levante si estendeva sino allÊemiciclo chiuso dalle cancellate poste in fregio alla via Fatebenefratelli. Da qui un
asse fendeva la campagna in una sconfinata prospettiva, fondale della monumentale fontana azionata mediante la torre
dellÊacqua che tuttora svetta sulla via Cavour.
Su piazza Unità dÊItalia insisteva il giardino degli „erbaggi‰ delimitato ad ovest dai due cortili dei rustici (demoliti).
A meridione il giardino arrivava sino alla via Cavour. SullÊarea ora occupata dalla Biblioteca civica era posto il teatro che aveva
per scena unÊesedra di sempreverdi. Grandi vasi di agrumi sottolineavano le campiture geometriche dei parterres, tipiche
dei giardini alla francese. A metà Ottocento anche questo parco fu trasformato allÊinglese. Si salvò il ninfeo della Fortuna,
traguardo della prospettiva che, attraverso le due cancellate affrontate, giungeva al naviglio. Pubblicato dal Bascapè (1962)
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il ninfeo venne demolito insieme ai rustici. Il giardino si prolungava oltre la via Cavour dove era lo „sbarco fatto a scalinata‰
sul naviglio, il „padiglione per uso deÊ bagni, e di piacere‰ e la darsena.
Ben poco rimane dei giardini storici delle ville ordinatamente allineati lungo il canale ed ora inglobati in un indistinto
spazio pubblico.
Il conte Alfonso Visconti di Saliceto nel giardino di villa Alari
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Il territorio
Il parco di Ambrogio Uboldo
Il diffondersi dallÊInghilterra della moda del giardino „romantico‰ fu favorito dai nuovi ideali libertari dellÊIlluminismo che
individuavano nella libertà politica dellÊuomo quella delle forze spontanee della natura sacrificate, nel giardino allÊitaliana,
alla volontà forgiatrice dellÊuomo. In Lombardia la fortuna del giardino romantico fu sostenuta a partire dal 1764 da Pietro
Verri che nel suo scritto Le delizie della Villa afferma: „sembra opera libera della natura quello che è lÊultimo raffinamento
dellÊarte‰, dove lÊartifizio è impiegato a simulare la spontaneità naturale.
Il parco Uboldo costituisce un esempio molto precoce in Italia di giardino romantico – nel 1808 la sua costruzione era già
avviata – tanto da costituire un modello in Lombardia. Il lotto di terreno pianeggiante mal si adattava alla trasformazione, ma
venne abilmente modificato: la terra di scavo del laghetto andò a formare unÊaltura interamente percorsa da camminamenti ad
imitazione di grotte naturali.
Elemento qualificante del giardino rimane il Naviglio nei suoi aspetti naturali, visivi, prospettici. In prossimità del ponte
dellÊAssunta, le sue acque sono convogliate in un canale artificiale che si snoda per lÊintera estensione del parco formando
il lago. AllÊestremità orientale è posto il tempio di Diana: pareti e volte sono ricoperte di tufo e conchiglie marine su cui si
diffonde una luminescenza mobile di notevole fascino.
La vegetazione venne disposta a macchie dallÊirregolarità attentamente studiata per dilatare illusionisticamente lo spazio,
mentre la spianata erbosa antistante la villa era funzionale allÊapertura di un cannocchiale visivo dal Naviglio, ora occluso
dalla fitta piantumazione. Un secondo cannocchiale, diagonale, si apre tuttora sulla villa dal ponte dellÊAssunta, in tangenza
alla fronte della finta chiesa: qui avrebbe dovuto aprirsi lÊingresso principale, mai realizzato. Al suo posto rimane il muro di
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cinta in ceppo rustico che simula le rovine di un castello con torre e camminamento merlato, forse riuso di strutture fortificate
medievali. La cinta si salda ad una finta facciata di chiesa in stile gotico lombardo concepita come fondale architettonico di
supporto alle sculture dÊepoca murate in calcolato disordine. Sopra il portale, una lapide indica il 1816 quale data di realizzazione.
Il giardino era il museo allÊaperto della collezione di Ambrogio Uboldo: sculture e frammenti architettonici furono abilmente
inseriti in scenari ambientali di ispirazione medievale. Lungo il muro di confine orientale in ceppo rustico vennero murate
lapidi e colonne entro cui si inseriva una collezione omogenea di targhe araldiche in pietra di famiglie lombarde databili tra la
Il Tempio della Notte
posto allÊinterno delle grotte
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fine del XVI e gli inizi del XVII secolo provenienti dalla fronte del Palazzo di Giustizia di Milano. Le opere di maggior pregio
erano murate sulla facciata della finta chiesa, alcune provenienti da importanti edifici sacri milanesi. Le sculture sono state in
gran parte trafugate a fine dicembre 1999. Rimangono, a tramandarne il ricordo, le cavità in cui sÊinserivano.
Lungo la via Uboldo, una porta murata alla base di unÊaltura evidenzia la presenza di un sistema di grotte. Sul portale
dÊaccesso una data: 1817, ricorda forse lÊapertura delle grotte. Alla sommità una lapide riporta unÊiscrizione minacciosa:
Sempre allÊentrare aperto allÊuscir chiuso, un verso della „Gerusalemme Liberata‰ di Torquato Tasso. Gallerie rivestite di
tufo, a tratti illuminate da fasci di luce provenienti dalle fessure delle volte, conducono al Tempio della Notte, unÊampia sala
coperta da una volta emisferica che ricorda nella struttura a nicchie e colonne binate il Pantheon romano.
Recentemente sono stati fatti studi su questa tipologia di architettura dei giardini, peraltro molto rara. Ad oggi si conoscono
solo due esempi in Lombardia: il Tenpio della notte di Cernusco, quello di villa Finzi di Gorla. Il significato simbolico della
loro struttura risiede nel concetto che lÊuomo è parte dellÊuniverso e quindi si mette in una posizione dÊascolto, di dialogo
con la natura. Tali studi hanno anche fatto emergere come i proprietari fossero esponenti della Massoneria che qui tenevano
i loro riti. A Cernusco lÊapertura nella volta è laterale per cui la luce penetrava in modo studiato in determinati momenti del
giorno o dellÊanno nellÊambiente utilizzato per le cerimonie. La professoressa Breda, studiosa della tipologia, asserisce che
„dai risultati archeoastronomici ottenuti è possibile riscontrare un possibile allineamento solare‰. La tipologia, e in particolare
lÊesempio di Cernusco, merita di studi più approfonditi anche in relazione al fondatore del complesso.
Ritornando al giardino, alcuni elementi sono andati perduti con la costruzione del nuovo padiglione ospedaliero come il curioso
ponte del diavolo. La tradizione popolare era solita attribuire al diavolo la costruzione di ponti arditi in cambio dellÊanima della
prima persona che lÊavrebbe attraversato. Oltre il ponte, si giungeva alla capanna boschereccia o del Cervo, indi alla casina di
Angelica e Medoro, manifesto richiamo allÊ„Orlando Furioso‰.
Il mistero del giardino è nellÊatmosfera che ancora si respira percorrendone i sentieri solitari nonostante le mutilazioni inferte,
nonostante i furti perpetrati negli anni.
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(Ghezzi, 1911)
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( Fermini, 1933)
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(Fermini, 1933)
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Il territorio
I parchi pubblici
A Cernusco lÊAmministrazione municipale ha da tempo avviato una politica di acquisizione di aree da destinare a verde
pubblico. Già nel PRG del 1985 si evidenziavano aree destinate ad un grande parco comprensoriale sovracomunale
mantenendo sempre il vincolo sulle aree ad esso destinate. Il progetto, nato quale recupero delle aree interessate da
escavazione poste lungo il versante settentrionale del territorio comunale, fu condiviso dai comuni limitrofi (Brugherio,
Carugate, Cologno Monzese).
I terreni di formazione alluvionale, come il nostro, sono costituiti di ghiaia e sabbia stratificati in profondità. LÊampio utilizzo
di questi materiali in edilizia ha determinato lÊapertura di diverse cave a partire dagli anni Sessanta, alcune recuperate, altre
lasciate in abbandono come quella che si estende alle spalle della cascina Gaggiolo.
La cava Merlini gravitava sui terreni nord-orientali del territorio, terreni gradualmente ceduti al Comune dopo lÊescavazione
ed il ripristino a parco effettuato dallo stesso operatore. Il parco degli Aironi, inaugurato il 17 maggio 2003 si sviluppa su
80.000 mq. di terreno posti attorno ad un lago attrezzato per la pesca sportiva. Le sponde scendono a gradoni verso il filo
dellÊacqua, ricoperte da una lussureggiante vegetazione al cui riparo nidificano aironi, anatre selvatiche, fagiani. ˚ stata segnalata
anche la presenza di alcune volpi. La sorveglianza del parco è stata affidata a due associazioni: il club Pescatori e gli Scout.
Poco discosta, verso ovest, si estende unÊarea naturalistica di notevole interesse in corrispondenza del fontanile Lodi, lÊunico
sul territorio. Il suo tracciato compare con grande evidenza nelle mappe catastali sette-ottocentesche. La pressione della
falda faceva sgorgare acqua sorgiva in corrispondenza della testa del fontanile, acqua che veniva canalizzata ed utilizzata
per usi agricoli, ma anche domestici. In prossimità della testa del fontanile andò ad insediarsi la cascina San Maurizio,
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una delle più antiche. Più tardi, lungo il percorso, vennero edificate le cascine Visconta e Fontanile che tuttora mantengono,
lungo il canale, gli antichi lavatoi e la successione degli orti che i contadini coltivavano per soddisfare il fabbisogno familiare.
LÊabbassamento della falda ha interrotto il fenomeno di cui rimangono intatti i tracciati, ormai asciutti. LÊumidità del
microclima ha favorito lo sviluppo di un bosco sulla testa del fontanile che ancora permane, seppur assediato dalla recente
urbanizzazione della zona.
LÊarea verde più interessante ai fini sportivi è la fascia posta a meridione del Naviglio, recupero dellÊantica alzaia che correva,
senza soluzione di continuità, da Milano a Trezzo sullÊAdda. Tra il 1994 e il 1998 lÊarea, degradata dallÊabbandono, è stata
bonificata ed attrezzata con piste ciclo-pedonali e „percorso vita‰, con il contributo della Provincia di Milano. A presidio del parco
dei Germani sono sorti lÊOsservatorio astronomico, la sede dellÊAssociazione Canoa Fluviale e la Baita degli Alpini coi loro punti
di ristoro. Il parco più frequentato del territorio si estende sullÊaltro versante del Naviglio ed è nato da un accordo di programma
coi Fatebenefratelli che mettevano a disposizione dellÊAmministrazione comunale di Cernusco unÊarea di 174.000 mq
attestata lungo la sponda destra, in pieno centro urbano e in corrispondenza di due fermate della linea 2 della MM.
LÊarea verde è interamente cintata: due ponti mobili in ferro, uno girevole e lÊaltro levatoio, collegano le due sponde
del canale andando a costituire le porte dÊingresso da sud. Il parco non aveva infatti soltanto una semplicistica destinazione
a verde attrezzato. Le sue valenze storico-artistiche e la sua particolare localizzazione ne potevano fare un Museo diffuso sul
territorio, unÊarea „attrezzata dalla Storia‰ che qui ha lasciato segni tangibili con una serie di „permanenze‰ che sono retaggio
del nostro passato.
Le numerose acquisizioni di aree al patrimonio pubblico hanno consentito a Cernusco di fregiarsi del titolo di Comune più
verde della Provincia di Milano con 600.000 mq di verde pubblico comunale fruibile. Non bisogna peraltro dimenticare il
verde privato che, oltre ai numerosi giardini delle ville locali, annovera lÊestensione del campo di golf del „Molinetto Country
Club‰ sorto nel 1982 sul fondo agricolo della cascina Molinetto recuperata per farne la club House. Complessivamente verde
pubblico e privato ammontano a 1.300.000 mq con unÊestensione procapite di circa 40 mq.
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I luoghi
dell ’attivita’ agricola
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I luoghi dell ’attivita’ agricola
LÊarchitettura rurale è strettamente connessa alle modalità di vita e allÊambiente che lÊopera dellÊuomo ha saputo trasformare
mediante una gestione tesa allo sfruttamento di tutte le risorse. ˚ unÊarchitettura „spontanea‰ caratterizzata da unÊaltissima
valenza funzionale, è „la divina bellezza della semplicità‰.
Nelle tipologie rurali lo stretto legame a sistemi di vita in lentissima trasformazione ha determinato fenomeni evolutivi
più statici con una ripetitività delle strutture che rende spesso problematica lÊattribuzione temporale. A lungo considerata
unÊarchitettura „minore‰, tale pregiudizio venne superato solo nel nostro secolo con la nascita del funzionalismo che seppe
cogliere gli aspetti di estrema modernità insiti nellÊedilizia rurale.
LÊevoluzione degli schemi tipologici della cascina è legata alla morfologia del territorio su cui è localizzata, alle
infrastrutture di servizio – strade, canali, rogge – al clima, sino agli stessi uomini che vi lavorano formando una comunità
con caratteri organizzativi e formali di tipo industriale.
Tutti gli elementi della cascina vivevano in rapporto simbiotico tra loro e col territorio circostante, rapporto che, avviato
dagli ordini monastici, raggiunse lÊapice grazie alla politica ducale. Lo stesso Leonardo si dedicò allo studio di opere
idrauliche, di bonifica e di organizzazione agricola, studi che sperimentò nei pressi di Vigevano, alla Sforzesca, su incarico di
Lodovico il Moro. Per il suo ambizioso progetto agrario il duca acquisì grandi appezzamenti di terreno su cui fece costruire
dal veneziano Ermolao Barbaro mulini e cascine. LÊarticolato complesso rurale suscitò grande ammirazione tra il seguito
di Luigi XII durante lÊinvasione francese. Agli effetti dellÊinsediamento delle cascine notevole importanza ha avuto lo scavo
dei Navigli, a partire dalla fine del XV secolo vie privilegiate di comunicazione e trasporto, oltre a prezioza fonte idrica.
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La cascina Gaggiolo, 1979 A nord di Cernusco, un rialzamento del limite dei fontanili determinava un tempo lÊaffioramento delle acque che scorrevano
sul territorio comunale con andamento nord-sud. Il fontanile di Cernusco sgorgava in prossimità del complesso rurale di
San Maurizio andando poi a lambire le cascine Visconta e Fontanile. La mappa catastale del 1721 ben visualizza le 27 cascine
del territorio ed il rapporto che legava lÊagglomerato urbano di Cernusco ai suoi nuclei insediativi, legame ora spezzato dallÊintensa
edificazione e che ha determinato la necessità di infrastrutture territoriali. NellÊOttocento, nuove cascine di modeste
dimensioni si addensarono in prossimità dellÊabitato:
la cascina Lupa (distrutta) lungo il viale Assunta e
le cascine Francesca, Scirea e Battiloca.
La tipica cascina lombarda è caratterizzata da un
impianto planivolumetrico organizzato attorno ad
unÊampia corte quadrata o rettangolare delimitata
da corpi di fabbrica con destinazioni dÊuso
estremamente diversificate: dalle residenze rurali
con alloggi individuali per ogni nucleo familiare,
alle stalle con fienile soprastante disposte in modo
da garantire lÊaerazione, ai depositi porticati per il
rimessaggio di carri e attrezzi agricoli.
Oltre alle funzioni residenziali, la cascina era
centro di prima trasformazione dei prodotti agricoli quali la raccolta, la lavorazione, lÊessicazione e lÊammasso delle
granaglie. LÊassetto planimetrico si organizzava attorno ad una grande corte di cui non va sottovalutato il ruolo sociale
di spazio comunitario, dÊincontro e ritrovo. Nelle cascine più antiche è esplicito il riferimento alla tipologia castellana
nella torre posta a difesa dellÊunico ingresso e nella scarsità di aperture, come appare nella cascina Imperiale.
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Cadute le necessità di carattere difensivo contro le bande di predoni adusi alla razzia dei raccolti, e non solo in tempo La cascina Imperiale, 1979
di guerra, la cascina iniziò, a partire dal Cinquecento, ad aprirsi verso lo spazio circostante. LÊimpianto poteva anche
ampliarsi attorno a più cortili in conseguenza dello sviluppo dellÊazienda agricola, come avvenne alla cascina Imperiale o
a Ronco. Particolare è invece la situazione di Castellana, Torriana, Gaggiolo dove il duplice cortile va collegato alla
presenza dellÊedificio colto, vera e propria villa dotata di una corte dÊonore indipendente dallÊattività agricola e di un giardino
privato. Soltanto dal XVII secolo la residenza
signorile iniziò a distinguersi nettamente dai rustici.
LÊoratorio privato, usuale nelle ville-cascina,
era caratterizzato da una semplice e ricorrente
organizzazione spaziale dettata dalle Istruzioni
impartite da S. Carlo per avere il placet della Curia.
In ambito locale sono dotate di oratorio le cascine
Imperiale, Castellana, Torriana, Olearia e Gaggiolo.
Anche gli aggregati rurali di Ronco e Colcellate
erano un tempo dotati di un oratorio proprio per
sopperire alla notevole distanza dalla parrocchiale.
La distanza costituiva il requisito indispensabile
per ottenere la licenza edilizia, come pure lÊuso
allargato dellÊedificio sacro che doveva aprirsi verso lo spazio pubblico. Estremamente diversificata appare la tipologia
rurale in ambito locale costituendo un patrimonio edilizio insospettato, di cui è andato perduto lÊambiente a cui si rapportava.
Il legame profondo tra uomo e natura faceva convivere in un contesto armonico il lavoro della terra e lÊambiente. Un rapporto
che lÊincremento demografico, lo sviluppo industriale, la rete delle infrastrutture stanno sempre più mettendo in pericolo.
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I luoghi dell ’attivita’ agricola
Cascina Imperiale
Fino alla metà dellÊOttocento la cascina si stagliava solitaria sulla piatta distesa di campi nellÊestremo lembo settentrionale
del territorio di Cernusco. Ampie distese di frumento e mais su cui, allÊimprovviso, prendeva forma una torre quadrata,
passante, a difesa dellÊunico accesso alla corte rurale. Un portale carraio a tutto sesto decorato da un motivo a scacchiera in
cotto e, sopra, una targa marmorea: lo stemma dei Castelsampietro.
LÊaristocratica famiglia milanese aveva proprietà in Cernusco documentate a partire dal XVI secolo. Nel 1721 la possessione,
intestata ad Alessandro, si estendeva su 1.397 pertiche e, oltre allÊImperiale, comprendeva le cascine Castellana, Torriana
de la Cruz e Visconta. La proprietà Castelsampietro sulla cascina Imperiale è antecedente il 29 novembre 1617, data della
divisione dei beni di famiglia tra i fratelli. La cascina è peraltro molto più antica come attesta lÊoriginaria struttura a corte
chiusa dÊorigine feudale. La prima citazione del complesso compare in una descrizione del feudo di Melzo datata 18 maggio
1526 quale entità amministrativamente autonoma. Pochi anni più tardi, nel 1558, in un elenco dei proprietari dei terreni della
cascina compare Evangelista Imperiale di Milano coi fratelli, famiglia che potrebbe aver dato il nome al complesso rurale.
La datazione, anteriore al 1526, va anticipata sulla base degli elementi decorativi della torre quali le eleganti profilature in cotto
del portale, a scacchiera, e della monofora di facciata, a torciglione, ascrivibili al repertorio ornamentale lombardo dei secoli
XIV e XV. La mappa catastale di Carlo VI (1721), prima rappresentazione grafica, conferma le ipotesi sulla struttura a corte
chiusa. Accanto compare lÊoratorio di San Bernardino la cui prima notizia storica risale al 1643, nei documenti della Visita
pastorale alla pieve di Vimercate effettuata dal cardinale Cesare Monti. Le precedenti Visite pastorali non fanno alcuna menzione
dellÊoratorio, neppure quella del 1598. LÊedificio sacro, edificato quindi nei prini decenni del XVII secolo, dipende tuttora dalla
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