Le dimore patrizie
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Le dimore patrizie
Profondo è il nesso che collega lÊarchitettura della villa al paesaggio ed al territorio. Nella sua accezione tipicamente
milanese, la villa va considerata innanzitutto centro della gestione del territorio agricolo. Le ville erano infatti abitate
dallÊaristocrazia milanese nei mesi in cui il ciclo agricolo era più produttivo. Del fondo rustico ormai rimane solo il ricordo;
della villa, nella migliore delle ipotesi, la funzione residenziale.
La gestione del fondo era lÊattività principale, cadenzata da tutta una ritualità del „vivere in campagna‰ largamente
codificata dalla letteratura storica: lÊozio operoso, le feste, le battute di caccia, le reciproche visite. Il nobile possidente, pur
da una posizione privilegiata, conviveva col borgo senza peraltro dominarlo. I rapporti si intrecciavano grazie allo scambio di
prodotti agricoli e manufatti durante fiere e mercati.
La tipologia della villa ebbe grande sviluppo nel mondo romano cui seguì una totale eclissi determinata dal sorgere di
necessità difensive. La tipologia egemone diventò, per ben sette secoli, il castello o la casa fortificata. Solo nel Trecento
si avviò un processo di rivalutazione della campagna che portò alla rinascita della villa grazie anche alla rielaborazione
umanistica delle fonti classiche.
I primi segni del fenomeno si registrarono in Toscana con la costruzione delle ville medicee. Nel Ducato degli Sforza la
tipologia iniziò a diffondersi nella seconda metà del Quattrocento interessando prima gli immediati dintorni di Milano, poi
zone sempre più lontane con casini di caccia collegati a fondi agricoli o ad aree boschive.
Tra gli esempi prossimi a Cernusco, la bicocca degli Arcimboldi e il casino di caccia Borromeo ad Oreno, sulle cui pareti
ancora palpita la vita che li animava. Nei cicli pittorici tardo gotici che ancora permangono riviviamo i giochi di società,
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Leonardo, Dama con lÊermellino, gli svaghi allÊaria aperta, le cacce di palude e quella allÊorso. Agli inizi del
ca 1490 Cinquecento il gusto si orientò verso la cultura di Roma: il Raffaello della
Farnesina divenne il modello da seguire. Si diffuse così lÊuso dello stucco e
soprattutto della grottesca. Un interessante esempio è la Gallerana (1480-1506) di
Carugate. Il semplice impianto a blocco su due piani con portico ancora decentrato
e totale assenza dellÊornato contrasta con la sontuosa decorazione pittorica.
Due sale, coperte con volte a stella e ad ombrello, presentano decorazioni a
grottesche con figure antropomorfe e zoomorfe allusive dei fasti della famiglia
Gallerani. La decorazione fu commissionata nel terzo decennio del Cinquecento
da Galeazzo, fratello di quella Cecilia Gallerani ritratta da Leonardo nella Dama
con lÊermellino.
Superata la crisi degli anni Trenta segnati da epidemie, carestie, saccheggi, la
seconda metà del secolo fu caratterizzata dallÊesplosione delle infeudazioni.
Il mercato dei feudi fu una necessità per il governo spagnolo che doveva far fronte
alle ingenti spese militari e lo fece sfruttando la vanità di ricchi mercanti
desiderosi del titolo nobiliare. Aggirando le disposizioni in merito, i nuovi nobili proseguirono a praticare le attività venali i
cui proventi venivano investiti in terreni agricoli ed immobili.
Nel corso del XVI secolo si consolidano le caratteristiche della villa lombarda quale sede della gestione agricola, ma anche
luogo di riposo e di studi favoriti dalla lontananza dalla città. Tale molteplicità di significati è ben evidenziata nella villa
detta la „Pelucca‰ a Sesto San Giovanni edificata tra il 1518 e il 1524 su progetto dello stesso proprietario, Girolamo Rabia.
La decorazione pittorica si deve invece a Bernardino Luini con temi dedicati alla natura agreste dellÊedificio.
La situazione politica era peraltro foriera di grossi rivolgimenti. Con la morte di Francesco II Sforza (1535) lo Stato di Milano
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venne risucchiato nellÊorbita spagnola. Nel 1546 divenne Governatore di Milano Ferrante Gonzaga cui si deve la realizzazione
di una splendida villa suburbana: la „Simonetta‰ progettata dallÊarchitetto siciliano Domenico Giunti. La trattatistica inizia
a codificare le caratteristiche tipologiche della villa. Nel suo trattato di architettura, Pellegrino Tibaldi affronta le tematiche
funzionali e distributive, mentre Bernardo Taegio in La villa (1559) tratteggia le amenità della campagna.
Per lÊintero corso del Seicento sorsero in grande quantità ville di dignitoso livello. Progettisti furono gli stessi proprietari
dando vita ad un fenomeno tipicamente milanese, ma che ostacolò lÊaffermarsi di architetti in grado di qualificare il prodotto.
Della seconda metà del Seicento sono peraltro „alcuni esempi che costituiscono lÊanello di congiunzione tra i tentativi di
villa a corte cinquecentesca e la produzione matura firmata della prima metà del Settecento...nelle quali, abbandonando la
sperimentazione manierista, si articolano i corpi di fabbrica in modo organico secondo una gerarchia non solo funzionale, ma
anche prospettica‰ (Langè 1992).
La villa barocca, mai isolata nel microcosmo del giardino, si presentava sempre strettamente legata al centro edificato. Quasi
sempre con schema ad „U‰, o suoi multipli negli esempi maggiori, la villa si apriva con la corte dÊonore sullo spazio pubblico
del borgo originando un asse prospettico su cui si allineavano il corpo di fabbrica principale, con i saloni per le feste e la
musica, il giardino e tutta una serie di elementi decorativi quali cancellate, fontane, cannocchiali prospettici. SullÊasse
secondario la corte dÊonore si allineava con le corti rustiche dedicate allÊattività agricola e, più tardi, manufatturiera.
La precisa gerarchia spaziale della villa rifletteva quella sociale rispettando il ruolo del possidente patrizio, che raramente
lÊabitava stabilmente, come pure del personale addetto al funzionamento dellÊazienda agricola, che vi risiedava stabilmente
relazionandosi con la comunità locale.
Con la pace di Utrecht (1713) lo Stato di Milano passò dalla Spagna allÊAustria. ˚ in questo periodo di grandi riforme che
si andrà definendo il concetto di „Villa di delizia‰ codificato da MarcÊAntonio Dal Re nel suo Ville di delizia o siano Palagi
camparecci nello Stato di Milano nelle due edizioni del 1726 e 1743. Pur privilegiando lÊintento celebrativo delle famiglie
che fecero costruire le ville, la raccolta costituisce un importante strumento per lo studio dellÊevoluzione della tipologia nella
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prima metà del Settecento. Il diffondersi della nuova moda della „villeggiatura‰ fu avviato proprio a Cernusco da Giovanni
Ruggeri, architetto romano, che nel 1703, in epoca molto precoce per il fenomeno, avviò la costruzione della villa di Giacinto
Alari. SullÊonda delle grandi realizzazioni europee, le ville diventeranno sempre più importanti nelle linee architettoniche e
fastose nellÊornamentazione tanto che il nobile committente dovrà cedere la progettazione ad architetti di spicco puntualmente
annotati dal Dal Re.
A partire dal 1771 Milano visse un periodo di grandi fasti grazie a Ferdinando dÊAsburgo, quattordicesimo figlio di
Maria Teresa, divenuto Governatore e Capitano generale della Lombardia. A Milano furono celebrate le nozze tra
Ferdinando e Maria Beatrice dÊEste organizzate da Giuseppe Piermarini destinato a divenire lÊarchitetto arciducale, artefice
del rinnovamento urbanistico della città. La cronaca degli avvenimenti venne documentata da Giuseppe Parini che stilò anche
il libretto dellÊopera „Ascanio in Alba‰ composta da Mozart durante il soggiorno milanese su commissione dellÊImperatrice.
LÊarciduca necessitava di residenze adeguate al rango; si incaricò quindi il Piermarini. Come residenza cittadina si provvide
alla ristrutturazione del palazzo che era stato dei duchi di Milano, per la villeggiatura la scelta fu più complessa. LÊarchitetto
prese in considerazione diversi edifici, tra cui la villa Alari di Cernusco dove lÊarciduca e la corte villeggiarono sino al 1777.
Ferdinando aspirava ad una villa grandiosa. Dopo aver trattato lÊacquisto del Castellazzo di Bollate, delle ville Alari e Greppi
di Cernusco, spingendosi nelle ricerche sino a Bellagio, la decisione fu presa.
Il 21 luglio 1775, in una lettera al Firmian, Ferdinando sosteneva la necessità di costruire un edificio ad hoc, che si
concretizzerà diciotto mesi più tardi con la scelta di Monza. Il 17 aprile 1777 un dispaccio ne autorizza la costruzione,
a spese dellÊerario.
La villa arciducale di Monza non rispecchia le caratteristiche tipologiche del Milanese, ma rappresenta un unicum
architettonico ed ambientale. Il territorio del ducato era ancora legato alla sua funzione rurale e, nonostante la razionalizzazione
delle colture, la villa ne rimase il centro direttivo sino alla diffusione dellÊindustrializzazione.
Un discorso a parte merita la villa costruita tra il 1808 e il 1816 dal banchiere Ambrogio Uboldo a Cernusco per una funzione del
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tutto particolare: custodire le collezioni dÊarte LÊarciduca Ferdinando con la
del ricco proprietario. famiglia a Milano, 1776
Il diffondersi dellÊindustrializzazione determinò
la nascita di un nuovo ceto sociale, la borghesia,
di cui la villa liberty divenne il contrassegno del
livello sociale acquisito. La residenza individuale
con giardino privato, anche se in scala ridotta
rispetto alle dimore nobiliari, diveniva accessibile
a più larghe schiere di fruitori.
Il declino della tipologia è connesso alla
decadenza del patriziato, in particolare al venir
meno della consistenza economica necessaria
a sostenere lÊonerosa manutenzione. Le ville
storiche sono in genere sopravvissute nella
loro struttura edilizia, seppur private dei fondi
agricoli e di conseguenza della dimensione rurale. A Cernusco le tre ville maggiori hanno avuto sorte analoga: trasformate in
ospedali con interventi invasivi che ne hanno mutilato e svilito la struttura.
Le ville patrizie hanno anche consentito a molte amministrazuioni di reperire aree allÊinterno dellÊedificato da destinare a
verde pubblico, se non addirittura per costruire scuole o edifici pubblici. Si è così persa lÊopportunità di salvaguardare giardini
storici di considerevole valore sia culturale che ambientale. Caso eclatante a Cernusco è il parco di villa Greppi distrutto per
costruirvi due scuole, di cui una divenuta poi Biblioteca civica, ed aprire la piazza Unità dÊItalia. La città avrebbe oggi potuto
fruire di un parco pubblico, firmato da Giuseppe Piermarini.
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Le dimore patrizie
Villa Rovida, Gervasoni, Carini
La villa è posta in unÊarea paesistica di particolare suggestione: lungo il corso del Naviglio, in corrispondenza di un isolotto,
e poco discosta dal ponte, un tempo lÊunico che collegava il paese con la strada di impianto romano che da Milano portava
a Bergamo ed Aquileia. Il tracciato rettilineo di viale Assunta ha come traguardo settentrionale la corte dÊonore della villa.
Superato il Naviglio, la strada piega per adeguarsi alla planimetria dellÊedificio. Solitamente sono gli edifici ad inserirsi nel
reticolo viario, tale anomalia è indice della vetustà della villa che, ad una disamina superficiale, potrebbe apparire ottocentesca.
LÊanalisi tipologica e strutturale conferma peraltro tale ipotesi. La villa si sviluppa attorno ad una corte quadrata,
completamente chiusa, con una struttura compatta ed introversa. LÊunica facciata monumentale si affaccia sulla corte con un
bel portico in cinque fornici su colonne in granito. Neppure il vicino Naviglio ha condizionato le scelte progettuali, quasi la
sua costruzione fosse precedente allo scavo del canale. Su quale insediamento venne costruita la villa?
A Cernusco esisteva un castello, almeno fino al 1309. Guido Della Torre, inseguito dai Visconti, vi si rifugiò, ma del castello
non rimangono resti anche se alcuni studiosi avanzano lÊipotesi che il vicino spalto sul giardino di villa Uboldo possa essere
stato edificato coi resti del castello. Accantoniamo la suggestiva ipotesi e torniamo ad analizzare quanto concretamente rimane.
Villa Rovida è probabilmente la villa più antica di Cernusco presentando lÊimpianto tipico delle ville cinquecentesche, ancora
legate alla tipologia castellana che si andava lentamente modificando in funzione delle minori necessità difensive. LÊingresso
carraio lungo la via Cavour era evidenziato da un portale monumentale a doppio ordine dÊimpianto cinquecentesco demolito
nel 1972. Attualmente si utilizza un ingresso carraio che sÊincurva ad emiciclo sulla via IV Novembre con una cancellata
realizzata a metà Ottocento.
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La villa compare nella mappa catastale di Carlo VI (1721), ma con una planimetria più estesa verso levante comprendendo
anche un cortile dei rustici (demolito). Proprietario era il conte Antonio Cesare Rovida cui apparteneva anche in precedenza.
Nel 1708 Domenico Trezzi, console della comunità, stese una „Nota delle Case da Nobile‰ esistenti in Cernusco nel 1685 in
cui è compresa quella appartenente al conte Rovida.
La famiglia è documentata in loco già nel 1584 avendo la proprietà dei terreni annessi alle cascine San Maurizio e Increa.
Il documento attesta la vendita di tali terreni, la proprietà è quindi precedente: è probabile che la famiglia avesse anche una
residenza in loco.
Nel 1754 i Rovida erano intestatari di 790 pertiche di terreni delle possessioni Lenzuoletta e Viscontina e avevano un mulino
con due ruote denominato „Molino Novo‰, da non confondere con la ruota sul Naviglio in corrispondenza del giardino.
I conti Rovida mantennero la proprietà della villa fino al 29 ottobre 1840 quando la cedettero al conte Carlo Bertoglio. Solo
cinque anni più tardi, il 9 dicembre 1845, la proprietà passò a Nicolò Bonsignori e Vincenzo Carini. Il 15 aprile 1847, rilevò
tutto il Carini, imprenditore nel settore della seta e artefice della fortuna familiare.
A lui si devono diversi interventi sulla villa e sul giardino. Datato 18 novembre 1857 è il contratto dÊaffitto dellÊacqua del
Naviglio per il funzionamento di una ruota idraulica che serviva a portare lÊacqua alla filanda del Carini. Questa fu installata
tra la sponda del canale ed un isolotto appositamente costruito anteriormente al 1865 di cui allÊArchivio di Stato di Milano si
conserva il progetto. Vincenzo si adoperò anche a riqualificare la villa con decorazioni eclettiche molto in voga allÊepoca e
tristemente andate perdute.
I saloni al piano terreno presentavano soffitti a cassettoni dipinti e fasce sottosoffitto affrescate con motivi neobarocchi di
putti, trofei floreali, festoni vegetali, quadrature riferibili alla seconda metà dellÊOttocento. Questi sono stati sacrificati nel
cambiamento di destinazione della villa che negli anni Settanta è stata trasformata da ospedale psichiatrico femminile a Curia
provincializia Lombardo-Veneta dellÊOrdine Ospedaliero di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli). Solo nel portico rimane
la decorazione che un tempo culminava sulla volta dello scalone dÊonore dove un affresco dal curioso soggetto allegorico
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La Fama circondata dai simboli delle Arti, delle Scienze e dellÊIndustria costituiva un esplicito riferimento alle imprese
industriali di Vincenzo Carini.
Ancora a lui vanno attribuite alcune strutture in ferro sul giardino malauguratamente rimosse, ma rilevate e documentate
fotograficamente nel 1975. Una pensilina sullÊingresso e una veranda in ferro e vetro verso oriente davano brio a una facciata
troppo sobria e documentavano il diffondersi di quellÊeuforia per il progresso industriale tipica della seconda metà del XIX
secolo. Il riferimento alla Galleria Vittorio Emanuele di Milano (1865) è esplicito.
Dopo la morte di Vincenzo (1883), i figli mantennero la proprietà sino al 1919 quando la villa venne rilevata da Luigi
Gervasoni ed Angelo Maj, mentre il passaggio ai Fatebenefratelli risale al 1939.
LÊultima ristrutturazione realizzata alla fine degli anni Settanta ha stravolto le caratteristiche distributive dellÊedificio
sacrificando le decorazioni in nome di una presunta funzionalità.
La villa
in una fotografia dÊepoca
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Villa Biraghi Ferrario
LÊimpianto introverso che caratterizza la villa non è probabilmente lÊoriginale. In unÊincisione di MarcÊAntonio Dal Re (1743)
lÊedificio compare sullo sfondo di villa Alari con una struttura a blocco che tuttora permane nel corpo centrale, più rialzato
e assolutamente autonomo. Le ali, più recenti, si addossarono al corpo principale andando a chiudere alcune finestre. Anche
la relazione della villa col Naviglio, poco distante, è stata stravolta nellÊOttocento dalla costruzione di una filanda che ha
interrotto il cannocchiale visivo sul canale e sullÊantica pieve.
Il primo documento che attesti lÊesistenza della villa è la mappa del catasto teresiano (1721), ma il disegno sommario non
consente di leggere la planimetria dellÊedificio. La proprietà è invece chiaramente documentata dallÊatto di vendita datato
primo aprile 1724 con cui Giacinto Alari cedeva ai fratelli Lucio e Francesco Cotta la possessione della Torrianetta e una
„Casa da Nobile con giardino, ed altre case contigue‰ da identificarsi con la villa e i due cortili rurali adiacenti verso
settentrione. La data dellÊatto corrisponde allÊultimazione della magnifica residenza che Giacinto si stava facendo costruire
poco discosta: la vecchia magione non serviva più. Solo quindici anni più tardi Francesco Cotta rivendette la villa al conte
Carlo Galesi per una cifra inferiore a quella dÊacquisto. Il Galesi saldò quanto pattuito direttamente allÊOspedale Maggiore
di Milano, onde coprire i debiti del Cotta. Nel 1756 lo storico Francesco Saverio Quadrio, dissertando sullÊopera del pittore
Cesare Ligari, menzionava un affresco eseguito a Cernusco nella casa del „conte Galesio Segretario di Stato‰. Della „vasta
Prospettiva‰ non rimane traccia visibile, ma la notizia è indicativa del censo del committente e del suo gusto artistico.
Alla morte di Carlo Galesi, lÊedificio passò a Cristoforo Carenzi Galesi insieme alla possessione Visconta.
Dal primo maggio 1772 al 21 luglio 1778 Cristoforo si trovò nella condizione di dover affittare la villa per ospitare la corte di
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Ferdinando dÊAsburgo, e con grave danno per le finanze di famiglia. LÊaffitto, con canone annuo di lire imperiali 700, venne
corrisposto saltuariamente, come risulta dai solleciti di pagamento protrattisi sino al 1780. Anche questa villa, come lÊAlari e
la Greppi, entrò nelle infruttuose trattative per la vendita allÊarciduca.
Il 23 marzo 1791 villa e possessione furono rilevate da Francesco Werich. LÊatto di vendita presenta in allegato accurati
inventari dei mobili, degli arredi e dei quadri. Dal documento si evince la presenza di una cappella dedicata alla Sacra
Famigla. Il Werich, nato a Praga nel 1749, era dotato di un cospicuo patrimonio e fu benefattore dei Luoghi Pii Elemosinieri
e dellÊOspedale Maggiore di Milano nella cui quadreria è conservato un ritratto. Alla sua morte, avvenuta a Milano nel
1816, la villa venne ereditata dai fratelli Pedretti; nellÊatto di divisione dei beni (1825), compare un altro prezioso inventario
che descrive minuziosamente le caratteristiche distributive sia del corpo centrale che delle ali: il complesso aveva assunto
lÊattuale conformazione. Nel 1903 la villa apparteneva a Marianna Pedretti, passò poi alla famiglia Biraghi ai cui discendenti
tuttora appartiene. LÊedificio è abitato dai proprietari che ne hanno gelosamente preservato le originarie caratteristiche e la
destinazione residenziale. La villa sÊinserisce nel tessuto dellÊantico borgo, seppur isolandosi. LÊingresso principale si apriva sulla
via Cavour con una coppia di pilastri barocchi che sorreggono la cancellata dÊaccesso al giardino. Impostata su un unico asse
di simmetria normale al Naviglio, la parte signorile emerge nettamente per la maggiore elevazione e per i partiti decorativi che
ne scandiscono i prospetti. La facciata principale prospetta sul giardino, ma un tempo la visuale arrivava sino al Naviglio.
LÊarticolazione delle masse è alleggerita dallÊinserimento del portico trabeato e dal soprastante balconcino in ferro battuto.
Più sobria si presenta la facciata sul cortile che piacevolmente contrasta con le sagome mistilinee del bel balcone barocco e della
scalinata sottostante. In posizione leggermente rialzata si aprono i saloni passanti coperti da soffitti a cassettoni dipinti a tempera
con decorazioni „a passasotto‰. Le caratteristiche distributive ed ornamentali consentono di datare la villa al tardo Seicento.
Ancora più tarda appare la decorazione del salottino estesa sulle pareti con medaglioni che incorniciano dipinti e specchi.
Ben inserita nel nucleo settecentesco del paese che gravita sulla via Cavour e sul Naviglio, villa Biraghi Ferrario costituisce
un esempio interessante di dimora signorile di campagna di epoca barocca.
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Le dimore patrizie
Villa Alari, Visconti di Saliceto
Villa „dÊarchitettura magnifica, e dÊottimo gusto‰. La definizione si deve a MarcÊAntonio Dal Re che nellÊedizione del 1743
del suo Ville di delizia tratteggia le caratteristiche architettoniche ed ambientali del complesso. Precisa inoltre la scelta della
località „in sito assai fertile e dÊaria temperata‰ e le attrattive turistiche del „luogo assai frequentato da nobili e arricchito di
belle fabbriche⁄ e con il comodo del canale atto alla navigazione in ogni tempo sicura e deliziosa‰.
Fondatore della villa fu Giacinto Alari nato a Como nel 1668 da Giambattista Alari e dalla sua seconda moglie, Livia Taroni,
comasca. La famiglia Alari, dÊorigine piemontese, è documentata in Cernusco dal 1697, ma risiedeva a Milano in un palazzo
sito in via Santa Maria Fulcorina, andato distrutto. Giacinto fu lÊartefice della fortuna familiare, grazie anche alla brillante
carriera costellata dÊincarichi pubblici di rilievo. Nel 1702 fu nominato Commissario Generale delle Munizioni dello Stato di
Milano e nel 1705 Luogo Tenente del Corriere Maggiore. Dal matrimonio con Teresa Gariboldi nacquero, nel 1702, Francesco
e, nel 1708, Saulo. Seguirono Giuseppe, che abbracciò la carriera ecclesiastica, Livia che sposò Giuseppe Truccato, e alcune
figlie che si fecero religiose.
Nel 1721 Giacinto era proprietario delle cascine Olearia, Parolina, Tarona e Torrianetta e dei fondi agricoli di pertinenza
che assommavano a 1780 pertiche, ma i possedimenti terrieri si estendevano anche sui comuni limitrofi, in particolare sui
territori di Vimodrone, Moncucco di Brugherio e Cologno Monzese, ammontando, alla metà del XVIII secolo, a 20.500
pertiche milanesi. Giacinto coronò la sua ascesa sociale nel 1731 col conferimento del titolo di conte appoggiato al feudo di
Tribiano concessogli da Carlo VI.
A Giacinto mancava peraltro una villa di campagna degna del rango nobiliare cui aspirava, da qui la decisione della nuova
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fabbrica, cui sovrintese un giovane architetto romano, Giovanni Ruggeri (1665-1729), giunto in Lombardia al seguito di Carlo
Fontana. ˚ sempre il Dal Re ad indicare il nome dellÊarchitetto alla sua prima impegnativa esperienza che a Cernusco lascerà
il prototipo della „Villa di delizia‰ su cui modellerà le residenze dellÊaristocrazia milanese.
LÊ11 aprile 1702 Giacinto acquistò un terreno di 103 pertiche adiacente sia al borgo che al canale, e subito ebbe inizio
la costruzione che si concluse nel 1719 grazie ad unÊéquipe di pittori, decoratori, stuccatori, mosaicisti, artigiani del
ferro, che lÊarchitetto Ruggeri aveva assoldato e che abilmente guidava per giungere ad un linguaggio fortemente unitario.
La straordinaria omogeneità stilistica era un tempo sottolineata dagli arredi e dalla quadreria appositamente realizzati ed
andati malauguratamente dispersi.
Il tradizionale impianto ad „U‰ si smaterializzava nelle trasparenze del corpo centrale e nei delicati passaggi chiaroscurali
di portici e logge. I giochi dÊacqua del giardino dovevano accentuare il fenomeno di evanescenza della massa muraria che si
perdeva nei lunghi cannocchiali prospettici che un tempo fendevano la campagna circostante.
La villa fu interamente decorata intorno al 1723 dai principali frescanti del Ducato, tra cui Giovan Angelo Borroni,
comprimario del Tiepolo nel palazzo Clerici di Milano. Al piano terreno un ampio portico immette nella sala della musica,
con volta decorata da unÊAllegoria con le quattro stagioni riferibile a Pietro Maggi e sovraporte a quadrature. Uno scalone
dÊonore di grande respiro, con splendida balaustra in pietra e ferro battuto, collega i due piani della villa. Sulla volta Francesco
Fabbrica affrescò Ercole accolto nellÊOlimpo, un episodio mitologico che allude alla scalata sociale del fondatore, Giacinto
Alari. Dalla grande galleria decorata sul tema del Trionfo delle Arti, si accede al salone da ballo sviluppato su una doppia
altezza con una raffinatissina decorazione che, dalla volta affrescata con il Trionfo di Apollo di Giovan Angelo Borroni,
scende lungo le pareti con lesene a finti marmi, monocromi con Strumenti musicali, sovraporte, sovrafinestre e trompe-lÊoeil
che simulano logge per i musici.
La cappella gentilizia, posta in uno dei due avancorpi sulla via Cavour, si organizza su una pianta ottagonale allungata che
sÊincunea nel presbiterio. I due ambienti, coperti da cupole ellittiche, sono caratterizzati da decorazioni molto differenti
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riproponendo peraltro le due tecniche che si succedono allÊinterno della villa: lÊaffresco e lo stucco dorato. Gli stucchi del
presbiterio, ad intrecci lineari con stesure piatte, fanno da cornice alla splendida ancòna in marmi policromi che racchiude
la pala dÊaltare raffigurante La Madonna col Bambino e i SS. Anna, Giuseppe, Teresa, Giacinto di Salvatore Bianchi
(1653-1727). La cupola dellÊaula è invece affrescata con la Gloria dei SS. Teresa e Giacinto di Francesco Fabbrica.
A livello iconografico, lÊaffresco celebra il fondatore della villa comparendo San Giacinto attorniato dai patroni dei famigliari
e della moglie Teresa. La villa si considera conclusa nel 1725, anno della benedizione della cappella.
LÊimportante quadreria era ricca di dipinti del Crivellone, di Francesco Londonio, di Enrico Albricci, cui si devono le
Bambocciate che decoravano il „Quartierino dei nani‰ con mobili in miniatura.
Alla morte del fondatore Giacinto (1753), la villa fu ereditata dal terzo figlio, il canonico Giuseppe e dai due nipoti: Francesco,
nato a Como da Francesco e Livia Fossati, e Agostino Saulo, nato da Saulo e Maria Teresa Brockenhausen.
Giuseppe e i due nipoti, allÊapice della fortuna economica, furono costretti, per ragioni di opportunità politica e diplomatica,
a cedere la villa ed altre case in Cernusco a Ferdinando dÊAsburgo, Governatore della Lombardia austriaca.
Cernusco era allÊepoca il più prestigioso centro di villeggiatura dei Navigli e, già nella primavera del 1771, Giuseppe
Piermarini, architetto dellÊArciduca, insieme a Michele Pacassi, appositamente mandato da Vienna alla ricerca di una residenza
idonea, decisero per la villa Alari. A memoria del soggiorno della corte a Cernusco rimangono alcuni cenni nellÊepistolario
tra Pietro ed Alessandro Verri. Il lustro che ne venne a Cernusco e alla villa non ricompensò la famiglia Alari. Da qui iniziò
un tracollo finanziario che appare evidente dalla lettura dei dati catastali; nel 1831 i fondi agricoli di pertinenza delle cinque
cascine erano infatti scesi da 3406 pertiche a 901.
Tra il 1775 e il 1776 furono intavolate trattative per lÊacquisto della villa da parte dellÊArciduca; di esse rimane una
dettagliata descrizione del complesso spedita a Vienna. La cifra richiesta – 44.000 gigliati per la villa e 9.000 per gli arredi –
fu considerata eccessiva dallÊimperatrice madre.
In questi anni intestatario della villa e dei fondi agricoli era Saulo, nato nel 1778 da Agostino Saulo e Cristina Langosco.
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Il ritratto di Saulo a cavallo del pittore Filippo Bellati (1813) ricorda lÊultimo della stirpe, come pure il monumento funebre
apposto dalla vedova nella cappella.
A lui si devono alcuni interventi di adeguamento della villa al nuovo gusto Impero, quali gli ornati naturalistici con
raffigurazioni di cani e uccelli in una sala del piano terreno. LÊintervento più pesante fu peraltro la distruzione
del giardino alla francese sostituito
da un parco allÊinglese realizzato nel
1813 dallÊarchitetto Luigi Villoresi.
Alla morte di Saulo (1831) la
famiglia Alari si estinse. La vedova,
Marianna San Martino della Motta
(1796-1890) sposò qualche anno
più tardi il conte Ercole Visconti di
Saliceto, portando in dote la villa e i
fondi agricoli annessi.
Marianna ebbe un figlio dal secondo
marito, Alfonso, nato a Milano nel
1838. Ercole, e soprattutto il figlio
Alfonso, dimostrarono grande
attaccamento alla villa e sÊimpegnarono a preservarne lÊarredo originale, eliminando le sovrapposizioni neoclassiche.
A Cernusco venne portata la biblioteca e lÊarchivio di famiglia e fu incrementata la già notevole collezione di dipinti. Alcuni
articoli apparsi su riviste specializzate dÊinizio Novecento e una raccolta di fotografie (1910) documentano la fortuna della
villa, compiuta testimonianza dellÊarte Rococò.
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Alfonso Visconti di Saliceto sposò Emilia, contessa Dal Verme (1839-1865), ma il matrimonio ebbe breve durata. Alfonso
rimase infatti vedovo a soli 27 anni e con una bambina di due, Valentina, ma non si risposò. Uomo colto ed eccentrico,
fu poeta, fotografo, appassionato di ciclismo. Alfonso seguiva personalmente i fondi agricoli: alla cascina Torrianetta fece
costruire case rurali modello per cui venne premiato dalla „Società Agraria di Lombardia‰. Fu socio della prestigiosa „Società
Storica Lombarda‰ e Consigliere a
Brera, cui intendeva lasciare la villa
per farne un museo del Settecento,
ma il sogno non si avverò.
LÊunica figlia Valentina, nubile, alla
morte di Alfonso (1924), si adoperò
nella gestione delle attività di famiglia.
Impegnata nel sociale, fece parte
del Consiglio dÊAmministrazione
dellÊOspedale Uboldo e dellÊAsilo
Sorre, fu Presidente del „Comitato
Assistenza civile‰ che confezionava
indumenti da inviare ai soldati al
fronte. Intensa fu anche la sua attività
culturale: mecenate sensibile, aiutò negli studi artisti promettenti, quali il pittore e incisore Vico Viganò.
Anche la dinastia Visconti di Saliceto era destinata ad estinguersi. Alla morte di Valentina (1944) gli arredi, la quadreria e la
biblioteca andarono dispersi, mentre il prezioso archivio di famiglia fu versato al „Civico Archivio Storico‰ che ha sede al
Castello Sforzesco.
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La villa, già acquistata dal barone Pizzini, un cugino di Valentina, fu poi da questi ceduta nel 1948 allÊOrdine Ospedaliero
di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli) che la utilizzò quale Ospedale psichiatrico. Nel 2007 la villa, nella sua parte
monumentale, è entrata nel patrimonio del Comune di Cernusco, mentre i cortili dei rustici, ristrutturati, sono stati venduti a
privati. Chiuso e senza una destinazione, lÊedificio sta rapidamente degradando e tristemente contrasta con le sue stesse parti
riqualificate. La villa costituisce un grande patrimonio storico-culturale, e non solo locale, che meriterebbe un attento recupero
ed un utilizzo consono.
Salvatore Bianchi, pala dÊaltare dellÊoratorio della villa
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Le dimore patrizie
Villa Biancani, Greppi
La villa sorge più arretrata rispetto al Naviglio da cui è separata dalla via Cavour. Venne edificata su un preesistente edificio
documentato nel 1685 quale proprietà di Antonio Biancani e delineato nel catasto teresiano (1721) con dimensioni modeste.
La riedificazione della villa è legata ad un personaggio curioso, dotato di una sorprendente abilità negli affari che gli permise
di arrivare alle più alte cariche. Giulio Antonio Biancani nacque a Milano nel 1699 mentre il padre Pietro era rinchiuso nel
Castello, denunciato dal genitore per frenare la vita dissipata che conduceva. Pietro rientrò nei ranghi divenendo banchiere e
prodigandosi ad aumentare il patrimonio familiare con una sorprendente abilità che trasmise al figlio, insieme ad unÊinsidiosa
propensione al rischio.
A soli ventÊanni Giulio Antonio divenne segretario del Senato. Sposò Marianna Lomazzi, una nobile orfana e ricchissima.
Alla morte del padre (1732) ereditò un grande patrimonio investito in vantaggiose imprese commerciali. Abile speculatore,
seppe approfittare di una situazione politica favorevole agli investimenti. Assicuratosi i favori del Governo austriaco, ebbe
lÊassegnazione dellÊappalto delle munizioni per lÊesercito imperiale. Ottenne la Ferma del sale per il Ducato, poi per il
Mantovano, le imprese della mercanzia e del tabacco. Il Biancani riusciva ad aggiudicarsi gli appalti grazie alle condizioni
molto generose che offriva alla Camera, ma i rischi a cui si esponeva erano enormi.
Giulio Antonio aspirava a divenire nobile: nel 1733 acquistò il titolo di conte appoggiato ai feudi di Azzate e Dobbiate, un
palazzo in città e le ville di Cernusco e SantÊAngelo Lodigiano. Uomo colto, poeta dilettante, amante delle lettere e delle arti,
frequentava i salotti culturali di Milano, tra cui quello della contessa Borromeo del Grillo.
In questi anni Giulio Antonio maturò lÊidea della riedificazione della villa di Cernusco da collocarsi tra il 1732,
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morte del padre, e il 1743, data di unÊincisione di MarcÊAntonio Dal Re dove lÊedificio è delineato sullo sfondo della villa
Alari con lÊattuale assetto.
Per meglio sfruttare il lotto a disposizione, la villa fu impostata su un asse di simmetria est-ovest su cui si allineano lÊesedra
dÊingresso su via Tizzoni, la corte dÊonore, il corpo trasversale della villa e il giardino chiuso da unÊesedra cancellata. LÊasse
prospettico un tempo proseguiva oltre il giardino, inoltrandosi nella campagna. Elemento qualificante del sistema è il portico
passante che svuota la massa dellÊedificio senza interrompere la visuale prospettica. Sorretto da colonne binate in granito, il
portico presenta un elegante disegno a serliana dÊispirazione manierista.
I partiti decorativi della villa del Biancani dovevano essere differenti dagli attuali adeguandosi a quello stile denominato
„Barocchetto teresiano‰ allÊepoca imperante. Alcune tracce sono emerse durante il restauro degli anni Settanta. Sotto lÊintonaco
sono apparse cornici alle finestre di disegno barocco e un frammento di cornicione a gola rovescia. Nulla rimane degli
splendidi interni: dispersi gli arredi, perduti nella quasi totalità gli affreschi.
Rimane peraltro il nome di un pittore: Gaetano Dardanone (1688-1757) considerato „celebre‰ dalla critica coeva (Latuada,
1738) e recentemente riscoperto. Formatosi a Milano, il Dardanone si trasferì in Emilia guardando al Correggio. Sposò
Teresa Bellotti, figlia di artisti, che gli spianò i rapporti con molti pittori, tanto che padrino di battesimo di uno dei dieci figli fu
Giovan Angelo Borroni. Era il 1737: il Dardanone lavorava probabilmente in villa e, solo una decina dÊanni prima, il Borroni
aveva realizzato in villa Alari la raffinata decorazione della sala da ballo.
Pochissime sono le opere rimaste di Gaetano Dardanone, caratterizzate da „un morbido e pittorico correggismo‰ (Arslan,
1970). Gli affreschi di Cernusco avrebbero costituito un interessante termine di confronto con quelli della villa Alari. Le poche
decorazioni rimaste nella ex cappella al piano nobile (oggi ufficio del Sindaco) non sono attribuibili al Dardanone. Si tratta di
quadrature architettoniche e tralci floreali riferibili alla prima metà del XVIII secolo.
Al culmine della sua ascesa sociale, Giulio Antonio fece un errore che lo portò alla perdita di tutto, anche della vita,
per ambizione. Divenuto conte, iniziò a desiderare la carica di questore nel Magistrato ordinario che „comprerà‰ da
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La facciata sul giardino in una Maria Teresa grazie allÊintercessione del
fotografia dÊepoca conte di Traun. I membri del Senato erano
contrari e gli resero la vita difficile
impedendogli quelle manovre commerciali
che un tempo gli erano abituali.
Accusato di irregolarità amministrative e
di alto tradimento per lÊaiuto prestato agli
spagnoli fu condannato a morte da Maria
Teresa e giustiziato il 24 novembre 1746 a
Milano, in Porta Tosa, con una cerimonia
pubblica degna del suo rango. Il Biancani
aveva usato il malcostume affaristico come di
una tecnica finanziaria assolutamente legale
da cui maturò la necessità di una radicale riforma nel settore finanziario e nellÊamministrazione statale.
Tutti i beni furono confiscati, tra questi la villa di Cernusco che andò allÊasta. Il 21 aprile 1752 il fermiere Antonio deÊ Pecis
se la aggiudicò, ma dovette rispondere anche dei debiti contratti dal Biancani tra cui quello con Gaetano Dardanone di mille
lire „a saldo delle pitture fatte nella Casa da Nobile di Cernusco‰.
Nel 1769 rilevò la villa Antonio Greppi, personaggio di spicco nella Lombardia austriaca. La famiglia apparteneva alla
piccola nobiltà bergamasca, di origini mercantili, legata al commercio allÊingrosso di lane e tessuti. Antonio nacque il
4 febbraio 1722 a Cazzano San Andrea, nella bergamasca Val Gandino, dove la famiglia era proprietaria di immobili
dalla prima metà del Cinquecento. Iniziò occupandosi con successo dellÊimpresa di famiglia. A soli 27 anni gli fu affidato
lÊappalto della Ferma Generale che gestì per ventÊanni (1750-1770) accumulando unÊingente fortuna e divenendo „lÊuomo
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indispensabile dellÊamministrazione austriaca‰ (P. Verri). Il legame con gli Asburgo si consolidò a partire dal 1771, con
lÊarrivo a Milano dellÊarcivescovo Ferdinando. Dietro le quinte, il Greppi mise discretamente al servizio della corona il suo
prestigio e le disponibilità economiche. Proprio in questi anni Antonio assunse uno stile di vita più consono al rango nobiliare
investendo in grandi tenute terriere. Acquistò le ville di Monticello Brianza, di Cernusco, di Lainate e, nel ducato di Modena
e Reggio, il castello di Galliavola e la tenuta di Santa Vittoria.
Il Greppi fu mercante, imprenditore, banchiere, ma anche uomo di cultura. Fu amico e protettore di artisti e letterati tra cui
Giacomo Casanova, Giuseppe Parini, Pietro Metastasio. Dalla moglie, Donna Laura Cotta, nobile bergamasca, ebbe cinque
figli maschi: don Giuseppe, sacerdote e canonico della cattedrale di Bergamo; il conte Marco, consigliere di Sua Maestà
e membro della Regia Camera dei Conti; don Giacomo, Cavaliere della Corona di Ferro; don Alessandro, missionario;
don Paolo, banchiere, Console Imperiale e decano del Corpo consolare a Cadice. Ancora adolescenti, Marco e Giacomo
furono mandati a completare la loro formazione di mercanti a Vienna e a San Pietroburgo.
In società coi figli aprì „Case‰ commerciali nelle più importanti città europee. Con Marco aprì ad Amsterdam, primario
scalo commerciale per i prodotti coloniali importati dalle due Compagnie delle Indie. Da Oriente arrivavano spezie; dalle
colonie americane tabacco, cacao, zucchero, caffè, cocciniglia e indaco per la tintura delle stoffe. Col figlio Giacomo aprì ad
Amburgo, sulla foce del fiume Elba, importante per i manufatti ed il commercio dei cereali. La Casa Greppi trattava sete e
telerie in compartecipazione con la società spagnola gestita dal figlio Paolo per lÊinvio nelle colonie americane. La Casa di
Cadice, gestita da Paolo dal 1769 al 1799, importava dalle Americhe prodotti coloniali, ma anche argento, ed esportava prodotti
italiani (vino, olio, olive, ferro, acciaio, chiodi). Ma i due maggiori affari riguardarono la fornitura di lastre di rame alla Marina
spagnola e di mercurio utilizzato nelle miniere americane per lÊestrazione dellÊargento. I particolari delle molteplici attività
commerciali della famiglia Greppi sono recentemente emersi dalle 80 mila lettere del carteggio tra Antonio e i figli conservate
nellÊArchivio di Stato di Milano.
Per i suoi meriti di fine diplomatico, nel 1778 lÊImperatrice Maria Teresa lo insignì del titolo di conte di Bussero e Corneliano
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ed il 30 agosto 1780 del prestigioso Ordine di Santo Stefano dÊUngheria. Appena rilevata la villa, il Greppi si adoperò al fine
di acquisire i terreni contigui per ampliare il giardino. Il 27 settembre 1770 comprò dalla contessa Antonia Sola alcune case
rurali che fece demolire per realizzare il viale dÊaccesso al Naviglio.
I lavori promossi dal Greppi si protrassero sino al 1776. Il consuntivo delle spese sostenute evidenzia la costruzione delle due
cancellate affrontate sulla via Cavour, avviata nel 1771. LÊintervento del Piermarini nel „rammodernamento‰ della villa,
documentato da Pietro Verri in una lettera al fratello Alessandro (14 settembre 1776), fa riferimento ad un disegno
dellÊarchitetto, mai rinvenuto. LÊattribuzione è stata recentemente confermata (Stolfi, 1996) sulla base di una lettera
(10 maggio 1771) del fattore Pirola a Greppi rinvenuta allÊArchivio di Stato di Milano. Il disegno citato è probabilmente il
rilievo mandato a Vienna, ma lÊarchitetto realizzò anche elementi decorativi ed edifici accessori. Più dettagliate sono le lettere
successive che relazionano sullÊavanzamento dei lavori attinenti al giardino ideati e diretti dal Piermarini sino ad ottobre 1771.
LÊ8 ottobre il capomastro Crippa scrive al Greppi in merito a problemi tecnici nella realizzazione della fontana. Il referente
diventa „lÊingegnere Croci‰ citato anche nelle lettere successive per lavori interni alla villa.
AllÊepoca Piermarini era preso a seguire i lavori alle residenze arciducali di Milano e per lÊorganizzazione delle nozze dellÊarciduca.
Il Greppi incaricò quindi Francesco Croce, architetto di fama che aveva peraltro già lavorato in villa su commissione del
precedente proprietario, il deÊ Pecis. Nel carteggio si cita anche un altro artista, il „signor Galeari‰ identificabile in uno dei
fratelli Galliari, pittori e scenografi teatrali. A Fabrizio la critica recente attribuisce le cancellate sulla via Cavour. La raffinata
correzione prospettica delle cancellate non complanari rispetto alla via Cavour sono invenzione di uno scenografo tardo barocco.
Al Piermarini va peraltro ascritto il rifacimento in pietra dei pilastri realizzati quattro anni prima, frettolosamente, in cotto.
Nel 1779 il Greppi assunse un nuovo indirizzo nella gestione del patrimonio familiare. Acquistò proprietà terriere in
Lomellina attuando un progressivo disimpegno dei capitali dallÊattività commerciale verso quella agricola gestendola con
capacità imprenditoriale. Nel 1796, Antonio abbandonò Milano per non sottomettersi a Napoleone. Fedele allÊAustria, si
stabilì nella sua tenuta preferita, Santa Vittoria, dove morì il 22 luglio 1799.
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I beni di Cernusco furono ereditati dal figlio Marco e nel 1831 risultano proprietà della vedova Margherita Opizzoni La facciata sulla corte dÊonore
intestataria di 1389 pertiche della possessione Colcellate e di numerosi immobili. Al declino patrimoniale seguì nel 1848 la in una fotografia dÊepoca
vendita della villa a Giuseppe Tizzoni. Pochi anni più tardi Luigi Tizzoni la donò allÊOspedale Uboldo che la cederà nel 1886
allÊOspedale Maggiore di Milano.
Nel 1955 lÊOspedale Maggiore decise la dismissione del „cronicario‰, ma si attivò a portarsi via un ricordo: gli affreschi che
intendeva riutilizzare negli Uffici della Segreteria Generale della sede milanese. Due di questi sono stati ritrovati nel 2005
nei depositi della „CaÊ Granda‰ in uno stato di notevole degrado. Gli affreschi ricoprivano le volte di due ambienti e sono
probabilmente riferibile ai lavori di sistemazione intrapresi da Antonio Greppi tra il 1771 e il 1776. Uno dei due affreschi,
restaurato nel 2009, è ritornato in villa Greppi.
Negli anni bui del suo utilizzo come succursale ospedaliera e nel successivo periodo di dismissione in attesa di
destinazione dopo lÊacquisto da parte del
Comune (1961) la villa fu ridotta in uno
stato di grande degrado. I restauri, conclusi
nel 1978, hanno recuperato lÊassetto esterno,
mentre lÊinterno è stato ristrutturato per
essere adibito ad uffici comunali. Sono
andati irrimediabilmente perduti lÊapparato
decorativo e gli arredi fatti realizzare
appositamente dal Greppi e che avrebbero
costituito una significativa testimonianza
del trapasso dal gusto barocchetto al
neoclassicismo.
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Le dimore patrizie
Villa Uboldo
Ultima ad inserirsi nello sky-line di Cernusco, la villa è strettamente correlata al fondatore: Ambrogio Uboldo. Nato a Milano
nel 1785, Ambrogio apparteneva ad una famiglia di banchieri ed esercitò lui stesso tale attività. Uomo erudito ed amante
dÊarte, fu consigliere dellÊAccademia di Brera e collezionista, tanto che nel 1838 lÊImperatore dÊAustria lo creò nobile di
Villareggio per le benemerenze culturali ed assistenziali.
La famiglia Uboldo possedeva terreni e case a Cernusco almeno dal 1748, ma si deve ad Ambrogio la costruzione della villa
e del giardino realizzati tra il 1808 e il 1816 per aiutare economicamente la popolazione di Cernusco provata dalla carestia e
dal colera, come attestano due iscrizioni.
Progettista del complesso fu Carillo Rougier, nato a Milano nel 1775, amico e cugino del committente da cui fu orientato e
diretto. Figura quasi sconosciuta nel panorama dei professionisti milanesi, il Rougier si formò allÊAccademia di Brera, sotto
la direzione di Leopoldo Pollack che ne forgiò il gusto.
Villa Uboldo si rifà alla milanese villa Belgiojoso del Pollack riprendendo uno schema tipologico che si andava allÊepoca
affermando con lÊabbinamento della villa neoclassica al giardino „romantico‰ allÊinglese. La vasta documentazione conservata
nellÊarchivio dellÊOspedale Uboldo e nellÊarchivio municipale consente di ricostruire le fasi progettuali del complesso
nato per soddisfare specifiche esigenze del committente. Il palazzo di famiglia, sito in via Pantano a Milano, era divenuto
insufficiente a custodire le collezioni dellÊUboldo, ormai tanto vaste da necessitare di una nuova sede. La villa ed il parco di
Cernusco furono quindi concepiti come scenario espositivo.
Della villa neoclassica, organizzata attorno ad un cortile chiuso, rimane solo lÊimpianto generale e la facciata meridionale
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„Ospitale‰ Uboldo caratterizzata, nel partito centrale, da un pronao colonnato di gusto classico. Alla sommità è posto un frontone in cui
in una fotografia del 1909 campeggia lo stemma dellÊUboldo con due vittorie alate collocate solo dopo il 1838, anno del conferimento del titolo nobiliare.
La conversione ad uso ospedaliero ne ha stravolto la
tipologia salvando unicamente tre ambienti centrali che
si affacciano sul parco. Tra le sale di rappresentanza sono
andate perdute la „Sala chinese‰ con otto quadri sul tema,
quella del biliardo e la „Sala rotonda‰ citate nel testamento.
I tre saloni presentano decorazioni coeve alla costruzione.
La sala ovest è affrescata con episodi mitologici ed
Allegorie delle Arti e delle Scienze. ˚ lÊunica che conservi
anche parte degli arredi costituiti da un bel camino in
marmo sormontato dalla sua specchiera. Verso est è una
sala con volta affrescata con motivi pompeiani. Il salone
principale, ora inagibile per il crollo di parte della volta,
presenta sovraporte affrescate raffiguranti Divinità
mitologiche e, sulla volta, coppie di Danzatrici e
Suonatrici in medaglie sagomate. ˚ qui adottata la pittura
a monocromo che imita il rilievo, tecnica peraltro molto
diffusa nel periodo neoclassico.
Ambrogio Uboldo era noto nellÊambiente milanese quale
collezionista. Le sue raccolte di armi, dipinti, sculture,
persino di oggetti, sono descritte nel testamento. Il pittore
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più noto, Francesco Hayez, era rappresentato da tre opere. Altri maestrri lombardi presenti erano Andrea Appiani, Angelo La villa
Inganni, i Bisi, i Migliara. Tra gli scultori ricordiamo Pompeo Marchesi ed Enrico Emanueli autore della statua a in una cartolina del 1909
SantÊAmbrogio (1864) sita in giardino. LÊartista più rappresentato era Giuseppe Sogni, amico del mecenate ed autore, tra
lÊaltro, di due ritratti di Ambrogio Uboldo tuttora conservati nella villa: uno in uniforme dellÊordine del Santo Sepolcro sullo
sfondo della villa (1854), il secondo vestito col costume dellÊOrdine Imperiale della Corona Ferrea. UnÊattenta ricostruzione
delle collezioni si deve a Simonetta Coppa (1980).
Ambrogio Uboldo, celibe e senza prole, decise di nominare erede universale il nipote Giuseppe Tebaldi (Testamento 15
agosto 1854). Ma nel 1859 la prematura morte del giovane sconvolse i progetti dellÊUboldo, come si evince dal testamento
definitivo in cui è espressa la volontà di
insediare nella villa un „Ospedale dei Poveri‰
lasciando i terreni delle possessioni Molinetto
e Melghera, oltre ad una dote in soldi, per il
mantenimento dellÊIstituzione.
Alla sua morte (1865) la villa fu trasformata
ad uso ospedaliero con grave danno per le sue
caratteristiche tipologiche. LÊampliamento degli
anni Sessanta ha inoltre svilito il contesto
mutilando lo splendido parco. Le difficoltà
economiche sopraggiunte in merito alla
gestione dellÊOspedale determinarono la vendita
(1867) degli arredi e delle collezioni dellÊUboldo
disperdendo un patrimonio di grande pregio.
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Le dimore patrizie
Ville Liberty
Tra Otto e Novecento si diffuse un tutta Europa il Modernismo, stile che conferì alle città un volto moderno superando
lÊeclettismo ottocentesco. Il nuovo stile prese differenti denominazioni nei vari paesi: Art Nouveau in Francia, Jugendstil in
Germania, Liberty in Italia. QuestÊultimo era il nome di una ditta inglese di oggetti dÊarte del nuovo gusto che aveva aperto
un negozio a Milano, in Galleria.
Il Modernismo coinvolse tutte le categorie del costume: dallÊarchitettura allÊarredamento, dalla moda allÊornamento personale
divenendo la moda della borghesia emergente. La tematica naturalistica, la morfologia impostata sulla curva e gli andamenti
sinuosi, le tinte fredde stese in piatte campiture furono caratteri costanti come i materiali inconsueti e le novità tecniche
diffuse dalle grandi Esposizioni universali di Parigi (1900), Torino (1902), Milano (1906) e dalla stampa specialistica, quale
la rivista „Emporium‰ fondata nel 1895.
Fu la borghesia imprenditoriale milanese di fine secolo a promuovere lo sviluppo industriale che, a sua volta, portò
allÊedificazione di interi quartieri residenziali. Anche Cernusco ebbe il suo momento Liberty che si focalizzò su unÊarea non
ancora edificata, lungo un asse viario che proprio in questi anni assunse un ruolo di primaria importanza: via dellÊAssunta.
La linea tranviaria Milano-Vaprio, aperta nel 1878, fermava alla stazione di Cernusco posta in corrispondenza dello sbocco
del viale sulla strada statale.
Lungo via dellÊAssunta si insediarono, nei primi anni del Novecento, numerosi edifici residenziali sulle cui facciate,
ordinatamente allineate lungo il versante occidentale, comparvero decorazioni floreali, ferri battuti dalle linee sinuose, vetrate
e piastrelle policrome. Tra i nuovi materiali del Liberty milanese, il più curioso era il cemento utilizzato come economico
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Villa Ghezzi nel 1920 surrogato della pietra.
I committenti erano esponenti della
borghesia locale, lÊarchitetto più
richiesto Andrea Fermini, nato a
Cernusco nel 1868. La famiglia
Fermini, residente nella villa Melzi
della cascina Ronco a partire dal 1789,
annoverò diversi artisti. Ambrogio
(1811-1888) fu pittore di paesaggio
realizzando vedute dei giardini delle
residenze nobiliari dellÊepoca. Andrea
esercitò la professione di architetto
nella Milano del periodo Liberty con
studio professionale in via Panfilo Castaldi, 41. Morì a Cernusco il 22 gennaio 1951.
Tra le opere milanesi le più interessanti sono in via Pisacane: al n. 16 casa Balzarini (1902) è connotata da una decorazione a
grandi foglie di ippocastano, mentre ai nn. 18-20 casa Cambiaghi (1902) è caratterizzata dal motivo del pavone che dischiude
la coda a formare il timpano delle finestre. LÊiconografia, tipica dello Jugendstil, era stata già ripresa a Milano dal Sommaruga
a palazzo Castiglioni, ma nella decorazione interna. Al Fermini si deve anche casa Vignati (1910) in via Vallazze 74 mentre
sono a lui attribuite casa Viganò (1889) in via Ponte Seveso 11 e la casa in piazza Bacone 8.
Ritornando alle opere lasciate a Cernusco, tutte lungo viale Assunta, ricordiamo villa Fermini, al n. 4, ancora eclettica e villa
Lucia, al n. 8 di gusto classicheggiante. Sono le prime opere del Fermini progettate ad inizio carriera (1900) per i famigliari.
Più tarde due ville tra loro contigue realizzate tra il 1910 e il 1920. Al civico 26 è posta la villa realizzata per Giovanni Bestetti,
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imprenditore edile locale. La villa è Villa Ghezzi nel 1920
ordinatamente scompartita da lesene e
da una cornice orizzontale. Nei riquadri
si aprono le finestre decorate con belle
cimase floreali.
Al civico 30 è posta villa Ghezzi, la più
interessante tra le ville locali del Fermini.
I sobri cementi decorativi che incorniciano
le finestre danno per contrasto risalto
ai bei ferri battuti a motivi floreali della
balaustra dellÊimportante scalinata e
del soprastante balcone. Le facciate,
scandite da lesene un tempo sottolineate
dalla decorazione, erano concluse in alto da un fregio a festone, leggermente rilevato sullÊintonaco. Il fregio, a decori con
andamenti lineari sinuosi, è andato perduto, ma è documentato da due fotografie storiche. La recente ristrutturazione ha
pesantemente trasformato la villa alterando anche le tinteggiature: il color granata delle fronti che ben contrastava col grigio
fumo dei ferri battuti è diventato un banale rosa. Accanto alla villa una casa dÊabitazione a carattere economico presenta solo
in facciata un apparato decorativo Liberty, seppur minimale, mentre sul retro si organizza quale casa di ringhiera.
Lungo il viale si insediarono in quegli anni altre case dÊabitazione analoghe. LÊultima costruzione del viale, al n. 154,
è nuovamente una villa fatta edificare dalla famiglia Lucioni in fregio alla statale con decorazioni floreali molto leggere.
Il Liberty della provincia, pur gradevole, fu uno stile solo epidermico che non apportò novità in termini spaziali movimentando
unicamente i prospetti grazie allÊapparato decorativo.
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I cortili:
tessuto connettivo
del borgo
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I cortili
Il centro urbano di Cernusco è caratterizzato dalla presenza di edifici a carattere monumentale: ville e palazzi sorti nei secoli
XVII e XVIII quali residenze estive di aristocratici milanesi. Gli esempi maggiori sono tuttora affiancati da unÊedilizia storica
popolare di case di ringhiera i cui ballatoi si affacciano sui cortili interni.
La forma della città, anche a Cernusco, discende dallÊassemblaggio di tipi edilizi strettamente correlati alla proprietà e alla
destinazione dÊuso. Gli edifici vengono sostituiti, ma le strade spesso mantengono gli originali tracciati per cui la forma della
città mantiene caratteri più antichi rispetto al profilo edilizio.
Le mappe catastali ottocentesche tracciano un quadro del borgo di Cernusco non ancora segnato dagli interventi del secolo
scorso. Il compatto nucleo urbano si organizzava attorno alla piazza „della Chiesa‰ (ora Matteotti) verso cui convergevano
strade dai tracciati irregolari. ˚ la Cernusco medievale che emerge dalla conformazione dei lotti, dalla planimetria della
piazza, uno slargo, spazio pubblico dove aveva la sua sede il potere religioso. Il tipo edilizio costituitosi dalla suddivisione
del suolo della città medievale è un lotto lungo e molto stretto, con andamento normale allÊasse viario. LÊedilizia residenziale
coincideva col luogo di lavoro. A piano terra, verso strada si aprivano le botteghe, accanto lÊandrone dÊingresso che immetteva
al vano scale e alla cucina affacciata sulla corte dove erano posti il pozzo e i servizi. Al primo piano si aprivano due camere
e, più sopra, la soffitta-sottotetto. Il tipo a lotto lungo costituiva il modulo elementare del tessuto urbano medievale di cui
rimangono a Cernusco significativi esempi
Lo scavo del Naviglio ebbe effetti positivi sullo sviluppo socio-economico del borgo creando i presupposti che fecero di
Cernusco un rinomato centro di villeggiatura. LÊassetto urbanistico si modificò grazie allÊinsediamento di numerose ville
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lungo il canale e di palazzi nel nucleo urbano. I nuovi edifici per assumere strutture più complesse del modulo elementare
non potranno che raddoppiare, dando origine alla tipologia „a palazzetto‰ con cortile laterale, o triplicare e oltre per il palazzo
organizzato attorno ad un ampio cortile centrale e dotato di giardino privato. Un esempio significativo del primo processo è
costituito dal palazzetto Galimberti sito in piazza Matteotti al n. 3, sino al 1974 affacciato sullÊantica parrocchiale.
Il tessuto del centro storico cernuschese appare tuttora costituito dallÊaggregazione delle tipologie descritte con le tradizionali
case di ringhiera. Fino alla metà dellÊOttocento la disomogeneità sociale del tessuto urbano non era rara: accanto ai palazzi e
alle ville abitati dallÊaristocrazia, sussisteva unÊedilizia popolare con tipologia a ballatoio desunta dalla tradizionale casa rurale.
La semplice facciata si inseriva nella cortina muraria, mentre sul cortile si affacciavano i lunghi ballatoi, disimpegno dei singoli
alloggi: due vani privi di servizi. Le latrine, comuni, erano sul ballatoio come pure i lavelli per la distribuzione dellÊacqua.
Nel secolo XIX la morfologia del paese non subì variazioni di rilievo al di là di alcuni insediamanti quali la villa Uboldo
col suo parco ed il collegio delle Suore Marcelline. Più numerose furono invece le ristrutturazioni secondo il nuovo gusto
neoclassico quali villa Greppi e palazzo Tizzoni. Le trasformazioni urbanistiche del paese derivarono invece da un diverso
utilizzo delle vecchie strutture quali lÊinsediamento di opifici nelle ville – Gavazzi, Carini – e dallÊaffollamento delle abitazioni
popolari che ne modificò la tipologia abitativa.
Il paese aveva seguito unÊespansione a nord del Naviglio, tendenza che si invertì solo nei primi anni del Novecento. La nuova
classe dirigente dellÊindustria locale non desiderava integrarsi nellÊambiente comune del centro, ma voleva vivere più appartata.
Lungo lÊasse del viale Assunta si insediarono quindi una serie di ville, residenze individuali con giardino un tempo riservate
ai nobili ed ora accessibili, seppur in scala ridotta, allÊalta e media borghesia. La nuova tipologia diventava così lÊemblema
del livello sociale acquisito.
LÊedilizia storica „minore‰ coi suoi cortili ancor oggi caratterizza tipologicamente il centro urbano di Cernusco costituendo
un patrimonio storico da tutelare al pari degli edifici più rappresentativi in quanto prezioso esempio di abitazioni a carattere
popolare che sono testimonianza di vita vissuta.
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Palazzo Galimberti in una fotografia del 1975
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I cortili
Palazzo Tizzoni
Il palazzo occupa il versante settentrionale della piazza Matteotti. Ricordato in un elenco delle „Case de Nobili‰ costruite
anteriormente al 1685, il palazzo ed il vasto giardino erano allÊepoca intestati alla contessa Aurelia Besozzi. Nella seconda
metà del Settecento entrò nel novero dei possidenti locali Giuseppe Tizzoni acquisendo i beni Besozzi e Greppi. Nel 1776, il
Tizzoni possedeva infatti terreni per 992 pertiche e numerosi immobili.
I Tizzoni furono tra le famiglie di spicco nella Cernusco ottocentesca. Nel 1831 Giuseppe risultava intestatario di quasi mille
pertiche di terreni coltivati, della cascina Olmo e di diversi immobili nel centro edificato, tra cui il palazzo che fu dei conti
Besozzi rilevato il 12 aprile 1817. Giuseppe fece ristrutturare la seicentesca residenza in forme neoclassiche, seguendo una
moda avviata pochi anni prima da Ambrogio Uboldo.
Il palazzo mantenne lÊoriginaria tipologia organizzata attorno alla corte dÊonore. Il portico trabeato, sorretto da due colonne
in granito rosa, dava accesso al salone principale, un tempo finemente decorato a motivi neoclassici, come i due salottini
adiacenti. Dal portico si raggiungeva lo scalone dÊonore che portava al piano nobile. A settentrione si estendeva un vasto parco
allÊinglese, ora destinato ad uso pubblico.
La ristrutturazione degli anni Ottanta ha portato al frazionamento del complesso determinando la perdita delle sale decorate,
mentre le facciate hanno mantenuto gli elementi neoclassici che caratterizzarono gli edifici dellÊepoca.
La fortuna economica di Giuseppe Tizzoni andò incrementandosi nella prima metà dellÊOttocento: nel 1847 era intestatario
di un filatoio e di una filanda, lÊanno successivo acquistò la prestigiosa villa che fu dei conti Greppi. Il cospicuo patrimonio
accumulato con lÊattività industriale sarà peraltro destinato a frammentarsi nelle divisioni familiari.
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