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I luoghi nascosti di Cernusco sul Naviglio

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Published by Pecora Nera Adv, 2020-05-16 06:18:47

La città svelata Cernusco sul Naviglio

I luoghi nascosti di Cernusco sul Naviglio

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I cortili

Palazzo Scotti

LÊedificio prospetta su piazza Martiri della Libertà, un tempo corte dÊonore chiusa da un muro con al centro un portale
documentato da alcune fotografie dÊepoca. Incerta la tipologia assimilabile ad una villa, ma nettamente rinserrata nel tessuto
dellÊantico borgo. La mappa catastale di Carlo VI (1721) costituisce la prima attestazione dellÊesistenza della residenza di
Alessandro Castelsampietro, forse identificabile con la „Casa da Nobile‰ indicata come già costruita nel 1685.
Alessandro Castelsampietro, nel 1742, vendette la proprietà a Carlo Giuseppe Balli che fece rammodernare lÊedificio.
Nel 1764 il Balli nominava suo erede universale il Pio Luogo di Loreto che ben presto si disfò delle proprietà di Cernusco
cedendole ad Antonio Greppi. Consegnata al Greppi il 14 settembre 1774, la „Casa da Nobile‰ rimase nel patrimonio familiare
sino al 23 novembre 1836, quando venne acquistata da Giuseppe Scotti. Una planimetria commissionata nel 1844 allÊarchitetto
Giacomo Moraglia documenta lÊoriginaria distribuzione interna ed il giardino perduto. Alla morte di Scotti, lÊedificio passò
per lascito testamentario allÊOspedale Maggiore di Milano che, lÊ8 ottobre 1873, lo vendette al Comune di Cernusco per
35.000 lire. Nel 1976 lÊAmministrazione municipale cedette il complesso allÊOspedale Uboldo di Cernusco: ora appartengono
entrambi allÊASL di Melegnano. Il complesso si articola su una pianta ad „U‰ dove il corpo trasversale presenta caratteristiche
signorili quali il portico, in tre arcate a tutto sesto sorrette da colonne in granito, che si apriva sul cortile dÊonore. Uno scalone
ottocentesco, in pietra con inserti in ferro battuto, porta al piano nobile. Il salone principale ed alcune sale laterali conservano
soffitti a cassettoni con decorazioni a tempera del tipo a passasotto ascrivibili agli abbellimenti voluti dal Balli fra il 1742 e il
1759. Più tardi i modesti affreschi decorativi. La demolizione del muro di cinta (1927) per inserire il Monumento ai Caduti e
la pesante ristrutturazione eseguita agli inizi degli anni Ottanta hanno snaturato lÊassetto dellÊedificio.

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I cortili

Palazzo Viganò

Lungo la via Cavour si allunga la facciata del palazzo che fu di Carlo Giuseppe Somaglia come attesta un documento del 1685.
Nelle tavole del catasto teresiano (1754) il palazzo compare come proprietà di Francesco Cotta nella parte di ponente col
giardino e di Alessandro Castelsampietro nella porzione prospiciente la via Caio Asinio. Nel 1803 la proprietà, nuovamente
unificata, risulta intestata a Domenico Staurenghi passando, nel 1868, alla famiglia Carini, proprietaria di una filanda posta
sulla via Cavour.
Nel 1921 il palazzo fu rilevato da Vico Viganò (1874-1967), pittore locale che raggiunse notevole fama negli anni Trenta.
Viganò si cimentò anche in architettura progettando un campanile per il Duomo di Milano (1938), mai realizzato. Viganò
curò personalmente il restauro del palazzo di Cernusco eseguito nel 1924 integrando le decorazioni ed accentuando lÊaspetto
pittorico allÊepoca di moda.
I diversi corpi di fabbrica delimitano due cortili: il più ampio, assiale al portale, si apre sulla via Cavour; quello più piccolo,
quasi un cavedio, nella zona angolare. Qui un bel balcone angolare prospetta sulle due strade. Le fronti esterne
sono scandite al piano terreno da porte e finestre, più sopra da una fila di oculi. Al piano superiore le finestre si inseriscono
nella gronda a gola rovescia spezzandone la continuità. Gli spazi risultanti furono dipinti dallo stesso Viganò come
lÊandrone del portone.Più pittoresca era la parte su via Caio Asinio dove un tempo campeggiava un ovale con la
Madonna Assunta. Il complesso è stato integralmente ristrutturato alla fine degli anni Ottanta con un ampliamento
residenziale sul sedime dellÊantico giardino. Il progetto dellÊampliamento si deve a Vittoriano Viganò (1919-1996),
figlio di Vico, architetto molto noto a Milano, docente alla facoltà di Architettura di cui ha progettato lÊampliamento.

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I cortili

Corte della Senavra

La corte si apre lungo la parte occidentale della via Carolina Balconi. Misteriosa è lÊetimologia di „Senavra‰, termine
dialettale per definire la senape, che non compare in alcun documento. Dai dati dei catasti storici emergono i nomi dei
proprietari. Nel 1754 lÊedificio era intestato al nobile Antonio Lampugnani che qui risiedeva.
Tra il 1776 e il 1831 le proprietà terriere ed immobiliari del Lampugnani furono rilevate dai fratelli Giuseppe e
Vincenzo Fermini.
Il complesso si sviluppa attorno ad un ampio cortile rettangolare chiuso sul fondo da un imponente corpo trasversale
qualificato da un portico monumentale. La corte è chiusa lateralmente da due ali minori le cui testate risvoltano a
delimitare lÊaccesso con due pilastri mistilinei un tempo coronati da vasi decorativi.
Lo schema del portico, pur molto diffuso nelle ville lombarde, appare anomalo nelle proporzioni grandiose: sei
altissime colonne in granito portano ad altezza incredibile i capitelli in ordine tuscanico che sorreggono architravi
tripartiti. Al frammento di architettura colta si sovrappongono strutture di edilizia spontanea quali il ballatoio
delle case di ringhiera che sovrasta le arcate del portico in luogo del piano nobile che avrebbe portato il colmo di
copertura ad unÊaltezza considerevole. Un secondo ballatoio in legno corre allÊinterno del portico disimpegnando
le abitazioni ricavate frazionando, anche in altezza, lo spazio progettato quale magnifico salone di rappresentanza.
˚ evidente il riuso di strutture di edilizia colta su cui si sovrappongono elementi di edilizia spontanea.
Oscure permangono le traversie storiche che hanno condotto ad abbandonare il primitivo progetto: forse un tracollo
finanziario del committente di cui i documenti non hanno ancora svelato il nome.

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I cortili

Corte dei Barnabiti

La corte occupa una porzione considerevole dellÊisolato posto tra le vie Barnabiti e Garibaldi, con accesso da piazza Padre
Giuliani. LÊisolato costituisce un tassello del tessuto urbano di notevole portata storica in quanto qui era localizzata la Casa
dei Barnabiti, già citata in un documento del 1685. I dati del catasto teresiano (1751) contrassegnano la corte al mappale 532
quale „Casa da Massaro‰ dei „R.R. Padri Barnabiti‰ i quali occupavano la residenza affacciata sulla via che da loro prese
il nome. Le proprietà dei Barnabiti a Cernusco furono rilevate, alla soppressione dellÊOrdine avvenuta nel 1810, dal conte
Greppi. Nella seconda metà dellÊOttocento, la corte è indicata quale „Casa colonica‰ di proprietà di Pietro Tizzoni, membro
di una famiglia di industriali della seta.
LÊingresso, quasi celato, dà su uno stretto vicolo che entra nellÊisolato e porta ad una corte rettangolare, molto allungata,
delimitata a nord-est da un fabbricato ad „L‰, mentre a meridione si salda a quella che era lÊantica residenza dei padri, ora non
più riconoscibile. Una lapide murata sulla facciata di via Barnabiti ricorda la presenza in questa casa dei Padri Barnabiti (1559-1810)
succeduti agli Umiliati. Qui soggiornarono due personaggi storici di rilievo: San Carlo Borromeo e Gerolamo Vaiano.
La struttura, tipica nellÊarchitettura rurale lombarda, si affaccia su corte con un porticato continuo costituito da tredici pilastri
in cotto a doppia altezza su cui poggiano le capriate di copertura. Sotto il profondo loggiato corre un ballatoio ligneo che
disimpegna i locali sottotetto.
Al centro della corte è posta una fonte con un curioso bacino: il coperchio in pietra di un antico sarcofago. Un tale riuso non è
peraltro raro nel mondo rurale, un caso analogo era riscontrabile anche nella corte rurale della cascina Castellana. Il frazionamento
del complesso che gravita attorno alla corte non ne ha comunque menomato lÊaspetto unitario.

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Verso
l ’industrializzazione

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Verso l ’industrializzazione

Alla fine del Settecento la seta veniva considerata „il massimo deÊ nostri prodotti, poiché si calcola che apporti alla Lombardia
un milione di zecchini allÊanno e, quello che ancor più importa, tutto questo vantaggio si ha in meno di due mesi, ed in una
stagione in cui pochi sono i lavori della campagna‰ (A. Odescalchi, 1775).
La florida congiuntura determinò lÊespansione del settore manifatturiero inerente la trattura: si costruirono nuove filande
gestite da personale specializzato e si ampliarono quelle già in attività. I resoconti delle ispezioni alle filande del ducato
realizzate dai regi visitatori Bellerio, Besozzi e Odescalchi mettono in rilievo una specializzazione del settore che segnò
lÊavvio del fenomeno dellÊindustrializzazione in Lombardia. Fu proprio lÊOdescalchi a valutare nel 1775 un incremento del
400% nella coltura del gelso in un solo cinquantennio. Notevoli furono i progressi della tecnologia nelle operazioni di filatura.
Tra il 1767 e il 1785, Milano e Como raddoppiarono il numero dei telai da seta sulla spinta di alcuni provvedimenti governativi
atti a proteggere i manufatti lombardi allÊinterno degli Stati della Monarchia asburgica caricando quelli dei paesi non sudditi
del 60%. Il fenomeno non si esaurì nel XVII secolo, tanto che nel 1841 la seta prodotta in Lombardia rappresentava il 63%
del totale del Regno.
Tra il 1853 e il 1859 due malattie dei bozzoli, la Pebrina e la Filossera falcidiarono i raccolti determinando unÊinterruzione
nellÊallevamento dei bachi. LÊintroduzione di tecnologie più avanzate determinò lÊinsediamento di grandi filande a vapore
a scapito dei piccoli opifici insediatisi nei cascinali e gestiti dai proprietari terrieri. Dopo la crisi unitaria determinata dalla
perdita dei rapporti commerciali con Vienna ed il Veneto, lÊindustria serica lombarda si risollevò tra il 1864 e il 1867 grazie al
rialzo del prezzo della seta ed alla diffusione del telaio meccanico.

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Intorno alla metà dellÊOttocento, la manodopera femminile occupata nelle filande era lÊ89%, di cui il 31% era costituito
da bambine. Il basso costo della forza lavoro favorì lÊespansione del settore che ebbe un ruolo trainante avviandosi molto
precocemente verso una produzione industriale di tipo capitalistico.
Ma quali erano i luoghi della produzione della seta? Al suo nascere la tipologia non presenta caratteri propri, ma mutua
Ex voto per un incidente relativo dallÊarchitettura rurale quegli elementi che erano funzionali alle operazioni manifatturiere. In particolare il porticato, usuale

alla gelsobachicoltura

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nellÊarchitettura contadina, era adibito al riparo delle bacinelle a fuoco. Qui si svolgevano le operazioni di trattura praticate
dalle stesse famiglie contadine dedite alla coltura dei gelsi. La nuova tipologia, la filanda, si sviluppò riadattando ad usi
industriali le cascine o addirittura i rustici delle nobili residenze. Solo successivamente divenne un involucro architettonico
atto a contenere le macchine per la trattura, privo di elementi decorativi ed impostato su criteri di estrema funzionalità.
A pianta rettangolare, la filanda si organizzava attorno ad un ampio cortile con portici atti allÊammasso dei bozzoli. Al primo
piano era posta la Gallettera, un ambiente poco soleggiato e privo di umidità per la conservazione dei bozzoli su graticci di
legno. Al secondo piano avveniva la trattura. Le bacinelle erano poste su due file parallele in un grande stanzone con soffitto
a capriate e grandi finestre semicircolari.
NellÊOttocento anche Cernusco vide la nascita dellÊindustria tessile i cui prodromi risalgono al secolo precedente, come
documentano i dati del catasto teresiano. Nel 1754 le piante di gelso censite furono 3.715, era lÊavvio dellÊenorme sviluppo
che la gelso-bachicoltura andò consolidando nel corso dellÊOttocento. La materia prima prodotta nel Settecento era
probabilmente trasportata a Milano o a Monza per le operazioni di filatura e tessitura. I documenti rinvenuti non hanno infatti
evidenziato la presenza di filande a Cernusco nel Settecento.
Tra il 1814 e il 1817 il prezzo dei bozzoli ebbe unÊimpennata sollecitando possidenti e fittabili ad intensificare lÊallevamento
del baco da seta e quindi la coltura del gelso. Anche a livello locale la produzione si mantenne sostenuta tanto che alla metà
dellÊOttocento i rilevatori censirono 28.341 gelsi a Cernusco che supportavano lÊattività di trasformazione. Emblema di questa felice
congiuntura economica fu il detto: „LÊombra del gelso è lÊombra dellÊoro‰ che si diffuse capillarmente, come la coltura del gelso.
Un documento dellÊarchivio municipale datato 1844 fornisce interessanti indicazioni sulle sette filande locali che
producevano annualmente 27.000 libbre di seta filata, e sui due filatoi con 5.800 libbre di seta lavorata in trama. Le filande
tecnologicamente più avanzate erano la Gavazzi e la Keller utilizzando già il vapore quale forza motrice. Lungo la via Cavour
erano site la filanda di Alberto Keller, dotata di 72 caldaie, e di Vincenzo Carini con 20 caldaie a legna. Sulla piazza Matteotti
davano la filanda di Nicolò Bonsignore, dotata di 52 caldaie a legna, ed il filatoio. La filanda di Giuseppe Tizzoni era sita in

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Una fase di lavoro nella filanda piazza Padre Giuliani ed aveva 20 caldaie, mentre quella di Federico Tizzoni, con 14 caldaie, si affacciava su piazza Matteotti.
Luigi Gadda in via Carolina Balconi aveva una piccola filanda dotata di 10 caldaie ed un filatoio che produceva seta in trama.
La popolazione occupata nelle filande locali ammontava a 21 uomini addetti a funzioni direttive ed alla manutenzione
degli impianti. La produzione era totalmente in carico a personale femminile: 296 erano le donne, coadiuvate
da 200 bambine tra i 9 e i 15 anni. LÊambiente di lavoro non era certo salubre: lÊumidità prodotta durante le lavorazioni

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era spesso causa di malattie polmonari e reumatiche. Il ciclo produttivo allÊinterno delle filande Immagini pubblicitarie di ditte specializzate
si esauriva in 3-4 mesi, ma le 12-14 ore di lavoro in filanda erano sostituite nei mesi di nellÊallevamento di seme bachi
chiusura degli opifici dal lavoro nei campi per aiutare i maschi impegnati nelle attività agricole.
LÊattività operaia delle filandine fu causa dellÊabbandono della prole per lÊintera giornata.
Per soccorrere i „bambini di strada‰ un sacerdote, don Giovanni Tizzoni, con un gruppo di cernuschesi
fondarono nel 1886 un Asilo infantile gestito dalle Suore Marcelline, opera sociale altamente
meritevole, tuttora attiva.
LÊindustria della seta raggiunse il suo massimo sviluppo tra il 1861 e il 1915, anno dellÊentrata
in guerra dellÊItalia. In questo periodo lÊItalia fu prima in Europa e terza nel mondo, dopo
Cina e Giappone, e la Lombardia primeggiava con la produzione di oltre la metà del totale
nazionale. Con lÊavvento del nuovo secolo, il settore tessile della seta attraversò una grave crisi
causata dai conflitti bellici e dallÊarrivo sui mercati delle sete dellÊestremo oriente concorrenziali nei
prezzi. Nel 1913 chiusero le filande Carini e Tizzoni.
A partire dal 1929 lÊindustria della trattura e torcitura sparì in Lombardia risparmiando solo la tessitura.
LÊulteriore crisi del 1935 provocò la fine del mercato.
Solo lo Stabilimento serico Gavazzi continuò la produzione fino agli anni Quaranta. La vocazione tessile
cernuschese è ricordata da tre piazze del centro – Matteotti, Gavazzi, Repubblica – e dalle vie che le
collegano su cui prospettavano le filande attive nellÊOttocento. Nelle tre piazze, nuovamente piantumate
con gelsi, campeggiano monumenti dedicati alla bachicoltura: il bruco tanto amato dai bambini in piazza
Gavazzi, il bozzolo in piazza della Repubblica, lÊantico gelso in piazza Matteotti. Le tre piazze sono
legate da un filo di seta: la bava del bruco che serpeggia bianca a disegnare la pavimentazione in porfido
rosso. Il progetto di tale sistemazione risale al 1995 e si deve allÊarchitetto Gilberto Oneto.

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Verso l ’industrializzazione

La filanda Gavazzi

La storia della filanda è intimamente legata alla famiglia Gavazzi, imprenditori serici che hanno lasciato un segno nella storia
dellÊindustria tessile lombarda dalla metà del XVIII secolo. La famiglia era originaria di Canzo, nel Lecchese, luogo legato
alla produzione della seta a partire dal XVI secolo.
Il capostipite industriale fu Pietro Antonio (1729-1797). Il figlio Giuseppe Antonio divenne già in epoca napoleonica uno dei
maggiori produttori di seta. Nel 1820 la sua filanda di Valmadrera utilizzava sistemi avanzati di trattura a vapore con caldaie
di fabbricazione estera. Il figlio Pietro (1803-1874) costituì la ditta „Pietro Gavazzi‰ aumentando le unità produttive e gli
impianti. Nel 1872 disponeva di 324 bacinelle di trattura cui erano addette 1800 operaie. I miglioramenti tecnologici introdotti
nelle filande Gavazzi consentivano di eseguire le lavorazioni anche dÊinverno, dilatando lÊattività sullÊintero anno.
Pietro fu tra i primi ad importare sete cinesi e giapponesi per trasformarle in ritorti ed a sfruttare la forza idraulica con opere
complesse, come a Bellano. Aprì opifici a Desio, Canzo, Albese e in altre località. Con spirito paternalistico istituì nei suoi
opifici di Cernusco, Bellano e Valmadrera scuole diurne primarie per istruire le bambine-operaie ogni giorno per mezzÊora
in orario di lavoro. Preoccupato delle condizioni delle lavoratrici decise di imporre lÊetà minima di dieci anni per lÊingresso
in fabbrica. Attento alla formazione del personale, collaborò allÊattività della Società dÊIncoraggiamento dÊArti e Mestieri
(SIAM) di Milano.
Una relazione presentata dal Gavazzi nel 1871 fornisce interessanti dati riguardo allÊopificio di Cernusco. La filanda di 80
bacinelle ed il filatoio per trama con 1152 fusi impiegavano 400 persone di sesso femminile. Un terzo del personale era
costituito da ragazze dai 9 ai 15 anni. Il documento fornisce indicazioni anche sul salario che era per le filatrici di una lira

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al giorno, le ragazze percepivano dai 40 ai 90 centesimi, secondo lÊetà e lÊabilità. Il salario degli uomini era superiore:
da 1.30 a 3 lire.
La produzione della filanda Gavazzi di Cernusco era altamente qualificata. Un documento del 1884 fornisce una puntuale
descrizione dellÊopificio e delle fasi di lavorazione. Il corpo occidentale è attestato nel 1685 quale „Casa da Nobile‰ dei
marchesi Rovida. Solo nellÊOttocento avvenne lÊinsediamento dellÊopificio allÊinterno della residenza seguendo una tendenza
generalizzata nella Lombardia avviata verso lÊindustrializzazione.
I nostri opifici tessili non si discostavano dalle coeve fabbriche inglesi e tedesche note grazie ai frequenti rapporti con lÊestero.
AllÊimportazione dei macchinari „ad uso inglese‰ e di tecnici si aggiungeva lÊimportazione di schemi edilizi. Nella seconda
metà dellÊOttocento si diffuse la letteratura specializzata tramite riviste tecniche e manuali costruttivi. Vi compaiono
colonne cave in ghisa, travi in ferro, finestre che si articolano con sportelli apribili verso il soffitto, tutti elementi atti alla

La filanda Gavazzi
in una fotografia dÊepoca

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razionalizzazione della pratica costruttiva che si imposero per lÊeconomicità e per fronteggiare il costante pericolo di incendi.
Venne progressivamente abbandonata la tipologia di fabbrica tessile multipiano mentre si consolidava il tipo dei capannoni
ad un sol piano, più sicuro per gli incendi e comodamente sorvegliabile, oltre che più economico in quanto realizzato con
campate modulari e pezzi standardizzati. Il capannone con tetto a shed, illuminato dallÊalto mediante una fascia vetrata a nord,
forma un grande spazio vuoto atto a contenere i macchinari. I capannoni a shed dello stabilimento Gavazzi vennero edificati
nei primi anni del Novecento con interessanti corrispondenze con gli elementi strutturali illustrati nel manuale degli ingegneri
Musso e Copperi edito nel 1885 a Torino da Paravia.
La filanda Gavazzi fu lÊultima ad essere chiusa. Il suo recupero, avvenuto alla fine degli anni Ottanta, ha preservato
un interessante esempio di archeologia industriale con variegate destinazioni, ma perfettamente compatibili
alle strutture dellÊopificio.

Uno dei reparti della filanda;
sono evidenti le strutture
architettoniche tipiche
dellÊarcheologia industriale

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Le opere del regime

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Le opere del regime

Sotto il regime fascista Cernusco riuscì a realizzare alcune opere pubbliche che da tempo venivano invano prospettate. La necessità
di un edificio scolastico sussisteva dal 1790 quando venne adattato a scuola normale il Santuario di Santa Maria Addolorata
che, per un cinquantennio, accolse circa 130 bambini tra i 6 e i 12 anni. Fu la prima scuola pubblica di Cernusco. Solo nel
1867 si trovò una struttura più adeguata affittando tre locali. La popolazione in età scolastica andava aumentando e si dovette
gestire lÊemergenza aule con doppi turni adattando alcune stanze del palazzo comunale. Nel 1915 il problema non era ancora
risolto tanto che si arrivò ad impartire le lezioni a giorni alterni. Nel 1932 il Podestà Pizzi riuscì a definire il progetto per la
Scuola primaria in via Torriani appaltando i lavori alla ditta Bestetti. LÊedificio, ultimato nel novembre del 1934, fu intitolato
a „A.S.R. Maria Pia di Savoia‰ ed ancora oggi funziona a pieno regime. Il Pizzi si impegnò anche alla definizione del progetto
per un acquedotto comunale e per il nuovo cimitero essendo diventato insufficiente quello posto presso Santa Maria.
„Torre Littoria‰, così venne denominato lÊacquedotto nel 1935, quando fu ultimato. Entrato in funzione nel 1937, la torre
piezometrica è stata più volte adeguata sulla base dellÊincremento della popolazione. Realizzate le opere più urgenti, il Pizzi
predispose la costruzione della „Casa della Gioventù Italiana del Littorio‰ (GIL), un centro culturale e ricreativo per i giovani del
paese. Il progetto, approvato nellÊaprile del 1898, venne realizzato in un anno. LÊedificio si affacciava su piazza della Repubblica
con le sue linee di ispirazione razionalista. Trasformato in „Cinema Comunale‰ venne demolito pochi anni orsono per permettere
allÊospedale Uboldo di ampliarsi. Il Pizzi aveva programmato altre opere, come la costruzione della rete fognaria, ma lo scoppio
della guerra interruppe altri ambiziosi progetti. Gli anni Trenta furono per Cernusco un periodo di lodevoli iniziative e di
realizzazioni di opere sociali portate a termine in tempi brevi e con notevole perizia tecnica, tanto da essere ancor oggi utilizzate.

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Le opere del regime

La torre dell’acqua

La torre piezometrica svetta su via Torriani, accanto alla Scuola primaria del primo Circolo. Nel 1997 lÊAmministrazione
Municipale di Cernusco affidò a Jorrit Tornquist lo studio della tinteggiatura della torre. LÊartista, nato a Graz in Austria
nel 1938, vive e lavora in Italia dedicandosi a ricerche sul colore e sulla luce, elementi base della sua ricerca scientifica. Può
definirsi un color designer che progetta lÊaspetto cromatico degli edifici affinché si inseriscano meglio nellÊambiente
circostante o se ne distacchino. Autore di molte pubblicazioni relative alla teoria del colore, è stato docente alla Facoltà di
Architettura di Milano e allÊAccademia Carrara di Bergamo.
Il progetto del colore per la torre dellÊacqua viene da lui stesso così illustrato: „Nello stato di fatto i prospetti erano grigi, nel
progetto sono stati studiati per essere visti sia da lontano che da vicino per conservare il segnale della torre alleggerendo però
il segno. La scelta dei colori la rende leggera, ma crea un aspetto insolito: le facciate est e ovest sono dominate dai colori blu
che verso lÊalto si schiariscono per unirsi al cielo. I lati sud e nord sono invece nei colori rosa, che ugualmente si schiariscono
creando la lettura di un riflesso colorato, non di due colori distinti.
Il colore cambia lungo gli spigoli. LÊedificio sarà così molto mutevole con il mutare della luminosità, così come il mutare
del colore della luce del giorno. I colori dei campi interni delle facciate principali si invertono di modo che sui lati blu
diventino rosa e viceversa. Si ottiene così una policromia affine su tutte le facciate. Più un campo va in profondità più scurisce
aumentando così la lettura plastica degli elementi dellÊedificio.
La colonna sulla facciata sud in alto ha lÊaspetto di oro caldo, dipinto in iriodin, un pigmento che non ossida. Le due nicchie
accanto sono in azzurro per dare lÊidea di risucchio del cielo. Gli elementi in granigliato sono stratificati con gli iriodin

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indicati, per lasciare la leggibilità del loro colore, dando solo un leggero riflesso di cangianza secondo i diversi lati della
torre. Gli elementi montati sul tetto sono verniciati in blu chiaro in modo da diminuire il loro impatto visivo. I vetri posati in
opera a sostituire quelli preesistenti hanno riflessi grigio-blu.
La torre con la sua imponenza dovrebbe comunque essere un segno leggero. La scelta dei colori crea un aspetto insolito,

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un riflesso colorato, mutevole con il mutare della luminosità e con il mutare del colore della luce del giorno‰.
La torre costituisce un segnale forte nel paesaggio, ma nello stesso tempo leggero, quasi evanescente. Recuperato lÊesterno,
auspichiamo che si facca altrettanto per gli spazi interni particolarmente adatti ad uno spazio mostre, e che si renda fruibile il terrazzo
panoramico da cui si gode una vista mozzafiato che spazia da Milano alle alture della Brianza, sino alla Grigna e al Resegone.

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Bibliograf ia

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Referenze fotografiche

Stefano Sgarella 92. Fauna sul Naviglio
13. Un casott nella campagna 93. La ruota idraulica sul Naviglio
17. Prodotti biologici 95. La metropolitana
18. Pietanze storiche del territorio 105. La sala dÊonore di villa Rovida, Gervasoni, Carini
25. Notturno nel parco Uboldo 109. Salottino in villa Biraghi, Ferrario
26. La finta chiesa nel parco Uboldo 110. La sala dÊonore in villa Biraghi, Ferrario
29. Il ponte medievale nel parco Uboldo 113. Il trionfo di Apollo nel salone da ballo di villa Alari
33. Tramonto sul lago degli Aironi 114. Il salone da ballo di villa Alari
34. Tramonto sul lago degli Aironi 118-119. La volta del vestibolo del salone da ballo di villa Alari
120-121. Il vestibolo del salone da ballo di villa Alari
42-43. La galaverna imbianca la campagna 123. Interno dellÊoratorio di villa Alari
45. La torre della cascina Imperiale 125. La facciata occidentale di villa Biancani, Greppi
46. La torre della cascina Imperiale 126. Concerto nel portico di villa Biancani, Greppi
49. La cascina Castellana 133. Sala di villa Uboldo con tre ritratti del conte
50. Il salone dÊonore della cascina Castellana
53. La cascina Torriana Ambrogio Uboldo
67. Il Santuario dellÊAddolorata 137. Villa Bestetti
68. Interno del Santuario dellÊAddolorata 151. Vico Viganò, Autoritratto nel palazzo
73. Panoramica sulla Parrocchiale di S.Maria Assunta 153. Il portico di corte Senavra.
77. Il presbiterio della Parrocchiale di S.Maria Assunta 155. I ballatoi della corte dei Barnabiti
79. Interno dellÊoratorio di S. Teresa alla Castellana 173. La torre dellÊacqua
83. La Madonna del Divin Pianto. Collegio Suore Marcelline 174-175. Panoramica dalla torre dellÊacqua

178

Archivio E. Ferrario Cracovia, Museo Czartoryski

39. La cascina Torriana Guerrina in una fotografia del 1985 100

63. Carlo Francesco Nuvolone, LÊImmacolata, già pala

dÊaltare dellÊoratorio della cascina Olearia Milano, Collezione Fondazione Cariplo

23, 40, 41, 54, 55, 58, 64, 80, 81, 85, 90, 107, 116, 122, 159. Filanda 1825-1830

128, 131, 134, 135, 145, 149, 171.

Vienna, Bundesmobilierwaltung

Tullio Mondi 103

71. Vetrata della Pietà con la famiglia Della Porta (1997)

27, 65. Da M. Tresoldi, La Gallerana di Carugate (1985)

99. Carugate, Villa Gallerana, Decorazione della volta

Archivio B. Sorisi a ombrello di una sala.

74, 84, 91, 138, 139, 147.

Da G. Gavazzi, Non solo seta.

Archivio Vimercati Storia della Famiglia Gavazzi (2003)

165. La raccolta dei bozzoli in una corte di via Torriani 160, 162, 163, 166, 167.

179

Finito di stampare
nel mese di marzo 2012
da Grafica Metelliana

180


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