parrocchia di Carugate. Nel 1683 il visitatore della diocesi di Milano annotò che vi si celebrava solo nella festa del santo
patrono per devozione di Giovanni Panzeri, lo stesso che fece costruire lÊoratorio di Santa Teresa alla cascina Castellana.
NellÊaprile 1691 il feudo di „Cassina Imperiale‰ venne rilevato dalla contessa Aurelia Besozzi. Dagli atti risulta la presenza
di undici „fuochi‰, ossia nuclei familiari e si fa riferimento allÊoratorio privato di patronato della contessa. La famiglia
Castelsampietro ricorre ancora tra i proprietari della cascina insieme ad Anna Besozzi e alla famiglia Panzeri.
Il 23 luglio 1803 i fratelli Biraghi rilevarono la cascina dal conte Giuseppe Trivulzio Manzoni. Il complesso era ancora
caratterizzato da unÊunica corte quadrata protetta dalla torre. Solo dopo il 1854 lÊorganismo si articolò su tre cortili.
Ricordiamo il considerevole aumento degli abitanti della cascina che arrivò a duecento anime in quegli anni, come viene
segnalato nella Visita pastorale Romilli (1856). LÊampliamento ottocentesco avvenne senza un piano organico, come pure il
recupero più recente. La vendita frazionata anche della corte ne ha determinato la perdita del significato storico quale luogo
sociale di lavoro comunitario, ma anche di ritrovo e di incontro. Dopo il 1854 la cascina fu ampliata verso ponente con una
struttura porticata al piano terreno sormontata da un arioso loggiato. Il ballatoio era un tempo attrezzato per lÊallevamento dei
bachi da seta che andarono ad alimentare la fiorente produzione serica. Sul lato contrapposto, a levante, è lÊoratorio di San
Bernardino, detto anche di San Rocco.
La sobria struttura si organizza su una pianta rettangolare con abside semicircolare. La copertura a cupola ellittica è decorata
da una medaglia affrescata con una Madonna col Bambino fra i Santi Giovanni Battista e Bernardino da Siena ascrivibile
alla seconda metà del Settecento. SullÊaltare una statua di San Rocco ha sostituito quella di San Bernardino descritta negli
atti della Visita Pozzobonelli (1756). Negli stessi si fa menzione delle reliquie delle sante martiri Faustina e Cristina, munite
del sigillo della Curia arcivescovile di Milano del 1715. Sul colmo del tetto il classico campanile a vela chiudeva la spoglia
facciata a capanna serrata da lesene.
LÊassetto medievale della cascina appare snaturato da un recupero legato al frazionamento sia delle unità abitative che degli
spazi comuni. Permane intatta la torre a campeggiare, come un tempo, sul territorio circostante.
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I luoghi dell ’attivita’ agricola
Cascina Castellana
La cascina appare assediata dalla recente edificazione che ha dilagato nei territori prossimi alla città di Milano. La situazione
ambientale doveva apparire ben diversa allÊepoca di fondazione della cascina, come possiamo rilevare dai dati dei catasti
storici. La mappa di Carlo VI (1721), prima rappresentazione grafica del fondo agricolo presidiato dalla cascina, mostra i
campi arativi interrotti dalla presenza di 47 gelsi. A meridione si estendeva un grande prato irriguo, in seguito trasformato in
rustico cannocchiale prospettico. I documenti del catasto Lombardo Veneto (1865) confermano la destinazione agricola dei
terreni, con un incremento della coltura del gelso, addirittura decuplicata.
La cascina ha peraltro unÊorigine più antica rispetto ai documenti storici citati facendo parte di un sistema difensivo medievale
attestato dai resti di una torre angolare e che il toponimo Castellana parrebbe confermare. La prima notizia certa risale al
19 aprile 1613: in uno scambio di beni tra i fratelli Castelsampietro, Francesco compare quale proprietario della „Casa da
Nobile posta nel loco della Castellana‰. A tale data la cascina già presentava la conformazione definitiva con una parte
residenziale signorile e una parte rustica. Successivo è invece lÊoratorio di Santa Teresa menzionato nellÊaprile 1674 nella
Visita vicariale di Ignazio Francesco Riccardo dove viene definito „splendidamente ornato‰. LÊoratorio fu costruito dallÊabate
Panzeri e dai nipoti che allÊepoca abitavano la parte signorile della cascina, mentre la parte rustica era proprietà dei fratelli Somaglia.
Il 17 luglio 1728 la famiglia Panzeri vendette al barone Giovan Angelo Manzoni, mentre i rustici passarono dai fratelli della
Somaglia al conte Giulio Antonio Biancani. La proprietà del complesso fu riunificata solo nel 1803 quando, il 23 luglio,
i fratelli Biraghi subentrarono al conte Giuseppe Trivulzio.
La famiglia Biraghi si era trasferita a Cernusco da Vignate acquistando, insieme alla Castellana, le cascine Imperiale
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e Torriana Guerrina. Nel 1831 i fondi agricoli intestati Biraghi ammontavano a 1572 pertiche. Tra gli esponenti della
famiglia emerse per statura morale e storica il Beato Luigi Biraghi, di cui tratteremo insieme allÊordine monastico da lui fondato.
Un accenno merita anche Enrico Biraghi (1838-1912), nato a Cernusco da Pietro ed Emilia Marzorati. Giovanissimo,
partecipò quale volontario alla Campagna per lÊIndipendenza e lÊUnità dÊItalia del 1859. Sergente nel Corpo dei Cacciatori
delle Alpi al comando di Giuseppe Garibaldi, si distinse nelle battaglie di Varese e di San Fermo (26-27 maggio 1859) tanto
da ottenere la medaglia commemorativa della seconda Guerra dÊIndipendenza. Congedato, riprese gli studi e si laureò in
Legge a Pavia il 22 dicembre 1860. Nel 1871 sposò in seconde nozze Rita Carini (1850-1898) da cui ebbe tre figli. Delle tre
cascine, la Castellana divenne la residenza della famiglia ai cui discendenti ancora appartiene.
Alla parte signorile del complesso si accede da una cancellata barocca che delimita la corte dÊonore su cui prospetta la facciata
preceduta da un portico in tre arcate su colonne. Il portico aperto verso meridione aveva la funzione di proteggere i locali
retrostanti dal sole. La fronte principale, caratterizzata dallo sviluppo orizzontale, è coronata da un piccolo campanile a vela
che aveva il compito di cadenzare la vita dei campi.
A levante la corte dÊonore è delimitata da un portico che fungeva da scuderia ed ora viene usato per ricoverare le piante di
limone nei mesi invernali.
Al centro il salone principale occupa lÊintero corpo di fabbrica disimpegnando sale di dimensioni più ridotte. Tra portico e
giardino, la grande sala costituisce il fulcro dellÊasse prospettico della residenza nobile, asse che un tempo sconfinava nella
campagna circostante, ben oltre le due cancellate dÊaccesso. Questo, come tutti gli ambienti del piano terreno, presenta soffitti
a cassettoni con le tipiche decorazioni a passasotto, pavimenti in cotto e grandi camini in marmo.
La corte rurale, di dimensioni molto contenute, è stata recentemente molto ristrutturata. Addossato alla parte rurale, lÊoratorio
gentilizio si inserisce in una tipologia largamente diffusa in Lombardia in età barocca. La cascina Castellana, usualmente
inserita nellÊarchitettura rurale, presenta caratteristiche tipologiche e decorative riferibili allÊarchitettura civile assimilandola
alle ville rustiche.
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I luoghi dell ’attivita’ agricola
Cascina Torriana
Posta allÊestremità settentrionale del territorio, la cascina è legata nel toponimo a due vicini insediamenti rurali: le cascine
Torriana Guerrina e Torrianetta. Tale circostanza è attribuita dalla storiografia locale alle lotte tra Torriani e Visconti a cui
Cernusco fece da scenario. LÊorigine medievale delle tre cascine non è peraltro suffragata da documenti, né da elementi fortificati.
La prima notizia certa risale al 1570 e si deve a padre Leonetto Chiavone della Compagnia di Gesù. Negli atti della Visita
pastorale della pieve di Gorgonzola viene descritto lÊoratorio di Santa Caterina, in località cascina Torriana. Un precedente
riferimento (1398) non è attribuibile con certezza al nostro oratorio, anche se è molto probabile. Il 23 febbraio 1605 la
cascina fu visitata dal cardinale Federico Borromeo. Negli atti si puntualizza il patronato di Giacomo Filippo Vimercati cui è
riferibile la proprietà dellÊintero complesso attestata dalla targa araldica posta allÊingresso della corte rurale.
La famiglia Vimercati aveva proprietà terriere in Cernusco almeno dal 1513. A loro si deve quindi la costruzione della cascina
di cui il nucleo generatore fu la corte rurale delimitata dai due lunghi corpi di fabbrica delle residenze dei contadini e delle stalle.
LÊoratorio si inserisce senza fratture nel complesso attestando unÊorigine molto antica. La volta ad ombrello del presbiterio
è riferibile al tardo Quattrocento, come pure la decorazione interna ad affresco dalla squillante policromia ricordata negli
atti delle visite pastorali (1572 e 1605). Il degrado dellÊoratorio dovette iniziare molto presto. Gli affreschi non sono più
ricordati successivamente, forse intonacati in occasione della peste del 1630. LÊedificio sacro fu restaurato in occasione
dellÊedificazione della residenza signorile che, allÊinizio del XVII secolo, andò a chiudere il versante occidentale. La prima
attestazione della residenza signorile risale al 1636, nellÊatto di vendita del complesso.
Lo schema planimetrico ad „U‰ si apre verso la campagna con una corte dÊonore circolare un tempo chiusa da un bel portale
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La parte padronale negli anni Cinquanta della cascina Torriana
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abbattuto negli anni Ottanta del Novecento per consentire lÊingresso delle macchine agricole nella corte trasformata in recinto Affresco del salone da ballo
per bovini. Qui si apriva la visuale sulla facciata impostata su una sapiente articolazione di volumi alleggeriti da un insolito negli anni Novanta
utilizzo di superfici curve, invito al portico in cinque fornici su colonne. Dal portico si accedeva al salone principale affrescato
con unÊesuberante decorazione che, dopo aver sottolineato porte e finestre si estendeva sulle pareti e sui cassettoni del soffitto.
La residenza era dotata di un vasto giardino privato cintato.
Nel 1636 Paolo Antonio Vimercati vendette la cascana Torriana a Giovanni Battista Litta la cui famiglia è documentata a
Cernusco dallÊinizio del XVI secolo, in localita cascina Ronco dove
aveva una residenza signorile con oratorio annesso ed i terreni di
pertinenza. Tra il 1708 e il 1721 Valentino deÊ Conti rilevò la cascina
con 1660 pertiche di coltivi tenuti a seminativo, una coltura mista
intervallata da vite e gelso. Sul versante sud-occidentale si estendeva un
bosco e pascoli per lÊallevamento del poco bestiame atto a soddisfare
il fabbisogno interno. I terreni della possessione erano irrigati con le
acque della roggia Gallerana scavata nel 1475 e in attività sino allo scavo
del canale Villoresi.
Con il passaggio alla famiglia Tizzoni la coltura del gelso venne
incentivata triplicando il numero delle piante le cui foglie erano utilizzate per lÊallevamento del baco da seta, indispensabile
alla produzione serica gestita nella filanda di famiglia.
Il 4 febbraio 1963 la cascina venne ceduta ed è ora proprietà della Società Cave Merlini.
La cascina versa in condizioni di assoluto degrado. La residenza signorile è inagibile per il crollo dei solai e lo sfondamento delle
coperture. LÊoratorio, profanato e spogliato di tutti gli arredi è anchÊesso inagibile. LÊabbandono del complesso è tanto più doloroso
considerata la concessione della conversione dÊuso e il vincolo ambientale e monumentale imposto dalla Soprintendenza.
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I luoghi dell ’attivita’ agricola
Cascina Ronco
AllÊestremità orientale del territorio di Cernusco è localizzata la frazione Ronco, un tempo isolata nella campagna. Le mappe
dei catasti storici ben visualizzano il caratteristico contesto rimasto inalterato sino agli anni Sessanta. Il grosso agglomerato
rurale compare nella mappa di Carlo VI (1721) con grande evidenza. Le due aziende agricole, diversificate nella proprietà,
sono strettamente connesse da una curiosa unità strutturale. A nord si sviluppava la possessione del conte Costanzo Taverna,
a sud quella del conte G. Antonio Melzi. Il perno che collegava le due proprietà era lÊoratorio di San Rocco (demolito)
che costituiva il traguardo scenografico della strada che collegava lÊantico borgo alla cascina.
Le sue origini sono peraltro più antiche essendo già citati nel 1517 terreni agricoli in località Ronco, termine ricorrente per
indicare un „luogo disboscato‰. I terreni appartenevano alla famiglia Litta come risulta da molti documenti stilati nella prima
metà del Cinquecento, ma non vi è alcuna menzione della residenza signorile né dellÊoratorio che dovevano già esistere,
come attesterebbero la pala dÊaltare e gli affreschi.
Alla residenza nobiliare si accede attraverso la corte rustica da un ingresso un tempo posto accanto allÊedificio sacro.
Il salone di rappresentanza era decorato da una fascia affrescata che correva sotto i cassettoni lignei. La fascia sÊinterrompeva
sul quarto lato per un tramezzo, come parrebbero suggerire le limitate dimensioni, ipotesi peraltro confermata da una
planimetria del 1791 conservata nellÊArchivio municipale. Il disegno documenta i dettagli del salone ed il grande camino tuttora
esistente. La sala si apre con un bel porticato ad archi su colonne che si affaccia su una minuscola corte dÊonore. La residenza
Litta era dotata di un giardino privato delineato nella mappa catastale del 1721, ma meglio dettagliato nel rilievo del 1791.
UnÊattenta disamina meritano gli affreschi, assolutamente sconosciuti. Ho avuto la fortuna di poterli vedere nel lontano 1979
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Ambrogio Fermini, villa Taverna in un dipinto del 1884
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La pala dÊaltare dellÊoratorio insieme a Simonetta Coppa. Le fotografie scattate in quellÊoccasione sono lÊunica documentazione nota. Non ci resta quindi
di San Rocco a Ronco che sintetizzare gli esiti dello studio allÊepoca effettuato.
Gli ambienti affrescati dovrebbero essere tre. NellÊunico visitato compaiono, nella fascia sottosoffitto, coppie di figure
muliebri coperte da elaborati panneggi che sorreggono figure reggitarga contenenti raffigurazioni del Tempo, dellÊAutunno,
dellÊInverno, di Muse e di divinità. I gruppi allegorici
sono distanziati da stemmi araldici ispirati ai legami
matrimoniali. In corrispondenza dei travoni sono poste
teste virili su volute dallÊinusuale iconografia.
I modelli figurativi sono legati al manierismo
lombardo, ma con riferimenti genovesi dÊispirazione
alessiana per le inquadrature architettoniche.
Come sono arrivati a Cernusco artisti capaci di un
linguaggio così aggiornato? Chi fu il committente?
˚ Simonetta Coppa ad avanzare delle ipotesi sulla
base di confronti con gli affreschi tardomanieristi
lombardi posti nella villa Cicogna Mozzoni di
Bisuschio e in palazzo Vertemati a Piuro, in Valtellina,
attribuiti ai Campi.
Nel 1559 i fratelli Alberto e Camillo Litta erano gli intestatari dei fondi agricoli di Ronco. I loro nomi comparivano pure su
una lapide marmorea murata sopra il portale e datata 1567 che attesta il loro intervento nella ricostruzione dellÊoratorio sui
resti di un precedente edificio sacro fatto edificare nel tardo Quattrocento dal loro avo Alberto e restaurato dal padre Giovanni
Battista. Di questÊultimo edificio, malauguratamente demolito negli anni Sessanta, rimane solo la pala dÊaltare nella moderna
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chiesa di San Rocco. Il soggetto del dipinto è La Madonna col Bambino in trono tra i S.S. Ambrogio e Rocco. Il piede destro
della Vergine poggia su una pietra su cui è inciso lo stemma dei Litta. La pala, di ascendenza leonardesca, è ascrivibile agli
anni 1510-1515 e fu probabilmente commissionata da Giovanni Battista.
DellÊoratorio cinquecentesco non rimangono immagini, ma molte descrizioni. A navata unica lunga 6.80 metri e larga 5.50,
lÊedificio misurava in altezza 6.40 metri. Sulla parete di fondo del presbiterio era affrescata unÊAnnunciazione, mentre sui
lati San Bernardo e SantÊAgostino. La copertura, a volta, era anchÊessa affrescata coi quattro Evangelisti. La demolizione
dellÊedificio sacro è stata una gravissima perdita per il patrimonio artistico locale. La relazione della Visita pastorale del 1605
è preziosa anche perché è la prima attestazione della presenza dei conti Taverna a Ronco che spartivano coi Litta il compenso
del cappellano.
LÊazienda agricola Taverna si accostò a quella dei Litta in un secondo tempo. Nel 1685 un documento relativo alla
devoluzione alla Camera del feudo di Melzo, Ronco risulta in parte del „Conte Gio. Antonio Melzo‰ e in parte del conte
Matteo Taverna. Non conosciamo la data della cessione da parte dei Litta, peraltro collocabile tra il primo e il secondo
decennio del XVII secolo. Le residenze delle due famiglie erano collegate tramite lÊoratorio di cui rimane ancora il passaggio
sospeso che lo collegava alla villa Taverna. Questa, malamente ristrutturata dopo il frazionamento, è raffigurata in un dipinto
(1884) di Ambrogio Fermini, pittore locale che risiedeva proprio in cascina.
Impostata sul tradizionale schema planimetrico ad „U‰ con portico trabeato aperto sulla corte dÊonore, la villa era dotata di
un giardino privato ora divenuto parco pubblico. Poche sono le decorazioni rimaste. Sotto il portico rimangono solo alcune
tracce dei busti di poeti entro tondi di gusto neoclassico. La volta dello scalone, decorata con motivi dÊispirazione pompeiana,
è invece crollata durante la ristrutturazione.
Cascina Ronco costituiva un esempio di insediamento di grande interesse per la qualità delle decorazioni. Purtroppo un
recupero sciagurato ha irreparabilmente danneggiato questo singolare agglomerato, ulteriormente svilito da una recente
edificazione, avulsa dal contesto agricolo, che soffoca il nucleo di antica formazione.
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I luoghi
del culto
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I luoghi del culto
A Cernusco la devozione alla Vergine Maria risale ai primi secoli del Cristianesimo, già in epoca longobarda la chiesa pievana
era intitolata a Santa Maria. La devozione ai dolori di Maria è invece più tarda. Nella prima metà del XIV secolo si diffuse
lÊiconografia della Mater dolorosa, mentre nel secolo successivo il clima di ardente devozione ai dolori favorì lÊintroduzione
di due feste liturgiche celebrate il Venerdì Santo e il 15 settembre.
La devozione ai Sette dolori, originata nelle Fiandre, si diffuse alla fine del XVI secolo in Germania, in Spagna, in Italia
grazie allÊOrdine dai Servi di Maria. In Lombardia la devozione alla Madonna Addolorata fu promossa da San Carlo
mediante lÊistituzione di Confraternite. A Cernusco la Confraternita del SS. Sacramento venne istituita il 25 settembre 1566
ed ebbe notevole seguito se nel 1572 gli iscritti erano già cento su 900 anime, iscritti che raddoppiarono nel giro di sette anni.
Dal 1605 la Confraternita amministrò anche la Società del SS. Rosario, ramo femminile della stessa. La pratica applicazione
delle regole della Scuola per oltre tre secoli alimentò la fede e lÊeducazione religiosa di generazioni di cernuschesi.
Dal Seicento Santa Maria divenne chiesa sussidiaria della nuova Parrocchiale, anchÊessa intitolata alla Vergine Assunta.
LÊantica Santa Maria continuava peraltro ad essere assiduamente frequentata sia per la prossimità al cimitero che per
devozione alla miracolosa immagine della Pietà posta nella cappella esterna. Era questa, infatti, la Madonna che si venerava
in Santa Maria, il simulacro ligneo ancora non esisteva. La più antica citazione rinvenuta della Madonna Addolorata risale
al 5 settembre 1715 comparendo nella richiesta di benedizione per il nuovo altare predisposto per accogliere il simulacro.
Il culto della Madonna dalle sette spade si celebrava già alla fine del XVI secolo in una chiesa milanese distrutta: Santa Maria
Beltrade, di cui rimane il sedime nella piazza omonima. La processione col simulacro si celebrava il Giovedì Santo, in forma
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La Madonna di Santa Maria portata in processione dai reduci dalla guerra di Etiopia, 27 settembre 1936
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solenne, già nel 1591 a cura della Confraternita della Beata Vergine dei Sette Dolori. Tale processione fa ora capo ai Santuari
dedicati allÊAddolorata e si tiene il Venerdì Santo. DellÊintroduzione di tale pratica a Cernusco non conosciamo la data.
Rimangono due bellissimi stendardi processionali fatti ricamare dalla Confraternita del SS. Sacramento. Il primo abbina la
devozione eucaristica e mariana con le immagini della Madonna Assunta, cui è dedicata la Parrocchiale. Il pannello è firmato
Giuseppe Martini e datato 1847. Sul secondo stendardo è raffigurata la Madonna del Rosario, protettrice del ramo femminile
della Confraternita.
I confratelli in talare bianca, cordone, fiocco e rocchetto rossi partecipavano alla processione: i piu giovani e forti portando a spalla
i due simulacri, gli altri in doppia fila li scortavano. Dietro seguivano le consorelle con al collo il nastro rosso con la medaglia.
Stendardo del ramo femminile della Confraternita del SS. Sacramento, 1864
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I luoghi del culto
Santa Maria Addolorata, chiesa pievana
Il legame di Santa Maria alla pieve di Gorgonzola è accertato dalla fine del XIII secolo quando viene menzionata nel Liber
Notitiae Sanctorun Mediolani di Goffredo da Bussero. Questa è la prima notizia certa della chiesa, anche se in documenti
antecedenti (1191, 1201, 1206) è citata, ma non è chiara la localizzazione del paese. La dedicazione a Maria è ricorrente nelle
chiese di fondazione longobarda. La stessa struttura primitiva della chiesa, emersa durante i lavori per la costruzione dellÊOasi
di preghiera (1998) e leggibile sulla parete dÊambito meridionale, ne conferma la fondazione.
La chiesa aveva unÊunica navata lunga una decina di metri e larga sette organizzata in cinque campate alte cinque metri
allÊimposta delle capriate. La navata era chiusa da unÊabside semicircolare, forse quella indicata nel rilievo del 1579.
Due monofore strombate per lato illuminavano fiocamente la navata. La fine tessitura muraria, lasciata a vista, ben documenta
la primitiva chiesa pievana ampliata dopo il Mille, quando si verificò una corsa febbrile alla costruzione di nuove chiese o alla
ristrutturazione di quelle esistenti. LÊampliamento, ben documentato da una tessitura muraria molto più grossolana, comportò
la costruzione di unÊunica navata laterale, a settentrione, bilanciata sul lato contrapposto dalla casa per il parroco. La larghezza
raggiunse i 15 metri e la navata centrale venne soprelevata.
Alla fine del XV secolo, la costruzione del Naviglio separò nettamente il borgo medievale dalla sua parrocchiale, come ben
documentano le mappe storiche a partire da quella catastale del 1721. Due incisioni di MarcÊAntonio Dal Re (1743), dove
Santa Maria compare sullo sfondo della villa Alari, visualizzano come la chiesa sorgesse oltre il canale, isolata nella campagna.
Un solo edificio si addossava al complesso sacro delimitando il sagrato verso ponente. La localizzazione esterna al borgo è
riferibile allÊordinamento pievano che dallÊXI secolo si diffuse nella nostra area. Dalla capo pieve, con funzione battesimale,
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dipendevano altre chiese a presidio del territorio. Quale fosse la destinazione del curioso complesso medievale, ora corte
Andreoni, rimane avvolto nel mistero. Il Ghezzi (1934) avanza lÊipotesi di un convento dellÊordine dei Serviti, attribuzione
peraltro confutata da recenti ricerche. Rimane un bel portico trabeato su colonne in granito coronate da capitelli di fattura
medievale. Il portico immette in un ambiente voltato a botte. Si può forse avanzare lÊipotesi di un luogo di sosta per i pellegrini
devoti alla sacra immagine della Madonna che ancora rimane nella cappella esterna. Il diffondersi della fama dellÊimmagine
miracolosa attirava sempre più fedeli dando lavoro anche allÊosteria già segnalata nel 1572 e contrassegnata nella mappa
catastale del 1721 nel corpo prospiciente il canale. La proprietà era della famiglia Castelsampietro che nel 1605 finanziò il
restauro della chiesa.
LÊintitolazione allÊAssunzione della Vergine Maria compare solo nel 1566 in una relazione di Gerolamo Arabia, delegato
di San Carlo, che visitò la chiesa segnalando la mancanza del fonte battesimale. Nel 1570 un altro delegato del Borromeo,
Leonetto Chiavone stese unÊaccurata descrizione della chiesa supportata da un rilievo datato 1579. La chiesa era divisa in due
navate, pianta non rara in epoca romanica. La navata maggiore era chiusa da unÊabside semicircolare con cancelli di legno
che delimitavano la zona presbiteriale illuminata da due feritoie. La navata laterale, delimitata da due pilastri, aveva una
terminazione piatta con altare dedicato a San Girolamo, raffigurato su una tela. La facciata era a capanna, con due ingressi,
ed il campanile sÊinseriva a meridione. SullÊarea dellÊattuale sagrato insisteva il cimitero della comunità.
Il 24 gennaio 1572 San Carlo venne in Visita pastorale. Nonostante la costruzione del battistero, la parrocchiale dovette
apparire al cardinale molto modesta, poco illuminata ed in stato di degrado. Negli atti della Visita successiva, effettuata dal
delegato di Federico Borromeo nel 1602, la chiesa viene indicata come „S. Maria un tempo parrocchiale‰, chiaro riferimento
alla costruzione di una nuova chiesa. In Santa Maria erano peraltro stati intrapresi dei lavori: la costruzione di una cappella
esterna a protezione dellÊeffigie miracolosa dipinta sulla parete settentrionale e la ristrutturazione dellÊedificio che si intendeva
riportare ad unÊunica navata. Fu Pietro Paolo Castelsampietro a finanziare i lavori che iniziarono nel 1605 con la rimozione
dellÊaltare maggiore per consentire la costruzione del nuovo coro. Nel 1629 la curia richiese che sullÊarchitrave del presbiterio
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si agganciasse un crocifisso, forse quello che è ora appeso sulla parete di fondo del coro. Riferibile al XVII secolo, il Cristo
ligneo, intagliato e dipinto, è posto su una croce non pertinente. I lavori procedettero a rilento tanto che nel 1641 il cardinale
Monti invitò i nobili e la popolazione tutta a contribuire finanziariamente per ultimare i lavori. Nel 1688, per la Visita del
cardinale Federico Visconti, la ristrutturazione era conclusa e la chiesa si presentava come oggi la possiamo vedere. Solo
lÊaltare venne sostituito per lÊarrivo dei due simulacri qui venerati: la statua lignea dellÊAddolorata e il Cristo morto. La statua
della Beata Vergine Addolorata in legno intagliato e dipinto (XVIII secolo) con il petto trafitto da sette spade è documentata
nel Santuario a partire dal 1837. Il Cristo morto (XVII secolo) in terracotta dipinta, posto sotto la mensa dellÊaltare, è qui
documentato dal 1851. Gli ultimi interventi sullÊedificio risalgono al 1884 con lÊulteriore ampliamento del coro, la costruzione
della sagrestia e la soprelevazione del campanile. LÊattuale denominazione „Santuario della Beata Vergine Maria Addolorata‰
risale solo al 1899 e si deve al cardinale Andrea Ferrari.
Un discorso a parte merita la pregevole vetrata collocata nel 1936 sulla facciata, dono dei cernuschesi a mons. Luigi Ghezzi
per il suo 25° di sacerdozio. La vetrata raffigura la Pietà con sei devoti della famiglia Della Porta inginocchiati. LÊopera,
datata 1562, venne probabilmente realizzata dalle scuole vetrarie bavaresi, come si evince dal profondo scorcio prospettico
marino con agglomerato urbano, tipicamente nordico come la luce fredda e azzurrina. Le donne compaiono avvolte in ricche
vesti rinascimentali. Il recente restauro (2005) ha restituito in tutto il suo splendore una rara vetrata, unico esempio, oltre alle
vetrate del Duomo di Milano, dellÊarte vetraria lombarda cinquecentesca. Nel maggio 1998 la chiesa fu dotata di una porta
in bronzo realizzata dallÊartista locale Felice Frigerio. I sei pannelli che la compongono hanno per tema Maria madre della
Chiesa. La porta è in fusione di bronzo a cera persa. Una targa in rame ricorda il committente: don Nando Macchi nel suo
Giubileo sacerdotale.
Alla fine degli anni Novanta accanto al santuario è stato costruito un complesso complementare, un luogo di preghiera e
raccoglimento gestito dalla Parrocchia per i fedeli cernuschesi. La comunità ha tuttora un intenso rapporto col santuario
riconoscendogli, ad un millennio di distanza, il ruolo di Chiesa matrice.
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I luoghi del culto
Santa Maria Assunta, la nuova parrocchiale
Con lo scavo del Naviglio, la parrocchiale di Santa Maria rimase nettamente separata dal borgo per cui la popolazione
iniziò ad utilizzare una chiesa più centrale, San Genesio, gestita dalla comunità dei fedeli di Cernusco tanto da prospettare
una situazione di conflitto per la parrocchiale. Fu San Carlo a tentare di risolvere la situazione. Nel 1572 decretò lo scambio
di sede tra il cappellano che officiava in San Genesio, pagato dai cernuschesi, e il parroco che avrebbe così potuto stare più
vicino ai suoi parrocchiani. Entrambe le chiese necessitavano peraltro di adeguamenti e riparazioni. Per finanziare i lavori
San Carlo pensò di avvalersi delle chiese diroccate del territorio (Santa Maria di Colcellate, Santo Stefano, San Maurizio)
reimpiegando i materiali e vendendo i lotti di terreno. Non sappiamo cosa intervenne, ma i tempi si dilatarono. Forse i
cernuschesi ostacolarono il disegno dellÊarcivescovo.
Nel 1584 venne fondata la nuova parrocchiale su progetto di Pellegrino Pellegrini, detto Tibaldi (1527-1596) che fu per
ventÊanni lÊarchitetto di San Carlo. Una curiosità storica: il luogo dÊorigine del Tibaldi, Puria in Valsolda, coincide con quello
di più parroci che si succedettero a Cernusco in quegli anni: i Pozzo. Uno scritto depositato presso il notaio arcivescovile Gio.
Pietro Scotti attesta lÊintenzione di alcuni nobili del luogo di finanziare la costruzione di una nuova chiesa „in un sito più
comodo‰ lasciando la scelta di luogo e progetto allÊarcivescovo. Era il 1578.
LÊanno successivo, negli atti della Visita pastorale, è annotato lÊelenco dei nobili con lÊindicazione delle somme che ognuno
sÊimpegnava a versare. Il luogo prescelto per la costruzione fu lÊattuale piazza Matteotti. Il lotto comprendeva lÊarea della
chiesa di San Genesio, interamente abbattuta, e parte del giardino dei padri Barnabiti che possedevano la casa adiacente.
Il 16 aprile 1584 avvenne la posa della prima pietra della nuova parrocchiale dedicata a Maria Vergine Assunta.
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LÊantica Parrocchiale in un disegno del 1835
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Della chiesa voluta da San Carlo non rimase nulla se non un rilievo eseguito nel 1833 da Carlo Caimi, oltre alle descrizioni
nelle Visite pastorali a partire dal 1602. La chiesa cinquecentesca era a navata unica con profondo coro chiuso da unÊabside
semicircolare. Le due cappelle erano dedicate a San Genesio e al SS. Rosario. Una terza cappella posta a settentrione,
custodiva il battistero e controbilanciava il campanile posto in facciata. La chiesa era dotata di sagrestia e casa parrocchiale.
La facciata a capanna antistante la piazza e lÊestremo rigore compositivo erano in linea con le Istruzioni dettate da San Carlo
nel 1577. Il pronao su colonne con timpano spezzato dallÊinserimento di una nicchia è un elemento tipico del linguaggio del
Tibaldi, come pure il campanile con lanterna ottagonale. Nei primi decenni del XVII secolo la chiesa venne affrescata con le
Storie della Vergine nella cappella maggiore, la Decollazione di San Genesio nella cappella dedicata al Santo e, sulla volta,
I Misteri della passione di Cristo.
Nel 1755 il primitivo altare maggiore in legno venne sostituito con quello in marmi policromi tuttora utilizzato nellÊattuale
parrocchiale. Con tipologia a tempietto, molto diffusa allÊepoca, il nuovo altare era stato ordinato dalla Scuola del
SS. Sacramento, come pure lÊaltare laterale dedicato al SS. Rosario, benedetto nel 1759. Nel corso dellÊOttocento la chiesa
subì due ampliamenti. Nel 1837 anche il campanile fu riedificato. LÊinterno era diviso in tre navate da robusti pilastri rinforzati
da lesene a sostegno della volta a botte lunettata. Del progetto rimangono numerosi disegni dellÊingegnere Caimi che ben
documentano le fasi del radicale ampliamento che cancellò la chiesa tibaldiana.
Nonostante gli ampliamenti ottocenteschi la capienza dellÊedificio sacro continuava ad essere insufficiente a causa del
notevole incremento della popolazione: 6.000 i cernuschesi censiti nel 1892. Iniziò così a diffondersi il desiderio di una nuova
chiesa e i cernuschesi si attivarono ad organizzare lotterie e pesche di beneficenza, ma il ricavato fu largamente insufficiente.
Intervenne allora il cardinale Andrea Carlo Ferrari, arcivescovo di Milano, sollecitando i cernuschesi con unÊofferta personale
che aprì la strada alla raccolta dei fondi necessari alla costruzione.
Acquistato nel 1907 il terreno (piazza Conciliazione), fu avviata lÊopera di costruzione su progetto dellÊarchitetto Andrea
Fermini, nativo di Cernusco ed esponente del Liberty milanese. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale determinò la sospensione
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dei lavori. Alla loro ripresa (1928) il progetto iniziale fu sostituito da quello dellÊarchitetto Ugo Zanchetta. La chiesa venne
consacrata il 17 luglio 1932 dal cardinale Ildefonso Schuster e dal nuovo parroco Claudio Guidali.
Quanto a spazi i cernuschesi non lesinarono: oltre 2.000 mq. di superficie coperta si organizzano su una pianta a croce latina
i cui bracci misurano 70 e 43 metri. In elevato la facciata misura 23 metri e la cupola raggiunge i 40. I dati qui riportati sono
tratti da un numero di „Voce Amica‰ interamente dedicato alla consacrazione della chiesa (12 luglio 1932) in cui lÊarchitetto
Zanchetta illustra come „pure ispirandosi alle più pure fonti dellÊarchitettura religiosa, abbia realizzato una costruzione
modernissima, intendendo per moderno non il nuovo a tutti i costi, ma piuttosto lo sfruttamento dei più arditi mezzi della tecnica‰.
La chiesa si sviluppa su tre navate riprendendo la struttura basilicale e il paramento in cotto tipici del romanico lombardo,
stile ritenuto il più adatto per gli edifici sacri in questo periodo di eclettismo architettonico. Il transetto si conclude alle estremità con
due cappelle dedicate alla Beata Vergine e a San Giuseppe. Un discorso attento meritano i due simulacri posti nelle cappelle
in quanto costituiscono il trait-dÊunion tra le due chiese di Santa Maria Assunta: lÊantica (1584-1974) e la nuova (1930).
A sottolineare la continuità tra i due edifici, gli arredi sacri furono spostati nella nuova chiesa e, con grande enfasi, furono
trasportate le quattro colonne del pronao utilizzate nel transetto, a sostegno della cupola. Il corteo, documentato da alcune
fotografie (1930), mostra la folla di cernuschesi che fa ala al trasporto in una corale partecipazione di tutta la cittadinanza.
Oltre alle colonne furono collocati nella nuova parrocchiale lÊaltare maggiore, gli stalli del coro, la quadreria recentemente
restaurata e i due simulacri già ricordati: San Giuseppe e la Madonna col Bambino.
Le cappelle che chiudono i due bracci del transetto presentano una struttura unitaria. Delimitate da una balaustra marmorea,
le cappelle si sviluppano allÊinterno dellÊabside che conclude il transetto. La curva parete di fondo è interamente decorata a
tempera con motivi fitomorfi di colore verde e ocra con andamento a rombo al cui interno compare un giglio con una scritta.
Il catino absidale è invece ricoperto dal mosaico. Al centro è posto lÊaltare in marmi policromi sormontato da un tempietto che
racchiude il simulacro. Il raffinato paramento decorativo delle due cappelle venne realizzato intorno al 1940 dagli allievi della
Scuola del Beato Angelico. Le due cappelle sono state recentemente restaurate come la quadreria parrocchiale.
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I luoghi del culto
Gli oratori campestri
Intorno al Mille sorsero nelle campagne del Milanese numerose chiese di dimensioni molto ridotte, tanto che sarebbe più
opportuno chiamarle sacelli. Furono peraltro questi luoghi sacri a dar forma alla tipologia dellÊoratorio campestre che avrà
ampia diffusione a partire dal XVI secolo. Oratorio non è sinonimo di chiesa parrocchiale alla cui costruzione concorreva tutta
la comunità. LÊoratorio veniva eretto da singoli possidenti o da gruppi di persone – corporazioni o confraternite – divenendo
spesso anche luogo dÊincontro. Nel 1577 San Carlo, con lÊaiuto del suo architetto Pellegrino Tibaldi, elaborò le Instructiones
fabricae et supellectilis ecclesiasticae che regolamentava la costruzione degli edifici sacri tentando di porre un freno a questa
dilagante consuetudine a favore delle parrocchie.
Dei primi oratori sorti nelle campagne di Cernusco rimane memoria in numerosi documenti a partire dal X secolo. LÊoratorio
campestre di San Maurizio „de Albairate‰ è citato in una pergamena del 923 insieme a San Martino, anche se a tale data
erano entrambi subordinati alla chiesa pievana di San Giuliano Monzese e quindi al Duomo di Monza. Tale dipendenza è
confermata nel 1169 da una bolla di papa Alessandro III. Nel 1278 lÊoratorio viene citato come San Maurizio „de Catiis‰ con
riferimento alla famiglia che ne aveva il patronato assumendosi quindi lÊonere della manutenzione e del mantenimento del prete.
Albairate doveva essere un villaggio posto tra Cologno e Cernusco, identificabile con la cascina San Maurizio (Rota, 1919).
LÊoratorio è censito nella Visita pastorale del 1566 come diroccato e in abbandono per cui San Carlo Borromeo nel 1584 ne
decretò la demolizione e la vendita del sito.
Medesima sorte toccò allÊoratorio di Santo Stefano più volte citato in documenti del 1206 e del 1286 al fine di individuare
dei terreni agricoli. Ciò fa pensare si trattasse di un oratorio campestre e come tale lo classifica il delegato di San Carlo
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nel 1566 precisando che lÊedificio era in rovina e coperto di
rovi. I documenti sinora emersi non consentono peraltro di
localizzarne il sito.
Numerosi erano gli oratori annessi agli aggregati rurali più
popolosi come lÊoratorio della Visitazione della Vergine a
Colcellate la cui prima citazione rinvenuta risale al 1398.
La Visita pastorale del 1570 la descrive senza tetto e con
pavimento dÊerba. Due anni più tardi gli atti della Visita di
San Carlo ne confermavano lo stato di decadenza, tale da
giustificare lÊabbattimento con lÊindicazione del riuso dei
materiali per la costruzione di San Genesio.
Cascina Olearia, Nel fondo Spedizioni diverse dellÊArchivio di Curia, un
Oratorio dellÊImmacolata documento datato 8 maggio 1595 concedeva la licenza per la costruzione di un nuovo oratorio. La planimetria allegata lo
Reliquiario di San Felice Martire descrive a navata unica con due cappelle laterali ed un presbiterio rettangolare molto profondo.
La costruzione fu presto avviata con onere finanziario sostenuto dal possidente locale Pompeo Bevacqua. LÊoratorio era
molto ampio e articolato, inusuale per una cascina. Nella mappa catastale del 1721 appare fedelmente delineato a meridione,
isolato rispetto gli edifici rustici. Non conosciamo la data dellÊabbattimento del secondo oratorio che potrebbe risalire agli
anni Quaranta del Novecento. Anche la cascina Ronco aveva un oratorio che subì sorte analoga; sono invece tuttora dotate di
oratorio le cascine Imperiale, Torriana, Olearia e Gaggiolo.
Alla cascina Castellana rimane integro e ben tenuto lÊoratorio di Santa Teresa menzionato nellÊaprile 1674 nella Visita
vicariale di Ignazio Francesco Riccardo dove viene definito „splendidamente ornato‰. LÊoratorio fu costruito dallÊabate
Panzeri e dai nipoti che allÊepoca abitavano la parte signorile della cascina. Addossato alla parte rurale, lÊoratorio gentilizio
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si inserisce in una tipologia largamente diffusa in Lombardia in età barocca. La pala dÊaltare con lÊEstasi di Santa Teresa LÊOratorio di San Rocco
mostra riminiscenze ceranesche e cairesche che la collocano verso il sesto decennio del Seicento. Ai lati della pala sono posti nel 1988
due reliquiari lignei a busto raffiguranti i Santi Sisinio e Innocenzio databili agli inizi del XVII secolo. Sulle portine che
chiudono le due nicchie sono lavorati ad intaglio gli emblemi del martirio (la palma e la corona). NellÊoratorio celebrò la sua
prima messa il Beato Luigi Biraghi, fondatore dellÊordine delle Suore Marcelline, a cui la cappella è stata ceduta.
Tra gli oratori campestri cinquecenteschi un discorso a parte merita San Rocco edificato in funzione dellÊepidemia di peste
scoppiata a Milano nel 1576 e successivamente propagatasi nelle campagne attraverso i milanesi che fuggivano dalla città.
Ricordata come la peste di San Carlo, il santo si prodigò per non far mancare
lÊassistenza religiosa agli ammalati, affiancato da alcuni ordini religiosi quali
i Barnabiti presenti a Cernusco. Fece erigere ai crocicchi delle strade colonne
sormontate dalla croce simili a quella che ancora svetta accanto allÊoratorio
sorretta da un basamento decorato con tibie e teschi.
LÊedificio sacro locale nacque probabilmente come cappella votiva in
ringraziamento per la fine della peste, come pare confermare lÊindagine
tipologica e stilistica essendo impossibile una verifica documentale. Non è da
escludere che il complesso commemorasse i cernuschesi morti di peste nel
lazzaretto locale, probabilmente una semplice capanna ben isolata rispetto al
borgo dal Naviglio. La mappa catastale del 1721 ne definisce la localizzazione
e lÊaccesso mediante una strada affiancata da due rogge. La facciata si apre a
settentrione con un disegno a serliana sormontato da un timpano spezzato.
LÊinterno è dominato dalla grande pala dÊaltare raffigurante La Madonna col
Bambino assisi in cielo e sotto San Rocco e San Sebastiano.
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I luoghi del culto
I conventi
La presenza di ordini religiosi sul nostro territorio risale al medioevo. Del 1344 è la prima attestazione certa di un
insediamento di Umiliati a Cernusco. Il Ghezzi (1911) retrodata tale presenza al 1280 citando una casa detta „Faggia‰ dove
era un laboratorio per la tessitura della lana. Accanto sorgeva la chiesa di San Martino citata già in un documento del 1120 alle
dipendenze della Pieve di San Giuliano Monzese, e quindi da Monza. Il complesso umiliato era posto alle spalle della chiesa
di San Genesio e prospettava sulla via dei Barnabiti.
LÊindicazione del Ghezzi, di cui non è stato possibile verificare la fonte, suscita alcune perplessità in riferimento alla datazione.
La domus di Cernusco non compare tra quelle esistenti alla data del 1298 ed elencate nel catalogo Tiraboschi. LÊinsediamento
di un convento degli Umiliati a Cernusco è quindi da porsi tra il 1298 e il 1344. La comunutà fu sciolta anteriormente al 1553,
anno in cui furono censite durante il Capitolo elevato a Brera.
La domus di Cernusco apparteneva al Secondo Ordine costituito da uomini e donne che, pur mantenendo lo stato laicale, vivevano
in castità e povertà nella stessa casa, vestiti di un umile abito di lana grezza da cui la denominazione. Agli Umiliati si deve
lÊintroduzione della gelso-bachicoltura nelle zone asciutte del Milanese, cosa che avvenne probabilmente anche a Cernusco.
Le grandi ricchezze accumulate col lavoro manifatturiero vennero incamerate alla soppressione dellÊordine avviata nel 1327
per le comunità miste e culminata nel 1571 con lo scioglimento del ramo maschile dopo lÊattentato perpetrato da un aderente
alla vita del cardinale Borromeo. I beni incamerati consentirono a San Carlo di istituire Seminari e di dotare ordini religiosi
quali i Gesuiti, che ereditarono la casa madre di Brera, ed i Barnabiti. I Padri di San Barnaba ebbero riconoscimento canonico
fin dal 1533 dedicandosi allÊeducazione dei fanciulli nelle scuole Arcimbolde di SantÊAlessandro a Milano. Il Ghezzi,
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Facciata del collegio basandosi sulle „Memorie del Collegio di San Barnaba in Milano‰ afferma che ottennero la „Faggia di Cernusco‰ allo
in una cartolina del 1933 scioglimento dellÊordine degli Umiliati facendone una casa di villeggiatura con giardino.
La mappa del catasto teresiano (1721) parrebbe confermare la versione del Ghezzi in quanto nella parte meridionale
dellÊisolato, è posta la „Casa di propria abitazione‰ con pianta ad „U‰ e ampio giardino a ponente. Le proprietà dei Barnabiti
in loco vennero rilevate tra il 1772 e il 1775 da Antonio Greppi che profittò delle confische statali.
LÊordine monastico che più di ogni altro ha lasciato una traccia indelebile a Cernusco è
lÊIstituto delle Suore di Santa Marcellina qui fondato nel 1838 dal Beato Luigi Biraghi.
Nato a Vignate il 2 novembre 1801, Luigi si trasferì a Cernusco dove la famiglia è
documentata dal 26 luglio 1803 alla cascina Castellana. Figura di primo piano nella
Milano dellÊOttocento, il Biraghi ricoprì alte cariche ecclesiastiche. Fu direttore spirituale
del Seminario di Milano tra il 1833 e il 1848, Dottore dellÊAmbrosiana tra il 1855 e il
1879. Questo fu il periodo più fecondo per i suoi studi storici. Ebbe stretti rapporti con
due Papi: Leone XIII e Pio IX che lo nominò nel 1873 prelato domestico.
Il Biraghi seppe valutare appieno la grande importanza che le donne andavano assumendo
nella società dellÊOttocento e fondò una congregazione con la finalità di „ben educare
le fanciulle dalla cui cristiana e civile riescita dipende in tanta parte il bene della Chiesa
e dello Stato‰. Stesa la regola con la collaborazione di Marina Videmari, il Biraghi si
adoperò per fornire una sede alla nuova congregazione. Comprò un lotto di terreno da
casa Greppi e diede incarico allÊarchitetto Moraglia di progettare il convento seguendo personalmente i lavori, come si evince
dal suo epistolario. Giacomo Moraglia (1791-1860), esponente del Neoclassicismo milanese, creò unÊopera impeccabile,
senza guizzi della fantasia, ma perfetta nella sua classica gravità. Il convento si organizza attorno allÊampio chiostro quadrato
cadenzato dal ritmo delle 33 colonne in granito, riprendendo lo schema tipologico dei Seminari Arcivescovili.
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Il collegio fu scenario di un miracolo avvenuto nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 1924. Era qui ricoverata suor Elisabetta Veduta del collegio
Redaelli paralizzata e cieca da un anno per un male incurabile. La Madonna, col Bambino in lacrime, apparve alla suora negli anni Cinquanta
lasciando un annuncio. La repentina guarigione di suor Elisabetta è stata riconosciuta miracolosa dalla Chiesa. Un simulacro
raffigurante La Madonna del Divin Pianto è stato realizzato sulle indicazioni della miracolata ed è conservato nella camera
che vide lo straordinario evento, ora trasformata in cappella.
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Il Naviglio piccolo
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Il Naviglio piccolo
Nel 1443, un gruppo di nobili possidenti – il ceto dirigente dellÊepoca – sviluppò un progetto di sfruttamento delle acque
dellÊAdda al fine di realizzare un canale atto ad azionare sedici ruote da mulino per potenziare lÊeconomia agricola del
territorio. Il progetto prevedeva lÊincile a valle del castello di Trezzo, un tracciato iniziale parallelo al corso del fiume con
cambio direzionale allÊaltezza di Cassano, per poi raccordarsi alla fossa di cerchia di Inzago. Il canale avrebbe poi raggiunto
Trecella e Melzo per scaricare nel torrente Molgora.
La morte del duca Filippo Maria Visconti (1447) bloccò il progetto. Il contado divenne scenario di guerra contro la Repubblica
di Venezia sino al 1454, quando il nuovo duca, Francesco Sforza, firmò la pace di Lodi. Il progetto, sostenuto dal duca per le
finalità strategiche di controllo del confine di Stato, fu ripreso e realizzato nel 1457 in soli sei anni. Il Naviglio Piccolo – solo
successivamente denominato Martesana – col suo sistema di rogge andò a disegnare il paesaggio irriguo del contado.
LÊindotto economico fu rilevante; per quarantÊanni vi lavorarono schiere di operai sotto la vigile guida degli ingegneri ducali.
Il materiale necessario veniva reperito in loco. Il ceppo dellÊAdda era estratto dalle cave di Trezzo e Vaprio, lÊargilla, cavata tra
Gessate e Bellinzago, veniva lavorata e i mattoni cotti in fornaci una delle quali era, come suggerisce lÊetimo, a Villa Fornaci,
una cascina di Cernusco posta lungo lÊalzaia.
Sino ad Inzago il tracciato del nuovo canale seguì il progetto del 1443, da qui fu prolungato sino a Milano. Canale ed alzaia
andarono a costituire unÊalternativa allÊunica strada che attraversava gli abitati collegando Milano allÊAdda, confine di Stato.
Bertola da Novate è il più famoso tra gli ingegneri ducali in quanto il suo nome ricorre negli appunti di Leonardo. A lui si
ascrive il merito di questa importante infrastruttura che condivise con altri ingeneri ducali tra cui Cristoforo da Inzago e
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Il ponte sul Naviglio Filippo Guascone. LÊintervento di Leonardo nella progettazione dei Navigli milanesi è spesso sopravvalutata. Quando
in una cartolina del 1901 lÊartista giunse a Milano (1482) i navigli già esistevano col loro sistema di chiuse. Leonardo ricoprì la carica di ingegnere
ducale solo per breve tempo, nel 1498. A lui si devono alcuni interventi innovativi come la carenatura dei portelloni delle
chiuse convergenti per facilitarne lÊapertura contro corrente. A lui si deve anche lo studio del raccordo tra il nostro naviglio e la
cerchia interna di cui rimane memoria nella conca dellÊIncoronata. Il naviglio Martesana aveva in origine solo una funzione
irrigua. Le numerore rogge erano predisposte dai
proprietari dei terreni di cui prendevano il nome.
LÊacqua era un bene prezioso ed il suo emungimento
era attentamente controllato da pubblici funzionari:
i campari. Era lo stesso duca che concedeva la
quantità dÊacqua da prelevare, stabilita con brevetto,
da cui la necessità di precisi strumenti di misurazione.
Solo nel 1471 il canale fu predisposto per
la navigazione. Le due funzioni erano in conflitto
creando non pochi problemi per garantire la
portata dÊacqua indispensabile al pescaggio dei
barconi, tanto che nel 1571 fu aumentata la portata
del canale.
Verso Milano, in favore di corrente, viaggiavano derrate alimentari e materiali da costruzione, in senso opposto stoffe,
manufatti e soprattutto il sale, allÊepoca tassato al ponte delle gabelle, sulla chiusa dellÊIncoronata. Le merci venivano sbarcate
nel porto in città, un grande specchio dÊacqua prospiciente la chiesa di San Marco. Il canale doveva apparire molto animato,
come si può peraltro constatare in incisioni e dipinti dÊepoca. Oltre ai barconi addetti al trasporto delle merci, il naviglio
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era solcato da barche più piccole di proprietà di nobili che facevano la spola tra il palazzo di città ed i fondi agricoli per gli Il ponte sul Naviglio
approvvigionamenti. in una cartolina del 1909
Anche le sponde del canale furono coinvolte nellÊindotto commerciale. Lungo lÊalzaia si insediarono numerose osterie, come
quella Castelsampietro di Cernusco, adiacente a Santa Maria. La posizione era strategica in quanto poco discosta dallÊapprodo
pubblico, posto accanto al vecchio ponte, unico accesso al borgo. In questo tratto di canale rimane ancora lÊantico lavatoio.
Tartari (2003) racconta un curioso fatto emerso
dagli archivi sacri. „In un rapporto del 1592 si
racconta di una fatua (prostituta) che esercitava il suo
lavoro su un barcone fra Cernusco e Vimodrone‰.
Il distretto ecclesiastico non era lo stesso per cui
i due parroci non erano in grado di intervenire.
UnÊaltra piaga che affliggeva la vita del canale
era la pirateria, fenomeno che è possibile seguire
attraverso le grida. Numerosi, quanto infruttuosi,
furono i provvedimenti sino al Settecento inoltrato
quando fu debellata dallÊapplicazione delle rigorose
leggi giuseppine.
I tempi di percorrenza della via dÊacqua erano
notevoli. Dopo lÊapertura del naviglio di Paderno (1777) era necessaria unÊintera giornata in favore di corrente e ben 45 ore
durava la risalita dei convogli trainati da cavalli. Il declino del naviglio Martesana è legato alla chiusura della Cerchia interna
(1929-1933) ed alla successiva interdizione alla navigazione sancita il 18 marzo 1959. Si sta peraltro aprendo una nuova
stagione per il nostro canale dettata dallo sfruttamento delle valenze turistiche del corso dÊacqua e del paesaggio che attraversa.
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Il Naviglio piccolo
La ruota idraulica
Nel 1857, Vincenzo Carini fece installare sul Naviglio una ruota a 12 pale con un diametro di sette metri per sollevare
lÊacqua per gli usi della filanda posta nella vicina villa. Alcune vecchie cartoline ne documentavano la presenza presso il
ponte dellÊAssunta. Rimaneva lÊisolotto, delimitato dal canale di
alimentazione, e il ponticello di collegamento realizzati nel 1857.
Sulla scorta della documentazione rinvenuta nel fondo Acque
dellÊArchivio di Stato di Milano e di alcune fotografie si è
provveduto ad una fedele ricostruzione della ruota idraulica
demolita alla fine degli anni Quaranta.
La nuova ruota, installata nel 2006, ha un diametro di 7 metri e
movimenta una pompa a stantuffi. Il ripristino dellÊantica ruota
idraulica della filanda Carini è stata una meritevole operazione di
recupero dellÊambiente storico lungo il canale.
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Il Naviglio piccolo
La metropolitana
I lunghi tempi di percorrenza del Naviglio avviarono la ricerca di nuovi mezzi di trasporto. A fine Ottocento, le innovazioni
della tecnica portarono allÊavvento della ferrovia che andò a sostituire i barconi dei navigli.
La prima strada ferrata che percorse il nostro territorio fu la Ippovia trainata Milano-Monza inaugurata lÊ8 luglio 1876.
Da porta Venezia partivano vetture a due piani trainare da coppie di cavalli per raggiungere Monza. Lungo il percorso
Loreto-Gorla-Precotto-Sesto San Giovanni furono per la prima volta posati quei binari che Milano aveva rifiutato. Subito
seguì la Milano-Gorgonzola-Vaprio aperta nel 1878 e ben presto modificata per lÊintroduzione del vapore. Fu il primo
esempio in Italia di tramvia su sede stradale con locomotiva a vapore. Il mitico Gamba de legn percorreva i trenta chilometri
in tre ore. Il tracciato seguiva quello del canale, ma spostato verso meridione.
I viaggiatori naviganti si spostarono prontamente su questa linea, anche se più onerosa nelle tariffe, mentre il trasporto
pesante continuò a svolgersi via acqua.
Con lÊavvento dellÊelettricità, le tramvie si modificarono ulteriormente. Nel 1939 lÊelettrificazione della linea tramviaria
raggiunse la Martesana e il Gamba de legn venne sostituito dal tram. Il capolinea milanese della tramvia Milano-Gorgonzola-
Cassano dÊAdda era in via Benedetto Marcello, in corrispondenza della nuova Stazione Centrale.
Alla fine degli anni Cinquanta la crescente motorizzazione determinò un decremento dei passeggeri. La linea tramviaria
verrà quindi dismessa e sostituita dalle Linee Celeri dellÊAdda inaugurate il 5 maggio 1968. Il nuovo percorso fu tracciato
tanto vicino allÊantica via navigabile che, per il tratto di Vimodrone, fu fatto correre nel letto del Naviglio stesso. LÊattuale
linea metropolitana che raggiunge Cernusco sfrutta la medesima sede.
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