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Published by egisto.siraghi, 2015-07-21 18:10:03

I martiri (12 edizione) copia

I martiri (12 edizione) copia

Con la presente nuova edizione si intende proseguire il ser-
vizio, reso di persona da don Grazio Gianfreda per oltre 50 anni
nella Cattedrale di Otranto, attraverso i suoi scritti sui Santi Mar-
tiri del 1480 e sui monumenti della Città, riportati anche sul sito
www.graziogianfreda.it

GRAZIO GIANFREDA

I SANTI MARTIRI
di OTRANTO

12a edizione
a cura di

Quintino Gianfreda

EDIZIONI GRIFO

In copertina: Immagine dell'arazzo per la solenne Celebrazione della Cano-
nizzazione dei Santi Antonio Primaldo e Compagni, Martiri di Otranto (Roma,
piazza San Pietro, 12 maggio 2013).

© Edizioni Grifo 2015 ISBN 9788869940019
Via Sant’Ignazio di Loyola, 37
73100 Lecce
www.edizionigrifo.it

A mio padre
a mia madre
a quanti mi hanno sostenuto
lungo la vita

Oggi è lui
che ci sostiene dal cielo
nel ricordo e con la preghiera



PREFAZIONE

I Santi Martiri di Otranto storicamente è la più antica
ed abituale denominazione spontaneamente adottata dalle
popolazioni otrantina e di Terra d’Otranto per riferirsi, in
particolare, ad Antonio Primaldo e Compagni, circa Otto-
cento, uccisi dagli Ottomani in odio alla fede sul colle della
Minerva, appena fuori della Città, nella tarda sera del 13
agosto 1480: una canonizzazione ante litteram di una Chiesa
di popolo, manifestazione dell’autentico “sensus fidei” del
Popolo santo di Dio.

Il presente opuscolo scritto con intento e passione pasto-
rale da mons. Grazio Gianfreda con l’originario titolo I Beati
800 Martiri di Otranto, con le sue undici edizioni e diverse
ristampe, ha accompagnato per mezzo secolo pellegrini, devoti
e visitatori. Ed ha notevolmente contribuito a divulgare, in
forma semplice ma con un’essenziale documentazione delle
fonti, l’evento otrantino del 1480-1481 con l’immane sacri-
ficio della Città e la suprema testimonianza di fede cristiana,
il martirio dei suoi Figli.

Sotto il profilo giuridico nei vari processi ecclesiastici la
causa di canonizzazione dei Martiri, fin dall’inizio, è stata
formulata con la dizione Antonio Primaldo e Compagni e
con tale dizione è stato necessario proseguirla fino alla sua
recente positiva definizione.

Essa ha avuto un forte e decisivo impulso con i pontificati

7

di Giovanni Paolo II, oggi Santo, e del papa emerito Benedetto
XVI, giungendo a felice conclusione il 12 maggio 2013 con
l’autorevole riconoscimento e la solenne proclamazione, da
parte di papa Francesco, dei Beati Martiri di Otranto a Santi
della Chiesa cattolica.

Tale storico traguardo, ardentemente agognato e per il quale
tanto si è profuso con lo studio, la devozione e la preghiera,
l’Autore del presente opuscolo l’ha contemplato dal cielo e
ne ha intensamente goduto.

Accogliendo sollecitazioni e richieste giunte dopo la
canonizzazione dei Martiri, è parso moralmente doveroso
rivedere ed aggiornare il suo lavoro, al fine di favorire in tal
modo che la Chiesa di Otranto, come Egli stesso invitando
alla preghiera auspicava, “additi oggi alle soglie del terzo
millennio cristiano Antonio Primaldo e Compagni testimoni
esemplari al Popolo di Dio”.

E quanto sia attuale tale evento è stato lo stesso papa
Francesco, nell’omelia della Liturgia della canonizzazione,
ad affermarlo: “Mentre veneriamo i Martiri di Otranto, chie-
diamo a Dio di sostenere tanti cristiani che, proprio in questi
tempi e in tante parti del mondo, adesso, ancora soffrono
violenze, e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere
al male col bene”.

Secondo anniversario della Canonizzazione, 12 maggio 2015.

Quintino Gianfreda

8

INTRODUZIONE

Cristiano, che sei venuto a visitare i gloriosi Martiri di
Otranto, fermati un momento, e pensa: «La terra in cui ti
trovi è terra santa, bagnata dal sangue dei Martiri, significata
dalla presenza dei loro corpi venerandi».

Gesù prima di salire al cielo disse ai suoi seguaci: «Mi
sarete testimoni a Gerusalemme ...e fino agli estremi confini
della terra» (At 1,8).

Stefano e Giacomo gli resero testimonianza a Gerusalem-
me; Pietro e Paolo, Lorenzo, Agnese e Cecilia a Roma; Lucia
a Siracusa; Agata a Catania; Tommaso a Calamina; Matteo
in Etiopia; e milioni di uomini e donne, giovani e ragazze,
sacerdoti e laici in tutto il mondo hanno reso testimonianza
a Gesù con il loro martirio.

Anche Otranto ebbe la sua ora di passione quando circa
800 figli suoi preferirono morire per Cristo anziché rinnegarlo.

Cristiano, per te ho scritto questi cenni storici sui Martiri
di Otranto. Dopo averli letti, prepàrati anche tu a rendere
testimonianza a Gesù con la vita di ogni giorno e, se è ne-
cessario, anche col dono della tua esistenza.

L’Autore

9



CAPITOLO PRIMO

Otranto

(La città più orientale d’Italia)

I monti albanesi visti da Otranto
12

Otranto, l’Hidrus dei greci, è la città più orientale d’Italia.
Circondata per tre quarti dal mare e per un quarto dalla
terra, s’innalza con le sue vecchie case bianche oltre le mura
che la racchiudono, quasi rocca classica dell’Ellade.
Un mare incantevole, pieno di gabbiani volteggianti e di
vele, chiuso nel suo Canale e anello di congiunzione con le
vicine Grecia e Albania; un litorale pittoresco incurvato di
scogli e spiagge ridenti; un tesoro inestimabile di monumenti
e di cimeli, racchiusi gelosamente tra le mura, fanno della
piccola città marinara un centro di studio e di turismo.
Un silenzio profondo e riposante, quasi voce misteriosa,
squarcia i “secoli bui”, e invita il visitatore a fermarsi nella
splendida Cattedrale dell’XI secolo1, nella chiesa bizantina
di S. Pietro del IX secolo2, davanti alla mole gigantesca
del castello e alla cinta muraria della città, che hanno quasi
riacquistato il loro splendore originale per il restauro ese-
guito dal 1986 al 19913. Lo invita soprattutto ad interessarsi
dell’antichità e della storia della città, trattata da scrittori
illustri in ogni epoca.

1 Cfr. G. Gianfreda, Il Mosaico di Otranto. Biblioteca medioevale in immagini,
a cura di Quintino Gianfreda, X ed., Edizioni del Grifo, Lecce 2008.

2 Id., Basilica bizantina di S. Pietro in Otranto. Storia e Arte, VIIed.,ristampa
a cura di Quintino Gianfreda, Edizioni Grifo, Lecce 2010.

3 Id., Otranto e Federico II, Edizioni del Grifo, Lecce 2000, pp. 46-51.

13

Origini

Le origini di Otranto sono remotissime: tra i suoi fonda-
tori si alternano i nomi di Minosse, Dedalo, Ercole, Japigio,
Lizio.

Enea, profugo dalla patria distrutta, toccò una rada, an-
cora riconoscibile per il tempio della dea Minerva, un dì
svettante sulla collina che guardava il porto.

Nella primitiva marcia dell’umanità verso l’Europa,
battendo contemporaneamente la via del mare, le isole e le
penisole del Mediterraneo, le correnti migratorie giunsero
in Otranto e svilupparono civiltà riferibili al paleolitico su-
periore, al neolitico e all’eneolitico, nelle Grotte Romanelli
e dei Cervi4.

Chi vuol prendere familiarità con l’antica storia dell’uo-
mo salentino, deve venire qui, lungo questa costa, al cui
vertice s’insedia la città di Otranto.

Otranto, fra Oriente e Occidente

Otranto, per la sua posizione geografica, lungo i secoli
è stata anello di congiunzione fra l’Oriente e l’Occidente;
porto commerciale e strategico di una certa importanza;
centro di intensa cultura; punto d’incontro e crogiolo di varie
civiltà, di lingue, filosofie, culti, arti diverse che col tempo
si sono fuse in una sintesi nuova e mirabile5.

4 Cfr. G. Gianfreda, Otranto nascosta, III ed., Edizioni del Grifo, Lecce
2002, pp. 59-71.

5 Id., Il Mosaico di Otranto..., cit., pp. 59-69.

14

Il De Ferraris afferma che Otranto e diverse città del
Salento, della Calabria e della Sicilia formarono la Magna
Grecia, e in esse fiorì il commercio con il Levante, si tra-
piantarono il pensiero e la cultura greca, nacquero i primi
statuti del ben vivere6.

Nel 700 a.C. Otranto si batté contro Taranto e, poi, con
Taranto contro Roma7. Passata a Roma assurse a nuova
importanza come porto di imbarco delle potenti legioni
romane e degli studiosi latini che venivano qui e in Grecia
per perfezionarsi. Da Roma fu elevata a Municipio con di-
ritto di battere moneta in bronzo e argento, significata con
conchiglia e delfino8.

Pietro, il principe degli Apostoli, proveniente da Antiochia,
probabilmente sbarcò ad Otranto e avrebbe confermato i cri-
stiani presenti nella città fin dalle origini del Cristianesimo9.

Caduta Roma, Otranto passò a Costantinopoli dal V
all’XI secolo, ricevendo da essa scuole, lingue, liturgia,
strutture. Piazzaforte dell’Impero di Bisanzio, non conobbe
la notte del caos barbarico, e primeggiò su tutta la Penisola
salentina che, da allora, prese il nome di Terra d’Otranto.
Eccelse per i suoi studi col rinomato Monastero italo-greco
di S. Nicola di Casole10, con l’Accademia Talmudica11 e con

6 Id., Otranto e il primato dell’Umanesimo Occidentale, III ed., Edizioni del
Grifo, Lecce 2005, pp. 49-63.

7 Id., Otranto nella storia, VII ed., Edizioni del Grifo, Lecce 2003, pp. 53-78.
8 Id., Otranto e il primato dell’Umanesimo…, cit., pp. 67-87.
9 Id., Storia della Cattedrale. Diario di un popolo, Editrice Salentina, Ga-
latina 1989, pp. 18-23.
10 Id., Il Monachesimo italo-greco in Otranto, II ed., Edizioni del Grifo,
Lecce 1994.
11 Cfr. G. A. Milano, Storia degli Ebrei in Italia, Einaudi, Torino 1963, p. 19.

15

Otranto in una incisione di G. Pacichelli (Napoli 1703)
Veduta dal porto del centro storico di Otranto (foto P. Bolognini)

16

la Scuola pittorica12. Vantò maestranze numerose e specia-
lizzate. I «Negatia tares Calabriae et Apuliae, come risulta
anche da una prammatica di Giustiniano, costituivano una
classe numerosa, assai bene organizzata e di forte capacità
contributiva. Tutto questo si ricava da Procopio, Strabone,
Cassiodoro, Simmaco, Paolo Diacono, ecc.»13.

Nel 1069 Otranto fu conquistata dai Normanni e, da ter-
ra amica e fedele a Bisanzio, divenne testa di ponte contro
Bisanzio. Nel 1227 vide partire dal suo porto la Crociata
guidata da Federico II14.

Da Otranto partivano pure i Veneziani per l’Oriente, e
nella città avevano i loro depositi di olio e di grano, di cui
ancora oggi si trova traccia.

Qui, nel 1200 c., riparò il nipote dell’Imperatore Andro-
nico, e, nel 1400 c., Michele Comneno fu nominato Conte
d’Otranto per aver aiutato Ladislao d’Angiò Durazzo, re di
Napoli, contro Sigismondo d’Ungheria e Luigi II d’Angiò.
Nel sec. XV i Comneno legarono Otranto al loro nome e
diedero luogo al ramo dei Comneno d’Otranto. Il principe
Alessandro Angelo Flavio Comneno, discendente dal ramo
pugliese, curò – a spese proprie – la Sala capitolare della
Cattedrale con marmi, affreschi e mobili in stile.

Giuseppe Fouché, «l’uomo che – al dire del Medelin
– durante un’epoca di crisi mondiale, guidò i partiti su-
perandoli tutti, e vincendo perfino in duello psicologico
Robespierre e Napoleone», quel piccolo diacono dell’Ora-

12 Cfr. G. Gianfreda, Iconografia di Otranto tra Oriente e Occidente, Edizioni
del Grifo, Lecce 1994, pp. 23-66.

13 M. Viterbo (Peucezio), Gente del Sud, Laterza, Bari 1959, p. 223.
14 Cfr. G. Gianfreda, Otranto e Federico II, cit., pp. 53-68.

17

torio, che «servì con rara abilità la Rivoluzione francese, il
Direttorio, Napoleone, la Monarchia e la restaurazione, finì
i suoi giorni riconciliandosi con la Chiesa e con il titolo di
Duca di Otranto, lui, un tempo sanculotto»15.

Ricca di storia e di arte, Otranto divenne l’Assisi d’Italia
nel 1480 quando, da sola, difese l’occidente cristiano contro
l’ottomano invasore.

15 Cfr. G. Gianfreda, Otranto nella storia, cit., p. 330.
18

CAPITOLO SECONDO
Ambiente storico

(L’espansionismo ottomano)



Alla fine del 1300 i Selgiuchidi dell’Asia Minore1, smem-
brati dagli assalti dei Mongoli, si divisero in piccoli e fragili
emirati. Il più potente di essi fu l’emirato degli Ottomani.

Guerrieri instancabili, conquistarono Nicomedia e Nicea
nel 1330. Nel 1356 Solimano occupava Gallipoli. Quattro
anni dopo, Murad (1350-1389) occupava Adrianopoli, la
sceglieva a capitale dell’Impero e vendeva a vile prezzo un
gran numero di prigionieri per liberarsene. Nel 1371 Murad,
piombato improvvisamente sui principi cristiani della Serbia,
Bosnia, Bulgaria e Valacchia che uniti marciavano contro di
lui, li sbaragliava e arrivava fino a Niss e a Sofia. Nel 1389
cristiani e musulmani si scontravano a Kossovo. Qui Murad
trovò la morte, ma le sue truppe riportarono una splendida e
decisiva vittoria. Oramai quasi tutti i Balcani erano sotto il
potere della Mezzaluna, e la frontiera d’Europa era l’Ungheria.

A Murad succedeva Bajazet (1389-1402), che occupa-
va Salonicco (1394) e Nicopoli (1396). Massacrava tutti i
prigionieri, tranne una quarantina di grandi personaggi che
negoziava per una somma di 200.000 fiorini. Poi assediava
Belgrado e riportava una splendida vittoria, vanificando i
prodigi di valore degli Ungheresi e di Giovanni Hunyadi, il
«cavaliere bianco». Nello stesso tempo – purtroppo senza

1 Dinastia musulmana della Turchia fondata nel secolo XI dall’emiro Beg,
nipote di Selgiuk (onde il nome).

21

Il sultano Maometto II

un accordo preventivo con l’Hunyadi – Skanderbeg, l’eroe
albanese, sollevava i cristiani nelle montagne, tenendo testa
con tenace resistenza a tutti gli eserciti turchi inviati a pren-
derlo. Moriva nel 1468.

I Balcani erano completamente soggiogati e la caduta di
Costantinopoli era ormai questione di giorni o di minuti.

Maometto II

Nei primi giorni di febbraio del 1451, il sultano che aveva
fatto tremare l’Europa era morto, ma quello che gli succede-
va, Maometto II (1451-1481), stava per rivelarsi ancora più
preoccupante. Era un ragazzo di soli ventuno anni, esile e
pallido, dal naso curvo, dalla bella barba nera, con qualcosa
di felino e insieme di sognatore; ma sotto questa apparenza
di esteta, amico delle arti d’Europa, invaghito della pittura
italiana, si dissimulava una personalità dinamica di straor-
dinaria energia, il tipo stesso dell’uomo nato per le grandi
imprese. E inoltre senza scrupoli, seducente, ma volentieri
perfido e d’una crudeltà lucidamente calcolata.Appena salito
al trono, Maometto II ebbe un unico pensiero: impadronirsi
di Costantinopoli, che occuperà nel maggio del 1453. Farà
il suo ingresso solenne in S. Sofia, ove reciterà la preghiera
musulmana e porrà fine ai massacri con una parola. Bisanzio
cambierà padrone e nome: finiranno, così, mille anni e più
di grandezza cristiana2.

2 Cfr. D. Rops, La Chiesa del Rinascimento e della Riforma, in Id., Storia della
Chiesa del Cristo, vol. IV, trad. di Nello Beghin, Marietti, Torino 1965, pp. 83-89.

23

In tutta la Cristianità la caduta di Costantinopoli produsse
un’immensa emozione, ed i suoi presagi erano foschi.

Maometto II, «nel 1453, scrisse una lettera al Papa Niccolò
V, per giustificare la sua conquista. Egli faceva questo ragio-
namento: - Io son turco, e i turchi, secondo le mie nozioni
etimologiche e genealogiche, sono Teucri, cioè discendenti
dei famosi eroi troiani, dei quali la fama suona nelle istorie.
Personalmente, riconosco tra i miei avi lontani quel glorioso
Ettore troiano, che fu ingiustamente ucciso dai greci; dunque
il mio diritto di vendetta sui moderni elleni è sacrosanto. Ecco
perché ho assediato e vinta la capitale dell’Impero d’Orien-
te. Per la successione di Enea, che era anche troiano e mio
antenato, mi spetta altresì l’Impero d’Occidente: dunque
aspettami da un momento all’altro a Roma»3.

Nonostante queste minacce i re e i principi d’Occidente
continuarono a essere divisi l’uno contro l’altro.

Era re di Napoli Ferdinando I d’Aragona, detto Ferran-
te. Figura astuta di sovrano, che imperniava la sua politica
estera sull’accordo tra il suo stato, quello di Milano e la
lega difensiva sorta nel 1467 fra Napoli, Milano, Firenze e
il Papa. Odiava Venezia perché sfuggiva ad ogni controllo e
con la sua flotta ostacolava l’unica via di espansione che il
Mezzogiorno aveva, quella con l’oriente. Questo equilibrio
italiano, già tanto instabile, fu sconvolto dalla congiura dei
Pazzi, scoppiata in Firenze nel 1478 contro Giuliano e Lo-
renzo dei Medici. Giuliano cadde assassinato, e Lorenzo a
stento si salvò. Dopo la congiura Lorenzo divenne più forte
e più prepotente. Si vendicò dei nemici facendo strangolare

3 A. Perotti, Storie e Storielle di Puglia, G. Laterza, Bari 1923, p. 235.

24

Francesco Salviati, nipote del Pontefice e Arcivescovo di
Pisa, e imprigionare il cardinale Sansoni-Riario.

Il papa Sisto IV (1475-1484), il primo della Rovere, sco-
municò Lorenzo e la Signoria; colpì di interdetto Firenze e
si alleò con Ferdinando d’Aragona che, volendo ampliare i
suoi confini, dichiarò guerra a Lorenzo ed inviò un esercito
in Toscana sotto il comando del duca di Calabria, il futuro
Alfonso II. Per tener fronte al nemico, Lorenzo chiese aiuto
al Doge di Venezia, a Bona di Savoia reggente di Milano e
vedova di Galeazzo Maria Sforza, e ad Ercole d’Este, duca
di Ferrara. La guerra andava male per i fiorentini che, rimasti
soli, venivano frequentemente battuti. Infatti Ercole d’Este,
signore di Reggio Emilia, li tradiva; Venezia4, minacciata
dall’avanzata dei turchi che nel 1479 le inflissero la pace ver-
gognosa di Negroponte, non poteva inviare gli aiuti promessi;
Bona di Savoia doveva difendersi dal cognato Ludovico il
Moro, dagli Svizzeri che minacciavano la Lombardia, e dagli
Adorno che si agitavano in Genova.

Lorenzo dei Medici, abile e intelligente diplomatico,
nonostante la guerra, non si perdette d’animo: si recò alla
corte di Napoli e persuase Ferrante a staccarsi dal Pontefice
e stipulare un patto d’azione con lui (13 marzo 1480).

Venezia, nemica di Mattia Corvino, re d’Ungheria e genero
di Ferdinando, protestò e, allontanatasi da Firenze, stipulò un
trattato di pace e di alleanza con Sisto IV (16 aprile 1480).

Il 25 luglio dello stesso anno Lorenzo rinnovò i patti
del 13 marzo; anche Milano e Ferrara entrarono a far parte

4 Cfr. F. Babinger, Maometto il Conquistatore e gli Umanisti di Italia, in
Aa.Vv., Venezia e l’Oriente fra tardo Medioevo e Rinascimento, a cura di Ago-
stino Petrusi, Sansoni, Firenze 1966, p. 446.

25

dell’alleanza. La pace fu firmata, ma il Magnifico non era
sicuro. Il Duca di Calabria continuava a rimanere in Siena.
Voleva realizzare «il disegno per sì lungo tempo carezzato
dalla sua famiglia» (Sigismondi), cioè conquistare la inquieta
Repubblica senese e annettersi Firenze, accampando un certo
diritto per parte di Gualtiero di Brienne, duca di Atene, conte
di Lecce e di Conversano, e signore di Firenze.

Di questa caotica situazione di leghe e controleghe ap-
profittava il turco, che occupava una parte della Spagna, la
Grecia, l’Albania e i Balcani. Maometto II il Conquistatore
(1451-1481) nel 1479 imponeva la pace di Negroponte alla
Repubblica diVenezia, lasciando trentaquattromila soldati sul
confine con l’Isonzo, pronti, dice il Rovighi, «per riprendere
l’invasione e le scorrerie»5. L’Italia è tra due schieramenti
turchi: uno nel Nord (Isonzo), l’altro nel Sud (le vicine Al-
bania e Grecia). Il progetto militare del Sultano è evidente:
conquistare tutto lo stivale d’Italia e, attraverso la Francia,
unirsi agliArabi della Spagna e islamizzare l’Europa cristiana.

Di questo pericolo i re e i principi d’Occidente non ten-
gono conto: continuano a combattere tra di loro e ad essere
divisi facendo il facile gioco dell’avversario. Solo i Pontefici
cercano di allertare i cristiani ignari del pericolo. Sisto IV
lancia un appello: «Italiani, se volete ancora dirvi cristiani,
difendetevi». Ma il suo appello cade nel vuoto.

Maometto II, paradossalmente, lo prende sul serio e manda

5 Cfr. A. Rovighi, L’Occidente Cristiano di fronte all’offensiva del Turco in
Italia nel 1480-1481: aspetti militari, inAa. Vv., Otranto 1480: atti del Convegno
Internazionale di studio promosso in occasione del V Centenario della Caduta
di Otranto ad opera dei Turchi (Otranto 19-23 maggio 1980), a cura di C. D.
Fonseca, volume primo, Congedo Editore, Galatina 1986, pp. 74.

26

a dire al Pontefice, con molto sarcasmo, che avrebbe fatto
mangiare l’avena al suo cavallo sulla tomba di San Pietro6.

Lascia l’assedio di Rodi, difesa vittoriosamente dai
Cavalieri, raduna una potente flotta a Valona e si assicura
il beneplacito della Serenissima per la traversata dell’A-
driatico. Secondo alcuni storici7, la Serenissima svolge un
delicato gioco militare e politico in difesa dei suoi interessi
territoriali e commerciali. A ragione il Babinger scrive: «Da
fonti veneziane, fonti di alta rinomanza (ad es. da Andrea
Nogavero) si ricava che la Signoria, a mezzo del suo nuovo
balio a Istanbul, Sebastiano Gritti, fece rappresentare al Gran
Signore che egli avesse pieno diritto ad attribuirsi Brindisi,
Taranto ed Otranto»8.

6 Cfr. D. Rops, op. cit., p. 88.
7 Cfr. C. Foucard, Fonti di storia napoletana nell’Archivio di Stato di Modena:
Otranto nel 1480 e nel 1481, in “Archivio storico per le province napoletane”, vol.
6 (1881), p. 128; D. Malipiero, Annali Veneti dall’anno 1457 al 1500... Relazione
sulla presa e ricupero della città di Otranto, in “Archivio storico italiano ossia
raccolta di opere e documenti finora inediti o divenuti rarissimi riguardanti la
storia d’Italia”, carta 130, vol. VII, parte I, Vieusseux, Firenze 1843.
8 F. Babinger, Maometto il conquistatore e il suo tempo, Einaudi, Torino
1957, p. 420.

27

Otranto: statua lignea di S. Francesco di Paola (sec. XVII), dopo il restauro realizzato
nel 2012 da Francesca R. Melodia (busto ligneo) e Marcello Tortorella (base processionale)

CAPITOLO TERZO
San Francesco di Paola e Otranto

(Annunzio profetico)

Otranto: statua lignea di S. Francesco di Paola (sec. XVII), prima del restauro

Francesco di Paola (1415-1507), uomo di umili natali, ma
di animo adamantino e deciso, è l’uomo del suo tempo che,
in una società neo-paganeggiante, afferma la superiorità dello
spirito sulla materia. Interviene spesso a favore della Chiesa
universale e anche a favore della Chiesa locale di Otranto.

Un giorno don Giacomo Guerrieri, canonico del duomo
di Nicastro, ri reca nel convento di Paterno Calabro per far
visita a Francesco. Prima di accomiatarsi il Santo gli regala
tre mele: una per lui, una per la marchesa di Cerace e l’altra
per il Vescovo di quella diocesi. Poi, aggiunge: «Direte al
Vescovo che i turchi non sono stati mai così vicini a noi
cristiani come ora; anzi, egli ordini di recitare tutti i giorni
la colletta contro gli infedeli»1.

Il sacerdote, triste e pensoso, si allontana e riferisce al
Vescovo quanto il Santo gli aveva raccomandato.

Un’altra volta Ciccio Florio va a fare visita al Santo e gli
chiede quando sarebbe finita la guerra in Toscana.

Francesco risponde: «Oh! non è per la Toscana, ma è per
questo nostro regno che dovremo temere. Io vedo il turco che
tra poco porrà piede sulla nostra terra. Miseri noi, miseri noi!…
miseri noi…». E, allargando le braccia si allontana2.

Il 17 maggio del 1480, Luigi Palladino, servo del regio

1 A. Giordano, Processo Calabro, test. 96, Acta ms., n. 124.
2 Processo Cosentino, test. 4.

31

uditore di Cosenza, e Calvario di Paterno vanno dall’eremita
paolano, e ad essi il frate dice:

«Tra poco avremo notizie gravissime»3.
Si volge, quindi, ai suoi religiosi, li invita a pregare e a
fare penitenza e, guardando verso Otranto, esclama:
«Infelice città, di quanti cadaveri vedo coperte le tue vie!
Di quanto sangue cristiano ti vedo inondata!»4.
Il re di Napoli non crede alla profezia del Santo, e lo
considera un disfattista. Ma Francesco non si dà per vinto,
né ha paura delle minacce del sovrano. Con un capitano di
vascello, capitato a Paterno, gli manda a dire che i turchi sono
ormai alle porte del suo regno e che, tra non molto, sarebbero
sbarcati nelle sue terre5. Il re, ancora una volta, non crede e
gli impone di tacere. Ma il Santo, per nulla intimorito, dice
ai messi di Ferdinando: «Tornate al vostro re e ditegli che
ormai è tempo di calmare lo sdegno del Signore con pronto
ravvedimento; che Dio tiene alzata la sua destra per colpirlo;
che si valesse del tempo concessogli per evitare il castigo.
L’armata dei Turchi minaccia l’Italia, ma più da vicino il suo
regno: ritirasse le soldatesche dalla Toscana, non curasse
l’altrui mentre trattavasi di difendere il proprio»6.
Il re non crede alle previsioni del frate di Paola, nonostante
le numerose notizie di una probabile spedizione dei Turchi
in Puglia e la preoccupazione delle città rivierasche7.

3 Processo Cosentino, test. 4.
4 G. M. Roberti, San Francesco di Paola fondatore dell’Ordine dei Minimi
(1416-1507): storia della sua vita, F.lli Tempesta, Roma 1915, p. 311.
5 Processo Calabro.
6 A. Giordano, Processo Calabro, test. IV.
7 Cfr. C. Foucard, op. cit., p. 128.

32

Mendicino (CS), Santuario della Madonna dell’Accoglienza: San Francesco di Paola e i
Santi Martiri d'Otranto, icona di Domenica Ghidotti (2008)

Anche l’abate Verdino di Otranto aveva previsto l’invasio-
ne turca di Otranto fin dalla fine del secolo XIII. Morto nel
suo monastero di Cosenza nel 1279, aveva lasciato scritto:
«Hydruntina patria mea a dragone mahumetano devastaba-
tur», e cioè: «Otranto, patria mia, sarà distrutta dal dragone
maomettano»8.

L’ora di Otranto è segnata. La flotta turca, ormeggiata nel
porto di Valona, è pronta ed attende solo l’ordine di salpare.

8 Collezione Sloane IV 2704, f. 106, Londra, British Museum.
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CAPITOLO QUARTO
Assedio di Otranto

(Otranto difende l’Europa cristiana)

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Agomat Pascià, condottiero dei turchi nella presa di Otranto (ritratto)

Ferdinando, avvertito dei preparativi turchi1, cercò di
presidiare in fretta le coste pugliesi, specialmente quelle di
Brindisi e Otranto che erano le più esposte e le più vicine alla
costa albanese, ma con poche forze e scarsi mezzi, come se
proprio non credesse all’imminenza del pericolo. Affidò il
comando a due valorosi capitani, Francesco Zurlo di Napoli
e Giovanni Antonio delli Falconi di Taranto, e comandò a
Francesco De Arenis, Arcivescovo di Brindisi, di mandare
cento soldati provinciali ad Otranto2.

Nel luglio del 1480, Maometto II staccò, all’improvviso,
l’armata da Valona, la pose al comando del Gran Visir Ago-
mat Pascià ed ordinò la conquista della Puglia3. Intanto una
squadra veneziana, agli ordini del Capitano Vettor Soranzo,
vettovagliava i musulmani fingendo d’impedir loro l’ingresso
nell’Adriatico.

La mattina del 28 luglio 1480, l’armata turca, forte di 90

1 Cfr. C. Foucard, op. cit., p. 85.
2 Cfr. D. Moro, Otranto nel 1480-81: due preziose fonti, fra le più antiche,
mai fino ad oggi individuate come tali, Otranto 1978, p. 58.
3 Dell’impresa otrantina parla chiaramente anche lo storico ottomano Tursum
Bey, dignitario della corte di Maometto II, la cui opera composta dal 1488, è
stata tradotta e pubblicata in Italia nel febbraio 2007, col titolo La conquista di
Costantinopoli. L’autore qualifica “guerra santa” la spedizione diAgomat Pascià,
dove i “luoghi di culto degli idoli divennero moschee islamiche e risuonarono delle
cinque preghiere di Muhammadˮ (Cfr. T. Bey, La conquista di Costantinopoli,
trad. italiana di L. Berardi, Mondadori, Milano 2007, pp. 247-248).

37

Il porto di Otranto in un’antica stampa

galee, 15 maone4, 48 galeotte, con 18.000 soldati a bordo,
giunse a vista del porto di Otranto.

Alcuni storici ritengono che i turchi erano diretti a Brindisi
ma, o perché ebbero paura di trovare quella città ben forti-
ficata, o perché venti contrari glielo impedirono, puntarono
su Otranto5.

«I cittadini di Otranto, per quanto dubbiosi che il Turco
volesse dirigersi proprio sulla loro città, tuttavia, ammaestrati
da tante passate e dolorose esperienze, corsero subito ai ripari.
I maggiorenti della città si riunirono in assemblea ed i magi-
strati – il 28 luglio – scrissero al re la seguente lettera:

«Serenissima e Cattolica Maestà
L’istante necessità ed evidente pericolo non pare (non per-
mette) che facciamo con Vostra Maestà tanti lunghi proemi;
perché l’armata turchesca che ha dimorato tanti giorni alla
Valona, in quest’ora è comparsa ai danni nostri. La provisione
che è nella città è poca, il nemico è potente, quale col numero
di centocinquanta e più vele è venuto ad assalirci: se la M.
V. non fa subito quella provisione necessaria, noi porteremo
(correremo) gran pericolo di perderci ed essere presi; noi dal
canto nostro non mancheremo di difenderci per quanto sarà
possibile, e faremo il nostro dovere; ma il manco (meno) sa-

4 Maone sono dei galleggianti, usati nei porti per caricare e scaricare merci
dalle navi. Il termine deriva dal turco mavuna, che indicava una grande galea da
guerra del ’500. Cfr. A. Saracino, Otranto baluardo dell’Occidente cristiano,
Edizioni CIAS, Roma 1981, p. 42, nota 8.

5 “Quanto poi allo sbarco ad Otranto come fatto occasionale e di ripiego,
in luogo di uno sbarco a Brindisi per le condizioni del mare, si deve ... ritenere
trattasi di leggendaˮ: così si pronunzia, debitamente argomentando, A. Rovighi
nella sua relazione: L’Occidente cristiano di fronte all’offensiva del turco in
Italia nel 1480-81: aspetti militari, cit., pp. 65-135.

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Re Ferdinando

rebbe la perdita della vita, e dei nostri figli, mentre quello che
più importa sarà il disservizio di Dio, ed il danno che potrà
sostenere alla M. V.

La supplichiamo pertanto per amore di Dio che ci dovesse
soccorrere subito contro questo cane, nostro nemico tanto
potente. Né diremo altro se non raccomandarci umilmente alla
M. V. che nostro Signore guardi e conservi per lunga serie di
anni con ogni felicità; e noi liberi dall’oppressione dei nostri
nemici e dalla presente invasione.

Data in Otranto il 28 luglio 1480»6.
E mantennero la promessa.
La mattina del 1 agosto, il legato del duca di Ferrara a
Napoli scriveva al suo signore che poche ore prima erano
giunti di gran galoppo quattro cavalieri da Otranto, con la
notizia che le centocinquanta navi turche si erano schierate
in ordine di battaglia di fronte alla città.
Il re Ferdinando, conosciuta la cosa, si diede da fare per
riunire un esercito da mandare in aiuto; purtroppo, anche se
i soccorsi fossero stati già pronti, non sarebbero giunti in
tempo nel luogo della lotta.
I capitani del presidio di Otranto, resisi conto della gravità
della situazione e del fatto che potevano contare unicamente
sulle loro forze, richiamarono entro le mura tutti gli uomini
validi del contado, li armarono e li prepararono al combatti-
mento; poi raccolsero in gran fretta viveri e bestiame; fecero
sbarrare saldamente le porte e si posero in vigile attesa degli
avvenimenti.

6 G. M. Laggetto, Historia della guerra di Otranto del 1480 come fu presa
dai Turchi e martirizzati li suoi fedeli Cittadini fatta per Giov. Michele Laggetto
della medesima città / trascritta da un antico manoscritto e pubblicata con brevi
commenti da Luigi Muscari, Tip. Messapica, Maglie 1924, p. 20.

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Agomat, poche ore più tardi, senza trovare la minima resi-
stenza, fece sbarcare i suoi uomini lungo il litorale, «sistemò
il campo, mise a punto armi e munizioni, circondò Otranto
con alcune migliaia di soldati e poi, dopo tanto dispiegamento
di forze, mandò messi ai maggiorenti della città offrendo
onorevoli condizioni di resa»7.

Egli «voleva la città in suo potere, e che, se loro volessero
rendersi liberamente e di buona volontà senza combattere,
lui li faria liberi da potersene andare con le loro famiglie,
moglie e figli dove li piacesse e, se volessero restare nella
città medesima sotto il dominio del suo signore, esso l’avria
molto bene trattati, come gli altri sudditi, che nelli loro paesi»8.

Gli otrantini non si lasciarono vincere dalle promesse: ri-
unita l’assemblea popolare con a capo i Deputati del governo
di quell’anno Angelantonio Sampietro, Notar Gabrieli Gae-
tano, Domenico Coluccia, Alessandro Carbotto, Lanzillotto,
Fagà ed altri maggiorenti, tra i quali quelli di casa De Marco
con in testa il vecchio Ladislao, dopo una lunga e animata
discussione, unanimamente decisero di resistere ad oltranza
e, se necessario, morire per Iddio e per il Re.

Ladislao De Marco «per levare ogni sospetto, pigliò le chiavi
della città, cioè delle porte di essa, e quelle, presente tutto il
popolo che le vedesse, da sopra una torre, le buttò in mare»9;
Francesco Zurlo, avvicinatosi al messo turco, disse: «SeAgomat
Pascià desidera Otranto, venga a prenderla con le armi, perché,
dietro le mura, ci sono i petti dei cittadini che la difenderanno».

Gli Otrantini avevano deciso la loro sorte. Popolo e capi-

7 P. Rota, «Historia», Rivista n. 76, marzo 1954.
8 G. M. Laggetto, op. cit., p. 22.
9 Ibidem.

42

tani s’animavano a non temere, a star saldi ed a combattere
da forti.

Alla ferma e coraggiosa risposta di quel popolo d’eroi, le
potenti artiglierie turche, piazzate intorno alle mura, strinsero
la città in un cerchio di ferro e di fuoco. Un uragano di pro-
iettili imperversò, notte e giorno, su di essa. Sotto lo scroscio
delle grosse bombarde rovinavano gli edifici.

All’alba del secondo giorno, Agomat ordinò di lanciare
mine con i mortai. Fu aperta una grossa breccia nel muro
orientale. I primi reparti di assalto del Pascià vi irruppero,
ma gli otrantini li fermarono, sia pure a costo di duecento
morti, e strapparono al turco due bandiere.

Il giorno successivo, alla stessa ora, fu sferrato il secon-
do attacco, respinto anch’esso dal valore dei difensori che
perdettero altri cento uomini.

Un cronista del tempo parla, con raccapriccio e stupore
insieme, delle bombarde usate dai turchi «grosse di gran
meraviglie che parevan botti… e tiravan palle di pietra viva
di smisurata grandezza… perché alcune erano di circuito
di dieci palmi… e quando dette palle sparavano era tanto il
terremoto che pareva che il cielo e la terra volessero abissare
e le case ed ogni edificio per il gran terrore pareva che allora
cascassero» (Laggetto).

Gli Otrantini non avevano artiglierie da controbattere,
perché i soldati dell’Aragonese, calatisi nottetempo dalle
mura «colle zuche»10, vilmente erano fuggiti.

Otranto, abbandonata a se stessa, impavida, si schierò

10 G. M. Laggetto, op. cit., p. 26: «Si chiamano zuche, certe funi fatte di
giunchi, con le quali si cava l’acqua dalli pozzi e dalle fontane».

43

Irruzione dei Turchi nella Cattedrale (da una stampa antica)

intorno alle mura, e aspettò che il nemico venisse all’assalto
per affrontarlo corpo a corpo.

I turchi, non riuscendo ad aprirsi un varco per entrare nella
città, si affollarono sotto le mura e ne tentarono la scalata. Ma
i difensori, noncuranti del pericolo e della morte, si esposero
a petto scoperto sui bastioni gettando liquidi bollenti sulle
truppe assedianti che precipitavano nel fossato.

I due campi erano ormai rossi di sangue e disseminati di
cadaveri, quando all’alba dell’undici agosto, quindicesimo gior-
no di assedio, le artiglierie nemiche aprirono una larga breccia
nelle mura, e le orde turche irruppero furiosamente, urlando.

Francesco Zurlo, con il figlio accanto e alla testa dei suoi
prodi, combattendo da leone fece strage del nemico, ripetendo
il gesto di Leonida al passo delle Termopili. La resistenza fu
tenace: il terreno fu ceduto palmo a palmo, finché, travolto
dalla bufera incalzante, cadde eroicamente insieme con il
figlio e con tutti i suoi guerrieri. Accorse Giannantonio delli
Falconi con un pugno di valorosi, affrontò i turchi, li tenne a
bada, ne arrestò l’impeto travolgente, «ma era tanta la calca
della gente turchesca che veniva spinta da dietro dal Bassà
e dai loro capitani con bastoni e scimitarre nude per farli
entrare per forza e con gran gridi e urli, che non si poteva
più resistere»11.

Cadde Giannantonio con i suoi.

«…Oh viva, viva!

Beatissimi voi
mentre nel mondo si favelli o scriva»12.

11 G. M. Laggetto, op. cit., p. 27.
12 G. Leopardi, All’Italia, Istituto d’Arte, Urbino s.d.

45

Abbattute le due schiere, che contenevano il passo al
nemico, le spietate orde musulmane si riversarono selvag-
giamente nelle vie e nelle case di Otranto.

Le case vennero occupate sistematicamente, una per una,
saccheggiate, e poi date alle fiamme.

I cittadini, terrorizzati e senza difesa, fuggivano a piccoli
gruppi verso il centro della città, verso la imponente Cattedrale
che, con le sue robuste porte spalancate, sembrava offrire a
tutti un sicuro rifugio. I malcapitati raggiunti per le strade o
nelle case, venivano orrendamente massacrati, senza pietà
per nessuno.

Nella furia devastatrice, la soldataglia musulmana non
risparmiò né la debolezza del sesso né quella dell’età: i
forsennati invasori penetrarono nelle case, salirono sui tetti,
schiantarono porte, abbatterono muri. Dovunque il tripudio
orrendo della strage incrudelì trionfante. Scene di violenza
e di terrore si susseguirono, un gemito e un lamento grande
risuonò ovunque. Come l’antica Rachele, Otranto pianse i
suoi figli e non sperò né attese alcun conforto ed aiuto.

L’ultima fortezza da espugnare era la Cattedrale, dove il
gruppo superstite dei difensori si era barricato non certo con
l’intenzione di cercarvi scampo, ma col generoso proposito di
difendere fino all’ultimo sangue la rocca imprendibile di Dio.
Fu intorno a questo estremo riparo che la lotta, acuendosi al
massimo, assunse tutto il suo significato profondo ed ideale:
dinanzi alla porta sbarrata, petti contusi e sanguinanti offri-
rono un ultimo baluardo al furore spietato delle scimitarre,
all’irrompere selvaggio di quelle torme infuriate.

Cosa avveniva intanto nell’interno del tempio?
Pastore in mezzo al suo gregge, l’anziano Arcivescovo

46

Stefano per l’ultima volta aveva distribuito l’Eucarestia, il
pane vivo disceso dal cielo a quel povero popolo, prostrato e
tremante; ed ora sedeva lì sulla cattedra episcopale, pontefice
e vittima sull’esempio di Cristo. Intorno a lui, sacerdoti,
vecchi, mamme, spose, fanciulli e vergini, riuniti presso
l’altare della Regina del cielo, attendevano l’ora suprema
dell’olocausto.

Dall’alto del pergamo sacro, il domenicano fra Fruttuoso,
levando alta la voce sull’indistinto mormorìo di preghiere e di
gemiti, andava tessendo gli elogi di quella fede per la quale
era giunta l’ora di testimoniare col sangue. Le sue parole
furono interrotte da un terrificante boato. Sotto la violenza
dell’impeto esterno, la grande porta del tempio cedette, e si
abbatté sul popolo orante. Fu il segnale dell’ultimo eccidio.

Travolgente come un vortice furibondo, l’esercito otto-
mano fece irruzione nella casa di Dio. La foga dell’odio e
della vendetta penetrò per le navate agili e solenni, raggiunse
gli altari, uccise i celebranti, profanò, insozzò, contaminò.

Il sacro oratore, tagliato in due, cadde nel suo sangue.
Qualcuno si spinse fino alla Cattedra pontificale, al cospetto
del venerando Presule, di cui, più barbaro di Attila, non subì
il gioco dell’imponente maestà. Gli domandò il suo nome:
«Sono il pastore di questo popolo», rispose l’Arcivescovo
«indegnamente preposto al gregge di Cristo».

Il «nome al di sopra di ogni altro nome», ancora una volta
segno di contraddizione, fece sussultare di odio il turco.

«Non nominare Cristo» proruppe, «non più Egli, ma il
nostro Maometto qui regna».

«Il vostro Maometto, promulgatore di un’empia legge,
è stato giudicato dalla sentenza di Dio. E se voi, infelici!,

47

L’arcivescovo Stefano Pendinelli ucciso in Cattedrale

non vi convertirete a Cristo, per sempre ne condividerete
la sorte»13.

L’ultima parola dell’Arcivescovo fu una parola d’amore.
Ma in compenso, ebbe un colpo di scimitarra che gli staccò
il capo14.

E la strage proseguì cruenta, impietosa, sia nell’ampio
recinto della chiesa superiore, sia negli intercolunni della
cripta, stipati anch’essi di popolo supplichevole…15.

Improvviso giunse l’ordine di sospendere l’indescrivibile
strage.

Mai il tempio di Dio subì una profanazione più orrenda,
e fu asperso da tanto sangue cristiano!

Sgombrata dai cadaveri, la splendida Cattedrale venne tra-
sformata in moschea, mentre fuori, nel sopravvenuto silenzio
di una calma sinistra, Otranto era un ammasso desolante di
cadaveri e rovine.

«La resistenza, opposta dai cittadini di Otranto per tre-
dici giorni, aveva permesso all’esercito del Re di Napoli di
avvicinarsi a quei luoghi. E Agomat, che aveva sperato di
piombare improvvisamente su Brindisi e Lecce, comprese
che il suo disegno era stato frustrato da un pugno di eroi.
Preso da rabbia, pensò di vendicarsi su coloro che avevano
avuto la ventura di sopravvivere alla distruzione della città»16.

13 P. Colonna, detto il Galatino, Commenti sull’Apocalisse, Cod. Vat. Lat.
5567, foll. 147-148.

14 Cfr. C. Foucard, op. cit., p. 92.
15 Cfr. Sisto IV, Ad futuram rei memoriam, in “Bullarium Francescanum”,
anno X, 1480, n. 1384, p. 691.
16 P. Rota, op. cit.

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