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Published by Litotipo Anaune, 2023-01-19 09:00:13

Volume L'oro bianco 2022

Volume L'oro bianco 2022

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50 Macchinario Turbine Alternatori Potenza in kW Tipo Anno costruttore Potenza in kVA Anno costruttore GR 1 12.500 Pelton 1930 Riva GR 1 13.800 1930 T.I.B.B. Produzione Potenza totale delle turbine in kW Potenza totale dei generatori in kVa Salto in metri Portata massima in metri cubi al secondo 12.500 13.800 621,47 3,00 Tipo documento Dati di riferimento Oggetto Decreti Commiss. Civ. Cles n. 392/29 del 1.10.1922 R.D. n. 13798 del 7.12.1933 R.D. n. 4639 del 19.04.1934 D.I. n. 549 del 21.04.1971 Di concessione Approvaz. disciplinare Di variante Di variante Disciplinari n. 1268 del 18.03.1933 n. 1266 del 18.03.1933 n. 10733 del 22.04.1970 Generale Principale/integrativo Suppletivo Collaudo Verbale collaudo del 2.08.1933 Verbale collaudo del 10.11.1971 R. D. n. 4639 del 19.04.1934 D.I. n. 68 del 5.02.1972 Provvisorio Definitivo Approvazione collaudo Appr. Derivazioni laghi Marmotte e Lungo


51 1 | Sul tema del lavoro, si veda il capitolo precedente. 2 | Dati ricavati da Meteotrentino.


53 4LE ORIGINI E GLI ASPETTI PROCEDURALI. Nell’ottobre del 1922, come accennato nel precedente capitolo, la SIAN (Società Idroelettrica Alto Noce) otteneva dal Commissario Civile di Cles la concessione per realizzare sul torrente Noce e sui suoi affluenti ben 7 grandi derivazioni, a scopo di produzione di energia elettrica. Il documento citava anche le opere in Val di Peio, indicandone le caratteristiche. L’impianto di Peio doveva essere alimentato dal bacino imbrifero a monte della presa di Malga Mare, dal bacino del Vioz e dal bacino dei Cadini e Taviela, per una superficie complessiva di 47,8 chilometri quadrati. Nei pressi della zona di Malga Mare dovevano essere realizzati due sbarramenti a stramazzo, atti a convogliare il rio Càreser e il Noce Bianco in un bacino di decantazione, dal quale avrebbe avuto origine il canale derivatore, da realizzarsi parte in galleria e parte a mezzacosta, per una lunghezza di 4.900 metri circa. La derivazione sarebbe terminata nel bacino di carico posto a Nord dell’abitato di Peio: qui si volevano indirizzare le acque derivate dai rivi Cadini, Taviela e Vioz. Dal bacino, munito di sfioratore per la restituzione in alveo delle portate eccedenti, sarebbero dipartite due condotte forzate, del diametro medio di 600 mm, collegate a due turbine Francis installate nella sala macchine della centrale. Le acque turbinate potevano così essere scaricate in una tubazione, che le avrebbe portate nel pozzo piezometrico del sottostante impianto di Cogolo. L’impianto di Cogolo, così come previsto in questo primo progetto di massima, oltre a ricevere le acque derivate e utilizzate dall’impianto di Peio, doveva derivare il Noce di Val del Monte attraverso la costruzione di una diga in località Pian Palù. Il bacino imbrifero totale sotteso sarebbe stato pari a 87,00 chilometri quadrati, di cui 47,8 relativi all’impianto superiore di Peio e 39,2 relativi al Noce di Val del Monte. La zona pianeggiante, chiamata Pian Palù, si chiude in una stretta verso valle, dove si voleva realizzare la diga in muratura con un’altezza massima di 73,60 metri, generando un invaso di 33 milioni di metri cubi di acqua. La galleria di derivazione avrebbe avuto un diametro di 2 metri e una lunghezza di 6.715 metri. Dal pozzo piezometrico sarebbero dipartite due condotte forzate del diametro di 800 mm, destinate ad alimentare i gruppi di produzione posti nella sala macchine della L, impianto di Cogolo e le sue derivazioni


54 centrale. Questo era quanto prevedeva il progetto di massima, sul quale fu rilasciata la concessione. Nel maggio del 1927 la SGET (Società Generale di Elettricità Tridentina) presentava il progetto esecutivo a firma dell’ingegnere Bruno Bonfioli, che apportava diverse modifiche piuttosto importanti al progetto originario. Veniva infatti prevista l’unificazione dei due impianti di Peio e Cogolo in uno solo, detto di Cogolo. Il nuovo schema di utilizzazione delle acque dei due rami del Noce, quello Bianco di Val Venezia e quello di Val del Monte, prevedeva la creazione di due derivazioni distinte, da far confluire in un’unica centrale, che sarebbe sorta in località Pont di Cogolo. La derivazione 1, denominata «del Gaggio» (Noce Bianco di Val Venezia), raccoglieva in una vasca di carico le acque dello scarico della centrale di Malga Mare, quelle del Noce Bianco e quelle residue del rio Càreser (sbarrato con la diga del Càreser). Dalla vasca aveva inizio la galleria di derivazione che, lungo il suo percorso, riceveva le acque dei rii Vallenaia e Zampil. Dal pozzo piezometrico si dipartiva una condotta forzata del diametro medio di 130 mm, che alimentava i gruppi di produzione posti nella sala macchine della centrale. La derivazione 2, denominata «di Pian Palù», prevedeva la costruzione di una diga a Pian Palù e galleria di derivazione con l’apporto anche delle acque derivate dai rii Vegaia, Taviela, Vioz e Cadini. Dal pozzo piezometrico si dipartiva poi la condotta forzata del diametro medio di 180 mm, che andava ad alimentare i gruppi di produzione. Le portate utilizzate venivano poi restituite all’alveo del Noce Bianco tramite un breve canale di scarico. Questa nuova modalità di realizzazione delle derivazioni e sfruttamento dei due rami del Noce consentiva un aumento della potenza prodotta rispetto al primo progetto (su cui era basata la concessione) da 23.576 HP a 37.544,23 HP. Dato che la variante prometteva una maggior producibilità e una più razionale utilizzazione delle acque dell’alto Noce, il progetto otteneva facilmente l’autorizzazione per le modifiche proposte con Regio decreto n. 4640 del 19 aprile 1934, rilasciata alla SGEC (Società Generale Elettrica Cisalpina) che, in base all’atto di fusione del 7 ottobre 1933, subentrava a pieno titolo e a tutti gli effetti alla SGET, precedente titolare della concessione. La realizzazione del nuovo impianto di Cogolo non fu immediata. Durante i lavori emersero delle criticità e il completamento dell’opera fu ritardato. Per alimentare con sufficiente energia elettrica i cantieri del Càreser e degli impianti di Peio e Cogolo, previsti nel decreto di concessione originario, nell’aprile del 1923 la SIAN presentò una domanda corredata di progetto per ottenere l’autorizzazione a realizzare una piccola centrale in località Cavia. Questo impianto veniva alimentato tramite una derivazione sul torrente Noce di Val del Monte, poco al di sopra della confluenza con il Noce di Val Venezia, e più precisamente «subito a valle – così era descritta nel disciplinare n. 1631 del 18 gennaio 1935 – del ponte di legno che dalla strada comunale per la fonte di Peio conduce alla località Cavia». La portata d’acqua derivabile doveva essere compresa fra un massimo di 1.200 l/s e una media di 800 l/s, il salto era pari a 86,27 metri e la potenza nominale media risultava pari a 920,21 HP. La concessione veniva assentita nel maggio del 1923 (poi riconfermata dal decreto del Ministero dei lavori pubblici n. 3601 del 13 aprile 1935), in via del tutto precaria e «fino alla data del collaudo definitivo del maggior impianto sul torrente Noce di Val del Monte a Pian Palù», che andrà a sottendere questa centrale a carattere provvisorio. La presenza della centrale provvisoria in località Cavia andava a compromettere, però, il funzionamento della centralina che il Comune di Cogolo, all’inizio del Novecento, aveva realizzato sul Noce di Val del Monte con finalità pubbliche1 . A questo proposito è interessante ricordare che, nel disciplinare legato a concessione precaria per la centralina di Cavia, compare una clausola che obbligava la SIAN – così si legge tra le «garanzie da osservarsi» – a provvedere alla fornitura gratuita di un determinato quantitativo di energia elettrica, a fronte della compromissione di una «minore utenza per produzione di energia elettrica sul torrente Noce di Val del Monte, già di proprietà del comune di Cogolo, ora Comune di Peio, che è stata sottesa dall’attuale impianto precario». Con la costruzione dell’impianto provvisorio in località Cavia, veniva di fatto a cessare il funzionamento della centralina installata vent’anni prima dal Comune di Cogolo.


55 LA DERIVAZIONE MALGA MARE, DENOMINATA «DEL GAGGIO». Si ricorderà che la centrale di Malga Mare entrò in esercizio nel 19312 e che lo scarico delle acque turbinate, attraverso un apposito canale, confluiva nella vasca di carico dell’impianto di Cogolo - derivazione Malga Mare. Questo ci conferma che, già in quella data, la Società aveva provveduto a realizzare anche le opere inerenti la derivazione del torrente Noce di Val Venezia (Bianco), deviato in tale vasca di carico, e tutte le numerose opere derivatorie, compresa la derivazione Malga Mare. Dai verbali di verifica e controllo dell’avanzamento dei lavori, stesi dal Genio Civile di Trento, appare evidente che l’impianto di Cogolo derivazione Malga Mare (Noce di Val Venezia) e suoi affluenti (rii Vallenaia e Zampil) fu realizzato in un lasso di tempo veramente contenuto, compreso fra il 1926 e il 1929. La data esatta di ultimazione dei lavori, che coincide con l’entrata in esercizio parziale (derivazione Malga Mare - Gaggio) della centrale di Cogolo, risale al 12 dicembre 1929. In meno di quattro anni si riuscì a costruire l’opera di presa sul torrente Noce di Val Venezia, la vasca di accumulo, la galleria di derivazione in roccia del diametro 1,90 metri per 1,70 metri lunga 4.861,73 metri, il pozzo piezometrico anch’esso scavato in roccia, la posa della condotta forzata all’aperto e il fabbricato centrale. Se pensiamo ai mezzi tecnici e ai macchinari in dotazione in quegli anni, la velocità con cui proceMappa della diga di Pian Palù. Elaborazione grafica tratta dalla brochure divulgativa Diga di Pian Palù. In costruzione, in muratura a secco. Gruppo Edison, Società Edison, Impianti idroelettrici del Noce (1950). Collezione Francesco Framba, Peio.


56 dettero i lavori appare strabiliante. A quei tempi, le società operavano con enormi poteri, dettando «il bello e il cattivo tempo»: si assumevano la responsabilità di dare inizio ai lavori, di proseguirli, di accelerarli, di operare varianti in corso d’opera, anche su semplici autorizzazioni provvisorie o verbali di presa d’atto degli organi preposti ai controlli. Per realizzare opere di tali dimensioni in tempi così ristretti, le imprese disponevano di grandi quantità di mano d’opera, che impiegavano sui cantieri riducendo al minimo le cautele per la salvaguardia della sicurezza sul lavoro. Gli infortuni furono innumerevoli, spesso non rilevati o sottaciuti. E si diffusero drammaticamente anche le malattie respiratorie, dovute all’inalazione delle polveri durante gli scavi e nelle fasi di avanzamento in galleria. Queste patologie, come nel caso della silicosi, colpirono molti lavoratori. In certi tratti di scavo, dove la roccia era più friabile, potevano essere sufficienti poche settimane di lavoro per ammalarsi (come nel caso, tristemente noto nella memoria della valle, del tratto di “Socina”, sopra Peio Paese, sulla condotta del Palù, dove si registrarono numerosi decessi). In altri casi, i sintomi si presentavano in età avanzata, a distanza di diversi anni3 . La realizzazione accelerata dei lavori della derivazione Malga Mare (Gaggio) ebbe una sorta di coda temporale legata all’utilizzazione del rio Vioz. Nel giugno del 1939, dopo circa dieci anni dall’inizio dell’esercizio e produzione della centrale di Cogolo, la SGEC presentava domanda di variante con relativo progetto al Genio Civile di Trento per ottenere lo sfruttamento del rio Vioz sia sulla derivazione Pian Palù, come inizialmente previsto nel progetto esecutivo, sia sulla derivazione Malga Mare - Cogolo. Per ottenere tale variante si prevedeva la realizzazione di una nuova opera di presa a una quota di circa 600 metri più in alto (2.373 m.s.l.m.) rispetto all’opera di presa (1.756 m.s.l.m.), prevista nel progetto originario. Su questo possibile doppio sfruttamento del rio Vioz furono presentate diverse opposizioni da parte del Comune di Peio, che manifestava la sua contrarietà per una serie di ragioni: per salvaguardare il diritto di alimentazione di Rappresentazione del serbatoio di Pian Palù, galleria forzata di derivazione, opere di presa, condotta forzata e Centrale di Cogolo. Elaborazione grafica tratta dalla brochure divulgativa Diga di Pian Palù. In costruzione, in muratura a secco. Gruppo Edison, Società Edison, Impianti idroelettrici del Noce (1950). Collezione Francesco Framba, Peio.


57 una segheria posta in località Mezzoli; per tutelare l’alimentazione dell’acquedotto comunale e quella delle due malghe Saline e Covel; per difendere i diritti comunali e privati di irrigazione. Si oppose, in seguito, la ditta Moreschini Innocenzo e Giuseppe, per vedersi garantite alcune derivazioni a scopi industriali e irrigui. Si oppose, infine, anche la ditta Turri Paolino, per ottenere garanzie su portate d’acqua sufficienti ad alimentare due mulini. Per un triennio, furono eseguite, a opera dell’Ufficio Idrografico, varie misurazioni delle portate residue esistenti sul rio Vioz, a valle dell’opera di presa posta a una quota superiore, che certificarono che le quantità d’acqua presenti, pari a circa 56 l/s, erano sufficienti a garantire il rispetto delle derivazioni del Comune e dei privati. Le opposizioni portarono i risultati sperati. Ebbero l’effetto di bloccare i lavori, che non vennero mai realizzati. L’episodio segnò un punto di svolta nell’evoluzione dei rapporti tra la popolazione e le società di capitali. Diversamente da quanto era accaduto in passato4 , la comunità locale provò a far valere con forza le proprie posizioni e i propri diritti, ottenendo ragione. La SGET non riuscì a costruire la seconda opera derivatoria, a quota 1.756 m.s.l.m., come previsto dai progetti e dalle concessioni relative alla derivazione Pian Palù con sfruttamento del Noce di Val del Monte, rinunciando formalmente nell’agosto del 1942. Mentre il Genio Civile di Trento portava a termine questa istruttoria, la SGET procedeva comunque alla realizzazione dell’altra nuova opera di presa sul rio Vioz, quella a quota 2.373 m.s.l.m., che entrava in esercizio nel settembre del 1940 come ulteriore presa sussidiaria della derivazione Malga Mare - Cogolo (tramite una diversione di bacino che, con una galleria in roccia sotto il crinale del “Filon dei Omeni”, spostava l’acqua del rio Vioz nel bacino orgrafico di Malga Mare, per essere poi immessa, alla progressiva 2.731,35 m., nella galleria di derivazione principale a quota 1.944,96 m.s.l.m.). Dopo queste necessarie precisazioni sulle modalità, tempistiche autorizzative e varianti poste in essere durante la fase costruttiva di derivazione Malga Mare, vediamo ora le singole caratteristiche di questa derivazione e come essa si presenta oggi. L’origine è costituita dalle opere di presa sul Noce Bianco di Val Venezia e dallo scarico della centrale di Malga Mare alimentata dal serbatoio del Càreser. Le acque così captate vengono fatte confluire in una vasca di carico posta di fronte alla centrale di Malga Mare, avente una capacità di 33.000 metri cubi e dotata di sfioratori fissi laterali con soglia a quota 1.960,90 m.s.l.m. Questi provvedono a restiPlanimetria della diga di Pian Palù. Elaborazione grafica tratta dalla brochure divulgativa Diga di Pian Palù. In costruzione, in muratura a secco. Gruppo Edison, Società Edison, Impianti idroelettrici del Noce (1950). Collezione Francesco Framba, Peio.


58 tuire le portate eccedenti direttamente nell’alveo del torrente Noce Bianco. Dalla vasca si diparte la galleria di derivazione in pressione, con uno sviluppo di 4.862 metri, che riceve, lungo il suo percorso, le acque derivate dalle opere di presa sussidiarie poste sui rii Vallenaia e Zampil. L’opera di presa sul rio Vioz, tramite una tubazione, scarica le proprie acque derivate prima nel laghetto di Stil e poi da qui, tramite uno sfioratore, nell’opera di presa realizzata sul rio Zampil. Nella parte terminale della galleria di derivazione si trova il pozzo piezometrico, realizzato completamente in roccia. Poco dopo è posta la camera valvole, ricavata in un fabbricato da cui parte la condotta forzata. Quest’ultima, munita nel tratto iniziale di una saracinesca e di una valvola di sicurezza a farfalla, è situata all’aperto lungo la scarpata della montagna, è lunga 1.529 metri e ha un diametro variabile da 1,70 metri a 0,90 metri. In tempi recenti, l’impianto è stato oggetto di un complesso intervento di ristrutturazione e ammodernamento, effettuato per conto di Enel Spa tra il 1992 e il 2001, per garantire maggiore sicurezza ad alcune parti della derivazione. I lavori hanno interessato il pozzo piezometrico, la camera valvole e la condotta forzata. Nella domanda di autorizzazione per l’inizio delle sistemazioni, Enel precisava che, a seguito di misure di controllo avviate sin dal 1961, «integrate da indagini geognostiche e geosismiche», si è «evidenziato un movimento di assestamento del pendio di limitatissime entità, e molto lento, che vanno a interessare il tratto superiore del versante della condotta forzata della derivazione Malga Mare». Sulla base di tali dati Enel ha proposto, per garantire una totale sicurezza dell’impianto e della derivazione proveniente da Malga Mare, nonché di quella proveniente da Pian Palù, il rifacimento parziale della derivazione e in particolare: la costruzione di un nuovo pozzo piezometrico in roccia, con l’abbandono di quello esistente; l’arretramento in roccia più profonda e costruzione ex novo di una camera valvole con il raccordo con la condotta forzata; la demolizione della condotta forzata posta all’aperto lungo il pendio della montagna e il suo spostamento in roccia in profondità, così da non essere influenzata dal lentissimo movimento di scorrimento che interessa in qualche misura il pendio; il rinnovamento del macchinario di produzione in centrale di Cogolo. I lavori di ammodernamento sono stati ultimati il 31 dicembre 2000. Nel 2001 si è svolto il sopralluogo da parte del Genio Civile di Trento per verificare la rispondenza delle opere realizzate ai progetti esecutivi. I dati di concessione originari di questa derivazione sono così riassumibili: la portata media è 2,182 metri cubi al secondo; la portata massima è 6,400 metri cubi al secondo; il salto è 762,30 metri; la potenza nominale media è 16.307,24 kW. L’invaso di Pian Palù, da monte. Veduta aerea, 2004. Archivio del Servizio prevenzione rischi, Ufficio dighe della Provincia autonoma di Trento.


59 LA DERIVAZIONE PIAN PALÙ. Se la derivazione del Noce di Val Venezia venne realizzata in tempi eccezionalmente brevi, la storia dell’altra derivazione, quella del Noce di Val del Monte, fu molto più lenta, piena di insidie e di complicazioni. I cantieri vennero predisposti all’inizio del 1939 e i lavori terminarono solo nel 1954. Il toponimo «Pian Palù», relativo a una zona piuttosto ampia e pianeggiante, che nella parte iniziale presenta un naturale restringimento della valle, richiama le oggettive difficoltà di individuare in sponda sinistra orografica una roccia sufficientemente consistente e compatta da consentire l’appoggio della spalla di una diga. Non è un caso che nel disciplinare integrativo del marzo del 1933 il Genio Civile di Trento scriveva, a proposito del progettato bacino di accumulazione di Pian Palù: «dovranno essere accertate le condizioni e la natura geologica del terreno su tutto il profilo dello sbarramento eseguendo opportuni sondaggi e pozzetti a giorno in modo da rendere possibile un esame sicuro e completo della costituzione geognostica dei terreni». Mentre proseguivano gli studi e le prospezioni nella zona in cui era prevista la realizzazione della diga, la SGET decideva di iniziare i lavori di costruzione dell’opera di presa sul Noce di Val del Monte realizzando una prima traversa di sbarramento, poi procedendo allo scavo della galleria di derivazione e quindi alla costruzione delle opere di presa sui rii Vegaia, Cadini e Taviela. Da un punto di vista tecnico, la derivazione Pian Palù ha la sua origine nell’opera di presa posta in destra orografica della diga di Pian Palù. La galleria di derivazione in pressione, dopo un breve tratto in destra orografica, attraversa in briglia il torrente Noce di Val del Monte e si sviluppa in sponda sinistra della valle completamente in roccia sino al pozzo piezometrico. La galleria, rivestita in calcestruzzo, con sezioni circolari da 1,80 metri a 2,10 metri, ha una lunghezza di 7.302 metri. Lungo il suo percorso riceve nelle prese sussidiarie le acque derivate dai rii Vegaia, Cadini e Taviela. Le tre prese, pressoché uguali, sono costituite da una solida traversa in calcestruzzo con muri d’ala, da un canale di raccolta con griglia, seguìto da una vasca di decantazione e da un pozzo inclinato che immette nella galleria di derivazione. Ogni presa è completata da uno sfioratore e da una paratoia sghiaiatrice, posti fra il canale di raccolta e la vasca di decantazione, munita anch’essa di una paratoia di svuotamento. L’opera di presa sul rio Vegaia ha la traversa a quota 1.808,55 m.s.l.m. e gli sfioratori a quota 1.807,00 m.s.l.m.; la vasca di decantazione è completamente ricavata in roccia e rivestita in calcestruzzo. L’opera di presa sul rio Cadini, posta sull’omonima ed emozionante cascata, ha la traversa a quota 1.822,60 m.s.l.m. e gli sfioratori a quota 1.821,00 m.s.l.m. Anche in questo caso, la vasca di decantazione è ricavata interamente in roccia e rivestita in calcestruzzo. L’opera di presa sul rio Taviela ha la traversa a quota 1.808,55 m.s.l.m. e gli sfioratori a quota 1.807,00 m.s.l.m.; la vasca di raccolta è in calcestruzzo e ricoperta con materiale sciolto. Alla fine della galleria di derivazione si trova il pozzo piezometrico, ricavato anch’esso completamente in roccia; è del tipo a canna verticale, con canale di alimentazione e di espansione. È interamente rivestito in calcestruzzo e ha un diametro interno di 1,90 metri nella parte bassa e di 1,76 metri nella parte alta. Subito dopo sono state realizzate due camere valvole (chiamate così perché ospitano le valvole di sicurezza e intercettazione della condotta forzata), quella più a monte è ricavata in roccia, mentre la seconda, poco più a valle, è collocata in un


60 fabbricato all’aperto. La condotta forzata era posta all’aperto lungo il pendio della montagna e ancorata con blocchi di calcestruzzo ed ha una lunghezza di 1.145,55 metri, dal punto di giunzione con la galleria di derivazione sino al distributore della turbina. I diametri della condotta forzata decrescono da 1,50 metri (nella parte iniziale, ove si trovano le due camere valvole) a 0,997 metri (in corrispondenza del primo blocco d’ancoraggio). Tutti questi lavori furono conclusi entro la fine del 1949. Durarono così a lungo da spingere la Società a chiedere l’autorizzazione provvisoria all’esercizio della derivazione ad «acqua fluente» in attesa di ultimare studi e progetti della diga. Si spiega così la richiesta presentata dalla SGEC al Genio Civile di Trento il 1° maggio 1942, contenente la confermata previsione di realizzazione della diga in due fasi distinte: la prima con invaso a quota 1.775,00 m.s.l.m. e la seconda con invaso a 1.785,00 m.s.l.m. Allo stesso tempo, la richiesta conteneva anche l’ipotesi di innalzare ulteriormente la diga, qualora le due fasi previste dessero i risultati di tenuta sperati. Nonostante la volontà del concessionario, ribadita più volte e con forza, di realizzare in quel luogo una diga di sbarramento del Noce di Val del Monte con la creazione di un bacino artificiale, permanevano ancora alcuni dubbi sulla fattibilità del progetto. Il contesto geopolitico internazionale, inoltre, con la guerra in corso, rallentava l’inizio dei lavori e non incoraggiava nuove intraprese. Si giunse così alla seconda metà degli anni quaranta, quando, in un clima più favorevole, nel febbraio del 1947 fu presentato un nuovo progetto, a firma dell’ingegnere Claudio Marcello, progettista di fama mondiale e tra i maggiori esperti del settore. A questo elaborato, che risolveva in modo brillante i problemi tecnici legati alla realizzabilità dell’opera, seguì nell’aprile del 1954 l’elaborato esecutivo. Marcello proponeva una tecnica innovativa di costruzione della diga, che sarebbe stata realizzata mediante singoli blocchi di calcestruzzo e non da un unico getto. Il nuovo prospetto, pur prevedendo l’edificazione della diga in due fasi (poi diventate tre durante l’esecuzione), consentiva di aumentare il volume dell’invaso da 6,2 milioni di metri cubi a 13,4 milioni di metri cubi. Finalmente, la tipologia costruttiva della diga rispondeva alle esigenze dettate dalla natura geologica della cosiddetta «zona d’imposta», sbloccando in via definitiva incertezze e preoccupazioni e consentendo di passare dalla fase di studio e progettazione a quella di costruzione. Nel frattempo, sotto il profilo societario, va segnalato che nel marzo del 1947 la SGEC (Società Generale Elettrica Cisalpina) veniva assorbita dalla Società Edison Spa, e successivamente, nel dicembre del 1955, si registrava il subentro della Società Edisonvolta Spa. Nel corso dei decenni, dunque, sebbene si fosse verificato un susseguirsi di cambiamenti societari e trasformazioni aziendali, il soggetto ispiratore rimase sempre Edison. In tempi recenti, anche questo impianto, come per la derivazione di Malga Mare (del Gaggio), è stato interessato da lavori di ammodernamento e di messa in sicurezza condotti da Enel Spa tra il 1992 e il 2001. Sono state apportate alcune sostanziali modifiche al pozzo piezometrico per adeguarlo alle esigenze di manovra e di avviamento/arresto dei gruppi di produzione (anch’essi sostituiti) in centrale. È stato aumentato il diametro della canna del pozzo piezometrico da 1,90 metri a 7,40 metri (raccordandolo poi con la parte esistente) ed è stata realizzata una nuova camera valvole in roccia (raccordata con il pozzo piezometrico attraverso una condotta posata pure in roccia e affogata in calcestruzzo). Subito a valle della nuova camera valvole, si è provveduto alla posa della nuova condotta forzata totalmente in roccia, che corre affiancata a quella della derivazione Malga Mare sino alla centrale di Cogolo. Nel primo tratto di galleria, compreso fra la quota 1.724,75 m.s.l.m. e 1.220,50 m.s.l.m., le due condotte forzate, lunghe circa 750 metri, risultano bloccate in calcestruzzo, mentre nel tratto successivo, lungo circa 450 metri, sono libere in galleria. La lunghezza complessiva della condotta forzata di questa derivazione risulta di circa 1.280 metri: il diametro è di 1,30 metri. A seguito dei lavori, le vecchie camere valvole verranno abbandonate e la vecchia condotta forzata, posta all’aperto, lungo il pendio della montagna, sarà demolita (come quella relativa alla derivazione Malga Mare). Fra tutti questi lavori, è stato anche inserito un intervento di manutenzione e consolidamento della galleria di derivazione. Nonostante questi complessi lavori di ammodernamento e messa in sicurezza di parti delle due derivazioni di Malga Mare e di Pian Palù, ancora oggi rimane in sospeso il collaudo definitivo della derivazione di Pian Palù. Predisposto nel luglio 2008, non è mai stato approvato per divergenze con il concessionario (HDE Srl) sulla determinazione del salto, delle portate medie derivabili dall’impianto e quindi della potenza nominale media di concessione, su cui vengono determinati i vari tipi di canoni. La stabilità del fronte sinistro della Val del Monte, interessato dalla galleria di derivazione, rappresenta infatti il maggior problema da affrontare. La questione ha influenzato il continuo procrastinare nel tempo della formalizzazione definitiva dell’atto di collaudo. Basti qui ricordare che, il 4 febbraio del 1974, il Ministero dei lavori pubblici (Direzione generale difesa suolo) ha inviato al Genio Civile di Trento una lettera nella quale si precisava che «l’impianto di Pian Palù - Cogolo non è stato collaudato in considerazione del fatto che le falde


61 dei monti San Matteo e del Vioz, interessate dalle opere costituenti la parte dell’impianto derivatorio, avevano presentato dei fenomeni di instabilità e di movimento segnalati a suo tempo dall’Amministrazione comunale di Peio». A seguito di questa lettera, nel 1976 Enel inviava al Ministero una relazione geologica ricca di dati e considerazioni tecniche, a firma del geologo Ervino Milli, senza ottenere risposta dal Servizio geologico d’Italia. Ultimati i lavori di ristrutturazione, Enel formalizzava alla Provincia autonoma di Trento la richiesta di collaudo definitivo sia per i lavori eseguiti sia per la derivazione Pian Palù - Cogolo. Nell’ottobre del 2003 il Registro italiano dighe (RID) precisava che «i dati fin qui raccolti portano a escludere fenomeni improvvisi di instabilità del versante». Contestualmente, nel novembre 2004 il Servizio geologico della Provincia autonoma di Trento richiedeva che nel verbale di collaudo venissero inserite le seguenti considerazioni: «Per quanto attiene alla stabilità del versante sinistro orografico del serbatoio di Pian Palù, si conferma che ci si trova all’interno di una Deformazione gravitazionale profonda di versante (DGPV), che, in occasione di precipitazioni meteoriche particolarmente intense e prolungate (anche nevose al momento del disgelo), subisce una locale riattivazione, puntualmente rilevata dall’accurato sistema di monitoraggio delle deformazioni, installato parte sulla diga e parte sul versante stesso. Per quanto di competenza, e in relazione ai dati in possesso del Servizio geologico della PAT, si esclude la possibilità di un improvviso collasso del versante escludendo quindi rischi improvvisi agli abitati a valle della diga. Si ribadisce comunque quanto più volte espresso sulla necessità che il sistema di monitoraggio venga integrato con l’installazione di strumentazioni specificatamente dedicate allo studio delle DGPV; in particolare, si propone la realizzazione di un nuovo cunicolo esplorativo suborizzontale, che dalla quota di massimo invaso attraversi tutto il corpo di frana sino a intercettare e superarne la zona di deformazione profonda. Si chiede inoltre che venga predisposto un piano di controllo periodico delle condizioni delle pareti interne della galleria di derivazione e delle valvole clapet ivi installate, con particolare riguardo al tratto soprastante il versante di Peio paese». Attualmente (nel 2020) proseguono i controlli e le verifiche da parte del concessionario, sulla base delle modalità richieste dal Servizio geologico della Provincia autonoma di Trento. I dati di concessione originari di questa derivazione sono così riassumibili: la portata media derivabile è 1,934 metri cubi al secondo; la portata massima derivabile è 7,600 metri cubi al secondo; il salto è 567,60 metri; la potenza nominale media è 10.762,00 kW. Fabbricato della centrale di Cogolo, 2010. Fondo fotografico Renzo Dori, Trento.


62 LA DIGA DI PIAN PALÙ. La costruzione della diga di Pian Palù fu caratterizzata sostanzialmente da tre fasi: la prima interessò gli anni 1950-1956 e comprese anche le opere e gli interventi così detti propedeutici alla realizzazione della diga vera e propria. La seconda e la terza seguirono nel 1957 e nel 1958-1959. La costruzione in varie fasi sottolinea la delicatezza dell’intervento e la necessità di continue verifiche sulla efficacia e sulla tenuta delle operazioni di sbarramento, che veniva posto in una zona geologicamente non favorevole. La «situazione geologica locale richiese l’esecuzione di una lunga e complessa campagna di indagini geognostiche concentrata soprattutto in alveo e in sponda sinistra della sezione di sbarramento, dove, a causa della presenza di roccia fratturata e di materiale di frana, si avevano le maggiori incognite riguardo alla natura del terreno e alla possibilità di realizzare una buona tenuta, a differenza di quanto si verificava per la sponda destra»5 . Nel periodo compreso tra maggio 1951 e dicembre 1952 si procedette a imponenti scavi per lo sghiaiamento e lo svuotamento della piana alluvionale di Pian Palù, sede di un antico lago. Questi lavori consentirono di recuperare un volume pari a circa 1,5 milioni di metri cubi, che sarebbe servito per far spazio al futuro invaso. Il materiale inerte fu convogliato verso valle con getti d’acqua in pressione attraverso la galleria che, successivamente, sarebbe servita come scarico di fondo della diga. La fluitazione da monte verso valle di questa enorme massa di detriti, terra e ghiaia durò per qualche anno compromettendo le caratteristiche ecologiche dei corsi d’acqua presenti al di sotto della piana di Pian Palù. L’impatto che quest’operazione ebbe sull’ambiente non fu mai quantificato concretamente. Il problema si risolse a fine lavori con la semina di avannotti da parte dalla Società Edison Spa. Nel 1953 si effettuò un profondo taglione in calcestruzzo, avente uno spessore di 3 metri e una cubatura complessiva di 17.000 metri cubi. Per assicurarne la tenuta, questa struttura si sprofonda per circa 72 metri al di sotto dell’alveo esistente. In sponda sinistra, quella più fragile, il substrato roccioso fratturato è stato impermeabilizzato con una serie molto consistente di iniezioni (90.690 quintali di cemento), fino a raggiungere la roccia compatta. Per ottenere l’obiettivo «della buona tenuta», furono eseguite numerose perforazioni sul fondo del serbatoio e nell’area d’imposta della diga e furono scavate ben 15 gallerie esplorative a diverse quote e a varie profondità nel fianco sinistro, in prossimità della stretta. Ultimate le ricerche geognostiche, alcuni fori furono chiusi, mentre venne mantenuta ispezionabile la galleria esplorativa numero 3, lunga 190,80 metri e utilizzata come galleria di drenaggio. La diga è del tipo «a blocchi di calcestruzzo a speroni triangolari affiancati», separata da «giunti lubrificanti»: adatta quindi a terreni non uniformemente comprimibili. Una struttura che, nonostante le dimensioni, mantiene una sua adattabilità a eventuali cedimenti del terreno di fondazione. La struttura ha un andamento planimetrico rettilineo, con manto metallico di tenuta sul paramento di monte e diaframma in calcestruzzo in corrispondenza dell’unghia di monte. In sponda destra è completata da un tronco a gravità massiccia lungo 66 metri, dove è ricavato sia lo scarico a soglia fissa che lo scarico di superficie. Il corpo centrale della diga è realizzato con blocchi di calcestruzzo gettati sul posto, di forma cubica, con lato di 4 metri, disposti a colonne affiancate. Fra sperone e sperone sono ricavate intercapedini riempite di ghiaia e


63 Sezione della diga di Pian Palù sviluppata sull’asse del diaframma in calcestruzzo, vista da valle. Elaborazione grafica tratta dalla brochure divulgativa Diga di Pian Palù. In costruzione, in muratura a secco. Gruppo Edison, Società Edison, Impianti idroelettrici del Noce (1950). Collezione Francesco Framba, Peio. drenate al piede, che costituiscono i «giunti lubrificanti». Il contenimento della ghiaia è ottenuto mediante opportune espansioni dei blocchi terminali esterni; per l’eventuale rifornimento di ghiaia viene disposto, per ogni giunto, un foro in corrispondenza del coronamento. La libertà di scorrimento relativo, dovuto ai giunti lubrificanti con ghiaia, permette l’adattamento dell’intera struttura ai cedimenti del terreno di fondazione. Una struttura quindi tecnicamente complessa e unica in Trentino. La diga ha una cubatura complessiva di 100.000 metri cubi, un’altezza di 52 metri rispetto al piano generale di fondazione e un coronamento che raggiunge in sommità quota 1.802,50 m.s.l.m., con una lunghezza 181,50 metri. Tale sbarramento dà origine a un invaso utile di 15,266 milioni di metri cubi d’acqua. La quota di massima ritenuta è pari a 1.800,00 m.s.l.m. mentre quella di minima regolazione è pari a 1.752 m.s.l.m. Alla quota di massimo invaso la superficie dello specchio d’acqua è di 0,59 chilometri quadrati. La diga è munita di varie tipologie di scarichi, atti a smaltire verso valle le portate eventualmente eccedenti: scarico di superficie a soglia fissa lunga 13 metri, per una portata di 22,30 metri cubi al secondo e scarico di superficie munito di paratoia a ventola per una portata di 58,40 metri cubi al secondo, ambedue ricavati nella parte di destra della diga a gravità massiccia; scarico di mezzo fondo in destra orografica regolato da una doppia paratoia in serie, per una portata di 116,00 metri cubi al secondo e infine scarico di fondo, anch’esso in destra orografica e regolato da


64 due paratoie in serie per una portata di 52,00 metri cubi al secondo. Sempre in destra orografica insiste l’opera di presa con doppio imbocco della galleria di derivazione, uno a quota 1.760,00 m.s.l.m. e l’altro a quota 1.740,00 m.s.l.m. Ambedue gli imbocchi sono muniti di griglia di protezione e, poco più a valle, ove le due gallerie si riuniscono in una, è posta la paratoia di intercettazione. In prossimità della spalla destra della diga si trova la casa di guardia, con locale comandi a distanza per tutte le paratoie degli scarichi e dell’opera di presa, nonché per la registrazione del livello del serbatoio. La struttura è dotata di ricca strumentazione di controllo e di un sistema di monitoraggio automatico con teletrasmissione dei dati. La diga è raggiungibile in sponda sinistra, a mezzo della strada comunale che da Peio Fonti porta in località Fontanino e, successivamente, da una strada forestale. Nel periodo invernale, l’accesso è garantito da una funivia privata di proprietà del concessionario. La diga, dopo diverse prove di invaso e reinvaso ai fini di verificarne la tenuta strutturale e il livello delle perdite, venne collaudata nel dicembre del 1966. Il collaudo complessivo della derivazione Pian Palù - Centrale Cogolo veniva invece sospeso in attesa di ulteriori accertamenti e monitoraggi prescritti al concessionario dalla Provincia autonoma di Trento. Di quest’ultimo aspetto riparleremo più avanti, dopo la descrizione delle due derivazioni che fanno capo alla centrale di Cogolo. Le fasi di avanzamento dei lavori della diga di Pian Palù, così come erano stati previsti all’apertura del cantiere. Elaborazione grafica tratta dalla brochure divulgativa Diga di Pian Palù. In costruzione, in muratura a secco. Gruppo Edison, Società Edison, Impianti idroelettrici del Noce (1950). Collezione Francesco Framba, Peio.


65 LA CENTRALE DI COGOLO. La centrale di Cogolo, alimentata dalla derivazione proveniente dalla vasca di Malga Mare (Noce di Val Venezia) entrò in esercizio nel dicembre 1929. Il progetto esecutivo era del 19276 . La centrale di Cogolo, unica per le due derivazioni Malga Mare e Pian Palù, è composta da due fabbricati collegati fra loro e dislocati in un ampio piazzale posto in sponda destra del Noce di Val Venezia, in località Pont, a circa due chilometri dall’abitato di Cogolo. Nelle forme architettoniche, il complesso edilizio richiama l’aspetto di un grande cascinale di montagna, con la parte superiore del fabbricato rivestito esternamente in legno e la parte inferiore con muratura grezza con pietre a vista. I serramenti sono in ferro, molto ampi e assicurano una buona illuminazione delle parti interne. Uno dei fabbricati ospita la sala macchine con i gruppi di generazione e l’altro i trasformatori e la stazione 130 kV. La sala macchine, delle dimensioni di 62,30 per 17,40 metri, ha il pavimento a quota 1.200,85 m.s.l.m. ed è equipaggiata di un carro ponte della portata di 105 tonnellate. La copertura è sostenuta da capriate in ferro che portano, verso l’interno, un soffitto a tavelloni; l’imposta delle capriate è a 12,00 metri dal pavimento. A lato della sala macchine è ricavata la sala quadri e comandi, con ampia zona vetrata dal lato dei gruppi di produzione e poggiolo. La parete della sala macchine risulta arricchita nel lato Sud di pitture murali, riportanti immagini dell’impianto e decorazioni di abbellimento, che rendono l’insieme molto bello e del tutto inconsueto per un locale dedicato alla produzione di energia elettrica. In origine, prima della realizzazione dei lavori di ammodernamento, nella sala macchine erano installati tre gruppi turbina Pelton e alternatore ad asse orizzontale: il primo gruppo era relativo alla derivazione Malga Mare, il secondo alla derivazione Pian Palù e il terzo era misto, alimentabile da entrambe le derivazioni. In centrale erano pure installati due gruppi di servizi ausiliari, uno collegato alla derivazione Malga Mare e l’altro collegato alla derivazione Pian Palù. Nell’edificio adiacente sono installati tre trasformatori elevatori di gruppo, nonché la stazione a 130 kV con tre linee di partenza. Nei pressi della centrale esistono due palazzine dedicate a case-alloggi per il personale, ormai largamente sottoutilizzate, e un piccolo fabbricato dedicato a officina. Con i lavori di ammodernamento sono state apportate modifiche importanti anche alla sala macchine della centrale. Il rinnovamento del macchinario di produzione ha comportato la sostituzione dei gruppi esistenti, relativi alle derivazioni Malga Mare e Pian Palù, con un unico nuovo gruppo misto a doppia turbina Pelton ad asse orizzontale con alternatore centrale, posizionato nella zona occupata dal gruppo derivazione Malga Mare, che è stato rimosso assieme ai servizi ausiliari. Anche il gruppo derivazione Pian Palù è stato demolito. Unitamente è stata eseguita la revisione del gruppo misto esistente. Viene riutilizzato invece il gruppetto servizi ausiliari, posto sulla derivazione Pian Palù, come generatore di emergenza. La potenza efficiente complessiva dell’impianto, con i lavori di ammodernamento, è passata dai 58.400 kW ai 59.800 kW. Le acque turbinate dalle macchine di centrale vengono restituite al Noce di Val Venezia tramite un breve canale di scarico. La producibilità media annua risulta pari a circa 179 milioni di kWh.


66 LA NAZIONALIZZAZIONE DELL’ENERGIA ELETTRICA E IL TRASFERIMENTO DI COMPETENZE DALLO STATO ALLA REGIONE. Lo sfruttamento idroelettrico del Noce, come abbiamo visto, ha interessato la parte alta e la parte medio-bassa del torrente, con la realizzazione di quattro impianti progettati e costruiti tra gli anni venti e gli anni sessanta del Novecento: l’impianto di Mezzocorona con la diga omonima, l’impianto di Taio con la diga di Santa Giustina, l’impianto di Cogolo con i laghi artificiali di Malga Mare e del Càreser. È interessante notare come, anche in epoche molto recenti, siano state avanzate nuove ipotesi di sfruttamento del torrente per l’implementazione del sistema idroelettrico sull’asta del Noce. Nel 1987, Enel ha presentato una domanda di concessione per la realizzazione di un nuovo impianto. L’opera prevedeva la costruzione di una centrale a Dimaro e aveva l’obiettivo di sfruttare la parte mediana del torrente Noce, con captazione dello scarico della centrale di Cogolo, della derivazione della Vermigliana e di qualche altro affluente di sinistra Noce. Il progetto si scontrò con la ferma opposizione della comunità locale, sostenuta dalla Provincia autonoma di Trento. Nonostante vari tentativi di Enel di ridurre l’impatto, rinunciando a qualche derivazione per rendere il progetto più accettabile, l’impianto non fu mai costruito. Nel 1999 Enel rinunciò definitivamente. Sfruttate per fini idroelettrici dalla sorgente alla foce, le acque del Noce hanno garantito un contributo più che notevole allo sviluppo socio-economico del Paese, tramite la fornitura di energia elettrica alle regioni del Nord Est e ai territori del Trentino. Su scala locale, ricordiamo sinteticamente le categorie di canoni che i concessionari di grandi derivazioni idroelettriche devono corrispondere per legge ai soggetti del territorio: canoni demaniali riservati alla Provincia autonoma di Trento; canoni riservati ai Comuni rivieraschi (in particolare al Comune di Peio sul cui territorio insistono gli impianti); canoni riservati al consorzio dei Comuni BIM ricadenti nel bacino imbrifero sotteso dall’impianto (che vengono distribuiti per la realizzazione di opere di interesse pubblico ai Comuni); canone aggiuntivo a seguito della proroga delle concessioni di grande derivazione idroelettrica (Legge provinciale 4/1998, 62,5 euro per ogni kW di potenza nominale media concessa da versare alla Provincia autonoma di Trento); canone ambientale a seguito della proroga delle concessioni di grande derivazione idroelettrica (Legge provinciale 4/1998, 5 euro per ogni kW di potenza nominale media concessa, per realizzare interventi di mitigazione ambientale, da versare alla Provincia autonoma di Trento). A questi canoni, somme di denaro che i concessionari devono periodicamente corrispondere, si aggiunge inoltre una certa quantità di energia riservata alla Provincia per utilizzazioni di interesse pubblico, così come sancito dall’articolo 13 dello Statuto di Autonomia: «Nelle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico – recita l’articolo – i concessionari hanno l’obbligo di fornire annualmente e gratuitamente alle province autonome di Trento e di Bolzano, per servizi pubblici e categorie di utenti da determinare con legge provinciale, 220 kWh per ogni kW di potenza nominale media di concessione, da consegnare alle province medesime con modalità definite dalle stesse». Gli impianti di Malga Mare e Cogolo 1 e 2 hanno una potenza nominale media complessiva pari a circa 30.487 kW (salvo ricalcolo sulla base dei DMV e ridefinizione salto Pian Palù), che significano 6.707.140 kWh (da corrispondere gratuitamente e annualmente alla Provincia autonoma di Trento). La situazione


67 attuale, che riconosce alle comunità del territorio la possibilità di beneficiare direttamente di una parte dei profitti dei concessionari, è il prodotto di un percorso culturale e istituzionale che ha caratterizzato la storia dell’industria idroelettrica nel dopoguerra. Nel novembre del 1962 la Camera dei deputati approvava in Italia il provvedimento di nazionalizzazione del sistema idroelettrico. Dopo un lungo dibattito parlamentare, la legge sulla nazionalizzazione veniva varata il 12 dicembre dello stesso anno7 . Con essa, «cessava l’attività elettrocommerciale del gruppo Edison e venivano trasferite a Enel (cui la legge di nazionalizzazione conferiva le aziende e le imprese presenti nel settore della produzione, commercializzazione, distribuzione, trasporto di energia elettrica nonché di tutte quelle operanti in settori funzionalmente e tecnicamente connessi), le società Edisonvolta, Dinamo, Subalpina, Orobia, Bresciana, Emiliana, CIELI (Compagnia Imprese Elettriche Liguri) e le OEG (Officine Elettriche Genovesi)»8 . Tre mesi più tardi, a seguito della nazionalizzazione, la concessione della grande derivazione idroelettrica di Cogolo veniva trasferita a Enel sulla base del DPR n. 319 del 14 marzo 1963. Negli anni successivi, con il perfezionamento degli strumenti di autogoverno, si assisteva in Trentino a un progressivo trasferimento di competenze in materia di grandi derivazioni idroelettriche dallo Stato alla Provincia autonoma di Trento: la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e le province autonome di Trento e Bolzano acquisiscono voce in capitolo in tema di sfruttamento idroelettrico, nel tentativo di riequilibrare i rapporti di forza tra ente pubblico e grandi capitali, fino a quel momento nettamente sbilanciati a favore delle società private. Un primo segnale in questa direzione si ebbe L’opera di sbarramento della diga di Pian Palù durante i lavori di costruzione. 6 luglio 1956. Fondo fotografico Studio Ing. Claudio Marcello, Milano.


68 già con lo Statuto di Autonomia del 1948, che, pur riservando allo Stato la proprietà delle acque, assegnava all’Ente regione la «facoltà di presentare le proprie osservazioni ed opposizioni in qualsiasi momento fino all’emanazione del parere definitivo del Consiglio superiore dei lavori pubblici»9 e attribuiva alla Regione titolo di preferenza, a parità di condizioni, nella concessione dei grandi impianti situati sul proprio territorio. A rimarcare queste posizioni, spingendosi oltre, fu poi il secondo Statuto di Autonomia, approvato nel 1972, che agli articoli 12 e 13 affrontava i temi connessi alla produzione idroelettrica in modo più approfondito e dettagliato. Successivamente, portato a conclusione l’iter di trasferimento di competenze dallo Stato alla Provincia autonoma di Trento10, Enel Spa in data 12 maggio 2008, in accordo con la Provincia autonoma di Trento, costituiva la Hydro Dolomiti Energia (HDE) Srl trasferendovi il ramo d’azienda composto da 20 impianti di grande derivazione idroelettrica e sette impianti minori. Nel luglio del 2008 Enel produzione Spa cedeva a Dolomiti energia Spa il 51% del capitale di HDE. Perfezionato questo ultimo passaggio, nel settembre del 2008 HDE chiedeva alla Provincia di subentrare nella titolarità delle concessioni dell’impianto di Cogolo, che veniva assentita con delibera n. 40 del marzo 2009. Successivamente, Enel uscirà dalla società, che si trasformerà in Hydro Dolomiti Energia Srl (HDE). Un piccolo gruppo di abitazioni che ospitavano i lavoratori impegnati nella costruzione della diga di Pian Palù, 11 ottobre 1947. Fondo fotografico Studio Ing. Claudio Marcello, Milano.


69 ENERGIA IDROELETTRICA ED ECOLOGIA DEI TORRENTI ALPINI. La realizzazione di grandi derivazioni idroelettriche, con la costruzione di dighe e opere di derivazione sussidiarie, impoverisce i corsi d’acqua, modificando nel tempo natura ed equilibri del sistema ecologico e idrologico dei torrenti soggetti a sfruttamento. La diminuzione delle acque in alveo, causata dalle derivazioni e dalla presenza delle dighe, e le variazioni repentine delle portate scaricabili a valle, attraverso gli organi di sfioro o di scarico, sottopongono i torrenti a stress di tipo idrologico. Questi effetti negativi hanno interessato anche i due rami del Noce, quello Bianco di Val Venezia con il suo affluente rio Càreser e quello di Val del Monte. Per attenuare l’impatto, sono stati adottati provvedimenti specifici da parte dell’ente pubblico. Dal giugno del 2000 la Provincia autonoma di Trento ha obbligato i concessionari di grandi derivazioni idroelettriche a rilasciare da ogni singola opera di presa, escluse le dighe, una portata media pari a 2 litri al secondo per ogni chilometro quadrato di bacino sotteso dall’opera stessa. Il provvedimento rappresentava un primo tentativo di tutelare l’ambiente acquatico dei torrenti sottoposti alla costruzione di impianti idroelettrici. A causa della sua genericità, tuttavia, questa misura si dimostrò piuttosto debole, soprattutto in quei casi in cui il bacino sotteso dall’opera di presa risultava di piccole dimensioni. In tali situazioni, infatti, i rilasci di portate erano molto bassi e, frequentemente, si incuneavano nei subalvei, scomparendo di fatto dalla superficie. Negli anni successivi, con la definizione delle portate minime da garantire a valle delle opere derivatorie (Deflusso minimo vitale - DMV) e con l’approvazione nel 2006 del Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche di Trento (PGUAP), si stabiliva che, «al fine di assicurare il minimo deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi (dalle grandi derivazioni idroelettriche), nonché allo scopo di garantire gli equilibri degli ecosistemi interessati e di assicurare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici», l’entità delle portate da rilasciare dovevano essere riviste in termini di quantità e variare secondo la stagionalità, in modo da avvicinarsi il più possibile alla naturalità. Serbatoio e diga di Pian Palù, vista dall’alto dalla sponda destra, 11 novembre 1960. Fondo fotografico Studio Ing. Claudio Marcello, Milano.


70 Impianto Punto rilascio DMV Valore rilascio in essere in l/s Periodo nov. - apr Malga Mare Opera presa lago Lungo --- Diga Càreser innesto tubazione camera valvole --- Cogolo 1 - Gaggio Opera presa rio Vioz 38 (47) Vasca Malga Mare 115 (143) Cogolo 2 - Pian Palù Diga Pian Palù - centralina12 65 (82) Opera presa rio Vegaia 39 (50) Opera presa rio Cadini 20 (25) Opera presa rio Taviela 17 (22) A tale scopo, veniva prodotta anche una cartografia georeferenziata, che teneva conto della tipologia di regime dei corsi d’acqua, glaciale o nivo-pluviale, e che prevedeva alcune esigenze di accorpamento delle portate rilasciabili in alvei più significativi dal punto di vista morfologico e ambientale. L’adeguamento alla normativa determinata dal PGUAP, con il rispetto delle nuove quantità d’acqua rilasciate dalle opere di derivazione, comprese quelle delle dighe, ebbe inizio nel gennaio del 2009. In seguito, nel 2015, la Provincia approvava il primo aggiornamento del Piano di Tutela delle Acque (PTA)11. Il documento definiva con maggior attenzione lo stato qualitativo delle acque per ogni singolo corpo idrico e stabiliva gli indirizzi per il raggiungimento e il mantenimento dell’obiettivo di buona qualità delle acque. Da ultimo, sulla base delle risultanze dei monitoraggi e delle previsioni del PTA, la Provincia avviava, con delibera del 14 ottobre 2016, una fase di «ricalibratura» sperimentale dei valori delle portate oggetto di rilascio per il DMV per talune opere di presa, insistenti su corpi idrici classificati in buono stato e afferenti ad alcune grandi derivazioni idroelettriche. Su tale ipotesi di riduzione dei rilasci, i Comuni interessati e il Consiglio delle autonomie locali esprimevano parere contrario. La Provincia, pur tenendo conto dei rilievi e osservazioni dei Comuni, procedeva all’approvazione del provvedimento di «ricalibratura», in via sperimentale, dei rilasci del DMV di alcune grandi derivazioni idroelettriche. Nella seguente tabella sono indicati i valori dei rilasci attuali, stabiliti dopo la «ricalibrazione» (in parentesi il valore precedente).


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73 Macchinario Turbine Alternatori Potenza in kW Tipo Anno costruttore Potenza in kVA Anno costruttore Gruppo I, derivazione Malga Mare: 29.741 Gruppo I, derivazione Pian Palù: 29.741 Gruppo II Gruppo III Pelton Gruppo I: 1994, De Pretto E. W. Gruppo II: 1947, Riva Gruppo II: 1947, Riva Gruppo I: 63.000 Gruppo II: 24.000 Gruppo III: 22.650 Gruppo I: 1996, ABB Sadelmi Gruppo II: 1949, CGE Gruppo III: 1928, T.I.B.B. Produzione Potenza totale delle turbine in kW Potenza totale dei generatori in kVa Salto in metri Portata massima in metri cubi al secondo 87.418 109.650 Derivazione Malga Mare: 762,30 Derivazione Pian Palù: 567,60 Derivazione Malga Mare: 6,400 Derivazione Pian Palù: 7,600 Tipo documento Dati di riferimento Oggetto Decreti Comm. Civ. Cles n. 392/29 del 1.10.1922 R.D. n. 13798 del 7.12.1933 R.D. n. 4640 del 19.04.1934 D.I. n. 298 del 1.03.1979 Di concessione Di concessione Di variante Di variante Disciplinari n. 1268 del 18.03.1933 n. 1267 del 18.03.1933 n. 3093 del 8.10.1942 n. 11694 del 17.11.1976 Integrativo Integrativo Suppletivo Aggiuntivo Collaudo Verbale collaudo del 2.08.1933 Verbale collaudo del 24.08.1980 D.R. n. 4640 del 19.04.1934 Verbale collaudo derivazione Pian Palù Provvisorio deriv. M.Mare Definitivo deriv. Vioz Di approvazione collaudo derivazione M. Mare In corso di approvazione


1 | Si veda, sul punto, quanto scritto nei capitoli precedenti. Ci si riferisce in particolare alla centralina inaugurata nel 1903. 2 | È fatto qui riferimento al capitolo precedente, in particolare alla trattazione dell’impianto idroelettrico di Malga Mare. 3 | Questa tematica è stata trattata ampiamente nel volume Lingére. Testimonianze di lavoro nei cantieri idroelettrici della Val di Peio, pubblicato nel 2006 a cura di Daniele Bertolini, Alberto Delpero e Felice Longhi, che raccoglie numerose fonti orali. Inoltre, il tema emerge in modo palpabile nel documentario Peio, una storia d’acqua, regia di Lorenzo Pevarello, prodotto nel 2012 dalla Fondazione Museo storico del Trentino con l’Ecomuseo della Valle di Peio. 4 | Negli anni venti, durante i lavori di costruzione della diga del Càreser, alla popolazione locale non era stata data la possibilità di tutelare i propri interessi. 5 | ANIDEL – Diga di Pian Palù 6 | Tale progetto, che prevedeva originariamente la realizzazione di una sola centrale a Cogolo, fu approvato con la Determinazione del Commissario Civile di Cles n. 39 del 1929 (confermato poi con Regio decreto n. 1378 del 7 dicembre 1933). 7 | L’articolo 1 della legge del 6 dicembre 1962, n. 1643, riservava all’Ente nazionale per l’energia elettrica (ENEL) «il compito di esercitare sul territorio nazionale le attività di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica da qualsiasi fonte prodotta». 8 | Antonio Bernabè: “Le società, gli uomini e i capitali”, 2015, presente nel volume Avremo l’energia dai fiumi. Storia dell’industria idroelettrica in Trentino, volume I. Nello stesso volume, si vedano sul punto anche il contributo di Gianfranco Postal e Tommaso Baldo: L’industria idroelettrica trentina e la legislazione in materia. 9 | Articolo 9 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5. 10 | Si ricorda in particolare il DPR n. 235/77, L.P. n. 4/98, D.L. n. 463/99. 11 | Il PTA vigente in Provincia di Trento era stato approvato con deliberazione della Giunta provinciale n. 3233 del 30 dicembre 2004 ed è entrato in vigore il 9 febbraio 2005. In ottemperanza all’ex decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, il Piano aveva quale scala spaziale di analisi i bacini idrografici dei corsi d’acqua principali del territorio provinciale (bacini di primo livello) e prevedeva misure generali volte al raggiungimento degli obiettivi di tutela quali-quantitativa delle risorse idriche. 12 | Secondo il PGUAP della Provincia autonoma di Trento, il rilascio del deflusso del minimo vitale (DMV), da effettuarsi a carico del concessionario, dalla diga di Pian Palù (Noce Val del Monte), doveva corrispondere a una portata continua di 82,00 l/s, dal I novembre al 30 aprile, e di 180,00 l/s, dal I maggio al 31 ottobre, pari a una portata media annua ragguagliata di 131,40 l/s. Ai fini di un recupero energetico della portata da rilasciare dalla diga di Pian Palù, il concessionario HDE Srl proponeva la realizzazione, ai piedi della diga, di una centralina. La Provincia autorizzava la realizzazione di tale centralina, denominata “Fontanino”, da ricavarsi all’interno del fabbricato esistente, relativo alla funivia che collega la casa guardia della diga, con derivazione diretta dalla prima finestra di accesso alla galleria di derivazione Pian Palù - centrale Cogolo. L’impianto è entrato in funzione il 23 novembre 2013 ed è stato collaudato il 12 maggio 2015. Il certificato di collaudo definisce le caratteristiche di tale impianto come segue: “Portata media ragguagliata anno derivabile dalla galleria per garantire il DM nel torrente Noce Val del Monte 131,40 l/s; Salto utilizzabile 108,72 m, potenza nominale media annua 140,07 kW; nella sala macchine è installato un gruppo di produzione con turbina Pelton ad asse verticale e generatore asincrono da 220 kVA; in caso di fermata o blocco della turbina il macchinario è dotato di baypass automatico atto a garantire la portata di rilascio del DMV”.


77 5 UNA STORIA DI TERRITORIO. Lo sfruttamento delle acque del torrente Noce per ottenere energia elettrica ha prodotto una delle principali trasformazioni paesaggistiche della storia della Val di Peio e delle valli del Noce: una svolta ricca di significati economici, politici e sociali. Il cambiamento ha mutato per sempre l’ambiente naturale in paesaggio culturale trasformando i terreni in territori. Il terreno è una categoria della natura. Il territorio, invece, appartiene alla sfera del sociale e restituisce i segni delle comunità che lo abitano e che lo hanno abitato. Per questo può essere interrogato come una fonte della storia. «Specchio riflettente» delle vie intraprese dalle popolazioni, il territorio racconta l’identità di un luogo facendo emergere le modalità con cui è stato costruito, governato e rappresentato1 . Il rapporto tra una comunità e il «suo» territorio è dunque un legame identitario e biunivoco: nel corso dei decenni e dei secoli, da un lato, l’ambiente naturale ha offerto all’uomo determinate caratteristiche e specificità, dall’altro, l’uomo ha informato di sé l’ambiente circostante attribuendovi i segni del proprio passaggio. Per questi motivi, parafrasando Emilio Sereni2 , storico e paesaggista di fama, possiamo dire che anche il paesaggio della Val di Peio, come tutti i paesaggi culturali delle Alpi, appare oggi come un mosaico di tessere, figlio del lavoro lento e operoso dei suoi abitanti. Con queste parole Sereni si riferiva ai paesaggi agrari d’Italia, per tanti anni oggetto dei suoi studi, che egli definiva come quelle forme che l’uomo aveva coscientemente e sistematicamente impresso all’ambiente naturale, attraverso la realizzazione delle proprie opere. Le sue osservazioni sulle terre coltivate, che formulava oltre mezzo secolo fa, quando fu pioniere negli studi sul paesaggio, giovano anche alla comprensione dei «paesaggi idroelettrici» dell’Arco alpino. L’intervento dell’uomo sull’ambiente naturale è alla base della nascita del paesaggio culturale: solo partendo da questa consapevolezza possiamo leggere correttamente il territorio della Val di Peio nel suo percorso storico e sociale. Un tipo di approccio che vale per i prati e i pascoli, dove gli abitanti della valle hanno praticato per secoli l’alpicoltura, così come per i laghi artificiali e per le dighe di sbarramento, dove l’economia dell’industria idroelettrica ha trovato nell’acqua il proprio «oro bianco». La memoria


78 Il paesaggio culturale della Val di Peio è il prodotto di scelte intraprese in parte per cause esterne, sulla scia delle spinte macro-industriali, che hanno caratterizzato le politiche economiche ed energetiche del secolo scorso, in parte per cause interne, dovute alla volontà di singoli cittadini e di singole amministrazioni comunali, che scelsero lo sfruttamento dell’acqua come via di sviluppo. In relazione alle prime centraline idroelettriche, costruite all’inizio del Novecento per iniziativa locale sia pubblica sia privata, e alle grandi dighe dei decenni successivi, finanziate dalle società di capitali per lo sfruttamento integrale dell’asta del Noce, possiamo distinguere con grande chiarezza il ruolo che queste due spinte, quella di tipo interno e quella di tipo esterno, hanno avuto come motori di cambiamento. La trasformazione che hanno prodotto ha esercitato i propri effetti sull’economia della vallata, ma anche e soprattutto sulla storia sociale del territorio e su quella del paesaggio. Per vastità e importanza, i mutamenti generati dall’industria idroelettrica nelle valli del Noce impongono di valutare questa vicenda come una «storia locale» di «territorio» intesa in «senso ampio». La «storia locale», ovvero la storia delle comunità e delle forme di insediamento delle stesse in un determinato spazio3 , aiuta a comprendere l’importanza di tali tematiche e il ruolo che esse hanno avuto nel passato. La «storia del territorio», quando non si limita alla mera descrizione delle notizie offerte dalle fonti, tende a proporre quadri interpretativi che illustrano lo sviluppo diacronico di tutta l’area presa in esame4 . L’accezione «in senso ampio» pone una sottolineatura forte sul carattere trasversale dell’impatto idroelettrico: un fenomeno che ha coinvolto molti ambiti della società e della quotidianità. Nella costruzione del paesaggio della Val di Peio Un saluto della Fonte di Peio, anno 1902 (editore/stampatore G. B. Unterveger, Biblioteca Comunale di Trento). e delle valli del Noce, caratterizzata dai grandi bacini idroelettrici, espressione imponente dell’opera dell’uomo, gli impianti idraulici sono cresciuti in rapporto dialettico con la comunità. Nelle relazioni tra gli uni e l’altra, osservate attraverso il trascorrere del tempo inteso come indice della trasformazione, emerge in filigrana il senso più autentico del paesaggio culturale, che possiamo definire come “il racconto dei modi in cui la società ha posto le sue basi in un territorio, di come lo ha fatto suo possesso, lo ha conosciuto, utilizzato, di come in esso abbia trovato i modi di organizzarsi, evolvendosi e cercando via via i migliori adattamenti all’ambiente naturale”5 . Per questo il Comune di Peio, nonostante sia tra i più estesi del Trentino, includendo entro i suoi confini ampie aree di crode alpine e terre alte, nevai e ghiacciai, è prevalentemente un paesaggio culturale, che porta i segni delle attività dell’uomo, e che restituisce, come la maggioranza dei territori alpini, la dimensione di “geografia come luogo di incontro dell’esistenza umana con la Terra”6 . Anche la Convenzione europea del paesaggio, un documento adottato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa a Strasburgo il 19 luglio 2000, ha


79 fatto chiarezza sulla nozione di paesaggio esprimendosi proprio in questo senso, dando valore alla dimensione del paesaggio costruito quale portato culturale ed esperienziale della storia delle comunità di un territorio. All’articolo 1, il documento si esprime in questo modo: «Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni». L’interpretazione proposta dalla Convenzione, oggi condivisa dalla comunità internazionale7 , fornisce una chiave di lettura corretta per la comprensione dei paesaggi, e in particolare del paesaggio alpino. Le Alpi sono tra le catene montuose più abitate al mondo, dove i segni dell’antropizzazione permeano in modo dominante e irreversibile le aree di fondovalle e quelle di mezza montagna, fino al limite delle terre alte. Nelle Alpi, la componente ambientale-naturale e la componente umana-culturale del paesaggio si presentano commiste e intrecciate fra di loro in modo sostanziale e non più separabile. Nel corso del tempo, queste due componenti hanno interagito creando stratificazioni, sedimentazioni e sovrapposizioni. Solo attraverso la lettura di questi percorsi e dei loro linguaggi è possibile comprendere il ruolo che assumono oggi i bacini idroelettrici della Val di Peio e delle valli del Noce nei processi cognitivi e di autorappresentazione delle Comunità locali. Cogolo in Val di Peio, anno 1904 (editore/stampatore G. B. Unterveger, Biblioteca Comunale di Trento).


80 La memoria degli abitanti della Val di Peio ha un ruolo decisivo nella ricostruzione della storia dell’industria idroelettrica e nella formazione dell’identità collettiva. La popolazione conserva un ricordo forte del proprio passato. Tra quanti conobbero in prima persona lo sfruttamento idroelettrico dei fiumi della valle, molti sono ancora in vita, perlopiù coloro che assistettero alla costruzione del bacino di Pian Palù (tra gli anni trenta e gli anni cinquanta), altri sono ormai scomparsi, coloro che ricordavano la realizzazione del bacino del Càreser (tra gli anni venti e gli anni trenta). Dalle testimonianze delle persone viventi emergono ancora fonti di prima mano. Nei racconti delle persone decedute, tramandati alle generazioni successive, troviamo invece fonti di seconda mano. Entrambe sono classificabili come memorialistica orale soggettiva e contribuiscono a restituire una narrazione corale, che è parte della storia della comunità. In questo senso si pongono in un rapporto dialettico con la storia. Sul punto, è necessaria una precisazione. Storia e memoria non sono la stessa cosa. La prima appartiene a una dimensione più oggettiva del racconto, la seconda scaturisce dalla soggettività. Per giungere a una narrazione il più possibile completa e obiettiva del passato, storia e memoria si pongono vicendevolmente in un rapporto di complementarietà e hanno bisogno l’una dell’altra. Con le singole memorie non si fa la storia. Ma, con tante memorie, si contribuisce a fare la storia. Le memorie sono rappresentazioni del passato. Non lo rispecchiano tale e quale. Esse non rimangono mai inalterate e cambiano con il tempo. Crescono, maturano, si attenuano e poi svaniscono. A differenza della storia, che è «morta», ma fissata nel tempo, le memorie sono «cosa viva», destinate a mutare e a scomparire8 . La memorialistica esprime solo la percezione soggettiva di ciò che è accaduto attraverso lo sguardo del singolo individuo o di una comunità9 . Ma anche le memorie, come la storia, costituiscono un potente fattore identitario che agisce sia a livello individuale sia a livello collettivo. Per questo sono preziose per ricostruire le vicende di una popolazione o di un gruppo di individui. Consapevole dell’importanza di queste risorse, la comunità della Val di Peio si è impegnata su più fronti per la salvaguardia e la valorizzazione di tale patrimonio, sia tramite iniziative realizzate dall’associazionismo privato, che ha mostrato un forte senso di responsabilità verso il recupero e la divulgazione della memorialistica, sia mediante altre attività promosse dall’ente pubblico, volte a garantire sostegno economico a queste iniziative. Il numero e la qualità delle proposte hanno favorito un clima di vivacità culturale, misurabile in termini di partecipazione e condivisione della popolazione. Tra i soggetti più attivi, capaci di dare continuità alle loro azioni, l’Ecomuseo della Val di Peio10 e l’Associazione LINUM11 hanno svolto un ruolo di primo piano, lavorando spesso in sinergia12. Animati da volontari e storici locali – tra questi, Loreta Veneri e Oscar Groaz, instancabili promotori di iniziative culturali e momenti di aggregazione – i soggetti hanno lavorato per anni con dedizione e senso civico. A partire dal 2002, l’Ecomuseo ha concentrato la propria attività su una serie di tematiche rappresentative del territorio, tra cui l’acqua. Nello stesso anno, l’Associazione LINUM attivava con Enel una collaborazione per l’apertura al pubblico della Centrale di Pont. L’appuntamento estivo, che prese il nome di «Centrale Aperta» fu organizzato su due PER NON DIMENTICARE.


81 Cogolo in Val di Peio, anni venti del Novecento (editore/stampatore Valentini, Biblioteca Comunale di Trento, pubblico dominio). giornate nei mesi di luglio e agosto e proseguì per molti anni, fino al 2017, prima in collaborazione con Hydro Dolomiti Enel, che aveva sostituito Enel nella gestione dell’impianto, e successivamente con Hydro Dolomiti Energia, l’attuale gestore. Data la grande affluenza di visitatori13, per alcuni anni l’Ecomuseo propose altre attività legate alla storia e ai prodotti locali, che si svolsero nel piazzale antistante alla Centrale. Grazie a questa iniziativa, che ha aperto le porte della centrale di Cogolo a diverse migliaia di persone, l’impianto è stato conosciuto lentamente dalla comunità, che ha iniziato a percepirlo con maggiore consapevolezza. Tra le proposte più rilevanti dell’Associazione LINUM e dell’Ecomuseo, si ricorda inoltre lo spettacolo teatrale «Il sogno di Maria: la valle, gli uomini e le dighe», monologo realizzato dall’attrice e regista Maria Teresa Dalla Torre nel 2006. I contenuti dei testi messi in scena svisceravano il tema del lavoro: «Storia d’acqua e di pietre, storia di buio e di luce, storia di donne e di uomini che silenziosamente, con orgoglio, tenacia e coraggio hanno contribuito allo sviluppo della Valle di Peio e che hanno partecipato, durante il periodo di grande fermento industriale, alla realizzazione delle grandi e imponenti opere idroelettriche»14. La rappresentazione affrontava con obiettività storica e con realismo la delicata questione del rischio a cui si era costretti nei cantieri idroelettrici, quando i minatori rischiavano la vita nella pancia della montagna: i dialoghi erano incentrati sulle vicissitudini dei lavoratori, vittime della silicosi, e sulle situazioni drammatiche che vivevano le loro famiglie. Nel 2011, per volontà dell’Ecomuseo e dell’Associazione LINUM, prendeva forma, in collaborazione con le Terme di Peio, un laboratorio di idee relativo all’acqua, a cui aderirono, oltre ai volontari dell’Ecomuseo, operatori turistici e amministratori. Nell’ambito del laboratorio sono stati allestiti alcuni percorsi di carattere storico ed etnografico: il «Percorso della memoria» e il «Percorso dell’Energia», che hanno generato importanti collaborazioni con l’amministrazione comunale di Peio, con il BIM, con il Parco Nazionale dello Stelvio e con musei provinciali. Nel 2012 veniva promossa la prima edizione della settimana «Viviamo l’acqua», una rassegna di incontri e di eventi estivi per i turisti e per gli abitanti della valle, con momenti di riflessione sulle modalità con cui è utilizzata l’acqua in Val di Peio. La rassegna, tuttora tra i principali eventi culturali in programma nell’agenda del Comune di Peio e dell’Azienda per la promozione turistica locale, ha coinvolto di anno in anno numerosi esperti del settore, divulgatori e storici. In questi stessi anni, tra il 2012 il 2013, Ecomuseo e LINUM hanno dato vita a una campagna di interviste ai «testimoni della storia», in collaborazione con alcuni istituti culturali della provincia, come la Fondazione Museo storico del Trentino, che si è avvalsa del contributo di registi specializzati nell’uso delle memorie orali; tra questi Lorenzo Pevarello e Michele Trentini. Nel documentario «Peio, una storia d’acqua», prodotto nel 2012 dalla Fondazione Museo storico del Trentino con l’Ecomuseo per la regia di Lorenzo Pevarel-


82 lo, venticinque15 persone ripercorrono attraverso le loro memorie i mutamenti che, nell’arco di pochi decenni, hanno investito questa piccola comunità alpina e trasformato radicalmente i valori e i ritmi di vita del passato. Nel campo dell’editoria, una raccolta di testimonianze era già stata avviata nel 2006, quando veniva pubblicato il libro «Lingére», a cura di Daniele Bertolini, Alberto Delpero e Felice Longhi per il Comitato Forte Strino Vermiglio. Il volume, che propone nella parte introduttiva un’accurata descrizione delle principali tappe della storia idroelettrica in Val di Peio, pubblica quattordici conversazioni con altrettanti testimoni, individuati tra gli anziani della valle, che ricordano le vicende legate alla costruzione dei grandi cantieri16. Nello stesso periodo – precisamente nel 2005, nel 2006 e nel 2008 – venivano pubblicati tre volumetti di memorie a cura dei «Quattro boci da Cógol», che raccontano frammenti di storie cogolesi degli anni quaranta e cinquanta, quando erano in corso i lavori per la costruzione della diga di Pian Palù17. Recentemente, infine, si è registrata una nuova produzione di materiali bibliografici sull’argomento, con contributi di carattere sia storiografico sia memorialistico. Nel 2015 è stata edita, dalla casa editrice Grafo di Brescia, su incarico dell’Ecomuseo, la guida Val di Peio. Piccolo Mondo Alpino: Itinerari fra memoria, tradizione e futuro, con una parte introduttiva sul tema dell’acqua. Nello stesso anno sono stati pubblicati due articoli a cura di Marco Puccini18 sulla rivista La Val. Notiziario del Centro Studi per la Val di Sole, che affrontano il tema delle prime centraline risalenti all’inizio del Novecento in Val di Peio, in Val di Sole e in Val di Rabbi. Sempre nel 2015 è stata edita dalla Fondazione Museo storico del Trentino l’opera in due volumi Avremo l’energia dai fiumi. Storia dell’industria idroelettrica in Trentino: nel secondo volume, a firma di Renzo Dori, sono presenti due capitoli sugli impianti della Val di Peio19. Infine, tra le iniziative più recenti, si ricordano le attività culturali realizzate dall’associazione teatrale Unpaesenellenuvole nel 2018 e nel 2019: lo spettacolo teatrale «Le donne della diga», la mostra fotografica «Paesaggio-passaggio d’acqua: dighe e muraglie nella natura resiliente» e i laboratori didattici e divulgativi per le scuole e per il pubblico20. Lo spettacolo, l’esposizione e i laboratori hanno portato l’attenzione sul significato dello sviluppo dell’industria idroelettrica in Val di Peio, sulle condizioni di vita nei cantieri, sullo sfruttamento del lavoro e sulla condizione di alienazione degli operai, che trascorrevano lungo tempo nell’isolamento dell’alta montagna oppure in galleria. Tali attività hanno raccolto un eccezionale successo di pubblico, raggiungendo anche i ragazzi delle scuole21. Peio, anni trenta del Novecento (editore/stampatore Valentini, Biblioteca Comunale di Trento, pubblico dominio).


83 Nel corso degli ultimi decenni, le proposte, sia di tipo teatrale sia espositivo, e i materiali prodotti, filmici ed editoriali, spesso basati sulla raccolta di testimonianze orali, hanno consentito alla popolazione di maturare una consapevolezza di quanto accaduto e di rielaborare i fatti, a distanza di tempo. È emersa complessivamente una memoria articolata e composita, non sempre lineare, talvolta divisa, che narra di grandi fratture nel passato della comunità, momenti di strappo e lacerazioni difficili da metabolizzare. Le opere idrauliche hanno portato cambiamenti «buoni» e «cattivi». I cantieri hanno generato ricchezza per la valle, in un periodo storico di ristrettezze economiche e scarsezza di risorse, ma hanno stravolto per sempre il territorio, modificando il reticolo idrografico alpino. Hanno portato lavoro alla popolazione, in anni segnati da grandi flussi migratori, ma hanno causato dolore a centinaia di famiglie, i cui componenti lavoravano nelle gallerie. Hanno introdotto novità e fattori di progresso, diffondendo un modello di lavoro industriale in un territorio periferico, che pativa un alto tasso di ruralità, ma hanno privato molti proprietari dei loro terreni mediante la pratica dell’esproprio, soprattutto nelle aree del medio Noce, dove campi e pascoli venivano sottratti ai coltivatori e agli allevatori per far spazio ai laghi artificiali e alle opere collegate. Negli anni cinquanta, quando vennero costruite le grandi opere idrauliche, il Trentino divenne strumento per la produzione di energia finalizzata ad alimentare la fame energivora delle aree metropolitane del Nord del Paese. Per questo la stampa locale parlò in seguito e a più riprese di «colonizzazione idroelettrica» del Trentino22. In quel momento, il territorio alpino contribuì, con ciò di cui disponeva, allo sviluppo del Paese. Ci si potrebbe dunque chiedere: furono maggiori gli aspetti positivi o quelli negativi? Fu «epopea idroelettrica» oppure fu «assalto idroelettrico»23? Gli abitanti della valle, e più in generale gli abitanti delle valli del Noce e degli altri territori del Trentino interessati dall’industria idroelettrica, si pensi in particolare al caso delle Giudicarie con i torrenti Sarca e Chiese, ebbero più da guadagnare o più da perdere? Furono maggiori i «benefici o i malefici»24? Prese singolarmente e valutate nella loro coralità, le memorie restituiscono ancora oggi questi ricordi attraverso pagine di storia non sempre facili da raccontare. Gli episodi peggiori, quelli più funesti e penosi, principalmente legati agli incidenti sul lavoro, richiedono lunghi processi di elaborazione del lutto in parte ancora incompiuti. Il trascorrere del tempo svolgerà un ruolo determinante. Se, da un lato, allungherà la distanza tra passato e presente, affievolendo il lume del ricordo, dall’altro, consentirà di guardare indietro con maggior distacco e obiettività. LA GIUSTA DISTANZA TRA PASSATO E PRESENTE.


84 Fucine con la Val di Peio e il Monte Vioz sullo sfondo, anno 1944 (editore/stampatore Ambrosi, Biblioteca Comunale di Trento, pubblico dominio). Peio Paese e Monte San Rocco, anno 1929 (editore/stampatore Monari, Biblioteca Comunale di Trento, pubblico dominio). Nella nuova centrale di Castra, al primo piano, è stata realizzata una saletta destinata ad accogliere iniziative divulgative e didattiche. Nello spazio sono stati allestiti anche dei pannelli di testo e immagini sulla storia dell’industria idroelettrica locale.


85 1 | Sul rapporto tra spazio e territorio, Massimo Quaini: La costruzione della geografia umana, La Nuova Italia, 1975. 2 | Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, 1962. 3 | Sul tema della storia locale si esprime, tra gli altri, Renata Salvarani nel saggio pubblicato nel 2008 Il paesaggio come fonte della storia. L’uso della fotografia aerea: http://www.renatasalvarani.it/saggi/paesaggiofonte.pdf. 4 | Così si è espresso Carlo Tosco sulla nozione di «storia del territorio», Il paesaggio come storia, Il Mulino, 2017. 5 | Eugenio Turri, Il paesaggio e il silenzio, Marsilio, 2010. 6 | Jean Marc Besse, Vedere la terra, Mondadori, 2008. 7 | La Convenzione europea del paesaggio, aperta alla firma degli Stati membri della Comunità europea a Firenze il 20 ottobre 2000, è oggi stata sottoscritta da quasi tutti i Paesi dell’Unione. 8 | Sul passato come «cosa morta» e sulla memoria come «cosa viva»: L’insegnamento della storia e la costruzione sociale della memoria (in Materiali di storia, numero 22, dicembre 2001). 9 | Sulla memoria collettiva si veda in particolare l’opera del filosofo francese Maurice Halbwachs: La memoria collettiva, 1950. 10 | L’Ecomuseo della Val di Peio «Piccolo Mondo Alpino» è nato nel 2002 con lo scopo di valorizzare al meglio le peculiarità della valeta: l’agricoltura e l’allevamento, il legno e le lavorazioni artigianali, l’edilizia rurale e la religiosità, l’acqua come fonte di ricchezza e di vita. Promuovere la cultura locale e il senso di identità, orientare la vocazione turistica della valle verso modelli sostenibili sono degli obiettivi perseguiti cercando di coinvolgere gli abitanti e le diverse realtà che operano nel territorio. 11 | L’idea di costituire l’associazione prende le mosse dalle esperienze maturate nel campo etnografico a Celentino e Strombiano in Val di Peio, dove un gruppo di volontari locali ha dato inizio, a partire dal 1992, ad attività di ricerca etnografica. 12 | Nel 2011 l’Associazione LINUM riceve dal Comune di Peio l’incarico ufficiale per la gestione dell’Ecomuseo della Val di Peio. 13 | In una delle edizioni più fortunate si raggiunsero i 3.000 visitatori al giorno. 14 | Spettacolo, narrazione e regia dell’attrice Maria Teresa Dalla Torre; autrici del testo Maria Teresa Dalla Torre e Serena Vicenzi; musiche originali a cura di Roberto Vogel. 15 | I testimoni della storia intervistati nel documentario sono: Adolfo Balotti, Alberto Bernardi, Aldino Benvenuti, Antonio Bordati, Bruno Paternoster, Dante Framba, Emilio Zanon, Enzo Casanova, Ezio Dossi, Giuseppe Dallatorre, Giuseppina Preti, Lino Casarotti, Luciano Daldoss, Maria Daprà, Marino Dallavalle, Natale Caserotti, Natalina Comina, Oliva Benvenuti, Pierino Bordati, Renzo Gionta, Renzo Stocchetti, Maria Teresa Veneri, Emilio Zanon, Rino Zanon. 16 | I testimoni della storia intervistati nel documentario sono: Ennio Vareschi, Luigi Slanzi, Giuseppe Slanzi, Giuseppe Depretis, Aldo Longhi, Egidio Panizza, Antonio Daldoss, Mansueto Delpero, Aldino Benvenuti, Giovanni Chiesa, Albertina Pedrazzoli, Orlando Mosconi, Lidia Bertolini, Ferdinando Zambotti. 17 | Il primo, pubblicato nel 2005, dal titolo Cogolo e vecchie storie: lontani momenti di vita paesana nei ricordi di quattro “boci” ultrasessantenni; il secondo, nel 2006, dal titolo Cogolo. Parole e immagini dal ‘900; il terzo, nel 2008, dal titolo Cogolo si racconta: le confessioni dei vecchi paesani. 18 | Il primo articolo dal titolo Gli alberghi elettrici delle Acidule di Pejo, nel numero di gennaio-marzo della rivista. Il secondo articolo dal titolo La vecchia officina elettrica del Comune di Cogolo nel numero di luglio-settembre.


86 19 | Nell’opera, a cura di Alessandro de Bertolini e Renzo Dori, il volume II riporta la descrizione di tutti gli impianti idroelettrici presenti sull’asta del torrente Noce. 20 | Tra la fine del 2018 e il 2019 lo spettacolo teatrale «Le donne della Diga» è andato in scena più volte a Cogolo, Vermiglio e Ossana. Qui, la rappresentazione si è tenuta a Castel San Michele ed erano presenti oltre 300 persone. La mostra fotografica «Paesaggio-passaggio d›acqua: dighe e muraglie nella natura resiliente» è stata allestita nel 2018 presso la sede delle scuole elementari di Peio Paese e, poi, nel 2019 presso il Polo Culturale di Vermiglio. I laboratori aperti al pubblico sono stati ospitati a più riprese a Fucine, presso la sede dell’associazione Unpaesenellenuvole, e presso numerosi istituti scolastici della Val di Sole (in totale sono stati realizzati 14 interventi nelle scuole primarie di Vermiglio, Cogolo, Commezzadura e Ossana, che hanno coinvolto 150 studenti). 21 | In questo quadro di iniziative e attività, aventi l’intento comune di mantenere viva nelle nuove generazioni la memoria di una parte della storia sociale, industriale e ambientale della valle, è maturata la volontà di realizzare, al primo piano della nuova centrale di Castra (per una spiegazione dettagliata sull’impianto di Castra, si veda il capitolo successivo di questo volume), una sala di incontri, dotata di sistema di videoconferenza multimediale, con vista diretta sulla sala macchine della centrale. La sala è destinata ad accogliere iniziative di divulgazione della storia dell’industria idroelettrica locale, sia con finalità generiche, per la popolazione e per i turisti, sia per finalità didattiche, con le scuole. Nella saletta è inoltre stato allestito un percorso espositivo con pannelli di testo e immagini, grazie alla collaborazione con Loreta Veneri e Oscar Groaz, dell’Ecomuseo della Val di Peio “Piccolo Mondo Alpino” (vedi foto a pagina 84). 22 | Si espresse così il giornalista, scrittore e grande osservatore degli usi e costumi della gente delle Alpi, Aldo Gorfer. 23 | Sul punto, si veda in particolare il contributo di Mattia Pelli: Gli oscuri minatori della luce. Vita e lavoro sui cantieri idroelettrici trentini nel secondo dopoguerra, 2015. 24 | Ibidem.


87 6I NUOVI IMPIANTI DELLA VAL DI PEIO. L, oro bianco della Val di Peio A quasi cento anni di distanza dalla costruzione delle prime centraline per la produzione di energia idroelettrica in Val di Peio, le amministrazioni del territorio hanno recentemente dato corso alla costruzione di una serie di nuovi piccoli impianti, due dei quali interamente del Comune di Peio. La finalità pubblica dell’operazione, che ha caratterizzato fin da subito il progetto, e l’iniziativa comunale, che ha visto come protagonista l’amministrazione del Comune di Peio, richiamano alla memoria quel senso civico che accompagnò lo spirito dei primi impianti idroelettrici della valle, costruiti all’inizio del Novecento. La realizzazione di queste opere si pone un triplice obiettivo: in primo luogo, ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera; in secondo luogo, sostenere le finanze pubbliche del Comune; infine, migliorare la qualità delle acque del torrente Noce. Il progetto fa riferimento in modo organico al cosiddetto sistema della Val di Peio, consistente nella costruzione di tre impianti: l’impianto di Contra (in località Masi di Contra), l’impianto di Castra (in località Maso Castra), e l’impianto di Cusiano (nei pressi del paese di Cusiano)1 . Un’immagine aerea delle opere relative alla costruzione dell’impianto di Contra, con il sifone a vasi comunicanti, che passa sotto il Noce, alla Segheria, realizzato per non avere nessuna opera visibile all’interno del territorio del Parco (Archivio fotografico del Comune di Peio).


88 La realizzazione di queste opere richiama la vocazione, mai sopita, delle popolazioni locali di «interpretare» il torrente Noce come un elemento importante del proprio paesaggio e come una risorsa da utilizzare in modo equilibrato, eco-compatibile e con una ricaduta positiva sull’economia del territorio. Il progetto della realizzazione dei tre impianti idroelettrici risponde in modo positivo a queste esigenze, mantenendosi all’interno del principio di un utilizzo razionale delle risorse rinnovabili a basso impatto ambientale, a servizio della collettività locale e del suo vasto e delicato territorio. Un’immagine aerea delle opere relative alla costruzione degli impianti di Maso Castra e Cusiano (Archivio fotografico del Comune di Peio).


89 Gli impianti di Contra, Castra e Cusiano sono stati costruiti in serie a cascata, uno in seguito all’altro, e ad acqua fluente, con utilizzo parziale e restituzione delle portate d’acqua presenti nel Noce. Sono collocati sul Noce, nel tratto in cui il torrente scorre in Val di Peio, tra lo scarico dell’impianto di Cogolo Pont, posto a quota 1.198 metri, e la confluenza del Noce con la Vermigliana, a quota 958 metri. L’acqua da turbinare, necessaria per alimentare il sistema, viene presa direttamente dallo scarico della centrale di Cogolo Pont, di proprietà di Hydro Dolomiti Energia (società controllata da Dolomiti Energia), intercettando lo scarico appena prima della sua uscita in alveo, con l’utilizzo di una paratoia mobile di sbarramento, visibile dalla strada. Il primo, denominato Masi di Contra, con opera di presa posizionata a ridosso del canale di scarico della centrale di Cogolo Pont, convoglia l’acqua in una prima vasca di presa con sfioratore per lo smaltimento delle portate eccedenti. Da questa prima vaschetta si diparte la tubazione di derivazione interrata, che, dopo aver attraversato in subalveo il Noce di Val del Monte con un sifone particolare a vasi comunicanti e pozzo a torrino, percorre in destra orografica il Noce, fino a giungere alla vasca di carico vera e propria. Tale vasca di carico, situata nel bosco di fronte alla Piazza dei Monari di Cogolo, è costituita da due «blocchi» aventi una capacità complessiva di circa 1.600 metri cubi. Da uno dei due blocchi (il secondo), si diparte la condotta forzata che va ad alimentare le tre turbine di tipo Francis (una ad asse verticale, due ad asse orizzontale), poste all’interno della centrale denominata Masi di Contra. La producibilità media annua di questo primo impianto è di oltre 22 milioni di kWh. Lo scarico di questa prima centrale alimenta direttamente l’opera di presa del successivo impianto, posto più a valle, denominato Maso Castra. In caso di fermo dell’impianto inferiore, per manutenzione o per altri problemi, l’acqua viene scaricata in alveo dagli impianti superiori, che hanno un loro scarico autonomo di emergenza in alveo. All’occorrenza, è prevista la possibilità di alimentare la derivazione anche attraverso la realizzazione di uno sbarramento sul fiume Noce, tramite una paratoia disposta trasversalmente, con a lato un manufatto per la risalita del pesce. Tale opera di presa, dopo essere stata migliorata nel 2014, è stata sacrificata nel maggio del 2015, per non perdere la priorità gerarchica acquisita nei registri del GSE e gli incentivi degli impianti di Contra e di Cusiano, con il prelievo esclusivo dallo scarico dell’impianto superiore di HDE. Dall’opera di presa prevista, ma sacrificata, con un attuale bypass in sub-alveo, si diparte un canale libero interrato della lunghezza di circa 296 metri. Il canale passa sotto la spalla sinistra del ponte per Comasine e fa confluire le portate derivate nella vasca di carico, realizzata su due livelli, con un volume di circa 1.600 metri cubi. Dalla vasca si deriva la condotta forzata, completamente interrata e lunga circa 1.275 metri. Dopo aver attraversato in subalveo il rio Malga Campo e il rio Celentino, la condotta va ad alimentare i gruppi di produzione muniti di tre turbine Francis (una ad asse verticale, due ad asse orizzontale), poste nella sala macchine della centrale di Maso Castra, eretta a monte del ponte di Forno di Novale. La producibilità media annua di questo secondo impianto è di circa 22 milioni di kWh. Lo scarico della centrale di Maso Castra alimenta direttamente l’opera di presa e di derivazione del sottostante impianto di Cusiano. L’opera di presa UN «SISTEMA IN SERIE A CASCATA».


90 di quest’ultimo è costituita da una vasca di carico avente un volume utile di oltre 1.200 metri cubi, con uno sfioratore per lo smaltimento delle portate d’acqua eccedenti al torrente Noce, tramite apposito canale, dotato di vaschette smorzatrici. Dalla vasca di carico si diparte la condotta forzata lunga 2.501,48 metri, completamente interrata, che va ad alimentare tre gruppi turbina Francis ad asse verticale, posti nella sala macchine della centrale di Cusiano. Lo scarico della centrale restituisce l’acqua turbinata al torrente Noce in prossimità dell’abitato di Cusiano. L” La producibilità media annua dell’impianto (dopo l’ultima variante, in riduzione del salto, per poter realizzare sullo scarico il parco canoistico di allenamento e di gara) è di circa 19,8 milioni di kWh.. Nella fase finale di realizzazione di questo terzo impianto, su richiesta del comitato degli Sports Fluviali “White Water” e con l’avallo dai Comuni di Ossana e di Peio, è stata apportata una variante, con l’accorciamento della condotta di circa 200 metri, l’arretramento della centrale e il sacrificio di circa 4,5 metri di saldo. Utilizzando lo scarico della centrale, tali modifiche sono state proposte per permettere di realizzare in questa zona un parco canoistico artificiale per la pratica di allenamento e di gara degli sport fluviali. Il parco, che dovrebbe essere costruito in futuro, è stato valutato come un’importante opera turistico/ sportiva a valenza sovracomunale. Inoltre, la sua realizzazione rappresenterebbe un bell’esempio di sinergia fra le attività idroelettriche per lo sfruttamento delle acque e quelle sportive e turistiche per i residenti e gli ospiti della zona. Complessivamente, i tre impianti di Masi di Contra, Maso Castra e Cusiano possono garantire al Comune di Peio una producibilità media annua pari a circa 66 milioni di kWh (per comodità, vengono riportati nella tabella riassuntiva i dati caratteristici dei tre impianti). Essendo alimentati, come detto, dalle acque di scarico della Centrale di Cogolo Pont, i tre impianti dipendono dal funzionamento di quest’ultima. Se la centrale di Cogolo Pont interrompesse il proprio esercizio, anche gli impianti a cascata ne risentirebbero, cessando la propria attività o ridimensionandola significativamente2 . Nome dell’impianto Potenza nominale media di concessione (in kW) Salto netto (in metri) Producibilità media annua (in kWh) Rendimento calcolato all’85% Potenza massima delle turbine (in kW) Masi di Contra Maso Castra Cusiano Totale 2.985,08 2.967,00 2.944,31 8.896,39 87,67 81.07 77.09 245,83 22.226.831 22.089.315 21.920.388 66.236.534 6.739 6.156 6.290 19.185


91 L’ITER PROCEDURALE E L’ENTRATA IN ESERCIZIO DEGLI IMPIANTI. Le prime domande di concessione risalgono al 5 luglio del 2004. Successivamente, il rilascio delle tre concessioni, per una durata trentennale, è del 2012: il 22 novembre per Castra e Cusiano e il 3 dicembre per Contra3 . L’entrata in funzione delle centrali, con i primi chilowatt prodotti, risale al 14 maggio del 2015. Si è trattato di un momento di portata storica per la valle. Vennero avviate prima le turbine di Castra e Contra, messe in funzione contemporaneamente, e poi quelle di Cusiano, che entrarono a regime in un secondo momento, il 10 luglio del 2015. Per raggiungere questo risultato, il Comune di Peio ha intrapreso un iter istruttorio estremamente complicato, tecnico e burocratico, che ha richiesto un confronto continuo con le istituzioni locali della valle (Comuni limitrofi, Comunità di Valle, BIM del Noce), con tutti gli uffici preposti della Provincia autonoma di Trento, con il Parco e con gli organi nazionali del Governo italiano. Inoltre, si è reso necessario un dialogo ininterrotto con la popolazione stessa, che doveva essere informata, un passo dopo l’altro, sulle finalità pubbliche dell’operazione, gli obiettivi, i contenuti, le tempistiche, gli L’edificio della centrale di Masi di Contra (Collezione fotografica Francesco Framba, Peio). scenari presenti e futuri. L’espletamento di tutte le procedure ha richiesto quasi dieci anni di lavoro, dal 2004 al 20134 , durante i quali sono stati promossi incontri e conferenze, costituiti comitati di studio e commissioni ad hoc, realizzati sopralluoghi e verifiche, predisposti pareri tecnici e perizie: uno sforzo complessivo da parte degli amministratori comunali, con la collaborazione del personale comunale, che hanno dovuto acquisire familiarità con i regolamenti e le normative del settore5 . Al termine dell’iter procedurale, la costruzione degli impianti è stata compiuta con grande tempestività, in meno di due anni, dal 2014 al 2015. Per l’entrata in funzione delle centrali, successivamente, sono stati compiuti tutti i passaggi amministrativi e normativi necessari, con i principali enti e con le autorità coinvolte: il Gestore delle rete, che nel caso della Val di Peio è la SET Spa; l’Agenzia delle dogane, presso la quale va presentata la documentazione tecnica e fiscale richiesta; Terna Spa, la società collegata ad Enel, che censisce tutti gli impianti nazionali che producono energia; il GAUDI, l’organo di Gestione anagrafica unica di impianti, controllato da Terna Spa, che è depositario della procedura di accreditamento sul sistema nazionale di tutti gli impianti; e il MIFR, l’ente per il Monitoraggio degli impianti a fonti rinnovabili, che rappresenta un’ulteriore anagrafica, relativa esclusivamente a questa tipologia di impianti.


92 Realizzare le nuove centraline, anche se di dimensioni molto ridotte rispetto a quelle che hanno segnato il boom dell’industria idroelettrica della metà del secolo scorso, è economicamente molto oneroso, soprattutto per un Comune di piccole dimensioni. I lavori per la realizzazione dei tre impianti a cascata sono costati circa 30 milioni di euro. Per finanziare le opere, l’amministrazione comunale è ricorsa all’ausilio di finanziamenti sia pubblici sia privati. Per quanto riguarda le risorse pubbliche, la strada intrapresa si è rivelata un percorso a ostacoli. In un primo momento, il Comune di Peio si era coerentemente orientato verso l’ottenimento degli incentivi idroelettrici previsti dallo Stato per il settore. Questi, tuttavia, dal gennaio del 2013 hanno subìto un’improvvisa e drastica contrazione, sulla base di quanto emerso dal Decreto ministeriale del Ministero dello sviluppo economico, del 6 luglio 2012, che li ha limitati solo ad alcune tipologie di impianti, escludendo di fatto quelli della Val di Peio. Per ovviare a tale situazione, l’amministrazione di Peio ha scelto la via dell’accreditamento presso il registro di assegnazione per gli incentivi ambientali del GSE (Gestore Servizi Energetici), potendo far valere la prelazione gerarchica nelle graduatorie di assegnazione dei limitati incentivi, grazie al fatto di utilizzare interamente per i tre impianti solo l’acqua di scarico dell’impianto superiore di HDE. Il GSE è una società controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze, che svolge compiti funzionali alle politiche del Ministero dello sviluppo economico, ricoprendo un ruolo centrale nell’incentivazione di attività che favoriscono l’impiego di fonti rinnovabili. Concretamente, il GSE organizza, gestisce ed eroga gli incentivi per la produzione di elettricità mediante l’uso di centrali idroelettriche. Dopo aver compiuto tutte le pratiche formali e procedurali, il Comune di Peio ha ottenuto l’iscrizione al registro alla fine del 2012. Per i tre impianti della Val di Peio, l’incentivo ambientale concesso dal GSE consiste in una tariffa fissa venticinquennale (pari a euro 129,00 a MWh, per gli impianti di Contra e di Castra, e di euro 127,71, per l’impianto di Cusiano), che viene pagata dal GSE per la differenza tra il prezzo zonale orario dell’energia, pubblicato mensilmente dallo stesso, e tale tariffa fissa. L’energia prodotta rimane comunque nella disponibilità del produttore, che la può vendere liberamente sul mercato (come fa, appunto, il Comune di Peio)6 . Per quanto riguarda le risorse private, invece, il Comune si è servito di un particolare strumento, il contratto di associazione in partecipazione7 , regolato dagli articoli 2549 e seguenti del Codice Civile, per la realizzazione degli impianti di Castra e Contra. Grazie a esso, l’amministrazione comunale, pur rimanendo l’unica titolare delle concessioni idroelettriche e la proprietaria esclusiva degli impianti, è stata affiancata nella costruzione delle opere da un’azienda privata che, in cambio di una certa percentuale degli utili annuali netti per una durata di 25 anni, ha realizzato a sue spese entrambi gli impianti (e anche la vasca di carico di quello di Cusiano). Inoltre, la stessa azienda, scelta dal Comune mediante bando8 , si è impegnata a rimborsare 1.080.000 euro al Comune: 600 mila euro per i progetti, 480 mila per gli allacciamenti SET degli impianti alla rete nazionale di Terna. Per l’azienda associata, si è trattato di un investimento di circa 30 milioni di euro, pari al totale dei costi complessivi per la costruzione delle centrali. La percentuale degli utili spettanti all’Associato per i 25 anni LA SFIDA DEL FINANZIAMENTO.


93 previsti è il 57,95%. Al termine di questo periodo, gli impianti continueranno a essere di proprietà esclusiva del Comune, che percepirà, di lì in avanti, la totalità degli utili. Per il finanziamento dell’impianto di Cusiano, infine, è stato seguito un percorso ancora diverso. La costruzione della centrale è stata inserita nel 2012 negli scopi della società Alto Noce Srl, costituita appositamente, le cui quote spettano per 1/3 al Comune di Peio, 1/3 al Comune di Ossana e 1/3 a un partner privato (che aveva già in corso due domande di concessione sul tratto sotteso del terzo impianto). Attraverso l’Alto Noce Srl, la costruzione dell’impianto è stata finanziata tramite un «leasing in costruendo» - una forma di finanziamento privato delle opere pubbliche, già sperimentata in anni recenti da diverse amministrazioni pubbliche, inizialmente disciplinata dalla legge finanziaria 2007 e recepita dal codice degli appalti pubblici con decreto legislativo n. 163/06 – di 8,7 milioni di euro, concesso dall’austriaca Hypo Voralberg Leasing (filiale di Bolzano). Oltre ai costi per la costruzione delle opere, il Comune deve far fronte a una serie di spese fisse, che vanno pagate con cadenza annuale, relative al funzionamento delle centrali, allo sfruttamento delle concessioni, alle relazioni con le comunità del territorio e al rapporto con Hydro Dolomiti Energia. Il canone di concessione dei due impianti è versato alla Provincia autonoma di Trento, sin dal suo rilascio (circa 53 mila euro per impianto). Dall’entrata in funzione delle centrali, sono dovuti anche i sovra-canoni da versare al BIM (circa 66 mila euro a impianto). Vi sono poi i canoni per i comuni rivieraschi (circa 18 mila euro a impianto, che tuttavia, in parte, ritornano allo stesso Comune di Peio, essendo anch’esso Comune rivierasco) e altre somme minori relative alla Riserva di energia della Provincia autonoma di Trento. Infine, in base all’Accordo di co-uso, stipulato con Hydro Dolomiti Energia nel novembre del 2012 (ai sensi dell’Art. 47 del Regio Decreto 1775 del 11 dicembre 1933), il Comune di Peio deve riconoscere a HDE un importo annuo di 200 mila euro per i tre impianti, per poter utilizzare direttamente lo scarico della loro centrale di Pont e sfruttare la sapiente regimentazione delle portate che HDE può attuare con lo stoccaggio a monte di circa 30 milioni di metri/cubi nelle dighe del Càreser e di Pian Palù. La condotta dell’impianto di Contra, durante i lavori di posa (Collezione fotografica Francesco Framba, Peio). La sala macchine dell’impianto di Contra, durante le fasi di montaggio (Collezione fotografica Francesco Framba, Peio).


94 La condotta dell’impianto di Castra, lavori di posa (Collezione fotografica Francesco Framba, Peio). Sala macchine dell’impianto di Castra, a fine lavori (Collezione fotografica Francesco Framba, Peio).


95 Nel bilancio complessivo per la costruzione del nuovo sistema idroelettrico della Val di Peio, vanno sottolineati i benefici ambientali, che hanno rappresentato, da subito, una delle priorità dell’intera operazione. La realizzazione di tre centrali in serie a cascata si spiega anche in ragione di questo: alla base, la volontà di ridurre il cosiddetto fenomeno di hydropeaking. Con questo termine si fa riferimento alla condizione di quei corsi d’acqua il cui flusso naturale è alterato dalla “sequenza ripetuta di rapidi aumenti e riduzioni della portata artificialmente provocati dalle restituzioni in alveo delle portate utilizzate dalle centrali idroelettriche per la produzione di energia”9 . Lo stress da hydropeaking si verifica là dove la quantità di acqua che scorre in alveo è soggetta a continue oscillazioni, provocate da questi sbalzi di portata nei rilasci, che vengono praticati da parte delle società che gestiscono la produttività idroelettrica dei laghi artificiali, in relazione alle richieste di consumo e del fabbisogno istantaneo della rete di distribuzione. Tali oscillazioni alterano i parametri chimico/fisici, microbiologici e ittici delle acque. LA RIDUZIONE DEL FENOMENO DI HYDROPEAKING. L’edificio della centrale di Castra, in fase di costruzione (Collezione fotografica Francesco Framba, Peio). La costruzione dei tre impianti in serie – Contra, Castra e Cusiano – è stata pensata per ridurre questi sbalzi, in un’ottica di superamento del problema di hydropeaking sul tratto dell’Alto Noce, quello compreso tra lo scarico della centrale di Cogolo Pont e la confluenza con il torrente Vermigliana. Sin dalle prime fasi dei lavori, la Provincia autonoma di Trento ha imposto al Comune di Peio di elaborare un Piano di monitoraggio ambientale (Pma) quinquennale per tutti tre gli impianti (affidandosi ai migliori esperti del settore). Il Comune di Peio ha attivato un sistema di monitoraggio periodico e costante per la misurazione dei parametri necessari alla stesura delle relazioni sullo stato delle acque: vengono misurati l’idrometria (portate), la turbidimetria (torbidità), la termometria (temperatura) e l’inclinometria (movimenti delle frane). Contemporaneamente, con prelievi periodici programmati in alveo, sono controllati tutti gli altri parametri chimico/fisici e microbiologici. Per raccogliere le misurazioni sono state installate cinque stazioni di monitoraggio in alveo. I dati raccolti servono per l’elaborazione del documento ambientale quinquennale10 (esteso poi di ulteriori tre anni, su richiesta del Comune). Complessivamente, quindi, l’entrata in funzione dei tre impianti ha rappresentato per il corso del torrente Noce un fattore di normalizzazione fluviale, anziché di alterazione, mitigando lo stress da hydropeaking.


96 Nel dettaglio, questo risultato si spiega così. Per il suo funzionamento, il primo dei tre impianti a cascata deriva l’acqua necessaria dallo scarico della Centrale idroelettrica di Cogolo Pont; non sottrae quindi alcuna quantità d’acqua residua all’alveo del Noce Bianco e non deriva nemmeno tutta la portata scaricata dalla centrale, ma solo una parte importante, garantendo inoltre una portata di rispetto pari a ulteriori 400 litri/secondo. Tale rilascio aggiuntivo, che potrà essere oggetto di rideterminazione in base agli esiti finali del Piano di monitoraggio, si somma alla portata residua presente nel Noce Bianco, all’altezza della località Pont, e alla portata scaricata dalla centrale di Cogolo (e non derivata), «stabilizzando» la quantità d’acqua su valori assolutamente compatibili con la vita della fauna acquatica. Si concretizza così l’attenuazione di impatto ambientale (hydropeaking). Una portata d’acqua stabile in alveo, con leggere variazioni principalmente legate alla stagionalità, garantisce una vita migliore all’ecosistema acquatico. La conferma di queste considerazioni si ottiene dall’esame dei dati di concessione delle centrali di Cogolo e di Masi di Contra. Sulle sue due derivazioni, quella della vasca di Malga Mare e quella del serbatoio di Pian Palù, la centrale di Cogolo Pont può derivare complessivamente una portata media pari a 4,116 metri cubi al secondo e una portata massima pari a 14,00 metri cubi al secondo. Dallo scarico di questa centrale, il primo impianto di Masi di Contra ha la concessione per derivare una portata media di 3,473 metri cubi al secondo (portata massima 9,00 metri cubi al secondo) e l’obbligo di un rilascio aggiuntivo in alveo pari a 400 litri al secondo. Se, a tale differenza di portate (quella mediamente scaricabile dalla centrale di Cogolo e quelle mediamente derivabile dall’impianto di Castra), aggiungiamo il DVM da garantire in alveo e le portate residue presenti nel Noce Bianco (all’altezza della località Pont), avremo la presenza in alveo di una quantità d’acqua con valori mediamente sempre superiori a 1.000 l/s. La laminazione delle piene dell’impianto, da Cogolo-Pont alla confluenza della Vermigliana, che ha quasi del tutto sterilizzato il dannoso fenomeno dell’Hydropeaking, ha però evidenziato, con la presenza di meno acqua in alveo, problemi pregressi, relativi alla presenza di sostanze inquinanti disciolte in alveo, di origine civile e zootecnica. In valore assoluto, la quantità di tali sostanze è rimasta invariata. Ma, con meno acqua in alveo, i valori appaiono ora più rilevanti, se considerati in termini relativi. Il Comune sta operando per risolvere questo problema alla fonte. Un’immagine che ritrae la zona dove sorge l’impianto di Cusiano (Collezione fotografica Francesco Framba, Peio).


97 Progettare e realizzare gli impianti a cascata della Val di Peio è stato un percorso lungo, difficile e oneroso. Ma i benefici sono notevoli. I sacrifici fatti stanno dando i risultati attesi, sia in termini ambientali sia in termini economici. Considerando gli incentivi del GSE e tutte le spese fisse, l’entrata netta per il Comune con gli impianti a pieno regime è di circa 2,4 milioni di euro all’anno. Se le precipitazioni future saranno nelle medie degli ultimi dieci anni, le aspettative previsionali dell’intera operazione idroelettrica, in base ai piani economico-finanziari dei tre impianti, sono quelle di produrre, nei 26 anni di durata delle concessioni, utili netti per circa 70 milioni di euro: dei quali il 90% pari a circa 63 milioni in favore delle collettività locali e dei loro cittadini, il 70% pari a circa 49 milioni al Comune di Peio, e il 20% pari a circa 14 milioni al Comune di Ossana (se poi, nel 2040 e 2041, quando è prevista la scadenza delle concessioni, queste non venissero rinnovate gratuitamente al titolare, come sino ad oggi è sempre avvenuto per le “piccole derivazioni”, e come si confida possa avvenire anche in futuro, ai concessionari spetterebbe in questo caso l’indennizzo del pieno valore degli impianti, per un valore stimabile PER IL BENE COLLETTIVO. Gli interni della centrale di Cogolo (Archivio fotografico del Comune di Peio). oggi in circa 21 milioni di euro per i tre impianti). I lavori per la costruzione dei tre impianti hanno inoltre favorito il territorio. Con un bando pubblicato ad hoc, il Comune di Peio ha stabilito che l’impresa vincitrice dell’incarico della realizzazione materiale degli impianti fosse tenuta a utilizzare le ditte del Comune di Peio per un importo pari ad almeno il 30% dei lavori di edilizia. Durante le operazioni legate alla cantieristica, gli interventi che hanno causato disagio alla circolazione, agli abitanti o ai turisti, alle aree pedonabili o alla piste ciclabili sono stati limitati il più possibile nel tempo e nello spazio. Al termine dei cantieri, le opere di ripristino dei siti si sono svolte secondo le prescrizioni normative per la tutela del paesaggio, con il recupero di numerose aree di interesse pubblico. Nel corso degli anni, si è reso necessario un fitto dialogo tra l’amministrazione comunale e i proprietari dei terreni interessati dai lavori. Da un lato e dall’altro, sia da parte del Comune sia da parte della popolazione, sono emersi buon senso, capacità di confronto e di ragionamento, per il raggiungimento di un bene comune di interesse pubblico. Il Comune di Peio ha attivato le procedure di pagamento delle indennità di asservimento e degli indennizzi per le occupazioni temporanee delle aree interessate alla posa delle condotte e dei lavori, secondo le modeste somme previste dalla Legge provinciale che disciplina la materia. I proprietari


98 coinvolti, più di 400, hanno consentito lo svolgimento delle operazioni cedendo volontariamente le aree per gli edifici, dove necessario, e dando l’assenso all’avvio e alla posa delle condotte su tutti i tratti interessati. La loro disponibilità ha permesso di concludere i lavori nei tempi previsti. Alla base della collaborazione c’è stata la condivisione del valore di queste opere, pensate per il bene della collettività, e un diffuso senso civico, che ha animato l’amministrazione e la cittadinanza. Durante l’iter per la realizzazione degli impianti, soltanto due proprietari si sono opposti. Nel primo caso, per quanto riguarda l’edificio di Castra, la contrarietà è stata sollevata a inizio lavori, avviando un contraddittorio che si è presto risolto. Nel secondo caso, l’opposizione è emersa nell’ambito dei lavori per l’impianto di Cusiano, dove è stato proposto ricorso contro la posa della condotta al tribunale e alla Commissione provinciale per le espropriazioni. I giudici hanno rigettato il ricorso, reputando l’opera di interesse pubblico, e confermando, anche per tale proprietario, il previsto indennizzo per la servitù di passaggio, come spettante a tutti gli altri proprietari, che, con l’accettazione bonaria, hanno invece avuto una maggiorazione del 30%. Nel segno della tutela ambientale, infine, non va dimenticato il beneficio ottenuto verso un miglioramento della qualità dell’aria. A regime, gli impianti della Val di Peio garantiranno una riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera di 46.300 tonnellate all’anno11. Il significato di questi lavori, a quasi un secolo di distanza dall’avvio delle prime centraline idroelettriche in Val di Peio, riporta al centro il valore dell’acqua come bene pubblico e l’importanza di promuovere politiche di sviluppo che, servendosi dell’acqua come «forza motrice» per produrre energia, sappiano costruire scenari presenti e futuri nell’interesse del cittadino e nel rispetto dell’ambiente. Un’immagine aerea delle opere con la costruzione degli impianti: linea di colore verde (gli impianti esistenti), linea di colore rosso (il nuovo impianto), linea tratteggiata (la futura condotta a servizio del campo gara per canoe kayak), area evidenziata (futuro campo gara per canoe kayak). Archivio fotografico del Comune di Peio.


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