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250 Il serbatoio e la diga di Pian Palù, visti da valle, in una sequenza di tre immagini che testimonia la nascita, l’avanzamento e la conclusione dell’opera, rispettivamente nel settembre del 1948, nel luglio del 1959 e nel giugno del 1968 (Fondo «Studio Ing. Claudio Marcello, Milano»).
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253 Appendice Gli alberghi «elettrici» delle acidule di Pejo Qui di seguito, per gentile concessione dell’autore, vengono riproposti in forma integrale due contributi a firma di Marco Puccini, pubblicati nel 2015 sulla rivista di cultura solandra “La Val: notiziario del Centro studi per la Val di Sole”, edita dal Centro studi per la Val di Sole, nei numeri di gennaio-marzo (numero 1, anno Anno XLIII) e luglio-settembre (numero 3, anno Anno XLIII). I due saggi, già citati nei primi capitoli e nella bibliografia di questo libro, sono particolarmente interessanti e ricchi di spunti storici, sia per quanto riguarda la narrazione dei fatti legati alla costruzione delle prime centraline idroelettriche in Val di Peio, sia per quanto riguarda l’indicazione delle fonti e i riferimenti archivistici. Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 videro la luce in Italia le prime realizzazioni idro-elettriche. La turbina, accoppiata ad una dinamo o a un alternatore (per produrre rispettivamente corrente continua od alternata) divenne la versione moderna della vecchia ruota idraulica. Anche la nostra Regione, grazie all’abbondante disponibilità di acque fluenti, non rimase immune da questa vera e propria rivoluzione, tesa ad affrancare la popolazione dai primigeni sistemi di illuminazione e a permettere il trasporto e l’utilizzo dell’energia anche a grandi distanze rispetto al luogo di produzione. Il perfezionamento dei nuovi impianti andava di pari passo con l’evoluzione dei sistemi illuminanti. La lampadina ad incandescenza di Edison, brevettata nel 1879, della durata di poche ore, già dopo 30 anni non era poi molto dissimile a quella utilizzata ai giorni nostri, prima dell’avvento delle lampade a risparmio energetico e poi di quelle a led. In Trentino, l’esempio del capoluogo, che per primo si dotò di una propria centrale elettrica nel 1890, fu ben presto seguito da altre municipalità, le quali potevano disporre di maggiori risorse finanziarie e di conoscenze nel campo tecnico e normativo. Espressione del mondo cooperativo furono invece i consorzi di produzione e quelli di distribuzione dell’energia elettrica. A questi attori si affiancarono lentamente anche i privati che autoproducevano corrente per distribuirla a livello locale, in genere nelle frazioni più remote e mal servite dalle grandi reti di trasporto, o, più comunemente, per le proprie necessità, sfruttando vantaggiose concessioni per la derivazione di corsi d’acqua. Principalmente si trattava di opifici di vario genere (mulini, rassiche, Disegni in pianta e sezione, marzo 1909, relativi all’edificio della centrale elettrica per la Fonte di Peio. Archivio di Stato di Trento, Capit. Distrettuale di Cles, Busta 193, Impianto el. Fonte Peio.
254 cartiere, officine meccaniche, ecc), ma non mancò neppure qualche albergo di lusso, desideroso di offrire alla clientela tutte le comodità del caso, come avvenne a Roncegno Terme (stabilimento termale dei fratelli Waiz, fin dal 1893), a Rabbi (Grand Hotel Terme - 1904), a Madonna di Campiglio e, come andiamo a raccontare, nel 1909 alle Acidule di Pejo. elettrica. In realtà il sig. Zanella agiva in quella sede quale presidente del comitato promotore della costituzione di una società tra privati, che avrebbe gestito il predetto impianto, con il fine primario di “illuminare i caseggiati di questo luogo di cura” e fornire in loco “una decente illuminazione pubblica”. Con la parola caseggiati si intendevano, oltre all’Hotel Zanella, di proprietà del sig. Bortolo, le altre strutture alberghiere limitrofe, quali l’Hotel Brescia (poi Alpen), l’Hotel Pejo, l’Hotel Europa. L’impianto prevedeva una piccola e solida briglia in legname atta a sbarrare parzialmente il corso del predetto torrente, con a tergo vaschetta munita di sfioratore per il deposito del materiale grossolano, dalla quale un canale in muratura portava l’acqua alla vasca di carico in calcestruzzo. Da qui, una tubazione fuori terra in tubi di ferro Mannesmann con diametro interno di 125 mm e lunga 350 m avrebbe condotto il liquido alla turbina, con un salto complessivo di circa 160 m. L’acqua rilasciata dalla centrale sarebbe poi ritornata poco a valle di questa nel letto del Rivo di Val Comasine. La portata derivata di 23 l/s sarebbe stata sufficiente per sviluppare una potenza di 35 CV, adeguata per gli scopi prefissati (si tenga conto dei ridottissimi consumi dell’epoca, viste le poche e deboli lampadine installate negli edifici, e della pressoché assenza negli esercizi serviti di motori elettrici). L’11 agosto del 1909 si ebbe il sopralluogo commissionale sul nuovo impianto elettrico in funzione da circa due settimane, alla fine del quale venne redatto verbale riportante nel dettaglio le relative caratteristiche costruttive. Fu anche trovato un accordo con il capo-comune di Comasine per assicurare Pianta catastale delle particelle interessate ai lavori del nuovo impianto Stabilimento Fonte Pejo e profilo longitudinale del tracciato della condotta forzata. Archivio di Stato di Trento, Capit. Distrettuale di Cles, Busta 193, Impianto el. Fonte Pejo. Foto storica dell’edificio, tuttora esistente, adibito a officina elettrica. Databile anni quaranta. Foto per cortesia sig. M. Zanella. LE ORIGINI DELL’OFFICINA ELETTRICA ALLE “CIDOLLE DI PEJO”. 1 Il 15.06.1909 il sig. Bortolo Zanella, esercente dell’omonimo albergo in loc. Acidule di Pejo, fece domanda all’I.R. Capitanato distrettuale di Cles di concessione alla derivazione di acqua dal Rio Val di Comasine per il funzionamento di una centralina
255 nella stagione estiva il prelievo di un certo quantitativo di acqua immediatamente sotto il punto di presa da destinare, come sempre avvenuto, alle esigenze della malga comunale. Il capo-comune di Cogolo, da parte sua, chiese che con le nuove opere non venisse impedito l’abbassamento del legname fino alla strada comunale. Detta commissione era formata da Gregorio Moreschini in rappresentanza della società elettrica al posto del presidente Bortolo Zanella, dal capo-comune di Cogolo Beniamino Caserotti, dal capocomune di Comasine Antonio Bordati, e da Pietro Maierhofer, elettromeccanico ed esecutore del progetto2 . Per ciò che concerne i macchinari, erano costituiti da una turbina Rusch-Ganahl di produzione austriaca, munita di girante Pelton connessa a regolatore di giri elettromeccanico (della stessa marca ma installato in un secondo tempo), nonché da dinamo di fabbricazione Weiser Elektrizitätswerke Weis, posta in asse alla turbina e collegata a questa mediante giunto elastico. La dinamo era in grado di erogare, a 1000 giri/m, corrente continua con tensione di 115 V, intensità pari a 104 A e 23 kWh di potenza massima. La potenza sviluppata teneva conto di un rendimento della turbina pari al 76% (ai tempi erano normali cospicue perdite alla produzione e nel trasporto della corrente). La commissione constatò, infine, la costruzione a regola d’arte del fabbricato della piccola officina elettrica. Esso venne costruito in muratura di pietrame sulla p.f. 310, a metà strada tra l’Hotel Brescia e l’Hotel Zanella. Oltre alla sala macchine, di circa 25 m2, fu prevista una stanzetta per l’elettricista di 9 m2. Tale edificio non ha mai subito mutamenti e si presenta dunque ancora oggi nelle forme originarie. Sopra la porta d’accesso vi è ancora la scritta “officina elettrica”. Lo stile ricalca quello tipico, sobrio e funzionale, dei piccoli opifici elettrici di inizio secolo. Dal fabbricato dell’officina si dipartiva una linea elettrica principale, dalla quale si diramavano le brevi linee secondarie per gli alberghi serviti; si ebbe l’accortezza, come prescritto dai regolamenti, di incrociare le linee telegrafiche e quelle telefoniche militari ortogonalmente a oltre un metro di distanza, in modo da evitare interferenze perniciose. L’autorizzazione definitiva all’esercizio dell’impianto arrivò nell’ottobre 19093 . Nella concessione, avente una durata di trent’anni, vennero accolte le istanze sopra citate espresse dai capo-comuni di Comasine e Cogolo. Per l’ultimazione dei lavori prescritti dalla commissione e dall’ispettore del lavoro venne fissato il termine del 15 luglio 1910. La società elettrica formulò poi una successiva Interno della centrale elettrica, vista dei vecchi macchinari non più in uso. In primo piano alternatore asincrono trifase Marelli del 1967, sullo sfondo la turbina Pelton del 1909 e il coevo variatore di giri a bagno d’olio, entrambi della Rusch-Ganahl. Per cortesia sig. M. Zanella, anno 2011. Particolare della targa fissata sulla turbina Pelton Rusch-Ganahl del 1909. Per cortesia sig. M. Zanella, anno 2011.
256 istanza alla R. Luogotenenza di Innsbruck il 25 luglio del 1912, con il fine di ottenere la concessione industriale per l’esercizio dell’impianto, indicando quale dirigente tecnico conduttore e sorvegliante il sig. Bortolo Veneri di Cogolo. Quest’ultimo aveva potuto maturare circa dieci anni di anzianità lavorativa proprio nell’impianto di Cogolo, uno dei primi dell’intera Val di Sole. Per ottenere questa concessione, tuttavia, non era sufficiente una società semplice tra privati, ma si sarebbe dovuto costituire un consorzio economico-industriale vero e proprio, da iscriversi nell’apposito registro. Finalmente, con atto n. 38/4 del 3 marzo 1914, l’I.R. Luogotenenza per il Tirolo e Vorarlberg concesse al neo-costituito consorzio elettrico-industriale a garanzia limitata, con sede in Pejo Fonti al civico n. 21 e denominato “Impianto elettrico industriale dell’Antica Fonte con D.M. Ministero Lavori Pubblici n. 1365 dell’11 febbraio 1935. Intanto, la richiesta di energia elettrica aveva già iniziato ad aumentare in modo considerevole, tanto che la centralina si dimostrava sempre più inadeguata a soddisfare le necessità delle utenze allacciate. Il Consorzio si rivolse allora all’Ente nazionale fascista della cooperazione, in seno al quale operava un apposito “Gruppo di assistenza tecnica alle cooperative elettriche”. L’ing. Baisi, sulla scorta delle indicazioni ricevute, studiò le possibilità di potenziamento della piccola centralina, stilando una dettagliata relazione. Egli intravide la possibilità di agire, in alternativa, in due direzioni: raddoppio del salto d’acqua con mantenimento della portata derivata; aumento della disponibilità idrica a 60 l/s, mantenendo il dislivello invariato. Dal moIl nuovo gruppo turbina-alternatore installato nel 2006 dalla ditta O.M.TON. di Tonezzer Paolo & C. s.n.c di Trento. Per cortesia sig. M. Zanella, anno 2011. Immagine storica dell’Albergo Zanella “con posta e telegrafo” di Peio Fonti, occupato dalle truppe austriache durante la I G.M. Immagine tratta dal libro di U. Fantelli, Ossana storia di una comunità, 2005. di Pejo”, l’autorizzazione a produrre e distribuire energia elettrica a scopo di illuminazione, per forza motrice e per altri usi a una tensione di c.c. di 115 V. AVVENIMENTI PRINCIPALI. Fino alla metà degli anni ’30 del secolo scorso, la vita del Consorzio proseguì nella ordinarietà della gestione del piccolo impianto, senza che vi fossero avvenimenti particolari, a parte la successione alla presidenza del piccolo ente del sig. Costante Zanella, figlio di Bortolo (in quanto detentore della maggioranza delle quote sociali). Nel 1935 fu necessario chiedere al Genio civile di Trento il rinnovo della concessione originaria, posto che questa era stata data dalla vecchia autorità statale austriaca. Il rinnovo trentennale venne dato
257 mento che fu scelta questa seconda soluzione, che avrebbe consentito di sviluppare una potenza massima di 70 HP, sarebbe stato necessario cambiare la condotta forzata esistente. Per quanto riguarda la parte elettrica, l’ing. Baisi consigliò di passare senza esitazioni al sistema a corrente alternata; la sostituzione della dinamo con un alternatore avrebbe al contempo facilitato le diverse forme di utilizzazione, consentito una maggior elasticità nel trasporto di energia (anche se, a onor del vero, le distanze in gioco erano decisamente contenute), e permesso di avere lo stesso sistema adottato dalla vicina società Cisalpina, con possibilità della “costituzione in posto di una riserva di energia, qualora per qualsiasi causa, durante la stagione alberghiera, la centralina, attrezzata com’è con un solo gruppo generatore, non potesse funzionare”. La cosa sarebbe stata facilitata dal fatto che la Cisalpina distribuiva corrente trifase a 110 V e 50 periodi, quindi il valore delle due tensioni si poteva ritenere analogo. Lo studio evidenziò che per contenere le perdite dovute al trasporto dell’energia elettrica, la tensione ottimale da adottare sarebbe stata quella di 220 V, ma questo avrebbe comportato il cambiamento di tutte le lampadine e di tutti gli apparecchi utilizzatori serviti dall’impianto, inoltre la differenza di tensione rispetto a quella adottata dalla società Subalpina avrebbe reso più difficoltoso il mutuo scambio di energia. Alla luce di queste problematiche si ritenne preferibile mantenere la tensione di 115 V, pur in presenza di perdite stimabili nell’ordine del 10%. Come consigliato dall’ing. Baisi, il consorzio si rivolse il 23 dicembre 1938 alla ditta elettromeccanica S.A. De Pretto - Escher Wyss di Schio, onde verificare la soluzione tecnica più vantaggiosa. La ditta vicentina rispose di lì a poco, suggerendo allo stesso consorzio di dotarsi di una turbina in grado di sviluppare almeno 67,5 HP, alla quale accoppiare un regolatore di velocità a pressione d’olio con servomotore. La spesa, considerando gli organi di collegamento e il volano di accoppiamento, sarebbe stata di 22.000 lire. Il suddetto preventivo, stranamente, non comprendeva il generatore di corrente. Tuttavia, l’esigenza impellente della sostituzione della vecchia dinamo traspare anche da una breve relazione tecnica che l’elettricista di Ossana Severino Dell’Eva fece al Consorzio nel febbraio 1939. Egli aveva assunto ormai da diversi anni la sorveglianza e la manutenzione del piccolo impianto, per cui ne conosceva a fondo anche i limiti. Dell’Eva evidenziò che la dinamo era sempre più soggetta a frequenti sovraccarichi per le aumentate richieste di energia, tali da pregiudicarne il buon funzionamento e con il rischio di riportare danni irreparabili. La soluzione al problema venne individuata nell’installazione di un alternatore trifase con neutro e con tensione tra le fasi di 230 V e tra le fasi e il neutro di 115 V, il che avrebbe permesso di avere una tensione idonea per le fonti di illuminazione esistenti. Naturalmente, adottando questa soluzione, si sarebbe dovuta adattare la rete di trasporto, aggiungendo la terza fase e il filo del neutro. Del progetto di potenziamento non se ne fece niente fino al 1959, quando alla vecchia turbina venne finalmente accoppiato, tramite puleggia calettata sull’albero di trasmissione, un generatore asincrono trifase della ditta Pellizzari da 15 kVA, 220 V, 50 Hz, 3000 g/min, come risulta da una descrizione sommaria dell’impianto che il p.i. Enrico Santini di Fucine di Ossana stilò il 20 ottobre 1960. Peraltro, la dinamo rimase ancora parzialmente utilizzata. Alla descrizione, che evidenziò la precarietà delle condizioni generali dell’impianto in virtù dell’obsolescenza dei macchinari, della scarsa manutenzione e dei lunghi periodi di inattività cui era soggetta la centralina, si accompagnava una stima degli impianti e dei fabbricati valutati nel complesso 835.000 lire. Era infatti necessario sapere quanto liquidare ai soci del consorzio, posto che lo stesso era stato formalmente sciolto e messo in liquidazione con deliberazione della Giunta regionale n. 1379 del 27 agosto 1960. Non si conoscono i motivi dello scioglimento del sodalizio, ma è certo che nel 1960 erano ormai rimasti i soli Costantino Zanella, presidente, e il sig. Monari Sisinio di Cogolo, compartecipe di solo un quindicesimo del capitale sociale. Probabilmente negli anni, viste le ridotte potenzialità della centralina e i guasti non infrequenti, alcuni soci erano usciti dal Consorzio, preferendo acquistare l’energia elettrica per intero dalla predetta società Cisalpina o da altri produttori, con garanzia di una costante fornitura e a prezzi quasi certamente più vantaggiosi. Successivamente, dopo un accordo finalizzato alla ripartizione delle spese di liquidazione dell’impianto e di quelle inerenti al passaggio di appartenenza, con atto notarile del 9 giugno 1962 il bene in esame venne ceduto in proprietà per ¾ a Costatino Zanella e per ¼ a Sisinio Monari. Nel frattempo Costante aveva delegato il figlio Guido a occuparsi di tutte le questioni inerenti alla gestione dell’albergo e anche della centralina elettrica. Nel maggio 1967 fu necessario sostituire l’alternatore della Pellizzari. Venne all’uopo incaricata l’impresa “Elettro meccanica Alto Adige” di Bolzano, che installò al posto della vecchia dinamo un alternatore Marelli sincrono trifase da 37 kW a 220 V e 1000 giri/min., ancora oggi posizionato sul vecchio basamento. Nel novembre 1970 vi fu la cessione della propria quota da parte del sig. Monari al sig. Guido Zanella, che rimase così l’unico proprietario dell’impianto. A quest’ultimo subentrarono nella proprietà e ge-
258 stione prima, nel 1973, il figlio Flavio, che nel 1990 ha provveduto al rifacimento completo dell’opera di presa sul rio Val Comasine. E infine, dal 2003, il nipote Maurizio, attuale titolare della società Maurizio Zanella e C. Snc. Grazie alla sua iniziativa, e all’ottenimento della concessione a derivare l’acqua per l’intero anno da parte del Servizio Utilizzazione Acque Pubbliche della P.A.T., (determinazione del dirigente n. 253 del 7 dicembre 2005), nel 2006 i macchinari dell’impianto sono stati interamente ammodernati, su progetto dell’ing. Paolo Moreschini di Peio per la parte edile, la ditta BEROS S.r.l. di Lavis per la parte elettrica e di automazione e la ditta O.M.TON. di Tonezzer Paolo & C. s.n.c di Trento per la parte idraulica e gruppo turbina-generatore. Il salto, la portata e tutta la parte idraulica fino al fabbricato della centralina sono invece rimasti invariati. Dato che le nuove macchine occupano uno spazio davvero limitato, è stato possibile conservare “a futura memoria” quelle vecchie. Il nuovo gruppo turbina-generatore asincrono trifase, prodotto dalla Marelli, ha una potenza massima di 36 kW alle tensione di 400 V, l’energia effettivamente prodotta, per le caratteristiche dell’intero impianto e le perdite di carico, è di 30 kW. Grazie al collegamento dell’impianto in parallelo con la rete GSE l’energia prodotta viene immessa in rete alla tensione di 400 V; su di un bilancio annuale l’energia consumata per uso proprio è il 25 %. In pratica viene acquistata soltanto la quantità di energia sufficiente a coprire le punte massime giornaliere (oltre i 30 kW). Attualmente la produzione annua si aggira su una media di 200.000 kWh. In alto a sinistra: Il piccolo edificio della centralina elettrica come si presenta oggi. Conserva ancora la scritta “Officina elettrica”. Per cortesia sig. M. Zanella, anno 2011. In alto a destra: Offerta della ditta De Pretto Escher-Wyss di Schio del 28 dicembre 1938 per una nuova turbina idraulica. Per cortesia sig. M. Zanella.
259 1 | Pejo Fonti, “Alle Cidolle” nelle carte geografiche dell’epoca. 2 | Una breve nota biografica di questo geniale progettista e costruttore dei primi impianti idroelettrici e di altre realizzazioni elettromeccaniche nelle valli del Noce è contenuta nel libro di Marco Puccini Ossana e le sue centrali idroelettriche, Ed. 2013. 3 | ASTN, Capitanato Distr.le Cles, busta 196 – parte 17, Atto n. 20277 del 19 ottobre 1909, ai sensi degli articoli 16, 18 e 86 della L. P. Acque 28.08.1870, n. 64, dell’art. 30 del R. Regolamento Industriale, nonché in base all’ordinanza ministeriale 25.3.1883 n. 41.
260 La vecchia officina elettrica del comune di Cogolo Percorrendo la S.P. 87 in direzione di Pejo Fonti, appena passato il ponte sul torrente Noce, in prossimità del quale i due rami del Noce Bianco e del Noce di Val del Monte si congiungono, noteremo sulla nostra destra un piazzale asfaltato. Vi si affaccia un largo edificio in pietrame ad uso di deposito e servizi vari del Parco Nazionale dello Stelvio, alla sinistra del quale si diparte una stradina che, inoltrandosi ai margini del bosco, dopo circa 500 metri termina davanti a una curiosa costruzione a due piani, con copertura curva in lamiera. All’esterno della recinzione metallica due insegne incise nel legno. La prima riporta la scritta “Centralina”, la seconda, di fattura più semplice, indica l’attuale destinazione e proprietà dello stabile: “Casalpina – Parrocchia S.M. Assunta Tomba”; si tratta della chiesa del Vicariato di Adria-Ariano, provincia di Rovigo, che l’ha acquistato anni orsono dal Comune di Pejo per adibirlo a colonia estiva per ragazzi. Quello che vediamo è in effetti l’edificio, ormai trasformato, che ospitò, dal gennaio del 1903, una delle prime centrali idroelettriche del Trentino e della Val di Sole, in terra solandra seconda solamente all’ impianto di Malè sul Rabbies (in esercizio dal febbraio 1899) e seguita nel volgere di pochi mesi dagli opifici del Comune di Ossana sul Rio Foce di Valpiana e di Mezzana sul Rio Spona. Infatti anche in valle iniziava a soffiare sempre più deciso il vento delle nuove innovazioni ed applicazioni dell’elettricità, che permetteva finalmente non solo l’affrancamento dai rudimentali sistemi di illuminazione, ma pure il trasporto della forza motrice a distanze anche elevate rispetto al punto di produzione. Il parallelo sviluppo delle lampade illuminanti e dei motori elettrici lasciava intravedere un innalzamento della qualità della vita prima impensabile e promettenti sviluppi di tutte le attività produttive. Tanto che, seppur a prezzo di sacrifici economici non indifferenti, nel volgere di pochi anni si assistette a una vera e propria proliferazione di piccole officine di produzione, sia comunali, sia consorziali, sia costruite da singoli privati, grazie soprattutto all’abbondanza di acque fluenti della nostra provincia e alle facilitazioni nell’ottenimento dei permessi e delle concessioni alla derivazione dei corsi d’acqua date dal governo asburL’edificio della Casalpina, sul sedime che ospitò la ex centralina elettrica. Foto autore, anno 2012.
261 GENESI DELL’IMPIANTO IDROELETTRICO. Le prime notizie sulla centralina elettrica di Cogolo possono essere desunte dai protocolli della rappresentanza comunale, di cui facevano parte oltre al Capocomune Migazzi Luigi, Cazuffi Antonio, Framba Beniamino, Cazuffi Clemente, Caserotti Giovanni, Caserati Stefano e Monari Matteo; in particolare nella seduta del 16 ottobre 1901 di cui al n. 18 di protocollo, si decise di far fare un preventivo di massima a Peter Majerhofer di Proves, per poi decidere nel merito. Il Majerhofer, geniale figura di autodidatta in campo elettrotecnico, in quel periodo stava appunto progettando un impianto similare per il Comune di Ossana, e pur essendo quelli gli anni pioneristici delle prime realizzazioni in campo idraulico-elettrico aveva già dato modo di distinguersi per soluzioni pratiche, innovative e rispondenti alle esigenze dei committenti. Nella seduta successiva del 14 dicembre venne esaminato il preventivo presentato dal Majerhofer, decidendo contestualmente di sentire nel merito tutti i capo-famiglia. Qualora si fosse raggiunto un accordo, si sarebbe passati alla fase esecutiva. Nel frattempo si decise di interpellare anche l’ing. Oss di Trento, tra i progettisti della prima centrale idroelettrica della Regione, quella di Ponte Cornicchio a Trento, inaugurata nel 1890. L’ing. Oss propose al Comune di bandire un concorso pubblico al quale far partecipare le ditte Siemens & Halske, Österreich Union Elektricitäts Gesellschaft, entrambe con rappresentanza a Trento, E. Bubek A.G. di Monaco di Baviera, Janver & Steiner di Bolzano e Gadda e Belloni di Milano (ditta questa che realizzò la centrale di Malè). Il Majerhofer ebbe la meglio sui concorrenti, in quanto il Comune preferì stipulare un contratto privato “chiavi in mano” per un importo preventivato di 17.000 corone. Il Comune si sarebbe incaricato solo di procacciare i pali di larice per la realizzazione delle linee elettriche. Della firma del contratto furono incaricati lo stesso Luigi Migazzi e Gregorio Moreschini. Contemporaneamente si decise che le installazioni delle lampade nella case servite dalla rete elettrica sarebbero state fatte dal Comune “per un importo di 30 soldi per candela”. All’epoca era normale che della cosa si incaricasse l’ente erogatore, in quanto, in assenza dei contatori elettromeccanici (che si diffusero a partire dagli anni ’30), la fornitura di elettricità si pagava in base al numero e alla potenza (misurata, appunto, in candele) delle lampadine installate nelle case. Venne fissato pure in 300 corone il salario per il sorvegliante dell’officina elettrica, il quale avrebbe dovuto non solo sovrintendere al regolare funzionamento dei macchinari, ma era gravato di una serie di incombenze relative alla manutenzione delle linee elettriche, alla pulizia delle opere di presa, al cambio delle lampadine bruciate nelle abitazioni, ecc. Il 2 ottobre 1902 venne approvato lo Statuto con le condizioni di fornitura dell’elettricità ai censiti comunali. Dell’installazione delle lampadine nelle case se ne occupò, per conto del Comune, lo stesso Majerhofer, al prezzo di 16 corone per ogni lampada, più 5 corone per eventuali saliscendi; 14 corone era la tariffa per le lampade esterne raso muri, e 5 per le lampadine nelle stalle. Della tenuta dei registri dell’impianto elettrico furono incaricati Moreschini Gregorio e don Pacifico Frusati. Nonostante le difficoltà climatiche di operare in un cantiere di montagna e di approvvigionamento di tutto il materiale necessario, la centrale elettrica fu realizzata nei tempi previsti, tanto che poté essere inaugurata il 24 gennaio 1903, sebbene il costo delle opere comprensive dell’illuminazione pubbliNel fitto della vegetazione è ancora possibile scorgere i resti del canale convogliatore dell’acqua alle opere di presa. Foto autore, anno 2012. gico. I grandi impianti idroelettrici costruiti e gestiti da potenti società industriali erano ancora lontani dall’essere realizzati. Alla luce dei progetti originari del piccolo opificio elettrico di Cogolo e in mancanza di foto dello stesso all’epoca del suo esercizio, è verosimile che la costruzione che lo ospitava abbia subìto delle importanti modifiche e sicuramente, cessata (precocemente, come vedremo) la funzione produttiva, un notevole ampliamento propedeutico alla nuova destinazione d’uso.
262 ca fosse lievitato a 26.000 corone. L’autorizzazione alla derivazione di acqua nella misura di 50 litri al secondo dal “Noce Pegaes” (così veniva chiamato il Noce Val del Monte), per un periodo di 40 anni, fu sancita con decreto capitanale n. 21890 del 23 settembre 1903, sulla scorta della visita e trattativa commissionale del 18 settembre 1902 e del regolare collaudo dei macchinari. La lettura di questo documento è quanto mai istruttiva per capire con quale cura l’amministrazione austriaca disciplinava gli aspetti relativi alla gestione degli impianti elettrici, al rispetto delle norme di sicurezza, alle misure contro le interferenze alle linee telegrafiche, nonché quelli legati agli espropri e alle servitù iscritte sulle particelle attraversate dalle opere idrauliche ed elettriche. Il liquido da turbinare veniva prelevato dal torrente nella valletta denominata “della fonte”, in località “Fornace”, e precisamente sulla particella 595 di proprietà di Lucietti Giovanni di Cogolo, mediante una robusta traversa in legname e sassi, comunicante con una prima vasca con griglia. Da qui un canale in muratura lungo circa 150 metri portava l’acqua alla vasca di carico in muratura, provvista di sfioratore, griglia e canale di scarico dell’eccedente. Da queste opere partiva la condotta forzata in ferro fuso del diametro di 20 cm e lunga 110 metri, la quale, con salto di 50 metri, era collegata, nella sottostante centrale, ad una turbina del tipo Francis da 1200 giri al minuto. Sull’albero della turbina venne calettata direttamente, mediante giunto elastico e volano, una dinamo da 16 kW e 64 Ampere, alla tensione di 250 Volt. Si tratta di una potenza che oggi può apparire ridicola, se non si tenesse conto dei ridottissimi consumi di allora – tanto che nella quasi totalità delle case per anni furono installate due sole lampadine, una in cucina e una nella stalla- e della pressoché assenza nei paesi di elettrodomestici e di motori industriali. Dunque anche il Comune di Cogolo, come molte altre amministrazioni locali, decise per il sistema a corrente continua, sia perché l’energia prodotta sarebbe stata utilizzata solo per illuminazione, sia perché il luogo di produzione distava poche centinaia di metri da quello di utilizzo. In questo modo si poteva risparmiare sia sulla spesa del generatore, essendo che la dinamo era di fattura più semplice rispetto a quella di un alternatore, sia su quelle di trasformazione, posto che la corrente veniva utilizzata alla stessa tensione di produzione. Tale scelta, dettata da ragioni strettamente economiche e condizionata al tempo dai molti e influenti fautori del sistema a corrente continua, si rivelerà, all’opposto, molto limitativa a partire dagli anni ‘20 con la diffusione nelle aziende artigiane e industriali dei motori trifasici, molto più efficienti e potenti di quelli a corrente continua, che per funzionare necessitavano di corrente alternata. Inoltre, estendendosi nel tempo le linee di distribuzione, e quindi la distanza tra produzione e impiego dell’energia elettrica, solo la corrente alternata, opportunamente trasformata, consentiva di ridurre al minimo le perdite nel trasporto. Resti delle opere di presa della vecchia centrale elettrica. Foto autore, anno 2012.
263 GLI ANNI DI ESERCIZIO DELLA CENTRALINA, 1903-1924. Alla piccola officina elettrica furono inizialmente preposti Clemente Cazuffi e Bortolo Veneri (che dal 1909 si occuperà anche del piccolo impianto a servizio dell’Hotel Zanella a Pejo Fonti). Già nel giugno del 1903 fu approvato il regolamento per il personale dell’impianto, disciplinante compiti e responsabilità, riposi, stipendio trimestrale e altri aspetti. Si trattava, anche se ambìto, di un lavoro dio di fattibilità e un preventivo di spesa. Sulla scorta della relazione dell’elettrotecnico di Proves, si valutò la possibilità di concedere una potenza pari a 2000 candele (2000 W!), al prezzo di 80 corone per candela posta in opera; in alternativa si chiese a Celledizzo di condividere l’intera spesa per metà. L’accordo fu raggiunto a fatica l’anno seguente. Sarebbero state concesse 1500 candele a 68 cent. a candela, a patto che i vicini provvedessero in proprio agli allacciamenti e alla rete di pertinenza. Da un documento del novembre 1914 si evince che Bortolo Veneri (in possesso di specifico attestato) fu confermato direttore tecnico ed elettricista comunale fisso, mentre Clemente Cazuffi e Adriano Caserotti furono riconosciuti come coadiuvanti con salario individuale di 100 corone e alternanza quindicinale alle opere elettriche. Fin sul finire degli anni ’10 l’attività della centralina proseguì nell’ordinarietà senza che vi fossero avvenimenti particolari. La gestione annuale riusciva a chiudere con un lieve avanzo. Nonostante la modesta potenza degli impianti si riusciva a soddisfare quel minimo di esigenze di illuminazione e di comodità di un’utenza abituata da sempre alle privazioni, a una vita frugale, dove l’alternanza giorno notte scandiva anche la vita quotidiana. E tuttavia, proprio queste nuove piccole comodità fecero nascere lentamente nelle persone il desiderio di avere nelle case più fonti di illuminazione, con un candelaggio superiore, e magari qualche primo ferro da stiro o stufetta elettrica. Tali desideri però si scontravano spesso o con la scarsità dell’offerta, che doveva essere bastevole per tutte le utenze allacciate, o con l’impossibilità dei singoli di pagare tariffe superiori. Vi fu allora, anche in valle, qualche utente che, favorito dalla fornitura “a forfait”, pensò bene di ricorrere a metodi non proprio ortodossi, per non dire truffaldini, per avere più fonti di luce Disegno planimetrico del 24.7.1902 con lo sviluppo delle opere elettriche ed idrauliche. Archivio di Stato di Trento, Capit. Distrettuale di Cles, Busta 193, Officina el. Comune Cogolo. duro, poiché occorreva pernottare in centrale e occuparsi dei molteplici controlli sui macchinari. Inoltre, specie nella stagione invernale, si doveva intervenire sovente sulle linee elettriche, tutte fuori terra, laddove danneggiate dal peso della neve; altresì, si doveva salire frequentemente alle opere di presa della centrale per liberarle dal ghiaccio. Dopo circa due anni di esercizio, esattamente nel marzo del 1905, il vicino borgo di Celledizzo chiese di poter allacciarsi alla rete elettrica esistente. Cogolo allora incaricò il Majerhofer di stilare uno stu-
264 rispetto a quelle installate dal Comune e/o per aumentare la loro potenza. Purtroppo quei pochi casi iniziali divennero sempre di più, causando danni anche ingenti alle aziende elettriche, nonostante le contromisure adottate per arginare il fenomeno. Nel febbraio del 1920 Pejo chiese la luce a forfait, ma sul punto non si decise nulla. Oltretutto, da lì a poco si sarebbero avute le prime avvisaglie di quelle vicende che avrebbero portato nel giro di 4 anni alla cessazione di ogni attività del piccolo impianto. Questi segnali si palesarono sottoforma di una serie di comunicazioni giunte dal Real Commissariato Civile di Cles, con le quali si portarono a conoscenza le autorità locali delle domande di sfruttamento a scopo idroelettrico delle acque dei due rami alti del Noce, presentate da potenti società industriali lombarde. All’inizio i comuni vallivi si opposero al rilascio dei relativi permessi, ma poi decisero lentamente di trattare con i nuovi “colonizzatori” delle acque, convinti degli innegabili e molteplici vantaggi economici che avrebbero ricevuto dalla realizzazione delle nuove infrastrutture. Disegni, datati 24.7.1902 relativi alle opere di presa e all’edificio della centralina elettrica di Cogolo. Archivio di Stato di Trento, Capit. Distrettuale di Cles, Busta 193, Officina el. Comune Cogolo
265 Modulo per la richiesta al Comune di Cogolo di installazione di lampadine nelle case. Archivio bibliogr. P.A.T. – Azienda el.Cogolo, A1 3,4-2 Decreto di concessione del 30.4.1905 della I.R.Luogotenenza pel Tirolo e Vorarlberg. Archivio bibliogr. P.A.T. – Azienda el.Cogolo, A1 3,4-2 .
266 LA PRECOCE FINE DELL’ATTIVITÀ PRODUTTIVA. Nel 1922, una società appositamente costituita con capitali interamente lombardi, la Società Idrolettrica Alto Noce (S.I.A.N.), sponsorizzata politicamente dal neo-costituito Governo Mussolini, ottenne la concessione per uno sfruttamento intensivo delle immense risorse idriche del corso alto e medio del fiume Noce. Il relativo decreto n. 11 del 1° ottobre riservava invece l’utilizzo idroelettrico del torrente in territorio noneso alla S.I.E.T (Società Industrie Elettriche Trentine). La S.I.A.N (poi trasformatasi nel 1924 in S.G.E.T. -Società Generale Elettrica Trentina-, quindi in S.G.E.C. -Società Generale Elettrica Cisalpina- nel 1932, assumendo poi la denominazione prima di Edison, quindi di Edisonvolta fino all’avvento dell’E.N.E.L nel 1962), in particolare, aveva in progetto la costruzione di ben 7 grandi impianti, tre soli dei quali vennero realizzati, ovvero quelli siti in Val di Pejo (diga e centrale del Càreser, centrale di Cogolo e sbarramento di Pian Palù). Per ciò che riguarda l’ambito della presente ricerca, va sottolineato il fatto che nel medesimo decreto di concessione era prevista, una volta avviata la produzione da parte della suddetta società, la cessazione di ogni attività produttiva da parte della centralina elettrica di Cogolo, nonché la consegna alla prima di tutti i relativi macchinari e materiali. Del resto era pure stabilito che alla provincia e ai comuni “rivieraschi” fosse riservata una quantità di energia al prezzo di costo fino a un decimo di quella ricavata dalla portata minima continua. I lavori per la realizzazione delle nuove opere furono grandiosi, si può dire che da Pont fino a Malga Mare e al Càreser (alla diga di Pian Palù si mise mano solo dal 1941) la valle fu trasformata in un enorme cantiere brulicante di ingegneri, tecnici ed operai e nel cui cielo si intrecciavano decine di teleferiche per il trasporto dei materiali in quota. Lo sforzo fu tale che già a febbraio del ’24 si poté far funzionare la prima centrale provvisoria, sebbene a potenza ridotta. Cogolo chiese ed ottenne 60 HP (pari a 80 kW), forniti in un’apposita cabina a monte del paese. Da lì, sarebbe stato onere del Comune l’adeguamento delle linee elettriche e dei mezzi di illuminazione al nuovo sistema di corrente alternata, così come la gestione della fornitura a livello locale. Anche se i rapporti tra direzione lavori e amministrazione comunale furono spesso problematici, per gli innegabili disagi causati dall’allestimento dei grandi cantieri idroelettrici, il Comune e l’intera valle godettero di energia ceduta a condizioni particolarmente vantaggiose, senza tener conto dell’assunzione in valle di centinaia di boscaioli, operai edili e carpentieri. Come sopra accennato, del vecchio opificio elettrico non v’è più traccia; l’edificio che l’ospitava è stato trasformato e ampliato in funzione dei nuovi utilizzi, parimenti non è più esistente la condotta forzata che scendeva dalla collina soprastante, quasi sicuramente rottamata negli anni ’30, al tempo dell’autarchia economica. Invece, come documentano le immagini a corredo della ricerca, sono ancora ben visibili, nel folto della vegetazione, le opere di presa e ciò che rimane del vecchio canale convogliatore che si dipartiva dall’alveo del Noce. Con un po’ di attenzione è possibile visitare questi interessanti resti di archeologia industriale inerpicandosi sul pendio restrostante la ex centrale, o più prudentemente e agevolmente, inoltrandosi nel bosco dai prati sommitali della collina, situati nelle vicinanze di un campeggio. Un particolare ringraziamento, per il contributo fornito nel 2012 al reperimento e consultazione del materiale d’archivio, va ai sigg. Francesco Framba del Comune di Pejo e Rinaldo Delpero, della locale biblioteca.
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271 ALESSANDRO DE BERTOLINI Alessandro de Bertolini, nato a Trento nel 1979, vive a Ruffrè-Mendola. Laurea in Giurisprudenza nel 2003, giornalista pubblicista. Dal 2007 lavora presso la Fondazione Museo storico del Trentino, dove si occupa dello studio del paesaggio come fonte della storia, con attenzione particolare alle principali trasformazioni paesaggistiche che hanno interessato il Trentino e l’Arco alpino negli ultimi due secoli. Con la Fondazione, ha scritto diversi volumi, curato numerosi percorsi espositivi ed è autore di format televisivi per il canale tematico dedicato della Fondazione Museo storico del Trentino. Nel tempo libero, gira il mondo in bicicletta con la tenda e il sacco a pelo e scrive dei suoi viaggi, realizzando reportage e documentari. RENZO DORI Ha svolto la sua attività lavorativa per oltre 35 anni in Enel - Produzione SpA, assumendo vari incarichi di responsabilità nel settore dell’esercizio di impianti idroelettrici delle provincie autonome di Trento e Bolzano e in parte della Regione Veneto. Oltre alle tematiche legate al funzionamento degli impianti idroelettrici, ha approfondito gli aspetti relativi ai potenziali impatti ambientali. Ha fatto parte di numerosi gruppi di lavoro a livello locale, inter-regionale e nazionale su temi legati alle autorizzazioni degli impianti. In qualità di tecnico esperto, ha svolto attività di docenza presso il Nucleo Enel Attività Specialistiche di Lecco (scuola di formazione). Dopo il pensionamento, avvenuto nel 2002, ha svolto e svolge attività di consulenza e collaborazione con vari studi di ingegneria del Trentino e attività di pubblicista. FRANCESCO FRAMBA Nato a Peio nel 1961, è cresciuto a contatto con la natura e con l’agricoltura di montagna. Dopo la maturità in Trento e due anni di studio all’Università di Vienna, interrotti per necessità economiche e lavorative, ha intrapreso a Peio l’attività di commercialista. Per passione e missione, dal 2006 al 2020, in qualità di assessore al Bilancio ed energia del Comune di Peio, si è dedicato con grande determinazione alla propria collettività e all’ambiente, impegnandosi, esperienza molto faticosa ma positiva, per la realizzazione delle tre nuove centrali idroelettriche comunali: il sistema in serie a cascata che comprende gli impianti di Contra, Castra e Cusiano, recentemente entrati in funzione, Collocati sul torrente Noce, in Val di Peio. Gli autori