LA FABBRICA DEI SOGNI
di E. Mosca
L’incontro tra due appassiona , un imprenditore‐collezioni‐
sta‐pilota e un apprezzato tecnico, Marco Fumagalli e Massi‐
mo Pollini, ha dato vita a una stru ura di eccellenza che ridà
vita a ve ure che hanno fa o sognare schiere di appassio‐
na . Il tecnico milanese ci illustra tu gli aspe rela vi
all’affascinante mondo delle Formula 1 d’epoca e al loro re‐
stauro.
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Un noto adagio dice che l’unione fa la forza. Se poi ci aggiungiamo la passio‐
ne, come collante, ecco che si crea qualcosa di estremamente compa o. Una
po’ come avviene, tanto per stare in tema, da sempre con le scocche delle
monoposto. Non a caso il vero salto di qualità nella realizzazione delle mono‐
scocche in alluminio per auto da corsa lo si ebbe quando a par re dagli anni
O anta i famosi telais inglesi me endo a fru o la scuola aeronau ca
pensarono bene di dare maggiore rigidità alle stru ure legando ancora me‐
glio con colle speciali i pannelli di alluminio e honeycomb già uni con rive
e chiodi riba u . Bene, della “colla” abbiamo già de o, ora passiamo ai due
“pannelli” che si sono perfe amente accoppia , naturalmente in gergo tecni‐
co, dando vita ad una stru ura che si occupa di far rivivere i sogni loro e di
tu gli appassiona di motori, restaurando automobili che hanno scri o pa‐
gine della storia del motorsport: Formula 3, Formula 3000, Formula 1 e Sport
Proto pi. Parliamo di Marco Fumagalli e Massimo Pollini.
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Collezionista… a vo
Il primo, imprenditore, vive la propria passione per i motori a tu o tondo, ma
in un modo che potremmo definire un perfe o mix tra roman co e goliardi‐
co. E’ un collezionista a ento e pignolo, tra i maggiori a livello internazionale
di Vespa, ma passa spesso anche all’azione. Con una Vespa “sidecar” è già
andato per due volte alla caccia di record sul Lago Salato di Bonneville, ma da
anni si dile a puntualmente anche al volante di ve ure da corsa: storiche e
moderne. Ha corso con Alfa Romeo GT, Porsche Cup, Lotus Cup, fino a dispu‐
tare il GP Monaco Historique due anni fa con una GRD F. 3. Ma seguendo la
naturale evoluzione, il suo ul mo gioca olo a qua ro ruote è una Theodore
di F1.
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Sogno realizzato
Massimo Pollini è uno dei tecnici più
apprezza nell’ambito del mo‐
torsport, con alle spalle una carriera
quarantennale che l’ha portato da ra‐
gazzo di officina con le piccole
Formula Monza a rives re ruoli di re‐
sponsabilità tecnica in F. 3, F. 3000,
Formula 1 e Gran Turismo del Cavalli‐
no. Ma ancora oggi quando parla di
automobili da corsa lo sguardo e il
tono sono quelli del ragazzino che
negli anni Se anta spazzava l’officina
di Santandrea sognando di fare il pi‐
lota. Ecco come si racconta lui stesso.
“Ho iniziato nel ’78 a pulire delle
macchine, dei cerchi, a fare la pres‐
sione alle gomme, a portare in giro
delle carrozzerie e dopo quarant’anni
sono ancora qua”. Un po’ come dice
il “Blasco”. Ma andiamo più nello
specifico. “Tu o è cominciato con
Sandro Cino ai tempi in cui correva
con la F. 2. La sua monoposto faceva
base in una officina di Sesto S. Giovanni e io dopo la scuola mi recavo là come
in pellegrinaggio, cercando di dare una mano per quanto possibile per un ra‐
gazzino di 15 anni completamente inesperto: lucidavo la macchina, davo una
mano a caricare il camion, cose così. Poi, siccome io volevo correre, Cino
mi presentò a Santandrea, il costru ore di F. Monza che allora era la catego‐
ria più abbordabile. Cominciai a frequentare l’officina di Santandrea, con il
quale si instaurò un rapporto che potrei definire paterno, durato fino alla sua
scomparsa. Anzi, a dirla tu a dura tu ora, perchè una decina di anni fa ho
recuperato e restaurato una delle monoposto costruite quando frequentavo
l’officina, che conservo gelosamente. In quegli anni mi resi conto ben presto
che per fare il pilota professionista non avevo né il talento né, sopra u o, il
budget necessario. Però l’ambiente mi piaceva mol ssimo ed ero appassio‐
nato dalla meccanica, dalla tecnica e da tu o quello che serviva per fare
andare più forte un’automobile da corsa. Ma anche dalla compe zione vera e
propria. Cioè dal fa o di spostare sempre più in lato l’as cella, ponendosi
nuovi obbie vi. Insomma, sfide sempre nuove, che principalmente erano
con me stesso. Una cosa che mi è servita molto per crescere e formarmi co‐
me cara ere. Poi mi sono presentato da Gabriele Seresina, che all’epoca ave‐
va una squadra di F. 3 di buon successo, con cui sono stato per tre anni prima
di andare da Luciano Pavesi”.
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Insomma, la scuola della F. 3 che ai tempi, anche per i pilo , era la categoria
propedeu ca per eccellenza…
“Assolutamente si. Era ed è una categoria fondamentale, che non si può fare
a meno di frequentare. Chi non la fa, secondo me, rimane più povero di un
sacco di cose. Vale sia per il pilota sia per i tecnici. Sopra u o quando la feci
io, perché allora davvero si modificava anche la macchina. Con tu o il ri‐
spe o, le monocategorie a uali non perme ono di scegliere dei rappor ,
di avere un range di molle e ammor zzatori personalizza , di inventar delle
sospensioni o modifiche l’aerodinamica, che invece una volta si inventava
anche il bravo meccanico. Tante volte c’era l’intuizione, che si portava in pista
per provare e se funzionava perme eva di avere un vantaggio magari per le
due gare successive. Poi gli altri seguivano e ripar va la sfida a inventare
ancora qualcosa di nuovo in grado di fare la differenza. C’è un’altra cosa che
oggi siamo tu abitua a so ovalutare, perché si va a guardare l’acquisizio‐
ne da . All’epoca il pilota doveva essere in grado di dar le giuste indicazioni
e rifermen , sui giri che vedeva in quel determinato punto della pista, dove
passava con una marcia ma magari era “corto” o “lungo” di rapporto. Mentre
ora il tecnico si me e davan al computer e vede esa amente la situazione
ad ogni metro del tracciato. Perciò se il pilota sbagliava a dar i riferimen
corre diventava un problema. Ecco dove stava la sua abilità: nel trasferire le
sue sensazioni nella maniera più precisa e corre a possibile a chi doveva
me ere a posto la macchina. E il tecnico doveva fidarsi ciecamente. Mentre
ora comunque si fa la verifica al computer. Perciò mi ritengo un privilegiato
ad aver vissuto quel periodo, che mi ha forgiato. Perché quella libertà mi s ‐
molava ad avere anche l’intuizione giusta. Ed è una cosa che tu ora in quello
che facciamo qui mi è u lissima, perché se c’è un problema si cerca di studia‐
re la soluzione migliore, che non è per forza quella che indica il costru ore
della macchina”.
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E l’esperienza maturata in F. 3 ha spianato la strada verso le categorie
definite top…
“Beh, è un’evoluzione quasi naturale. Con Pavesi sono passato in F. 3000,
quindi alla First Racing dove costruimmo realmente la macchina. Un’espe‐
rienza davvero fantas ca, che mi ha fa o crescere molto a livello di espe‐
rienza. Peraltro eravamo un ristre o nucleo di cinque persone, di cui tre mi
aiutano qui ancora adesso. Perciò significa che si era anche cementato un bel
gruppo, e questo vale molto quando devi fare determina lavori. Poi sono
stato anche in Fondmetal”.
Quindi è passato un bel treno, che però hai scelto di non prendere, come mai?
“Nel 1990 Gary Anderson mi propose di andare alla Jordan F. 1 come re‐
sponsabile della squadra test. Una occasione davvero molto ghio a, che però
non acce ai per due mo vi: innanzitu o avevo appena conosciuto la ragazza
che poi è diventata mia moglie, perciò in quel momento non me la sono
sen ta di coinvolgerla in una scelta di vita così radicale, dato che avrei dovu‐
to trasferirmi in Inghilterra. Inoltre sarebbe stata un po’ una scommessa,
perché allora Jordan non aveva basi così solide e avevo già visto squadre
inglesi di rango finire a gambe all’aria nel tenta vo del grande salto in F. 1.
Mentre poi, fortunatamente per loro, la squadra crebbe molto. Comunque
non rimpiango quella scelta, sia dal punto di vista famigliare che professiona‐
le, anche se col senno di poi mi sarebbe piaciuto approfondire quella
opportunità. Sopra u o perché lavorando in Inghilterra avrei avuto modo di
conoscere ancora meglio tan personaggi e realtà del motorsport inglese.
Così ho proseguito in qualità di responsabile tecnico per diversi anni in alcu‐
ne squadre di F. 3 e F. 3000, vincendo gare, campiona e alcune delle grandi
classiche internazionali. Dal 2003 al 2011 poi c’è stata la bella avventura con
il team Ombra. Ragazzi con i quali mi sono trovato benissimo. Sono sta anni
molto belli, in cui abbiamo fa o bene in tu e le categorie in cui ci siamo
impegna , vincendo anche un campionato di F. 3. Poi il percorso si è fermato
fisiologicamente per vari mo vi”.
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In tu ques anni con le monoposto hai lavorato con mol potenziali
campioni, qual è il pilota con cui hai legato di più?
“Sicuramente Luca Rangoni. Con lui c’era proprio un’intesa immediata. Basta‐
va un colpo d’occhio per capirsi al volo. Certo non sono manca momen di
nervosismo, che possono succedere nei weekend di gara, però con lui il
rapporto è andato ben oltre quello in pista. Tanto che è stato mio tes mone
di nozze. Un altro “fratello minore” è stato Paolo Mon n. Per me un fenome‐
no assoluto. Probabilmente quello più dotato tra i pilo con cui ho lavorato,
ma che purtroppo non è riuscito ad andare avan . Questo a dimostrazione
che per sfondare purtroppo non bastano le sole do di pilotaggio. Un altro
talento smisurato per la guida ma che mancava in altre aree è stato Stefano
Modena. Lui era nato per guidare una macchina da corsa, ma per sfondare
bisogna me ere insieme anche altre do . Sopra u o se non hai budget
enormi alle spalle”.
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Ma veniamo all’a ualità: come si è creato l’idillio con Marco Fumagalli che
ha dato il via alla creazione di questa stru ura?
“Terminato il periodo Ombra sono stato responsabile tecnico per il se ore
GT3 di AF Corse, seguendo il proge o Ferrari 458. Anche in questo caso non
sono mancate le soddisfazioni, però con gli anni mi ero un po’ stancato di gi‐
rare il mondo passando fuori casa oltre trenta weekend l’anno. Nel fra empo
era nato questa sorta di gioco con Marco. Lui aveva acquistato una GRD F. 3
(GRD 373 ex Alan Jones e Pedro Passadore) con cui voleva partecipare al GP
storico di Monte‐Carlo e su consiglio di Gianni Giudici, che aveva acquistato
un’altra GRD F. 3 con cui voleva fare il team per partecipare alla gara del
Principato, mi conta ò per chiedermi se fossi disponibile a seguire il pro‐
ge o. Mi invitò a vedere questa sede, un capannone vicino alla sua azienda
che era un po’ la sua “sala giochi”, e ci fu un’intesa immediata perché sco‐
primmo di avere la stessa comunione d’inten . Inoltre, questo posto mi piace
davvero molto, perché con gli ada amen che abbiamo fa o mi da’ proprio
l’idea della pica factory inglese di auto da corsa. E per noi appassiona , re‐
spirare questa atmosfera da corsa è molto importante”.
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Da quella avventura a Monte Carlo, peraltro andata bene so o tu i pun di
vista, ne sono passate di… macchine so o questo capannone, che nel
fra empo è diventato una vera factory da corsa. Com’è andata?
“Di “gioco” in “gioco”, è stato un crescendo pra camente naturale. Al quale
hanno contribuito un concorso di cause. Come de o, contemporaneamente
alla GRD di Fumagalli abbiamo restaurato anche quella di Giudici (moto‐
rizzata Lancia Repe o, con la quale Renzo Zorzi vinse il GP Monaco F. 3), oltre
ad una vecchia Chevron completamente smontata che io avevo acquistato
nel fra empo. Perciò, ad un certo punto, con tre monoposto di F. 3 in pieno
restauro questo ambiente aveva preso le sembianze di una vera factory ingle‐
se di F. 3. Un ambiente in cui ci piaceva calarci, anche se allora io ci lavoravo
nei ritagli di tempo. Poi al funerale di Luciano Pavesi, Pierluigi Mar ni mi
chiese se sapessi dov’era finita la Ralt di F. 3000 con cui aveva corso proprio
seguito da Pavesi, perché gli sarebbe piaciuto averla come ricordo di quei
tempi. Recuperata la macchina, l’abbiamo restaurata completamente e sicco‐
me a Mar ni piacque il lavoro che avevamo fa o ci affidò anche il successivo
restauro della sua Minardi F. 1. Da qui è par to il passaparola che ha fa o si
che oggi questa sia la mia a vità principale”.
L’ul mo passo recente è quello di avere creato una Associazione, in modo tale
da diventare una en tà ben definita. Che peraltro ha una denominazione
piu osto par colare, “Le Sae e”, come mai?
“Perché questo nome, dal sapore un po’ vintage,
incarna bene qual è il nostro approccio a questa
a vità: cioè di un gruppo di persone che si diverte
a fare qualcosa che gli piace. “Le Sae e” da’ l’idea
di velocità e di quello spirito goliardico che c’era
una volta nell’ambiente delle corse e ora si sta
perdendo. Ad esempio, per fare gli auguri di Natale
ci siamo ves da Babbo Natale e fa o una foto
con un kart storico a cui avevamo montato le ruote
di una F. 1, poi siamo anda a mangiare combina
così. Questo è un po’ lo spirito”.
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Quando si scherza si scherza, ma poi sul lavoro massima a enzione e ordine,
vero?
“Secondo me c’è una sola maniera di fare le cose: bene. E noi seguiamo que‐
sta filosofia. Che alla fine è metodo. Perché certamente paga l’occhio vedere
tu o pulito e in ordine, ma sopra u o aiuta a fare bene il lavoro. Qui ogni
macchina ha il suo box, sta nel centro e man mano che si smontano i vari
par colari ques vengono posiziona sugli scaffali ai la esa amente
nell’ordine in cui si trovano sulla ve ura”.
E le Formula 1 da voi restaurate contribuiscono a sfatare il pensiero comune
che solo gli inglesi sappiano me ere le mani su queste monoposto.
“In Italia c’è altra gente che fa questo po di lavori, persone capaci di cui ho
massima s ma. Però probabilmente noi siamo un po’ più sele vi sul po di
lavoro da fare, e di conseguenza viene selezionata anche un certo po di
clientela. Inoltre siamo molto pignoli su cose a cui altri danno meno
importanza: ad esempio il posizionamento e la dimensione corre a degli
adesivi, che non fanno andare più forte una macchina, però così noi sappia‐
mo che abbiamo fa o tu o al meglio e siamo soddisfa ”.
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Negli anni sei creato una rete di specialis in Inghilterra che con nui ad u ‐
lizzare, significa che in Italia non ci sono realtà che possono certe lavorazioni?
“Non credo che in Italia manchino le capacità. Probabilmente è un problema
di cultura. Da noi è più difficile trovare qualcuno disposto a dar una mano
con la necessaria passione per realizzare quello che tu vuoi. Magari realizza‐
no una cosa che va bene, funziona, ma non è esa amente quello che voglia‐
mo”.
Così come sono importan le conoscenze dei materiali e delle lavorazioni
dell’epoca, vero?
“Certamente. Ci è capitato di avere dovuto ricostruire dei par colari che era‐
no inesisten sulla base della nostra esperienza. Per giunta realizzandoli co‐
m’erano fa all’epoca”.
Questo è un tasto delicato. Perché quando si restaurano auto storiche da
corsa spesso diventa un dilemma scegliere se mantenere ad ogni costo l’origi‐
nalità oppure poter apportare alcune modifiche magari per migliorare l’affi‐
dabilità?
“Qui a mio avviso bisogna stare molto a en . Prendiamo ad esempio le gare
di F. 3 d’epoca, dove alcuni su monoposto di 35 anni fa montano
ammor zzatori di ul ma generazione perché vanno meglio. Questo è sba‐
gliato. Noi siamo anda a correre a Monte Carlo nel 2010 con Emanuele Pirro
montando gli stessi ammor zzatori De Carbon che la Mar ni montava nel
1981. Così dovrebbe essere. Ora per fortuna si è posto un freno a livello re‐
golamentare, proprio perché c’era chi interpretava il tema, diciamo, con
troppa disinvoltura. Con le F. 1 devi usare un po di ammor zzatori con i
tamponi che indica il regolamento. Questo perché c’è stata gente che non
ha compreso lo spirito di queste gare. Purtroppo nelle gare di F. 3 vedo cose
che non vanno troppo bene, forse perché c’è gente che vuole prendersi ri‐
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vincite sul passato, quando magari non riusciva a fare risulta , ma sono ri‐
vincite che lasciano il tempo che trovano. Questo vale per trasmissioni, mo‐
tori etc. Mentre invece il conce o di corse con auto storiche dovrebbe essere
quello di correre nelle stesse condizioni di allora. Ovviamente se parliamo di
affidabilità e sicurezza si può scendere a compromessi, ma a pa o che le mo‐
difiche non diano vantaggi. Perché trovo veramente fuori luogo spendere ci‐
fre assurde per montare un par colare moderno che possa dare un
vantaggio sugli altri”.
Qui tra le monoposto hai ritrovato il tuo habitat naturale…
“Si. Le monoposto sono state le macchine su cui mi sono formato. Da sempre
rappresentano la mia passione e ancora oggi mi stuzzicano. Perciò, per me è
il massimo poter lavorare di nuovo sulle monoposto, sopra u o su macchine
speciali come La Jordan del 94 che pur essendo una macchina di 25 anni fa
ha dei par colari meravigliosi a livello di tecnica meccanica, paragonabili a
quelli di una monoposto se non addiri ura migliori”.
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Tipo?
“Ad esempio la pedaliera in carbonio, che difficilmente trovi sulle macchine
moderne. Anche perché quelle sono state le F. 1 più estreme, appena prece‐
den l’incidente di Senna che ha poi rivoluzionato la F. 1, per cer aspe in
meglio perché si era arriva a livelli troppo esaspera , per altri in peggio
perché a mio avviso si è diventa troppo “conserva vi”. Non sono ovvia‐
mente contro la sicurezza, però forse un po’ roman camente rimango
convinto che le corse debbano avere una giusta dose di rischio. Infa io
penso che non si sarebbe neppure dovuto celebrare il processo di Imola per
l’incidente di Senna. Dico questo perché nessun tecnico coscientemente
manda un pilota in macchina consapevole che questa possa avere un proble‐
ma. Purtroppo l’inconveniente meccanico può succedere. D’altronde Senna
non è morto per il piantone dello sterzo non idoneo, anche se probabilmente
questa è stata la causa dell’incidente, ma perché il bracce o della sospensio‐
ne gli ha perforato in casco”.
Par amo dall’inizio, cosa comporta prendere in carico il restauro di una
macchina?
“Naturalmente dipende anche da co‐
sa desidera il cliente. Noi per scelta
cerchiamo di non fare dei lavori
parziali, perché a me piace che dalla
mia officina non escano macchine in
condizioni non perfe e. Altrimen
preferisco non prendere il lavoro. Co‐
sì o engo due cose importan :
innanzitu o chi viene da noi sa cosa
si può aspe are, e così avviene
anche una certa selezione naturale.
Innanzitu o facciamo una ricerca
sulla stampa dell’epoca per risalire
alla storia della macchina e agli
eventuali risulta o enu . Questo è un lavoro impegna vo, però ritengo
fondamentale avere la più ampia documentazione disponibile per poter ese‐
guire un restauro corre o. Poi se il cliente vuole u lizzare la macchina in pi‐
sta va fa o un lavoro di un certo po. In ogni caso di ogni ve ura realizzo un
book con tu gli appun rela vi allo stato della macchina precedente al re‐
stauro, allo smontaggio, a tu e le lavorazioni eseguite, al successivo as‐
semblaggio comprese le regolazioni. Il tu o accompagnato da
documentazione fotografica, che da’ un ulteriore valore aggiunto alla
macchina. Peraltro noi siamo anche piu osto pignoli sui de agli. Ad
esempio, quando dobbiamo riprodurre le livree, facciamo fare dei modelli in
carta per ada are le proporzioni nel modo più corre o possibile, in modo ta‐
le che siano esa amente come al tempo in cui correvano. Che non è così
scontato. Sono de agli, ma è proprio la cura dei de agli che fa la differenza”.
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Parlando di ricerca, sappiamo che queste monoposto venivano spesso modifi‐
cate, anche perché in alcuni casi correvano per più stagioni, perciò come vi re‐
golate per definire la corre a configurazione della macchina e, di
conseguenza, sarà pra camente impossibile reperire i ricambi?
“In effe ci sono parecchi problemi. Sia per definire la corre a configurazio‐
ne della monoposto, per la quale cerchiamo di reperire quanto più possibile
materiale fotografico e disegni dell’epoca, sia per i ricambi, nella maggior
parte dei casi introvabili. Infa siamo a rezza per poter riprodurre par co‐
lari di qualsiasi materiale. Chiaramente ci sono dei par colari che dobbiamo
riprodurre in materiale diverso. Vale per par colari lega alla sicurezza. Ad
esempio, non me la sento di montare su una ve ura che può raggiungere i
300 km/h un portamozzo in magnesio che ha trent’anni, perché questo
materiale negli anni si deteriora e non potrebbe più garan re la tenuta ne‐
cessaria. Perciò, non potendo rifare la fusione per ovvie ragioni di cos , rea‐
lizziamo il par colare ex novo in un altro materiale, ricavandolo dal pieno,
con gli stessi cuscine , gli stessi a acchi le stesse forme oltre ad una finitura
che ricordi il più possibile il materiale originale. Perché la sicurezza viene pri‐
ma di tu o. Io non me la sen rei mai di far salire un pilota su una macchina
che non reputo sicura”.
Qui vedo monoposto di diverse epoche, quindi con tecnologie costru ve
molto diverse tra loro, dalle scocche in alluminio a quelle in composito, che ri‐
chiedono verifiche e lavorazioni diverse, siete in grado di operare su
entrambe?
“Negli anni mi sono trovato a lavorare con le diverse tecnologie, vivendo il
passaggio dai telai tradizionali, in tubi di acciaio alle scocche in alluminio fino
a quelle in carbonio. Posso dire di essermi formato con le scocche in allumi‐
nio, da quelle più tradizionali fino a quelle più evolute, con pannelli in Honey‐
comb e largo u lizzo di colle e delle tecniche di incollaggio. Quindi sono
arrivate quelle in composito, anche in questo caso vivendo l’evoluzione delle
tecniche di costruzione. Perciò sappiamo cosa si deve controllare su una
scocca in composito, e nel caso dove e come operare per essere cer
dell’integrità della stru ura”.
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Fate tu e le lavorazioni al vostro interno ?
“Per quanto riguarda la manutenzione ordinaria si. Se invece ci sono lavora‐
zioni par colari, po la messa in dima oppure un controllo dei pezzi ai raggi o
con liquidi, ovviamente ci serviamo di stru ure esterne specializzate. Per i
motori, se si tra a di Cosworth ci appoggiamo dire amente ad una stru ura
specializzata in Inghilterra, ges ta da una persona che è stata per anni capo
officina presso John Nicholson. Quindi, il top. Infa siamo molto conten del
rapporto di collaborazione. Per gli altri motori valu amo di volta in volta a
quali specialis affidarci, privilegiando ovviamente chi ai tempi lavorava su
quei motori. Lo stesso vale per l’ele ronica, che su alcune monoposto più re‐
cen comincia ad essere piu osto sofis cata. Ad esempio, per la Minardi F. 1
del 1992 abbiamo fa o fare tu a la parte ele ronica a chi se ne occupava
all’epoca. Mentre per quanto riguarda le trasmissioni abbiamo recuperato
tu e le maschere di montaggio e controllo delle trasmissioni Hewland
montate sulle monoposto dagli anni ’70 fino ai ’90, perciò siamo in grado di
revisionare tu ques modelli”.
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Oltre al restauro seguite anche le macchine in pista?
“Si. Perché in realtà con la maggior parte dei clien si instaura un rapporto di
amicizia e condivisione della passione. A loro piace la cura con la quale viene
seguita la loro ve ura, perciò gli piace venire in officina a vedere come
procedono i lavori, poi magari si va a mangiare insieme e poi in pista. Nel
2018 abbiamo o enuto un podio a Magny Cours, alla nostra prima gara di F.
1 storiche, e partecipato al Gran Prix Monaco Historique. Andiamo in pista
con tanta passione e a rezza per fare una bella figura, senz’altro a livello
tecnico mentre badiamo meno allo show. Naturalmente ci teniamo che sia
tu o in ordine, perché è importante in questo lavoro, ma senza inu li
fronzoli. Io credo che chiunque entri in questa officina abbia subito
l’impressione di trovarsi in un posto speciale. Ed è proprio questo che
vogliamo trasme ere”.
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Svolgete anche un lavoro di consul ng per dei clien che vogliano valutare
ve ure potenzialmente acquistabili, una bella responsabilità?
“Certamente. Sopra u o perché, a parte l’interesse che il cliente può avere
per quella determinata ve ura, in base alla nostra valutazione può scegliere
se inves re cifre più o meno importan . Però anche in questo caso spiego le
cose esa amente come me le sento. Non spingo un cliente ad un acquisto
pur di accaparrarmi un lavoro”.
Escluse le Formula 1 con una storia importante alle spalle, cosa può fare la
differenza tra una monoposto interessante e un… bidone ?
“Per me è importante che la macchina sia genuina. Ed è sempre più difficile.
Peraltro ora sono tu convin di avere in casa un vero tesoro, anche quando
non ci sono i presuppos . Perché spesso si tra a di macchine da ricostruire
completamente, come ci è capitato per una monoposto che giaceva
abbandonata da trent’anni nell’angolo di una capannone: il cambio non c’era,
e costa circa 30.000 euro, per il motore Cosworth ce ne vogliono 80.000‐
90.000, la scocca era storta, mol par colari erano da sos tuire, oltre
naturalmente all’impianto frenante, le tubazioni e via dicendo. In realtà, a
guardare lo stato in cui si trovavano certe monoposto al momento in cui
siamo anda a vederle, in gran parte sarebbero state da definire dei bidoni.
La capacità sta proprio nel valutare se un acquisto è valido oppure no.
Insomma se il gioco vale la candela”.
Quali Formula 1 si trovano più facilmente ?
“In questo periodo non si trovano le Formula 1 degli anni ’70 e ‘80, oppure si
trovano già in ordine ma costano molto, perché sono quelle che possono
partecipare alle gare Fia”.
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Di che cifre parliamo?
“Per fare un esempio, la Fi paldi che abbiamo noi, completamente restau‐
rata e pronta a scendere in pista ha un valore di circa 500.000 euro. Anche
perché è una monoposto con cui si può partecipare al GP Monaco Historique,
e questo contribuisce ad elevarne il valore. Mentre monoposto più recen ,
che non possono correre nelle gare FIA costano meno”.
Cioè?
“Recentemente è stata venduta una Bene on del 1989 funzionante a circa
300.000 euro”.
Perciò se non si hanno velleità di correre conviene puntare su queste ?
“Come abbiamo de o in precedenza va fa a un’accurata valutazione. Perché
il costo di acquisto è inferiore, però ci sono tu a una serie di lavori da fare
che poi possono fare lievitare i cos . Ad esempio la parte ele ronica, che
manca oppure non è più compa bile con gli a uali programmi dei computer.
Peraltro su queste monoposto l’ele ronica spesso ges sce motore e trasmis‐
sione, perciò va rifa a ex novo. Nulla di impossibile, però ques sono lavori
che devono essere fa da specialis , perciò me ere in opera queste par
necessita di budget superiori rispe o alle monoposto meccaniche. Così co‐
m’è costoso effe uare tu i controlli necessari, oppure realizzare par colari
mancan , ad esempio della trasmissione. Tu e lavorazioni speciali, a cui va
dedicato molto tempo, perciò fanno la differenza”.
Peraltro sono anche più complicate da ges re, vero ?
“In effe la crescente sofis cazione della ges one ele ronica è quella che
impedisce o comunque rende molto più difficile l’u lizzo delle macchine più
recen . Perché solo per me erle in moto servono almeno qua ro persone,
mentre per una monoposto di quelle tradizionali con il Cosworth basta una
persona”.
Quante macchine avete restaurato finora ?
“Dal 2014, quando siamo par inizialmente lavorando nei ritagli di tempo,
circa a 30 macchine. Tra queste ricordo la Ralt F. 3000 e la Minardi F. 1 di
Mar ni, le GRD di Marco e di Giudici, la Tyrrell 009, e poi Chevron e Reynard
F.3, Sport Proto po Lucchini del ‘90”.
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Quella che vi ha creato più problemi ?
“Probabilmente la Minardi F. 1 che s amo restaurando adesso, per la diffi‐
coltà di me ere insieme il motore, mentre la telais ca non è stato un proble‐
ma. La Theodore l’abbiamo ricostruita da pezzi brucia , mentre per la
Fi paldi abbiamo dovuto ricostruire dei pezzi guardando i disegni e se‐
guendo i consigli di Davila che l’aveva proge ata. Ma alla fine le macchine
sono venute molto bene e originali. Tanto è vero che quando abbiamo
mandato via la documentazione per richiedere il cer ficato HTP della Fi ‐
paldi ci è stato dato senza nessun appunto. Ciò significa che è stato fa o
tu o a regola d’arte. In defini va, i problemi non mancano in questo lavoro,
ma siccome mi piace molto non li vivo come tali, ma come una bella sfida da
vincere”.
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E adesso a chi tocca ?
“A ualmente in officina ci sono qua ordici ve ure in lavorazione. Tra queste
due Formula 1, Minardi e Jordan, per un’altra F. 1 del 1979 siamo in tra a va
e spero vada in porto, una Mirage Gr. C (quella u lizzata dagli Andre a Le
Mans), due Ralt RT1 F.3 che vogliamo terminare velocemente”.
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Restaurate solo macchine di proprietà dei clien oppure acquistate dire a‐
mente ve ure da restaurare e poi rivendere ?
“Per la maggior parte sono macchine di proprietà dei clien , però capita di
trovare ve ure che repu amo interessan e decidiamo di acquistare. In que‐
sto caso lo facciamo fondamentalmente per soddisfare delle nostre passioni,
poi magari le rivendiamo per finanziare un altro gioco”.
Tu oltre alle soddisfazioni professionali hai realizzato anche quello che era il
tuo sogno da ragazzino appassionato: l’anno scorso a Imola hai pilotato la
Fi paldi F.1, cos’hai provato ?
“E’ stata davvero la realizzazione di un sogno. Una
delle emozioni più grandi della mia vita. In tan
anni di lavoro mi ero sempre posto come obbie ‐
vo di riuscire un giorno a pilotare una F. 1 con un
Cosworth dietro le spalle, ed esserci riuscito è stato
davvero una grande soddisfazione. Anche perché è
una cosa che non capita a molte persone al
mondo, perciò mi sento davvero fortunato ad esse‐
re tra ques privilegia E’ una cosa che mi porto
dentro. E naturalmente mi auguro di ripete‐
re”.
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Altri sogni da realizzare ?
“Tra i nostri obbie vi futuri ci piacerebbe correre a Daytona, Sebring e la Le
Mans Classic con un proto po. Poi come dice Marco, andremo dove ci viene
voglia di correre”.
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