dagli studiosi in base a preconcetti ed analisi viziate dal
solito concetto dei ‘5 pianeti’.
Affermare quindi che in Mesopotamia si conoscevano solo 5
pianeti é non tenere conto del vizio di forma mentis che ha
condizionato, alla fine del XIX secolo, il mondo della
ricerca archeologica e linguistica del Vicino Oriente. Di
fatto, la totale confusione in termini linguistici e
attributivi autorizza un eventuale studioso ad andare ben
oltre la nozione ritenuta assodata dei 'cinque pianeti
soltanto'.
Anunnaki
E' il documento più breve del sito di Heiser ma forse il
più importante ai fini della trattazione della teoria di
Sitchin, o meglio é quello a cui la maggior parte dei critici
presta attenzione. Non c'é un solo critico che si sia
risparmiato da citare il fatto che Heiser abbia dimostrato –
o così pensa lui – che il termine Anunnaki non significa quel
che dice Sitchin.
Heiser scrive:
“Ho sfidato lui e altri ricercatori della teoria degli
Antichi Astronauti a mostrare una singola riga di un singolo
testo cuneiforme che mostri chi sono gli Anunnaki nei testi
sumeri. Voglio vedere una riga di un testo che dica qualcosa
come che gli Anunnaki vengano da Nibiru, o che il termine
Anunnaki significhi qualcosa come: le genti dei razzi
fiammeggianti.”
La maniera in cui Heiser pensa di dimostrare l' errore di
51
Sitchin, però, é assurda per due motivi. Il primo: egli
prende come riferimento il database di testi sumeri ETCSL che
contiene traslitterazioni e traduzioni. Fa ridere pensare che
Heiser voglia vedere “una riga di testo cuneiforme” e poi
utilizzi materiale traslitterato...
Il secondo: egli non si cura di verificare i contesti e le
descrizioni in cui compaiono gli Anunnaki, cioè auspica u
significato letterale quando sappiamo invece – perchè Sitchin
lo ha spiegato chiaramente – che la sua identificazione degli
Anunnaki é basata su contesto, su similitudini con gli Elohim
ed i Neteru, e sulle caratteristiche che a questi personaggi
sono attribuite.
Affrontiamo prima il discorso della provenienza degli
Anunnaki. Non avendo a disposizione l' intero corpus di testi
mesopotamici a disposizione, posso parlare solo per ciò che
in svariati anni di studio ho potuto esaminare personalmente
dai testi dei vari autori. Qui devo fare una premessa: nella
mia risposta alla “Open letter to Zecharia Sitchin” di Heiser
anni fa ammisi che:
“Per quanto ne sappia (ma non ho accesso a tutto il
materiale sumero) non esiste alcun testo in cui si afferma
esattamente che gli Anunnaki provengono da Nibiru”
All' epoca però non avevo ancora compiuto la mia analisi
del Mul Apin, il più famoso testo astrologico mesopotamico.
Ne ho discusso abbondantemente nel capitolo su Nibiru, e li
avevo concluso che le famose righe da 36 a 38, in cui si
identificava Nibiru con Marduk e con Giove, sono state
interpretate male e che Nibiru / Marduk dovevano essere
separate da Giove. Dunque, alla luce di questo fatto,
attualmente é disponibile una riga , la 37, che scrive:
52
a large star of matted light divides the heavens there:
the star of d.AMAR.UD of Nibiru
Una grande stella di luce soffusa divide il cielo: la
stella di Marduk di Nibiru
Siccome Marduk é di fatto uno degli Anunnaki, e qui é
detto che Marduk é di Nibiru, per logica traiamo la
conclusione che almeno un Anunnaki é associato a Nibiru o é
di Nibiru. Qualsiasi cosa Nibiru sia.
Voglio accontentare Heiser e gli mostro la riga anche in
cuneiforme:
traslitterata: kakkabu Rabu sessu da mat same ustamsalma
izzaz kakkab D Amar.Ud Ne.Be.Ru
Ma andiamo oltre, perchè come ho detto il discorso é più
di logica che di traduzione: nell' Enuma Elish (in tutte le
versioni) leggiamo che l' eroe guerriero Marduk arriva dal
profondo, espressione che Sitchin ha interpretato in chiave
astronomica come un pianeta errante proveniente dall' esterno
del sistema solare in formazione. Nelle tavolette VI e VII si
afferma chiaramente che “Marduk é Nibiru”, quindi facendo una
semplice unione logica delle varie espressioni, ecco che
Nibiru é un 'invasore' che proviene dall' esterno del sistema
solare.
Per di più, in vari testi si parla di Nibiru come della
Stella di An (il dio Anu), si dice chiaramente che gli
Anunnaki (di cui Anu era capo supremo) venivano dal cielo.
53
Anche qui un semplice due + due permette di riassumere che:
Marduk é un Anunnaki e viene da Nibiru
Nibiru é un corpo celeste nel cielo
Anu e gli Anunnaki venivano dal cielo
Ergo:
Anu e gli Anunnaki venivano da Nibiru il corpo celeste.
Con buona pace di Heiser abbiamo risposto alla sua sfida,
anche senza scomodare la traduzione del nome Anunnaki. Ma
voglio dedicarmi anche a questo dettaglio, facendo una grande
premessa, che non pretendo assolutamente venga presa per oro
colato: essendo il termine Anunnaki una trasposizione in
lingua accadica del termine sumero Anunna (scritto con i
segni cuneiformi: A+NUN+NA), il termine é di per se leggibile
in due maniere:
quella grafica (quindi con i significati di A, NUN, NA e
quando compare anche il KI)
quella fonetica (cioè le singole letture dei singoli
segni possono essere 'legate' o 'elise' ottenendo vari
significati)
Se pensate che questa pratica di fonetizzazione sia
inusuale o sia sbagliata, sappiate che é la stessa che viene
applicata da tutti gli accademici in migliaia di casi. Per
esempio, relativamente al termine Anunnaki, quando loro
trovano i segni: A + NUN + NA + KI traslitterano A + NUN +
(N)AK + (E)
Cosa vuol dire? Siccome la loro teoria é che la traduzione
sia “la stirpe dei principi” derivante da :
54
A = seme / stirpe
NUN = principe / splendente / importante
devono giustificare gli altri segni e allora suddividono:
la N di NA viene interpretata come una 'duplicazione di
N di NUN)
togliendo la N di NA rimane la A di NA che loro
agganciano alla K di KI, ottenendo -AK che é un genitivo che
a loro serve per giustificare il “dei” in “la stirpe dei
principi”
la I di KI, rimasta da sola, la ignorano
Alternativamente, siccome il segno KI può essere letto
anche KE, essi estendono questo KE come omofono di -KE4 altro
marcatore di un genitivo.
A poco vale il fatto che KI e KE4 abbiano grafica
completamente diversa.
Per intenderci, ecco la scritta A+NUN+NA+KI in cuneiforme:
Per vedere meglio i segni, la ricomponiamo utilizzando un
documento in cui essi siano rappresentati decentemente, si
tratta della lista di segni di Piska Karel (Akkadian Sign
List - 2003)
55
Questo qui sotto invece é il segno di KE4 / GE4 / QE4:
Come potete vedere, la fonetizzazione dei segni é pratica
usuale nella traslitterazione e traduzione dal cuneiforme,
quindi posso ritenermi autorizzato a praticare la stessa
analisi alla mia maniera, coerentemente con i valori fonetici
dei segni A+NUN+NA+KI. E quindi procediamo.
Se è vero che Sitchin traduce con “coloro che scesero dal
cielo alla terra”, egli non ha mai tradotto il termine
letteralmente sillaba per sillaba. Quando afferma che il
termine significa letteralmente “Quelli che dal cielo scesero
sulla terra” egli commette un errore di estensione. Dando
questa traduzione egli punta sui due termini principali AN e
KI e poi lega il termine Anunnaki ai Nephilim biblici, i
famosi 'Caduti'. Cioè notando delle somiglianze tra alcuni
miti sumeri e i racconti biblici, egli afferma che Anunnaki e
Nefilim siano la stessa ‘gente’, e unisce il significato di
Nefilim ('coloro che sono scesi' o 'i caduti') a quello dei
due glifi AN e KI ('cielo' e 'terra') di Anunnaki.
Grammaticalmente bisogna per correttezza far notare che nei
testi sumeri quasi sempre questi dei sono chiamati ‘Anunna’ e
non ‘Anunnaki’. La forma Anunnaki è molto tarda e
relativamente poco usata (di fatto compare quasi
56
esclusivamente nelle versioni accadiche).
I tentativi da parte degli studiosi di tradurre il
termine ‘Anunnaki’, come riporta Ian Lawton (si veda il vol.
2 di quest' opera), sono scarsi. La maggioranza degli
studiosi traduce con ‘figli di Anu’ (An.un[na]) o con ‘figli
dei principi del cielo'. Entrambe le traduzioni però ignorano
la sillaba KI. Che mi risulti, l' unico autore che propone
una lettura contemplante la sillaba KI, é attualmente l'
italiano Biagio Russo, il quale nel suo libro “Schiavi degli
dei” offre tra le probabili traduzioni: “La migliore stirpe
della terra”, un significato sostanzialmente diverso da
quello sostenuto da Sitchin e meritevole di attenzione e
considerazione. Lo studioso John Halloran, autore di un
eccellente Sumerian Lexicon, nel suo sito alla sezione
‘Sumerian Question & Answers’ propone:
a-nun-na(-k): noble stock; fear, dread ('offspring' +
'master' + genitive)
d-a-nun-na(-ke4-ne): the gods as a whole; the gods of the
netherworld, as compared to the d-nun-gal-e-ne, the great
gods of heaven
Come vediamo anche qui la sillaba KI viene completamente
ignorata. Nel primo caso la –K finale viene tradotta come
genitivo, nel secondo caso si ipotizza che KI fosse in realtà
KE4-NE, un altro genitivo secondo il Sumerian Lexicon:
-ke4: often occurs at the end of a genitival compound
which functions as the actor or agent of the sentence (ak,
genitival suffix 'of', + e, ergative agent marker).
57
Un’ altra ipotesi è che il termine vada tagliato in
A.nun.ak.e, in cui AK è un genitivo (basato sulle analisi
linguistiche di Thorkild Jacobsen).
Ma possiamo fidarci di traduzioni che hanno senso solo se
si esclude una particella dal termine? Queste traduzioni
andrebbero bene se non esistesse il termine Anunnaki ma solo
Anunna, che é effettivamente il più usato. Come già spiegato,
in epoca sumera infatti gli dei erano chiamati Anunna, fu
solo in epoca accadica che, nello scritto accadico (che
ricordiamo è relativamente diverso dal sumero) il termine
Anunnaki compare come soggetto non declinato. Dire quindi che
AK sia un genitivo e che il termine Anunnaki indica un
genitivo riferito agli Anunna è come dire che gli accadi
commettessero un gravissimo errore di interpretazione della
lingua sumera. Un concetto inammissibile visto che il sumero
ha molti meno casi ed è grammaticalmente molto più elementare
dell’ accadico. Un errore simile sarebbe stato possibile nel
passaggio da una lingua più complessa a una meno complessa,
non viceversa. A riprova di ciò é bene segnalare che Stephen
Langdon nel suo libro “The babylonian epic of Creation”
riporta la seguente traslitterazione:
dal significato di “Possa il tuo nome essere più grande
tra tutti quelli degli Anunnaki”, riportando in nota che
esistono anche altre traslitterazioni, tra cui E-nu-uk-ki. In
tutti questi casi la KI é esplicitata e non relativa a un
supposto suffisso genitivale. Il cuneiforme di questo verso é
il seguente:
58
composto dai glifi di DINGIR-A-NU-UK-KI. Si tratta come é
evidente di una resa che attesta l' utilizzo del KI (terra).
Anche nella versione latina dell' Istituto Biblico
Pontificio, a cura del prof. Deimel (1923) la resa cuneiforme
é completa del KI, e precisamente:
Per tornare ai termini Anunnaki e Anunna, a mio parere
nell’ accezione sumera il termine Anunna descrive gli dei
discendenti di Anu come ‘dei del cielo’, e il termine
Anunnaki utilizzato dagli accadi invece descrive gli stessi
dei come ‘dei del cielo venuti sulla terra’. E’ infatti in
epoca accadica che compare il termine IGI.GI, anche questo
derivante da radici sumere. Il Sumerian Lexicon riporta:
igi: n., eye(s); glance; face; aspect, looks; front
(reduplicated ig, 'door') [IGI archaic frequency: 21].
v., to see.
gi(4): to surround, besiege; to lock up (circle + to
descend into).
gi(17): n., young man (small and thin like a reed).
Usando questa divisione, per estensione il ‘young man’
potrebbe indicare gli dei giovani, o il ‘to sorround /
besiege’ (accerchiare, circondare) può essere un riferimento
al fatto che gli Igigi son descritti come gli dei che
59
rimanevano nel cielo (e quindi ‘orbitavano’ intorno alla
terra, la 'circondavano'). Inoltre in alcuni miti gli Igigi
sono chiamati dal cielo a lavorare sulla terra... forse il
termine Igigi indicava allora gli Anunnaki nella loro
accezione di 'dei provenienti dal cielo e scesi sulla terra'?
Altresì il termine Igigi potrebbe invece essere
semplicemente tradotto come un duplice uso di ‘IGI’
concatenato (questo uso è attestato in tanti esempi nella
lingua sumera, per esempio il già visto MA.GUR.GUR della
imbarcazione di Ziusudra o il NA4.GUL.GUL tra le ‘armi’ di
Asag nel mito 'Le conquiste di Ninurta') il che sarebbe un
rafforzativo del ‘vedere / guardare’.
Questo genere di uso, anche in accadico, di termini
sumeri, fa dedurre che gli accadi fossero molto attenti nell’
uso dei nomi di origine sumera. E’ difficile quindi
ipotizzare che potessero aver ‘sbagliato’ e incorporare KE4 o
AK (due desinenze legate al genitivo) in un nome usato come
soggetto.
Ma veniamo adesso alla parte prettamente linguistica del
termine Anunnaki, collegandomi al lavoro di John Prince.
Costui fu docente di linguistica semitica ed assirologia
presso la Columbia University. Nel suo “Materials for a
Sumerian Lexicon”, Prince riporta riguardo al termine -NA-:
"NA = la preposizione ELA = 'upon', e secondariamente
ADI = 'unto' ed 'ANA' = 'unto ".
Ora, i dizionari di inglese riportano UNTO = TO, e il
dizionario Websters (uno dei più autorevoli) specifica
'probabilmente da UNTIL + TO'.
Il termine inglese UNTO indica una direzione da un luogo
60
(fisico o meno) a un altro. Direi quindi che nel termine
Anunnaki sono presenti sia il termini per 'cielo' e 'terra',
sia una preposizione di movimento.
A testimonianza di ciò, riporto a pagina seguente l'
intera voce NA così come compare nel libro di John Prince con
la versione cuneiforme del termine Anunnaki e l'
identificazione del glifo per NA estratta dalla “Neo-assyrian
sign list” di Karel.
Sia beninteso che la mia rimane una proposta di lettura,
senza pretesa alcuna di superare o invalidare le
interpretazioni altrui, quanto invece di offrire
considerazioni sugli aspetti e sui particolari dagli altri
autori ignorati.
Riassumendo, accettanto la lettura fonemica di
A+NUN+NA+KI, abbiamo i valori di:
AN = cielo
(N)UN = principi / reali
NA = verso / in direzione di
KI = terra / regione
A questo punto ritengo validata dalla lettura fonetica la
traduzione che Sitchin offre di “coloro che sono scesi dal
cielo verso la terra”.
61
62
Addendum: gli Igigi
Anche se il tema degli Igigi non concerne esplicitamente
il materiale di Heiser, ritengo sia necessario e utile
spendere qualche parola in più su questo termine. Ho fornito
poc' anzi i valori di GI17 e GI4 per cercare un' etimologia
al termine, ma il discorso va approfondito. Le varie letture
del termine, che molti accademici ritengono di origine
semitica e non sumera, sono state affrontate da diversi
autori tra i quali in modo particolare Burkhart Kienast,
autore nel 1965 dello studio: “Igigū und Anunnakkū nach den
akkadischen Quellen” e sostenitore della origine accadica, al
contrario di Von Soden che ritenenva il termine Igigu di
origine amorita o arabica. Sebbene la composizione cuneiforme
(lettura logografica) del termine fosse generalmente D.NUN
GAL.E.NE o D.NUN GAL.MEŠ che quindi autorizerebbero ed
avvalorerebbero la teoria della ripetizione di IGI (-E-NE é
il suffisso marcatore di plurale in lingua sumera), il
termine é comunemente trascritto I.GI4.GU o I.GI4.GI4.
Per GI4 ho segnalato il significato, se tradotto in
sumero, di “circondare”. La lista lessicale antico-babilonese
analizzata da Kienast riporta l' accadico Ra-i-bi = I.gi.gi =
NUN.GAL.MESH con il significato di NUN-GAL = grande principe,
da assumere al purale 'grandi principi', un rimando al fatto
che loro erano parte degli Anunna sumeri (con la lettura
classica: 'seme dei principi' da A.NUN). Kienast conferma
inoltre il numero di 600 Igigi poiché il criptogramma con cui
erano indicati nei testi era GIŠ2-U (dal valore 600).
Non esiste dunque dubbio sul numero (600), sull'
appartenenza (gli Anunnaki) e sulla funzione (circondare –
secondo Sitchin: 'orbitare') degli Igigi.
63
Nephilim
Siamo arrivati ad una delle questioni più spinose, il
significato del termine Nephilim. Mai come in questo caso é
importante distinguere tra il SIGNIFICATO (= traduzione)
della parola ed il suo USO (= interpretazione); evidenziando
questa distinzione indico quel particolare fenomeno per il
quale anche nei dizionari un termine viene spiegato non con
la traduzione letterale, ma con l' utilizzo e l'
interpretazione che se ne faceva. Quando ciò succede, si crea
una confusione che degenera in discussioni che sarebbero
facilmente risolvibili tornando al significato dettato dalla
traduzione.
Per fare un esempio di ciò che intendo, consideriamo il
termine sumero: NAM-TAR. In un dizionario di lingua sumera
(qui allo scopo usiamo Daniel Foxvog - “Sumerian Glossary”)
questo termine viene tradotto con l' utilizzo che si faceva
del termine: “destino”, ma il suo significato letterale é
“separare ciò che é” e proviene da:
NAM = essere, stato, “ciò che é”
TAR = dividere, separare
Con questo processo in mente, iniziamo a trattare della
critica di Heiser nel capitolo sui Nephilim. Bisogna
specificare intanto che Heiser nel corso degli anni ha
modificato, ampliato, e rielaborato il suo documento sui
Nephilim, rendendo difficile dare una risposta definitiva e
completa alle sue critiche... per riassumere, le sue critiche
fondamentali sono due:
64
LA PRIMA:
egli sostiene che la traduzione o interpretazione fatta da
Sitchin del termine Nephilim sia sbagliata principalmente
sotto due punti di vista:
Il termine Nephilim non può derivare dall' ebraico Naphal
(radice: NPL)
Il termine Nephilim, anche se tradotto dall' ebraico
ignorando il punto precedente, non può significare “I caduti
– coloro che sono scesi”
LA SECONDA:
egli attribuisce a Sitchin anche la traduzione di “Popolo
dei razzi fiammegianti”, criticandola.
Oltre a queste critiche principali, e all' interno della
discussione delle stesse, Heiser inserisce altre minori
critiche derivanti in genere dal non aver messo a fuoco le
associazioni che portano Sitchin a identificare i Nephilim.
Veniamo dunque ad analizzare i due punti che costituiscono
la prima obiezione.
Il termine 'NEPHILIM' non può venire dall' ebraico Naphal
(radice: NPL) e non può significare 'i caduti – coloro che
sono scesi'
Come detto Heiser ha modificato i suoi documenti nel corso
del tempo, e attualmente nel suo sito esiste una versione
riassunta che rimanda poi ad un pdf di analisi più
dettagliato, il quale in sostanza non fa altro che espandere
i concetti espressi nella pagina web aggiungendo parecchio
altro materiale che spesso esula il contesto di critica di
Sitchin. Noi , per andare al sodo, ci limiteremo a rispondere
65
alla versione riassuntiva.
Heiser scrive che NEPHILIM non può derivare dall' ebraico
Naphal e significare 'i caduti' perchè per avere questo
significato si dovrebbe scrivere “Nephulim”. Allo stesso
modo, Heiser asserisce che Nephilim non può significare
“Coloro che cadono / sono caduti” perchè si dovrebbe scrivere
“Nophelim”. Il critico rincara la dose dicendo che l' unica
maniera in cui Nephilim possa derivare da Naphal in ebraico
sarebbe se esistesse un ipotetico termine Naphil poi
pluralizzato in Nephilim. Heiser conclude poi asserendo che
questo termine non esiste, pertando l' ipotesi é da scartare,
e la assunzione iniziale di Sitchin (che Nephilim venga dall'
ebraico Naphal) é errata secondo le basi della morfologia
ebraica.
Non essendo esperto di ebraico, il sottoscritto deve
ricorrere a dizionari ed a materiale di altri studiosi di
grado pari o superiore ad Heiser, ed é quello che faremo n
questa sede. Rivolgiamoci prima di tutto ad analizzare il
passo biblico più importante per risolvere questa
controversia, quello di Genesi 6:4. Il dizionario é lo
Strong, uno dei più rinomati al mondo, utilizzato comunemente
nello studio dell' ebraico biblico e sul quale si basa la
Interlinear Bible.
Sia il testo inglese che la traslitterazione ebraica
riportano Nephilim, e andando ad analizzare il termine
66
(facendo click sul codice 5303) ci viene spiegato chiaramente
che l' origine del termine é Naphal, la cui etimologia, nei
commenti, é dichiarata incerta.
Ciò che invece non é incerto, é che il termine Nephilim
derivi proprio dall' ebraico Naphal.
A questo punto dobbiamo affrontare una 'sotto-critica' di
Heiser, che egli spaccia come 'soluzione'. Notando che le
varie bibbie citano per il termine Nephilim il significato
“Giganti”, egli propone che questo Naphal sia non ebraico, ma
aramaico, che si scriva in realtà Naphil, e che significhi
'Gigante', di cui Nephilim sarebbe il plurale corretto
secondo le regole morfologiche aramaiche.
Questa critica, questa soluzione, é stata abbracciata
acriticamente da quasi tutti i lettori di Heiser, i quali,
frettolosi di poter dire “Visto? Sitchin non capisce nulla di
ebraico!” non si sono fermati a ragionare come avrebbero
dovuto. Heiser sa purtroppo che gran parte dei critici di
Sitchin rientra in 2 categorie: 1) ignoranti di ebraico che
credono a qualsiasi cosa egli scriva; 2) esperti di ebraico
che però si macchiano – come lui – di disonestà intellettuale
e pur sapendo di propagare un errore continuano a ripetere la
dimostrazione di Heiser stesso. Ma basta analizzare tempi e
significati, per rendersi conto di come stanno le cose.
Riassumiamo schematicamente in forma di elenco la tesi di
Heiser:
Nepilim non deriva da Naphal ebraico
Nephilim non significa 'I caduti'
Nephilim deriva dall' aramaico Naphil che significa
'Gigante'
Nephilim significa 'I giganti'
67
Insomma Nephilim secondo Heiser significa 'Giganti', e
deriva da un termine aramaico che significa 'Gigante'.
Lo Strong, come abbiamo visto, dice tutt' altra cosa.
Anche qui riassumiamo schematicamente le informazioni tratte
dal dizionario:
Nephilim deriva da Naphal
Naphal significa 'cadere'
Naphal ha etimologia incerta
a Nephilim viene dato il significato di 'I giganti'.
Queste informazioni già smentiscono parte della ipotesi di
Heiser: Nephilim deriva sicuramente da un termine Naphal –
che non sappiamo per certo da dove venga – che significa
'cadere', non 'gigante'.
Ora, ricordate quando all' inizio del capitolo ho
evidenziato quel fenomeno per cui si assegna ad un termine il
suo uso anzi che la sua traduzione? Questo é un caso tipico:
un termine derivato da una radice che si traduce 'cadere',
assume il significato di 'giganti'. Perchè?
La risposta é in altri passi biblici dove i Nephilim, ed i
loro simili Refaim e Anakim, sono descritti appunto come
esseri altissimi. Cioè il dizionario assegna ad un termine un
significato che deriva da una descrizione anzi che la sua
propria traduzione. Ciò é comunissimo nella Bibbia, vi basti
ricordare l' episodio della Torre di Babele (Genesi 11:19)
dove la bibbia afferma: “Per questo motivo il posto si chiamò
Babele, perchè da qui il Signore confuse le lingue e scacciò
le genti”.
Nonostante il nome Babele sia accadico, e non ebraico, e
derivi da Bab-Ili (= porta degli dei), a questo termine viene
68
assegnato anche dal vocabolario Strong (codice: 894) il suo
utilizzo come 'confusione' anzi che la sua traduzione.
Detto questo, abbiamo dimostrato che:
almeno una fonte attendibile di lingua ebraica biblica
fa derivare Nephilim da Naphal, il quale ha il significato di
'cadere';
il termine Nephilim é accompagnato da una definizione
legata all' utilizzo e non dalla sua traduzione, ciò ci
evidenzia che la traduzione può differire da 'I giganti', che
ne é solo l' utilizzo.
Abbiamo quindi non solo smontato la teoria che Heiser
forniva come soluzione, ma annullato il primo punto della sua
prima critica. Dedichiamoci quindi al secondo punto, mettendo
per adesso da parte il significato reale di Nephilim.
Heiser scrive che “Sitchin traduce erroneamente 'coloro
che sono scesi' perchè il verbo 'scendere' é diverso da
'cadere'. 'Cadere' é NAPHAL, mentre 'scendere' é YARAD.”
Il discorso che qui Heiser fa notare é la distinzione tra
due verbi che descrivono lo stesso tipo di movimento, dall'
alto verso il basso, ma si distinguono per 'intenzione' o
'funzione'. In linguistica, un verbo come 'cadere' implica
una funzione 'passiva', cioè il soggetto subisce l' azione,
non ne é la causa. Un verbo come 'scendere', al contrario,
implica una funzione 'attiva' che causa l' azione, non la
subisce. Questa é una distinzione reale che esiste in tante
lingue in tante casistiche... prendiamo come esempio i verbi
inglesi 'To borrow' e 'to lend'. Entrambi descrivono il
69
passaggio di un oggetto da una persona ad un' altra, ma
mentre 'to borrow' implica una azione da parte del ricevente
che 'prende in prestito' un oggetto, il verbo 'to lend' parte
dal donatore che 'concede' il prestito. Si usano così:
can I borrow your pen? = posso prendere in prestito la
tua penna?
Can you lend me your pen? Mi puoi prestare la tua penna?
Se avete capito il concetto, capirete che l' obiezione di
Heiser é a prima vista motivata e rigorosa, corretta, ed
efficace. Se non fosse che, nella bibbia, leggiamo i Nephilim
(termine 'passivo' secondo Heiser) compiere un atto attivo di
discesa (Yarad) in Ezechiele 32:27. Ma non solo... andiamo a
cercare nel dizionario di ebraico biblico il termine YARAD:
Original Word : דרי
Word Origin : a primitive root
Transliterated Word : yarad
Phonetic Spelling : yaw-rad
DEFINITIONS: to go down, descend, decline, march down,
sink down
a (Qal)
to go or come down
to sink
to be prostrated
to come down (of revelation)
b (Hiphil)
70
to bring down
to send down
to take down
to lay prostrate
to let down
c (Hophal)
to be brought down
to be taken down
Ho evidenziato appositamente due significati per far
notare che mentre il primo ha un significato attivo e
volontario (to go or come down = andare giù / scendere) il
secondo ha un significato passivo che per sua natura può
essere sia volontario che involontario (to be taken down =
essere portato giù).
Se guardiamo a lista completa dei significati assegnati a
YARAD troviamo:
King James Version (occorrenze totali: 372) - (come, go,
etc) down, 340; abundantly, 1; descend, 18; down by, 1; fell,
2; indeed, 1; let, 1; light off, 1; out, 1; put off, 1; sank,
1; subdued, 1; take, 1; variant, 2;
Come vediamo il verbo Yarad che secondo Heiser dovrebbe
essere il ‘scendere’ (come down - descend) intenzionale é
utilizzato anche come ‘cadere’ (fell = caduto) non
intenzionale.
In generale si può dire che Yarad ha un significato
volontario o involontario a seconda del contesto in cui si
trova, e che ogni termine ha un significato vero e proprio e
71
vari che ne derivano da ‘estensioni’ perfettamente lecite.
Allora torniamo a NAPHAL o meglio a NEPHILIM e vediamo se
una simile ‘estensione’ é giustificata.
A venirci in aiuto é il saggio del professor Ronald
Hendel intitolato “Of Demigods and the Deluge”, che riporta
un passo del libro di Ezechiele che abbiamo già menzionato,
Ez. 32:27:
"They lie with the warriors,
The Nephilim of old,
Who descend to Sheol
With their weapons of war."
La traduzione generalmente accettata nelle versioni
italiane é:
“Loro giacciono con gli eroi
caduti degli incirconcisi,
che sono scesi nello Sceol
con le loro armi da guerra”
Dove i Nephilim, definiti ‘guerrieri’ o 'eroi' SCENDONO
volutamente nel ‘mondo cavo’ (Sheol significa ‘tomba’ -
‘pozzo’, ed é un termine che rappresentò in epoca tarda il
corrispondete dell’ Absu sumero). Dunque nel testo biblico si
attribuisce in questo passagio un ‘atto volontario’ di
discesa. Lo stesso avviene nella Genesi, quando si dice che i
Nephilim ‘scendono’ sulla terra per accoppiarsi con le
‘figlie degi uomini’.
72
Non é dunque sbagliato estendere il ‘caduti’ del termine
Nephilim in ‘scesi’ perchè di fatto almeno in due occasioni
nella Bibbia questo ‘popolo’ é definito come un gruppo che é
volontariamente sceso sulla terra.
L’ obiezione di Heiser quindi é errata e fuorviante in
entrambi i sensi in cui é posta.
Con questo abbiamo esaurito i due punti della prima
critica, ma prima di andare oltre, voglio affondare la lama
smentendo un' altra affermazione di Heiser, mostrando come
lui confonda due possibili utilizzi del termine 'caduto'.
Egli scriveva, nella sua critica, che Nephilim non può
significare “Coloro che cadono / sono caduti” perchè si
dovrebbe scrivere “Nophelim”. Quel che Heiser sbaglia é che
NOPHELIM é la corretta scrittura di 'caduti' come forma
verbale, che é diversa dal significato 'caduti' racchiuso in
Nephilim.
Andiamo a vedere nei versi della bibbia come é usato
Nophelim. Lo troviamo proprio in Ezechiele 32:27, perchè i
Nephilim sono menzionati in quel versetto, non sono descritti
realmente con il termine Nephilim, ma anzi con Nophelim:
73
Questo perchè la traduzione (messa tra parentesi quadre) é
quella di 'caduti' come accezione verbale (che sono caduti).
Il termine Nephilim utilizzato per descrivere i 'caduti'
di cui parla Sitchin, e che compare in genesi 6:4, é invece
un SOSTANTIVO di un tipo particolare: si tratta della forma
QATIL della radice NAPHAL. Ce lo conferma sempre il prof.
Hendel nel suo trattato, il quale scrive:
“Nephilim significa letteralmente ‘I caduti’[vedi note]
[…] Questo uso del verbo Naphal e dei suoi derivativi é
riscontrato in atri punti nella Bibbia, per esempio nel
lamento di Davide per la morte di Saul e Jonathan, in cui si
legge: “Ek Naphelu Gibborim” (come guerrieri caddero), o
nell’ avvertimento di Geremia ai falsi profeti: “Laken
yippelu bannophelim” (cadranno tra i caduti)”
Nella nota, Hendel scrive chiaramente:
“Nephilim é il ‘qatil’ passivo aggettivale della radice
‘naphal’ = ‘cadere’”
Per capire cosa é il Qatil, ricorriamo al libro “A grammar
of Biblical Hebrew” di Jouon e Muraoka:
“The verbal adjective has the forms Qatil and Qatul, and
it is these forms that make the stative perfects, which are
nothing but ‘conjugated adjectives’”
Il Qatil dunque rappresenza l' utilizzo di una forma
verbale sostantivata utilizzata come aggettivo. Molto diverso
dall' uso puramente verbale (Nophelim) a cui si riferisce
Heiser.
74
Voglio spiegare meglio al lettore questo fenomeno, facendo
un paragone con lo stesso concetto 'cadere' come utilizzato
in varie lingue moderne e antiche nei suoi vari utilizzi:
passato, e aggettivo sostantivato, mostrando che per i 3 usi
esistano a volte termini diversi per forma.
Per chiudere questa sezione segnalo che sono tantissimi
gli esegeti ebrei che traducono Nephilim in 'I caduti', tra i
quali:
Rabbi Michael Samuel attesta il significato di “Naphal” =
“cadere” sia quando scrive proprie idee sia quando cita
teorie altrui:
- Another conjecture suggests the Nephilim were the children
of “the fallen ones” who “fell” (naphal = “fall”) from
heaven, hence they were “fallen angels”
- The verb “naphal” = “fall” is often used in association
with a military assault.
- The 20th century Israeli biblical scholar Umberto Cassuto
further argues that these warriors may have been called
“Nephilim” because of the common fate these warrior peoples
shared, for ultimately they both “fell” to their own
destruction
Rabbi Shlomo Itzhaki scrive:
- They were called nephilim because they fell (naphlu) and
caused the world to fall (hipilu), and in the Hebrew language
75
it means giants
Rabbi Hillel ben David nel suo saggio “The Days of Noah”
riporta una estensiva analisi tel termine legandolo al
significato di “giganti” e di “aborti” ma traducendo con “I
caduti”
Credo dunque di aver esaurientemente trattato la prima
critica, quella puramente linguistica, che Heiser ha mosso a
Sitchin, e di poter passare alla seconda, quella a carattere
più interpretativo dove, ancora una volta, Heiser confonde
'traduzione' con 'identificazione'.
Nephilim non significa 'il popolo dei razzi fiammeggianti'
Come detto abbondantemente, Heiser confonde – secondo me
volutamente per ingannare il lettore – traduzione ed
interpretazione. Nel suo documento, riferendosi a Sitchin,
scrive:
“La sua traduzione come il popolo dei razzi fiammeggianti
é assolutamente incredibile. Naphal non ha nulla a che vedere
con il fuoco o con i razzi.”
Chiunque abbia letto Sitchin sa che la sua non é una
traduzione ma una identificazione. Dopo aver identificato i
Nephilim con una parte degli Anunnaki – precisamente con gli
Igigi – egli associa questi due gruppi in base al fatto che
gli Igigi erano coloro che si occupavano di salire al (e
scendere dal) cielo con le astronavi. Non solo: l' espressone
“il popolo dei razzi fiammegianti” viene dal verso biblico
che generalmente viene tadotto come “gli uomini famosi” dove
76
quel 'famosi' viene reso da “dello SHEM”.
In un lunghissimo e qui non riassumibile discorso Sitchin
dimostra che il terine SHEM indicava invece, riferito agli
'dei', le loro navicelle. Fu solo dopo, con un ragionamento
che spiegherò nel capitolo dedicato proprio agli SHEM, che il
termine iniziò ad assumere il significato di 'nome – fama'
attraverso il suo uso come 'memoriale'.
Qui é sufficiente chiarire che MAI Sitchin dà la frase
“popolo dei razzi fiammeggianti” come TRADUZIONE del termine
Nephilim.
77
Gli Elohim
Ho lasciato questo capitolo per ultimo – lo confesso –
anche per lasciare il lettore un po' sulle spine. Il motivo
principale però é il fatto che Heiser nel tempo ha modificato
sostanzialmente e riarrangiato questa sezione del suo sito,
ed i pdf collegati, per trattare non solo la visione degli
Elohim di Sitchin, a anche quella di alcuni altri ricercatori
alternativi quali Lawrence Gardner, William Henry, Lloyd Pye,
e anche Erik Poltorak, allievo webmaster di Sitchin e
conferenziere egli stesso. Il risultato di queste modifiche e
riarragiamenti é che attualmente risulta molto difficile
stabilire in quali punti Heiser si riferisca a Sitchin e in
quali ad altri, compromettendo così la possibilità di una
puntuale analisi critica dei suoi ed altrui contenuti. Per
poter trattare questo capitolo dunque il sottoscritto sarà
costretto a rimanere forzatamente aleatorio nella
trattazione, prendendo qui e li le varie asserzioni di Heiser
nelle quali specificatamente nominerà Sitchin.
L' introduzione della sezione presente nel sito di Heiser
contiene fin da subito un' asserzione forte: secondo Heiser
Sitchin sapeva parlare ebraico ma non ne conosceva la
grammatica. Per cercare di spiegarsi, rivolgendosi al
lettore, fa notare come giustamente sia diverso il saper
parlare o scrivere una lingua dal saperne fare una analisi
sintattica e logica (e questo é innegabile), ma nel far ciò
Heiser non tiene conto una cosa importantissima: il valore
istruttivo della pratica. Se una persona parla e scrive
correttamente una lingua – sia essa la propria o meno – non
ha assolutamente nessuna importanza, al fine di tradurre un
testo, il conoscerne la corretta terminologia grammaticale:
scriverà dunque correttamente perchè avrà imparato ad
78
abbinare correttamente le varie forme, i vari costrutti,
spesso anche senza sapere cosa essi siano e le regole che li
dominano. Mi spiego facendo degli esempi con le lingue a me
congeniali e che nel corso del tempo ho a diversi livelli
studiato:
quando in romeno voglio dire “ho bevuto la birra di mio
fratello” dirò “am beaut berea fratelui meu” perchè
ascoltando, leggendo, praticando, e magari anche sbagliando,
avrò imparato che questo é il modo di dirlo. Non ha
importanza se ho studiato o meno la regola secondo la quale
il genitivo -LUI si attacca alla fine del termine FRATE
(fratello).
Se sono in vacanza in Polonia e voglio lamentarmi con l'
albergatore perchè mi ha dato una camera senza terrazza, avrò
imparato (magari ascoltando un audio corso o semplicemente
con la pratica quotidiana) che posso dire “W pokoju nie
ma ...” oppure “Ten pokòj nie ma ...” senza nemmeno conoscere
l' importante differenza grammaticale che passa nell' usare W
Pokoju = “nella stanza” (suffisso -U locativo, introdotto
dalla preposizione W = In) o alternativamente Ten Pokòj =
“questa stanza” (nessun suffisso nel caso nominativo,
introdotto dall' avverbio Ten = Questa).
Se in lingua azera (la lingua nativa di Sitchin) voglio
dire che “questi sono libri” potrò dire “Bunlar Kitabdir”
indipendentemente che io conosca o meno la regola
grammaticale secondo la quale la terza persona plurale
(Onlar) vuole anche nel sostantivo il suffisso plurale -LAR
in ultima posizione. Potrò usare Onlar kitabdir o Onlar
kitabdirlar indifferentemente. Nel caso volessi dire che due
miei amici 'sono insegnanti' potrei usare tranquillamente l'
elisione del plurale e dire Onlar Muallimdir anzi che Onlar
79
Muallimdirlar poiché il plurale é già esplicitato nel nome
'loro' Onlar. Tutte le forme sono parimenti corrette a
dispetto della grammatica formale, e nessun azero si
sognerebbe di correggermele.
Questo breve excursus linguistico – lungi dall' essere
sterile – serve per far capire al lettore che si, la
grammatica é importante, ma se in un modo o nell' altro una
persona impara la lingua correttamente anche senza studiarne
le regole grammaticali nel dettaglio, parlerà comunque
correttamente e sarà capace di tradurre nei due versi in
maniera corretta. Detto ciò, possiamo finalmente muoverci
verso l' analisi di alcune asserzioni di Heiser.
La prima, fondamentale critica di Heiser, é già di per se
un errore: egli scrive:
“Contrariamente a quanto Sitchin sostiene, la parola
ELOHIM non sempre significa DEI (plurale)”
Questa critica viene ripresa praticamente da tutti,
proprio tutti, i critici della teoria degli antichi
astronauti o in generale da tutti coloro che vogliono
sostenere l' unicità di Dio come tale. E' interessante notare
come molti di questi critici in realtà dicano in sostanza ciò
che sostengono Sitchin e i teorici della identificazione
degli Elohim con entità aliene, semplicemente loro utilizzano
terminologie diverse o fanno differire i vari 'elohim' per
grado o natura, in modo da poter mantenere così il dogma del
'dio unico'.
Scampiamo innanzi tutto ogni dubbio: quando si parla di
significato bisogna distinguere tra significato implicito del
termine (morfologico) e significato esplicito (utilizzo del
80
termine). Volendo fare i pignoli dal punto di vista
grammaticale, addentriamoci in una distinzione essenziale che
permetterà al lettore di capire cosa intendiamo, e il perchè
la frase di Heiser sia erronea. Occorre stabilire alcune
definizioni necessarie per comprendere un discorso di analisi
linguistica:
MORFOLOGIA: è la parte della grammatica o della linguistica
che ha per oggetto lo studio della struttura grammaticale
delle parole e che ne stabilisce la classificazione e l'
appartenenza a determinate categorie. Esaminare la FORMA di
una parola significa quindi dividerla in MORFEMI (le parti
più elementari) e identificarne funzione e caratteristiche.
Esempio:
parola = dentale
morfemi = dent + al + e (dent = radice per l' apparato
masticatore + al = morfema che implica l' aggettivazione di
un nome + e = morfema che definisce numero e genere della
parola)
SIGNIFICATO: é il valore intrinseco espresso dalla morfologia
di una parola, esso può essere di diversi tipi, ma
comunemente si intende con questo termine il concetto
espresso dalla parola, più propriamente chiamato 'significato
relazionale'.
UTILIZZO: E' il 'significato operazionale' di una parola o di
un morfema, ed indica il modo in cui una parola viene
utilizzata per innescare operazioni mentali che riconducano a
un significato relazionale
81
Facciamo un esempio :
parola: cane
significato relazionale (significato): appartenente alla
razza dei canidi;
significato operazionale (utilizzo): 'sei un cane!' utilizzo
che causa una operazione mentale di paragone al significato
relazionale della parola (si paragona un uomo a un
appartenente alla razza dei canidi)
Fatte queste necessarie premesse, possiamo entrare nel merito
dell' analisi linguistica e concettuale. Sitchin nella sua
spiegazione del termine Elohim sostiene, elencando una serie
di motivazioni, che il termine ebraico biblico Elohim esprima
una collettività di individui (dei quali al momento non ci
interessa stabilire la natura umana o meno).
E' chiaro dunque che secondo l' autore il termine Elohim
abbia una valenza (significato relazionale) plurale
(collettività) ed un utilizzo (significato operazionale) a
volte singolare e a volte plurale.
Analizziamo il termine linguisticamente.
Morfologia:
Elohim é composto dal morfema Eloh + il morfema IM; nella
grammatica ebraica il morfema IM indica un plurale.
Il morfema Eloh si legge in realtà Eloah e costituisce un
nome univoco maschile. Morfologicamente quindi Elohim é
composto da:
un nome univoco maschile
un morfema indicante numero plurale
82
Significato relazionale (significato):
Essendo presente il numero plurale di un nome, il significato
relazionale della parola Elohim é: 'Eloah in una quantità
pari a o maggiore di due'
Significato operazionale (utilizzo):
varia a seconda degli elementi grammaticali in gioco intorno
alla parola. Sono attestati nella Bibbia utilizzi del termine
accompagnati sia da elementi grammaticali che definiscono un
numero singolare sia da elementi grammaticali che definiscono
un numero plurale.
Es 1): “Elohim bara” = Eloah (nome univoco di genere
maschile) + Im (numero plurale) + Bara (costruzione verbale
alla terza persona singolare)
In questa frase Elohim é morfologicamente plurale, ha un
significato plurale, ma un utilizzo singolare;
Es 2): “vayomer elohim naseh adam besalmenu kidmutenu” = Va-
yo-mer (yo = terza persona, tempo futuro, in questo caso
-mar/mer indica numero singolare – mru avrebbe indicato
numero plurale) + Eloah (nome univoco genere maschile) + Im
(numero plurale) + N-aseh (n = prima persona plurale tempo
futuro) + Adam (nome univoco maschile singolare) + Be
(locativo, qui ha il significato strumentale di 'con') +
Selem (nome univoco genere femminile numero singolare) + Nu
(aggettivo possessivo numero plurale, prima persona) + Ki
(qualitativo) + Demoth (nome univoco genere femminile numero
singolare) + Nu (aggettivo possessivo numero plurale, prima
persona)
83
In questa frase Elohim é morfologicamente plurale, con un
significato plurale, un utilizzo singolare, autoreferentesi
con elementi grammaticali tutti plurali. In questa seconda
frase quindi é Elohim stesso (singolare) a dichiarare una
pluralità (n-aseh / salme-nu / dmute-nu) relativa a se
stesso. Cioè Elohim dà di se stesso un SIGNIFICATO
OPERAZIONALE plurale, perchè utilizza i verbi, i nomi e i
possessivi in numero plurale.
Questi esempi ed il ragionamento sulla morfologia del
termine, indicano che Sitchin avrebbe ragione se testualmente
scrivesse che “Elohim é un termine plurale” o che “il
significato di Elohim é sempre plurale” riferendosi al suo
significato intrinseco. Nonstante ciò – potrete ormai
immaginarlo da soli – come altre volte, Heiser ha
completamente FALSIFICATO le parole di Sitchin, poiché egli
non scrive mai niente di simile. Fin dalla prima volta in cui
l' autore menziona il termine Elohim, egli scrive solo che
letteralmente é un plurale, ed abbiamo visto che così é, con
buona pace di Heiser. L' estratto qui sotto é la prima
occorrenza del termine Elohim nel libro “Il pianeta degli
dei” versione originale americana (“The twelfth planet”) del
1976.
84
Muoviamo oltre, e passiamo ad un' altra critica:
Ho anche riportato esempi da testi mesopotamici
(accadici) dalle tavole di El Amarna dove il plurale ILANU
(dei) é usato al singolare, proprio come nel caso dell'
ebraico Elohim. Perchè Sitchin non é al corrente di questo
materiale?
Rispondiamo subito alla domanda: che Sitchin fosse o non
fosse al corrente dei testi non è importante, ma che li
conoscesse é comunque sicuro perchè li menziona nei suoi
libri e nelle sue conferenza; nonostante ciò, la critica é
fallace per due motivi. Il primo, molto semplice, é che se
anche ILANU fosse usato con occorrenza singolare,
bisognerebbe avere per certo fuori da ogni dubbio che sia un
uso corretto e non un errore o una forma dialettale
approssimativa, il secondo più elaborato, merita una analisi
approfondita perchè oltre a Heiser questo riferimento a ILANU
85
é stato utilizzato da altri studiosi accademici. Come stanno
le cose? Gli esempi mostrano DINGIR.MESH. E DINGIR.IA
(versione compatta di HI.A) presupponendo che si tratti di
una forma plurale, utilizzata invece al singolare.
Questa sua visione ha 2 problemi che vengono dal non
conoscere il cuneiforme e la sua resa ugaritica. Vediamo il
primo.
-mesh e -hi.a (-ia) sono due suffissi determinativi che in
accadico indicano plurale, ma questo in accadico 'standard'.
L' accadico di Ugarit era un dialetto del periodo 1500 / 1200
a.C., ossia in pieno periodo dialettale, e in un luogo e in
una cultura (Ugarit) che non contemplava l' accadico come
lingua corrente. L' accadico a Ugarit era stato 'imparato'
utilizzando come materiale scolastico i lessici e le tavole
accadiche, assire e babilonesi (intendendo con questo: un mix
di tavole dialettali e standard).
L' accadico di Ugarit era rinomatamente pieno di errori, e
la sua scarsa qualità é ben nota a chi ha studiato l'
evoluzione di queste lingue. Già Van Soldt scriveva nel 1991:
"The population of Ugarit spoke Ugaritic, a West Semitic
language akin to Hebrew and Aramaic, and possibly understood
at least a bit of Hurrian. Therefore, we can expect all sorts
of mistakes in the Akkadian written by the Ugaritic scribes,
ranging from simple misunderstandings to interference of the
local language. Naturally, the teachers are partly to be
blamed for mistakes which occur consistently and which they
probably brought in from outside, from such centers as
Hattusa, Mittanni or possibly from somewhere in Syria.
In this paragraph I will discuss some of the scribal
mistakes which can be encountered."
86
La nozione che termini come ILANU/ILANI e DINGIR.MES
morfologicamente plurali fossero usati come singolare viene
dalla resa di C.H. Gordon nel suo "Observation on the
akkadian tablets of Ugarit", del 1987 (e l' autore citato da
Heiser, Joel Scott Burnett, si basò nel 1999 per la sua tesi
PhD sulla resa di Gordon), ma già nel 1991 il lavoro "The
akkadian of Ugarit - lexicographical aspect" di W. Van Soldt
faceva chiarezza su questi fenomeni. Egli scriveva infatti:
"Since HI.A only occurs after ideograms one has to
conclude that in these cases it does not mark a plural but
only indicates that the sign has to be understood as an
ideogram. The same conclusion must be inferred for MES,
although this marker occurs with ideograms as well as with
syllabically written words33. The phenomenon is not
restricted to Ugarit but is also attested in other peripheral
text groups (Mittanni, Nuzi, Elam) and even in Neo-Assyrian.
Finally, it should be noted that MES can also be used to
mark the preceding ideogram as an abstract noun."
Van Soldt spiega chiaramente che HI-A non va inteso come
plurale. Quindi é incorretto che gli assiriologi (che
generalmente sanno molto poco di accadico di Ugarit)
trasformino DINGIR.MESH nel plurale ILANU/ILANI, mentre
sarebbe corretto traslitterarlo ILU.MESH con indicazione che
il valore ILU ha carattere ideogrammatico o che é un nome
astratto.
Il secondo motivo é che gli esempi utilizati da Michael
Heiser non sono rappresentativi gramaticalmente e
contestualmente. Analizziamoli uno per uno:
87
LUGAL EN-ia dUTU-ia / DINGIR.MES-ia = "mio re, mio re,
mio dio del sole, mio dio"
a-na LUGAL EN-ia DINGIR-ia d[U]TU-ia = “il re, mio
signore, mio dio, mio dio del sole”
Questi due passaggi non contengono nessun riferimento
verbale che possa distinguere plurale da singolare, il
vocativo di per se non permette una simile distinzione.
Il terzo passaggio contiene invece un verbo al singolare.
DINGIR.MES-nu / shu-lum-k shu-lum E-ka / li-ish-al =
“Possa il dio intervenire in merito al tuo benessere e della
tua casa”
in questo passaggio il verbo é al singolare, cosa che a
prima vista cozzerebbe con DINGIR.MESH plurale. Ma come
abbiamo detto il MESH in questi casi non é indicativo di
plurale ma di astrazione del nome.
Il MESH é una particella che ha vari significati: in
alcuni casi indica un plurale, in altri casi smette la sua
funzione di plurale e astratizza il nome che lo precede.
Questo utilizzo é per esempio famoso a Ugarit nel costrutto:
SHESH-MESH-SHU = “suo fratello” , indicante 'fratello' in un
nome astratto.
L' utilizzo é lo stesso del determinativo GISH che
specificava quando un termine dovesse o potesse essere inteso
come oggetto materiale o un attrezzo rispetto agli altri
significati (es: gish-zi = muro , mentre zi senza gish
poteva essere 'vita - respiro - destra - giusto')
88
Come potete vedere le critiche di Heiser cadono anche
stavolta. Voglio spendere solo poche righe per riportare che,
nel suo PDF specifico sugli Elohim, Heiser non tratta NESSUNA
frase di Sitchin. Tre dei 4 esempi che tratta vengono da
altri autori e in un caso addirittura da una blogger; il
quarto esempio, quello di Ha-Elohim, é buttato li per fare
pappardella.
89
Il termine SHEM
Siamo finalmente giunti all' ultimo capitolo riguardante
le critiche linguistiche di Heiser; finora, i nostri discorsi
si sono articolati prettamente riguardo l' analisi delle
critiche di Heiser e la loro fondatezza logica e contestuale,
stavolta dovremo seguire un discorso molto diverso e in un
certo senso più ostico, perchè il termine ebraico SHEM, così
come i suoi predecessori SHUMU accadico e MU sumero,
rappresenta un mistero linguistico che ancora nessuno ha
chiarito definitivamente. Lungi da me l' idea di tentare
questa impresa, linguisti ben più preparati di me ci hanno
provato, raggiungendo poi un accordo strappato con le pinze
che prevede, per questi termini, un significato - o meglio un
albero di significati - che secondo loro si accordavano al
maggior numero di contesti: Nome / Fama.
Ma veniamo alla critica di Heiser. Egli scrive nel suo
sito:
Nelle pagine da 140 a 143 de “Il pianeta degli dei”,
Sitchin descrive il sumero MU come un oggetto conico a punta
ovale e come “ciò che si innalza dritto”. Sitchin non cita
nessun dizionario a sostegno di queste traduzioni. Uno
sguardo ai vocaboli conteuti nelle grammatiche e al
dizionario di sumero online non trova riscontro per questi
significati.
Cita poi il lavoro di Horowitz, che in una pagina riportò
una serie di equivalenze sumere legate (da una tavola
catalogata K2035) all' accadico SHAMU, col significato
riconosciuto di 'Cielo'. Dunque secondo Horowitz anche MU,
che era una di queste equivalenze, era un termine legato al
90
cielo. Personalmente questo lavoro di Horowitz mi ha sempre
fatto abbastanza ridere, la pagina citata da Heiser contiene
una serie di amenità linguistiche, e sopratutto non dice
niente né della valenza né del signifcato della K2035.
Prenderla quindi per oro colato e come fonte per cercare di
smontare uno studio non si rivela una mossa furba.
Chi pensa che il mio ridere del lavoro di Horowitz sia
fuori luogo o sintomo di presunzione, dovrà ricredersi, dopo
aver letto questo esempio.
Horowitz riporta dalla K2035 l' equivalenza del TERMINE
sumero ME con l' accadico SHAMU, e la discute citando che la
SILLABA “me” nel termine accadico 'Melammu' é stata legata
(in un commentario, quindi un' opinione) al 'cielo', mentre
la sillaba “lam” é legata alla terra. Già questo dovrebbe far
ridere, perchè si sta spiegando una equivalenza del termine
sumero “ME” con una ipotetica associazione della sillaba
accadica “me”. Per intenderci, sarebbe come pretendere di
assocciare il termine inglese POUR (versare) alla sillaba
francese 'pour' in 'pourquoi' (perchè). Queste due entità
sono completamente diverse.
Ma torniamo al MU, o meglio allo SHU.MU.
Heiser riporta che secondo Sitchin il sumero MU sarebbe
stato trasposto nelle lingue semitiche come SHU-MU, che lui
traduce “Ciò che é un MU”, e che poi sarebbe diventato in
accadico Shamu e in ebraico Shem. Heiser cerca poi di
dimostrare:
che SHU-MU in sumero non esiste e grammaticalmente non
può significare “Ciò che é un MU”;
che l' accadico Shamu non deriva dal sumero SHU-MU
91
Per farlo, fa una disquisizione sul fatto che per
significare “Ciò che é un MU”, il SHU- dovrebbe essere un
pronome relativo, ma la lingua sumera non aveva questo tipo
di pronome (Heiser cita come fonte la gramatica di Hayes “A
manual of sumerian grammar”).
Il primo errore di Heiser sta proprio qui, non ha letto
bene cosa Sitchin scrive. Riporto la cattura del testo di
Sitchin nella sua versione originale:
Dalle righe 2 e 3:
[...]impiegavano il termine sumero MU o i suoi derivati
semitici Shu-Mu (ciò che é un MU), Sham, o Shem.[...]
risulta evidente che Sitchin scrive un' altra cosa: é il
derivato semitico SHU-MU a significare “Ciò che é un MU”,
quindi non il sumero, ma l' accadico.
A questo punto il discorso si trasforma ed é da inquadrare
in questi termini: in accadico esistevano i pronomi relativi?
E se esistevano, SHU ne faceva parte?
Ovviamente la risposta ad entrambe queste domande é un
sonoro SI, come possiamo leggere nella grammatica accadica
dell' Università di Chicago, dalla quale ho estratto l'
immagine seguente.
92
La prima obiezione di Heiser, dunque, é già caduta. Ma
muoviamo oltre, ed entriamo nel vivo del discorso.
L' estratto del libro di Sitchin riportato poco sopra ci
rivela anche un' altra cosa importante, e cioè che il termine
aveva il significato di “Ciò per cui una persona é
ricordata”, e che da questo significato i semiti estesero a
“Nome / Fama”, non immaginando per cos' altro qualcuno
potesse essere ricordato.
In un altro passaggio del suo libro Sitchin scrive:
I riferimenti biblici indicano che esistevano due tipi di
monumenti commemorativi: yad e shem. Il profeta Isaia
comunicò alle sofferenti genti di Giudea la promessa del
Signore di un futuro migliore e più sicuro:
E io darò loro,
nella mia Casa e dentro le mie mura,
uno yad e uno shem.
93
Tradotto letteralmente secondo l'interpretazione
tradizionale, questo passo alluderebbe alla promessa del
Signore di dare al suo popolo una "mano" e un "nome".
Tuttavia, esistono tuttora in Terra Santa antichi monumenti
chiamati yad, caratterizzati da sommità di forma piramidale;
lo shem, invece, era un monumento che terminava con una
sommità ovale.
Questi stralci sono molto importanti per capire quale sia
l' origine del termine SHEM secondo Sitchin. Il termine
denotava contemporaneamente “qualcosa che va in alto” e “cio
per cui si é ricordati”. Lui riferisce questi significati
alle navicelle o ai razzi degli Anunnaki: essendo infatti
questi 'oggetti che vanno in alto' ed essendo la peculiarità
degli 'dei', erano senz' altro qualcosa per cui gli dei erano
ricordati. Erano qualcosa tipico di loro, qualcosa che
indicava in un certo senso la loro stessa essenza.
Questo significato di 'memoriale' e 'qualcosa per cui si
é ricordati' poi passò a rappresentare delle tipologie di
stele commemorative... in sostanza queste pietre venivano
chiamate con un nome che ne identificava la funzione. Per chi
pensa sia una cosa assurda o impossibile, cito una curiosità:
in Sardegna chiamiamo le 'madonnine da strada' per i
viandanti con un nome che é la scritta che recano incisa:
“Noli me tollere”. Uno studioso, nel sentirci chiamare questi
altarini in questo modo, rimarrebbe senza dubbio colpito...
perchè non chiamarli semplicemente 'madonnine' o 'altarini'?
Il motivo non importa, probabilmente nel nostro immaginario
comune quella frase ha assunto tale importanza da utilizzarla
per descrivere l' oggetto che la reca incisa. Questo é ciò
che Sitchin ritiene sia successo col termine MU e con il
termine SHEM.
94
A questo punto mi voglio collegare ad un documento
importantissimo scritto da Izaak Rapaport nel suo saggio:
"THE HEBREW WORD SHEM - A new interpretation of several
Biblical passages", una sorta di riassunto di un suo lavoro
del 1976 intitolato: "The Hebrew word shem and its original
meaning: The bearing of Akkadian philology on Biblical
interpretation".
In questo libro, discutendo del significato di SHEM,
Rapaport scrive:
There is no doubt that the Hebrew shem is related in its
lexical counterpart to the Akkadian shumu. Now, in Akkadian
(or Assyro-Babylonian), the term shumu means "name" but
originally, almost before the Semitic stock of languages
expanded intovarious linguistic branches, like Aramaic,
Hebrew and Arabic, this term had the meaning of "child,"
"offspring," "progeny," "descendant," "posterity," and the
like, the common denominator among them being that they all
indicate one form or another of biological issue.
Secondo Rapaport quindi il significato originale dell'
accadico SHUMU era quello di 'figlio - progenie - discendente
- posterità' etc, comunque qualcosa di biologico che indica
una 'successione'. Continua l' autore:
It is only in the course of time, embracing probably very
many centuries, that shumu also assumed the value of "name,"
because it was recugnised that a child perpetuated the name
of the family of which it was a member from the biological
point of view.
95
Secondo Rapaport ci sarebbero voluti secoli prima che dal
significato di 'figlio - progenie' il termine accadico Shumu
acquisisse il significato di 'nome', seguendo il ragionamento
che "il figlio porta avanti il nome della famiglia di
appartenenza".
Faccio notare che il modo in cui il termine accadico Shumu
avrebbe assunto il significato di NOME nel tempo é
completamente diverso dal modo in cui il corrispondente
termine sumero MU ha assunto lo stesso significato di NOME.
Secondo i lessici sumeri infatti (es: John Prince – Material
for a Sumerian Lexicon) il segno MU indica esattamente "Ciò
che provoca / mette in atto un ingresso", esteso a 'nome'
(onestamente non saprei dire il perchè di questa estensione).
Continuiamo però con il testo di Rapaport, perchè troviamo
un altro passaggio interessante. Anche Rapaport cita il
passaggio di Isaia (che si trova in Isaia 56:5) citato da
Sitchin, e nell' analizzarlo scrive che:
Some scholars have long been aware that the phrase 'a
hand and a name' is a very inadequate translation of the
Hebrew expression yad va'shem, and so they have extended it
to mean 'a place and a name.' But since this rendering is
rather colourless, conveying very little consolation to the
complainants, Biblical scholars of most recent date have
translated yad va'shem 'monument and a name', giving it the
sense of a memorial stele which the foreigners and eunuchs
will be allowed to erect in the precincts of the Sanctuary -
a sort of plaque inscribed with their names.
Rapaport qui fa riferimento, come Sitchin nello stesso
anno indipendentemente da lui, all' interpretazione di "una
96
mano e un nome" e addirittura, come anche Sitchin, al legame
con le stele commemorative. Rapaport si dice però non
convinto dell' interpretazione basata sulla possibilità di
attribuzione alle pietre memoriali:
Can an inscribed plaque take the place of living issue?
How can any monument be a substitute for such emotional
outlets as are normally provided by the possession of members
of one's family?
Qualunque sia l' interpretazione corretta - probabilmente
non lo sapremo mai - constatiamo da questi riferimenti del
libro di Rapaport almeno 2 cose:
- non c'é un accordo effettivo sul significato originale
di SHEM
- i riferimenti narrativi usati da Sitchin nel risalire
agli utilizzi interpretativi del termine sono coerenti con
interpretazioni di studiosi del passato
Segnalo solo un' ultima cosa: secondo il dizionario
Strong, quello utilizzato nella Interlinear Bible Online (nel
sito BibleHub, uno dei più autorevoli) il termine SHEM é un
'appellativo' che fungeva, ormai lo avrete capito, da
memoriale.
Qui di seguito ho inserito una piccola cattura della
pagina online del termine ebraico Shem come compare su
BibleHub.
97
Restiamo sul significato di memoriale, perchè adesso
scopriamo che questo significato era assocciato
originariamente anche al termine sumero MU. Lo scopriamo
attraverso due fonti: la prima é il trattato di H. Sayce “An
elementary Grammar, with full syllabary, of the Assyrian
language” (1875) dove egli riporta una parte di una tavoletta
di equivalenze nella quale compare il sumero MU equivalente,
tra l' altro, proprio all' accadico 'Shumu' con una serie di
significati tra i quali, appunto, “memoriale”.
La seconda fonte é il già citato “Material for a Sumerian
Lexicon” di J. Prince (1908) il quale nn solo riporta MU =
Sumu, ma anche il significato di 'nome' facendolo derivare
dal significato pitografico di “Ciò che causa un ingresso”.
Qui di seguito le catture delle due fonti:
98
Sperando di aver esaurito l' argomento MU = Shumu =
memoriale → nome, é ora di muoverci verso un altra direzione
per rispondere ad un' altra critica di Heiser.
Heiser scrive che:
Nei dizionari non esiste nessun significato di 'razzi' o
'razzi fiammeggianti' per il termine Shumu. Controllate voi
stessi.
I dizionari segnalati da Heiser sono il CAD della
Università di Chicago e il dizionario online ePSD dell'
Università della Pennsylvania, i due più famosi e corposi
tool per assiriologi. Ma, ragioniamo: come ci si può anche
solo aspettare di trovare in dizionari scritti o iniziati a
99
scrivere decenni fa (quasi 80 anni nel caso del CAD) il
termine 'razzo fiammeggiante' per una parola accadica? Ancor
prima: come ci si può aspettare che gli accadi usassero per
definire lo Shumu termini paragonabili ai nostri 'razzo
fiammegiante'? Un' altra obiezione: come erano scritti questi
termini? Erano composti da un solo termine o segno, oppure
Shumu era una lettura fonetica composta da diversi segni?
Obiettiamo ancora... Shumu, che secondo Sitchin era l'
estensione acadica del sumero MU, poteva anche essere un
termine nato da diversi termini sumeri che si leggevano
SHU+MU in qualche forma? Queste sono tutte domande che Heiser
non si é voluto porre nella sua pseudo-indagine, ma che io mi
posi già quasi 10 anni fa, quando ero in piena fase di
ricerca critica sul materiale di Sitchin. E quello che
scoprii – che qui non voglio assolutamente proporre come
soluzione definitiva ma come spunto di riflessione – fu molto
interessante.
Bisogna intanto chiarire una cosa: il “ciò che é un MU” in
accadico in realtà é composto da due parti: SHU (ciò che) +
MU. La traduzione corretta, oltre che “Ciò che é un MU”,
potrebbe essere “Ciò che MU”. A questo punto dovremmo cercare
di capire se questo MU sia un termine sumero o accadico, e se
seguiamo la linea di pensiero di Sitchin, ricollegandoci al
significato associato da Prince al termine MU, abbiamo che lo
Shumu é “ciò che causa un ingresso” (a questo proposito é
bene segnalare che Prince assegna 'ciò che' – un pronome
relativo - al termine MU senza 'Shu', rendendo evidente che,
al contrario di quanto sostenuto da Heiser, non é necessario
esprimere il concetto con un pronome relativo che esiste o
meno nella grammatica della lingua, perchè il significato
'causare un ingresso' come traduzione di un termine gli
conferisce la funzione, e fa dell' oggetto stesso,
100