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Catalogo della mostra organizzata per i 90 anni dell'INDIRE a Palazzo Medici Riccardi nel 2015.

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Published by Indire Ricerca, 2023-04-18 05:08:36

Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire

Catalogo della mostra organizzata per i 90 anni dell'INDIRE a Palazzo Medici Riccardi nel 2015.

Keywords: Radici di futuro

Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire


Con il patrocinio di A cura di Pamela Giorgi Progetto espositivo e Ricerche storiche Pamela Giorgi e Francesca Pizzigoni Ricerche iconografiche Maria Beatrice Bacci, Marta Zangheri, Irene Zoppi Collaborazione organizzativa Irene Zoppi Hanno collaborato Alessandra Anichini, Maria Beatrice Bacci, Matteo Borri, Paola Capitani, Dala Giorgetti, Liliana Giusti, Carlo Mariani, Giuseppe Moscato, Caterina Orlandi, Silvia Panzavolta, Stefania Petrilli, Marta Zangheri, Irene Zoppi, Antonella Zuccaro Progetto di allestimento Progetto grafico e Immagine coordinata Gabriele Pieraccini Realizzazione allestimento Archilab Restauro delle fotografie storiche Vieri Pestelli e Gabriele Pieraccini Stampe fotografiche Foto Pastrengo Revisione testi Fabiana Bertazzi, Costanza Braccesi, Vanessa Palmiero, Luca Rosetti Crediti e selezione fotografie contemporanee Giuseppe Moscato Crediti fotografie oggetti delle collezioni museali Lorenzo Guasti, Claudio Lacoppola Fotografie storiche Archivio fotografico Indire Immagini dei testi Fondo librario Antiquario Indire Materiali esposti Archivio Storico Indire; Istituto tecnico “L. da Vinci” (Fi); Liceo classico “N. Machiavelli” (Lu) Comunicazione Francesco Kamel Ufficio stampa Patrizia Centi Eventi Luisa Ingrassia, Silvia Salvadori, Federica Toci Mostra promossa da INDIRE - Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa CITTÀ METROPOLITANA DI FIRENZE Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire Firenze, Palazzo Medici Riccardi 2-22 ottobre 2015


© 2015 Indire, Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa. Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dell’autore e dei proprietari dei diritti. Tutti i testi, ove non diversamente specificato, sono di Pamela Giorgi e Francesca Pizzigoni. Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa Via Michelangiolo Buonarroti 10, Firenze www.indire.it Stampato in Italia ISNB 978-88-99456-01-6


Catalogo della mostra Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire a cura di PAMELA GIORGI


6 L’Indire compie novant’anni. Era, infatti, il 1925 quando veniva inaugurata la Mostra didattica voluta da Giuseppe Lombardo Radice. Non una mostra qualunque, ma un vero e proprio punto di arrivo – o, a ben guardare, di partenza - che aveva bisogno di essere condiviso e comunicato alla comunità scolastica. I profondi cambiamenti introdotti dalla Riforma Gentile venivano presentati attraverso le esperienze delle ‘scuole nuove’, di quegli istituti e insegnanti che cercavano di mettere al centro della scuola lo studente, trasformando lo studio mnemonico, la ripetizione del libro di testo - che la faceva da padrone in quegli anni - in un’esperienza di costruzione e di sperimentazione, di osservazione diretta, di manipolazione. Tutta ‘la scuola nuova’ per Lombardo Radice è un laboratorio: « […] si può dire che un po’ tutte le scuole italiane sono diventate laboratorio […]. La Riforma capovolge letteralmente la tradizione didattica, trasportando l’interesse dal maestro allo scolaro»1 . Questa attenzione allo studente richiede che gli insegnanti siano autorevoli. «Nessuno è autorevole per ragioni estrinseche. Non c’è diploma che conferisce l’autorità»2, per questo i Programmi diventano ‘indicazioni’, con l’obiettivo di dare centralità dello studente. Non è casuale che nello stesso anno, il 1925, a Siena si tenga una mostra di disegno infantile e a Bologna un’esposizione nazionale del linguaggio grafico infantile. Si trattava di novità considerevoli, visto che prima del ’23 le mostre didattiche non avevano mai considerato - come affermava Lombardo Radice - l’opera dello studente, bensì quella del maestro e degli amministratori delle scuole. Mi ha sempre colpito l’accorata difesa che Lombardo Radice fece della sua collaborazione con Gentile dopo aver preso le distanze dal Fascismo. Una difesa che oggi può suonare ingenua e forse anche un po’ retorica, ma che ben testimonia la tensione di quegli anni e di quel gruppo di intellettuali: «Chi scrive non è un neutralista dell’azione politica ma un militante fuori quadro


7 che non è riuscito mai ad inserirsi nei partiti e che ha dato al governo d’Italia, comunque fosse rappresentato dai governi, il meglio delle sue forze perché la nuova generazione crescesse migliore della nostra. A nessun partito siamo legati. Il nostro partito è la scuola; è stato in ogni tempo la scuola, cioè l’Italia di domani. Per questo partito ideale, superiore alle parti, chi scrive arrivò a rinunciare alla propria scuola per trasformarsi durante un anno e mezzo in burocratico […]. Il bene che un uomo può fare è soprattutto nell’evitare la maggiore quantità di male possibile»3. E fu proprio questo sentirsi componenti del ‘partito della scuola’ da parte di tanti insegnanti che ostacolò quell’opera di fascistizzazione che il Regime, rendendosi conto di essere tenuto fuori dalle aule scolastiche, cercò affannosamente di avviare. La Mostra didattica del 1925, da cui inizia questo racconto lungo quasi un secolo, nasce quindi per documentare e sostenere una profonda ‘innovazione’. È questa una parola che nella storia della scuola compare in modo ricorrente, associata di volta in volta a una pratica didattica, a una ‘tecnologia’, all’esperienza di un insegnante o di un pedagogista. Quando, nelle diverse epoche, quest’innovazione si è legata a una specifica tecnologia, a un modello o a un metodo e ha finito per identificarsi totalmente in uno di questi, ha avuto vita breve. A riguardarle oggi, in mostra, queste tecnologie e queste innovazioni ci strappano un malinconico sorriso: le prime imponenti radio intorno alle quali si raccoglievano le classi delle scuole rurali, le ‘filmine’ degli anni 50, il cinema scolastico, i torni meccanici che campeggiavano imponenti nei laboratori degli istituti professionali (tanto celebrati dal Regime fascista), erano i primi evidenti simboli di una nuova società industriale che si voleva affermare e che comunicava il suo orgoglio fin dentro le aule della scuola. Ma nella mostra che sarà allestita tra altri 90 anni – perché non vedo come l’uomo possa fare a meno della scuola – certamente i visitatori avranno lo stesso sorriso nostalgico guardando le Lavagne Interattive Multimediali e i tablet, per noi oggi moderni strumenti di rinnovamento nella


8 didattica. D’altra parte già oggi, per noi, le prime LIM, quelle che solo pochi anni fa confondevamo con le ‘lavagne luminose’ tanto erano inedite, fanno già un po’ sorridere. L’innovazione non sta in questi strumenti o nei diversi metodi di insegnamento, così come la storia non sta nel rapido susseguirsi di avvenimenti e personaggi. Sotto questi ‘fuochi di artificio’ c’è un racconto di lungo periodo, una trama più profonda che suggerisce un senso e un percorso diverso, un altro modo di leggere la Mostra. Le ‘scuole nuove’, quelle per le quali nasce la Mostra didattica del 1925, hanno al centro del loro progetto lo studente. Sono loro che trasformano lo studio mnemonico e la ripetizione ‘a pappagallo’ del libro di testo in un’esperienza di costruzione e sperimentazione, di osservazione diretta, di manipolazione e di costruzione del senso critico4. Questa concezione della scuola come ‘ambiente di apprendimento’, in cui l’attività dello studente è al centro, ricompare più volte dal 1925 a oggi. Questi tentativi di trasformazione dell’ambiente educativo e della didattica si sono scontrati però sempre con un mondo costretto a usare costantemente la carta, il testo scritto, gli ‘oggetti’. Una ‘materialità’ che ha fino a oggi imposto confini precisi alla possibilità di fondare l’apprendimento sull’esperienza diretta. E questa è stata anche la ragione per cui queste idee pedagogiche hanno dato origine a movimenti, metodi e iniziative quasi esclusivamente nella scuola elementare. Molto meno nella scuola media e quasi per niente nelle superiori dove la lezione, il libro e la scrittura (a loro volta due tecnologie) hanno sempre regnato incontrastate. Via via che ci si allontanava dalla possibilità di fare un’esperienza diretta e su questa basare un processo di costruzione delle conoscenze, tutto diventava più difficile e astratto e non sono stati certamente quei pochi laboratori di fisica o chimica nelle scuole superiori, spesso chiusi a chiave, ad accorciare questa distanza.


9 Oggi la radicale trasformazione del mondo, lo sviluppo della società della conoscenza, la rivoluzione digitale, l’accelerazione data dall’elettronica influenzano il nostro modo di comunicare, di lavorare, di vivere e offrono alla scuola una grande opportunità: realizzare un ‘ambiente di apprendimento’ mettendo al centro l’attività dello studente e la possibilità di sviluppare le sue competenze. Oggi è questa la sfida che la scuola ha davanti e questo è il senso che deve assumere la parola ‘innovazione’. In fondo abbiamo davanti lo stesso scenario di novant’anni fa: ‘scuole nuove’ (ad esempio quelle aderenti al movimento delle Avanguardie Educative) che cercano di distaccarsi da un modello di trasmissione della conoscenza fondato su basi ‘tayloristiche’. Le condizioni contemporanee sono molto più favorevoli per realizzare questa rivoluzione: il modello scolastico così come lo conosciamo noi, infatti, è ormai attraversato da un pericoloso corto circuito. Con sempre maggiore fatica gli insegnanti continuano a usare un metodo prevalentemente storico-narrativo per tutte le materie: l’insegnante di lettere ‘racconta’ la Storia in modo del tutto analogo al suo collega che spiega la Matematica, la Chimica o la Storia della filosofia. La continua ‘ri-mediazione’ del libro, cui si rinvia per il lavoro a casa e che l’insegnante ripropone attraverso la sua lezione, è il centro della pratica educativa e rappresenta perfino il pilastro del contratto di lavoro degli insegnanti in Italia (18 ore di cattedra). Questo modello trasmissivo è ormai fuori tempo. Gli studenti che oggi si siedono in classe sono profondamente diversi da quelli che solo una ventina di anni fa sedevano agli stessi banchi. Diversi sono il contesto, le tecnologie, i linguaggi, le curiosità e gli interessi e diverso è soprattutto quello che li attende fuori. Per non parlare della totale disconnessione tra scuola e mondo del lavoro, ormai così distanti da non essere più in grado di parlarsi. Tutto questo sta travolgendo rovinosamente il modello di scuola così come l’abbiamo conosciuto. Occorre una rivoluzione che abbia la stessa forza dirompente e gli stessi obiettivi di quella cui faceva riferimento


10 Lombardo Radice e che oggi i linguaggi digitali e gli sviluppi tecnologici possono contribuire finalmente a rendere possibile. Non basta però un’accelerata sulle tecnologie. Non è di ‘scuola digitale’ che abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di ‘scuola nuova’, di un nuovo modello didattico che richiede la trasformazione del tempo e dello spazio. Sono in discussione le architetture scolastiche (più che l’edilizia), gli arredi, gli orari, la divisione artificiosa del tempo dell’apprendimento tra scuola e casa, gli strumenti di lavoro, i manuali scolastici, i laboratori e così via. La chiave di questo cambiamento è, come nel 1925, un profondo ripensamento della modalità di costruzione delle conoscenze e dello sviluppo delle competenze: è un intero modello educativo ad essere in discussione. Al di fuori di questo contesto di riorganizzazione complessiva, anche le Flipped classroom, i contenuti digitali e le più recenti stampanti 3D perdono la loro carica innovativa. Noi diciamo spesso che una LIM non cambia la scuola, così come non la cambiano il Debate o il TEAL, ma che la scuola può cambiare grazie alle potenzialità che questi strumenti e metodologie offrono. Una rivoluzione che non dobbiamo dimenticare ha trasformato, ormai da anni, tutti gli ambienti di lavoro, di produzione e di ricerca entrando nelle nostre abitudini e nelle nostre case. Questa straordinaria continuità di obiettivi si può trovare nella mostra parallela e strettamente collegata a quella sui 90 anni dell’Indire, dedicata a Mario Lodi. Mario, oltre a essere stato uno dei componenti del primo Consiglio di Amministrazione dell’Indire, è stato uno dei tanti esempi di insegnante che ha fatto propria questa ‘visione rivoluzionaria’ nella quale i ragazzi sono i veri protagonisti. Ha dedicato tutta la sua vita a loro, ha scritto libri per loro, ha raccontato agli insegnanti italiani come si può costruire un ambiente educativo studiato per i ragazzi e centrato su di loro.


11 La mostra offre la possibilità di fare una passeggiata dentro la scuola italiana dell’ultimo secolo tra grembiuli neri e bianchi, grandi fiocchi blu e rosa, pennini e calamai, gessi e lavagne, banchi e cattedre. E poi i giornali: quelli per le bambine, il più maschile “Corriere dei piccoli” e la letteratura per l’infanzia, una finestra su un mondo fantastico che ancora la televisione non aveva invaso e che permetteva di addormentarsi sognando fate turchine e mostri marini. Siamo riusciti a ricostruire quel mondo attraverso le straordinarie fotografie dell’Archivio Storico Indire. Un giacimento unico in Italia che documenta l’evoluzione e la storia della nostra scuola. Un patrimonio che speriamo di poter mettere a disposizione di tutti costruendo un Museo della scuola, fatto di documenti, libri, manoscritti, incunaboli, cinquecentine, editoria scolastica, libri per ragazzi che rendono vivo il racconto, gli danno forma e colore e riescono a trasmettere quell’’odore di scuola’ che chi ha fatto l’insegnante riconosce subito. L’Indire compie 90 anni, certamente un’età considerevole. Novant’anni di cultura e studio, di passione e lavoro che non ci hanno invecchiato ma, al contrario, ci hanno fornito gli strumenti per continuare a guardare lontano, ‘sulle spalle dei giganti’. GIOVANNI BIONDI Presidente dell’Indire 1. G. Lombardo Radice, La scuola attiva nella Riforma Gentile, ”L’Educazione Nazionale”, IX, 1927, 1, pp.20-22 2. E. Codignola, Il problema dell’educazione nazionale in Italia, Firenze, 1925, p.305 3. G. Lombardo Radice, Accanto ai maestri. Nuovi saggi di propaganda pedagogica, Torino, Paravia, 1925. 4. G. Biondi, F. Imberciadori, …Voi siete la primavera d’Italia... L’ideologia fascista nel mondo della scuola (1925-1943), Torino, Editore Paravia, 1982.


12 “La Scuola non sarà forse come noi la intendiamo ora, con la cattedra e i banchi, ma sarà piuttosto un teatro, una biblioteca, un museo […] Le scuole non esisteranno più se gli alunni non ne avranno bisogno e se noi non sapremo renderle interessanti” L. Tolstoj (1861) 1 La Mostra Didattica Nazionale del 1925, da cui ha origine l’Istituto Nazionale di Documentazione Innovazione e Ricerca Educativa (Indire), nasce per offrire agli insegnanti la possibilità di toccare con mano l’innovazione a scuola. L’attivismo pedagogico cui si riferiva Giuseppe Lombardo Radice, principale promotore della Mostra, già allora tendeva alla preparazione di un ambiente didattico rinnovato che consentisse l’azione diretta sulla realtà dell’alunno, vista come elemento evolutivo più efficace dell’educazione di modello tradizionale. L’Istituto fiorentino sviluppatosi all’indomani della Mostra, seppure negli anni abbia cambiato tante denominazioni, è rimasto fedele ai propositi iniziali, tenendo vive tutte le proprie naturali ‘inclinazioni’. Ovvero: l’interesse per l’innovazione, per le nuove tecnologie, per quei metodi non puramente trasmissivi del sapere, per la valorizzazione della dimensione del ‘fare’ a scuola. Sovente quella parte di scuola italiana che ha sentito l’esigenza di confrontarsi con diverse esperienze, per integrare e arricchire il proprio bagaglio professionale e aprire le finestre sulle novità, ha fruito con entusiasmo delle possibilità offerte dall’Istituto fiorentino, anticipatore dell’introduzione progressiva di molti elementi di radicale innovazione in ambito didattico, sia a livello nazionale sia internazionale. 1. L’educazione e la cultura, in L. Tolstoj, La scuola Jasnaja Poljana, Bergamo, Minerva Italica, 1965, p. 145


13 Rispetto alle risorse messe in campo in un primo momento, la struttura dell’Istituto è stata progressivamente ampliata, per gestire crescenti moli di lavoro e informazioni richieste da scuole e istituzioni. Anche per far fronte a questo, negli ultimi tempi, ci siamo dedicati alacremente a rafforzare l’apparato amministrativo dell’Istituto, per farne una struttura agile e idonea a rispondere alle esigenze crescenti del mondo della scuola, dell’educazione e della ricerca. L’evoluzione della rete e delle ICT hanno consacrato le scelte compiute all’inizio degli anni Ottanta in modo pioneristico e, per taluni, azzardato: oggi nuovi linguaggi e metodologie di rappresentazione delle conoscenze offrono sviluppi ulteriori a quel primo approccio alla didattica. Ma questi enormi mutamenti hanno lasciato vivo il focus degli esordi: la scuola deve educare, formare, far diventare i ragazzi veri cittadini e tutti gli strumenti, qualsiasi essi siano, devono concorrere a renderne più efficace l’apprendimento. Tutto deve contribuire a una didattica nuova, che permetta ai ragazzi di confrontarsi con problemi complessi, mettendo in campo i loro saperi, spingendoli a misurarsi con compiti di realtà in cui dimostrare le competenze acquisite. Per questo, anche se molte cose sono certamente diverse rispetto a 90 anni fa, vi sono esperienze del passato che fanno da modello e che è importante ripercorrere, seppure rapidamente. Di esse è testimone la documentazione conservata nel nostro archivio storico e in questa occasione esposta nella mostra “Radici di futuro. L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire”. Benché il tempo attuale ci ponga di fronte a nuove enormi possibilità tecnologiche - che consentiranno, si auspica, di fare di più - ribadire l’esistenza di un fil rouge con il mandato originario è importante per favorire la consapevolezza della nostra identità e del nostro valore culturale all’interno del sistema scolastico italiano. FLAMINIO GALLI Direttore Generale dell’Indire


‘Si impara a fare con il fare’ 16 L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni di Indire 18 La didattica attiva in mostra: Firenze 1925 24 Alcuni dettagli poco noti sulla Mostra Didattica Nazionale del 1925 30 Il lavoro attivo nell’istruzione tecnica e professionale 40 Istruzione professionale: una diversa dimensione del ‘fare’ a scuola 47 La scuola agraria e le innovazioni tecnologiche 58 La documentazione fotografica della scuola nell’archivio Indire 62 La scuola attiva del dopoguerra 68 Dal sussidiario al ciclostile: tracce di storia di libri di scuola 72 Brevi cenni alle banche dati della Biblioteca di Documentazione Pedagogica e dell’Indire 86 L’evoluzione del disegno 88 [me·ta·mòr·fo·si]: il passato e il presente, cambiamenti in atto 92 La sezione di letteratura giovanile dell’Istituto 116 Alcuni estratti dal Fondo Antiquario di ‘Letteratura Giovanile’ dell’Indire 119 Catalogo illustrato 133 Schede biografiche degli illustratori 165 Bibliografia 172 L’aiuto, Scuola elementare C. Battisti, Soliera (MO), anni Cinquanta. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


16 ‘SI IMPARA A FARE CON IL FARE’ Dalla Mostra Didattica Nazionale (1925) a oggi attraverso l’Archivio Storico Indire di PAMELA GIORGI Il percorso espositivo Radici di futuro. L’Innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire (Firenze, Palazzo Medici Riccardi, 2-22 ottobre 2015) vuole celebrare i 90 anni dalla nascita del nostro primo antecedente istituzionale. Nel 1925, infatti, si inaugurava la Mostra Didattica Nazionale di Firenze, promossa dai pedagogisti Giuseppe Lombardo Radice e Giovanni Calò, con lo scopo di porre l’attenzione sui metodi didattici innovativi legati all’attivismo e tesi a mettere in discussione i modelli di insegnamento tradizionali. Ben lungi dal volere essere esaustivi relativamente alla storia del sistema scolastico italiano nel lungo corso del Novecento e nell’impossibilità di ripercorrere puntualmente tutte le numerose attività svolte nei decenni dall’ente fiorentino, si è optato per mettere in luce un particolare aspetto della vita scolastica: si tratta specificamente di quello che, come testimonia l’Archivio Storico Indire1 , ha sempre visto il nostro Ente protagonista e che fa da fil rouge tra il passato e il presente, ovvero, il sostegno ai modelli non puramente trasmissivi del sapere. Attraverso i materiali fotografici e documentari dell’Archivio Storico Indire e i vari oggetti provenienti da collezioni museali scolastiche2, la mostra intende porre l’attenzione su alcuni aspetti della didattica attiva, promossa in quelle esperienze critiche rispetto alla scuola tradizionale (passiva, formalistica, incapace sovente di adeguarsi alle esigenze peculiari degli alunni) e sostenitrici di un nuovo tipo di educazione basata su una fondamentale idea-guida: lo studente sta al centro con le sue naturali esigenze e i suoi interessi. Tale visione educativa mirava a stimolare la crescita dell’alunno attraverso attività concrete (quali ad esempio il lavoro manuale e il gioco educativo) vissute sempre in prima persona: ‘si impara a fare col fare’.


17 Laddove, come nella seconda e terza stanza del percorso espositivo, si incontrano esperienze di ‘fare’ legate all’istruzione tecnica superiore, è bene tenere presente che, a differenza dell’istruzione primaria, il taglio laboratoriale in quest’ordine di scuola era finalizzato principalmente al raggiungimento di competenze utili al lavoro. Trattando il ‘fare’ a scuola emerge un altro tema che è stato presenza costante nello sviluppo del sistema educativo e nelle attività dell’Ente fiorentino: l’innovazione tecnologica. Appare evidente come ogni periodo storico, in maniera commisurata rispetto agli strumenti tecnico scientifici disponibili e ai bisogni del momento, abbia fatto e cercato di fare innovazione. Un cenno, infine, alla particolare scelta di allestire la mostra Radici di futuro nella sede di Palazzo Medici Riccardi: proprio qui venne ospitata, nel 1925, la sezione della Mostra Didattica Nazionale dedicata alla storia dell’istruzione e presieduta da Salomone Morpurgo, filologo, insigne rappresentante del mondo culturale italiano e Direttore dal 1905 al 1923 della Biblioteca Nazionale di Firenze. 1. P. Giorgi, J. Meda (cur.), L’Archivio Storico Indire, Firenze, Polistampa, 2009, (Quaderni di Archimeetings; 22). 2. Collezioni museali: Istituto L. da Vinci (Firenze) e Liceo N. Machiavelli (Lucca).


18 L’INNOVAZIONE A SCUOLA ATTRAVERSO I 90 ANNI DI INDIRE di PAMELA GIORGI e FRANCESCA PIZZIGONI È ormai consuetudine diffusa, anzi possiamo dire che appartiene alla quotidianità, sentir parlare di ‘innovazione’ all’interno del mondo scolastico. A ben guardare, però, molto spesso ognuno declina questo termine secondo un’accezione per lo più soggettiva: ma cosa si intende per ‘innovazione’? E quando nasce? Usando la lente offerta dal ricco e prezioso Archivio Storico dell’Indire e seguendo dunque le vicende dell’Ente, si intende offrire un’ulteriore interpretazione del concetto di innovazione, suggerita proprio dai documenti conservati, che consentono oggi di disporre di una fotografia, anno per anno, della scuola italiana: l’innovazione a scuola è sempre esistita, non è solo cosa di oggi. Ogni periodo, con le sue possibilità, i suoi bisogni, le strumentazioni tecnico-scientifiche disponibili, ha fatto o cercato di fare ‘innovazione’. L’attivismo è innovazione, la scuola all’aperto è innovazione, l’introduzione in classe di proiezioni luminose, radio e televisione è innovazione, così come lo sono i giornalini scolastici o i primi laboratori con rudimentali computer. Semplicemente, accanto all’aggettivo ‘innovativo’, muta nel tempo il sostantivo cui è abbinato: l’oggetto che in un determinato tempo appare innovativo, in un momento successivo appare velocemente desueto. Poche, infatti, sono quelle innovazioni capaci di travalicare il tempo e lo spazio e di rimanere attuali o addirittura di trasformarsi in pietre miliari. Ciononostante, a nostro avviso si può affermare a pieno titolo che ogni momento storico ha avuto la sua innovazione. Tale sforzo innovativo e di sperimentazione nella storia della scuola italiana è ben percepibile ripercorrendo i 90 anni dell’Ente che ha sempre cercato di dare


19 non solo pronta risposta ai bisogni della scuola, ma anche di precorrere i tempi, offrendo suggerimenti sia riflessivi-formativi che tecnico-operativi utili a scardinare lo status quo, per tendere a un miglioramento. Oggi l’Indire lo fa attraverso i numerosi temi affrontati nel progetto Avanguardie Educative, per esempio, ma l’intera storia dell’Ente è costellata da momenti di ‘avanguardie’. Già solamente fugaci sguardi nella pluridecennale storia dell’Ente permettono di cogliere il suo ruolo centrale nella storia dell’innovazione. Come evidenzia la carrellata di immagini proposte in mostra, precoce e fuori dal consueto è l’attenzione dell’Istituto nei confronti dell’istruzione tecnica e - aspetto ancora meno consueto – di quella femminile: del marzo 1948 è il Convegno per l’istruzione professionale femminile e di magistero professionale per la donna. Quattro anni dopo il Centro Didattico Nazionale, attraverso un convegno, focalizza per tre giorni l’attenzione sulla situazione dell’istruzione superiore femminile, segnatamente negli istituti tecnici e di magistero professionale. Nello stesso periodo la sperimentazione e l’attenzione alle ‘nuove tecnologie’ si esplicita con il Convegno nazionale di cinematografia scolastica nel 1950 che ha lo scopo, negli intenti del presidente Gozzer, di riallacciare uno stretto rapporto tra il Centro e gli insegnanti1 . Da quell’anno in poi aumentano esponenzialmente i corsi di aggiornamento rivolti agli insegnanti, sempre mantenendo alta l’attenzione verso temi di pregnante interesse e attualità, come attestano le sezioni di studio dedicate agli alunni ‘deficienti e anormali psichici’, all’edilizia scolastica e alla storia dell’istruzione. Del 1951 è anche la creazione, nel giardino dell’Ente, di una scuola sperimentale, dotata di corsi per le elementari e per la scuola dell’infanzia. Di assoluto rilievo è altresì l’attenzione che l’Ente dedica al libro per l’infanzia intesa come promozione alla lettura, ma anche come considerazione verso l’illustrazione e la grafica. Lo dimostra il fatto che Palazzo Gerini, accanto a numerosi convegni dedicati al tema, ospita la BIR (Biennale di Illustrazione per Ragazzi) in cui vengono esposte tavole di illustratori italiani e internazionali dedicate ai libri per l’infanzia. Sono le stesse espressioni artistiche dei


20 Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire ragazzi a essere valorizzate: basti pensare ai numerosi concorsi promossi, tra cui si ricorda nel 1953 il Concorso internazionale per illustrare un’edizione de Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi. La letteratura per l’infanzia ha anche rappresentato un importante canale di apertura verso l’estero, aspetto che ha caratterizzato l’istituzione fin dai suoi primi anni di vita e che ritrova negli anni Cinquanta grande enfasi: è del 1950 Education under eleven, mostra del libro scolastico e di lettura inglese, mentre otto anni dopo il centro fiorentino ospita il congresso dell’International Board on Books for Young people (IBBY). Tale volontà di scambio, studio incrociato e conoscenza della scuola europea troverà negli anni Ottanta un ulteriore significativo consolidamento con la nascita di Eurydice, l’Unità italiana della rete di informazione sull’istruzione in Europa. Essa incarna, rispetto alla storia dell’Indire, un esempio saliente all’interno di quella sorta di continuum che dalle prime corrispondenze con l’estero promosse dal Museo della Scuola, arriva fino alla promozione di European Schoolnet, una rete di 31 Ministeri dell’Educazione europei volta a promuovere l’innovazione nell’insegnamento e nell’apprendimento. Senza voler qui riassumere tutti i contenuti esposti in mostra o voler proporre un sunto della storia dell’Ente, è utile osservare come lo storico presidente del Centro Didattico Nazionale, Enzo Petrini, nell’avviare i lavori di un convegno dedicato al teatro a scuola presenti il Centro stesso come «animatore ma anche sperimentatore in settori di punta, così come in questioni nuove e problematiche […]. Centro che ha saputo costituire la più ricca fonte di documentazione pedagogica e di informazione didattica»2. Al servizio del rinnovamento della scuola è il titoletto con cui nel 1978 Carlo Arturo Giannelli apre l’opuscolo dedicato alla presentazione della Biblioteca di Documentazione Pedagogica e dei suoi precedenti e, nuovamente, Sperimentazione e innovazione scolastica oggi è l’articolo di apertura del primo numero di “Informazione e Innovazione”, il trimestrale realizzato a partire dal 1987 dalla Biblioteca di Documentazione Pedagogica insieme all’allora Ministero della Pubblica istruzione. Lo stesso numero rende conto (in un articolo a


21 L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni di Indire firma di Giovanni Biondi) delle prime esperienze di elaborazione elettronica di repertori bibliografici e di automazione della documentazione, oltre ad avanzare una proposta di un modello standardizzato per l’automazione delle biblioteche. Negli ultimi decenni, poi, modelli innovativi di formazione (basti pensare al progetto PuntoEdu), sperimentazione di nuove tecnologie in classe e delle metodologie a esse correlate, attenzione al setting e all’ambiente formativo, sono stati progetti di punta dell’Ente e hanno mantenuto alta questa specificità, tesa a indagare nuovi modelli scolastici. E ancora, nei documenti programmatici contemporanei è immediato cogliere il medesimo intento: azioni di miglioramento, studio di asset innovativi, sperimentazioni laboratoriali, nuove forme di aggiornamento per docenti, dirigenti e personale della scuola, nuovi ambienti formativi, metodologie innovative, mondi virtuali, coding, nuove tecnologie, istruzione tecnico-professionale, istruzione degli adulti, interventi specifici rispetto a esigenze particolari del mondo della scuola, sono solo alcune delle parole-chiave ricorrenti. I termini ‘innovazione’, ‘sperimentazione’, ‘rinnovamento’ hanno dunque saldamente accompagnato le varie fasi di vita dell’Ente, dalla Mostra Didattica Nazionale del 1925 all’attuale Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa. È proprio questo pertanto il filo che lega le varie parti della mostra. Con tale sguardo, le varie sezioni approfondiscono differenti filoni tematici, che vanno altresì a intrecciarsi con la scansione temporale di questi 90 anni di vita dell’Ente. Innovazione metodologica, innovazione attraverso il laboratorio, innovazione attraverso le nuove tecnologie sono i principali temi trattati. Questa già ampia (ma molti altri casi si potrebbero citare) rassegna di aspetti innovativi nella storia dell’istruzione non deve però trarre in inganno: quello che si propone in mostra non è la storia della scuola italiana nel suo insieme, ma solo un volto di essa. E più precisamente il volto che l’Archivio Storico Indire rimanda e che è la perfetta cartina di tornasole degli interessi dell’Ente, della sua identità e missione: i momenti innovativi e le sperimentazioni.


22 Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire Non significa certo che nella scuola italiana, durante gli ultimi 90 anni, non siano più esistiti il modello trasmissivo o ambienti didattici tradizionali. Semplicemente, così come ogni collezionista conserva quello che ai suoi occhi è, per un motivo o per un altro, degno di essere collezionato e così come ogni famiglia stratifica oggetti e documenti che, per giudizio soggettivo, meritano di essere mantenuti, così ogni ente applica un filtro in base a quelli che sono i suoi scopi istituzionali. Il filtro applicato dall’Indire è evidente: tra tutto il materiale inviato dalle scuole e, ancor di più, tra quello direttamente richiesto dall’Istituto attraverso concorsi, circolari, giornate di studio, a essere conservato con più attenzione è soprattutto quello inerente alla sperimentazione di nuovi metodi o di nuovi strumenti didattici. L’Archivio Storico Indire permetterebbe di esporre e approfondire molto più di quanto ragioni di spazio abbiano consentito di fare in questa mostra; tuttavia, a ben guardare, non di più serviva per permettere di cogliere la traccia da sempre sottesa alla storia dell’Ente. Allo stesso tempo, l’illustrazione degli innumerevoli progetti che oggi l’Indire promuove non può esaurirsi in maniera esaustiva in una sala, ma è sufficiente per rendere evidente la volontà dell’Istituto di continuare a innovare con un ruolo da protagonista nel mondo della scuola, di ‘gettare il cuore oltre l’ostacolo’ guardando al futuro e sostenere il cambiamento e il miglioramento, conservando l’identità del passato e continuando a guardare avanti. Semplicemente Radici di futuro. 1. Cfr. Dagli Annali del Centro, in Precedenti storici della Biblioteca di Documentazione Pedagogica, Firenze, 1978, p. 7. 2. Mostra Nazionale del Teatro per ragazzi, a cura di M. Signorelli, catalogo della Mostra (Firenze, 5 - 22 dicembre, 1967), Firenze, CDNSD, 1967, pp. 3-4.


23 Passi di danza, Scuola d’infanzia del Giardino di Palazzo Gerini, Firenze, 1951. Foto Bazzechi, Firenze. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire CAPITOLO 1 LA DIDATTICA ATTIVA IN MOSTRA: FIRENZE 1925


1.1 Lezione all’aperto sotto l’albero, anni Venti. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. Al metodo d’insegnamento tradizionale, fondato principalmente sulla trasmissione del sapere da parte del docente, si affianca la scuola del ‘fare’, ovvero quella la cui metodologia ha come fondamento l’attivazione dell’alunno attraverso lo svolgimento di attività concrete per stimolarne l’apprendimento e la crescita. La lezione non deve essere eliminata, ma la si farà con la ‘desiderata’ collaborazione degli alunni. Questo approccio pedagogico vede la sua ufficiale affermazione, in Italia, nell’ambito del dibattito sulla scuola attiva, che ha tra gli animatori Giuseppe Lombardo Radice (1879-1938). Egli riveste, al principio degli anni Venti la carica di Direttore Generale al Ministero dell’Istruzione ed è personalità chiave nell’ideazione della grande Mostra Didattica Nazionale di Firenze del 1925, da cui ha avuto origine l’Indire. I materiali pervenuti dalle scuole di tutta Italia a Firenze nell’occasione della Mostra dimostrano come fosse alta, già allora, l’attenzione per la ‘tecnologia scolastica’.


26 Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire A LEZIONE IN MODO TRADIZIONALE LE ALUNNE ASCOLTANO La fotografia mostra un modello classico di aula scolastica in cui si svolge una lezione frontale: il docente parla e le alunne ascoltano, sedute in modo composto nei banchi. Questo metodo d’insegnamento si basa su una didattica affidata completamente alle conoscenze dell’insegnante e alla sua capacità di farsi comprendere e di suscitare interesse. 1.2 1.2 A lezione in modo tradizionale, Regia Scuola Complementare “Maria Laetizia”, Torino, anni Venti. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 1.3 Didattica all’aperto: apprendere nell’orto scolastico, Scuola “Vittorio Emanuele III”, Firenze, anni Venti. Foto F. Barsotti, Firenze. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


27 La didattica attiva in mostra: Firenze 1925 DIDATTICA ALL’APERTO APPRENDERE NELL’ORTO SCOLASTICO La scuola del ‘fare’ vede la sua ufficiale affermazione nell’ambito del dibattito sulla scuola attiva, che nasce, a sua volta, all’interno della corrente delle Scuole Nuove, tese a una didattica fondata in prevalenza sull’esperienza diretta e sulla centralità dell’individuo. Questo approccio introduce nella pratica didattica molte attività inconsuete rispetto al metodo tradizionale, tra cui, ad esempio, l’orto scolastico e le lezioni all’aperto di cui si trova ampia testimonianza nell’Archivio Storico Indire. Tra gli animatori di questo rinnovamento della pedagogia in Italia vi è Giuseppe Lombardo Radice (1879-1938), personalità centrale nell’ideazione della grande Mostra Didattica Nazionale di Firenze del 1925, da cui ha avuto origine l’Indire. 1.3 LA DIDATTICA ATTIVA IN MOSTRA A partire dagli anni Venti, proprio i principali fautori in Italia dell’attivismo pedagogico, tra cui Giuseppe Lombardo Radice che riveste in quegli anni la carica di Direttore Generale al Ministero della Pubblica Istruzione, intuiscono come la didattica attiva da loro sostenuta necessiti di essere mostrata alla collettività per facilitarne la comprensione e per far conoscere come si insegna e come si apprende: si avviano così in tutto il Paese iniziative di mostre didattiche locali. 1.1 1.4 1.4 Lezione all’aperto nel pollaio, Ente pugliese di Coltura di Bari, Casa dei Bambini, Pietragalla (PZ), anni Venti. Foto Cav. M. Ficarelli, Bari. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


28 Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire 1.5 Imparare osservando: a lezione di sbalzo, Scuola elementare “G. Mazzini”, Firenze, anni Trenta. Foto Italia, Firenze. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


29 La didattica attiva in mostra: Firenze 1925 LA MOSTRA DIDATTICA NAZIONALE DI FIRENZE DEL 1925 La più importante tra le numerose mostre didattiche degli anni Venti è quella nazionale che si inaugura a Firenze nella primavera del 1925. Le prime notizie a riguardo appaiono sin dal 1922 sulla rivista “I diritti della scuola”. Qui sono presenti riferimenti alle finalità dell’esposizione: «Illustrare e documentare il processo di rinnovamento della didattica in Italia e all’estero». Per tale motivo gli organizzatori chiedono alle scuole di tutta Italia l’invio di materiale iconografico, in forma di disegno, di pittura, di grafica e soprattutto di fotografia. L’acquisizione di materiali proseguirà anche all’indomani della chiusura della Mostra. 1.5 1.6 1.7 1.8 1.6 Lezione all’aperto con gli animali: colloquio con Rosabella, Scuola all’aperto “Casa del Sole”, Milano, anni Trenta. Vera Fotografia, Milano. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 1.7 Insegnamento di aritmetica tra pari col pallottoliere, Scuola elementare “G. Capponi”, anni Trenta. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 1.8 Apprendere con un’esperienza diretta di lavoro manuale: nel frantoio, Scuola elementare “G. Mazzini”, Firenze, anni Trenta. Foto Italia, Firenze. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


30 Approfondimento Alcuni dettagli poco noti sulla Mostra Didattica Nazionale del 1925 di PAMELA GIORGI E FRANCESCA PIZZIGONI Il 17 novembre 1924 Salomone Morpurgo, ex Direttore della Biblioteca Nazionale di Firenze, inviava all’archeologo e storico dell’arte Corrado Ricci1 il programma della Mostra Storica interna alla Mostra Didattica Nazionale che si sarebbe tenuta a Firenze l’anno seguente. Il proposito dei promotori del grande evento fiorentino, tra cui spiccava in qualità di Presidente generale l’onorevole Giovanni Calò, filosofo e pedagogista, era quello di rinnovare tecnica e pratica educativa, secondo i princìpi di una didattica intesa come esperienza attiva, presentando le migliori pratiche prodotte nelle varie realtà scolastiche e indicandole agli insegnanti quali modelli cui ispirarsi2. «Illustre signore, trasmetto e vivamente raccomando alla sua attenzione, l’incluso programma della Mostra Storica della Scuola Italiana, che si terrà in uno dei quartieri monumentali del Palazzo Medici Riccardi e nelle contigue sale della Riccardiana, nel prossimo Marzo-Aprile 1925. Insieme con i colleghi del comitato ordinatore oso confidare che dalla sua dottrina e cortesia potrà venire non piccolo aiuto alla Mostra, solo che Ella voglia considerare, in calce al programma le varie categorie che devono concorrere a questa raccolta, e che daranno subito alla Sua erudizione abbondanti richiami esemplari, sia del suo Istituto sia di altre collezioni, i quali possano utilmente colorire il nostro disegno. Queste indicazioni La pregheremmo di volerci comunicare possibilmente entro il Novembre, affinché il Comitato, coordinandole con quelle che sono già riunite, possa prima della fine dell’anno procedere alla scelta degli accordi per l’invio degli originali o di convenienti riproduzioni. Il Ministro della P.I., desideroso che le collezioni governative siano ben rappresentate alla Mostra, ha già dato affidamento per ogni possibile agevolezza nella trasmissione di originali preziosi, e per le riproduzioni fotografiche. Ringraziandola fin d’ora di quanto Ella vorrà fare per la Mostra; La prego di gradire le espressioni del mio ossequio Il presidente del Comitato Ordinatore S. Morpurgo»3 L’organizzazione della sezione storica della Mostra fu molto cara a Morpurgo, che si era collocato a riposo dalla Biblioteca Nazionale proprio all’inizio del 1924 per motivi di salute. La sua missiva giungeva a Ricci già dopo un anno dalla prima comunicazione ufficiale del ministro Giovanni Gentile (Circolare n. 48, 6 maggio 1923) circa la volontà di realizzare una Mostra Didattica Nazionale a Firenze. La circolare, indirizzata ai provveditori agli studi, ai capi d’istituto per l’istruzione media e agli ispettori scolastici, preannunciava che nella primavera del 1924 si sarebbe tenuta a Firenze una Mostra Didattica Nazionale allo scopo di dare all’opinione pubblica e a quanti si occupavano della scuola, «una rassegna completa di quel che era l’istruzione pubblica e privata, prescolastica, primaria e secondaria di qualsiasi specie, compresa la professionale e l’artistica; della sua vita interna, della sua organizzazione locale, dei suoi frutti, delle condizioni in cui viveva e dei mezzi di cui disponeva»4. In un primo momento, dunque, la Mostra era stata ipotizzata per l’anno 1924, anziché per il 1925, come in realtà invece avvenne5 , a causa di una serie di fattori, principalmente legati alle convulse vicende politiche che si svolsero in quel frangente: Gentile e il suo più stretto collaboratore, Giuseppe Lombardo Radice, si erano dimessi dai propri incarichi in conseguenza del rapimento e dell’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (10 giugno 1924) e il ministro Pietro Fedele, succeduto a Gentile, era entrato in polemica con il filosofo Approfondimento


31 neoidealista a causa di una parziale revisione della riforma da lui siglata. L’intervento di Fedele dava inizio al processo di ‘fascistizzazione della scuola’ che avrebbe condotto alla riforma bottaiana del 1939. Tuttavia, seppur con qualche ritardo, i lavori andarono avanti e la Mostra Didattica Nazionale fu inaugurata nel 1925. Essa aderiva a un modello culturale ed espositivo collaudato, che attingeva direttamente all’esperienza delle mostre didattiche promosse all’interno delle esposizioni universali sviluppatesi tra la seconda metà del XIX secolo e il primo decennio del XX6, per divenire a sua volta modello delle numerose mostre didattiche locali realizzate a partire dal 1925. Molti materiali di tali mostre confluirono poi nel Museo Didattico Nazionale di Firenze, nato nel 1937 proprio sulla base dell’Esposizione didattica e stabilitosi poi nella sede di Palazzo Gerini, restaurata da Giovanni Michelucci7. Allo scopo di organizzare la Mostra del 1925 e di selezionare i materiali inviati da parte delle scuole, era stata istituita a Firenze, con sede legale nei locali della Prefettura, in Palazzo Medici Riccardi, una Commissione ordinatrice (o Comitato) che procedette alla costituzione di Commissioni regionali e provinciali, incaricate di fare una prima scelta dei prodotti scolastici. Fu proprio la Commissione ordinatrice fiorentina a dettare alle scuole le direttive cui ispirare il proprio lavoro, e le autorità scolastiche, i capi d’istituto e gli insegnanti vennero invitati a tenersi in rapporto con questa Commissione centrale. Quando finalmente si giunse alla realizzazione dell’evento a Firenze, questo si articolò in 17 sezioni, dedicate a edilizia scolastica, materiale didattico e di arredamento, educazione fisica e igiene, insegnamento primario, scuole di carattere speciale, insegnamento professionale, una mostra internazionale di materiale didattico dimostrativo e libri di testo (l’evento del 1925, infatti, si collegò a un altro di grande rilievo, ovvero la Fiera Internazionale del Libro, voluto a partire dal 1922 nel capoluogo toscano dal celebre editore Enrico Bemporad). La diciassettesima di queste sezioni fu la Mostra Storica - collocata proprio in Palazzo Medici Riccardi - di cui Salomone Morpurgo8 presiedette il comitato ordinatore, tessendo numerose ed efficaci relazioni con il mondo culturale italiano di cui era esponente di rilievo, affinché questo collaborasse alla segnalazione di materiali interessanti da proporre per la manifestazione fiorentina. «Carissimo Ricci, Ti raccomando caldamente di esprimere della tua molta erudizione le curiosità a ravennati e bolognesi e romane, in questo campo; che tu devi averne molte a disposizione. Si intende, in prima linea, le figurazioni artistiche di scuole, di scolari, di collegi sei e settecenteschi e poi i ricordi più eruditi e nascosti in autografi, imparaticci di futuri grandi uomini, libri di testo, etc.»9. Si trattava, come richiedeva il programma della Sezione Mostra Storica, di ogni tipo di testimonianza significativa riguardante la scuola del passato e i suoi protagonisti: vedute e raffigurazioni di edifici scolastici antichi, delle antiche discipline scolastiche, copie di antichi libri di testo, quaderni ed esercizi di scolari divenuti poi uomini illustri, ecc. Così come da disposizioni del Comitato ordinatore: «La vita della Scuola Italiana nei secoli andati vuol essere tutta presente e parlante ai visitatori della Mostra Didattica Nazionale in una particolare Sezione Storica, che raccogliendo le immagini più genuine dei luoghi, delle persone, degli strumenti dell’insegnamento, darà una visione sicura del nostro antico costume scolastico, dal medio evo al primo rinascimento, alla nuova Italia. […] Con grande fiducia il Comitato si rivolge pertanto alle Scuole d’Italia, e anzitutto a quelle, e sono parecchie, che possono vantare maggiore antichità, affinché alla nobile rassegna non manchino i ricordi più insigni delle loro domestiche glorie. E confida del pari nei Direttori delle Gallerie e dei Musei, nei Conservatori e Ispettori delle antichità […] ai Direttori delle Biblioteche e degli Archivi. […] Ai cortesi cooperatori sia pre-


32 sente che la mostra storica vuol comprendere fino al Cinquecento anche la scuola e la vita universitaria […]. Per l’epoca nostra, la visione del costume scolastico giungerà di regola sino al 1861, ossia fino alla proclamazione del Regno; ma bene verremo anche più in qua, e fino ai giorni nostri, con i singoli episodi e con i documenti più significativi […]. Il presidente generale, G. Calò Il Comitato ordinatore della Mostra Storica (Sezione XVII): Dott. S. Morpurgo – Presidente – Prof. Guido Biagi – Prof. Andrea Corsini – Dott. A. De Rubertis – Cav. A. Bruschi – Prof. G. Fumagalli – Dott. Giovanni Poggi – Prof. Enrico Rostagno – Dott. Nello Tarchiani – Dott. Teresa Lodi, Segretaria del Comitato»10. Questo carteggio di Morpurgo permette oggi di cogliere uno scorcio di quei numerosi aspetti organizzativi che, una volta inaugurata una mostra, vengono generalmente dimenticati, rimanendo per lo più esclusivo appannaggio della memoria dei singoli protagonisti. Significativo è dunque provare a ricostruire il ‘dietro le quinte’ della grande Mostra Didattica Nazionale e cioè quei passaggi che portarono alla realizzazione dell’Esposizione attraverso un paziente lavoro di raccolta del materiale spedito a Firenze da parte delle scuole di tutta Italia. In un primo momento le fasi organizzative paiono procedere con estrema lentezza, visto che solo attraverso una lettera del 2 maggio 1924 furono inviate alle scuole istruzioni sul tipo di materiale richiesto. La lettera, a firma del presidente generale Giovanni Calò e del presidente della Commissione per l’istruzione primaria Giuseppe Baldasseroni11, dopo aver ribadito la scadenza «già nel corrente anno» (rimane in quella data dunque ancora l’intento di aprire la Mostra nazionale nel 1924, N.d.R.), recita: «Sarà tenuta qui a Firenze una Mostra nazionale didattica che deve riuscire come una solenne rassegna di quanto è stato fatto sino ad ora nelle Scuole d’Italia d’ogni specie e grado, si chiede alle scuole di inviare: 1. una monografia storica, possibilmente a stampa, che ne illustri le vicende dalle origini (alle migliori monografie il Comitato si propone di assegnare dei premi anche in danaro) 2. una relazione accompagnata da accurate statistiche dal 1900 che illustri l’ordinamento, il funzionamento, la vita della scuola, l’arredamento, le scuole speciali per anormali o deficienti, l’applicazione dei nuovi programmi e particolarmente gli insegnamenti speciali resi ora obbligatori 3. piante, grafici, fotografie che illustrino edificio, aule, palestra, giardino, collezioni didattiche, arredamento e materiale didattico, sussidi meccanici, svolgimento della vita scolastica, avvenimenti etc. 4. catalogo della biblioteca, programmi didattici, orari, diari, esemplari dei registri usati 5. saggi degli alunni che appaiono più interessanti per la conoscenza dell’indirizzo, dell’insegnamento e del profitto»12. Rendendosi probabilmente conto del ritardo accumulato, l’autore della lettera conclude chiedendo a ciascun provveditore di comunicare in breve tempo «anzitutto che cosa intende presentare»13. La ricostruzione del lavoro organizzativo che è stato messo in essere per la realizzazione della Mostra permette altresì di aver sentore oggi degli umori e del riscontro da parte del mondo scolastico dell’epoca rispetto alla proposta: evidentemente le risposte da parte delle scuole e dei Provveditorati tardano ad arrivare, visti i contenuti della Circolare ministeriale n. 73 del 23 luglio 1924 che testualmente recita: «da notizie pervenute risulta che le scuole ed istituzioni non hanno ancora risposto in numero sufficiente all’appello del Comitato». Nei mesi successivi, per sollecitare le scuole e per mantenere alta l’attenzione, Giovanni Calò scriverà spesso lettere ai provveditori preannunciando diversi premi in denaro messi a concorso. Si tratta evidentemente di un modo non solo per invogliare la partecipazione, ma anche per invitare velatamente ogni Provveditorato a offrire un proprio contributo, magari imitando il Provveditore agli Studi di Firenze che aveva «con apprezzabile


33 premura e senso di opportunità messo a disposizione della mostra un premio di L. 500 da assegnarsi alla migliore Bibliotechina scolastica delle scuole elementari della Regione e pensa di darne un altro, pure in denaro, da concedere alla migliore Biblioteca o Cassa scolastica di scuola Media della Regione formandolo coi contributi delle scuole Medie del Capoluogo»14. Il 1924 si rivelò dunque complesso per l’organizzazione della Mostra, in particolare a causa proprio delle scarse risposte da parte delle scuole, aspetto che portò Calò nel novembre di quell’anno a ribadire, tramite i provveditori agli studi, la necessità di «non indugiare oltre»15. Dal gennaio 1925 l’organizzazione della Mostra procedette senza più apparenti difficoltà: le scuole inviarono le loro adesioni ai provveditori agli studi che a loro volta le comunicarono nello stesso mese di gennaio al Comitato di Firenze. Nel contempo, oltre al materiale da esporre, si iniziò a pensare al pubblico di riferimento e al modo più opportuno per agevolare la visita della mostra da parte degli insegnanti: la Circolare n. 18 del 28 gennaio 1925 a firma del ministro Fedele (nel ricordare l’apertura della mostra il 1 marzo 1925) ribadiva come essa «riuscirà senza dubbio importante ed offrirà agli insegnanti di ogni grado larga messe di osservazioni e di studi». Per questo motivo, nel medesimo scritto, il ministro invita i provveditori a incoraggiare la visita della mostra da parte di «insegnanti di ogni grado e di facilitare al maggior numero di maestri e di professori il modo di recarsi a Firenze, assicurando che il Comitato della Mostra procurerà di ridurre al minimo le spese di soggiorno per gli insegnanti raccolti in comitiva». Parallelamente alle circolari ministeriali, un secondo tipo di documentazione permette di seguire le fasi organizzative: si tratta delle missive che i diversi Provveditorati agli Studi si scambiarono tra loro, in cerca di confronto e di suggerimenti. A giudicare dalle lettere pervenute all’allora Direttore Centrale delle Scuole di Torino, Antonio Ambrosini, da parte di colleghi di altre città, pare che l’idea della Mostra abbia allora dato vita localmente talvolta anche a dubbi, domande, forse timori e che le reali adesioni con la relativa preparazione dei materiali da spedire a Firenze siano avvenute assai a ridosso del 1925 stesso: «Illustre collega le sarei grato se volesse compiacermi di comunicarmi cortesemente le seguenti informazioni che mi riusciranno utili nel concretare le condizioni di cui le scuole di Genova parteciperanno alla Mostra Didattica di Firenze. Desidererei dunque sapere: 1) se il Comune di Torino parteciperà a suddetta Mostra; 2) in tal caso quale somma abbia stanziato per le spese correnti; 3) quale somma abbia destinato per contribuire alle spese che dovrà sostenere il Comitato fiorentino alla mostra didattica»16. Anche le scuole di Milano, che in un primo tempo avevano deciso di astenersi, prenderanno parte alla Mostra didattica di Firenze e sentono la necessità di confrontarsi con Torino: «Collega, dal Comitato ordinatore della Mostra viene chiesto al Comune un contributo finanziario ma non è indicata la cifra. Desidererei sapere, in via confidenziale, quale sarà il contributo della città di Torino perché il mio Assessore possa fare una proposta per lo stanziamento della somma necessaria. A lei non sarà difficile darmi una risposta sollecita e precisa»17. Per proseguire la ricostruzione del gran fermento e del notevole lavoro che - pur poi non visibile nei palazzi fiorentini durante i giorni di apertura della mostra – si realizzò a livello locale per rispondere all’appello di Calò e degli altri organizzatori, è possibile continuare a seguire a titolo di esempio il caso di Torino. Dopo la sollecitazione pervenuta da Firenze negli ultimi mesi del 1924, prontamente il 31 gennaio 1925 il Regio Provveditore del Piemonte Umberto Reda inviò l’elenco delle istituzioni scolastiche che gli avevano comunicato l’intenzione di partecipare alla Mostra: si trattava di tutte le istituzioni di Torino, Alessandria, Pinerolo, Biella e Torre Pellice, mentre per i comuni più piccoli partecipavano singoli istituti o singoli corsi (ad esempio il laboratorio femminile di Valenza). Non mancavano rappresentanze di colonie solari e marine oppure di singoli docenti. La selezione dei materiali, nel caso di Torino, pare essere


34 avvenuta in particolare domandando direttamente alle scuole quali materiali avessero già a disposizione tra quelli richiesti dal Comitato fiorentino (fotografie, disegni ecc.): infatti un gran numero di missive destinate al Direttore Centrale delle Scuole Torinesi da parte delle singole scuole risale proprio al gennaio del 1925 e in esse ogni istituto inviava elenco dettagliato dei materiali posseduti tra fotografie di alunni intenti in esercitazioni, immagini degli edifici scolastici, diari degli scolari più meritevoli, i loro disegni più significativi, le officine. Terminato questo primo ‘censimento’, per le scuole ritenute di particolare significato (perché recenti o in fase di realizzazione o per lo stile architettonico di pregio) si era provveduto a far realizzare specifici disegni e fotografie, come mostra una lettera dell’Ufficio Tecnico di Torino all’Ufficio Istruzione: «In merito alla richiesta riguardante l’organizzazione per il concorso della Città di Torino alla Mostra Didattica di Firenze si fa presente che l’importo approssimativo ascende a Lire 9.000»18. Anche per raccogliere i dati statistici sull’istruzione torinese furono affidati incarichi ad hoc, elemento che ci rivela come queste informazioni non fossero prima disponibili: «quanto ai dati statistici richiesti circa gli edifici scolastici costruiti dal 1855 ai giorni nostri, si fa presente che questo Servizio (Ufficio Tecnico della Città di Torino, N.d.R.) dovette all’uopo fare ricerche presso la Civica Biblioteca»19. Allo stesso modo la Direzione Centrale delle Scuole comunali di Torino incarica il Direttore della scuola elementare Casati, Leopoldo Pogliani, di redigere una storia delle scuole comunali torinesi da inviare alla Mostra Didattica di Firenze che raccogliesse, come indicato dagli organizzatori, la storia dell’istruzione locale dal Medioevo in poi20. Il bollettino del Regio Provveditore restituisce puntualmente anche l’elenco dei materiali infine inviati a Firenze, tra cui particolare spazio risultano aver avuto i lavori femminili del Corso Integrativo, i lavori legati alle pratiche laboratoriali (cuoio, metallo, legno, latta, vimini), i sussidi didattici realizzati dagli alunni stessi relativi a modelli e materiali per l’insegnamento di scienze, geometria e metrica; diversi disegni applicati ai lavori; relazioni, quadri e foto di opere integrative alla scuola quali patronati, colonie, scuole festive; progetti edilizi nuovi; album fotografici con scene della vita quotidiana a scuola; album di disegni di alunni e insegnanti. Alcune scuole elementari inviarono saggio dell’intero percorso scolastico degli alunni. Accanto a ciò la città di Torino aveva voluto sottolineare i metodi innovativi promossi in alcune scuole cittadine, in particolare relativi all’insegnamento della geografia e della geometria e gli esperimenti di differenziazioni didattiche. Un accento particolare, infine, era stato posto sull’uso delle proiezioni cinematografiche nelle scuole comunali torinesi con la realizzazione di film didattici, sulle colonie e scuole all’aperto e sui giardini scolastici. L’impegno profuso da Torino - che insieme a Milano, Roma, Napoli, Genova e Firenze aveva potuto beneficiare di un particolare rilievo destinato alle sezioni Mostre Unitarie dei grandi Comuni - venne ricompensato: il 20 giugno 1925 giunge la notizia che il Presidente del Comitato della Mostra didattica di Firenze ha assegnato il diploma ‘Gran Premio’, la massima onorificenza. Anche le scuole elementari dei comuni piemontesi di Settimo, Leinì e San Benigno ottengono un buon risultato vincendo la medaglia di bronzo alla Mostra fiorentina. Il bilancio a posteriori da parte del Regio Provveditore, dunque, non può che essere positivo: «Le maggiori città - specie Torino - si distinsero per compiutezza e genialità di lavoro e per ricchezza e abbondanza di materiale»21.


35 1. Corrado Ricci e Salomone Morpurgo furono personalità notevolissime nel panorama culturale italiano di quegli anni: Ricci, talento eclettico i cui interessi hanno spaziato dalla letteratura alla musica, dall’archeologia alla storia dell’arte, è stato uno dei primi e più importanti conservatori del patrimonio artistico italiano; Morpurgo, invece, un illustre filologo e grande Direttore di biblioteche, nonché fervente irredentista e patriota. Entrambi, una volta divenuti funzionari pubblici, si trovarono a svolgere il ruolo di ‘custodi’ e conservatori del patrimonio culturale: nell’ambito dei beni artistici Corrado Ricci, in quello delle biblioteche Salomone Morpurgo. 2. Si veda G. Calò in La Mostra Didattica Nazionale (Firenze, 1 marzo-15 aprile 1925), “I Diritti della scuola”, XXVI, 1925, 14, p. 209. 3. Lettera dattiloscritta su carta intestata della Mostra Didattica Nazionale con Sezione Internazionale (Firenze 1925). Sotto l’alto patrocinio dei Ministeri dell’Istruzione Pubblica e dell’Economia Nazionale, 24533/2-2-129 del 17 novembre 1924, Fondo Corrado Ricci, Biblioteca Classense, Ravenna. Si veda A. Bertusi, L’epistolario Morpurgo-Ricci. Prospettive di ricerca, tesi di Laurea in storia del manoscritto (Università di Bologna), 2013-2014. 4. Circolare ministeriale n. 48, 6 maggio 1923. 5. Si veda in proposito anche la nota 1, pag. 27, dell’articolo di J. Meda in P. Giorgi (cur.), Dal museo Nazionale della scuola all’Indire, Firenze, Giunti, 2010. 6. Parigi, 1879 e 1900; Milano, 1906, e Torino, 1898 e 1911. 7. S. Inaudi, A tutti indistintamente: l’Ente opere assistenziali nel periodo fascista, Bologna, Clueb, 2008; P. Giorgi (cur.), Dal Museo Nazionale della Scuola all’Indire. Storia di un istituto al servizio della Scuola Italiana, Firenze, Giunti, 2010, pp. 9-57. 8. Morpurgo s’impegnò molto nella promozione dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione, sostenendo economicamente scuole e alfabetizzazione popolare. Così Ricci non dovette essere insensibile all’argomento avendo scritto l’Arte dei bambini, (Bologna, Zanichelli, 1887). Si veda: P. Morpurgo, Dal Risorgimento alla Costituzione della Repubblica Italiana del 1948: il diritto all’istruzione come garanzia del diritto alla cittadinanza, in <http://www.nautilus. tv/0401it/cultura/cultura/2giugno.htm> e B. Cestelli Guidi, Genesi e ricezione internazionale de ‘L’Arte dei bambini’ in A. Emiliani, D. Domini (cur.), Corrado Ricci storico dell’arte tra esperienza e progetto, Ravenna, Longo, 2004, pp. 29-49. 9. Lettera dattiloscritta 24533/2-2-129 del 17 novembre 1924 […]. 10. Lettera stampata, novembre 1924, Fondo Corrado Ricci, Biblioteca Classense, Ravenna. 11. Originario di Rosignano Marittimo, a Firenze Baldasseroni fu maestro, educatore e Direttore Generale delle scuole comunali. 12. Cfr. Bollettino del R. Provveditorato agli Studi di Torino, vol. II, 1924, p. 488. 13. Ibidem. 14. Cfr. Bollettino del R. Provveditorato agli Studi di Torino, vol. II, 1924, p. 512. 15. Cfr. Bollettino del R. Provveditorato agli Studi di Torino, vol. III, 1924, pp. 719 e 720. 16. Lettera all’Ufficio Istruzione da parte dell’Ufficio Tecnico dei Lavori Pubblici (Divisione I) della Città di Genova, datata 23 gennaio 1925. Archivio Storico Città di Torino, Fondo Affari e Istruzione, 1924/441. 17. Lettera al Direttore delle scuole torinesi da parte del Comune di Milano, firmata dal Direttore della scuola elementare di via Vignola, 9 febbraio 1925. Archivio Storico Città di Torino, Fondo Affari e Istruzione, 1924/437. 18. Lettera all’Ufficio Istruzione da parte dell’Ufficio Tecnico dei Lavori Pubblici (Divisione I) della Città di Torino, datata 23 gennaio 1925. Archivio Storico Città di Torino, Fondo Affari e Istruzione, 1924/441. 19. Ibidem. 20. Il lavoro di Pogliani, assai particolareggiato e ancora oggi fonte molto significativa per lo studio della storia della scuola torinese, venne dato alle stampe nello stesso 1925 con il titolo Le scuole comunali di Torino: origini e incrementi (Tipografia Vitali). 21. Cfr. Bollettino del R. Provveditorato agli Studi di Torino, vol. III, 1924, p. 831.


36 Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire


37 La didattica attiva in mostra: Firenze 1925 L’INSEGNAMENTO Il processo di trasformazione della scuola e della didattica passa anche attraverso le innovazioni tecnologiche. La necessità di disporre di apposite macchine per le proiezioni luminose, fisse o animate, è avvertita in Italia e all’estero sin dagli ultimi anni dell’Ottocento. A Torino nel 1909 nasce la Sezione per le Proiezioni Luminose, che darà vita negli anni Venti all’Istituto Italiano Proiezioni Luminose, capace di distribuire alle scuole elementari ben 90.000 vetrini già nel 1923. In quell’anno, con i nuovi programmi legati alla Riforma Gentile, le proiezioni divengono di fatto obbligatorie e fortemente promosse a livello ministeriale. I vetrini per le proiezioni luminose conservati nell’Archivio Storico Indire giungono a Firenze in occasione della Mostra Didattica Nazionale del 1925 per attestare l’uso didattico delle nuove tecnologie: in particolare, venivano utilizzati per l’insegnamento a scuola della storia e della storia dell’arte. 1.9 1.10 1.11 1.12 1.9 Ritratto del Re d’Italia Umberto II, vetrino per proiezioni luminose, 8x8 cm, anni Trenta. Foto C. Lacoppola. Archivio Storico Indire, Fondo Materiali Didattici. 1.10 Ritratto di Giuseppe Mazzini, vetrino per proiezioni luminose, 8x8 cm, anni Trenta. Foto C. Lacoppola. Archivio Storico Indire, Fondo Materiali Didattici. 1.11 Palazzo Re Enzo a Bologna, vetrino per proiezioni luminose, 8x8 cm, anni Trenta. Foto C. Lacoppola. Archivio Storico Indire, Fondo Materiali Didattici. 1.12 Il Perseo di Benvenuto Cellini, vetrino per proiezioni luminose, 8x8 cm, anni Trenta. Foto C. Lacoppola. Archivio Storico Indire, Fondo Materiali Didattici. NUOVI STRUMENTI PER


38 Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire 1.13 Al lavoro in classe con le immagini proiettate, da un album prodotto dalla Scuola elementare maschile “R. Pitteri”, Gorizia, anni Trenta. Archivio Storico Indire, Fondo Materiali Scolastici.


39 La didattica attiva in mostra: Firenze 1925 PROIETTORI PER LA DIDATTICA Sempre nel 1923, nello stesso anno della Riforma, la Direzione Generale per le scuole elementari svolge una sommaria inchiesta per accertare la diffusione delle macchine per le proiezioni luminose nelle varie regioni italiane. Il Trentino, con 108 comuni dotati di apparecchi e 10.000 vetrini didattici, detiene il primato. Vengono fondati l’Istituto Luce (L’Unione Cinematografica Educativa), con compiti di propaganda e cultura attraverso la cinematografia, e l’Unione Radiofonica Italiana (URI, poi EIAR, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, la futura RAI) che, nel decennio successivo, porterà la radio nelle scuole. 1.13 1.14 1.14 Apparecchi per proiezione, inserto pubblicitario in “I diritti della scuola”, n. 8, 1908, p. 68.


Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire CAPITOLO 2 IL LAVORO ATTIVO NELL’ISTRUZIONE TECNICA E PROFESSIONALE


2.1 Lavorazione al tornio, scuola d’arte, anni Trenta. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. Nel periodo che va dagli anni Trenta ai Quaranta, l’Istituto fiorentino - nel frattempo divenuto Museo Nazionale della Scuola (1937-1941) e poco dopo Centro Didattico Nazionale (1941-1953) - continua a ricevere dalle scuole italiane documentazione fotografica, materiali didattici e manufatti frutto dell’attività in classe. Risulterà evidente, nello scorrere le pagine che seguono, la prevalenza di materiali provenienti non tanto dalle scuole elementari, ma da istituti tecnici e professionali. In questi ultimi il ‘fare’ è orientato essenzialmente al futuro inserimento degli alunni nel mondo del lavoro. Per tutti i gradi di istruzione, in ogni caso, lo sviluppo tecnologico supporta l’attività didattica: il ‘cinematografo scolastico’ ne è uno degli esempi più significativi.


42 LABORATORI DI ESERCITAZIONE PRATICA La dimensione del ‘fare’ viene valorizzata anche a livello di legge: le disposizioni del 1931 (Legge n. 889) ribadiscono che ogni istituto tecnico deve avere in dotazione officine e laboratori di esercitazione pratica «in relazione ai fini propri di ciascun istituto». In ottemperanza alla volontà ministeriale di promuovere questi percorsi di formazione, le scuole di avviamento e gli istituti tecnici inviano al Museo fiorentino tra gli anni Trenta e Quaranta numerosa documentazione fotografica relativa alle attività svolte nei laboratori. 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8 2.9 2.10 2.2 Laboratorio merceologico: identificazione chimica della fibra del tessuto, Regio Istituto Tecnico Mercantile “P. F. Calvi”, Padova, anni Trenta. Foto A. Giordani, Padova. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


43 Il lavoro attivo nell’istruzione tecnica e professionale 2.3 Lezione di cucina, Regia Scuola di Avviamento Professionale a tipo commerciale e alberghiero “A. Bozzi”, Ponte di Legno (BS), anni Quaranta. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 2.4 Lezione di nodi marinareschi in un istituto tecnico nautico, anni Trenta. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


44 Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire 2.5 Imparare a insegnare: le giovani allieve di una scuola magistrale mettono in pratica quanto appreso, Istituto Magistrale e annesso Giardino d’infanzia “S. Slataper”, Gorizia, anni Trenta. Foto Arte Mio, Gorizia. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 2.6 Lezione di pittura e ceramica, Scuola d’Arte “F. Faccio”, Castellamonte (TO), anni Trenta. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


45 Il lavoro attivo nell’istruzione tecnica e professionale 2.7 Lezione di dattilografia, Regio Istituto Tecnico Commerciale per geometri “G. B. Belzoni”, Padova, anni Trenta. Foto A. Giordani, Padova. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


46 Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire 2.8 Busto di Balilla, terracotta, alunno A. Guerrini, 1937-1938, Scuola d’arte. Foto L. Guasti. Archivio Storico Indire, Fondo Materiali Scolastici. 2.9 Laboratorio di scienze: modellino didattico, anni Quaranta. Foto L. Guasti. Archivio Storico Indire, Fondo Materiali Scolastici. 2.10 Laboratorio di ragioneria e tecnica mercantile, Regio Istituto Tecnico Commerciale e annessa Regia Scuola Tecnica Commerciale “P. F. Calvi”, Padova, anni Trenta. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


47 Approfondimento La mostra, che ha un percorso necessariamente visivo, presenta al visitatore molti materiali che provengono non dalle scuole elementari, ma da istituti tecnici e professionali, ovviamente i più adatti a realizzazioni di oggetti e strumenti anche di pregevole fattura. Va però ribadito che vi è una grande differenza tra l’attenzione pedagogica ed educativa riservata all’istruzione di base e quella riservata invece alle scuole tecniche e professionali, in cui era necessario tenere in considerazione le competenze specifiche da raggiungere. Ciò che è esposto permette quindi al visitatore di porre attenzione alla ricchezza di proposte che, comunque, il ‘sistema istruzione’ ha offerto dall’Unità ad oggi. La sfida per il futuro è di ricongiungere l’acquisizione di competenze squisitamente tecniche all’acquisizione di competenze sociali, civili, emozionali, comunicative. La storia dell’istruzione tecnica e professionale in Italia dopo l’Unità è, fin dall’inizio, nettamente separata sia da quella dell’istruzione di base, sia da quella destinata alle future leve dirigenti dello Stato e concretizzata nel ginnasio e nel liceo classico. L’istruzione tecnica e professionale ha radici antiche: nasce tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo in alcune città italiane interessate dal nascente sviluppo industriale, come Torino, Firenze, Terni, Trapani (una scuola nautica che verrà trasformata in tecnico per geometri, per tornare solo di recente a essere un tecnico nautico), per opera di filantropi o di governanti illuminati. L’istruzione tecnica e professionale intende servire alla preparazione di quadri tecnici a livello dirigenziale per i quali la tradizionale scuola classica non appare adeguata alla funzione. Dopo il 1861, le scuole tecniche esistenti nelle varie regioni, circa una decina, vengono riorganizzate dalla Legge Casati, ma date in carico al Ministero dell’agricoltura, industria e commercio, a sottolineare la loro sostanziale diversità dal canale dell’istruzione elementare e secondaria classica. Alcune sono dedicate alla formazione fisico-matematica e industriale meccanica-metallurgica e aprono l’accesso alle facoltà universitarie di fisica, matematica e ingegneria. Altre sezioni di agrimensura e commerciale-ragioneria rilasciano diplomi di perito agrario, geometra, ragioniere. Sono scuole spesso prestigiose che richiamano allievi anche da altre regioni, hanno un corpo docente molto qualificato e impartiscono un’istruzione strettamente professionale, sul modello di analoghe scuole europee francesi e tedesche. La vita di queste regie scuole tecniche termina con la Legge Gentile: la sezione fisico-matematica diventa il nuovo liceo scientifico, accanto al quale nascono gli istituti tecnici commerciale, industriale, agrario, per geometri. Per quanto riguarda l’attenzione a una formazione professionale destinata a ruoli di minor livello, la Legge Casati e le successive modificazioni prevedevano corsi professionali destinati al miglioramento delle competenze di lavoratori adulti. Bisogna attendere la Legge Orlando n.407/1904 per una riforma della scuola elementare, che viene portata a 6 anni, 4 obbligatori per tutti, dopo i quali chi era destinato a continuare gli studi poteva accedere al ginnasio, e 2 di ‘corso popolare’ facoltativo, cioè di orientamento e formazione al lavoro con programmi che erano il fiore all’occhiello della pedagogia positivista per la precisione delle indicazioni didattiche. Il programma del corso popolare prevede «letture, aritmetica, nozioni di geometria e contabilità, storia e geografia, istituzioni civili dello Stato e morale civile, elementi di scienze fisiche e naturali, di igiene, d’economia domestica e modelli di disegno». Un programma, come si vede, di tutto rispetto. Ma la richiesta dal basso di scuole che preparino a un percorso di promozione sociale non trova eco nella Riforma Gentile (1922-1923). La scuola superiore deve essere per pochi, liceo-centrica: lo spirito della legge si percepisce nelle parole del suo estensore «le scuole [si intende qui parlare delle scuole Istruzione professionale: una diversa dimensione del ‘fare’ a scuola di CATERINA ORLANDI


48 postelementari, ginnasio e liceo classico] tenute dallo stato devono essere poche ma buone». Non è necessario «che tutti i cittadini possano usufruirne [...]. La scuola deve essere sgombrata da tutta questa folla che vi fa ressa e abbassa ogni giorno di più il livello degli studi».1 Per gli altri, per i non destinati a diventare classe dirigente, basta la Scuola complementare, che nel 1923 sostituisce il corso popolare e nel 1928, con la Riforma Belluzzo, diventa Scuola di avviamento professionale (fino al 1962 e alla nascita della nuova scuola media). Ha corsi biennali e triennali (da questi ultimi, con un esame integrativo, è possibile passare a un istituto tecnico). Ha due indirizzi, uno industriale e uno commerciale. Vi sono scuole di avviamento maschili e scuole femminili, secondo un’impronta sociologica di divisione delle mansioni tipica dell’epoca. Alla Riforma Gentile va attribuita anche la ‘colpa’ dell’istituzione del Liceo femminile, scuola superiore per signorine, senza sbocchi universitari e con contenuti ottocenteschi, e un gradino più in basso il Magistero professionale per la donna, biennale, che preparava le ragazze a essere mogli, al governo della casa, all’economia domestica, ai lavori ‘femminili’. Scuole sostituite nel dopoguerra dall’Istituto tecnico femminile, attualmente e fortunatamente scomparso, di durata quinquennale, che dava un diploma di abilitazione professionale per le attività tecniche, rendendo idonei altresì all’insegnamento dell’economia domestica - poi applicazioni tecniche - nella scuola media. Alla Riforma Belluzzo spetta anche l’istituzione di corsi per la formazione pratica dei lavoratori gestiti dal Ministero dell’Educazione Nazionale. Nel 1938, con Bottai, si prevede la nascita degli Istituti professionali, non realizzati a causa della guerra. Nel dopoguerra, la situazione si complica per la contemporanea presenza di scuole professionali gestite dalle regioni e scuole professionali gestite dallo Stato ed è solo dal 1967 che gli istituti professionali rientrano nelle competenze del Ministero della Pubblica Istruzione. 1. G. Gentile, La nuova scuola media, in H. A. Cavallera (cur.), Opere complete, Firenze, Le Lettere, 1988. 2.11 Lezione di puericultura, scuola di magistero professionale per la donna, Milano, anni Trenta. Foto Crimella, Milano. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.


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50 Radici di futuro L’innovazione a scuola attraverso i 90 anni dell’Indire L’ISTRUZIONE TECNICA FEMMINILE Dagli anni Trenta fino al dopoguerra, accanto alle lezioni dedicate all’educazione e all’abbigliamento e ricamo, l’attività pratica nell’istruzione tecnica femminile – come attestano i programmi ministeriali e le numerose fotografie provenienti da scuole di questo tipo giunte al Museo Nazionale della Scuola di Firenze – ha come oggetto la preparazione delle fanciulle alla vita familiare, al buon governo della casa e all’insegnamento dell’economia domestica e dei cosiddetti ‘lavori donneschi’. 2.12 2.13 2.14 2.15 2.16 2.17 2.18 2.19 2.20 2.12 I miei lavori, album di lavori di ricamo e uncinetto, Scuola elementare di Padri del comune di Bettola (PC), 1937. Foto C. Lacoppola. Archivio Storico Indire, Fondo Materiali Scolastici.. 2.13 Come mi preparo ad essere una brava mammina, album di lavori di ricamo e uncinetto, Scuola elementare “A. del Sarto”, anni Quaranta. Foto C. Lacoppola. Archivio Storico Indire, Fondo Materiali Scolastici.


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