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Published by goroiamanuci, 2023-07-11 05:31:34

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LA RAGIONE CRITICA / 7 Collana diretta da Stefano Ballerio e Paolo Borsa


Davide Colombo FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI


In copertina: Ritratto di Ugo Foscolo (tratto da Ritratti scritti da Isabella Teotochi Albrizzi. Quarta edizione. Pisa: Capurro, 1826). ISBN 978-88-6705-268-4 © 2015 LEDIZIONI – LEDIPUBLISHING Via Alamanni, 11 20141 Milano, Italia www.ledizioni.it La presente opera è rilasciata nei termini della licenza Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International (CC BY-NC-SA 4.0) il cui testo integrale è disponibile alla pagina http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/4.0/ Ledizioni è a disposizione degli aventi diritto diligentemente ricercati senza successo


INDICE NOTA INTRODUTTIVA VII I. UN «LIBRO DA ITALIANI» (IN FORMA DI LIBRARY BOOK) 1 II. OMERO, DANTE, VICO 17 III. BIAGIOLI E LA CONTESA SULL’EREDITÀ ALFIERIANA NEGLI STUDI DANTESCHI 37 IV. DIONISI, PERAZZINI E LE MINUZIE NECESSARIE DEI LETTERATI 67 V. LA SCIENZA DEI FATTI: LOMBARDI EDITORE DELLA NIDOBEATINA 85 VI. LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI: LA VULGATA COME TESTO-BASE DELL’EDIZIONE FOSCOLIANA 107 VII. QUIRICO VIVIANI E IL (FALSO) BARTOLINIANO 129 BIBLIOGRAFIA 163 INDICE DEI NOMI 197


NOTA INTRODUTTIVA Questo libro si propone di studiare l’apporto di Ugo Foscolo alla tradizione esegetica ed editoriale della Commedia di Dante. Il dantismo foscoliano non è un tema nuovo, ma la ricerca in questo campo riserva ancora qualche sorpresa. Sul piano dell’interpretazione generale e delle minute congetture critico-testuali, Foscolo ha fatto progredire gli studi danteschi rispetto allo stato in cui versavano nel secondo Settecento. Perciò il Discorso sul testo della ‘Commedia’ di Dante e il commento filologico all’Inferno, di cui questo volume ricostruisce la storia, sarebbero un episodio rilevante negli annali della critica e della filologia dantesca anche se il loro autore non fosse il poeta dei Sepolcri. Eppure gli scritti critici del Foscolo inglese faticano ad emanciparsi da uno stato di minorità rispetto alla produzione poetica. Tale gerarchia, più o meno avallata dalle correnti ricostruzioni storiografiche, risale in ultima analisi a Foscolo stesso. L’epistolario suggerisce che l’edizione dantesca è il risultato di una disciplina costante, spronata dalle scadenze contrattuali, sopra un’indole viva e risentita, incline più alla creatività poetica che all’esercizio critico. All’amico e benefattore Hudson Gurney, Foscolo scrive della propria ripugnanza a presentarsi al mondo nelle vesti di commentatore. È la


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI VIII polemica verso i letterati da tavolino, ricorrente nella produzione foscoliana e centrale sin dalle prime sezioni del Discorso sul testo della ‘Commedia’. Sbaglieremmo però a ritenere la critica foscoliana un ripiego rispetto alla produzione in versi. Le pagine successive sviluppano due argomenti. In primo luogo gli scritti critici di qualsiasi poeta sono sempre una forma indiretta di interpretazione della propria poetica. Quando parla di Dante e della Commedia, Foscolo parla pure di sé e del suo modo di intendere la letteratura. Connessa al transfert esistenziale con Dante è l’intenzione, poi accantonata, di premettere all’edizione dantesca (quindi al Discorso) la Lettera apologetica: il testo in cui Foscolo combatteva le opinioni sbagliate su di sé avrebbe dovuto esser collocato prima del testo in cui combatteva le opinioni sbagliate su Dante. In virtù del marcato autobiografismo e del riconoscimento di un destinatario ideale proiettato nel futuro, la struttura comunicativa dell’edizione foscoliana è simile a quella della Commedia stessa. C’è poi un secondo argomento da tener presente. Foscolo non limita mai l’ambito della letteratura a quello di chi se ne occupa, non importa se nelle vesti di poeta o in quelle addirittura “ripugnanti” di critico. Per lui il valore sociale dell’attività letteraria oltrepassa i suoi limiti in apparenza statutari, e finisce per coincidere con il campo della cultura nazionale. Dante padre della lingua, incitatore alla libertà, riformatore religioso, incarna quella funzione etico-civile della letteratura predicata sin dalla prolusione pavese del 1808 e ribadita dalla Lettera apologetica. In tal senso la curatela della Commedia come «libro da Italiani» illustra le potenzialità della


NOTA INTRODUTTIVA IX lingua e concorre alla rigenerazione della patria, non diversamente dall’impegno poetico. Per chiarezza ho ritenuto di distribuire la materia in capitoli che possono essere letti separatamente. I primi due hanno natura introduttiva. Il primo studia la genesi degli scritti danteschi del Foscolo inglese, compresa una semi-dimenticata Antologia critica della poesia italiana, che include una ricca sezione dantesca; il secondo mette a fuoco l’influenza di Giambattista Vico sulla filologia foscoliana. È nozione acquisita che Foscolo sia figlio della rivoluzione avviata da Vico nel campo della critica dantesca, grazie a travasi di pensiero ben più sostanziali delle citazioni esplicite. Non si sono invece sondati a sufficienza i debiti contratti con Vico da parte del Foscolo filologo e interprete dell’antico. Questo parrebbe in effetti un ambito d’indagine ben poco produttivo. Dei quattro campi d’interesse della Commedia indicati da Foscolo sulla Edinburgh Review, quello filologico è l’unico non previsto dal Giudizio sopra Dante di Vico. Foscolo ha recuperato la lezione vichiana da un’altra strada, quella non poco battuta del paragone fra Dante e Omero. Di tale topos della critica cinquecentesca, rilanciato nel Settecento da Gravina, già i lettori ottocenteschi della Scienza nuova denunciano gli aspetti discutibili. È tutto da vedere che Dante sia un alter Homerus, e più ancora che Dante e Omero siano come li caratterizza Vico. Ciò nonostante l’accostamento vichiano ad Omero, dov’è insieme possibile e utile, basta a illuminare la Commedia sul piano della storicità e della primitività. Il poeta primitivo, ignaro di regole e di modelli, anteriore a qualsiasi riflessione, vicino alla barbarie delle origini, lavora su un materiale linguistico a prevalente base vo-


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI X calica. Le pagine successive documentano che il restauro della base vocalica è il criterio principale con cui Foscolo lettore della Scienza nuova emenda il testo della Commedia. L’interpretazione omerica di Dante condiziona la ricezione dei commentatori della Commedia, a partire da Niccolò Giosafatte Biagioli (1772-1830), a cui è dedicato il terzo capitolo. L’esordio del Foscolo dantista è una recensione dell’allora inedito commento di Biagioli. Foscolo ha potuto leggerne le prime bozze perché Biagioli gli ha chiesto di collaborare con lui. Le strade dei due esuli si sono presto separate, anche se le questioni in esame sono rimaste in buona parte coincidenti. Ad esempio i due mettono a frutto in modo diverso l’eredità di Vittorio Alfieri. Foscolo la declina in senso psicologico, forte della necessità di capire la personalità di Dante, quasi di immedesimarsi con lui. Biagioli invece si serve di alcune inedite annotazioni alfieriane per celebrare in modo acritico l’eccellenza del genio dantesco. L’analisi giunge a esiti diversi, perché diversa è l’impostazione generale. Foscolo l’ha derivata dal saggio Antiquarj e Critici, da quel superiore occhio filosofico grazie a cui prova a collocare i dati raccolti dagli eruditi settecenteschi in un orizzonte complessivo di senso. Questa idea forte gli consente da una parte di saggiare le proposte della più avanzata storiografia europea (in primis di Sismondi), dall’altra di definire alcuni problemi ineludibili della moderna dantistica, quali la cronologia e la divulgazione della Commedia. Il quarto capitolo è dedicato ai dantisti veronesi Giovanni Iacopo Dionisi (1724-1808) e Bartolomeo Perazzini (1727-1800). Il culto di Dante a Verona ha dato un contributo decisivo all’ingresso della filologia dantesca


NOTA INTRODUTTIVA XI nella modernità. Ora sono in atto sia una rivalutazione dei saggi danteschi del canonico Dionisi, sia una più precisa ricalibratura del suo stretto legame con Perazzini. La figura del canonico assume per noi oggi un rilievo diverso da quello che ha mantenuto per anni anche a causa di Foscolo, che gli aveva mostrato un’avversione non sempre giustificata. Prima il commento alla Chioma di Berenice, poi il primo articolo sulla Edinburgh Review, infine il Discorso, restituiscono un’immagine distorta del rapporto di Foscolo con Dionisi. I due sono concordi tra loro più che per molti anni non se ne abbia avuto coscienza. Non si va lontano dal vero se si afferma che senza il tesoro filologico e documentario del dantismo veronese, il Discorso foscoliano non sarebbe quello che è. Si direbbe un dantista veronese non natione, sed moribus il francescano Baldassarre Lombardi (1718-1802), al centro del quinto capitolo. Le ricerche che vado dedicandogli nell’ambito dell’Edizione Nazionale dei commenti danteschi, mirano a definire gli orientamenti di gusto e le concezioni estetiche di questo guardiano di confine tra dantismo antico e moderno. Il suo commento dichiara sin dal titolo una triplice finalità: emendare il testo della Commedia, rimasto immutato dal 1595; commentarlo in modo adeguato, non soltanto a livello letterale; difenderne l’ortodossia dagli attacchi del gesuita Pompeo Venturi. Di tale protocollo d’analisi Foscolo non può fare a meno se vuol rifondare gli studi danteschi. Sul piano testuale la Commedia di Lombardi predilige le stesse forme piene, ricche di vocali, prescritte dalla lettura foscoliana della Scienza nuova; sul piano esegetico, squaderna all’occhio filosofico foscoliano «fatti veri» raccolti e controllati quanto a pertinenza e


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI XII veridicità; sul piano apologetico, rappresenta un’alternativa alla lettura gesuitica, poiché non si appiattisce su uno sfondo dottrinale-teologico. Il sesto capitolo affronta un nodo tipico della filologia prelachmanniana, la resistenza al superamento della vulgata. Nel caso della Commedia, la vulgata è l’edizione cinquecentesca della Crusca, ripresa tra Sette e Ottocento da Giovanni Antonio Volpi (1686-1766) e da Gaetano Poggiali (1753-1814). Il principale motivo d’interesse del capitolo consiste nella proposta di ridiscutere sia i criteri editoriali, sia la consistenza del corpus testuale del Foscolo dantista. A lui ricorreva Michele Barbi per esemplificare l’individualità dei problemi della filologia: essi cambiano non soltanto fra l’uno e l’altro autore, ma pure fra opere diverse del medesimo scrittore. Se alcuni problemi del passato non sono diversi da quelli attuali, allora intendere i primi può aiutare a risolvere o a meglio impostare i secondi, pur in mezzo a esitazioni ed errori. Perciò nelle note di questo libro si succedono i nomi e i pareri di alcuni protagonisti del dibattito attuale sul testo della Commedia, Saverio Bellomo, Giorgio Inglese, Enrico Malato, Giorgio Petrocchi, Federico Sanguineti, Prue Shaw, Paolo Trovato, giudici competenti in siffatte materie. Domenico, alias Quirico, Viviani (1780-1835), a cui è intitolato l’ultimo capitolo, non è uno di quegli ingegni che nella storia degli studi danteschi abbiano un posto distinto. Poco noto persino agli specialisti è il suo nome, tanto da non figurare nel recente Censimento dei commenti danteschi a stampa della Salerno Editrice. Eppure negli anni Venti dell’Ottocento, quando Foscolo lavorava alla sua edizione, la Commedia di Viviani era reputata la più vicina all’originale. A ridimensionare


NOTA INTRODUTTIVA XIII quella reputazione il Discorso foscoliano contribuisce in modo decisivo, perché sospetta quanto poi è stato provato al di là di ogni dubbio, ossia che Viviani inventa una Commedia secondo il suo gusto, invece di ricostruire quella storicamente più probabile. Ciò da un lato spiega la damnatio memoriae subìta da parte dei dantisti, dall’altro però non diminuisce la sua rilevanza per Foscolo. Il quale fa tesoro della contiguità del suo antico compagno di studi con le idee e le esperienze della filologia trivulziana, l’ambiente di Vincenzo Monti e degli “Editori milanesi” del Convito di Dante. Questo lavoro è meno imperfetto grazie ai suggerimenti di Simone Invernizzi, Martino Marazzi, Luca Mazzoni, Claudio Milanini, Donato Pirovano, William Spaggiari, Cristina Zampese. Uno speciale ringraziamento spetta a Stefano Ballerio e Paolo Borsa, che hanno accolto il mio libro nella collana da loro diretta; e a Francesco Spera, che mi ha indirizzato a questo filone di studi. Ringrazio infine i direttori e il personale di due istituzioni mirabili e mirabilmente liberali, la Biblioteca Labronica “F.D. Guerrazzi” di Livorno, e la Società di incoraggiamento allo studio del disegno e di conservazione delle opere d’arte in Valsesia. Dedico questo lavoro a mia moglie Francesca, che l’ha vissuto con me.


CAPITOLO PRIMO UN «LIBRO DA ITALIANI» (IN FORMA DI LIBRARY BOOK) La lettera a Gino Capponi del 26 settembre 1826 è tra le più note dell’epistolario foscoliano. Dapprima parzialmente pubblicata sull’Antologia, periodico a cui collaborava il marchese fiorentino, quindi tradotta dalla Foreign Quarterly Review, aprì infine la prefazione alla postuma princeps della Commedia foscoliana curata da Giuseppe Mazzini tra il 1842 e il 1843.1 Questa lunga lettera-manifesto riveste una triplice e connessa funzione, documentaria, programmatica ed editoriale: fa capire come viveva e cosa scriveva Foscolo nell’ultimo periodo dell’esilio inglese; chiarisce i suoi progetti futuri, in particolare in ambito dantesco, dopo che nello stesso 1826 era uscito, con data 1825, il Discorso sul testo della ‘Commedia’; illumina il contrastato rapporto del poeta con il sistema editoriale, specie con William Pickering, l’editore del Discorso. A Pickering Foscolo attri1 La lettera a Capponi si legge in Foscolo, OEP VIII 229-40. Per la pubblicazione sull’Antologia e per la prefazione di Mazzini, si veda EN Bibl., 2, 190-201 e 246-50. Stefanelli studia le citazioni dantesche nell’epistolario di Foscolo.


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 2 buisce la responsabilità sia dell’incompletezza dell’edizione dantesca, sia dei limiti (quanto a formato, pagine, persino ideazione) del Discorso. In questa controversia i biografi di Foscolo tendono a sposare il suo punto di vista, senza la precauzione di incrociare tutti i dati a disposizione.2 Un aiuto in tal senso può venire dalle note apposte dalla Foreign Quarterly Review alla traduzione della lettera a Capponi. Lo scopo delle note (e della conseguente richiesta di rettifica all’Antologia) è mettere in luce l’assoluta correttezza di Pickering. Ad esempio il libraio-stampatore di Chancery Lane avrebbe interrotto l’edizione del Dante foscoliano non per ostilità preconcetta verso il poeta, bensì a causa della saturazione del mercato librario italiano, prediletto da Foscolo.3 Ripercorrere le traversie editoriali del Dante foscoliano è un modo di esaminare la questione legittimo, ma tutto sommato parziale, visto che, pur di pubblicare Dante, Foscolo è pronto a scavalcare, o comunque a ridurre al minimo, la mediazione editoriale. A tal fine accetta o ricerca l’aiuto di tre amici, Antonio Paniz2 Lindon, Studi 100 n. 36. 3 Critical Sketches 335-37 [ma 339]. Non entra nel merito della questione la risposta dell’Antologia, un breve cenno nella rassegna degli articoli usciti sulla Foreign Quarterly Review: «chi conobbe il Foscolo sa che quell’uomo alle volte trasognava. Del resto in Londra non è cosa da far meraviglia se un autore si vede alla volta defraudato del frutto dei suoi lavori» (Vieusseux, Rivista 99). Quando però è chiamato a scrivere in prima persona sulla medesima Foreign Quarterly Review, lo stesso Andrea Vieusseux abbandona il tono pilatesco, anzi esclude che Foscolo sia stato frodato: egli «only completed the Dante, of which, however, the Introductory Discourse alone was published [...], but for which he received the full amount stipulated» (Foscolo 341).


UN «LIBRO DA ITALIANI» 3 zi, in veste di curatore dell’ultimo volume, Pietro Giannone, spigolatore di varianti e correttore di bozze, Capponi stesso, come consulente editoriale.4 Inoltre il Dante foscoliano è l’anima di un più ampio progetto culturale, che prevede la contemporanea pubblicazione di Omero. Foscolo in sostanza racconta a Capponi come vorrebbe completare la sua Commedia a partire da un ripensamento critico della propria carriera di dantista, che culmina in una riconsiderazione della propria biografia letteraria. Durante l’esilio inglese più volte Foscolo deve essersi chiesto quale fosse il suo posto nella società che l’aveva accolto. A spingerlo a studiare Dante, oltre all’urgenza di autodefinirsi come scrittore, concorrono le necessità materiali e l’intermittente afasia poetica. «Or incalzato dalla Fortuna che pur vuole ch’io anziché vivere a studiare mi rassegni a studiare per vivere» – scrive già il 30 settembre 1818 in riferimento a un Corso di letteratura italiana per gl’Inglesi – «ho fatto un contratto con certi libraj per la ristampa d’alcuni grandi scrittori nostri da Dante in qua». 5 Nella lettera a Capponi lo stesso chiasmo assume un tono ben diverso: «non ho certezza oggimai né di vivere per lavorare, né di lavorare per vivere». Per quanto caricata da quell’attitudine all’autocommiserazione tipica della personalità del poe4 Lettera a Pietro Giannone del 7 ottobre 1826: «m'occorrerebbe ch'ella radunasse le varianti delle edizioni che le darei, e le rivedesse meco innanzi la stampa, e poscia correggesse i fogli delle prove di torchio due volte» (Foscolo, OEP VIII 242). Al ruolo di Panizzi nell’edizione foscoliana accenna il cap. VI. 5 EN XX, 387.


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 4 ta, questa frase ben riassume le sue enormi difficoltà materiali e psicologiche. Sulla soglia dell’ultimo anno di vita Foscolo, ormai sopravvissuto a se stesso, confida a Capponi di coltivare un sogno impossibile di felice emarginazione: vive sotto mentite spoglie per nascondere l’indigenza e sfuggire ai creditori, che gli hanno pignorato «tutti i mobili, e i libri, e ogni cosa». Una parte della mobilia sottratta alla vendita del Digamma Cottage arreda le case affittate nei villaggi suburbani di Hendon e Totteridge nel 1825, durante la stesura del Discorso; ma al momento di partire da Totteridge, l’ennesima crisi di liquidità spinge il poeta a svender tutto.6 Non è meno amara la perdita della biblioteca. Una memoria prodigiosa, il ricorso saltuario agli amici, qualche volume comperato coi soldi di Pickering, le visite occasionali al British Museum, obbligate data l’assenza di una rete di pubbliche biblioteche: tutto ciò non solleva Foscolo dalla necessità di disporre di una biblioteca privata stabile e ben fornita.7 Contingenze dolorose come quella descritta a Capponi – «mi trovo oggimai senza tetto né libri, avendo venduto ogni cosa per nulla a pagar creditori»8 – cadenzano e diversificano sia la consistenza, sia i campi d’interesse della biblioteca foscoliana, che per questo risulta nello stesso tempo folta, disordinata e discontinua.9 I conseguenti travagli per l’assenza o l’inattingibilità di testi letti o da leggere punteggiano non soltanto l’epistolario, con richieste di libri 6 Lindon, Foscolo 386. 7 Traniello 303-23. 8 Foscolo, OEP VIII 229-30. 9 Mazzacurati 46.


UN «LIBRO DA ITALIANI» 5 ai corrispondenti, ma altresì il Discorso, la cui redazione finisce per esser condizionata dall’impossibilità di accedere a una biblioteca “professionale”: ad esempio all’inizio e alla fine della postilla con correzioni autografe a Par. XII 141, spicca il rimando a opere viste in passato («certo […] libercolo ch’io vidi da giovinetto in Venezia») o da vedere in futuro (l’Italia sacra di Ferdinando Ughelli, «che fino ad ora non ho esaminato»).10 Le postille, vergate da Foscolo su un esemplare della princeps del Discorso conservato nella sede di Villa Fabbricotti della biblioteca Labronica “Guerrazzi” di Livorno,11 implicano un duplice ordine di problemi: perché sono state scritte? e come possono essere pubblicate? Oggi tutte le postille si leggono nell’edizione critica di Giovanni Da Pozzo, fedele alla scelta di privilegiare l’ultima volontà dell’autore rispetto all’esemplare a stampa, il testo letto e diffuso per decenni, grazie anche alle successive ristampe. Una più netta distinzione tipografica tra testo a stampa e postille manoscritte avrebbe forse permesso di meglio orientarsi nella stratificazione del lavoro foscoliano, che corrisponde alla linea di svi10 EN IX, 1, 509-11 n. 1; cfr. poi EN IX, 1, 236 («non mi trovo d’avere il libro»), 260 n. c («del fascicolo [...] non mi sovviene»), 279 («questo libro, io non l’ho»), 396 («mi duole che la loro edizione, se pure è uscita, non siami venuta sott’occhio»), 449 n. b («non ho il libro alla mano»), 481 («or non ho il libro»); 541 («né a me finora di quell’opera capitarono più che due tomi. Se avessi veduto il quinto [...]»); EN IX, 2, 226 («gli altri volumi, che io non ho veduto»). 11 Biblioteca Labronica “F.D. Guerrazzi”, Fondo “Foscolo”, vol. XXVII. I materiali d’interesse dantesco di questo fondo sono inventariati da EN IX, 1, cxv-cxxxvii, 739-64.


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 6 luppo di un pensiero in movimento. Infatti le postille non sempre si fondono organicamente col testo che vorrebbero integrare o ritoccare, a indiretta conferma dei dubbi dello stesso Foscolo sull’opportunità di divulgare i materiali postumi di uno scrittore.12 La prima postilla di rilievo asserisce che l’antichità di un testimone è di per sé garanzia della bontà del testo tràdito. Alla formulazione foscoliana di tale assioma della filologia prelachmanniana, ossia che «l’autorità sta tuttaquanta ne’ codici antichi», si richiama Carlo Negroni nel 1889 per affermare che una nuova edizione della Commedia dovrebbe fondarsi su codici non più tardi del 1350:13 un’anticipazione, com’è noto, del canone editoriale con cui Giorgio Petrocchi ha riconosciuto l’antica vulgata. V’è da dire però che nell’esemplare del Discorso di Villa Fabbricotti la cartula che recava quella postilla è andata dispersa, come riconosce Da Pozzo, il quale infatti l’ha recuperata dall’edizione di Mazzini. La stessa postilla, per di più, è smentita da un passaggio successivo del Discorso, per cui il valore di 12 L’allergia foscoliana verso gli editori di minute e scartafacci, editori «indiscreti, per troppa amicizia» (EN VI, 445), come Francesco Reina con Parini, emerge dalle Lettere scritte dall’Inghilterra: «oggi è costume nostro ed inglese che non sì tosto un uomo letterato chiude per sempre gli occhi co’ quali esaminava i suoi scartafacci – né stimatili finiti, né da pubblicarsi – gli amici e gli eredi li stampano, e sotterrano col morto una parte della sua fama» (EN V, 428). 13 EN IX, 1, 188; Negroni 19-21. Scrive Prue Shaw nella Introduction alla sua Commedia digitale: «Negroni’s argument was based on two fallacious assumptions: that mss. copied before 1350 were free of textual degradation, and that once these mss. had been identified a simple numerical majority of witnesses would guarantee the authenticity of the text at any given point» (Shaw, Commedia n. 2).


UN «LIBRO DA ITALIANI» 7 un codice «è da ricercarsi, non tanto nel tempo in cui fu ricopiato, quanto nell’autenticità del testo da cui derivava»: il principio pasqualiano dei recentiores non deteriores, già invocato in modo strumentale nelle dispute dantesche di fine Settecento, e di recente ribadito tra gli altri da Paolo Trovato appunto in contrasto allo sbarramento cronologico di Petrocchi.14 Il criterio editoriale della pubblicazione delle postille incide sulla fisionomia del Foscolo dantista, e di conseguenza sulla sua reputazione nella storia della filologia dantesca. La ratio delle postille è invece più agevolmente ravvisabile. Consapevole dei difetti strutturali del Discorso, imputabili a suo dire a Pickering, Foscolo continuava a rifinirlo in vista del completamento dell’edizione dantesca, ancorché il perdurante disaccordo con lo stesso Pickering rendesse incerta la sua sorte editoriale. Anche di questo discute la lettera-manifesto a Capponi: a quale pubblico vanno indirizzati i restanti volumi della Commedia? Qual è la readership di un progetto editoriale tanto ambizioso? La risposta accennata nelle prime pagine del Discorso («io so, o mi par di sapere, che la natura crea pochi poeti, e molti lettori di poesia») è generica, ispirata dalla volontà di rovesciare una massima di Montaigne («nous avons bien plus de poètes que de juges et interprètes de poésie»), piuttosto che di far fronte con scrupolo alla questione.15 14 EN IX, 1, 293; Mazzoni, Le polemiche 88, interviene sulle dispute dantesche; per i recentiores non deteriores della Commedia, si vedano D’Agostino; Inglese, La revisione 163 n. 6; Malato, Il testo 146; Mecca, Appunti 271; Trovato, Intorno agli stemmi 634. 15 EX IX, 1, 187, da rapportare a Montaigne 416.


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 8 Al Foscolo editore dantesco, poeta e lettore di poesia trapiantato in un diverso contesto socioculturale, la Lettera apologetica prospetta grosso modo due strade: o servirsi di quel nuovo contesto come osservatorio privilegiato per parlare agli Italiani; o portare Dante agli Inglesi per mezzo di un’operazione commerciale che avrebbe marcato le distanze da un’Italia lontana fisicamente e ideologicamente.16 Firmando «Un Italiano» la prefazione alla princeps del 1842-43, Mazzini mostra di aver inteso quale fosse il lettore modello dell’edizione foscoliana, stabilito dalle scelte linguistiche (l’italiano appunto) e ideologiche (Dante poeta nazionale) compiute da Foscolo. Questi insomma imbocca con decisione la prima strada, ma pure in campo dantesco non può evitare i condizionamenti dell’industria editoriale, che lo spingerebbero verso la seconda. Un esempio di tali condizionamenti, parallelo all’edizione dantesca, è un’opera-fantasma nella produzione di Foscolo, l’Antologia critica della poesia italiana in tre volumi. Il manoscritto che contiene il primo, 16 Cfr. Foscolo, Lettera apologetica 38-39: «mi sono rassegnato quasi a dimenticare questa lingua e scrivere per diporto di lettori che sentono, concepiscono ed esprimono tutte le idee in modi diversi dagli italiani; ed ho ipotecato l’ingegno a’ librai mecenati. Ma se la fama letteraria merita alcune fatiche, certo non è da sperarla se non dalla patria dello scrittore che sola può intenderlo e giudicarne». Scrivendo a Hudson Gurney il Foscolo inglese si paragonava a «a woman selling her own charm to a brutal purchaser» (Lettres inédites 83), proprio lui che, nella lezione pavese intitolata alla Letteratura rivolta unicamente al lucro, aveva immaginato che in Inghilterra uno scrittore potesse «arricchirsi con l’arte sua senza prostituirla» (EN VII, 114).


UN «LIBRO DA ITALIANI» 9 l’unico giunto a un grado avanzato di elaborazione, risulta irreperibile dopo la descrizione fattane da Vittorio Cian in una miscellanea celebrativa risalente a circa un secolo fa.17 Cian riferisce che l’antologia era stata concepita all’inizio del 1827 da Giulio Bossi, l’ultimo assistente di Foscolo. Il poeta, in un primo momento coinvolto in veste di consulente esterno, aveva poi assunto un ruolo sempre più decisivo nel progetto, sino a divenirne il principale responsabile. Pare dunque che a Foscolo competessero la scelta dei brani, metà dei quali sono canti della Commedia nella traduzione di Henry Francis Cary, e il loro commento, che rimaneggia i due articoli foscoliani usciti nel 1818 sulla Edinburgh Review. In definitiva del progetto dell’antologia, naufragato a causa della morte di Foscolo e della partenza di Bossi dall’Inghilterra, sfuggono i dettagli, non il significato globale. Nell’intendimento dei curatori l’antologia avrebbe dovuto essere una «speculazione» libraria: è il termine che impiegano in due diverse lettere sia Foscolo sia Bossi, vittime del pregiudizio che pone alta letteratura e alte tirature in alternativa insanabile.18 Visto che è un prodotto volto al realizzo immediato più che alla lunga durata, prima del lancio sul mercato l’antologia va garantita presso un ben definito bacino di utenza, ossia presso il pubblico degli studenti d’italiano. Per questo la 17 Cian, L’antologia. Per uno sguardo complessivo sulle antologie degli esuli italiani fra Sette e Ottocento, cfr. Spaggiari, L’Italia. 18 Foscolo non si avventura a pronosticare l’esito della «speculazione libraria» (OEP VIII 265); di «discreta speculazione», anche dopo la morte di Foscolo, parla Bossi a Panizzi (Fagan 70).


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 10 dissertazione proemiale, in cui tra varie mani si riconoscerebbero correzioni autografe di Foscolo, indaga questioni di glottodidattica, come ad esempio l’utilità delle versioni interlineari. Per gli stessi fruitori inglesi che avrebbero inteso e apprezzato la sezione dantesca dell’antologia di Bossi sono stati pensati alcuni aspetti del Dante foscoliano. Per volontà di Pickering l’ultimo volume dell’edizione avrebbe dovuto contenere, a vantaggio appunto dei «forestieri che studiano la Lingua Italiana», una sorta di indice esplicativo di nomi, fatti, personaggi, risultato dalla fusione – e in parte dall’integrazione – dei tre indici approntati da Giovanni Antonio Volpi per la sua famosa Cominiana del 1726-27.19 Inoltre svariate note dell’edizione foscoliana riportano parole ed espressioni inglesi per spiegare l’italiano dantesco (to be gibbeted per «gibetto» di Inf. XIII 151), rinviano a fatti di cronaca (il primo ministro inglese colpito da paralisi paragonato a Pier delle Vigne che perde «lo sonno e i polsi»), menzionano costumi locali (la candela detta rushlight per il «papiro» di Inf. XXV 65),20 alludono persino alla topo19 Foscolo introduce così l’indice esplicativo: «per compiacere anzi all’altrui disegno che al mio, ho addottato gl’indici della Cominiana, affinché, non foss’altro, giovino di Vocabolario Dantesco a’ forestieri che studiano la Lingua Italiana» (EN IX, 2, 307). In questo passo manca il nome di Pickering. Foscolo è più esplicito alla fine dell’abbozzato avviso Al lettore: il «librajo che si assunse l’impresa [...] desiderò [...] che non mancassero esposizioni di vocaboli, e nomi, e allusioni, a giovarne que’ lettori a’ quali esso mira» (EN, IX, 1, 705). Dei problemi legati all’indice esplicativo discute il cap. VI. 20 Si rilegga la nota foscoliana a Inf. XXV 65: «A’ tempi di Dante n’erano assai fatti di giunco di pallude (v. Pietro Crescienzo, presso


UN «LIBRO DA ITALIANI» 11 grafia londinese (nei Frammenti labronici, a margine di Inf. IX 70). Insomma Foscolo non escludeva che il suo Dante incontrasse il favore del pubblico italofono a cui pensava Pickering: come gli articoli edimburghesi erano stati scritti con taglio comparatistico, «selon le goût des Anglais», così l’edizione poteva rivolgersi «agli Inglesi studiosi della Letteratura italiana».21 Pickering, dal canto suo, aveva per qualche tempo accettato che il Dante foscoliano si vendesse in Italia; in seguito però, sprovvisto di agenti nel nostro paese e intenzionato a rientrare subito dal suo investimento, avrebbe contato sulle vendite garantite dai sottoscrittori in patria, non dalle esportazioni all’estero.22 Rappresentava un ostacolo insormontabile la mancata appartenenza alla stessa comunità dei lettori a cui miravano Foscolo e Pickering: i quali erano disposti a farsi l’un l’altro concessioni limitate e il Lombardi), e il costume serbasi tuttavia fra gl’Inglesi per certe candelucce dette rushlight, da rush giunco e light lume» (EN IX, 2, 131). La nota sembra derivare da Zotti, Commedia 291: «il Lombardi [...] coll’autorità di Pier Crescenzio contemporaneo di Dante, vuol che s’intenda quell’erba, che volgarmente chiamasi giunco, la cui midolla usavasi per lucignolo nelle lucerne in vece della bambagia; forse simile a quello che usano gl’Inglesi, col nome di rush-light». Romualdo Zotti fu editore dell’Ortis londinese del 1817. 21 EN XX, 418; lettera a Lord Dacre del 17 aprile 1824 (Foscolo, OEP VIII 149). Si legge in una rassegna inglese di studi danteschi risalente al 1844: «the residence of Foscolo in this country, his different contributions to British Reviews, as well as his fervent and persuasive eloquence, had undoubtedly rendered the subject in some degree attractive even to the English reader» (De’ Mazzinghi iv). 22 Lettere a Gurney del 25 gennaio 1826 e del 12 agosto 1826 (Foscolo, Lettres inédites 68 e 80).


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 12 strumentali, senza però giungere a un’intesa piena sulla readership della Commedia in cantiere. In sostanza le vicissitudini del Dante foscoliano sono emblematiche di una duplice frattura. La prima, se si vuole scontata e sotto certi aspetti esteriore, è quella tra la fame di successo e le condizioni perché esso si verifichi. La seconda, ben più essenziale, è la frattura tra un’idea forte di tradizione letteraria come elemento unificante e fondativo di una nazione, e l’individualismo legato alle leggi del mercato editoriale. Nella lettera a Capponi Foscolo prova però a sanare quella duplice frattura, a dimostrare cioè che il principio ideale di scrivere di Dante agli Italiani trae forza da ragioni contingenti, nel senso che proprio il mercato italiano sarebbe l’unico in grado di assorbire la nuova edizione. In effetti negli ultimi anni della vita di Foscolo comincia ormai a declinare l’interesse inglese per la lingua e la letteratura italiane, tipico dell’età della Restaurazione. Gli articoli edimburghesi del 1818 ricevono buona accoglienza, tanto che Foscolo crede di poterli rifondere e ampliare in un volume di trecento pagine.23 Del resto sia la traduzione di Cary (1814), sia il commentario di John Taaffe (1822), suggeriscono che allora l’Alighieri sapeva intercettare i gusti del pubblico colto, lo stesso per cui Lord Byron compone The Prophecy of Dante. Eppure già all’altezza del 1827 il necrologio uscito su due periodici inglesi attribuisce a Foscolo non il Discorso sul testo della ‘Commedia’, bensì un’inedita tradu23 EN XX, 310.


UN «LIBRO DA ITALIANI» 13 zione del poema, secondo un equivoco nato dal sottinteso che a quell’epoca sarebbe stato commercialmente impubblicabile un libro in italiano d’argomento dantesco. 24 Da una simile consapevolezza è animata la lettera a Capponi: «benché molti invaniscano a chiacchierarne, pochi intendono Dante; ed è libro da Italiani, – ed io m’intesi sempre a illustrarlo per l’Italia presente o futura». Ciò conferma quanto scrive a Foscolo il bibliofilo Thomas Grenville: Dante è un argomento di conversazione per gli Inglesi, ma è dubbio che tale familiarità si estenda alle sue opere.25 Stando così le cose, il Dante foscoliano non può che indirizzarsi a lettori italiani, ed è scontato che molti di essi siano addetti ai lavori: bibliofili, bibliotecari e dotti sono i tre tipi di lettori modello identificati dalla lettera a Capponi.26 24 Sul Blackwood’s Edinburgh Magazine (Deaths 768) e sulla London Literary Gazette (Biography 604), si legge: «His principal production, the translation of Dante, is finished, and in the hands of a publisher». Sul riflusso dell’italomania inglese (per cui fa testo Dionisotti, Un professore), scrive Antonio Gallenga, un altro esule italiano in Inghilterra, in un articolo su Foscolo del 1845 a firma “Anglomane”: «Byron, Hobhouse, and a hundred others, had raised it [Italian Literature] to a height of fashion in which, in later years, it has been superseded by the more fresh and copious productions of German genius» (405). 25 EN XXI, 283 (lettera di Thomas Grenville del 24 maggio 1821): «The names of Petrarch and of Dante are familiar enough in the conversation of this country, but I doubt whether that familiar use extends itself to their works». 26 A detta di John A. Carlyle, traduttore scozzese dell’Inferno a metà Ottocento, certe asprezze espositive e argomentative del Discorso, sgradite ai lettori inglesi, sarebbero dirette agli italiani: «English readers will dislike the angry, disjointed, and acrid style of that Discourse; and quiet students of Dante will be able to point out


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 14 Un «libro da Italiani», dunque: o meglio, nell’immediato un «Library book»,27 disponibile sugli scaffali di consultazione delle biblioteche, in prospettiva un libro destinato a durare per le future generazioni. Mentre Pickering ha in mente un volume, se non popolare, almeno facilmente smerciabile, la cui composizione non dovrebbe richiedere più tempo dei celebrati articoli edimburghesi, Foscolo consuma i suoi giorni a postillare un’opera nel contempo erudita, per gli addetti ai lavori del suo tempo, e popolare, per gli italiani venturi.28 Questa destinazione emerge da un passo del Discorso: «verrà forse giorno che, mentre noi saremo dimenticati, le fatiche nostre avranno per merito l’utile frutto che gli Italiani ricaveranno dal loro poeta».29 Certo, qualsiasi letterato classicista non può non pensare a un destinatario postumo, al di sopra delle contingenze del presente. Tuttavia l’impiego del sintagma topico tempus / aetas veniet, usato nelle profezie (ad esempio «veniet lustris labentibus aetas» nell’Eneide, o il «verrà un giorno» di padre Cristoforo a Don Rodrigo), suggerisce che l’autore del Discorso confidava in un esito favorevole, in un lontano ma sincero apprezzamento del suo lavoro. Pivarious errors, exaggerations, and anachronisms; but it ought to be remembered that poor Foscolo had to remove very large quantities of deep-settled rubbish, and deal with a class of his countrymen upon whom any other style would have produced less effect» (Carlyle, Comedy xxii). 27 Foscolo, OEP XII 460. 28 Traduco, con significativi ritocchi, un passo dell’articolo su Foscolo presente in un dizionario biografico inglese del 1835 (Lardner 391). 29 EX IX, 1, 287-88.


UN «LIBRO DA ITALIANI» 15 ckering non era un imprenditore abbastanza illuminato da accettare la prospettiva di un successo editoriale differito nello spazio e nel tempo. Foscolo invece assimilava la struttura comunicativa della sua edizione a quella della Commedia: entrambe le opere sono pensate per i posteri, scritte in vista di un destinatario assai più vicino, e soprattutto intrise di autobiografismo, di una nota acuta e intensa di coinvolgimento esistenziale. Questa oltranza irriducibile a una spendibilità immediata è il senso ultimo della curatela dantesca di Foscolo. Scrivere di Dante è stato per lui come fare un patto faustiano alla rovescia. Per garantirsi in futuro la posterità, se non l’immortalità, Foscolo si è rovinata l’esistenza quotidiana nel presente. Il suo primo e discusso biografo suggerisce la chiave di lettura del sacrificio di sé condotto sino all’autodistruzione: sarebbe stato il «troppo intenso studio sopra Dante»30 a portare alla morte Foscolo, educato alla dura disciplina del non omnis moriar. 30 Pecchio 437 n. 23. Ma pure per Mazzini l’edizione dantesca fu «il lavoro che costò ad Ugo la vita» (cit. in EN IX, 2, xvii).


CAPITOLO SECONDO OMERO, DANTE, VICO Quando Pickering comincia a distribuire il Discorso, Foscolo lamenta che neppure una copia sia recapitata né a lui, né probabilmente al dedicatario, il banchiere e mecenate Hudson Gurney. Qualche esemplare riesce però a trovare la via per l’Italia, com’era nei voti di Foscolo, il quale ne viene informato dalle lettere di parecchi amici. 1 Sembra che nei primi tempi della sua circolazione in Italia il Discorso fosse un testo «che pochi posseggono» e «che molti censurarono acerbamente».2 Uno dei pochi possessori è nominato da Foscolo stesso nella lettera a Capponi: si tratta di un altro ricco mecenate e filantropo, il nobile pistoiese Niccolò Puccini. Egli aveva conosciuto a Bologna nel 1826 Giacomo 1 Lettere a Gurney del 25 gennaio e del 12 agosto 1826 (Foscolo, Lettres inédites 68 e 80). Entro il 10 giugno 1827 Foscolo invia il Discorso dantesco a Gurney e ad altri (ancora Foscolo, Lettres inédites 90). 2 Così recita la prefazione, firmata Gli Editori, a Arrivabene, Il secolo 10. «L’Italia ne ha riso», scrive del Discorso lo studioso vichiano Benedetto Castiglia, e aggiunge: «nondimeno [...] siffatte ricerche [...] rimarranno ognora saldissime [...] e fiano esempio di che possa la longanimità di ingegni veggenti anco in quistioni minuziose ed intricatissime» (135). Cfr. infra, pp. 132-33 e n. 9, per pareri simili.


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 18 Leopardi, autore nel 1832 del testo dell’iscrizione, oggi perduta, per un busto di Raffaello collocato nel parco di villa Puccini a Scornio. Puccini e Leopardi avevano in comune alcune conoscenze, come il già nominato Capponi, destinatario della Palinodia leopardiana, e Giampietro Vieusseux. A quest’ultimo Puccini il 27 marzo 1827 scrive che una copia del «Dante foscoliano» stava per esser consegnata a Leopardi di ritorno a Bologna. In effetti stralci del Discorso – presente nella biblioteca di casa Leopardi nell’edizione di Lugano del ’27 – sono trascritti nello Zibaldone a Firenze fra il 19 e il 21 settembre 1828, con ritorno su questi temi il 13 aprile dell’anno successivo. 3 Il denominatore comune dei brani del Discorso trascritti da Leopardi è il rapporto Dante-Omero. 4 Il primo brano concerne il possibile riuso in campo dantesco degli apporti della filologia anglo-tedesca alla questione omerica a cavallo tra Sette e Ottocento; in particolare C.G. Heyne, il suo più brillante scolaro F.A. Wolf, infi3 Il filo foscoliano tra Puccini e Leopardi si dipana grazie a tre testi: lo spunto di Bonacchi Gazzarrini 205; la lettera di Puccini a Vieusseux del 27 marzo 1827: «gli porterò il Dante Foscoliano, che non ho ancora inviato a Leopardi, perché aspetto che torni in Bologna» (Puccini 13-15); la scheda dell’edizione di Lugano del Discorso contenuta nel catalogo della biblioteca Leopardi in Recanati (Campana 133). 4 Leopardi 2945-53 (corrispondenti a EN IX, 1, 156, 196-98, 453- 54, 564-72), 3045-46. Stralci di opere foscoliane, compreso il Discorso, sono riportati il 30 dicembre 1940 da Cesare Pavese nel suo diario (210-14). Sebbene alcuni brani (la conclusione del Discorso) e alcune tematiche (il confronto Dante-Omero) coincidano con la selezione leopardiana, l’intendimento complessivo è diverso: Pavese intende appurare le tendenze aforistiche e la tenuta analitica della scrittura critica di Foscolo.


OMERO, DANTE, VICO 19 ne R. Payne Knight, sodale di studi di Foscolo, suggeriscono cronologie errate o sforzate, e così esemplificano una impostazione da non ripetere per la Commedia. Il secondo brano denuncia che le edizioni vulgate di Omero e di Dante hanno sfigurato la prosodia a base vocalica delle loro opere. La celebre edizione della Commedia del 1595 è sovraccarica di aferesi, troncamenti, elisioni, poiché i curatori, gli Accademici della Crusca, adattano alla pronuncia dei loro tempi la grafia di autori antichi come Dante. Gli argomenti opposti da Foscolo alla solidarietà cruscante fra grafia e pronuncia (intanto Dante ha composto il De vulgari eloquentia per dimostrare che non intendeva scrivere come parlavano i Fiorentini dei tempi suoi; poi la lingua letteraria italiana, in quanto scritta, non parlata, è impermeabile alle variazioni accidentali della pronuncia; infine sarebbe stato impossibile nel Cinquecento congetturare quale fosse la pronuncia trecentesca), sono tutti subordinati all’assioma che «la Divina Commedia sia stata verseggiata studiosamente a vocali».5 Leopardi si rivela un lettore acuto del Discorso, non perché concordi con Foscolo su questo o quel punto del suo pensiero, ma perché con la sua selezione ne segnala indirettamente la linea essenziale nel parallelismo fra Dante e Omero, gli autori degli unici libri che il Foscolo inglese, per uno spavaldo impasto di idealismo e masochismo, rifiuta di mettere in vendita, anche se ormai ridotto all’inedia.6 Al proposito la lettera-manifesto a Capponi fornisce alcune precisazioni di rilievo. Si è già detto che Foscolo vagheggiava di concludere l’edizione 5 EN IX, 1, 572. 6 Foscolo, Lettres inédites 83.


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 20 della Commedia, e nello stesso tempo di preparare una traduzione dell’Iliade: entrambe, spiega a Capponi, da pubblicare fuori dall’Inghilterra, con adeguata prefazione, ovvero la Lettera apologetica per Dante e un poco definito «discorso politico» per Omero. In più Foscolo attribuisce alla propria carriera di critico dantesco il senso di un lungo apprendistato, di una acquisizione graduale di competenze: studiare le opere della letteratura italiana gli è servito per capire la Commedia («mi rimase il vantaggio d’avere ben imparato il modo d’illustrare il poema di Dante»), e il metodo interpretativo nato per Dante sarà applicato a Omero, la cui edizione si gioverà delle novità proposte dagli stessi Wolf, Heyne, Payne Knight segnalati nel primo stralcio del Discorso trascritto da Leopardi. L’impostazione teleologica – dagli scrittori italiani a Dante, da Dante a Omero – soffre di reticenze e ambiguità. Per prima cosa il rapporto fra Dante e Omero negli studi foscoliani meglio si descriverebbe nei termini di un mutuo arricchimento, nel senso che talvolta sono gli studiosi omerici a suggerire nuovi modi di analizzare e pubblicare la Commedia. 7 Inoltre tra gli scrittori italiani Foscolo passa sotto silenzio il ruolo di Boccaccio, che 7 Come nella Commedia Dante personaggio inganna Frate Alberigo, così nell’Iliade Ulisse e Diomede ingannano Dolone (EN IX, 1, 254-57). Mentre però i commentatori danteschi glissano su questo passo, quelli omerici, in particolare Melchiorre Cesarotti nella sua traduzione letterale dell’Iliade (Cesarotti, Versione 42-43), elevano ad argomento di controversia il comportamento di Ulisse e Diomede. Un fine superiore giustifica ogni mezzo per conseguirlo? Può l’eroe agire in modo in apparenza non etico? Da ricordare sull’episodio di Dolone il giudizio storicizzante di Vincenzo Monti: «leggendo Omero, non perdo mai di vista i costumi dei suoi tempi» (Lezioni 116).


OMERO, DANTE, VICO 21 ha studiato in parallelo a Dante. Il Discorso critico sul testo del ‘Decameron’ è il trattato gemello rispetto al Discorso dantesco, di cui condivide l’editore (Pickering), l’anno (1825), e soprattutto la finalità. In termini moderni quasi si direbbe che Foscolo intenda costruire la critica del testo della Commedia e del Decameron sulla storia della loro tradizione. Quest’ultima sarebbe condizionata da una parte dall’assenza di autografi (ovviamente Foscolo ignorava il manoscritto hamiltoniano del Decameron), dall’altra dalle edizioni della Crusca, fondate, per Dante come per Boccaccio, sulla erronea solidarietà fra grafia e pronuncia. Nella lettera-manifesto a Capponi il rapporto esclusivo fra Dante e Omero è giustificato in base all’affinità fra le loro epoche: «nel diradare il poema e il secolo oscurissimo di Dante, parmi d’avere spiato barlume a esplorare il secolo ignotissimo d’Omero, e lo stato della civiltà de’ Greci a que’ tempi». 8 Che i «tempi barbari di Omero» fossero «simiglianti a quelli, che poi seguirono, di Dante», è asserzione di Giambattista Vico.9 La razionalità indagatrice del filosofo napoletano fonda e inaugura quella che Harold Bloom ha chiamato «the Italian line»10 nella tradizione moderna degli studi danteschi, ovvero la genealogia Vico-Foscolo-De Sanctis-Croce. In verità gli innesti vichiani sul dantismo foscoliano paiono più genericamente affermati che provati in base 8 Foscolo, OEP VIII 233. 9 Vico, Opuscoli 233. 10 Bloom 76. In una lettera a Francesco Flora dell’11 agosto 1949, Croce tracciava la stessa genealogia, dal Dante del De vulgari eloquentia a De Sanctis, allo scopo di mettere in rilievo che la critica letteraria è una disciplina squisitamente italiana (Mezzetta 164).


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 22 a precisi riscontri testuali. Non esiste infatti per gli scritti di Foscolo su Dante una ricognizione analitica paragonabile a quella di Andrea Battistini, che ha indagato i nuclei concettuali ed espressivi comuni a Vico e al Foscolo dei Sepolcri. 11 Se ci limitiamo al parallelo fra Dante e Omero, un tracciato ideale di ricerca è suggerito da Umberto Carpi, il quale ammette il carattere mediato e poligenetico della ricezione di temi latamente vichiani da parte di Foscolo: nel contesto d’uno dei più strenui tentativi di complessiva collocazione storica della Commedia, [Foscolo] collega la risorgente fortuna di Dante (e di Omero) al clima culturale determinato dal ciclo rivoluzionario settecentesco, [sicché in lui] dantismo e machiavellismo (su un fondo vichiano trasmessogli da Cuoco e da Lomonaco) si sono sviluppati, dopo la rivoluzione e negli anni del dispotismo napoleonico, nell’ambito della riflessione ideologica sulla Storia in generale e sulla storia d’Italia in particolare. (Carpi, La nobiltà 19 e 253) Qual è allora il fondo vichiano della meditazione foscoliana sulla storia? È forse l’idea che un poeta non può essere separato dal periodo in cui vive, nel senso che, essendo la storia il soggetto della sua poesia, egli è chiamato a risolvere in modo peculiare il legame di messa a fuoco reciproca tra linguaggio e realtà. Omero e Dante raggiunsero l’eccellenza non malgrado i tempi in cui vissero, ma grazie a essi, grazie al fatto che quei 11 Battistini, Temi (da integrare con Del Vento 62-65 e con Mazzacurati).


OMERO, DANTE, VICO 23 tempi li indussero a metter in scena storie vere e personaggi reali. Questo concetto è andato progressivamente affinandosi nel pensiero vichiano e nella corrispondente rielaborazione foscoliana (il cui nucleo, almeno per quanto attiene alla presente ricerca, andrà spostato più avanti rispetto alla cronologia proposta da Carpi). La Scienza nuova, che Foscolo leggeva nell’edizione milanese uscita nel 1801 presso la tipografia dei Classici Italiani, offriva uno spunto decisivo: «Dante nella sua Commedia spose in comparsa persone vere, e rappresentò veri fatti de’ trappassati». Così riprendeva questo spunto il secondo articolo edimburghese, risalente al 1818: «Dante’s whole work [...] is conversant only with real persons».12 Nello stesso anno in cui usciva quest’articolo, veniva pubblicato per la prima volta il cosiddetto Giudizio sopra Dante, in cui Vico ribadisce sì che la Commedia è la storia dei tempi barbari d’Italia, ma nel contempo precisa che Dante in quanto storico riporta fatti veri, in quanto poeta racconta menzogne.13 L’assunto del Discorso foscoliano è più articolato: «chi più la considera più s’accerta che la finzione assume apparenza e potere di verità; onde quanto più Dante è guardato da storico, tanto più illude e sorge ammirabile come poeta». 14 Dante nell’aldilà non si limita a rappresentare personaggi 12 Vico, Scienza nuova III 20; EN IX, 1, 120. 13 Il Giudizio sopra Dante – che si cita da Opuscoli 27-33 – è un saggio di difficile datazione e interpretazione (si vedano le osservazioni di Cristofolini), ma rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per Foscolo, visto che alla fine tratta di un imprecisato commentatore dantesco (identificato con Pompeo Venturi da Croce 407-10). 14 EN IX, 1, 422.


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 24 incontrati tra le pagine dei libri: all’Inferno vede anche quelli, ma parla (finge di parlare) soltanto coi protagonisti della cronaca contemporanea, che gli erano noti per via diretta o indiretta. Per questo tra le favole dei poeti e i fatti veri degli storici non intercorre quel netto disallineamento predicato negli stessi anni dallo storicismo manzoniano.15 Non v’è quasi pagina dedicata alla Commedia nell’Ottocento in cui non si ripeta che, per capire Dante, basta studiare i tempi in cui è vissuto. Ben prima che questo diventi un radicato luogo comune, Foscolo lo subordina al nesso vichiano tra individualità e storicità, e così lo carica di un’alta intensità di pensiero e di visione. Vico osserva che Omero e Dante sono autodidatti: non sono in grado d’insegnare come si raggiunge l’ eccellenza, perché a loro nessuno, neppure Longino, l’ha spiegato. Furono grandi poiché ebbero grandi qualità (altezza d’animo e magnanimità), e vissero in tempi semibarbari. «Natura» e «tempi» sono perciò le parole chiave della seguente citazione del Discorso: «Omero, e Dante [...] non però possono insegnare il secreto dell’arte, perché essi l’usavano quasi senza conoscerlo, e come l’ottennero dalla natura, e da’ tempi», ossia dalle «epoche ancor mezzo barbare». 16 Dai tempi in cui sono vissuti, Omero e Dante ereditano un linguaggio a prevalente base vocalica. Lo spiegano i Corollarj del secondo libro della Scienza nuova, dedicati alle Origini della locuzion poetica: «i primi uomini Greci nel tempo de’ loro Dei hanno formato il 15 Nicoletti, Foscolo 293. 16 EN IX, 1, 423, ricalca Vico, Opuscoli 30-31.


OMERO, DANTE, VICO 25 primo verso eroico spondaico col dittongo παι, e pieno due volte più di vocali, che consonanti». 17 La prosodia delle lingue primitive è vocalica, perché la sostanza fisica dei suoni dipende dalla costituzione anatomica. Infatti rispetto alle consonanti, le vocali sono facili da formare, visto che la loro emissione richiede una generica vibrazione delle corde vocali.18 La poesia nasce prima della prosa come canto e come melodia, in cui predominano le vocali destinate poi a diminuire: «di tal primo canto de’ popoli fanno gran pruova i dittonghi, ch’essi ci lasciarono nelle lingue; che dovettero dapprima esser assai più in numero». L’origine vocalica e melodica del linguaggio è riscontrata in varie lingue, greco, latino, francese, italiano, arabo, cinese, grazie a un incalzante, vertiginoso incrocio della prospettiva diacronica con quella sincronica. I Corollarj vichiani sono la porta d’accesso al dantismo foscoliano, ancora da indagare compiutamente nonostante la sua generica notorietà. Ne fornisce una parafrasi limpida, a tratti didascalica e sincopata, l’ultima sezione del Discorso, non a caso trascritta da Leopardi: «né credo che altri possa additare poesia di gente veruna ove i fondatori della lingua scritta non si siano dilettati di melodia; e che non vi dominassero le vocali; e che poi non si diminuissero digradando».19 Non sorprende 17 Vico, Scienza nuova II 75 (anche per le successive citazioni). 18 Lo ripete la Storia del digamma eolico: «languages commence by being less articulated than modulated: precisely as a child can easily modulate the a, the i, the o, but requires exercise and strength of organs to articulate the f, the l, the n, the r, and to pronounce them together» (EN XII, 238). 19 EN IX, 1, 571. Leopardi non poteva non cogliere l’affinità fra la conclusione del Discorso e la pagina dello Zibaldone datata 12 giu-


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 26 che, sul modello vichiano, gli specimina a supporto siano tratti dal greco, dal latino, dall’inglese, ma principalmente dall’italiano letterario. Nel passato prossimo e remoto della riflessione critica foscoliana, compreso il Discorso boccacciano, la predilezione per le forme piene aveva conosciuto occorrenze episodiche,20 genericamente connesse alle finali vocaliche del lessico italiano, mai tuttavia armonizzate in una più ampia teorizzazione. Negli anni inglesi, invece, Foscolo trova modo grazie a Vico di formalizzare una convinzione che già a lungo si era depositata nel suo animo, ovvero che un testo, al di là della lingua in cui è scritto, più è ricco di vocali, più è vicino alla poesia primitiva. Questa posizione rappresenta un unicum nel quadro della trattatistica retorica e poetica, che di solito connette la successione di vocali a gno 1821, secondo cui il concorso di vocali, tipico della fase primitiva delle lingue, è destinato poi a ridursi: «la lingua italiana antica, quella lingua de’ trecentisti, che quanto alla dolcezza e leggiadria non ha pari in nessun altro secolo, non solo non isfugge il concorso delle vocali, ma lo ama. Proprietà che la nostra lingua è venuta perdendo appoco appoco, quanto più s’è allontanata dalla condizione primitiva». Parrebbe dargli ragione Avalle, Concordanze lxxxvii: nei manoscritti della poesia del Due e del Trecento le vocali atone finali, apocopabili per ragioni sillabiche, sono quasi sempre presenti. A detta di Aldo Menichetti, la «forma piena in sinalefe» sarebbe «la via globalmente preferita dalla poesia di alto impegno» (327). Non fa eccezione il Leopardi poeta: la sua preferenza per la scriptio plena è messa in luce da De Robertis ciii nella sua ed. critica dei Canti. 20 EN VII, 79: «L’abuso inoltre fa dire ne’ verbi dimostrar per dimostrare, e nei nomi specialmente femminini – fatto con frequenza è prettissimo barbarismo – costituzion per costituzione e maggior per maggiore e sì fatti»; EN VII, 213: «costituzion, condizion; elisioni che l’indole della lingua e la necessità di un’uniforme pronunzia rifiutano»; EN X, 357: «il vezzo [...] di calcare gli accenti su le consonanti troncando talor duramente le ultime sillabe».


OMERO, DANTE, VICO 27 categorie stilistiche ed eufoniche. Notevole per la prossimità a Foscolo, ma evidentemente riconducibile al comune magistero vichiano, è l’eccezione del suo primo maestro, Melchiorre Cesarotti. Il suo commento a Demostene accenna sì alla «lingua primitiva ed universale, formata dal concorso di varie vocali», 21 senza però approfondire il riferimento, che resta estemporaneo ed epidermico. A differenza di Cesarotti e soprattutto di Vico, Foscolo scrive da filologo impegnato a giustificare le sue scelte testuali. Quando nell’ultima sezione del Discorso chiarisce il suo proposito di avvicinare la Commedia «alla prosodia di tutte le poesie primitive», Foscolo di fatto dichiara che il principio in senso lato vichiano della prosodia vocalica sarà il criterio cardine con cui intende emendare il testo del poema contro le «mozzature» o «storpiature» della vulgata, ossia le aferesi, i troncamenti, le elisioni della Crusca. Perciò quel principio viene piegato alla finalità pragmatica di emendazione testuale del tutto estranea al complesso disegno antropologico della Scienza nuova. La filologia di Vico, in quanto «dottrina di tutte le cose, le quali dipendono dall’umano arbitrio, come sono tutte le storie delle lingue, de’ costumi, e de’ fatti», 22 non si realizza mai come ecdotica o emendazione testuale. Non a caso Vico ap21 Cesarotti, Opere 360. Cfr. Battistini, Un critico. 22 Vico, Scienza nuova I 7. Foscolo non ama il termine “filologia” e derivati (cfr. EN IX, 1, 176, 196, 253, 273; EN IX, 2, 302), poiché aborre non il concetto in sé, bensì il suo tralignamento rispetto alla Scienza nuova, come suggerisce la chiosa a Inf. XXI 42: «un altro nuovo espositore [forse Costa, Commedia I 180-81] n’abbonda assottigliandosi a gloria della loro scienza nuova “Filologia”, com’essi la chiamano». Sull’idea di filologia di Vico si rimanda a Auerbach.


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 28 prezza la capacità del commento di cui parla alla fine del Giudizio di mettere in luce la «bellezza, o leggiadria, dell’ornamento, o dell’altezza de’ di lui [di Dante] parlari». 23 Viceversa Foscolo esclude apertamente che il suo commento possa essere scambiato con le coeve Bellezze della ‘Commedia’ dell’abate Cesari: «so ch’altri invocano un critico che faccia ad essi di passo in passo sentire i pregi della composizione; e vi provvederanno gli estetici». 24 Del resto il parallelo foscoliano fra Dante e Omero non trascura la storia del testo dei rispettivi capolavori, un tema assente dalla Scienza nuova. Foscolo denuncia il rischio che la Commedia subisca la stessa sorte dell’Iliade, che diventi il pretesto per una discussione infinita e inconcludente. Tra le bozze a stampa del Discorso conservate alla Labronica figura un brano notevole, benché superato dalle successive rielaborazioni, secondo cui «le sorti dell’Iliade s’hanno da osservare come pronostico delle contenziose emendazioni nella lingua e nella verseggiatura della Divina Commedia, e trovar modo, se v’è, che non si facciano interminabili». 25 Le controversie sulla prosodia vocalica dei poemi omerici preannunciano un tema di eguale portata e interesse per la filologia dantesca. A detta di Foscolo editori come Bentley, Heyne, Payne Knight, sbagliano a ridurre o cancellare le successioni di vocali nei poemi omeri23 Vico, Opuscoli 32. 24 EN IX, 1, 187. 25 Biblioteca Labronica “F.D. Guerrazzi”, Fondo “Foscolo”, vol. XXV, c. 118r. Il brano, riproposto nella bozza di c. 126v, risulta cassato nella successiva, a c. 133v.


OMERO, DANTE, VICO 29 ci. 26 In particolare Foscolo teme che il suo amico Payne Knight, estraneo agli ambienti universitari, sia presto dimenticato dai compatrioti. Per questo motivo un’intera sezione del Discorso traccia un commosso ritratto dello studioso appena scomparso, il quale, giunto al termine di una vita consacrata all’antichità, anche come collezionista, avvertiva ormai il «tedio» e la «vanità» dell’esistenza, sentimenti comuni sia al Foscolo corrispondente di Capponi, sia al Leopardi trascrittore del Discorso. 27 L’edizione omerica di Payne Knight, uscita nel 1820, ispira a Foscolo l’abbozzata Storia del testo d’Omero. Essa rimprovera allo studioso inglese di aver commesso un doppio anacronismo, ossia di aver introdotto l’apostrofo, un segno ortografico modernissimo, per indicare l’elisione, un fenomeno assente nell’Iliade e nell’Odissea. Di fatto Payne Knight e Foscolo propugnano due visioni opposte ma complementari, perché imputano ai «grammatici» la colpa di aver adulterato i poemi omerici, aggiungendo o cancellando le successioni vocaliche.28 26 La nota (EN IX, 2, 181) rimanda alla Storia del digamma eolico. Questo articolo del 1822 anticipa alcune chiose poi travasate nel commento dantesco (ad es. quella su Demetrio Falereo: EN IX, 2, 51), ma termina dando ragione a Bentley («there is every reason to think with Bentley»: EN XII, 242), a differenza del commento; inoltre suggerisce una lezione per Inf. III 11 («vidi io») poi rigettata nell’edizione dantesca a vantaggio di «vid’io». Sembrerebbe che tra il Foscolo dantista e omerista la sintonia non sia assoluta. Non è questa la sede per approfondire la questione, che richiederebbe l’analisi della Storia del testo d’Omero, e soprattutto dei materiali di vario tipo e rilievo pubblicati da Gennaro Barbarisi (EN III). 27 EN IX, 1, 197-98. 28 Scrive Payne Knight: «evenit ut rhapsodi et grammatici [...], quoties versuum mensurae modos loquendi longiores vel pleniores


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 30 Foscolo compie un passo in più, pensa che gli stessi accidenti abbiano alterato testi lunghi e di tradizione sovrabbondante come quelli di Omero e di Dante. Il Discorso individua il momento di svolta a fine Settecento, quando l’Iliade di Jean-Baptiste-Gaspard d’Ansse de Villoison (1788) e la Commedia di Baldassarre Lombardi (1791-92) hanno avviato una fase di più facili e a volte corrive emendazioni ai testi vulgati.29 In effetti Cesarotti riporta l’opinione di chi crede che l’Iliade veneta di Villoison, finita nella mani di Wolf, avrebbe amplificato la fluttuazione del testo omerico.30 Allo stesso modo la Commedia del padre francescano Lombardi, la prima uscita ufficialmente a Roma, dà vita al profluvio di edizioni dantesche del primo Ottocento, perché incrina il monopolio della Crusca, rilanciato nel 1726-27 dalla Cominiana e di lì in poi più e più volte riaffermato. In tal senso l’impatto dirompente della desiderarent, toties licentiam istam poeticam excogitaverint, ac litteris insititiis hiatus suppleverint» (36). I Prolegomena premessi alla sua edizione, e già editi in precedenza, hanno influenzato il Discorso dantesco sia per l’impianto argomentativo (brevi paragrafi introdotti da numeri romani, a differenza del Discorso boccacciano), sia per la sostanza stessa dell’argomentazione (il percorso storico del testo e della lingua). I frammenti trilingui della Storia del testo d’Omero si leggono in EN XII, 363-92 (per l’elisione, 382-85). 29 EN IX, 1, 561-62. 30 Nel suo catalogo di edizioni omeriche Cesarotti osserva: «L’antagonista franzese di cui non si dice il nome, confutando l’opinione del Wolfio, confessa però che le osservazioni di lui sopra il testo d’Omero meritano per ogni conto un’attenzione particolare, e molte di esse sono piene di sagacità; teme però che possano diventar pericolose perché sembrano autorizzar la libertà di cangiare, e interpolare il testo dietro le diverse idee dei critici moderni» (Cesarotti, Iliade 243-44).


OMERO, DANTE, VICO 31 Lombardina, a ragione rilevato da Foscolo, è paragonabile a quello della Comedia di Federico Sanguineti, che nel 2001 ha acceso l’attuale, ricchissima stagione di dibattiti sul testo dantesco, dopo la lunga quiescenza causata dal prestigio dell’antica vulgata di Petrocchi.31 Per questo Foscolo ha scritto il Discorso, per illustrare i criteri con cui ha approntato il testo del suo «libro da Italiani». Beninteso, la giustificazione filologica non esaurisce le 211 sezioni del Discorso, perché il Foscolo dantista, per quell’aspirazione alla totalità congiunta alla natura associativa del suo ingegno, passa con apparente disinvoltura da un argomento all’altro. L’andamento discontinuo mette talora alla prova la pazienza del lettore, perché implica qualcosa di aperto e provvisorio, quasi fosse necessario accogliere nuovi materiali e i già accolti fossero interscambiabili. Malgrado ciò la priorità della filologia è l’ipotesi di lettura unificante dei dati. È noto che la perizia filologica di Foscolo è stata sottoposta a una critica radicale a opera di Sebastiano Timpanaro. Eppure suscita quantomeno perplessità che in un articolo intitolato Sul Foscolo filologo mai si parli del suo commento filologico all’Inferno. Questo restringimento di prospettiva rischia di inficiare i risultati dell’analisi. Timpanaro denuncia «l’estrema scarsezza, quasi l’assenza di esemplificazioni» del Discorso, dove l’unica variante d’autore indicata da Foscolo riguarderebbe Inf. II 60 («e durerà quanto ’l moto/mondo lontana»).32 Nelle note all’Inferno, nondimeno, Foscolo non 31 Cfr. Canova, Coluccia e Viel. 32 Timpanaro, Sul Foscolo filologo 133. L’articolo del 1971 contribuì ad attenuare – nei toni, non nella sostanza – le riserve antifoscoliane espresse nella prima edizione di un altro celebre contributo


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 32 soltanto segnala altre presunte varianti d’autore, ma, come vedremo, le inquadra in una visione critica degna di analisi pur se irrisolta. Dai rilievi di Timpanaro traggono spunto e conforto illustri studiosi, tra gli altri Gennaro Barbarisi, editore delle traduzioni omeriche di Foscolo, e Roberto Tissoni, pioniere delle ricerche sulle edizioni sette-ottocentesche della Commedia. La denuncia di Barbarisi relativa alla scarsa preparazione filologica di Foscolo, condotta sui repertori più diffusi ai tempi suoi, è limitata, se non m’inganno, al versante classico della cultura foscoliana.33 Allo stesso modo Tissoni, a supporto della sua requisitoria contro il Discorso (un «informe sproloquio») e contro Foscolo (tacciato di «degradazione morale» e di «dissesto mentale»), adduce sì qualche citazione dall’Inferno foscoliano, ma, per quanto riguarda il Discorso, si limita perlopiù a ripercorrerne l’indice.34 La premessa a un giudizio più equilibrato è una base documentaria meno incompleta, che includa cioè, oltre ovviamente al Discorso e al commento all’Inferno, i materiali preparatori e integrativi pubblicati nell’Edidi Timpanaro, La filologia di Leopardi 141-42. Il quadro ideologico è lumeggiato da Carpi, Timpanaro 136 n. 10. 33 EN III, 1, xxxiii n. 1. Barbarisi si rifà alla prima edizione del libro di Timpanaro sul Leopardi filologo. La recensione di Giuseppe Fischetti a Barbarisi, uscita sul Giornale storico nel 1970, originò la risposta di Timpanaro citata all’inizio della nota precedente. Altri studiosi che si siano imbattuti nel Foscolo filologo in ricerche specifiche (Lehnus) o generali (Treves), lo sorprendono a esercitare il suo acume sempre in campo greco-latino. 34 Tissoni 104-10. Simili tentativi di ridimensionare la figura di Foscolo sono precoci. La segnalazione della sua recentissima scomparsa, collocata in coda a un articolo anonimo sulla Ricciarda, definisce Foscolo «prodigiously overrated» (Horae 584).


OMERO, DANTE, VICO 33 zione Nazionale, ad esempio i Frammenti fiorentini o le già citate postille. L’attività filologica del Foscolo dantista non ebbe soltanto una finalità strumentale di tirocinio letterario (il che in parte è vero per la Chioma di Berenice, lungo la strada dei Sepolcri e delle Grazie), ma pure in ambito strettamente ecdotico produsse risultati da giudicare di un certo rilievo persino sul metro della raffinata tecnica moderna. Petrocchi, curatore dell’Inferno di Foscolo per l’Edizione Nazionale, ha infatti segnalato la «centralità della sua posizione nella lunga storia della tradizione del poema», aggiungendo che «la migliore prova dell’importanza del commento filologico del Foscolo risiede nella utilizzazione che l’editore moderno deve fare d’esso»;35 sicché nell’apparato dell’antica vulgata sono numerose le volte in cui Petrocchi rimanda a interventi foscoliani di filologia formale, ossia al suo lavorìo d’interpretazione minuta e di decodifica letterale del testo, di difesa o di emendazione della lezione tràdita, anche sulla base di folgorazioni esteticostilistiche. Non è del tutto da escludere che, ogniqualvolta l’interpretatio prevalga sulla razionalizzazione stemmatica e si affermi come fondamentale criterio della constitutio textus, 36 edizioni a stampa come quella di Foscolo, ricche di congetture, referti di codici, giudizi su lezioni peregrine, possano assumere un valore ecdotico, non soltanto culturale, e pertanto si meritino un posto nella critica del testo, oltreché nella storia della tradizione. 35 EN IX, 2, xli e xliv. 36 È la proposta filologica e critica di Enrico Malato, del quale si vedranno almeno i contributi citati in Bibliografia.


FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 34 Non interessa qui discutere la riproponibilità delle soluzioni testuali suggerite da Foscolo. La sua filologia non comporta infatti né una tecnica nuova né una nuova metodologia in campo ecdotico o linguistico: rappresenta piuttosto una grande lezione che restituisce all’indagine testuale la sua funzione preliminare e fondante, in accordo con la tradizione umanistica. Non è un caso che, fra i tanti discorsi danteschi di tipo appunto «preliminare» concepiti e a volte abbozzati da Foscolo (sullo «stato civile in Italia, ai tempi di Dante», sulla «letteratura italiana nel secolo XIII», sulle «condizioni della religione»),37 l’unico ad esser stato concluso in mezzo a gravi avversità, e pubblicato vivente l’autore, sia quello dedicato al testo del poema. Foscolo avrebbe potuto fare a meno di scriverlo, visto che esso non era previsto nel piano dell’opera concordato con Pickering. Malgrado queste e altre difficoltà, non ultima la riluttanza del poeta, in piena libertà di pensiero ma non di vita, a presentarsi nelle vesti di commentatore “contavarianti”,38 il Discorso sul testo della ‘Commedia’ è stato scritto comunque, perché, stando allo stesso Foscolo, in assenza di tale premessa filologica le chiose all’Inferno sarebbero state incomprensibili.39 37 EN IX, 1, 153-54. Altri possibili argomenti sono segnalati dalle parole A’ Lettori di EN IX, 1, 672-74; abbozzi di discorsi si leggono in EX IX, 1, 676-707. 38 Lettera a H. Gurney del 10 giugno 1827: «it was this view also which conquered my natural repugnance of offering myself to the world in the shape of a Comentator [sic]» (Foscolo, Lettres inédites 92). 39 Lettera a T. White del 10 gennaio 1826: «I took upon myself the herculean drudgery of that volume on the Text of Dante, because


OMERO, DANTE, VICO 35 Il medesimo acquisto, in termini di consapevolezza dei problemi e di ricorso a tutte le risorse di dottrina e intuito per risolverli, si misura mettendo a confronto il primo e l’ultimo apparato critico presenti nelle ricerche dantesche di Foscolo. Nel manifesto della collana dei classici italiani per Murray, figura, quale specimen dei criteri editoriali, un apparato laconico, limitato alle lezioni scartate di Inf. III 99-120.40 Quello per l’edizione Pickering è un apparato ancora negativo, ma risulta integrato da copiose considerazioni critiche che giustificano le scelte meno ovvie, anche grazie al rimando al Discorso. Il recupero del valore fondante, non ancillare, della filologia – corroborato dalle riflessioni vichiane sull’origine vocalica del linguaggio poetico – è un merito che negli studi danteschi condotti dai critici-poeti dell’Ottocento italiano sarebbe arduo attribuire ad altri che a Foscolo. Vincenzo Monti, mediatore neoclassico della lezione poetica dantesca, partecipa direttamente a edizioni del Convivio e della Vita nuova, non della Commedia. Leopardi e Carducci, per quanto appassionati cultori di Dante, concentrano la loro attenzione critica e filologica su Petrarca. Dell’aspetto filologico si disinteressa, ai confini del secolo, lo stesso Giovanni Pascoli nelle sue labirintiche monografie dantesche. Sia la perizia filologica di Foscolo, sia il suo contributo all’intelligenza della Commedia, risultano dalle sue esigenze di commentatore dantesco, dal suo metodo criwithout it my illustrations would prove inintelligible [sic]» (Foscolo, OEP XII 405). 40 Biblioteca Labronica “F.D. Guerrazzi”, Fondo “Foscolo”, vol. XXIII, cc. 219-20. Da Pozzo (EN IX, 1, 665-67) ha pubblicato sì il manifesto, ma senza lo specimen testuale.


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