FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 86 luogo di che avea, scrive c’avea, e sì fatte prodezze. (EN IX, 2, 361) I primi due editori cui allude Foscolo, in un gioco incrociato di rimandi, sono Lombardi e Dionisi. Quest’ultimo riduce la Commedia a oggetto non di amore, ma di libidine, la stessa parola che Foscolo aveva riferito a Dionisi nella nota della Chioma di Berenice ricordata da Biagioli. Proprio in polemica con il «grammatico dotto» di Parigi, Foscolo attribuisce al canonico di Verona quello studium novandi di cui invece Biagioli accusava Lombardi.1 La contrapposizione tra la fedeltà di Lombardi alla Nidobeatina, l’incunabolo curato dall’umanista Martino Paolo Nibia, e l’inclinazione di Dionisi a introdurre lezioni stravaganti, è l’opinione comune dei tempi di Foscolo.2 Questi vi aderisce parlando della Lombardina nella Serie di edizioni, ossia nel repertorio delle edizioni dantesche progettato per l’ultimo volume della Commedia foscoliana. La stessa Serie di edizioni offre tre indizi, ovvero l’ampio formato, la limitata tiratura, la peculiarità ortografica di c’avea, che permettono di individuare la terza edizione a cui accenna il frammento fiorentino: si tratta della Commedia edita a Milano da Luigi Mussi nel 1809 e curata dal colto pittore lombardo Giuseppe Bossi. Foscolo l’aveva acquistata, ma ne era rimasto fortemente deluso: in particolare egli 1 Nell’avvertimento al Purgatorio, in risposta all’invito di Monti a non attaccare così rudemente Lombardi, Biagioli (Commedia II iii), ribatte che intendeva far fronte all’influenza negativa del francescano sugli studi danteschi, «tanto si lascia l’uomo al disio di novità trasportare». Sullo studium novandi di Lombardi, cfr. Biagioli, Commedia I 322, e II 238. 2 Cfr. D. Colombo, Per l’edizione 364.
LOMBARDI EDITORE DELLA NIDOBEATINA 87 mette in dubbio l’attendibilità della biografia boccacciana manoscritta di proprietà di Bossi e premessa all’edizione.3 Dunque le edizioni di Lombardi, Dionisi e Mussi sarebbero responsabili dell’anarchia testuale in cui versa la Commedia a inizio Ottocento. Secondo Foscolo l’unica via d’uscita è il ritorno alla vulgata, la forma più comune del testo della Commedia, quella nota a tutti perché fissata e diffusa tramite la stampa. Essa offre le migliori garanzie di affidabilità, malgrado i limiti evidenti di cui diremo in seguito. Il ritorno alla vulgata comporta la revisione delle lezioni stravaganti introdotte dagli ultimi editori. È questa la posizione di William Warburton, lo studioso shakespeariano più volte citato da Foscolo sulla rivista di Edimburgo, secondo la prospettiva comparatistica che caratterizza il primo articolo. A parere di Warburton spetta al critico «vindicate the established reading from interpolations occasioned by the fanciful extravagancies of others», sicché occorre giustificare ogni alterazione del «common text».4 Un simile conservatorismo oltranzista mira a difendere il testo dall’aggressione di chi vorrebbe mutilarlo o sfigurarlo con emendazioni indebite. A ben vedere le supposte lezioni stravaganti introdotte da Lombardi, Dionisi e Mussi nel «testo comune» della Commedia si prestano poco a dimostrare la sua 3 EN IX, 2, 293-94 è la scheda bibliografica di Mussi, Commedia. Sui rapporti fra Foscolo e Bossi interviene A. Colombo, Princeps ingenii 39-72. Il codicetto quattrocentesco della biografia boccacciana di Dante, di cui si servì Bossi, oggi in Trivulziana, fu acquistato dal marchese Trivulzio dopo il 1818: cfr. Pedretti 352 n. 4. 4 Warburton xiv.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 88 presunta anarchia o fluttuazione ai tempi di Foscolo. Il tratto distintivo della nuova Commedia di Mussi, appena trasferito a Milano, avrebbe dovuto essere la milanesità: per questo il testo base era la Nidobeatina, nella revisione del «chiarissimo padre Lombardi milanese» (nato in realtà vicino a Monza, e vissuto a Bergamo e a Roma).5 La Commedia di Mussi è affine alla Lombardina, e a sua volta l’edizione di Lombardi non è molto diversa da quella di Dionisi, visto che ambedue emendano la Cominiana. È significativo – anche se, come vedremo, infondato – che Foscolo identifichi l’edizione di Lombardi con la Nidobeatina. Al padre francescano Foscolo riconosce «il merito di avere osservato e citato puntualmente taluna delle Edizioni del secolo XV».6 Non soltanto il testobase di Lombardi è un incunabolo, la Nidobeatina appunto: in più egli ha collazionato altre stampe del Quattrocento, ossia quelle di Foligno e Mantova del 1472, quella di Windelin da Spira del 1477, la princeps di Landino del 1481. Foscolo descrive queste e altre edizioni quattrocentesche nella prima parte del suo catalogo delle stampe della Commedia. Benché i tre elenchi di libri foscoliani non includano alcun incunabolo dantesco, risulta che il poeta ne abbia posseduti tre. 7 Il primo è un esemplare della 5 Il manifesto della Commedia stampata da Mussi si legge sul Giornale italiano dell’11 giugno 1809, in un Annunzio tipografico a firma A. C. 6 EN IX, 2, 256. 7 I tre elenchi, pubblicati da Nicoletti, La biblioteca 92-105, registrano i libri posseduti da Foscolo a Firenze (in data 8 aprile 1813), e quelli lasciati a Milano al momento di partire per l’esilio.
LOMBARDI EDITORE DELLA NIDOBEATINA 89 princeps della Commedia di Landino, «la sola [tra quelle del ’400] procurata con alcun sentimento di critica», 8 oggi conservata dalla Biblioteca della Società dantesca italiana con la seguente nota di possesso sul frontespizio: «a me Nicolao Ugo Foscolo dono del probo Filippo Maderni. Venezia 1797», in accordo con l’interesse appena manifestato da Foscolo per la Commedia nel Piano di studi. 9 Il secondo incunabolo foscoliano, di proprietà della Casa di Dante in Roma, è una delle pochissime copie conosciute del cosiddetto Liber Dantis, la Commedia uscita nel 1472 quasi certamente a Venezia. La nota autografa collocata fra le carte di Inf. XI è un’analisi bibliologica dell’in-folio, che elenca le lettere, i versi, le terzine mancanti.10 Né la princeps di Landino né il Liber Dantis sono comunque menzionati dai lavori danteschi del periodo inglese, quando l’unico incunabolo che il poeta dichiara di aver a disposizione, il terzo complessivo, è appunto la Nidobeatina. Ne ha acquistata una copia per poco prezzo, grazie a un intermediario, a un’asta; un’altra ne ha potuto sfogliare presso la biblioteca dell’italianista Roger Wilbraham:11 si tratterebbe 8 EN IX, 2, 257. 9 Bianchi 89-90. 10 Zennaro. 11 EN IX, 2, 268. Wilbraham è il dedicatario del Discorso decameroniano appunto perché ha permesso a Foscolo di usufruire della sua biblioteca. Oltre alla Nidobeatina, Wilbraham possedeva un esemplare della Commedia di Landino, almeno stando a Dibdin, Bibliotheca IV 114-15. Al proposito si veda l’abbozzo del secondo dei Discorsi preliminari: «quali, dalla Fiorentina del Landino in fuori, io non mi trovo d’averne veruna; né avrei veduto la Nidobeatina originale se Ruggero Wilbraham gentiluomo inglese non fosse cortese a me de’ suoi libri» (EN IX, 1, 684). Queste parole sono cassate con due tratti di penna, perché, a quanto sembra, riportano informazioni
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 90 insomma di un’edizione meno rara di quel che si possa pensare. Qual è il peso degli incunaboli, in particolare della Nidobeatina, nella tradizione a stampa del poema sacro? La Nidobeatina vanta un’elevata qualità del testo, poiché risulta esemplata sull’edizione mantovana del 1472, «da un punto di vista testuale [...] indubitabilmente la migliore del secolo».12 È dunque rilevante che proprio la Nidobeatina abbia fatto prender coscienza a Foscolo del problema ecdotico del poema dantesco. Giorgio Petrocchi ha portato a conoscenza degli studiosi un’altra Commedia appartenuta a Foscolo, la ristampa della Crusca uscita a Napoli nel 1716 per le cure di Cellenio Zacclori, anagramma di Lorenzo Ciccarelli, l’abate e avvocato napoletano che aveva sollecitato Vico a scrivere la sua autobiografia.13 All’interno di una lunga nota autografa, datata 7 novembre 1800 e collocata in fondo all’esemplare, Foscolo scrive di averlo collazionato con in parte imprecise: era la Nidobeatina l’unica posseduta da Foscolo. Inoltre Wilbraham è il traduttore della lettera dantesca all’amico fiorentino scoperta da Dionisi e Perazzini, e compresa nel secondo articolo per la Edinburgh Review. All’inizio del primo articolo è citato il reverendo Thomas Frognall Dibdin, ammesso insieme a Foscolo (e a Payne Knight) nel salotto di Wilbraham. Nelle sue memorie Dibdin traccia un ritratto impietoso di Foscolo («the petted and spoilt marmozet of the upper circles in London. He had undoubted genius, but he had as undoubted vanity – which at times bordered on insolence [...]. He at last became giddy, and lost both his balance and position in society»), e rammenta un alterco fra il poeta e Wilbraham, il quale avrebbe scongiurato l’apparentemente inevitabile duello con queste parole: «Our combats must be confined to Dante and Machiavelli dissertations» (404-06). 12 Mecca, La tradizione: gli incunaboli 63. 13 EN IX, 2, xxxv-xxxvii. Costa ha scritto su Vico e Ciccarelli.
LOMBARDI EDITORE DELLA NIDOBEATINA 91 la copia della Nidobeatina conservata alla Biblioteca Magliabechiana a Firenze: qui, stando all’epistolario, il poeta soggiornava il 2 novembre del 1800, e poi nel mese di gennaio del 1801. In realtà sono soltanto una decina le varianti della Nidobeatina segnate da Foscolo sull’esemplare della Ciccarelli: un esercizio irregolare, dettato da circostanze occasionali e privo d’intenti sistematici. Evidentemente egli si era reso conto che era inutile proseguire la collazione della vulgata dantesca con la Nidobeatina, visto che Lombardi l’aveva già condotta a termine in anni e anni di impegno. È dunque naturale che Foscolo acquisti la Commedia curata dal francescano, e che lo faccia in quello stesso anno: «Ugo Foscolo / Firenze / M.DCCC.I» è appunto la nota di possesso segnata su ognuno dei tre tomi di una Lombardina oggi custodita dalla Biblioteca Marucelliana.14 Foscolo non ha portato con sé in Inghilterra né questa Lombardina, né la ristampa Ciccarelli della Crusca: dai suoi elenchi di libri risulta che la Lombardina è rimasta a Firenze, la ristampa Ciccarelli a Milano. Si tratta comunque delle edizioni che Foscolo compulsava mentre stava attendendo ai Sepolcri. 15 Infatti la ristampa Ciccarelli reca sulla prima carta l’indirizzo dell’abitazione milanese del poeta fra il 1806 e il 1807; e proprio al gennaio del 1807 risale una lettera in cui Foscolo scrive a Monti di avergli «rimandato», ovvero restituito, 14 Questa Lombardina presenta annotazioni di servizio pubblicate da Nicoletti (La biblioteca 109-11) e da Petrocchi (EN IX, 2, xxxviixxxix). 15 Sicché la nota ai vv. 173-74 dei Sepolcri, «È parere di molti storici che la divina Commedia fosse stata incominciata prima dell’esilio di Dante», sottintende Lombardi, Commedia I 110 n. 1 (che a sua volta riscrive Venturi, Commedia I 72-73 n. 1).
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 92 «il Lombardi». 16 La Lombardina di Monti torna dunque al suo legittimo proprietario, così come rimane a Firenze, a casa di Quirina Mocenni Magiotti, quella comperata da Foscolo nel 1801. A Londra il poeta non ha bisogno di acquistarne un’altra: può vedere le emendazioni e le chiose della Commedia di Lombardi in altre edizioni che le hanno ristampate o revisionate, come quelle di Poggiali o della Minerva.17 Anzi, quest’ultima edizionearchivio registra tutte le varianti della Nidobeatina «originale» del 1477-78 che sono riportate nelle chiose foscoliane.18 Forse m’inganno, ma non esistono prove che Foscolo abbia tangibilmente impiegato, a fini testuali o esegetici, la copia della Nidobeatina che dice di aver acquistato. La qualità del lavoro di qualunque filologo è vincolata dai materiali che ha a disposizione. Nel caso di Foscolo editore degli editori di Dante si rivela ancora una volta decisiva l’impossibilità di accedere con continuità a una biblioteca “professionale” all’altezza delle sue esigenze. Appunto perché il Foscolo inglese non sembra aver accesso diretto e prolungato né alla Lombardina né alla Nidobeatina, risultano per lo meno azzardate due sue asserzioni formulate nella premessa Al lettore. Foscolo scrive che il termine Nidobeatina designa la Commedia pubblicata da Lombardi, e aggiunge di aver contaminato 16 EN XV, 164. Ulteriori ragguagli fornisce il Primo supplemento all’epistolario di Monti, 167-68. 17 EN IX, 1, 464 («Lombardi, e Poggiali, Ed. di Livorno»), 519 («Ediz. Padov. Vol. II»), 564 («Ediz. Pad., vol. I»). 18 Le chiose foscoliane a Inf. XII 21, XIV 126, XV 39, XXIX 132, XXXII 122, presuppongono la lettura della Minerva più che della Nidobeatina originale.
LOMBARDI EDITORE DELLA NIDOBEATINA 93 per la sua edizione il testo della Crusca con quello di Lombardi: «dov’è citata la Volgata, e non la Nidobeatina, o la Nidobeatina, e non la Volgata, significa che ho adottata la lezione di quella che è nominata». 19 Il senso di queste parole va valutato in base alla seguente tabella comparativa, limitata per motivi di discrezione ai primi due canti dell’Inferno: Inf. Nidobeatina Crusca Lombardi Foscolo I 5 esta questa questa questa 6 rinuova rinnuova rinnuova rinnova 7 tantera tanto è tanto è tanta e 26 aretro ’ndietro ’ndietro indietro 41 mera m’era m’era m’eran 66 od ... od od ... od od ... od o ... o 69 amendui amendui amendui ambedui 80 spande spande spande spandi 84 mafatto m’han fatto m’han fatto m’han fatto 88 rivolsi volsi volsi volsi 93 desto lugo d’esto luogo d’esto loco d’esto loco 102 condoglia di doglia con doglia di doglia 103 costui questi questi questi 114 luogo luogo luogo loco 117 challa che la che la che a la 126 cittade città città città II 1 laere l’aer l’aere l’aer 6 che non erra che non erra che non erra se non erra 19 EN IX, 1, 706. Un’altra, incondita, versione di questo passo in EN IX, 2, 347: «non ricordarò d’ora innanzi se non le sole varianti che importando al senso del poema e alla mente dell’autore, ho sostituito alla lezione dell’Accademia della Crusca, o del Padre Lombardi».
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 94 9 nobeltade nobilitate nobilitate nobilitate 21 emperio empireo empireo empireo 23 fu stabilito fur stabiliti fur stabiliti fur stabiliti 27 papale manto papale ammanto papal ammanto papale ammanto 30 alla via alla via alla via e via 41 lampresa la ’mpresa la ’mpresa la impresa 43 laparola tua la tua parola la tua parola la tua parola 50 chentesi ch’io ’ntesi che ’ntesi che intesi 52 intra tra intra tra 60 quantol mondo quanto ’l moto quanto ’l mondo quanto il moto 68 fa mestieri ha mestieri ha mestieri ha mestieri 86 rispuose rispose rispose rispose 98 bisogna abbisogna abbisogna abbisogna 100 nemica nimica nimica nimica 104 soccorri aquei soccorri quei soccorri quei soccorri quei 128 sol imbianca sol gl’imbianca sol gl’imbianca sol gl’imbianca Nei limiti della ridotta campionatura sono possibili alcune considerazioni. È illusoria l’equivalenza fra Nidobeatina «originale» e Commedia di Lombardi,20 il quale infatti riproduce circa un terzo delle lezioni del suo incunabolo preferito. Di conseguenza metà delle le20 Lo notava già Witte, Prolegomeni xxvi-xxvii. Il dantista tedesco formulava un giudizio negativo sull’edizione foscoliana: «questa congerie inordinata di tante e tante varie lezioni sembra cosa di ben poca utilità. Le ragioni che determinarono la scelta del Foscolo [...] sono quasi sempre dedotte da argomenti secondarj, come sarebbe l’armonia del verso, l’eufonia, e cose simili; ma invano si cerca di stabili principj di critica, che, escludendone l’arbitrario, potessero dar certa legge alla scelta da farsi fra le lezioni» (Witte, Prolegomeni xliv). Questo giudizio è ribadito da Scartazzini 518. Ora però dovrebbe esser chiaro che il Dante foscoliano, per quanto non immune dall’arbitrio (cfr. infra, pp. 140-41), d’altra parte non esclude il ricorso a criteri quasi sempre coerenti, come la prosodia vocalica.
LOMBARDI EDITORE DELLA NIDOBEATINA 95 zioni della Lombardina messe a testo da Foscolo discendono non dal Nidobeato, ma dalla Crusca. Non è mantenuta la promessa di ricorrere o alla Crusca o a Lombardi, l’una in alternativa all’altro, almeno per restituire il testo dei primi due canti dell’Inferno. Infatti i casi in cui Foscolo elegge una lezione della Crusca contro Lombardi (o viceversa) sono più o meno equivalenti a quelli in cui ricorre ad altri testimoni, l’Aldina, il Bartoliniano, i «testi a penna» registrati sui margini della Crusca.21 Il divario fra l’apprezzamento della Nidobeatina e l’uso che ne viene fatto condiziona la sezione CCVIII del Discorso, dedicata a Lombardi. Costui opponendo fatti veri, perseveranza di metodo, e senso comune, redense il poema dalle imputazioni gesuitiche, e dall’autorità conceduta sovr’esso alla critica della Crusca. Se non che, o non vedendo, o più veramente non potendo più in là, tenne le allusioni alla religione fra’ termini degli antichi. Non migliorò il modo usato d’esposizione, ma ne scemò la verbosità e sciolse nodi spesso intricati dagli altri. Era anzi temprato ad intendere che a sentire la poesia; o forse a non potere esprimere quant’ei sentiva. Scrive duro ed inelegante, per non dire plebeo; e non giureresti che fosse dotto [...]. La Nidobeatina gli era sorgente ricca, non sempre limpida, di emendazioni, e fu corrivo ad usarne. A me pare edizione ottima in questo, che la sua molta dissomiglianza dalle altre mi accerta più sempre che gli e21 Simone Invernizzi sta concludendo uno spoglio integrale dell’Inferno foscoliano, allo scopo di accertarne i criteri di edizione in rapporto alla Nidobeatina e alla Lombardina.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 96 semplari primitivi essendo stati ricopiati sopra un autografo pieno di varianti, riuscivano diversi secondo il diverso giudizio de’ primi che lo compilavano per pubblicarlo. Le ristampe procacciate da nuovi filologi stanno, quale all’Accademia, e quale al Lombardi; non però tanto ch’essi non le raffrontino a’ loro codici. Se non che è da temere non la fretta e la gara si partoriscano la confusione dell’abbondanza: e s’altri aspira al merito d’accumulare la messe delle varie lezioni, troverà chi può superarlo; e non sì tosto il numero sarà innumerabile, allora diverrà inutilissimo. (EN IX, 1, 563-64) La sezione è rilevante per due aspetti, esegetico e testuale. La conclusione cui giunge Foscolo, cioè che nessun editore riproduce meccanicamente il suo esemplare di base, anzi quasi sempre lo corregge ope ingenii o lo contamina con altri modelli, è stata validata dalle attuali ricerche sulle tradizioni a stampa.22 La vulgata della Crusca e la Lombardina sarebbero le edizioni più antiche normalmente assunte a base delle successive. Ora Foscolo esclude che la Lombardina sia un fattore perturbante nella tradizione testuale del poema, al pari delle edizioni di Dionisi e di Mussi, come sostenevano i Frammenti fiorentini; pensa piuttosto, in sintonia con l’esperienza avviata e subito interrotta a Firenze a inizio secolo, che il testo approntato da Lombardi possa con22 Mecca, La tradizione: gli incunaboli 34. Potrebbe esser generalizzata un’osservazione che Giuseppe Frasso ha formulato sul Convito degli “Editori milanesi”, ossia che, in assenza di una sistematica recensio scientifica, l’emendatio ope codicum viene condotta con criteri non diversi dalla emendatio ope ingenii (Frasso, Pietro Mazzucchelli 340).
LOMBARDI EDITORE DELLA NIDOBEATINA 97 tribuire a emendare la Commedia, anche se non ribadisce – o almeno così sembra – l’equivalenza, affermata nella premessa Al lettore, tra Lombardina e vulgata quanto a importanza testuale. Non è chiaro, però, se e come l’asserita eccellenza della Lombardina influisca sulla constitutio textus dell’edizione foscoliana. Per stabilirlo, almeno in prima approssimazione, basterà confrontare le varianti ritenute genuine da Lombardi ed elencate canto per canto alla fine di ciascun tomo della sua edizione, con quelle promosse a testo da Foscolo. Su cento luoghi circa emendati da Lombardi, corrispondenti ai primi cinque canti dell’Inferno, 23 Foscolo ne ripresenta più o meno una sessantina. Non sorprende che il principale criterio di scelta in comune sia la preferenza per le forme piene, spesso in sinalefe, con effetti di legato. Il restauro della base vocalica della Commedia comporta dunque io, guardai, perdei, anziché i’, guarda’, perde’, e così via. Malgrado Foscolo lo accusi del contrario, Lombardi è consapevole del fatto che «io ed altre parole servono a Dante a far piedi di sole vocali», 24 benché il francescano non applichi questo principio con la stessa inflessibilità di Foscolo.25 Esaminiamo ora la sezione CCVIII del Discorso dal punto di vista esegetico. Foscolo è consapevole che la Lombardina, frutto di una lunghissima consuetudine con 23 Lombardi, Commedia I 491-92. 24 EN IX, 2, 151. 25 Scrive infatti Lombardi «lascia ’ndar» (Inf. XV 33), e «Lo ’mperador» (Inf. XXXIV 28), in base al principio della Crusca di adeguare la grafia alla pronuncia, con conseguente raddoppiamento fonosintattico di rendelle (Inf. XIV 3).
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 98 l’opera del poeta, rappresenta una svolta e un vertice. Nella Serie di edizioni la Commedia curata da Lombardi apre la quarta e ultima età delle edizioni del poema; nel Discorso, grazie a questo passo, collocato subito dopo la sezione su Dionisi, chiude la breve storia della textual bibliography dantesca. Come nel passo su Dionisi, pure in questo Foscolo riprende e sviluppa alcuni giudizi già espressi sulla rivista di Edimburgo, ovvero l’eccessiva fedeltà di Lombardi alla Nidobeatina (in realtà indimostrata, come si è visto), e la contrapposizione fra la sua esegesi e la lettura confessionale di Dante da parte dei Gesuiti, in particolare di padre Pompeo Venturi. Secondo Foscolo il commento di questo «gesuita ignorantissimamente sfacciato» ha incontrato grande e immeritata diffusione, perché è stato adottato come libro di testo nelle scuole gestite dai suoi confratelli.26 Lombardi proscioglie Dante dalle «imputazioni gesuitiche» sul piano poetico e dottrinale, ma rimane comunque rispettoso dell’autorità religiosa. Nella Serie di edizioni Foscolo infatti ribadisce che il francescano «non solo dissimula le dottrine del poema contro alla Chiesa; ma talor le disvia dal loro manifesto significato».27 Ad esempio nella chiosa a Inf. VII 47-48, «Papi, e Cardinali, / in cui usa avarizia il suo soperchio», Lombardi preferisce il passato remoto usò per allontanare il sospetto che il rimprovero di Dante ai religiosi sia ancora attuale, mentre Foscolo si attiene al presente usa indicato dalla maggioranza dei testimoni.28 26 EN IX, 2, xxvi, 167, 365. Su Venturi, cfr. Marzo. 27 EN IX, 2, 291. 28 Si rilegga anche EN IX, 1, 519: a margine di Purg. XXXIII 36, «che vendetta di Dio non teme suppe», Lombardi allega l’apocrifo
LOMBARDI EDITORE DELLA NIDOBEATINA 99 La censura principale che Foscolo rivolge a Lombardi, a parte le sue comprensibili inclinazioni filopapali, riguarda lo stile espositivo, sia per la qualità della scrittura, da Foscolo ritenuta trasandata,29 sia innanzitutto per i limiti della forma commento in sé. Il problema è che Lombardi «ragiona quasi sempre vigorosissimo, ma non cita felicemente»; lo danneggia il fatto di aver elaborato un commento intessuto di «argomenti dispersi, e quasi appiattati qua e là nelle chiose». Gli stessi Volpi e Poggiali stendono note troppo brevi, mentre sarebbe necessario un «narrative commentary» più strutturato. Il Discorso stesso «avrebbe dovuto essere narrativo», ammette Foscolo, ma è diventato «polemico» per correggere gli errori su Dante: un esito scontato, visto che negli studi danteschi sono state avanzate quasi tutte le tesi possibili, tanto che l’assunzione di qualunque punto di vista rischia sempre di sembrare polemica, anche in modo preterintenzionale. 30 Credo di Dante per allontanare dal poeta ogni sospetto di eterodossia (suppe allude all’eucarestia?). 29 L’unico chiarimento indiretto a questa accusa, ripetuta dal primo articolo edimburghese (EN IX, 1, 28), si trova nei Frammenti labronici: per spiegare «ch’egli approda», Lombardi scrive: «come se detto fosse Che approda egli, che arriva egli di nuovo». Foscolo commenta: «Questo è, temo, uno degli indizj parecchi del suo [di Lombardi] poco scrivere ne’ modi propri all’idioma» (EN IX, 2, 354). 30 EN IX, 1, 28 (Edinburgh Review), 313 (Discorso), 707 (Al lettore). Sui limiti statutari della forma commento, incompatibile con una esposizione continuata, era intervenuto, con accenti singolarmente simili a quelli foscoliani, Witte, Ueber das Missverständniss 44: «Allerdings ist die bisher angedeutete Behandlung mit der Form eines Commentars unvereinbar, und nothwendig muss die letzte eine zerstreute und gelegentliche Erzählung zusammengehöriger Begebenheiten herbeiführen».
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 100 L’accostamento degli ultimi brani permette di approfondire le ragioni della riluttanza di Foscolo a presentarsi nelle vesti di commentatore dantesco. Introspezione simpatetica, occhio filosofico, accordo fra storia e poesia: a detta di Foscolo le qualità indispensabili per un più pieno possesso della Commedia sono ignote ai commentatori del suo tempo. Perciò, sin dal suo esordio come dantista sulla rivista di Edimburgo, Foscolo ambiva a fornire un «new method» di commentare Dante.31 A quanto pare tale metodo prevedeva che le note slegate, di per sé insufficienti, si coagulassero in interventi di più largo respiro, secondo un’impostazione di tipo saggistico già sperimentata nelle chiose alla Chioma di Berenice. Il commento non può far altro che accompagnare linearmente il testo, annotandolo punto per punto nel suo sviluppo sintagmatico, senza quell’autonomia di movimento concessa invece al saggio, in quanto ricostruzione paradigmatica del senso complessivo di un’opera. In questa tipologia rientrano a pieno titolo i «discorsi preliminari» al poema secondo il primitivo accordo con Pickering, oppure le numerose e spesso incomplete postille supplementari cui Foscolo allude nel commento all’Inferno. 32 Non sarebbe allora del tutto avventato supporre che lo stallo del Dante foscoliano, 31 EN IX, 1, 2. 32 L’apparato supplementare progettato da Foscolo prevedeva «discorsi» o «osservazioni» di vario tipo e natura, relativi a porzioni testuali diverse (dal singolo verso al canto, dalla cantica all’intero poema) e a diverse questioni (i personaggi, la lingua, l’architettura del poema...). Resta il fatto che l’unico discorso concluso da Foscolo riguarda il testo della Commedia, e che di tipo prevalentemente testuale sono anche le note all’edizione, a conferma della natura preliminare dell’indagine filologica secondo Foscolo.
LOMBARDI EDITORE DELLA NIDOBEATINA 101 fermo alla prima cantica, fu dovuto non (o non solo) a una crisi d’incompiutezza, ma altresì (se non soprattutto) a un’indecisione di struttura. Se Foscolo, come voleva, 33 fosse tornato a lavorare all’edizione dantesca, avrebbe applicato questo nuovo metodo? E l’avrebbe poi esteso a Omero? Le domande sono legittime, le risposte del tutto incerte. È indiscutibile invece che, qualunque fosse il commento che aveva in mente, nella Lombardina Foscolo ammirava, se non un «nuovo» metodo, certo la sua «perseveranza», insieme ai «fatti veri» e al «senso comune». Il sintagma «fatti veri», a prima vista anodino, travalica il suo significato letterale, e anzi contribuisce a spiegare il circolo ermeneutico fra Vico e Muratori di cui si è parlato nel terzo capitolo, dedicato a Biagioli. Foscolo si attiene a un procedimento euristico scandito in tre fasi: prima la raccolta dei fatti, siano essi biobibliografici, linguistici, storici («l’ajuto migliore [...] consiste [...] nell’osservare i fatti reali, che il poeta adornò d’illusioni»);34 poi la verifica della loro pertinenza e veridicità («l’eterna onnipotente natura del vero» alla quale sono sottoposte persino le «minuzie» della prosodia vocalica); infine l’inquadramento in un superiore assetto argomentativo.35 33 Foscolo, OEP VIII 259: «s’io non morrò, l’edizione un dì o l’altro uscirà com’io avevala disegnata»: è uno stralcio dell’ultima lettera a Biagioli già commentata. 34 EN IX, 1, 703. 35 L’articolazione del procedimento è chiarita dalla seconda carta dei Frammenti fiorentini: «la scienza de’ fatti è la meno incerta di tutte, anzi è la sola scienza; ma se non ragionando sovr’essi non si ricavano vere ed utili conseguenze, è scienza infecondissima e ap-
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 102 Tale assetto è spesso di tipo cronologico. La prolusione pavese spiega che «la scienza dei tempi ordinò la scienza de’ fatti»,36 ossia che l’osservazione del cielo, delle stagioni, del moto degli astri, dell’alternanza giorno-notte, consentì ai primi uomini di calendarizzare i “fatti” in cicli cronologici che si ripetono uguali. Ciò significa che tali fatti acquistano valore e interesse a condizione che siano collocati in una sequenza temporale plausibile. Sopravvalutare la date è però altrettanto dannoso che non curarsene affatto. Si legge nel Discorso dantesco che «le date ove importano veracemente, s’hanno da temere con religione; sono ostinate, imperterrite, onnipotenti; ti rovesciano ogni ragionamento, e ti vietano di rispondere».37 Qualunque riscontro voglia compiere la mente umana, la cronologia lo fonda e lo condiziona. È per questo che l’introduzione alla Scienza nuova si chiude con una Tavola cronologica. Vico illustra i vari tipi di «fatti» che vi sono riportati, e più avanti auspica di ridurli «a princìpi di scienza». In tal modo la sua «scienza vien ad essere ad un fiato una storia dell'idee, costumi, e fatti del gener umano». 38 Vico non allinea notizie d’archivio, non si limita a una concatenazione di eventi disposti su un asse di tempo lineare, ma persegue una «scienza dei partenente alla metodica fredda memoria» (EN IX, 2, 362). «Dei dati che Lei reperisce» – chiedeva Contini a Jakobson – «quali possono essere considerati significativi, “pertinenti” nel senso tecnico della parola, e quali invece accidentali? Questi ovviamente non sono reali, non sono fatti» (cit. in Avalle, L’analisi letteraria 227). 36 EN VII, 12. 37 EN IX, 1, 355-56. 38 Vico, Scienza nuova I 43 (i vari tipi di fatti), 85 («li ridurremo a’ Principj DI SCIENZA»), II 7 (la scienza dei fatti).
LOMBARDI EDITORE DELLA NIDOBEATINA 103 fatti», identifica gli eventi autentici nella loro portata gnoseologica che rimane inaccessibile alla pratica annalistica di stampo muratoriano. Supporta questo procedimento euristico una vocazione antimetafisica che non è difficile rinvenire negli studi danteschi di Foscolo. Chi non si accontentasse dei fatti sottoponibili a un processo di verifica positiva, ma li cercasse negli arcani della teologia, sostiene Foscolo, non soltanto non troverebbe la verità, ma in più «adunerebbe sofismi nuovi, errori antichissimi, e noja sovra ogni pagina». 39 Il già menzionato Vittorio Cian per primo intuì che la «scienza dei fatti» è la chiave di volta del Discorso e dell’intera attività del Foscolo erudito.40 Questi più volte dichiara di aderire al paradigma dell’erudizione settecentesca, «perché le ragioni efficaci in tutte le cose, e più nelle lingue, emergono solamente da’ fatti». 41 Le pagine precedenti hanno segnalato numerosi esempi di fatti inquadrati in un assetto argomentativo superiore, perfino quando essi, a rigor di logica, o non sono “veri” (Francesca da Rimini figlia di Guido Novello), o conducono a una iper-interpretazione forzata (l’incompiutezza del poema). Le sezioni che il Discorso dedica a Cangrande della Scala forniscono però l’esempio di «ragionamento» sui fatti più trasparente, nel senso di più speditamente razionalizzabile. A conforto dell’esilio, Cacciaguida nel canto XVII del Paradiso predice a Dante la 39 EN IX, 1, 403: è la critica rivolta all’Edizione dell’Ancora. 40 L’articolo di Cian, Ugo Foscolo erudito, risente della tesi di De Sanctis, poi ripresa da Fubini, per cui Foscolo sarebbe un epigono del Settecento, tesi oppugnata da un allievo dello stesso Cian, C. Dionisotti, Foscolo esule 62-63. 41 EN X, 303.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 104 generosità e la cortesia di due Scaligeri, il primo (il «gran Lombardo / che ’n su la scala porta il santo uccello») identificato dai più in Bartolomeo, dai meno in Alboino, il secondo all’unanimità in Cangrande. Lungo tutta la sua carriera di dantista Dionisi sostiene un’ipotesi rivoluzionaria: in questi versi Dante parla di un solo Scaligero, Cangrande, da considerare quindi il primo e unico ospite veronese del poeta.42 Troppo lungo sarebbe ripercorrere le argomentazioni del canonico, che spaziano dall’araldica (lo stemma degli Scaligeri non portò l’aquila imperiale se non dopo che Cangrande divenne vicario imperiale) alla filologia (l’emendazione di Par. XVII 76 in «colui vedrai, colui»).43 Ai fini del nostro discorso è sufficiente ricordare per quale ragione Dionisi esclude che il «gran Lombardo» sia Bartolomeo. L’identificazione proposta da Pietro Alighieri è per Dionisi l’ennesima prova che quel commento è apocrifo. Secondo la biografia di Leonardo Bruni, Dante nel luglio del 1304 partecipa al fallito tentativo di alcuni fuoriusciti di rientrare a Firenze, e soltanto in seguito cerca ospitalità a Verona, dove non poteva accoglierlo Bartolomeo, morto a maggio.44 Gli Aneddoti dionisiani confermano quindi la loro funzione di repertorio di fatti storico-biografici offerti 42 Mazzoni, Dante a Verona 83. 43 Una simile lezione, scrive Foscolo, «manomette la poesia, la storia, e la logica di quel passo» (EN IX, 1, 269). Sembra una risposta dissimulata alle parole di Dionisi: «né Cacciaguida, né la storia, né la ragion vuole, che quegli [Bartolomeo] sia stato il primo albergatore di Dante» (Preparazione II 125). 44 Dionisi, Aneddoto II 19-20. Indizio 224 dubita che Pietro sia attendibile riguardo a Bartolomeo. Sulla cosiddetta battaglia della Lastra e sulla testimonianza di Bruni, è da vedere Tavoni.
LOMBARDI EDITORE DELLA NIDOBEATINA 105 all’occhio filosofico foscoliano. Come già accaduto per l’allegoria del proemio, la verifica di quei fatti è affidata alla Lombardina, che, nel commento a Par. XVII, rovescia punto per punto la dimostrazione di Dionisi: Pietro Alighieri è attendibile, mentre Lombardi sospetta «che falli Lionardo Aretino nella vita di Dante a credere che si trovasse il Poeta insieme cogli altri Bianchi esuli». 45 Proprio perché il Discorso foscoliano ha cominciato a sgombrare le «favole» accumulatesi nei secoli sulla Commedia, Michele Barbi, in implicita polemica con Carducci apologeta di Dionisi, reputa Foscolo «uno dei più geniali restauratori della critica letteraria». 46 È un’arte critica che non si limita a catalogare e descrivere, ma interpreta e categorizza. Infatti il superiore assetto argomentativo entro cui sono inquadrati i «fatti veri» dell’esilio dantesco è una lettura alfieriana dell’episodio di Cangrande, che mira a storicizzare l’autonomia etica del letterato di fronte al potere politico, secondo l’ analogia indicata da Carpi, per cui Dante sta a Cangrande come Foscolo a Napoleone.47 45 Lombardi, Commedia III 264. 46 Barbi, Dopo dieci anni 18; di contro Carducci considera Dionisi «instauratore d’una critica nuova su le opere del poeta, in somma tutt’altro che degno del ridicolo onde lo perseguitò il Foscolo» (265). 47 Nell’ambito di una rigorosa riconsiderazione dell’approccio storicistico di Foscolo («che gli consentì di cogliere meglio di chiunque altro come la storicità della Commedia sia la storicità del suo proporsi quale visione tutta intessuta di materia storica»), Carpi ha rilevato che della «questione del rapporto con gli Scaligeri» Foscolo «ha compreso tutta la crucialità, l’interna problematicità e contraddittorietà, con una scansione dei tempi danteschi sostanzialmente giusta» (Carpi, La nobiltà 19 e 266-67).
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 106 I «fatti veri» riscontrati grazie alla Lombardina «per via d’induzione»48 sono il perno attorno a cui ruota il discorso critico di Foscolo nei suoi rapporti con i commentatori, Dionisi certo, ma altresì Biagioli (dai cui attacchi Foscolo difende Lombardi) e, come vedremo, Quirico Viviani. Sembrerebbe allora che il ruolo di Lombardi si giochi più sul piano esegetico che su quello testuale. Foscolo ha cominciato a pensare di dover emendare la vulgata della Commedia dopo aver letto la Lombardina. L’asserto che essa segna una svolta nella storia della Commedia perché avvia una fase di maggiore libertà emendatoria,49 è dunque la generalizzazione di un accidente biografico, che Foscolo cerca di oggettivare in termini logici. Tuttavia, se si allineano le testimonianze raccolte alla ricerca di un filo logico, resiste ai tentativi di razionalizzazione il rapporto tra vulgata e Lombardina, quelle che Foscolo definisce le «edizioni maestre» del poema. Da un lato Foscolo dichiara di aver contaminato per la sua edizione la vulgata con la Lombardina, dall’altro la Lombardina contribuisce all’ anarchia testuale della Commedia, a cui mette freno il ricorso alla vulgata. Le postille ai margini di un esemplare delle Correctiones di Perazzini, di recente portato alla luce, suggeriscono che persino gli agguerritissimi dantisti veronesi, alle prese con il superamento della vulgata, non riescono a evitare incertezze e contraddizioni.50 48 EN IX, 1, 311. 49 EN IX, 1, 562. 50 Mazzoni, Si quid me judice 203-05.
CAPITOLO SESTO LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI: LA VULGATA COME TESTO-BASE DELL’EDIZIONE FOSCOLIANA Foscolo nega l’intangibilità della vulgata, ma nel contempo ritiene che, in ossequio più alla sua presunta stabilità testuale che al suo prestigio storico, essa, pur emendata, vada posta alla base di qualsiasi tentativo di edizione che oggi si direbbe critica. 1 Il problema è che il commento all’Inferno identifica la vulgata non con un testo, il «common text» di Warburton, bensì con una tradizione di testi, momenti successivi di una linea di sviluppo. Per Foscolo la vulgata fondante, costitutiva dell’identità testuale a prescindere dalla fedeltà alle effettive scelte dell’autore,2 è l’edizione della Crusca, discendente recta via dall’Aldina di Bembo. È stato dimostrato che la Crusca «innesta sul tronco della vulgata bembiana una serie di correzioni decisamente estempo1 Diversa l’interpretazione di Timpanaro, Sul Foscolo filologo 115- 17, perché basata sulla Chioma di Berenice e non sul commento dantesco. 2 Riprendo la terminologia proposta da Zaccarello 236.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 108 ranee e scelte ad sensum, in base cioè alla chiosa, prelevate da un gran numero di manoscritti»3 e di stampe. Secondo Foscolo l’allargamento del testimoniale a opera degli Accademici non riscatta la scarsa qualità tipografica della loro edizione, sfigurata dai circa duecento errori introdotti dallo stampatore Domenico Manzani.4 Risultato di un consapevole rimaneggiamento dei materiali tràditi dalla Crusca è la Cominiana di Volpi, la vulgata filtro, l’unica Commedia presente nelle tre liste di libri appartenuti a Foscolo, che grazie a Biagioli ne potrà consultare una anche negli anni inglesi. Sulla vulgata filtro Foscolo formula giudizi contraddittori: è incerto cioè se la correzione dei duecento errori tipografici per mano di Volpi basti a differenziare nettamente la sua Cominiana dalla Crusca.5 La vulgata di riferimento, traguardo e sintesi del percorso testuale, è rappresentata piuttosto dall’edizione livornese, curata in quattro tomi dal bibliofilo Gaetano Poggiali. Nella sua ricca biblioteca egli possedeva un codice trecentesco miniato della Commedia, oggi Palatino 313 della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, noto appunto come «Dante Poggiali» e latore delle co3 Mecca, La tradizione: dall’Aldina 58. 4 EN IX, 1, 556-57. Nella nota a Inf. XII 107 Foscolo conta non duecento, ma seicento errori, e più avanti ne attribuisce la colpa al segretario dell’Accademia Bastiano De’ Rossi. Questa accusa tuttavia viene formulata nella chiosa a Inf. XXVII 41, relativa a una lezione («là si cova») introdotta da Poggiali, non dalla Crusca. 5 EN IX, 2, 52 («La Cominiana [...] rappresenta a un di presso l’esemplare pubblicato dall’Accademia della Crusca») da contrapporre a EN IX, 2, 362 («Questa edizione [...] non è più quella dell’Accademia»).
LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI 109 siddette Chiose palatine. In un primo tempo Poggiali aveva pensato di pubblicare quel codice, ma in seguito si era attenuto al criterio abituale delle tradizioni a stampa, se n’era servito cioè allo scopo di emendare la vulgata.6 Della curatela dantesca di Poggiali Foscolo ha avuto notizia precoce, pur senza nutrire speciali aspettative sul risultato: «stiamo a vedere l’esposizione del Poggiali ch’io aveva udito preconizzare da molti anni addietro: ma tal lampada splende in camera, e si spegne in piazza». 7 Così scrive Foscolo, il 26 luglio 1807, all’amico corfiota Stelio Doria Prosalendi, che l’ha informato dell’uscita dell’edizione Poggiali e gliene ha trascritte delle varianti. Risponde Foscolo che soltanto «alcune» gli paiono «belle assai», mentre altre si limitano ad avallare i restauri di Lombardi e Dionisi.8 I tempi per un giudizio più meditato sono maturi qualche anno più tardi, nel 1813, allorché a Firenze Fo6 Scrive Carl Ludwig Fernow, a sua volta futuro editore dantesco, in visita a Poggiali nel 1803: «he besides possesses a considerable collection of manuscripts [...]; among these, he showed me, as the most precious article in the collection, a manuscript copy of Dante, on parchment, which he considers as one of the most ancient, and probably contemporary with the author. Poggiali has a design of printing this work, which contains a great number of passages that vary considerably from the ordinary versions, and would clear up many obscurities in Dante, together with the marginal commentary with which it is accompanied» (Fernow 483). Si rimanda a Abardo per la recente edizione di questo «commentary». Sull’edizione di Poggiali è esauriente Corrado, Poggiali. 7 EN XV, 249. 8 EN XV, 259.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 110 scolo entra in possesso di un esemplare dell’edizione Poggiali. Un altro tomo gli viene consegnato nel novembre dello stesso anno dal libraio fiorentino Giuseppe Molini, con l’invito a corrispondere dieci paoli di prezzo. 9 La passione per Dante si riaccende dopo un periodo di appannamento («quant’è ch’io non lo leggo!»),10 e l’impegno di postillatore sembra riprendere laddove s’era fermato. L’Inferno dell’esemplare Ciccarelli è annotato fino al canto XIII; le postille autografe impreziosiscono i vivagni della Livornese comprata a Firenze dal canto XVI sino al XXX della prima cantica. Tali postille, nel primo come nel secondo caso, non vanno oltre una epidermica revisione del testo: «alcune [sono] di lieve momento, perché unicamente volte a rigettare parecchi fiorentinismi pretti [...]; altre [...] di maggior rilievo, come quelle che propongono emendamenti di filologia, o di storia, o di maggior poetica eleganza». 11 Il primo tomo della Livornese comprata a Firenze conte9 EN XVII, 421. Un prezzo equo, visto che l’opera completa era messa in vendita dai librai fiorentini a un costo compreso fra 40 e 50 paoli: cfr. Colomb De Batines I 129. 10 EN XVI, 160. 11 Orlandini 45 (è la prima edizione delle postille, che oggi si leggono in EN IX, 2, xxii-xxviii). Quando lavora in Inghilterra fino al 1827 sul secondo esemplare della Livornese, Foscolo non ha dimenticato le postille apposte al primo, posseduto a Firenze nel 1813: certo non le ha più sottomano, e quindi non può trascrivere osservazioni che gli sarebbero tornate utili. La continuità è però innegabile. Nel 1813 alla vulgata «famiglia» di Inf. XXII 52, preferisce «famiglio», «benché famiglia sia più virgiliano e dantesco ponendo il tutto per la parte». Questo dubbio induce il Foscolo inglese a tornare alla vulgata, con simile motivazione: «il nome collettivo non nuoce all’intendimento, e giova alla novità e vaghezza della dizione».
LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI 111 neva annotazioni più lunghe (un «discorso» sul canto decimo e su Guido Cavalcanti), affidate però a interfogli volanti e perciò smarrite12 . Oltre alla Livornese, nell’elenco di libri posseduti da Foscolo a Firenze compaiono due opere d’interesse dantesco acquistate nel 1813. La prima è un rimario della Commedia, quasi certamente quello di Niccolò Carli, comperato presso un altro libraio di Firenze, Guglielmo Piatti; 13 la seconda è la parafrasi in prosa del poema realizzata fino a Inf. XVII dall’amico Ferdinando Arrivabene e ricevuta da Foscolo prima del 29 maggio 1813.14 Il soggiorno fiorentino del 1813 segna dunque per un verso un salto di qualità nella conoscenza da parte di Foscolo delle più recenti edizioni dantesche, per un altro l’avvio di una prima embrionale riflessione sulla riproponibilità di certe soluzioni editoriali. Non è difficile provare che i volumi danteschi acquistati o ricevuti nel 1813 (la Livornese di Poggiali, il rimario di Carli, la parafrasi di Arrivabene), lasciano una traccia nell’attività del Foscolo critico ed editore della Commedia durante il 12 Del discorso su Inf. X collocato nel primo tomo della Livornese Foscolo parla in una postilla alle Rime di Cavalcanti datata 16 luglio 1813 (EN VIII, 377). Se quel discorso coincidesse con le «illustrazioni» al medesimo canto a cui allude EN IX, 1, 419 n. c, sarebbe confermata la continuità ipotizzata dalla nota precedente. 13 Scrive F.S. Fabre: «J'ai payé à Piatti le petit compte que vous m'aviez laissé: mais il réclame le payement des livres suivants, qu'il dit que vous avez oubliés [...]; Dante, il rimario, Lire 2, 0, 0» (EN XVIII, 12): si tratta presumibilmente di Dante, Rimario, ristampa di quello di Volpi del 1726. 14 EN XVII, 267: «ringraziate l’Arrivabene del suo Dante [cfr. Arrivabene, Commedia] a cui si deve dare più lodi che biasimo».
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 112 periodo inglese. Intanto l’edizione foscoliana è priva di rimario, le cui funzioni, in primis la più agevole individuazione di un luogo dantesco a partire da un singolo verso, Foscolo attribuisce piuttosto alle concordanze.15 Inoltre la proposta di curare una parafrasi in prosa della Commedia, rivoltagli nel 1824 da un non meglio identificato signor Hants,16 non ha séguito, non soltanto perché Arrivabene aveva già realizzato lo stesso progetto, ma anche perché le postille del 1813 alla Livornese attestano un proposito di lavoro di ben altro respiro. Ciò che resta di questi materiali è ripartito fra tre nuclei documentari di valore diseguale. Alla Labronica c’è il testo della Livornese postillato da Foscolo, una copia di servizio in tre tomi, non in due come nell’originale del 1806-1807, perché sono state aggiunte carte bianche prima di ogni cantica e tra un canto e l’altro, appunto per permettere l’inserimento delle postille.17 Alla Marucelliana è conservato il quarto tomo della Livornese inviato dal libraio Molini, privo della coperta originale, con carte dai margini non rifilati e di dimensioni varie, senza segni distintivi oltre al bollo di possesso della biblioteca e al timbro «legato Martelli», entrambi presenti sul frontespizio.18 C’è da chiedersi se Foscolo ebbe mai 15 EN IX, 2, 300-01. 16 EN XXII, 366-68. 17 Sul dorso di ciascuno dei tre tomi si legge Dante / Inferno [Purgatorio - Paradiso] / e postille di Ugo Foscolo, segn. 851.66 0 37. Cfr. Nicoletti, Mostra 39. 18 Devo queste notizie alla cortesia della dott.ssa Silvia Fusco della Marucelliana di Firenze (comunicazione via mail del 17 aprile 2014). Cfr. Nicoletti, La biblioteca 47-48.
LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI 113 effettivamente tra le mani quel quarto tomo, visto che, ancora all’altezza del 1818, nel primo articolo edimburghese, dichiara di ignorare se davvero esso avesse visto la luce; il Discorso del 1825, al contrario, ne riporta in nota alcuni stralci. Evidentemente in quel lasso di tempo Foscolo aveva preso visione di una copia completa della Livornese, senza però mai possedere i volumi di chiose. Questi infatti risultano assenti dalla cosiddetta “cassetta foscoliana” della Pinacoteca di Varallo Sesia, presso la Società di incoraggiamento allo studio del disegno e di conservazione delle opere d’arte in Valsesia. La copia della Livornese ivi contenuta insieme ad altri materiali assume un’importanza fondamentale ai nostri fini, perché è l’esemplare di collazione del Dante foscoliano. Sul coperchio della cassetta lignea di Varallo, oltre alla vecchia segnatura D.4.3.1, si legge: «MANOSCRITTI / FOSCOLIANI / Dono al Museo Calderini / del Prof. G. Frascotti di Borgosesia». Intorno al 1880 Gaudenzio Frascotti, insegnante di Latino e Greco, donò al museo di Varallo i manoscritti foscoliani che aveva acquistato da Luigi Rolandi, pronipote ed erede di Pietro, l’editore della princeps mazziniana del 1842-43.19 Nel 1920 Giulio Romerio, allora direttore del museo Calderini, riordinò il contenuto della cassetta in dodici unità archivistiche.20 Questa catalogazione non ha del tutto cancellato le tracce di quella originaria, che doveva essere ben 19 Federici 116 n. 25. 20 La classificazione di Romerio si legge nei suoi articoli, presenti nella cassetta di Varallo. Ripetono quella classificazione Petrocchi, EN IX, 2, xix-xxi, e Federici. Cfr. infine Bocchi, Mazzini e il commento, e Gazzola.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 114 più analitica, visto che i canti finali del Paradiso sono tuttora raggruppati in un fascicolo siglato col numero 49. L’unità archivistica più significativa, malamente compattata da pezzi di nastro adesivo, è la prima, le pagine 1-249 del primo tomo della Livornese, corrispondenti all’Inferno. Esso in origine è stato ora sfascicolato, ora scompaginato, sia per agevolare le emendazioni, sia per rimuovere le sezioni paratestuali, risalenti a Poggiali stesso o addirittura alla Crusca, non riproposte dal Dante foscoliano. Sulle pagine del suo exemplar eletto a modello Foscolo è solito intervenire in questo modo: sul margine destro numera i versi di tre in tre (Poggiali l’aveva fatto di dieci in dieci); a piè di pagina depenna le pochissime varianti della Livornese; all’interno del testo ritocca la punteggiatura, introduce le «minuzie necessarie» della prosodia vocalica, compie emendazioni di maggior impegno. Soprattutto queste ultime sono motivate da un massiccio apparato negativo di chiose manoscritte, autografe o apografe, riportate – in una grafia minuta ma quasi sempre intelligibile – su fogli di carta a volte filigranata (si riconoscono il nome e la sede del più grande cartaio inglese, James Whatman di Turkey Mill, oltre alle date 1824 e 1825). Per il Purgatorio e per il Paradiso Foscolo si sarebbe limitato ad appiccicare al testo di Poggiali liste di carta bianche, senza compilarle con le semplici varianti che pure ha promesso.21 Per l’Inferno, al contrario, le carte di chiose – intitolate appunto Va21 Lo testimonia Mazzini nelle sue Note autobiografiche (1863), cit. in EN IX, 2, xv. Delle varianti di Purgatorio e Paradiso Foscolo parla nella premessa Al lettore: EN IX, 1, 706.
LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI 115 rianti – di solito presentano in alto a destra la stessa numerazione delle pagine della Livornese a cui si riferiscono. Per far fronte all’accumulo di chiose, Foscolo suole allineare più fogli, uno sotto l’altro, sino a formare un lungo cartiglio rettangolare, poi più volte ripiegato su se stesso e applicato al margine basso della pagina chiosata (o, meno spesso, semplicemente interfogliato). Anche tra le carte della Labronica, un tempo depositate nella cosiddetta “cassetta Mazzini”, figurano apografi lunghi e stretti, composti da ritagli incollati fra loro in verticale. La cassetta di Varallo accentua queste caratteristiche. Ad esempio la prima facciata del Dante di Varallo è un rettangolo di circa 12 x 86 cm, formato da sei pezzi incollati e ripiegati, rispetto ai quali il testo della Livornese (Inf. I 1-9), dai margini a brandelli, occupa la porzione superiore, assai limitata e tormentosamente ricorretta, che spunta al di sopra della siepe delle chiose manoscritte. Ancor più in alto due fogli incollati riportano il titolo dell’opera (in perpendicolare l’avviso rivolto allo stampatore «this to be printed in black letters»), e l’indicazione «cantica Prima / Inferno». A destra del settimo verso si distende verso l’esterno una paperole ripiegabile di circa 10 x 3 cm, che riporta un altro promemoria autografo per lo stampatore: «to avoid misprints, the line 7th reading Tanta e amara che poco è più morte».22 22 Simili avvertenze in inglese rivolte al tipografo non sono infrequenti. A Inf. XXIII 57, si legge «to prevent confusion and misprints, the line is to be printed [sostituisce il precedente read, cancellato] thus: Potere indi partirsi a tutti tolle; 59 che giano attorno
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 116 Resta da spiegare per quale motivo tra i manoscritti di Varallo manchino il terzo e il quarto tomo dell’ edizione livornese, quelli cioè che contengono gli apparati esegetici. Evidentemente questi risultano poco interessanti agli occhi di Foscolo, poiché, a dispetto delle promesse di Poggiali, altro non sono che una semplice parafrasi delle note di Lombardi. Al massimo Poggiali ha fornito isolati e non originali spunti di riflessione, che Foscolo ha saputo sviluppare in modo autonomo. Due esempi al proposito riguardano la lunghezza complessiva della Commedia e gli argomenti introduttivi ai singoli canti. Si è già detto che Foscolo numera le terzine dell’esemplare di Varallo. Questa operazione è meno meccanica di quel che sembri. Appunto perché per primo segna con un numero progressivo i versi della Commedia, Volpi nella Cominiana ha maturato una convinzione poi rilanciata da Poggiali, ossia che le tre cantiche abbiano più o meno la stessa lunghezza. Il Discorso osserva che tale particolarità riguarda pure i singoli canti. Se avesse avuto più spazio alla fine del Purassai con lenti passi». Le varianti sui margini dell’edizione Poggiali sono talvolta accompagnate da thus. Sul frontespizio manoscritto della prima cantica Foscolo ha scritto: «(here the Latin motto as in the first volume)»; sul frontespizio manoscritto della seconda cantica: «Like the other title pages, with the only exception of the number of the volume [...]»; nella cronologia di avvenimenti è indicata la parola poetry accanto ai versi appunto in poesia, da stampare in diverso carattere. I promemoria autografi per lo stampatore spesseggiano anche sui margini degli autografi di villa Fabbricotti: cfr. ad es. Biblioteca Labronica “F.D. Guerrazzi”, Fondo “Foscolo”, vol. XXIII, c. 226r: «Place the prints of different size and the dimensions of the lines according to the more or less underlines».
LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI 117 gatorio, prosegue Foscolo, Dante ci avrebbe detto qual era il sapore dell’acqua dell’Eunoè, «lo dolce ber, che mai non m’avria sazio». Ciò non è accaduto perché «piene son tutte le carte, / ordite a questa cantica seconda». Difatti l’architettura del poema è immutabile quanto a lunghezza dei canti e quindi delle cantiche: proprio perché mantiene invariato il numero complessivo dei versi, Dante può introdurre cambiamenti infiniti, sostituendo gli episodi cancellati con altri ispirati a fatti di cronaca o a eventi della politica, sotto forma di profezie post eventum. 23 Il progetto di revisione degli argomenti dell’edizione Poggiali, per quanto abortito, è comunque significativo per la cultura del Foscolo dantista. Nell’esemplare di Varallo Foscolo oblitera con un tratto di penna gli argomenti prima di ogni canto, a partire dal IV dell’Inferno, senza però sostituirli con quelli da lui scritti o fatti copiare tra i Frammenti labronici fino al canto XIV.24 23 Il computo di Volpi, Commedia I [XIIIr], – «i versi della Commedia di Dante arrivano al numero di 14230, cioè dell’Inferno 4720, del Purgatorio 4752, del Paradiso 4758; dalla qual curiosa ricerca si viene a conoscere la diligenza posta dal poeta in fare che le tre cantiche riuscissero di grandezza eguale infra di loro» – è ripetuto da Poggiali (Commedia I xv-xvi) e da Foscolo, EN IX, 1, 460-61. Queste argomentazioni prestano il fianco alle obiezioni riassunte da Hollander, Commedia II 296. 24 Il manoscritto di Varallo testimonia l’indecisione di Foscolo riguardo agli argomenti dell’edizione Poggiali (a loro volta derivati da quelli di Lodovico Salvi, stampati da soli nel 1744, e poi riprodotti dall’edizione Berno del 1749). Foscolo depenna gli argomenti della Livornese dal quarto canto, ma li rimaneggia già dal primo. Nel secondo canto l’argomento originario è cancellato e corretto; per il terzo la correzione viene cancellata. In alcuni canti s’intravedono tracce
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 118 Gli argomenti che Foscolo aveva pensato di inserire testimoniano il suo interesse per la topografia infernale. Ad esempio l’argomento del canto quinto recita tra l’altro: «cerchio secondo. Sua larghezza orizzontale miglia 75 – sotto la superficie della Terra 800». Questi dati su larghezza e profondità dei singoli cerchi pare derivino, non senza aporie, dalle ricerche quattrocentesche del matematico e architetto fiorentino Antonio Manetti, i cui risultati furono divulgati da Landino e Benivieni per primi.25 A quelle ricerche, dopo aver descritto la struttura dell’inferno, Foscolo rimandava i lettori inglesi dell’antologia promossa dal suo assistente Giulio Bossi. 26 Del resto nella cassetta di Varallo, prima del testo dell’Inferno, è presente lo schema topografico del regno infernale riprodotto da Poggiali «secondo la descrizione d’Antonio Manetti fiorentino». Non è dunque per il corredo esegetico che Foscolo ha acquistato per ben due volte l’edizione livornese, bensì perché la sobrietà testuale e la qualità di architettura della pagina la rendevano in prima battuta uno di colla, talvolta coincidenti coi vertici di un rettangolo, come se una paperole fosse stata collocata nell’area corrispondente al numero del canto e all’argomento. Per Inf. XII, una volta rimossa la paperole, Foscolo ha riscritto sul margine alto della pagina «canto Duodecimo». 25 Si veda Gigli 63-64 per il Dialogo di Antonio Manetti. Foscolo forse lo conosceva attraverso il riassunto di Giuseppe Del Rosso intitolato Breve trattato sopra la forma posizione e misura dell’‘Inferno’ di Dante Alighieri, pubblicato dal quinto volume dell’edizionearchivio della Minerva. 26 Almeno stando a Cian, L’antologia 89.
LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI 119 strumento di lavoro ideale. Gli ampi margini per annotazioni e postille circondano il testo della vulgata filtro di Volpi, priva di note di commento e corredata da varianti rigorosamente selezionate. Poggiali non le pubblica tutte, né quelle della Crusca, né quelle del suo codice trecentesco, il già citato «Dante Poggiali». Stando a Foscolo il pregio maggiore di tale codice consisterebbe nella «rotondità dell’ortografia»: esso dimostra che «ne’ più riputati fra’ codici i piedi del verso si conducono per vocali» e che «le sconciature delle e’ i’ e dozzine delle sì fatte vogliono abolirsi e noverarsi fra gli usati espedienti de’ copiatori provvedute poscia d’apostrofi per via d’indovinamenti». 27 Il manoscritto adottato da Poggiali conferma quindi la natura vocalica della versificazione dantesca. È questo il motivo principale per cui Foscolo, non senza ambagi,28 se ne è servito come testo base, ancorché Poggiali stesso si sia lasciato fuorviare dagli errati criteri editoriali della Crusca. Già nelle postille al primo esemplare della Livornese posseduto nel 1813, Foscolo ha maturato la principale censura all’edizione della Crusca, che avrebbe sacrificato troppe vocali alla volontà di adeguare la grafia alla pronuncia. La variante a invitar, riconfermata nel 1827 contro a ’nvitar della vulgata fondante, è chiarita così nel 1813: «senza mai tenermi fra denti cruschevolmente 27 EN IX, 2, 227 e 80. 28 Foscolo ricorre al Dante Poggiali per l’escussione delle varianti, pur non reputandolo affidabile in assoluto: anzi, a suo parere l’editore livornese si fa illudere dal codice che possiede (Inf. XXII 101), e talvolta (Inf. X 1, XXIV 87) discute nel commento una lezione diversa da quella messa a testo.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 120 la vocale susseguente all’articolo; da che la dolcezza delle lingue alimentasi di vocali». Al noto principio della prosodia vocalica si attiene più o meno un quarto delle postille del 1813: ch’i’ > ch’io, et a fuggirsi > e a fuggirsi, ch’ha > che ha, ’n su > in su, e così via.29 In base a tale principio il Foscolo inglese mette in controluce e gerarchizza le tre vulgatae editiones, la Crusca, la Cominiana e la Livornese. Si prenda la congiunzione e, di solito rappresentata nei codici da et o dalla nota tironiana. Nell’Inferno Foscolo legge e o ed: se si scegliesse et, «infiniti versi dove si trova ne’ codici si leggerebbero senza metro».30 Al riguardo la chiosa foscoliana a Inf. I 5 osserva che la Crusca, davanti a parola cominciante per vocale, «scrive ed sempre per entro il poema, se non se forse qua e là; che il Volpi attribuì, a quanto pare, a fallo tipografico da che ristampò invariabilmente ed; e il Poggiali invariabilmente rimuta in et, non come più antico, ma “più dolce all’orecchio”».31 A 29 Anche sul piano esegetico alcune predilezioni del 1813 saranno poi confermate. Foscolo segue Lombardi su alcune cruces testuali ed esegetiche (Inf. XX 65, «Val Camonica Pennino», e Inf. XXIV 85- 87, i serpenti di Lucano), e nelle aspre critiche a Venturi. 30 Il criterio è enunciato nel Discorso boccacciano: cfr. EN X, 375. 31 La scelta di Poggiali è in controtendenza rispetto alle edizioni del Sette e del primo Ottocento, che preferivano ed a et. La spiegazione è che si tratta di questioni marginali, nelle quali è inutile allontanarsi dalla vulgata. Si veda Lombardi, Commedia I 491: «Quantunque persuaso [...] che Dante e tutti gli antichi Italiani ad iscansar collisione della particella congiuntiva e con vocale seguente, scrivessero et, e non ed; per nondimeno in un affare di niun momento uniformarmi a chi più è piaciuta la ed, ove tra le seguenti varie lezioni noterò et detta invece di e, scriverò nel testo ed». Già abbiamo ricor-
LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI 121 parte l’imprecisione finale (Poggiali aveva giustamente scelto et appunto per la sua antichità),32 la chiosa traccia una linea di condotta. «Spesso il Poggiali, nella sua Edizione scrupolosissima, si diparte dalla Volgata ch’ei nondimeno professa di ristampare; onde qui [Inf. XI 68] pure aggiungendo una t alla schietta e congiuntiva della Cominiana legge et assai». Volpi, più fedele alla Crusca, legge pianti e alti (Inf. III 22) e grande aggirata (Inf. VIII 79), laddove Poggiali, mettendo a testo et alti o grand’aggirata, è poco attento alla sostanza fonica della Commedia, e aggrava il principale difetto della Crusca. Dunque sotto questo aspetto la Cominiana, la vulgata filtro, ha saputo metter a frutto l’eredità della Crusca meglio della vulgata di riferimento livornese. La superiorità della Cominiana risalta altresì nell’ambito dell’interpunzione.33 Alla mancanza dei segni paragrafematici nei manoscritti della Commedia, la Crusca prova a porre rimedio ricorrendo a una punteggiatura ridondante, che però non facilita l’interpretaziodato che a parere di Dionisi le d eufoniche, «minuzie» assenti dal manoscritto di S. Croce, vanno mantenute per seguire la Crusca. 32 Poggiali, Commedia I xiv: «per l’appoggio dell’e congiunzione abbiamo sostituita la lettera t alla d, non solo perché et costantemente si trova ne’ Codici più antichi». 33 Nella seconda lista di libri foscoliani compare Vitarelli, Commedia. Nell’Avviso degli Editori si legge: «noi non abbiamo però ricopiata la puntatura ch’essi [Volpi, Venturi, Lombardi, Poggiali] usarono nelle loro edizioni; perché questa, per una sorprendente contraddizione, è spesso direttamente opposta al loro comento» (I iv). Saverio Bellomo suggerisce un uso funzionale dei segni d’interpunzione: «il filologo deve agire, per così dire, con mano leggera, evitando di orientare, in mancanza di indicazioni precise, in modo troppo netto e univoco il lettore» (Virgole 26).
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 122 ne sintattica del testo. Volpi e Poggiali propongono allora di riformare l’interpunzione della vulgata fondante.34 Foscolo giudica i loro sforzi a margine di Inf. XXIII 75: la vulgata fondante, «qui e spesso e peggio nella ristampa, per altro diligentissima di Livorno, ma meno sincera della Cominiana, riesce intralciata di troppe virgole, e malapplicate qua e là».35 Pure nel campo della punteggiatura, insomma, Poggiali, pur «professandosi religiosissimo ristampatore della Volgata, [...] affattura con interpolazioni ortografiche il testo» comune della Commedia. 36 Invece, secondo Foscolo, la distinctio assolve a una funzione prosodica (contribuisce all’armonia del verso), o più spesso semantica (ne chiarisce il significato): cosicché, a parte interventi di mera cosmesi grafica, non sono pochi i casi in cui la restituzione del testo nell’edizione foscoliana si affida a semplici mutamenti di punteggiatura. Lo sfoltimento delle virgole e la scrizione piena di parole aferetizzate ed elise sono gli interventi quasi di routine compiuti sul testo dell’Inferno da parte di Fo34 Volpi (Commedia I [XIIv]) ammette di aver quasi sempre mantenuto l’interpunzione della Crusca, «avvegnaché possa parere troppo abbondante di virgole o comme, la qual cosa produce molte volte confusione e dubbietà nella mente di chi legge». Poggiali (Commedia I xiv) osserva: «noi pertanto ci siamo studiati in quella vece di procurare che la stampa del testo riesca di tutta quella maggiore esattezza e correzione, che ci è stata possibile: e perché non resti in ciò alcuna cosa a desiderare, ne abbiamo riformata quasi interamente l’interpunzione». Così pure Biagioli (Commedia I xli): «ho riformata l’interpunzione, orribile a parer mio in ogni altro testo». Cfr. D. Colombo, Le ‘Correctiones’ 176-78. 35 EN IX, 2, 120. 36 EN IX, 2, 175.
LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI 123 scolo, il quale poi giustifica alcuni di quegli interventi in apposite note manoscritte. Già Mazzini rileva che talune correzioni fissate da Foscolo nell’apparato notulare non sono state riportate a testo, 37 per cui l’editore ha il compito di adeguare il testo alle note, inserendo nel primo le emendazioni stabilite dalle seconde. A detta di Petrocchi Mazzini, curatore della princeps del Dante foscoliano, avrebbe «in gran parte eseguito […] con molto scrupolo»38 l’adeguamento del testo alle note. In realtà diverse emendazioni fissate nelle note foscoliane non sono state inserite a testo né da Mazzini nel 1842-43, né da Petrocchi nella sua riproduzione fotografica della princeps mazziniana. Ad esempio la chiosa a Inf. XXVIII 10 premia Trojani anziché Romani, mentre nel testo si legge Troiani. Allo stesso modo Mazzini e Petrocchi mettono a testo «chi t’approda?» (Inf. XXI 78), quando la nota ha preferito «chi ti approda?», più coerente alla prosodia vocalica. Infine l’ultima chiosa manoscritta di Inf. XIII riporta la prima terzina del canto successivo; tuttavia all’inizio di Inf. XIV essa compare nel testo con una punteggiatura diversa. Il peso assegnato da Petrocchi alle scelte di Mazzini merita un’ulteriore considerazione. Si è già detto che l’ultimo volume dell’edizione foscoliana avrebbe dovuto contenere una sorta di enciclopedia dantesca, l’indice esplicativo di nomi, fatti, personaggi del poema, collo37 Lo rileva in una Nota, collocata nell’antiporta del terzo volume della princeps, l’unico caso in cui Mazzini dia brevemente conto dei criteri editoriali che l’hanno ispirato. 38 EN IX, 2, xlix.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 124 cati in ordine alfabetico. Era un’idea di Pickering, attento al mercato inglese, non di Foscolo, che alla sua Commedia pensava come a un «libro da Italiani». Foscolo aveva comunque accettato la proposta, perché probabilmente non l’avrebbe realizzata da solo. Tutto l’ultimo volume del Dante foscoliano era stato affidato alle cure di Antonio Panizzi.39 All’esule di Brescello, non ancora bibliotecario del British Museum, Foscolo il 23 settembre 1826 propone di realizzare un indice alfabetico d’allusioni oscure e vocaboli; e basterebbe ridurre i tre indici della Cominiana, fatti dal Volpi, in un solo, scemandovi molte dichiarazioni superflue, aggiungendone alcune nuove, e correggendone parecchie false; ma la pianta alfabetica essendo già preparata e le citazioni de’ canti e versi indicate correttissimamente, la fatica consisterebbe piuttosto a riscrivere che a comporre il volume del Volpi. (Fagan 48)40 39 Entusiasta del Discorso, Panizzi scrive a Foscolo il 25 febbraio del 1826 (cfr. Foscolo, OEP VIII 461), offrendogli alcune varianti di codici danteschi oxoniensi e proponendogli la propria collaborazione. Foscolo accetta sia le varianti (ma non le impiega: EN IX, 2, 254), sia l’offerta di collaborazione. A definirne la natura soccorrono le missive di Foscolo comprese tra le Lettere ad Antonio Panizzi pubblicate nel 1880 dal figlio adottivo Luigi Fagan. Foscolo propone a Panizzi di «assumersi la parte dell’interpretazione verbale della Commedia» (38), anzi di «comporre l’ultimo volume» (45), insomma di fare da «espositore» retribuito, che «aiuterebbe nelle dichiarazioni» (48). A Panizzi si dovrebbe affiancare, come si ricordava, Pietro Giannone (59). Per le lettere di Panizzi a Foscolo, cfr. Spaggiari, Per l’epistolario. 40 Meno di un mese dopo, l’11 ottobre 1826, Panizzi scrive a Foscolo di aver accettato: «resta [...] che in queste 400 pagine si contengan tutti e tre gl’Indici del Volpi, rifatti» (OEP VIII 466). Dopo
LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI 125 Il vocabolario dantesco dell’edizione foscoliana è dunque il frutto della riunificazione alfabetica dei tre indici della Cominiana. Alcune voci sarebbero state eliminate, altre corrette o riscritte ex novo. Integrazioni e aggiunte sono comprese fra asterischi, collocati all’inizio e alla fine: è un’avvertenza che Foscolo rivolge sia allo stampatore perché la rispetti, sia al lettore perché ne tenga conto.41 Tuttavia nella cassetta di Varallo, già al momento della donazione di Frascotti, l’indice è assente, fuorché una breve prefazione di tre carte, apografe con correzioni autografe, che costituiscono la nona unità archivistica nella classificazione di Romerio. Per questo motivo Petrocchi ha stampato soltanto le giunte asteriscate che leggeva nella princeps di Mazzini. La scelta è di per sé opinabile: talvolta le integrazioni risultano incomprensibili in mancanza delle chiose. Ad esempio se non si riporta tutta la chiosa di Volpi relativa a Bertran de Born, è inutile trascrivere soltanto la giunta foscoliana, che afferma che quella chiosa è erronea.42 aver recensito il Discorso nel 1827 (EN Bibl., II 147-62), Panizzi si era disinteressato del completamento del Dante foscoliano ad opera di Mazzini, per i motivi chiariti da Bocchi, Mazzini e il commento 519-21. Sui rapporti tra Foscolo e Panizzi interviene ancora Spaggiari, Sir Anthony Panizzi e ‘Me ne rido...’. 41 A Varallo, in calce alla prima carta dell’originale manoscritto dell’indice, si legge: «for the printer / Take care that such passages beginning with a star ∗, and ending with a star ∗, ought invariably to have such stars printed in the beginning and end». Si veda poi EN IX, 2, 307. 42 EN IX, 2, 308.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 126 Il punto decisivo è un altro, e sinora è passato del tutto inavvertito. Una rapida collazione con gli Indici originali della Cominiana dimostra che quelli riunificati della princeps curata da Mazzini presentano molte note aggiunte non asteriscate. In altri termini il vocabolario dantesco dell’edizione del 1842-43 è più articolato di quello noto grazie a Petrocchi. Alcune chiose aggiunte sono un semplice prolungamento delle “voci” della Cominiana: Volpi spiega che l’anima prima è Adamo, la princeps scioglie le perifrasi della Commedia in cui compare la parola anima. Più interessanti sono le rettifiche alle “voci”, seguite da rimandi alle note foscoliane. «Cola, per cole, riverisce. Inf. XII 120», aveva scritto Volpi, a cui segue la precisazione: «ma è chiosa sbagliata. V[edi] postilla al verso». Quando la rettifica alla Cominiana riguarda un verso dantesco delle cantiche non commentate da Foscolo, la spiegazione è più argomentata. Chi è «quel di Spagna» di cui si vedrà «la lussuria e ’l viver molle» (Par. XIX 124-25)? Così recita una nota non asteriscata della princeps mazziniana: Comeché tutti gli espositori moderni qui citino il Volpi, e gli Edd. Fiorentini pare che raffermino la sua opinione allegando gli antichissimi fra’ comenti, la chiosa a ogni modo si mostra confusa. Alfonso III regnò agli Spagnuoli che il nominarono Il Benefico innanzi la visione di Dante e morì nel 1290; ed è per avventura Lo giovinetto veduto nel Purg. VII 116, «che non rimase (intendo ‘lungamente’) Re»; perché in fatti dopo sei o sette anni di regno finì di vivere. Di ciò il Poeta si duole; non però dice «che non ereditò di Pietro d’Aragona suo padre altro che il valore». Successegli Giacomo
LA CRUSCA, VOLPI, POGGIALI 127 secondo, malveduto da Dante e dopo quattro anni l’Aragona e la Castiglia furono rette da esso e da Ferdinando IV, sino al 1312; e quindi Alfonso detto l’undecimo al quale di certo il Poeta nel XIX del Paradiso e i suoi primi espositori intendevano di alludere. Quel Canto è profetico, e parla de’ principi regnanti dopo la visione, e mentre Dante scrivevalo o ritoccavalo verso gli ultimi anni della sua vita; poiché ei ricorda come Filippo il Bello era morto di un colpo di cotenna nel 1314 cacciando un cinghiale. (Foscolo, Commedia IV 152) Il tema della chiosa è l’identificazione dei re di Spagna succedutisi ai tempi di Dante e citati nella Commedia. Benché oggi la critica dantesca sia giunta a conclusioni diverse, la strumentazione ermeneutica della chiosa è foscoliana, poiché attribuisce primazia all’esegesi antica e dà per scontato che Dante sia intervenuto su canti già scritti. È improbabile che la chiosa venga dalla penna di Mazzini: costui, nelle assai più tarde Note autobiografiche, rivela di essersi limitato a correggere il testo e a compilare l’apparato delle varianti di Purgatorio e Paradiso. Lo stesso Mazzini, in risposta ai dubbi sollevati da Enrico Mayer, escludeva che fosse Panizzi l’autore dell’edizione dantesca di Foscolo.43 Andrebbe inoltre considerato un indizio quasi certamente decisivo per l’attribuzione della nota non asteriscata. Nella Cronologia di avvenimenti, che a Varallo si legge manoscritta e ricorretta, per tre volte Foscolo rin43 EN IX, 2, xvii.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 128 via alla nota:44 l’aveva scritta lui, allora, o almeno la riteneva cosa sua, meritevole di una menzione ripetuta al fine di illuminare i tempi del poeta e la cronologia del poema. Sembra allora di poter concludere che, in assenza dell’originale foscoliano, la mancanza di asterischi non sia una ragione sufficiente per escludere dagli scritti danteschi di Foscolo le giunte all’indice della Cominiana presenti nella princeps di Mazzini. Paolo Borsa rimarca l’opportunità di un ripensamento globale dei criteri filologici in base ai quali sono stati pubblicati, nell’Edizione Nazionale delle Opere, alcuni degli scritti del Foscolo inglese.45 Alla luce delle precedenti considerazioni, relative al rapporto testo-chiose e alla consistenza dell’Indice, un simile ripensamento dovrebbe forse estendersi all’edizione Petrocchi (o meglio Mazzini-Petrocchi) dell’Inferno foscoliano.46 44 EN IX, 2, 201, 206, 219. 45 Di Borsa sono utili tre interventi: Introduzione XXXIII; Appunti 123-49; Per l’edizione 299-335. 46 Non tutti i refusi introdotti da Mazzini sono stati corretti da Petrocchi: ad es. nella chiosa a Inf. V 134, si legge l’incomprensibile «Ba 615», da correggere nel greco Βασις. Inoltre le note dell’edizione Petrocchi rimandano al Discorso nella paginazione del 1825, non in quella di Da Pozzo. È auspicabile una più marcata complementarità fra le due parti degli Studi su Dante foscoliani nel quadro dell’Edizione Nazionale.
CAPITOLO SETTIMO QUIRICO VIVIANI E IL (FALSO) BARTOLINIANO Il problema del testo della Commedia era di stretta attualità mentre Foscolo lavorava alla sua edizione. Sui giornali europei si era diffusa la notizia che un ex professore di liceo, Quirico Viviani, aveva scoperto e pubblicato nel 1823 un codice della Commedia, il Bartoliniano (così detto da Giovanni Antonio Bartolini, che l’aveva acquistato nel 1817; ora è il codice 50 della biblioteca Arcivescovile e Bartoliniana di Udine), a prima vista molto vicino all’autografo dantesco, anzi a dire del curatore identificabile con esso. Viviani e Foscolo avevano percorso insieme – sebbene in modi e in tempi diversi – un breve ma rilevante tratto del loro tirocinio letterario in quanto allievi di Cesarotti a Padova. Foscolo si era presto distaccato dall’ambiente padovano, nel quale Viviani era rimasto saldamente inserito.1 Da quell’ambiente, su impulso di Cesarotti che ne costituiva il baricentro, erano giunti a Foscolo spunti e motivi destinati a maturare negli scritti danteschi del periodo 1 Sul noviziato cesarottiano di Foscolo interviene Chiancone.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 130 inglese. Ad esempio dalla presunta superiorità dell’Inferno rispetto al Paradiso, opinione comune nella scuola padovana, Foscolo derivava la priorità cronologica della terza cantica rispetto alla prima.2 L’affiliazione alla cerchia cesarottiana, temporanea per Foscolo, definitiva per Viviani, è la circostanza determinante nella valutazione del rapporto fra i due letterati. Cesarotti infatti lodava a Viviani l’ingegno di Foscolo emulo di Alfieri,3 e favoriva la pubblicazione delle tre Canzoni militari di Viviani presso Nicolò Bettoni nel 1807, stesso anno e stesso editore dei Sepolcri e dell’Esperimento di traduzione. La plaquette omerica era percorsa da un sottile antagonismo nei confronti del magistero di Cesarotti: riportava infatti la sua traduzione in prosa dell’Iliade, fedele ma grezza, allo scopo di mostrare come potesse esser superata dalle versioni poetiche di Foscolo e di Monti, nel contempo fedeli ed eleganti. Quando Foscolo sollecitava a Luigi Mabil, a Isabella Teotochi Albrizzi e a Mario Pieri, corrispondenti vicini a Cesarotti, un suo parere indiretto sull’Esperimento, non otteneva risposta alcuna. Al posto di Cesarotti parlava Viviani, forse su mandato del suo maestro. Questi, accecato dal malanimo verso Foscolo, il suo ex allievo più dotato e più indocile, già nel 1803 lo defini2 Elogio 127 n. a: «per consenso comune Dante riuscì assai meglio nel descriver l’Inferno che il Paradiso»; EN IX, 1, 459. 3 Viviani, Commedia III I xxix n. 1: «vedasi l’orazione del Foscolo fatta a Bonaparte pei Comizii di Lione. Il Cesarotti mi diceva, che benché sia questa una imitazione del famoso panegirico dell’Alfieri a Trajano, tuttavia in quella del Foscolo trionfava di più la forza e l’ardimento dell’eloquenza».
QUIRICO VIVIANI E IL (FALSO) BARTOLINIANO 131 va un «pazzo»: lo stesso tagliente giudizio («ha più dell’insano che altro») che Viviani esprimeva per lettera, il 2 giugno del 1807, riguardo all’Esperimento. 4 Eppure la frattura tra Foscolo e Viviani, consumatasi nel nome di Cesarotti, non doveva esser né pubblica né definitiva. Qualche anno dopo Viviani, per sua stessa testimonianza, avrebbe ascoltato Foscolo recitare in anteprima alcuni brani dell’Ajace, e in seguito, grazie alla premessa al terzo volume del Dante bartoliniano, avrebbe divulgato per primo in Italia le idee direttive del Discorso dantesco.5 Quest’ultima dichiarazione, per quanto non abbastanza circostanziata, merita comunque un’attenta verifica, giacché, se provata, porrebbe Viviani in testa al gruppo dei fruitori o possessori del Discorso, ossia Puccini, Biagioli e Leopardi. Era stato dunque il plauso quasi incondizionato dei primi lettori nei confronti di un testo curato da un suo probabile conoscente a suscitare in Foscolo forte attesa per il Dante bartoliniano (un’edizione, a differenza della Livornese di Poggiali, «aspettata e implorata, da poi che lesse in certi giornali Francesi com’era stampata sopra l’autografo, o non foss’altro sopra un esemplare dettato dalla viva voce di Dante»),6 e a rendere perciò ancor più cocente il suo disinganno. La sentenza capitale emessa allora da Foscolo contro la curatela di Viviani («impo4 Si vedano la lettera di Cesarotti a Giustina Renier Michiel del 20 dicembre 1803 (cit. da Terzoli 628); e Zagonel 35 n. 85. 5 Fiammazzo lxxix-lxxx. 6 EN IX, 1, 273: Foscolo allude alla recensione di F. Salfi sulla Revue enciclopédique.
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 132 stura, o mania») 7 è stata ratificata dagli storici della filologia dantesca. In primo luogo l’autografia del Bartoliniano è ovviamente indimostrata, a causa sia della sua origine ignota, sia dell’incerta o addirittura assente allegazione di fonti e riscontri.8 All’inizio di una dissertazione sul Convivio apparsa qualche anno dopo il Discorso, così scriveva Pietro Fraticelli, curatore di un’apprezzabile edizione delle opere minori di Dante: se non fossimo stati mancanti di lavori cronologicocritici accurati ed esatti, non avrebbe Quirico Viviani accumulati tanti spropositi in quelle poche pagine che formano la Prefazione alla sua stampa del Codice Bartoliniano; né il Foscolo, per rilevare gli spropositi appunto di quell’editore, con altri parecchi ch’eran corsi finallora intorno la storia del Testo della Commedia, e intorno le opinioni e le particolarità a quello spettanti, si sarebbe trovato costretto ad affrenare il suo fervido ingegno nella minuta ricerca di date, nella istituzione di confronti e nella prolissità dell'analisi. Lavoro è quello del Foscolo non scevro affatto d'inesattezze (e come potrebbe esserlo opera d’uomo?) e di opinioni speciali non ammissibili facilmente; ma lavoro, che, sebbene criticato da molti ed inteso da pochi, fia pur ventura l’averne più d’uno di simili. (Fraticelli 610- 11)9 7 EN IX, 2, 166. 8 Stando a Trovato, Appendice 241, il Bartoliniano è un codice dell’ultimo quarto del Trecento, di area linguistica nord-orientale. 9 Il passo di Fraticelli è in parte riportato da Marco Aurelio Zani De’ Ferranti nel suo commento a Inf. I-III, ricco di citazioni foscoliane. Il musicista e letterato bolognese era pronto a scommettere, nel
QUIRICO VIVIANI E IL (FALSO) BARTOLINIANO 133 Fraticelli rileva lo sforzo condotto da Foscolo per mettere in luce gli anacronismi del Dante bartoliniano. Ad esempio Viviani opina che Dante sia stato ospite di Gherardo da Camino, uno dei «tre vecchi» esempio di antica virtù della terza cornice del Purgatorio. Secondo Foscolo, di contro, proprio questi versi («ben v’èn tre vecchi ancora, in cui rampogna / L’antica età la nova») proverebbero che già nel 1300 Gherardo era troppo in là con gli anni per accogliere Dante esule. Questi inoltre era uno sbandito bianco: difficile allora accettare che egli sia stato ospite dei Caminesi, legati ai Neri, in particolare agli Este, irriducibili avversari dei Bianchi.10 In secondo luogo l’attendibilità della ricostruzione filologica condotta da Viviani è minima; anzi, il sospetto avanzato dal Discorso per via di preterizione, che Viviani abbia manipolato in modo arbitrario il suo codice finendo così per falsificarlo, è stato di fatto confermato dalle verifiche di Antonio Fiammazzo ed Ermes Dorigo.11 Malgrado tali e tanti limiti, che di fatto hanno condannato all’oblio la Commedia curata da Viviani,12 la 1846, sulla lunga tenuta critica del Discorso, contro chi lo reputava «empio» o «inconcludente» (Zani De’ Ferranti, Commedia xiv). 10 Accettano però questa possibilità Santagata 161 e Carpi, La nobiltà. 11 Fiammazzo e Dorigo mettono alla prova la buona fede di Viviani, e concludono che egli non è stato né abile né onesto: ha sacrificato il testo di Dante al proprio arbitrio, e non s’è trattenuto dall’impostura di fabbricare di sana pianta lezioni. 12 Frasso, Manoscritti 54-56, accenna a un episodio della fortuna dell’edizione udinese: l’Ambrosiana di Milano ne conserva un e-
FOSCOLO E I COMMENTATORI DANTESCHI 134 sua spregiudicatezza non poteva non colpire Foscolo. Viviani aveva cercato di risalire alle origini della poesia dantesca. La meta di Foscolo era la stessa, e comuni potevano essere alcuni strumenti. Nelle note a Inf. XXXI 39, Purg. XVII 27, Par. XIX 24, Viviani accenna alla possibilità, affacciata forse per la prima volta nella storia della tradizione della Commedia, che alcune sue varianti siano riconducibili a Dante stesso. Ad esempio «faccia e vista [di Purg. XVII 27] sono due lezioni facilmente cadute entrambe dalla penna di Dante. Lascio pensare al lettore» – prosegue Viviani – «quale egli avrebbe serbato, se avesse dato l’ultima mano al suo manoscritto». È questo un punto di singolare rilevanza, poiché, come si è visto, Timpanaro accusava Foscolo di sottovalutare la questione delle varianti d’autore. Timpanaro, però, si pronunciava prima delle edizioni critiche di Da Pozzo e di Petrocchi, perciò non aveva a disposizione materiali divenuti di pubblico dominio soltanto in seguito. Difatti in una postilla al Discorso non pubblicata da Mazzini, Foscolo ribatte che Viviani ha insinuato l’eventualità delle varianti d’autore in modo surrettizio, in contrasto con un principio nodale della sua edizione, ossia che Dante avesse finito e licenziato la Commedia. 13 L’incompiutezza del poema è invece uno dei cardini del Discorso di Foscolo, che quindi sostiene che per lo stesso luogo Dante può mantenere due semplare interfogliato dal commento inedito di Giovan Battista Bonacina. 13 EN IX, 1, 195. Il fondo Timpanaro della Normale di Pisa conserva copie di entrambe le edizioni di Da Pozzo e Petrocchi. La prima fu oggetto di una breve e positiva recensione che Timpanaro pubblicò su Belfagor nel 1980.
QUIRICO VIVIANI E IL (FALSO) BARTOLINIANO 135 o più lezioni alternative, e che in alcuni casi non si possa accertare quale sia la lezione definitiva.14 Ad esempio il passo dei serpenti della settima bolgia, famoso ai tempi perché a partire da esso si era consumata la rottura fra Dionisi e Lombardi, secondo il Discorso non può essere restaurato, poiché risulta non del tutto finito nell’autografo. Di qui Foscolo sembra intuire la rilevanza degli interventi sul testo del poema compiuti dai primi esegeti con intenti quasi editoriali. Anche per Inf. XVII 124-25 la lezione genuina sarebbe andata persa insieme all’autografo e ai primi esemplari della Commedia. Il fatto è che tali esemplari, essendo stati ricopiati da un autografo collettore di varianti, riuscivano diversi a seconda del diverso giudizio dei primi amanuensi: tra questi figurano, secondo la chiosa a Inf. XXXIV 32, i figli di Dante, che avrebbero esemplato il poema senza accordarsi sulle lezioni incerte, contribuendo così alla sua instabilità testuale. Infine, già mezzo secolo dopo la morte del poeta, gli studenti trascrivevano la Commedia inserendovi le glosse dei loro professori.15 Molte di queste congetture non convincono appieno, specie quelle che presuppongono che la Commedia sia un’opera aperta e incompiuta, e così lasciano campo aperto alla discrezionalità (talvolta all’arbitrio) del Fo14 EN IX, 1, 539: «spesso è probabile che sovrapponesse varie parole l’una a l’altra, e ritenesse due o tre perplesse lezioni, finché potesse decidere». A detta di Foscolo varianti alternative sarebbero moto/mondo di Inf. II 60, altro/alto di Inf. XVII 95, dal lato/dall’altro di Inf. XXX 51; oltre all’intero distico di Inf. XVII 50-51. 15 EN IX, 2, 254.