51 Lauree ad Honorem: Bob Noorda - Imagis Lab di aggregare i vari settori dell’immagine e di confermare il valore della unitarietà del Gruppo. Il cane viene tolto dalla palina gialla con bordo nero ad angoli smussati, che era molto legata alle stazioni di servizio, e viene inserito insieme al logo Eni in un’area perfettamente quadrata. Al suo centro il quadrato giallo è attraversato da un filetto orizzontale rosso che separa i due elementi e cioè il cane e il logotipo Eni. L’ennesimo impercettibile accorciamento del cane lo rende lungo esattamente quando la lunghezza del logotipo Eni. Viene poi aggiunta la parola Group, a completare la transizione verso un marchio aziendale che contempli tutte la attività del gruppo. Una trasformazione continua, dal 2010 ad oggi A partire dal 2010, il Cane a sei zampe ha subito un restyling fondato sul concetto di “apertura”. Il cane a sei zampe associato al nome di Eni è la sintesi ideale di questa filosofia: una continua apertura a nuove realtà, a nuove esplorazioni, a nuove attività industriale e finanziarie. Il marchio diventa dunque sintesi e cornice di ogni “organo vitale” dell’azienda: dalla distribuzione di benzina, gas ed elettricità, ai campi di produzione e alla quotazione in Borsa. L’adozione di un unico nome e marchio rappresenta bene l’obiettivo di una maggiore coesione tra i vari settori, una migliore omogeneità culturale, ma soprattutto ha favorito la nascita di un’identità aziendale forte, figlia di un grande passato e di una grande tradizione. Oggi il Cane a sei zampe di Eni esce dal quadrato giallo e si proietta verso una nuova realtà aziendale che comunica dinamicità e tensione verso il futuro, in un mondo dell’energia in completa trasformazione.
52 Luigi Valgimigli “La forza dell’immagine” in ECOS, La campagna istituzionale dell’Eni, n°206/207, settembre-ottobre 1990 “Un inconsueto cane a sei zampe appare sulle pagine di periodici e quotidiani. Comunica, diverte, incuriosisce, coinvolge. È la metafora-simbolo attraverso cui l’Eni parla al grande pubblico.” Agip. Cartelli pubblicitari © archiviostorico..com “Spot 2010 - Open Energy” © Eni Video Channel
53 Emilio Tadini ECOS, Ambiente Idee per il territorio, Anno XXVII, n°6, novembre 1998 Un’invenzione davvero felicissima, questa del cane a sei zampe. Semplicità, complessità. Un equilibrio straordinario fra varie componenti espressive. E, così, noi (certo, senza che ce ne rendiamo conto), siamo sollecitati in modi molto diversi e dunque tanto più coinvolti. Ma è proprio un cane, questo? Perché potrebbe benissimo essere un drago. Guardate quelle creste, dappertutto, sul suo corpo nero, guardate quella fiamma che gli esce dalle fauci. Non sono forse i draghi a sputare fiamme? Questa figura - a mezz’aria nella nostra immaginazione - ha prima di tutto la funzione di indurre in noi una sensazione di forza, di potenza, addirittura di aggressività. E a chi guida un’auto piace provare sensazioni del genere. Ma non è finita qui. Questa figura non si esaurisce nel primo impatto, nel primo effetto. Continua ad agire. Continua a sollecitarci, a chiamarci in causa. Un drago, abbiamo detto? E, subito, come ogni altro drago, anche questo suscita intorno a sé la dimensione e il clima della fiaba. E ci conduce, in quella dimensione. È come se questo passaggio, a cui siamo portati del tutto naturalmente nello svolgimento di questo minuscolo, rapidissimo racconto, ci confermasse la funzione metaforica - la mobilità simbolica - di questa figura. Forza, potenza, aggressività, d’accordo. Ma, tutto, risolto con grande leggerezza - per un gioco della fantasia. Tutto alluso. Tutto “raccontato’” Già: c’era una volta un drago ... Non stiamo per sorridere? Attenzione. In questo cane-drago c’è persino una allusione piena di humour alla grande pittura dell’avanguardia contemporanea. Che cosa facevano tanti pittori futuristi, quando volevano rendere l’idea del movimento e della velocità? Moltiplicavano le gambe della persona, o dell’animale. Ma c’è ancora dell’altro, in questa immagine tanto semplice. C’è una vena sottile di comicità, un filo di ironia. Adesso ci sembra di vederlo ancora diversamente, il nostro cane-drago. Quella aggraziata sgangherataggine, da animale da circo da animale truccato anche lui, al seguito del clown... Il quadro è completo. Adesso sorridiamo davvero. La teniamo con noi, questa figurina. QUEL DRAGO DI UN CANE! Un simbolo ricco di significati
54 IL BRANDING ATTRAVERSO GLI OCCHI DI BOB NOORDA Tra i progetti importanti che hai affrontato, quello per Agip ha un posto di rilievo, a partire dal re-design del marchio. Alla nascita dell’Eni, nel 1952, la società bandì un concorso aperto a tutti gli italiani per l’ideazione di un marchio per la nuova benzina Supercortemaggiore, l’unica estratta e raffinata in Italia. Fu un successo strepitoso: la commissione incaricata di decidere, che tra l’altro contava tra i suoi membri personaggi come Mario Sironi, Gio Ponti e Mino Maccari, si vide presentare più di quattromila proposte, ma a quanto ne so il famoso cane a sei zampe che sprigiona una fiamma dalle fauci venne scelto direttamente da Enrico Mattei. Quella fu l’unica idea che gli piacque davvero. L’autore di quel disegno pare che sia stato Luigi Broggini, un pittore e scultore abbastanza noto in quegli anni, ma come sia andata esattamente, non saprei dire; quello che so, è che in fondo Mattei, un po’ come Olivetti, aveva già allora un’idea di cosa fosse l’immagine coordinata, perché aveva chiesto a un architetto i progetti delle prime stazioni, che erano tutte in muratura, con una pensilina molto grande. Tuttavia, malgrado le grandi capacità manageriali di Mattei, che si riflettevano anche nel settore della comunicazione, mancava un coordinamento dell’immagine aziendale a partire da una corretta identificazione e applicazione del marchio, fino alla definizione del sistema di segnaletica applicato agli edifici. Uno dei problemi più difficili da affrontare era la distinzione tra i servizi dedicati alle automobili da quelli riservati al pubblico. Come ebbi modo di dire allora, si rischiava che tutto “odorasse di benzina”. Quando, nel 1972, ebbi con Unimark l’incarico di rinnovare il marchio, all’inizio tentai di modernizzarlo un po’, ma c’era ben poco da fare; sino ad allora il cane a sei zampe era sempre stato utilizzato troppo liberamente Intervista a Bob Noorda Francesco Dondina intervista Bob Noorda Bob Noorda. Una vita nel segno della grafica, Milano, Editrice San Raffaele, 2009
55 Bob Noorda © monografieimpresa.it Lauree ad Honorem: Bob Noorda - Imagis Lab
56 su fondi diversi e applicato in modo spontaneo dai diversi gestori degli impianti. Bisognava fare ordine e trasformare quel disegno in un marchio vero e proprio. Creare una gabbia strutturale e un codice cromatico ben preciso. La mia proposta fu di inserire il cane all’interno di un quadrato di colore giallo con gli angoli smussati, una struttura modulare da utilizzare per le insegne denominata “palina”. Il disegno originale di Broggini era però un po’ troppo lungo e aveva un ‘eccessiva inclinazione verso l’alto nella parte posteriore del corpo, per poter essere ben inserito all’interno di quel formato quadrato. Allora l’ho solo ristretto un po’ e ho cercato di lavorare, se non altro, sulle proporzioni. L’ho praticamente tagliato in due con le forbici, ho avvicinato le due parti, ho spostato qualche gamba e ho modificato l’inclinazione di qualche grado verso il basso, per renderlo più stabile. Dopo aver affrontato il problema del marchio, bisognava pensare al logotipo e alla possibilità di ideare un carattere tipografico istituzionale. Il carattere tipografico che ho proposto era lo stesso che avevo scelto per la metropolitana di New York, lo Standard Bold, modificato “Un buon marchio è un marchio che resiste nel tempo; che non sfiorisce con il passare degli anni” (Bob Noorda). L’essenzialità e la purezza del segno. Niente fronzoli inutili che distolgono l’attenzione dal concetto primario che il marchio deve comunicare. Un segno non drogato dalle influenze modaiole di ogni epoca. Queste poche righe rappresentano quello che è il mio ricordo professionale di una persona estremamente solare e fiduciosa delle opportunità progettuali che si presentavano ad ogni nuovo lavoro.” Alberti Cei, “Il buon marchio” in On the road, Bob Noorda il grafico del viaggio, Milano, AIAP , 2015, p. 148 e reso più personale, più aderente cioè al contesto, con l’inserimento di una sottile linea bianca inscritta all’interno di ogni singola lettera, così da evocare l’idea della strada con le due corsie divise dalla riga bianca. In seguito, quello diventò il carattere istituzionale usato per tutte le società del Gruppo Eni, la Snam e via dicendo, in modo che ogni nuova società venisse immediatamente riconosciuta come parte della stessa famiglia. Un altro intervento molto importante per creare un sistema visivo davvero riconoscibile fu la progettazione del programma di pittogrammi, che in quegli anni erano assai poco diffusi come forma di comunicazione. Lo estesi sia ai servizi per gli autoveicoli che alle persone, con le indicazioni per i servizi di ristoro, le toilette, gli acquisti, tutte le informazioni di genere turistico, e altro ancora. La novità più assoluta fu l’ideazione del pittogramma per l’erogazione di benzina self-service, tanto è vero che la figura della mano che tiene la pistola è diventata, in Italia, il simbolo per il self-service. Questo perché altre società lo hanno adottato, a volte modificandolo, spesso peggiorandolo.
57 Restyling ENI © eni.com
58 E per quanto riguarda gli interventi sulle strutture architettoniche? Posso dirti che gli interventi sulle stazioni di servizio sono stati un problema, perché quelle già esistenti erano in muratura e quasi prive di colore, mentre le nuove erano in prefabbricato, realizzate da architetti diversi con colori che non c’entravano niente con i colori Agip. Le pompe, per esempio, erano rosse, e alle spalle avevano dei prefabbricati azzurri. Così, per arrivare a un’immagine omogenea che coordinasse il tutto, ho pensato a una fascia gialla. L’Agip era un’azienda abbastanza aperta al cambiamento, ma di certo non era disposta a fare tutto ex novo, così abbiamo presentato delle proposte di lay-out delle intere aree delle stazioni. Abbiamo fatto un ragionamento sulle diverse funzioni delle zone della stazione di servizio e abbiamo stabilito che l’area destinata all’erogazione di benzina si trovasse sempre in una posizione più vicina all’autostrada, mentre i servizi di ristorazione o le aree destinate al pubblico fossero Stazione di servizio Agip © eni.com
59 monografieimpresa.it il segno di bob tradito dallincuria posizionati in una zona più interna. Nel 1998 sono stato chiamato ancora una volta per ridefinire la corporate del nuovo gruppo Eni, quando divenne una società per azioni. Feci degli interventi semplici, riutilizzando in modo più moderno tutti gli elementi già precedentemente definiti. La palina ad angoli smussati legata alle stazioni di servizio divenne un quadrato con gli angoli retti, diviso in due parti da una sottile linea rossa. Nella parte alta venne inserito il cane di nuovo leggermente “accorciato”, questa volta con l’ausilio del computer, che rende tutto più semplice e nella parte bassa venne inserita la scritta Eni composta con il carattere istituzionale filettato. Mi è stato detto, qualche tempo fa, che il nuovo logotipo Eni è stato ancora modificato, con le lettere tutte in minuscolo in un altro font, e il cane alzato tanto da uscire quasi dal quadrato giallo, il perché non lo so. Va bene, non poteva durare per sempre... Del resto, il mio marchio aveva più di trent’anni. Un marchio deve durare più a lungo possibile, ma non per sempre. Stazione di servizio Eni © enistation.com
60 Alcune pagine dal manuale di immagine coordinata © Bob Noorda Design
61 Il progetto finito © Bob Noorda Design
62 Progetto per l’entrata alle stazioni di servizio © Bob Noorda Design
63 Modello delle stazioni di servio © Bob Noorda Design
64 Giovanni Baule Mario Piazza All’inizio degli anni settanta l’Agip era, in Italia, l’azienda petrolifera con la maggiore quota di mercato. Aveva gli impianti più attrezzati e i servizi più articolati, ma la sua immagine era inadeguata a esprimere queste realtà. Non esprimeva l’entità e la qualità dei servizi e soprattutto non poteva stare al passo con i piani di sviluppo dell’azienda. Unimark viene incaricata di ridefinire l’immagine coordinata dell’Agip. Gli obiettivi principali del progetto erano: 1. Il ridisegno degli elementi essenziali dell’immagine e degli elementi di identificazione primaria delle aree di servizio. Ridisegno al quale non si è sottratto neanche il “cane”, marchio dell’Agip, e che ha contemplato anche il progetto di un carattere tipografico dedicato. Data l’immagine fortemente consolidata del “cane a sei zampe” si decide di ridefinire i rapporti e le dimensioni e successivamente, di iscrivere in un quadrato con gli angoli raccordati. Il secondo intervento per una completa ridefinizione dell’immagine aziendale è di realizzare un carattere appositamente progettato per comporre il logotipo Agip. Il lettering progettato é stato ampiamente utilizzato negli anni, fino a identificare la stessa holding capogruppo negli anni a venire, l’ENI. 2. La valorizzazione istituzionale delle aree di servizio. Questa scelta era in antitesi con la prassi vigente nel settore petrolifero secondo la quale l’immagine delle aree di servizio era trattata secondo criteri meramente pubblicitari. 3. L’evidenziazione promozionale dei servizi, raggruppati in due grandi categorie: servizi all’uomo, servizi alla macchina Il sistema di immagine coordinata prevede la realizzazione di una famiglia di pittogrammi UNA NUOVA CORPORATE IDENTITY Gli obbiettivi del progetto Bob Noorda Design, Milano, Editore 24 ORE Cultura S.r.l., 2015
65 Sede Eni, Piazzale Mattei, 1 © eni.com
66 (una forma di comunicazioni assai poco diffusa in quegli anni), estesa tanto ai servizi relativi agli autoveicoli, quanto ai servizi relativi alla persona: indicazioni di ristoro, di toilette, di acquisti di generi alimentari, di informazioni turistiche e altro ancora. 4. La diversa sistemazione delle aree e la ristrutturazione interna degli edifici in funzione dei servizi offerti. 5. Un appropriato uso dei colori, tale da rimuovere sul piano psicologico talune apprensioni legate all’uso dei carburanti e lubrificanti e ai fattori inquinanti del petrolio. Significativo, in questo senso, è stato l’uso del colore bianco, per caratterizzare, insieme a una sottile fascia gialla, tutti gli automezzi aziendali, dalle auto di servizio alle grandi autobotti. 6. La progettazione di strutture nuove, motivate dall’introduzione di nuove forme di servizio. In questo specifico settore particolare importanza hanno assunto i progetti per i nuovi distributori di carburante, a testata elettronica e per le nuove pensiline per le aree di servizio self-service post-pagamento. Un intervento, quindi, che si è sviluppato prima sul piano concettuale e poi sul piano operativo con interventi di progettazione grafica, di architettura di esterni e di interni, di disegno industriale.Il progetto ha avuto tre diverse fasi di sviluppo e di attuazione: una prima fase negli anni 1971-72, una seconda fase negli anni 1974-78 e una terza fase negli anni 1979-80. I manuali di immagine aziendale, dopo una prima stesura negli anni 1974-77, alla fine del 1982, in collaborazione con l’Ufficio Immagine e relazioni esterne dell’Agip Petroli, sono stati completamente rifatti e aggiornati. Stazione di serivio Agip, Arrone (Civitavecchia) © eni.com Festival della mente “Bob Noorda - L’essenza del comunicare”, 2005
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68 Stazione di Servizio Agip, Palermo © archiviostorico.eni.com
69 © enistoria eni.com Stazione di serivio Agip, Aosta © eni.com
70 © enistoria eni.com
71 Primo distributore Agip San Donato © archiviostorico.eni.com
72 © enistoria eni.com Stazione di serivio Agip, Roma © eni.com
73 Stazione di serivio Agip, Arrone (Civitavecchia) © eni.com
74 © enistoria eni.com Stazione di servizio Eni, Venezia © eni.com
75 © enistoria eni.com Stazione di servizio Eni, Fiumicino, Roma © archiviostorico.eni.com
76 2 1 3 1 Palazzo Mondadori Via Arnoldo Mondadori, 1, Milano Studio del logo per Mondadori, p. 80 3 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Viale Pasubio, 5, Milano Marchio e immagine coordinata Feltrinelli, p. 83 4 Vallecchi 1903 Via Ponte all’Asse, 7, Firenze Vallecchi Editore logo, p. 84 2 Touring Club Italiano Corso Italia, 10, Milano Logo Touring Club Italiano, p. 87
77 INTERFACCE DI UNA CIVILTÀ DI SEGNI Case editrici: diffondere ovunque l’informazione a cura di Matteo Terraneo 4
78 Un marchio come quello di Mondadori 1969 è la perfezione della sintesi. La fusione esemplare delle due iniziali porta con sé la memoria del sigillo tipografico dell’editore come uomo di cultura e l’efficacia strumentale del suggello di marchiatura del prodotto editoriale moderno. È un segno per durare, dove tutto funziona, come con la chiave che incontra la serratura, non c’è sbavatura, frizione, disturbo. Questa data e la leggiamo come il filo rosso che collega gli oltre 170 Marchi disegnati da Noorda: dal Banco di Desio al Fusital da Rhodiatoce alla M, dalla Vallecchi alla Feltrinelli, dall’Eni al Touring Club italiano. Ritroviamo in essi sempre una linearità di approccio che non rigetta il confronto anche con la figurazione quasi didascalica. Un marchio che funziona per un segno semplice che comunica con la facilità di un libro per l’infanzia. Può essere astratto o un monogramma, ma deve trasmettere immediatezza e ha una naturale comprensione. Forse per questo, quando Noorda ricorda il rifiuto per l’emblema di tutto il sistema della prima linea della metropolitana milanese, affiora, se pure nel suo stile tipico è asciutto, un filo di melanconia: quello con le MM sopra e sotto, era piaciuto a tutti, tranne che al presidente che lo aveva portato al consiglio di amministrazione, mettendo ai voti, dato che a lui non piaceva; naturalmente, tutti i consiglieri hanno votato come lui. Il progetto per la metro era la Milano sopra e la Milano capovolta sotto, è già un enunciato evidente. Il disegno delle lettere era tracciato con la consapevolezza di trasformare il corrimano rosso, disegnato da Franco Albini e Franca Helg, in un carattere tipografico netto ed equilibrato. Resta un caso storico del made in Italy. Anche in una delle ultime prove, il marchio per la candidatura di Venezia all’expo 2000, ritroviamo questi principi e questo metodo, c’è un assunto primario di compostezza, c’è la necessità di semplificare lo spazio dove il segno dice. Questa riduzione comunque accompagnata da un’attenta lavorazione dei moduli costruttivi, moduli che giocano sulla reinterpretazione la costanza delle forme e delle sottili modanature e sulla loro possibile differenza uno scarto nel ritmo su uno dei tre moduli fa sparire una leggera vibrazione, devono increspatura dell’acqua. Ci consente di immaginare il panorama della laguna, specchio d’acqua dove risplende la ricchezza della città”. Più un marchio vive, si mantiene, come dire, fresco, attuale con il passare degli anni, più l’idea che lo ha sostenuto e contribuito a definirlo è ancora valida più sento di aver lavorato bene. Mario Piazza Bob Noorda Design, Milano, Editore 24 ORE Cultura, S.r.l, 2015 L’EDITORIA ITALIANA NEI SEGNI Un contributo destinato a durare
79 Mondadori bookstore © Borderline24.com Festival della mente “Bob Noorda - L’essenza del comunicare”, 2005
80 “Per noi la corporate identity è fondamentale sia come fattore interno di coesione e di identificazione delle persone sia come fattore di riconoscibilità esterna dei singoli brand, delle società e dei prodotti del gruppo. Il nostro attuale sistema di corporate identity si fonda sul marchio e sul logotipo.” “Il marchio Mondadori”, Mondadori Editore, 2020, www.gruppomondadori.it Marchio gruppo editoriale Mondadori © Archivio Bob Noorda, Milano Mondadori Verso la fine degli anni ‘60, Noorda vince il concorso ad inviti per il marchio del Gruppo Editoriale Mondadori. Il marchio sintetizza le due iniziali del nome del fondatore Arnaldo Mondadori, integrandole armonicamente in un segno grafico. È un segno forte e memorizzabile anche in assenza del logotipo, e a molti anni di distanza mantiene la sua decisa riconoscibilità a riprova che un marchio per definirsi davvero tale non deve essere condizionato da mode e tendenze delmomento. A molti anni di distanza dal progetto del marchio Mondadori 1969, Noorda sviluppa l’ampliamento del sistema coordinato aziendale con la progettazione dell’immagine grafica di alcune librerie e multicenter Mondadori, il re-design del pittogramma Oscar Mondadori e il disegno del logotipo realizzato con un carattere tipografico personalizzato. Nel 1996 Mondadori chiamò nuovamente Bob Noorda e gli diede l’incarico di progettare un nuovo logotipo, per rafforzare ed unificare la percezione del marchio Mondadori: il risultato è stato coadiuvato dalla creazione di un alfabeto di caratteri esclusivo, tratto dalla grafia del marchio, unitamente ad un articolato e completo sistema di linee guida, in tre volumi, per l’utilizzo del logo e delle sue declinazioni. Universalmente riconosciuto, il marchio Mondadori deve la propria forte notorietà e riconoscibilità a tre fattori, oltre naturalmente alla forza intrinseca del segno grafico: la straordinaria diffusione dei prodotti e dei punti di vendita, la costanza nel mantenere invariato il marchio negli ultimi 40 anni, l’associazione positiva del marchio ai valori di qualità editoriale e di affidabilità collegati al nome Mondadori.
81 Tavole di studio per il logo Mondadori © Bob Noorda Design
82 tCopertine realizzate da Bob Noorda per Feltrinelli© Archivio AIAP
83 Feltrinelli Negli Anni ‘60 egli aveva lavorato per Giangiacomo Feltrinelli, curando copertine e collane di numerosi libri. Dopo circa un ventennio ricevette l’incarico di elaborare un rinnovamento del marchio. Il progetto parte con la progettazione grafica della collana editoriale universale economica Feltrinelli e con il disegno di un nuovo marchio è di un nuovo logotipo l’obiettivo di posizionare il marchio a margine destro della copertina diventa l’occasione di disegnare la lettera F ruotata di 45° e tagliata verticalmente. Il logotipo è composto dal carattere Century che diviene il carattere della casa editrice. Accanto alla creazione del marchio, Noorda ha studiato un sistema di impaginazione e di caratteri, nonché l’impostazione di varie collane, conservate ancora oggi. Chi compra un libro Feltrinelli riconosce immediatamente lo stile dell’impaginato, il layout compositivo rigido, prevedendo quasi l’appartenenza al marchio ancor prima di leggerne il nome. Marchio e immagine coordinata Feltrinelli, 1981 © Bob Noorda Design MALCOM LOWRY SOTTO ILVULCANO MALCOM LOWRY SOTTO ILVULCANO
84 Vallecchi Meno nota delle precedenti ma non di minor rilevanza fu la collaborazione con la casa editrice fiorentina Vallecchi, cronologicamente anteriore alle altre (1961-62). Il direttore amministrativo Geno Pampaloni, con cui Noorda stabilì uno stretto rapporto, propose l’idea di raffigurare una pigna vista dall’alto, in combinazione con il nome dell’editore in un bel Bodoni sanserif. Il design irradiava un calore e una rispettabilità che erano molto adatti all’identità e all’immagine filosofico-letteraria di Vallecchi. Noorda mise a punto anche un sistema di copertine che ancora denotano grande attualità. Sebbene la fotografia e le illustrazioni fossero utilizzate in modo intermittente, la tipografia seguiva linee rigorose. Il font scelto fu il moderno Helvetica, per generare linee libere; così come il Bodoni classico, con la sua simmetria perfetta. Le copertine sono state definite “monumenti che definiscono la grandezza di Bob Noorda come grafico”. Il suo approccio coerente ha consolidato un’identità stilistica riconoscibile ed esteticamente gradevole. Vallecchi Editore Logo © Vallecchi
85 Copertine realizzate da Bob Noorda per Vallecchi ©Archivio AIAP
86 Il processo di modernizzazione dell’Italia di fine Ottocento porta con sé l’opportunità di viaggiare, sia come occasione di conoscenza del nostro e di altri paesi sia come desiderio di svago e divertimento. Ciò è incrementato soprattutto dal diffondersi dei mezzi di trasporto collettivo e individuale, e sancisce il definitivo passaggio dalla lenta ed elitaria esplorazione del grand tour sette-ottocentesco al viaggio autonomo del turista borghese, “con poco tempo a disposizione e molta voglia di vedere, se non tutto almeno l’essenziale.” Proprio alla crescita di popolarità della bicicletta, che in questi anni si configura come prodotto industriale, è legata la nascita l’8 novembre 1894 a Milano, ad opera di 57 ferventi velocipedisti, del Touring Club Ciclistico Italiano - che diverrà Touring Club Italiano nel 1900 per rappresentare anche i turisti automobilisti. Riconosciuto come pioniere e propulsore di differenti aspetti che, in modi diversi, hanno contribuito alla “costruzione” degli italiani partendo dalla conoscenza della penisola, il Touring ha avuto un ruolo determinante anche nella realizzazione di una vera e propria identità visiva del viaggio grazie gli strumenti di comunicazione che adotta già dalla fine dell’Ottocento. L’analisi dei materiali prodotti dall’Associazione permette infatti di verificare, oltre che la trasformazione delle modalità, dei linguaggi espressivi e del gusto dell’epoca, come in alcuni ambiti - la cartografia e la segnaletica, ad esempio - sia possibile individuare un approccio di tipo progettuale che ha condotto alla definizione di moderni capisaldi della comunicazione visiva in Italia. Gli strumenti del viaggiatore Sodalizio aconfessionale e apolitico, sorto su modello di analoghe associazioni europee e d’oltreoceano, il Touring è espressione della borghesia imprenditoriale postrisorgimentale, sostanzialmente concentrata Design e Corporate Image, per una storia dell’identità visiva nazionale, Milano, Franco Angeli Editore, 2012 Fiorella Bulegato AL SERVIZIO DEL VIAGGIATORE Il contributo del Touring Club Italiano
87 nell’Italia settentrionale che aspira al viaggio come una sorta di adesione allo spirito dei tempi: “una possibilità concreta per l’individuo di raggiungere nuovi orizzonti.” L’approccio dell’Associazione è in sostanza scientifico e ottimisticamente pragmatico. Da subito, proponendosi ai soci e delineando le difficoltà che “ancora si oppongono ad un uso più generale della bicicletta”, accanto alle condizioni delle strade, alla ciclofobia e all’assenza di un’organizzazione che “rende i viaggi spesso difficili e presenta inconvenienti gravissimi”, il neonato sodalizio indica la “mancanza di guide e di carte apposite.” Altri interventi “visivi” destinati ad assicurare comfort ai “ciclisti-viaggiatori” sono puntualizzati nel primo Statuto: la raccolta e fornitura di “tutte le informazioni necessarie per tracciare degli itinerari di viaggi ciclistici”, la collocazione di “speciali indicatori ai crocevia delle strade nazionali”, la pubblicazione di una rivista mensile “organo ufficiale per tutti gli atti dell’Associazione.” Questi materiali, assieme a una gamma di diversi elementi distintivi, sono stati specificamente “progettati” e in un trentennio hanno costruito le basi di una struttura identitaria, non “graficamente coordinata” nell’accezione attuale, ma dotata di accorgimenti visivo comunicativi in sintonia con lo sviluppo del linguaggio visuale e delle tecniche produttive contemporanee [...]. L’identità visiva istituzionale Il marchio viene deciso il 27 dicembre 1894: è “il tricolore italiano incluso ni una ruota di ciclo”, ripreso dall’omologo Cyclists Touring Club inglese, e riporta l’acronimo Teci (Touring Club Ciclistico Italiano), poi modificato in CTI (Consociazione Turistica Italiana) dal 1937. Sarà il marchio a funzionare come elemento “invariante” di riconoscimento e affermazione dell’Associazione, ripetuto su un insieme di fatti eterogenei per quanto riguarda scelte tipografiche, grafiche e cromatiche, supporti Logo TCI © Archivio Storico Touring Club Italiano
88 v “La grande capacità di Noorda è stata proprio quella di interpretare la solida tradizione del Touring e cogliere la necessità e la tensione innovativa che ne pervadeva i vertici, dando il proprio contributo dialogico in un esteso arco di tempo. E probabilmente non poteva che essere lui a partecipare al processo di rinnovamento cui si è fatto cenno poco fa, con quella sua abilità nel costruire “image” coerenti con la “personalità” dell’organizzazione e capaci di parlare a tutti e da tutti essere comprese.” Francesco Guida “Gli strumenti del viaggio. Noorda e leditoria del Touring” in On the road, Bob Noorda il grafico del viaggio, Milano, AIAP, 2015, p. 53
89 v e tecniche produttive, nonché linguaggi espressivi dei diversi realizzatori. Destinati sia all’attività istituzionale sia, e, soprattutto, ai soci, comprendono, oltre a carte intestate, buste o cartoline, materiali sociali più tipici come medaglie e distintivi, tessere per il riconoscimento, pergamene o diplomi di benemerenza. In più, applicazioni dedicate ai veicoli, targhe da esporre in alberghi, locali e negozi affiliati. Le effigi del Touring, al tempo stesso, si imprimono nel paesaggio: sulla segnaletica stradale e attraverso l’installazione di cassette di riparazione e borsette di soccorso destinate ai ciclisti montate dal 1896 lungo gli itinerari più frequentati e negli esercizi commerciali. Organizzazione di mostre e allestimenti per partecipare ad esposizioni sono fra le altre modalità per promuovere e consolidare la propria immagine verso i soci e le istituzioni. L’attività Editoriale e Cartografica Su modello delle altre associazioni, le iniziative editoriali intraprese dal Touring dal 1895 [...] segnano per l’Italia l’inizio di una vera e propria editoria di massa del viaggio e dei suoistrumenti di orientamento. Innanzitutto, l’Associazione inaugura le pubblicazioni periodiche nel gennaio 1895 con il proprio organo ufficiale, “Rivista Mensile del Touring Club Ciclistico Italiano”, divenuto nel 1899 “Rivista Mensile del Touring Club Italiano”, a cui è affidato il compito di aggiornare, informare tempestivamente, divulgare, intrattenere e saldare i legami tra i soci. Le tirature sono notevoli se l’edizione precede una serie di testate specializzate, edite a partire dagli anni ‘20. Ma la più consistente attività riguarda la pubblicazione di cartografie e guide stradali. Se da subito il Touring edita forme diverse, planimetrie, profili altimetrici e guide, agli inizi del secolo si fa pressante la necessità di fornire due strumenti capaci di coprire l’intero territorio nazionale, appropriati alla fruizione turistica e in grado di rispondere anche alla domanda di materiali conoscitivi efficaci e affidabili che garantissero il rigore scientifico richiesto dal ceto medio in ascesa. Così, tra il 1906 e il 1914, viene condotta a termine l’“impresa” della Carta d’Italia in scala 1:250.000, opera a scala media, originale perché riassume in maniera inedita una serie di informazioni su una base cartografica omogenea, con dati attuali La Via Sacra del Carso, Rivista mensile, Sartori, 1919 © Touring Club Italiano
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91 L’ufficio cartelli del Touring Club Italiano, 1930 © Dario Gatti
92 e un unico criterio grafico, standardizzando al tempo stesso formato, confezione, colori, nonché un sistema di segni e simboli convenzionali. Mentre fra il 1914 e il 1929 è pubblicata la Guida d’Italia, la cosiddetta Guida rossa che, oltre a essere riconosciuta per la sua affidabilità come “vero e proprio catalogo dei beni culturali del Paese”, riproponendo da allora pressoché imperturbabile la sua veste, rappresenta un elemento, permanente e consolidato nel tempo, dell’ “immagine” dell’istituzione. La Carta d’Italia, realizzata in collaborazione con l’Istituto geografico De Agostini, mira a sostituire le carte Igm (Istituto Geografico Militare), studiate per scopi militari e finora utilizzate ma inadatte ai nuovi usi in quanto ingombranti, poco maneggevoli e di prezzo eccessivo. Risultato di un enorme lavoro collettivo [...], viene tradotta in un unico “oggetto” funzionale ad un’agile consultazione ad esempio, in bicicletta e in auto. Il disegno, fra gli altri, si deve a Pietro Corbellini, direttore dell’Ufficio cartografico del Touring istituito nel 1914. È divisa in cinquantotto fogli di formato 44,3 x 33,2 centimetri ciascuno, piegati in buste a sacco in pergamena vegetale impermeabile, stampate in rosso e verde, con un’unghia superiore per estrarre la carta e una scala graduata sul lato per la sua lettura. Chiarezza e facilità di interpretazione sono garantite dalle gerarchie tipografiche, dalla codificazione dettagliata di segni e simboli, dalla stampa a sette colori. Tutto per consentire di concentrare in spazi ridottissimi i molti dati Le Guide rosse © Archivio Storico Touring Club Italiano
93 necessari al nuovo fruitore, come, per la prima volta in una carta d’Italia, gli elementi di interesse prettamente turistico: castelli, monumenti, rifugi alpini, sorgenti e così via. La Carta al 250.000 diviene la “madre” delle produzioni successive di carte ma anche della progettazione della Guida d’Italia. Concepita per affrancarsi dalle guide straniere allora circolanti nel paese, l’inglese di Murray, al francese di Joanne per Hachette e la tedesca Baedeker - della quale adotta formato, colore e carattere - si connota anche per modalità realizzative e diffusione. Maneggevole grazie al formato compatto e riconoscibile dalla copertina rossa con caratteri oro protetta da sovraccoperta, si caratterizza all’interno per la carta leggera e l’impaginato rigoroso, ritmato solo dall’alternarsi di blocchi di testo in corpo 6 o 8, secondo le informazioni da rilevare, limitati grassetti o maiuscoletti nel medesimo carattere. Fuori testo, su carta di grammatura maggiore, a più colori, la selezione di cartografie d’insieme e di dettaglio, comprese le piante di città. Le tirature di Carta e Guida sono ancora una volta cospicue: della Carta Sulla rete stradale europea, per supplire a una lacunosa dotazione di segnalazioni, inadatta alle esigenze di movimento dei viaggiatori e alle caratteristiche dei loro veicoli, le varie associazioni ciclistiche iniziano a insediare le prime nuove strutture intorno al 1880, e, in particolare, accanto alla revisione delle prassi finora adottate per l’orientamento, si rivela indispensabile trovare dei modi per annunciare pericoli, validi nei Segnaletica stradale Touring Club italiano © Lorenzo De Simone
94 diversi paesi. Inizia da qui la ricerca sull’unificazione di segnali e supporti, incentrata su una comunicazione immediata, comprensibile a tutti, che porterà, in seguito ad accordi e convenzioni internazionali, a definire un linguaggio convenzionale universalmente riconosciuto. In Italia questo compito è assunto dal Touring che, per lungo tempo sostituendosi alle competenze statali, si occupa di disegnare, produrre, decidere dove collocare e installare sulla rete stradale “i pali con cartelli indicatori”, ma anche di coordinare le attività e sollecitare normative specifiche. Il Touring lancia una sottoscrizione fra gli aderenti che consente nel 1897 di installare i primi cento pali indicatori. Il supporto è costituito da un’asta di ferro - presto sostituito da legno o da pali telegrafici- verniciata e alta oltre tre metri, sulla quale è montato un cartello di ghisa fusa, poi di lamiera verniciata. I cartelli sono rettangolari, riportano la dicitura dell’Associazione e il nome del donatore e al centro l’indicazione riferita all’orientamento o al pericolo. Studiati per la leggibilità in movimento, utilizzano scritte in caratteri lineari compreso un numero che viene trascritto sulle mappe. Dapprima caratterizzati da scritte in bianco su sfondo blu, nel tempo adottano pittogrammi rossi su sfondo bianco per indicare il pericolo. Questa scelta costituisce il contributo più innovativo nel processo di definizione della segnaletica stradale moderna. [...]. Il notevole impegno che richiede tale attività porta a costituire nel 1903 una Commissione permanente per le segnalazioni stradali. Disegnati dall’Ufficio segnalazioni stradali e servendosi, fra gli altri, della collaborazione di ACI, Genio Civile e Ferrovie, la Commissione si occupa di adeguare la cartellonistica italiana alle prescrizioni internazionali - ad esempio, nel 1909 si prevede l’adozione di forme rotonde e nel 1926 di quelle triangolari - e di progettare nuovi tipi di cartelli e sostegni, anche proponendoli in sede internazionale. Si consolidano quindi progressivamente le categorie di segnalazione, nonché sagome, pittogrammi, sfondi, colori, gerarchie delle scritte in base alla funzione e all’uso, seguendo criteri che tengono conto della necessità di ridurre il numero di segni, della resistenza agli agenti atmosferici e all’usura, dell’economicità di produzione e installazione, della possibilità di essere percepiti in moto e in condizioni di scarsa leggibilità, come di notte. Dal 1903 al 1915 risultano realizzati oltre 10.000 cartelli, sottoscritti soprattutto da privati, amministrazioni comunali, provinciali. Dopo l’interruzione bellica, con l’istituzione di un Consorzio per il finanziamento fra Touring, Pirelli, Fiat e Società italo-americana del petrolio, il numero aumenta notevolmente e nel 1926 supera i 50.000. Anche dopo il 1933, quando il nuovo Codice della strada trasferisce la responsabilità ad amministrazioni ed enti che hanno giurisdizione sulle strade, il Touring continua ad affiancare gli organismi preposti producendo la segnaletica stradale per l’esperienza realizzativa e produttiva accumulata nel tempo dotando così l’Italia di uno strumento indispensabile per la propria modernizzazione. “La sua attitudine è sempre stata più artigianale, quasi sartoriale, come ha dichiarato nel libro - intervista uscito poco dopo la sua scomparsa. «Cucire il vestito giusto» per quel cliente, era questo lo scopo di ogni suo lavoro, umilmente e magistralmente perseguito sia nel caso di grandi aziende come l’Agip, sia in incarichi come quello per il Touring Club Italiano.” Adriano Agnati, “Lo stile è l’espressione necessaria” in On the road, Bob Noorda il grafico del viaggio, Milano, AIAP, 2015, p. 87
95 © Archivio Storico Touring Club Italiano “Fare il grafico è un mestiere che si può fare dappertutto, su un tavolino piccolo come su un tavolo grande, non si ha bisogno di tanto macchinario, bastano delle matite e prende tutta la vita.” Bob Noorda, in Bob Noorda Design, Milano, 24 ORE Cultura S.r.l., 2015, p.399
96 Viaggio nella geografia, copertina e pagine, 1985 © Lorenzo Grazzani
97 Tra tradizione e innovazione: Il “nuovo” marchio Sul finire degli anni Settanta il Touring Club Italiano avvia un importante processo di rinnovamento e ristrutturazione organizzativa, con l’obiettivo di accrescere il numero di soci sul territorio nazionale. Uno dei protagonisti di questa operazione è il presidente Franco Brambilla, in carica dal 1977 e fino al 1983, la cui intenzione è di dare all’Associazione una impronta più moderna e aziendale. Per far sì che “il cambiamento trasparisse anche dalla sua immagine”, nel 1978 fu organizzato un concorso a inviti per individuare il nuovo marchio. Alla selezione furono invitati tre studi di progettazione, e tra questi vi è la Unimark International di Bob Noorda [...]. Noorda, accogliendo l’invito del Direttivo del Touring, presenta una serie di proposte, la maggior parte delle quali valutate come troppo radicali. Queste vengono apprezzate in quanto “ineccepibili” dal punto di vista compositivo. Alla fine però la scelta cade su una soluzione di rinnovamento, ma nel segno della continuità. Il marchio istituzionale del Touring, in uso dall’anno della fondazione del sodalizio nel 1894, è sostanzialmente rimasto invariato. Il “distintivo sociale” del “tricolore italiano e una ruota di ciclo” non può essere sostituito, ma solo rinnovato attraverso una «leggera messa a punto visuale», con tanto di nuova sigla, TCI, in luogo della precedente CTI (Consociazione Turistica Italiana). Noorda ne propone un vero e proprio ridisegno, sapiente e “rispettoso della storia”, improntato a un rigore geometrico “celato e ammorbidito dai curvi raccordi che restituiscono del precedente marchio le flessuose forme del vessillo agitato dal vento”.Un marchio nuovo (ma non troppo) per un Touring che si rinnova, così titola l’articolo in cui viene presentato ufficialmente ai soci sul mensile «Qui Touring» nel gennaio del 1979. Che prosegue: “Tira aria di rinnovamento al Touring, sono cambiate alcune Storia dell’urbanistica, L’Italia del Touring Club 1894-2019, Palermo, Edizione Carcol, 2021 Francesco Guida IL NUOVO VOLTO DEL TOURING CLUB Identità ed editoria del TCI
98 cose e altre cambieranno, è ovvio che si pensi a rinnovare l’‘immagine”, di cui il marchio è espressione significativa. […] rinnovare sì, ma restando nella tradizione; rispettando e conservando ciò che generazioni di italiani hanno imparato a conoscere […] Naturalmente non ci si limita a “rinfrescare la facciata”, si stanno consolidando le strutture portanti per costruire il nuovo Touring di cui già si delinea la fisionomia. […] un marchio rinnovato, dunque, per un Touring che nella sua ricca tradizione trova i motivi e la spinta per rinnovarsi ancora una volta.” Noorda nel nuovo marchio già prefigura alcuni degli elementi che caratterizzeranno la comunicazione visiva e l’immagine coordinata del Touring negli anni successivi: quelli che lui stesso definisce i “codici” e che saranno poi sistematizzati nel manuale pubblicato nel 1986. Il logotipo Touring Club Italiano è composto in Times bold; i colori sono quelli della bandiera italiana e anch’essi vengono fissati con chiarezza: il verde (Pantone 355), il bianco, il rosso (Pantone 186). Nella versione in bianco e nero i colori sono sostituiti da una fitta trama di linee parallele con diversa inclinazione: 45° per il verde; 15°, la stessa del guidone, per il rosso. Un espediente ereditato dalla tradizione araldica europea, per un segno che non è un semplice marchio, ma un vero e proprio sigillo nazionale. Organizzare le informazioni: I pittogrammi Dopo il marchio, Noorda viene incaricato di impostare graficamente l’Annuario generale dei comuni, un volume di più di trentamila voci associate a informazioni d’uso turistico. Si tratta di un vero e proprio elenco in cui il compito principale del progettista è l’ottimizzazione degli spazi nella composizione della pagina e delle informazioni, preservandone la consultabilità [...] Noorda introduce così un nuovo sistema di simboli che rappresenta una sua tipica Presentazione del nuovo logo © Archivio Touring Club Italiano
99 “mossa teorica”, una “concreta azione concettuale”. Un sistema che, nell’assolvere alla primaria funzione di garantire una lettura rapida e sintetica delle informazioni, conferma l’abilità del progettista e, al tempo stesso, la sua competenza tecnica. I volumi sono composti utilizzando la tecnica della fotocomposizione e il disegno dei simboli deve contemplare la riproduzione a scala ridotta dei segni nella pagina. Per essere proporzionati alle dimensioni del testo, composto in carattere univers, corpo 7, ogni icona è disegnata con lo stesso spessore del carattere tipografico con cui è composto il testo e strutturato su un modulo quadrato, a sua volta formato da tredici quadrati per lato. La griglia così impostata non è però una base rigida per il disegno, è un supporto indispensabile per il controllo degli spessori e dell’andamento delle linee, consente correzioni e adattamenti ai fini della migliore soluzione in termini di rappresentazione di significato e di leggibilità. Noorda compie così un’operazione che potremmo definire di micro-tipografia, introduce una sorta di nuova ‘scrittura’, sviluppata negli anni con circa 140 pittogrammi e icone, un sistema coordinato, comprensibile, funzionale, da utilizzarsi a scale diverse: dalla cartografia, alle copertine e agli interni delle guide fino alla segnaletica ambientale dei villaggi turistici. Tanto è efficace tale sistema che il Touring è incoraggiato a proporne l’adozione all’Alliance Internationale de Tourisme, della quale era affiliato. Alcuni dei simboli, come si è accennato, sono utilizzati per caratterizzare le copertine dei repertori: il primo caso è proprio l’Annuario del 1979, in cui vengono introdotti anche alcuni dei codici grafici che renderanno per tutto il decennio perfettamente riconoscibili le pubblicazioni del sodalizio. La sistematizzazione dell’image: L’editoria per il viaggio Per tutta la durata del rapporto tra il TCI e Noorda, egli fornisce costantemente indicazioni e determina le scelte grafiche. Spesso firma le prime uscite delle collane o i primi numeri delle riviste come “Qui Touring”, «Alisei» o «Le vie del Mondo», per le quali si occupa in particolare del sistema grafico delle copertine. Lascia che sia poi l’ufficio tecnico del Touring a portare avanti, spesso adattandolo alle esigenze, il progetto grafico originale. Per quanto è dato sapere non esiste un
100 Schizzi originali e copertine Guide verdi del Touring, 1987-1996 © AIAP Fondo Bob Noorda, manuale di istruzioni per l’applicazione di specifiche regole grafiche alla produzione editoriale, ma è possibile individuare alcuni elementi di continuità negli accorgimenti che rimandano a un sistema di identità ragionato e riconoscibile. Nel clima di cambiamento che pervade il TCI a fine anni Settanta, uno degli obiettivi è proprio di dare nuovo vigore al settore editoriale. Il progettista olandese da subito viene coinvolto nell’impostazione degli impaginati di alcuni titoli già in programma dagli anni precedenti e delle copertine delle nuove collane come quella dedicata ai manuali pratici di turismo le cui prime due uscite sono del 1979 (Manuale pratico per viaggiare e Manuale pratico di campeggio). Si tratta di pubblicazioni turistiche snelle e di agile lettura, caratterizzate da copertine essenziali in cui sono utilizzate fotografie amatoriali, nel solco di quella tradizione che chiede ai soci di documentare i viaggi e di mettere a disposizione dell’Associazione la documentazione fotografica. Immagini che non hanno nulla di autoriale, ma semplicemente documentano i molteplici aspetti del turismo. Su queste immagini Noorda compone le informazioni nel carattere istituzionale (il Times) introducendo da subito la divisione mediante i filetti e articolando i vari blocchi di testo in modo razionale e leggibile. Una partizione del campo grafico delle copertine che d’ora in avanti è la caratteristica di molte delle guide (come le ‘verdi’), dei repertori [...]. Da subito, quindi, definisce sia quei codici tipografici, cromatici, iconografici, fotografici, sia «una sorta di grammatica grafica, che coordina e utilizza in modo stabilito e determinato i differenti codici». In questo modo «anche in assenza del marchio, siamo in grado di riconoscere quel prodotto di comunicazione come