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Published by Maddalena D'Ettorre, 2023-05-25 04:38:31

LIBRO INTERO corretto

LIBRO INTERO corretto

101 Bozzetti preparatori della rivista Il Touring © Archivio Touring Club Italiano appartenente a una determinata azienda piuttosto che a un’altra» [...]. È emblematico il caso delle celebri ‘guide rosse’ (Guide d’Italia): sono guide per un turista dai tempi cadenzati, contemplativi, e la leggibilità è in tal senso una priorità per una lettura conoscitiva dei luoghi. Noorda, nel riorganizzarne la pagina e le informazioni, fa guadagnare ai testi leggibilità e chiarezza. Della versione precedente mantiene alcuni dei tratti distintivi e lascia invariato il formato, vi aggiunge dei semplici elementi peritestuali come le testatine nella parte superiore della pagina, rende più fruibile e consultabile il contenuto. Le copertine sono sempre le stesse: in tela rossa con titolazioni composte a epigrafe e stampigliate in oro. È un intervento umile, quasi artigianale, neanche troppo evidente. Noorda è chiamato a intervenire, a partire dalla metà degli anni Ottanta, anche su un’altra storica collana, genericamente nota come le ‘guide verdi’. In questo caso introduce alcuni accorgimenti che verranno poi ripresi e mantenuti per i successivi 15 anni: in particolare, la sequenza progressiva di linee parallele. Suggerisce anche una distinzione cromatica tra le varie sotto-collane, applicata solo in parte con le Guide del Mondo nel 1987. La proposta è di caratterizzare cromaticamente la serie di linee parallele, mantenendo invariato il distintivo colore verde di fondo: un marrone per le Guide d’Europa, un viola per le Guide regionali d’Europa, un blu per le Guide del Mondo e un verde più brillante per le Guide d’Italia [...]. Alcune considerazioni finali Nell’arco della sua esperienza con il TCI, Noorda ha dovuto adattare i suoi principi a una produzione editoriale differente da quella


102 Alcune pubblicazioni del TCI © Archivio Touring Club Italiano


103 di Feltrinelli o Vallecchi, per esempio, in cui prevaleva la tipografia. Nel progettare centinaia di copertine e migliaia di pagine dedicate ai temi del viaggio, del turismo, lavora sul rapporto con l’immagine o l’icona impostando, però, sempre strutture di coordinamento, di riconoscibilità e distinzione. In questo senso, la copertina ha una doppia valenza, da un lato informativa ed evocativa dei contenuti, dall’altro di affermazione di una reputazione, quella del TCI, da adeguare ai tempi nel rispetto della propria missione statutaria e degli obiettivi strategici. Una sua grande capacità è stata quella di interpretare la solida tradizione del Touring e cogliere la necessità e la tensione innovativa che ne pervadeva i vertici, dando il proprio contributo, dialogico prima ancora che meramente progettuale, in un esteso arco di tempo. E non poteva essere che lui a partecipare a tale processo di rinnovamento, con quella sua abilità nel costruire ‘image’ coerenti con la ‘personalità’ dell’organizzazione e capaci di parlare a tutti e da tutti essere comprese. Come anche nel descrivere graficamente i valori fondanti in una proiezione futura, come nel caso del marchio che per lui doveva, per definizione, «durare il più a lungo possibile, non per sempre». La sua è una azione su più livelli, nella consapevolezza che l’identità di un soggetto, di una organizzazione, si può progettare anche lavorando negli interstizi (come nei casi del sistema di simboli per l’Annuario o la razionalizzazione grafica delle ‘guide rosse’), agendo su scale diverse, anche poco appariscenti. L’identità si costruisce, si rinnova, si rigenera anche attraverso interventi umili, accorti, rispettosi, cauti. In questo modo contribuisce al consolidamento del Touring come istituzione. Dimostra infine la capacità di saper interpretare il proprio ruolo di progettista in un modo che è intermedio tra quello del grafico redattore e quello dell’art-director, tra servizio e direzione creativa. La sua disponibilità al dialogo e all’ascolto, al confronto – quasi quotidiano – sui temi propri del Touring, con cognizione di causa, rappresentano un insegnamento di cui ancora oggi vi è necessità. E fanno di quella che potremmo definire una micro-storia del progetto grafico un caso emblematico. “Questo è un punto che torno sempre a sottolineare. Bisogna mettersi dalla parte di chi osserva, dalla parte del pubblico, per potergli offrire il risultato corretto. Un bravo designer è quello che offre un buon servizio attraverso la comunicazione, non quello che stupisce a tutti i costi, né quello che fa vedere quanto è bravo. Un designer è bravo se sa risolvere un problema, se offre un buon servizio, se propone una soluzione utile.” Bob Noorda, “Corporate identity, progettare un sistema visivo” in Bob Noorda. Una vita nel segno della grafica, Milano, Editrice San Raffaele, 2009, p.64


104 Bob Noorda, il designer olandese ma italiano d’adozione che ha rivoluzionato, a partire dagli anni Sessanta, la grafica italiana, è scomparso ieri a Milano. Tra i marchi industriali e istituzionali che Noorda ha inventato o ridisegnato (e sono stati davvero tanti, dalla Metropolitana milanese all’Agip-Eni, dal logo della Regione Lombardia a quello della Coop), vi è pure quello del Touring Club Italiano. È per questo motivo che oggi vogliamo ricordare con commozione e con gratitudine un grande professionista che ha onorato con il suo lavoro la nostra Associazione, conferendole un’immagine più adatta ai nostri tempi. Bob Noorda fu chiamato al Touring sul finire degli anni Settanta dal presidente Franco Brambilla come vincitore di un concorso indetto dall’Associazione e aperto ai migliori grafici e designer: occorreva svecchiare l’immagine del sodalizio e si doveva partire dal marchio. L’idea di Noorda fu quella di salvaguardare il distintivo storico adeguandolo ai tempi: restava la ruota di bicicletta (non dimentichiamo che il Touring nacque nel 1894 come Touring Club Ciclistico Italiano), ma completamente ridisegnata. Noorda poi propose l’inversione delle lettere: si passò infatti da cTi (che andò bene per molti anni sia per il Touring Club Italiano, sia per la Consociazione turistica italiana, il nome che dovette assumere il Touring negli anni del fascismo) al più logico e razionale Tci. Ma la collaborazione di Bob Noorda con il Tci non si fermò al nuovo marchio: l’intera linea editoriale e grafica del Tci fu ripensata sia nelle copertine di guide e libri illustrati, sia all’interno di molti volumi e durò praticamente un ventennio. Noorda era di casa al Tci, dove si fermava, nella sede di via Adamello a Milano anche per intere giornate. Sono caratterizzate dalla grafica di Noorda infatti le Guide Rosse a partire dagli anni Ottanta, così come le guide Verdi d’Europa e del Mondo, la collana Attraverso l’Italia, carte e atlanti (il celebre Atlante 1:200.000 con la nuova copertina verde), ma anche molti volumi inseriti in quello che si chiamava un tempo il Pacco Soci (l’attuale Kit Touring) come i volumi Città da scoprire, Città d’Europa e Regioni e mete d’Europa. Numerosissimi furono gli interventi del grafico olandese sulla produzione editoriale Tci. Non è possibile elencarli tutti, ma ci piace ricordare l’ideazione della copertina della rivista Vie del Mondo, nata da una collaborazione con il National Geographic, e di una testata di Qui Touring, quella degli anni Novanta, con quella eleganza e purezza di stile che ha sempre caratterizzato i suoi lavori. Piero Carlesi Touring Club Italiano, Milano, 12 gennaio 2010, touringclub.it IL TOURING CLUB RICORDA BOB NOORDA Emblema di eleganza e purezza di stile


105 Pittogrammi realizzati da Bob Noorda per le guide del Touring © Archivio Touring Club Italiano


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108 3 Metropolitana di San Paolo San Paolo, Brasile Stazione di São Bento della metropolitana di San Paolo, p. 128 Metropolitana di Milano Milano, Italia Elementi di studio della segnaletica della M1, p. 121 2 Metropolitana di New York New York, America Staziione di Uptown, Queens & The Bronx della metropolitana di New York, p. 140-141 1 Elementi del sistema comunicativo della M1, p. 124-125 3 2


109 UNA SEGNALETICA DI SOTTRAZIONE Le metropolitane di Noorda nel Mondo a cura di Maddalena D’Ettorre 1


110 Stazione Metropolitana di Cordusio, 2014 © Matteo Mazziotti “La linea rossa […] è un concreto elemento di orientamento, misurato e senza enfasi.” Bob Noorda, “Bob Noorda. La misura dei segni” in Bob Noorda Design, Editore 24 ORE Cultura S.r.l., Milano, 2015, p. 16


111 Giovanni Baule Mario Piazza Bob Noorda Design, Milano, Editore 24 ORE Cultura S.r.l., 2015 La sottile Linea Rossa Nel 1962 la Società Metropolitana Milanese dà incarico agli architetti Franco Albini e Franca Helg e a Bob Noorda per il progetto di arredo delle stazioni e della segnaletica della Linea 1. Le particolari qualità del coordinamento architettonico e dell’organizzazione della segnaletica gli valsero il Premio Compasso d’Oro del 1964. La Giuria ha voluto sottolineare lo sforzo per qualificare l’ambiente architettonico attraverso la comunicazione e lo studio approfondito dell’insieme dei segnali, dei loro rapporti gerarchici, della loro collocazione e l’organizzazione tecnologica e dimensionale delle superfici interne dei vari ambienti, tesa senza impoverimento all’unificazione dei differenti elementi nel contrappunto dei materiali. Il progetto viene studiato come un sistema modulare, fondato su una casistica di pannelli prefabbricati e sull’unificazione di alcuni elementi tra cui i corrimani, gli accessi e l’illuminazione. Il sistema segnaletico funge da elemento di immagine unitaria ed è integrato con tutti gli elementi di arredo delle stazioni. Il sistema prevede due fasce cromaticamente differenti e sovrapposte, con funzioni comunicative distinte. Alla quota della banchina, la prima fascia, di colore identificativo della linea di appartenenza, riporta esclusivamente il nome dalla stazione; la seconda, invece, riporta le informazioni per l’orientamento: l’uscita, il collegamento con altre linee metropolitane, i segnali di sicurezza. Per standardizzare l’intero sistema segnaletico, e renderlo adattabile ad ogni condizione spaziale, sono previsti moduli componibili da 130, 50, 40 e 30 cm per l’inserimento di informazioni testuali. Appena l’utente accede all’ingresso, viene messo in condizione di poter verificare l’appartenenza della propria stazione d’intere se con la linea metropolitana corretta. LE SCRITTURE DELLA COMPLESSITÀ La forma della comunicazione di sistemi complessi


112 Al primo bivio che incontra può verificare la direzione di percorrenza del treno. Al raggiungimento della banchina di attesa del treno, gli vengono ricapitolate le informazioni relative alla linea, alla fermata in cui si trova e alla direzione scelta. L’esigenza di leggibilità della segnaletica in banchina si limita a pochi metri, il problema quindi esige soluzioni diverse da quelle per la segnaletica stradale che può essere risolta anche a grandi distanze. Per dare all’utente la possibilità di leggere le informazioni dal treno già durante la fase di arrivo del convoglio nella stazione, il nome della fermata viene ripetuto lungo tutta la banchina a intervalli di 5 m, a 2m circa da terra. Queste misure permettono ad ogni passeggero di vedere sempre, dall’interno delle vetture, almeno due scritte. La fascia rossa è realizzata in lamiera verniciata opaca a fuoco per garantire la migliore leggibilità. Bob Noorda ha studiato un’apposito carattere tipografico per scrivere tutte le informazioni. Ha evitato caratteri con uno sviluppo verticale, che avrebbero ridotto la leggibilità, specie in visione prospettica, e ha usato come modello un carattere “grottesco” (lineare). I caratteri grotteschi esistenti, chiari e neretti, ingranditi secondo le esigenze del sistema segnaletico, risultavano troppo chiari o troppo scuri. Da qui il ridisegno dell’intero alfabeto con la progettazione di una versione intermedia. Noorda ha variato gli spessori, ampliato l’occhio delle lettere e accorciato i tratti discendenti e ascendenti, permettendo, quindi, una migliore lettura. È stato codificato un sistema di spaziatura Stazione di Centrale F.S. della metropolitana di Milano © Fondazione Franco Albini


113 per l’accostamento delle singole lettere da usarsi nella composizione dei testi. Questo preciso accorgimento ha permesso di controllare e uniformare percettivamente tutte le informazioni scritte nelle stazioni. All’entrata dei passaggi che portano dal mezzanino alle banchine, dei pannelli indicano le direzioni per i treni che raggiungono un certo gruppo di stazioni elencate. Alle uscite delle stazioni alcuni pannelli indicano i passaggi locali dei mezzi filotranviari e i loro percorsi. [...] I progetti di New York e San Paolo II sistema grafico e il manuale per la metro di New York sono stati realizzati su incarico della New York City Transit Authority. Era richiesta la riprogettazione della segnaletica per l’intero sistema delle linee metropolitane. Il progetto doveva quindi affrontare l’elevata articolazione del sistema di mobilità (oltre 30 linee) e la necessità di intervenire in un contesto esistente e già largamente sedimentato nei comportamenti abituali dell’utenza. È stato quindi formulato un programma complessivo di design per un sistema coordinato di comunicazione rapida delle informazioni. Sono stati definiti degli standard per l’identificazione, per l’orientamento, per la consultazione delle informazioni da parte degli utenti all’interno del sistema di trasporto. Il sistema di base di presentazione delle informazioni un codice identificativo dei percorsi metropolitani. Un primo problema affrontato è stato quello di definire il sistema di base di presentazione delle informazioni Stazione di Amendola-Fiera della metropolitana di Milano © Wikipedia


114 “La grafica di Bob Noorda è la migliore rappresentazione di quello che era la sua persona: Intelligente, sobria, civile, limpida, equilibrata, solida, diretta e discreta. Senza arie e senza fronzoli. Il dono della sintesi di Noorda andava oltre il talento, era il suo modo di essere: per farne un ritratto fedele, bisognerebbe poter distillare le parole.” Duška Karanov, “L’eredità della buona grafica” in On the road, Bob Noorda il grafico del viaggio, Milano, AIAP, 2015, p. 155 e delle direzioni è stato studiato affinché l’utente le riceva nel momento in cui servono. Il codice identificativo dei percorsi si articola in tre categorie di segni: quelli di identificazione (i nomi delle stazioni); quelli orientativi (le frecce e le indicazioni per muoversi nel sistema); e quelli informativi (orari, binari, servizi e strumenti accessori). Questi tre livelli sono articolati evitando ridondanze e confusione comunicativa. [...] Per contemplare l’alta varietà di situazioni possibili, è stato redatto dalla Unimark International un manuale di applicazione che dimostra come il sistema modulare progettato permetta la combinazione di diverse soluzioni. Sistema modulare che per verificare la sua funzionalità viene testato su due nodi di interscambio particolarmente complessi, ovvero Times Square e Central Station. La grafica adotta il carattere standard chiamato anche “AG Old Face”, che viene impegnato per comporre tutte le informazioni relative alla segnaletica. [...] Un processo complicato Gli anni settanta, nella progettazione di Noorda, si configurano come una definitiva affermazione della forma della comunicazione dei sistemi complessi: dove il sistema di comunicazione grafico-visivo affronta l’articolazione della comunicazione oltre il progetto del singolo segno grafico. È il definitivo passaggio dal piano progettuale della grammatica a quello della sintassi comunicativa, dalla parola al periodo: mediante coordinate e subordinate, variazioni di senso in base a modulazioni diverse. In questa logica la metropolitana di New York rappresenta l’estensione e un’ulteriore applicazione del metodo adottato per la metropolitana milanese, qui affrontato con un doppio grado di complessità: l’intervento su una struttura e un sistema di flussi già esistente, da una parte, si accompagna a un sistema articolato a più livelli di linee che si incrociano e si sovrappongono in una miriade di connessioni. A San Paolo, invece, nella progettazione della metropolitana fa da protagonista l’identità cromatica del sistema e il gioco delle cromie diverse come corollario alla segnaletica che diventa forma degli ambienti. È un principio che supera l’idea di decorazione, o di uso delle cromie come riempimento di superfici vuote: qui il disegno del colore accompagna nuovamente, nell’esperienza degli spazi, coniugando abitabilità, o percorribilità, con sistema di identità.


115 “Il sistema comunicativo si articola nello spazio, negli arredi e negli oggetti tecnici; la funzione segnaletico-cromatica diventa indicatore di flussi.” Giovanni Baule “La costruzione di nuovi alfabeti” in Bob Noorda Design, Milano, Editore 24 ORE Cultura S.r.l., 2015, p. 45 Corrimano della Linea Rossa, 2019 © Pietro Dipace


116 Tra i principali lavori che ti hanno reso famoso, c’è stata la segnaletica delle metropolitane. Quella di Milano e quella di New York, che ora è in esposizione al dipartimento di design del MoMA, il Museum of Modern Art di New York. La segnaletica della metropolitana di New York fu una conseguenza dell’incarico milanese, perché il lavoro era piaciuto... A New York la metropolitana aveva oltre 30 linee e quattrocentotrenta stazioni costruite negli anni, ognuna diversa dall’altra. Fu necessario individuare un linguaggio comune, coordinando scritte alfanumeriche e colori in un complesso sistema integrato. Inizialmente avevo pensato a scritte nere su sfondi bianchi ma, ancora in fase di progetto, decisi per gli sfondi scuri: eravamo nei primi anni 70 e si iniziava a registrare il fenomeno dei primi writers che facevano i loro graffiti nelle stazioni con le bombolette spray. In una città smisurata come New York, era importante che la gente capisse facilmente la direzione; e poi Manhattan è lunga, da uptown a downtown c’è tanta strada da fare... Così lavorai ai pannelli con le informazioni sulla linea, che stavano perfettamente su sei righe nello spazio del modulo doppio che avevo progettato come formato per tutti i cartelli segnaletici. Il modulo era un quadrato della misura di un piede. Per studiare i flussi, ho sovrapposto le piante delle stazioni su fogli trasparenti, così da prevedere quattro o cinque piani. A quel punto, partendo da un ingresso, ipotizzavo di dover prendere, per esempio, la Linea “S”, e allora mi facevo l’itinerario e scoprivo dove avevo bisogno di posizionare un’informazione, o dove c’era un cambiamento di linea o di corridoio. Solo allora ho disegnato a mano tutti i punti di informazione di cui avevo bisogno. Poi rifacevo alla rovescia il percorso, dal treno fino alle uscite, per verificare nuovamente la correttezza del sistema informativo. Francesco Dondina intervista Bob Noorda Bob Noorda. Una vita nel segno della grafica, Milano, Editrice San Raffaele, 2009 DA MILANO ALLE AMERICHE Le metropolitane viste dal loro designer


117 Ingresso della fermata 23 Street © Wes Hicks


118 artista che possa agire secondo il proprio libero pensiero. Io non mi sono mai sentito libero, in questo senso, perché ho sempre dovuto individuare un sistema visivo facilmente comprensibile per il pubblico. È questa, per me, la grande differenza tra l’opera dell’artista e quella del grafico. Ed è anche la differenza tra pubblicità e grafica. Il manuale di applicazione è stato realizzato sia per Milano che per New York? Ho realizzato un manuale di applicazione per la metropolitana di New York, nel 1973, che funziona ancora, a più di quarant’anni di distanza. Per Milano no, perché l’apertura della Linea 1 è avvenuta nel 1964, e a quei tempi non si parlava ancora di manuali. Avevo però già predisposto il sistema modulare per l’avvicinamento dei caratteri. A quei tempi si faceva tutto a mano, e dovetti ridisegnare lo stesso Helvetica, che già Ho letto che, per questo tuo lavoro di rilevamento, ti chiamavano “la talpa». Sì, i miei amici mi chiamavano così, perché stavo sotto terra per giorni e giorni, con la macchina fotografica; prima a Milano, poi a New York. Mi sembra che la parte di ricerca e di preparazione del progetto avesse un carattere quasi antropologico, finalizzato alla comprensione dei meccanismi psicologici del pubblico nel modo di muoversi e orientarsi in un ambiente complesso. Vedi, per me la segnaletica è il sistema-guida dell’accoglienza, una civiltà di segni che ha bisogno di interfacce, dove produzione e servizi devono parlare ai cittadini con un linguaggio di sintesi, attento e rispettoso. Il pensiero razionalista ti aiuta a capire la scelta migliore da offrire al pubblico, e questa, per me, è un po’ la funzione della grafica. Ne abbiamo già parlato: il grafico non è un Inaugurazione della Metropolitana Milanese, 1964 © Archivio Storico ATM


119 esisteva come carattere tipografico definito, su fogli A4. Devo averli ancora da qualche parte... forse li ho buttati. L’ho ridisegnato perché mi sono accorto che dava dei problemi di leggibilità: quando si aumentava o si diminuiva il corpo, cambiavano le proporzioni. Oggi, con il computer, si può ingrandire e ridurre automaticamente come si vuole, però quello che so è che per il Garamond o il Bodoni, per esempio, si doveva ridisegnare il carattere per andare sotto il corpo dodici, perché aveva delle proporzioni diverse; manteneva lo stesso stile ma cambiava le proporzioni, e per essere perfetto andava ridisegnato. Hai accorciato la lunghezza delle ascendenti e delle discendenti e hai modificato anche la forza del carattere. Soprattutto per il progetto di Milano, perché l’Helvetica o Hass di allora aveva il chiaro troppo chiaro e lo scuro troppo scuro. Otticamente, il carattere sembra più grasso quando è negativo, e in particolar modo quando si lavora col bianco su un fondo colorato. Per questo motivo mi sono visto obbligato a ridisegnarlo: 64 lettere e segni diversi, lo ricordo ancora. Infatti quel carattere ridisegnato porta il tuo nome. Sì, si chiama Noorda, anche se in realtà non ne è rimasto più niente, perché adesso che nella metropolitana stanno rifacendo tutto nuovo, hanno usato l’Helvetica. Per questo progetto hai ricevuto l’incarico nel 1962, insieme all’architetto Albini. Albini ha ricevuto l’incarico di realizzare queste stazioni per il progetto architettonico e il design degli interni. Aveva capito subito - e questo era il bello di Albini - l’importanza di creare un sistema omogeneo.


120 Perciò mi ha chiesto di entrare nel gruppo di lavoro fin dall’inizio, per studiare tutto. È in quel momento che è nata l’idea di questa fascia continua, che è un’idea sua e mia insieme. Di solito succede che un architetto che ha un incarico simile progetti tutto, fino al punto in cui si rende necessario che qualcun altro faccia i cartelli per le diverse informazioni; invece Albini mi ha chiamato subito, appena ricevuto l’incarico, e tutto è nato ragionando insieme su quello che c’era da fare. Per esempio, Albini si è ritrovato delle stazioni che erano tutte in cemento, progettate dagli ingegneri: ci siamo imbattuti in soluzioni davvero orrende dal punto di vista costruttivo. Allora ha deciso di farle diventare il più scuro possibile, di modo che tutte le brutture dei muri sparissero nel buio. È stata, secondo me, una decisione molto precisa. Adesso vogliono renderle un po’ più chiare, mettendo delle piastrelle bianche per terra, che senz’altro daranno un po’ più di luce, ma il riflesso farà vedere di nuovo tutti i difetti. Con un’operazione molto colta, Albini ritenne che il progetto di comunicazione visiva fosse importante quanto il progetto architettonico, e ti coinvolse fin dall’inizio, anziché relegare la comunicazione a un ruolo accessorio, come quasi sempre accade. Succede continuamente; il nostro è stato un esempio per tutto il mondo. Anche la scelta dei materiali e delle finiture di allora nasceva da una ricerca rigorosa secondo studi di percezione visiva e di leggibilità, e il fatto che in questi ultimi anni il vostro progetto sia stato ritoccato - trasformando i fascioni da opachi a lucidi, o mettendo le piastrelle bianche - denota come non vi sia una totale consapevolezza delle motivazioni che vi spinsero a certe soluzioni. Sembra siano state ignorate, o quanto meno sottovalutate, le premesse progettuali e i risultati di un’analisi complessa. Per quanto riguarda la leggibilità, avevamo già fatto delle prove con i cartelli lucidi, ma ci accorgemmo ben presto che con i riflessi della luce non c’era niente da fare, perché l’illuminazione veniva da file di neon che davano un riflesso precisamente all’altezza dell’occhio. In seguito a quelle verifiche, abbiamo optato per la finitura opaca, ma tutto questo è stato completamente ignorato dall’Atm. Quello che non riesco a capire è come mai in tutto questo tempo io non sia stato almeno interpellato su queste cose; avrei potuto dare qualche informazione in più, dei suggerimenti, o comunque esprimere la mia opinione. Sarebbe stato sufficiente cercarmi sull’elenco del telefono. Ho provato a contattare qualcuno dell’Azienda dei trasporti che si occupasse di queste cose, ma non ci sono riuscito. “La Metropolitana Milanese dichiara [...] un’adesione al linguaggio dell’analogia: quel sottile modo di far scivolare il segno in funzione assieme a una costante ricerca della coerenza comunicativa.” Giovanni Baule “La costruzione di nuovi alfabeti” in Bob Noorda Design, Milano, Editore 24 ORE Cultura S.r.l, 2015, p. 45


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122 Probabilmente non è stata tenuta nella giusta considerazione quella formula molto semplice, che a voi era estremamente chiara, secondo cui la forma è funzione, e non una questione di stile, di gusto o di opportunità. Questa è, infatti, la cosa più importante; ma, a quanto pare, loro hanno ritenuto che non valesse la pena di sprecare ragionamento e denaro su faccende simili. Pensa che qualche tempo fa, proprio per fare il punto sul degrado in cui versa la comunicazione grafica delle stazioni della linea rossa della metropolitana, il Centro di studi grafici di Milano ha organizzato un incontro al quale hanno preso parte anche noti designer e studiosi. Anty Pansera, delegata di Italia Nostra e storica della grafica, ha detto che, dopo aver cercato per oltre un anno di incontrare i vertici dell’Atm e della Metropolitana Milanese per sapere quali fossero le loro intenzioni circa la ristrutturazione grafica delle stazioni della Linea 1 dopo l’infelice rifacimento di Cadorna e Duomo, il direttore generale ha “tranquillizzato” tutti dicendo che non c’erano più soldi, e che quindi il progetto di rifacimento delle stazioni non sarebbe andato avanti. Per quel che mi riguarda, poco tempo fa mi sono rivolto alla Sovrintendenza per avere chiarimenti su cosa stesse accadendo al nostro progetto e cosa si potesse fare per tutelarlo. Ho parlato con un giovane architetto che mi ha ascoltato con grande attenzione, dal momento che neanche lui aveva idea di come stessero le cose. Gli ho spiegato per filo e per segno che per le segnaletiche erano stati scelti materiali scuri e finiture opache, secondo una ragione ben precisa. Alla fine di tutta quella trafila, hanno vincolato le stazioni di Amendola e di Caiazzo, che non potranno essere Stazione di Amendola Fiera della linea M1, 1964 © Archivio Storico Fondazione Fiera


123 toccate e dovranno conservare intatto il progetto originario. Fra l’altro, per Albini la stazione di Amendola era proprio quella più anomala, quella che aveva dato i maggiori problemi architettonici. Non capisco la scelta di vincolare queste due stazioni e non altre. L’intuizione straordinaria del tuo progetto di comunicazione per la metropolitana è stata quella di inscrivere i nomi delle stazioni all’interno di una fascia continua con intermittenza di cinque metri, così da consentire ai passeggeri di poter leggere con facilità il luogo di transito, a differenza di ciò che fino ad allora avveniva nelle principali metropolitane del mondo. È stata una conseguenza della tensione alla chiarezza, così come la scelta di posizionare la fascia continua in alto, per evitare di mischiare le informazioni per i viaggiatori con tutte le altre informazioni, come per esempio le pubblicità, che si trovano in una posizione sottostante. Con questo mio sistema di ripetizione del nome della stazione ogni cinque metri, si capisce subito dove ci si trova, anche quando il treno è in movimento. Questa invenzione è stata parzialmente adottata anche nelle metropolitane di Londra e di Parigi. Ha comportato uno studio complesso, da parte tua? A dire il vero, per la metropolitana di Milano è stato abbastanza semplice, visto che la Linea 1 aveva un percorso unico, e una banchina e un mezzanino con un percorso fisso per il pubblico. Ho fatto una ricerca sugli itinerari perché, uscendo dal treno, puoi trovare anche le indicazioni per le diverse vie, o per destinazioni finali in superficie. Stazione di San Babila della linea M1 © Archivio Franco Albini


124 Elementi del sitema comunicativo della Metropolitana Milanese © Bob Noorda Design


125 © Domus magazine Festival della mente “Bob Noorda - L’essenza del comunicare”, 2005


126 L’inaugurazione della Linea rossa, 1964 © Archivio Storico ATM “Milano anni ‘60, Lavori e inaugurazione M1 Linea rossa”, © Fabio Lopez


127 Come erano le tue relazioni con Albini? Era un uomo fantastico e io lo consideravo un maestro. Il mio modo di pensare era molto simile al suo, ed ero del tutto d’accordo sulla scelta dei materiali. Il progetto della Linea 1 era fantastico, con i bolli di gomma nera per terra realizzati da Pirelli e le pareti di pietra artificiale in un materiale chiamato silipol, un conglomerato di marmi mescolati insieme sotto forma di lastre modulari che avevano uno spessore di un centimetro o un centimetro e mezzo e che - proprio con il sistema studiato da Albini - erano state inserite in cerniere con la sezione a forma di U o doppia U a tenerle assemblate. Anche la ricerca dei materiali è stata rivoluzionaria, per quei tempi. Trovo molto bello anche il progetto originario del logo che avevi proposto - con le due “M” speculari a indicare sopra e sotto - in linea con la struttura tubolare dei corrimano. Che cosa ne è stato? È l’unica cosa che non è andata in porto, perché c’era un presidente - Vignelli, mi sembra che si chiamasse - contrario a questo marchio, che invece ad Albini piaceva molto. Vignelli ci disse che c’era già un marchio, “MM”, fatto da un tipografo su carta da lettera, in Futura. Inoltre un gruppo di ingegneri era stato incaricato di studiare un sistema finalizzato a creare un manuale per tutte le linee metropolitane italiane, e avevano già disegnato una “M” simile a quella attualmente in uso, con le gambe un po’ allargate: prima era “MM”, che stava per Metropolitana Milanese; poi, da quando il percorso della linea della metropolitana è andato oltre il comune urbano, probabilmente qualcuno avrà detto che non si deve chiamare più “milanese”, e allora è diventata una “M” sola. Questa “M” è stata adottata dal gruppo di ingegneri che si occupava un po’ di tutto, dallo studio del raggio minimo di curva dei treni ai regolamenti; l’hanno disposta su un fondo rosso - che peraltro veniva da me - a indicare la Linea 1. Questa stessa “M” su fondo rosso è stata poi adottata per tutte le altre metropolitane in Italia. In seguito, in occasione dell’apertura della Linea 3, l’ho cambiata leggermente con una “M” in Helvetica, un po’ meno larga di gambe. Il mio marchio originario - quello con le due “MM” sopra e sotto - era piaciuto a tutti, tranne al presidente che lo aveva portato al consiglio di amministrazione, mettendolo ai voti dopo aver dichiarato che a lui non piaceva; naturalmente, tutti i consiglieri hanno votato come lui. Nel caso in cui qualcuno non accetti un tuo progetto, come ti comporti? Chiedi spiegazioni, discuti? Lascio perdere... Ho dei colleghi che vivono una buona parte della loro esistenza negli studi degli avvocati; a volte riescono anche a guadagnare dei soldi, ma, per quel che mi riguarda, non ho mai voluto fare queste cose. Preferisco lasciarmi tutto alle spalle, e cominciare con un nuovo progetto. “Un approccio basato sulla semplicità e la chiarezza e sulla perfetta sintonia con il disegno architettonico. Un progetto misurato, dove si legge il rispetto per gli utenti che fruiscono quotidianamente dei servizi della linea metropolitana.” Bob Noorda, “Bob Noorda. La misura dei segni” in Bob Noorda Design, Milano, Editore 24 ORE Cultura S.r.l., 2015, p. 16


128 Dopo i progetti di segnaletica per le metropolitane di Milano e New York, nel 1972 hai ricevuto l’incarico anche per la metropolitana di San Paolo del Brasile. Per San Paolo sono stato invitato a vedere gli spazi a lavori ultimati, e mi sono reso conto che le stazioni erano state realizzate da diversi architetti in modo assolutamente perfetto. Le finiture erano in cemento a vista e l’effetto d’insieme davvero molto bello. Io ero stato chiamato per studiare esclusivamente il sistema di segnaletica, ma mi accorsi subito che mancava un progetto di illuminazione, così chiesi che cosa fosse stato previsto in quel senso. Mi indicarono il soffitto di cemento, in cui erano stati praticati dei fori per l’uscita dell’elettricità e niente più, anche se tutto era già predisposto in maniera definitiva e non si poteva modificare l’impianto. Allora proposi di realizzare il percorso di segnaletica usando la luce come linea direzionale e supporto alla comunicazione scritta, attraverso un sistema di moduli scatolati illuminati dall’interno su cui si innestavano altri moduli di altezza maggiore di colore azzurro, anch’essi luminosi, sui quali scrivere le informazioni. Insomma, ho ideato una segnaletica luminosa. Per presentare questa idea ho realizzato personalmente un modellino in scala di un mezzanino, alto circa 10 cm, e poi l’ho fotografato. Ricordo che l’obiettivo della macchina stava perfettamente nell’ingombro del modello, perciò l’effetto è risultato bellissimo: rendeva perfettamente i colori e le luci dell’ambiente che avevo progettato. Così, una volta mostrate le Stazione di São Bento della metropolitana di San Paolo, Brasile © Bob Noorda Design


129 fotografie di questo prototipo, ho ricevuto il via libera definitivo per andare avanti sulla mia idea. La comunicazione nelle banchine, invece, è stata realizzata con il mio solito sistema della fascia suddivisa in due parti nel senso dell’altezza: un terzo dell’altezza nella parte alta, con le indicazioni per l’uscita; due terzi nella parte bassa, con il nome della stazione. I colori utilizzati erano il blu e l’azzurro, e il carattere tipografico era ancora una volta l’Helvetica, usato in negativo. Sotto queste fasce, ho predisposto dei pannelli modulari di venti centimetri di base per centosessanta di altezza, che potessero prevedere una decorazione cromatica differente per ogni stazione, perché pensavo che l’uso di differenti colori potesse contribuire a far memorizzare luoghi differenti. Cosa ne è, di quel tuo progetto di San Paolo? È rimasto perfetto. So, da una persona che ci è stata di recente, che ormai ci sono quattro linee funzionanti, una quinta in costruzione e un’altra in fase di progettazione, ma hanno sempre applicato il mio sistema originario. Questo elemento della linea è ricorrente in diversi tuoi progetti di segnaletica. [...] È un motivo così forte e riconoscibile, nella sua semplicità, che perfino nella metropolitana di Milano - dove, come abbiamo detto, sono state cambiate molte cose - la tua linea con le segnaletica resiste, malgrado tutto. Eh già... Malgrado tutto. Mi chiameranno “uomo delle linee”. Tavole di studio della segnaletica per la metropolitana di San Paolo © Bob Noorda Design


130 New York Subway Guide, 1972 © William Luke Transportation Collection


131 Bob Noorda, un grafico di fama internazionale che ha contribuito a introdurre un look modernista nei manifesti pubblicitari, nei loghi aziendali e, negli anni ‘60, nell’intero sistema della metropolitana di New York, è morto l’11 gennaio a Milano, sua città adottiva. Aveva 82 anni. La causa sono state le complicazioni del trauma cranico subito in una caduta, ha dichiarato Duska Karanov, designer dello studio Noorda Design di Milano. “Non annoiare il pubblico con un design misterioso”, disse Noorda una volta, e lui mise in pratica quel detto. Era il maestro del design sobrio, elegante e logico che catturava l’attenzione, dai loghi aziendali minimalisti per la casa editrice italiana Feltrinelli e il gruppo ENI di Milano ai manifesti impressionistici per Pirelli, il produttore italiano di pneumatici. Il lavoro più noto di Noorda negli Stati Uniti è stato per la New York City Transit Authority, che nel 1966 ha incaricato la sua azienda, Unimark International, di modernizzare e unificare l’aspetto della segnaletica del sistema della metropolitana. L’azienda era stata raccomandata da Mildred Constantine, un’influente curatrice del design presso il Museum of Modern Art. All’epoca, Noorda risiedeva a Milano e supervisionava i progetti europei dell’azienda. Ma la commissione della metropolitana lo ha attirato a New York, dove il suo partner di design Massimo Vignelli aveva aperto un ufficio Unimark. “Ricordo quando Bob è venuto a New York e ha trascorso ogni giorno sottoterra nella metropolitana per registrare il flusso del traffico al fine di determinare i punti decisionali in cui posizionare i segnali”, ha detto Vignelli in un’intervista. I segni esistenti che hanno incontrato erano ingombri di vari caratteri tipografici di diverse dimensioni. “Il loro sistema era un disastro”, ha affermato Noorda in “Unimark International: The Design of Business and the Business of Design” (Lars Müller), un libro recentemente pubblicato da Jan Conradi. Steven Heller IL DESIGNER CHE PORTÒ IL MODERNISMO SOTTOTERRA La metropolitana di New York The New York Times, New York, 21 gennaio 2010, nytimes.com


132 New York Subway Guide, 1972 © Cole Transportation Collection “A volte i pezzi di carta attaccati al muro erano l’unica indicazione per la stazione.” Lui e il suo collega hanno creato un nuovo look per i segnali della metropolitana. Bob Noorda e Massimo Vignelli si adoperarono per standardizzare il typeface per assicurarsi che i segni fossero più puliti e chiari; hanno optato per Helvetica, un design originariamente svizzero noto per la sua economia e la sterilità sans serif, su sfondo bianco. Bob Noorda lavorò su ogni dettaglio, dalla selezione del tipo di carattere alla codifica dei colori. “Aveva una mente molto sistematica”, ha detto Vignelli [...]. Tuttavia il progetto si è rivelato deludente per i progettisti. La New York City Transit Authority era responsabile dell’esecuzione dei progetti e della produzione delle insegne nel proprio negozio di insegne e le direttive del signor Noorda non furono sempre seguite. I produttori di insegne, ad esempio, all’inizio hanno scelto di utilizzare Standard Medium, un carattere tipografico del loro negozio. “Non volevano investire in Helvetica”, ha scritto la signora Conradi. Anche i cartelli black-on-white di Noorda si sono rapidamente sporcati, per cui l’autorità è passata al bianco su nero. Tuttavia, sebbene siano stati modificati nel corso degli anni, i segnali che i passeggeri della metropolitana di New York vedono oggi sono essenzialmente opera di Bob Noorda e Massimo Vignelli, dal typeface audace e pulito alla codifica dei colori utilizzata per identificare le numerose linee del sistema metropolitano. Bob Noorda entrò per la prima volta in contatto con Unimark nel 1965, collaborando con un gruppo di designer americani e europei, tra cui Vignelli, che inizialmente aveva creato delle sedi a Chicago e Milano. Il loro è stato tra i primi studi di design internazionali a basare il proprio lavoro sul principio modernista secondo cui un buon design deve avere un effetto positivo su tutti gli aspetti della vita, non solo in ottica di mercato. Primi tra i sostenitori di un’identità visuale unificata - attraverso l’uso coerente di font e immagini distintive per caratterizzare un’azienda - Unimark è stata responsabile del risveglio del mondo aziendale nei confronti del pensiero modernista per quanto riguarda il design. Unimark venne identificato con il minimalista e austero carattere Helvetica. L’azienda è diventata “uno dei primi promotori della presenza di Helvetica nelle identità aziendali di tutto il mondo”. […] vvv


133 gn originariamente svizzero noto per la sua economia e la sterilità sans serif, su sfondo bianco. Bob Noorda lavorò su ogni dettaglio, dalla selezione del tipo di caratvvv “| remember when Bob came to New York and spent everyday underground in the Subway to record the traffic flow in order to determine the points of decision where the signs should be placed. I also remember how we decided all details, from typeface to type spacing, from color and in interacting successfully with the coding to implementation. Bob Noorda had a very systematic mind.” Massimo Vignelli, “Bob Noorda. La misura dei segni” in Bob Noorda Design, Milano, Editore 24 ORE Cultura S.r.l., 2015,


134 IL LUNGO VIAGGIO DI UN TYPEFACE New York si veste di Helvetica Alice Rawsthorne The New York Times, New York, 3 aprile 2011, nytimes.com Prima una confessione. Ogni volta che scrivo di un progetto di design, c’è il rischio che lo faccia sembrare più semplice di quanto non fosse in realtà. Non sono l’unico colpevole; anche la maggior parte degli altri critici lo fa. Conosci la sceneggiatura. Sorge un problema. Viene chiamato un designer dinamico per risolverlo. Lui o analizza il problema, individua una soluzione e la implementa. Voilà! Lavoro fatto. Ci sono ragioni per questa semplificazione. Ho spazio solo per un certo numero di parole in una colonna, generalmente troppo poche per spiegare tutto in dettaglio, e troppi dettagli possono creare confusione. E potrebbe esserci una tendenza naturale, senza dubbio esagerata in coloro che scelgono di scrivere di qualcosa di intrinsecamente controllante come il design, a riordinare le cose. Ma i progetti di design sono raramente ordinati; è molto più probabile che siano confusi, caotici e determinati da colpi di fortuna, gaffe e compromessi tanto quanto dalla previdenza. È sempre piacevole imbattersi in un resoconto non purificato della realtà disordinata, e lo storico del design americano Paul Shaw ha prodotto un esempio particolarmente ponderato e coinvolgente nel suo nuovo libro, “Helvetica and the New York City Subway System”. Se mai un carattere tipografico è stato destinato a simboleggiare una città, è Helvetica e New York. Come altri grandi newyorkesi, Helvetica veniva da qualche altra parte: la piccola città svizzera di Münchenstein, dove fu sviluppata a metà degli anni ‘50 da un oscuro designer, Max Miedinger, per la Haas Type Foundry. Fedele alla tradizione degli emigrati, ha abbandonato il suo nome originale: Neue Haas Grotesk quando è arrivato negli Stati Uniti, a favore di uno più facile da pronunciare per gli americani. Il restyling ha funzionato. Helvetica fiorì in America, diventando il carattere tipografico


135 Graphics Standard Manual, 1970 © New York City Transit Authority


136 preferito dai designer degli anni ‘60 che volevano che il loro lavoro avesse un aspetto moderno. Tra loro c’erano Bob Noorda e Massimo Vignelli, che scelsero l’Helvetica come carattere tipografico per le insegne della metropolitana di New York quando le ridisegnarono alla fine degli anni ‘60. Puoi ancora vederlo nella versione degli ultimi giorni del loro schema: le migliaia di cartelli sui treni, le stazioni e i binari della metropolitana di New York. Sembra così confortevole lì, non solo perché è familiare, ma perché il suo carattere rispecchia quello della città. Helvetica ha una forma semplice senza dettagli decorativi; come i newyorkesi è dura, schietta e pragmatica. Voilà! Solo che la storia non è così semplice, come spiega il signor Shaw. Helvetica non è diventato onnipresente nel sistema della metropolitana di New York fino agli anni ‘90. Prima di allora, gli sforzi per introdurlo erano ostacolati da una cacofonia da telenovela di tagli al budget, scioperi dei trasporti pubblici, produzione scadente e gestione debole. Helvetica non è stata l’unica vittima. Come spiega il signor Shaw nella sua prefazione, la storia del sistema della metro è stata un’inesorabile “lotta tra forze centripete e centrifughe”, iniziata nel 1904 con la sua prima linea, il percorso dell’Interborough Rapid Transit dal municipio al Bronx. Un’altra società è stata coinvolta per costruire la seconda linea e una terza per quella successiva. Graphics Standard Manual, 1970 © New York City Transit Authority “NYCTA Graphic Standards Manual by Unimark”, © Andrew Robinson, 2015


137 Quando le tre linee furono unite nel 1940, il sistema era irrimediabilmente frammentato. Questo caos si è riflesso nelle insegne della metropolitana, che includevano i nomi originali delle stazioni in mosaico dell’IRT e un assortimento eterogeneo di insegne smaltate, smaltate e dipinte a mano in diversi colori, formati e caratteri tipografici. Il titolo di una proposta del 1957 per riprogettare il sistema diceva tutto: “Fuori dal labirinto: un appello e un piano per una migliore informazione dei passeggeri nelle metropolitane di New York”. La chiave del successo di qualsiasi programma di information design è la chiarezza, soprattutto per un sistema di metropolitana. I passeggeri, compresi quelli provenienti da fuori città, si affidano ai suoi segnali per essere guidati in una vasta rete, spesso intricata, di tunnel sotterranei, in cui non hanno altri mezzi per identificare dove si trovano. Spesso hanno bisogno di leggerli velocemente, distratti da folle di passeggeri e treni rumorosi. Nel corso del XX secolo, i progettisti hanno sviluppato modi per risolvere questo problema utilizzando strumenti visivi come codici colore, pittogrammi e caratteri. Gli esemplari erano il sistema della metropolitana di Londra degli anni ‘30 e le insegne dei primi anni ‘60 di Noorda per la metropolitana di Milano, utilizzava una versione su misura di Helvetica. Nel 1966, Noorda fu invitato a lavorare con Vignelli e il gruppo di progettazione Unimark su un revisione della segnaletica della metropolitana di New York. Segnaletica per il sistema delle linee metropolitane di New York, 1972 © Bob Noorda Design


138 “I miei amici mi chiamavano la talpa, perché stavo sotto terra per giorni e giorni, con la macchina fotografica; prima a Milano, poi a New York.” Metropolitana di New York © Sergey Kolkin Bob Noorda, “Bob Noorda. Una vita nel segno della grafica”, Milano, Editrice San Raffaele, 2009, p.28


139 Hanno poi guardato con orrore mentre il Bergen Street Sign Shop, che ha realizzato i segnali, ha proceduto ad attuare alcune delle loro raccomandazioni, interpretare male la maggior parte di esse e ignorarne altre. Ancora sconvolto da uno sciopero dei trasporti all’inizio di quell’anno, l’autorità di transito della città a corto di soldi ha rifiutato di consentire a Unimark di supervisionare il processo. Alla fine l’autorità cedette e incaricò Unimark di produrre uno schema di progettazione completo, molti elementi del quale sopravvivono ancora. Anche allora, il processo è stato fallito. Unimark era insoddisfatto della lavorazione del negozio di Bergen Street, ma l’autorità di transito ha rifiutato di prendere in considerazione alternative. La scelta del carattere tipografico è stata ristretta a quelli già utilizzati dal negozio, che non includevano l’Helvetica. Unimark ha dovuto accontentarsi del simile ma meno raffinato Standard Medium. E l’autorità di transito non potrebbe mai permettersi di commissionare un numero sufficiente di segnali, creando un confuso miscuglio di vecchio e nuovo. Un’altra versione dello schema Unimark fu svelata alla fine degli anni ‘70, solo per incontrare problemi simili. Fu solo nel 1989 che Helvetica divenne finalmente il carattere tipografico ufficiale della metropolitana. Da allora Helvetica è diventato uno dei simboli più visibili di New York, anche se la sua conquista della metropolitana non è ancora del tutto completa. Il signor Shaw rileva una nuova minaccia che distrae dai segnali digitali e una vecchia dai segnali “temporanei” scritti dal personale della stazione. Anche se ci sono anche gradite distrazioni, nelle belle vecchie insegne a mosaico della stazione che in qualche modo sono sopravvissute a decenni di caos del design.


140 Staziione di Uptown, Queens & The Bronx della metropolitana di New York © Dom Dada


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142 © Matias Nuñez


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144 © Matias Nuñez


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146 2 5 1 3 4 1 Politecnico di Milano Via Giuseppe Candiani, 72, Milano 5 Studio Bob Noorda Via Santa Maria Fullcorina, Milano 6 Istituto Europeo di Design Via Giovanni Piranesi, 10, Milano Fondazione Franco Albini Via Bernardino Telesio, 13, Milano Paola Albini e il corrimano della metropolitana progettata dal nonno Franco, p. 154 4 3 Palazzo Dugnani Via Daniele Manin, 2, Milano Fiera di Milano Strada Statale Sempione, 28, Rho Intervista ad Ornella Noorda, p. 159 2 Società Umanitaria Via Francesco Daverio, 7, Milano Bob Noorda insegna ai suoi allievi dell’Umanitaria, p. 173 7 7


147 L’ETERNITÀ DELL’ESSENZIALE Memorie e Mnemotopi di Bob Noorda a cura di Chiara Poltresi 6


148 Bob Noorda © Archivio AIAP “Bob non cercava l’effetto originale a tutti i costi, ma idee forti che rendessero unico e riconoscibile un segno.” Antonella Guerretti, “La ricerca della sintesi” in On the road, Bob Noorda il grafico del viaggio, Milano, AIAP, 2015, p. 153 Luca Sarni “Caffè Moak per Bob Noorda”, documentario, 2008


149 Era in prima fila con noi di Abitare all’incontro-confronto sulla ristrutturazione della “sua” metropolitana che avevamo organizzato lo scorso Ottobre in Triennale: vogliamo ricordarlo così a più voci, con la sua generosità e il suo entusiasmo. Bob Noorda lascia un gran vuoto non solo a Milano, che aveva scelto come patria adottiva, ma in tutto il mondo della cultura del progetto. Redazione Abitare Abitare Magazine Bob Noorda, Milano, 2010 Domus Ricordando Bob Noorda, Milano, 2010 RICORDANDO NOORDA Colleghi e collaboratori Mauro Panzeri Bob Noorda mi regalò due anni fa un piccolo libro in olandese dedicato a lui, quando lo andai a trovare per chiedergli di partecipare a una mostra sugli anni ‘70 di cui curavo una sezione, dedicata alla grafica. In copertina c’è un suo ritratto di profilo in bianco e nero, stretto sul volto con sopra la sua dedica, che gli avevo quasi strappato. L’ho ritrovato l’altro giorno nella mia libreria e l’ho messo sul tavolo a farmi compagnia, quando ho saputo. L’ho mostrato ai miei collaboratori e ho raccontato loro come l’avevo conosciuto, i lavori divisi con il suo studio, quant’era disposto alla risata gentile ma timida, com’era di poche parole e anche un po’ ragazzo, col ciuffo e l’occhio azzurro, quant’era sordo e quanto fumava. Così l’ho ricordato, parlando ad alta voce nel mio studio sul filo dei ricordi e dell’emozione. E ho anche detto loro come sapeva scrivere a mano in Bodoni, tondo e corsivo. E ho lasciato tutti di stucco. Mario Piazza In queste tristi occasioni di perdita di una persona stimata e amica, che molto ha fatto e seminato nella cultura del progetto, viene sempre la necessità di affastellare in poche righe le numerose tappe di una strepitosa carriera personale e collettiva. Nell’urgenza di una testimonianza su una lunga vita dedicata alla grafica si rischia di mettere le mani alla rinfusa nei progetti unici di Bob, tra i suoi mille marchi, le sue copertine, gli annunci pubblicitari e i sistemi grafici. Davvero non me la sento, e sono certo che sbaglierei. Vorrei quindi ricordare Bob per quel suo carattere gentilissimo, al limite della fragilità. Bob l’ho sempre pensato riflessivo, un uomo che si parla dentro, che si ascolta. Che ha un tempo interno. Un uomo semplice, come la sua impeccabile grafica sempre giocata su un elementare equilibrio riflessivo.


150 Maurizio Minoggio Per noi, giovani studenti di graphic design, agli inizi degli anni Ottanta, Bob Noorda era un mito. Celebre come una star. Conoscevamo la sua storia – era già storia – e i suoi progetti. Poi l’ho conosciuto di persona. Era venuto a insegnare nella scuola dove studiavo, l’Istituto Europeo di Design. La prima lezione fu una conferenza in aula magna. Dopo essersi scusato di non parlare bene l’italiano perché veniva dall’Olanda, presentò i suoi storici progetti di immagine coordinata con grande semplicità e modestia, che stupì e piacque subito a tutti. Si era seduto tra gli studenti e proiettava le diapositive, illustrando il suo lavoro con elegante noncuranza. Ho poi imparato che questo era uno dei tratti distintivi del suo carattere: non dare mai troppa importanza alle cose, né a se stessi, accostarsi alla vita, alle persone, in modo semplice, leggero. Ho compreso che la sua semplicità era una conquista, ottenuta eliminando, con estremo rigore e senza concessioni, l’inutile. La sua semplicità era saggezza. Mi chiamò a lavorare con lui quando ero ancora studente. Ero colpito dalla libertà che, sin dall’inizio, mi lasciava nella elaborazione dei progetti. La sua guida era discreta. Il suo insegnamento silenzioso ed efficace.Il rapporto non si è più interrotto. Dalle aule scolastiche agli uffici dell’Unimark, dalla sede storica e nobile in via Santa Maria Fulcorina a fuori dall’ufficio. Solo apparentemente distratto era in realtà un acuto, quieto osservatore della realtà, di cui riusciva a cogliere la natura più profonda, il carattere più distintivo, che faceva entrare nel suo progetto, dandogli forza, imprimendogli la sua cifra essenziale, riconoscibilissima. Consapevole della responsabilità sociale del designer della comunicazione, sapeva bene che il suo lavoro aveva segnato il nostro paese, e non solo. Considerava il suo lavoro importante, ma non per vanto personale, questa importanza era riservata alla qualità del progetto, che favoriva sempre la funzionalità accompagnata dall’estetica. Per descrivere il suo operato non uso la parola professionalità, perché applicarla ad una maestro come lui sarebbe scontato ma soprattutto limitante. È un termine che non esprime la sua dolcezza e umanità. Come la prima volta, in tante altre occasioni, anzi sempre, all’inizio di ogni conferenza in pubblico, lo sentivo scusarsi di non parlare bene l’italiano perché veniva dall’Olanda. Anche prima della lectio magistralis, il giorno che ricevette la laura ad honorem al Politecnico di Milano, nel marzo del 2005. Era a Milano da più di cinquant’anni e in questa città si sentiva a casa sua, ma amava ricordare che veniva dall’Olanda. Certo era diventato anche un vezzo, tuttavia lo scusarsi di non parlare bene l’italiano celava qualcosa. Forse voleva chiedere scusa al pubblico perché riteneva immeritata l’attenzione che gli veniva rivolta. Era un modo per riaffermare di nascosto la sua modestia. “Un suo insegnamento, che ha caratterizzato in seguito il mio lavoro, era la pazienza, la ricerca della strada corretta. Un processo lento fatto di riflessioni, dubbi, ripensamenti, sedimentazioni e correzioni. «Non avere fretta - mi diceva - la ricerca della sintesi è un procedimento che ha bisogno di calma e riflessione.» Il tempo conferma la validità di questo approccio: i lavori di Bob sono sempre attuali!” Antonella Guerretti “La ricerca della sintesi” in On the road, Bob Noorda il grafico del viaggio, Milano, AIAP, 2015, p.153


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