RICCIARDO RACCONTA RICCIARDO
di E. Mosca
Giuseppe Joe Ricciardo, che ha l’Italia e l’Alfa Romeo nel cuore, ci racconta di come il
figlio Daniel, attuale pilota Red Bull, abbia preso da lui la passione per i motori ma
anche una buona percentuale di sangue italiano. Ma soprattutto di come Daniel sia
rimasto il bravo ragazzo che era prima di diventare uno dei piloti top della Formula 1.
In uno sport come l’automobilismo dove le variabili che contribuiscono ai risultati sono
molteplici e difficilmente verificabili dall’esterno, risulta praticamente impossibile individuare
chi sia il pilota migliore in assoluto di un determinato periodo. Il sogno di tutti gli sportivi
sarebbe quello di vedere una sfida tra tutti i piloti al volante della stessa macchina, ma
ovviamente nun se po’ fa’. E quand’anche si facesse il risultato non potrebbe essere
totalmente veritiero, perché non basta saltare di punto in bianco su una vettura per ottenere la
migliore performance, che è il frutto di un lungo e meticoloso lavoro in comune con il team.
Quindi, in mancanza della “sfida assoluta”, accontentiamoci delle nostre sensazioni, magari
avvalorate dalla costanza di risultati e da mosse in pista capaci di suscitare forti emozioni
facendoci saltare dal divano. Oltre che, ovviamente, dalla minore o maggiore simpatia che
possiamo provare per questo o quel pilota. Ma se il quesito invece del migliore riguardasse il
pilota attualmente più completo, il sottoscritto un’idea ben precisa ce l’ha: Daniel Ricciardo.
Perché al volante è indubbiamente uno dei piloti più consistenti. Infatti, in una Formula 1 mai
così popolata da piloti forti, l’australiano si fa notare per una costanza di prestazione che in
pochi possono vantare, soprattutto se paragonata agli alti e bassi della sua Red Bull. Inoltre,
Ricciardo “cuor di leone” oltre ad essere un bel martello spesso si inventa dei sorpassi
fulminanti senza incappare in errori e, anche nel corpo a corpo più duro, lasciando sempre
all’avversario lo spazio “vitale”. Insomma è uno che riesce sempre a cavare il massimo da
quello che ha in mano. Il tutto dovendo sopportare una pressione enorme all’interno del team,
grazie ad un compagno che più scomodo non si può. Ma il ragazzone di Perth è pure un
campione fuori dall’abitacolo: sempre disponibile con i fans, che infatti l’adorano, e allegro nel
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modo più naturale possibile e non paraculesco. Insomma, un campione a tutto tondo e un
vero esempio per i giovani. Infatti è un peccato che a suo tempo la Ferrari se lo sia lasciato
sfuggire, sia per quanto avrebbe potuto fare in pista sia per il feeling che sarebbe potuto
nascere con i tifosi, grazie anche alla sua percentuale di sangue italiano. E non per dire, come
ci racconta suo papà Joe, australiano di prima generazione che infatti ha l’Italia e l’Alfa
Romeo nel cuore. Abbiamo avuto modo di conoscere Giuseppe Joe Ricciardo due anni fa, in
occasione della Coppa Intereuropa, passando tre giorni insieme sotto la tenda della Scuderia
del Portello dopo i quali non abbiamo avuto più dubbi da chi avesse preso Daniel. L’intervista,
infatti, risale a due anni fa, quando già si parlava di Daniel Ricciardo in Ferrari, ma come
potrete vedere può tranquillamente essere inquadrata in questi giorni.
Joe, grande appassionato di auto d’epoca era venuto in Italia per disputare la Mille Miglia con
una Alfa Romeo 1900 della Scuderia del Portello, la passione ha avuto il sopravvento e dopo
essere stato a Montecarlo nei giorni del GP di F. 1 per seguire il figlio non ha resistito all’invito
dell’amico e connazionale Ross Zampatti per correre anche la Coppe Intereuropa al volante di
una GTV 2000 Gr. 2. Ricciardo Senior era già venuto diverse volte a Monza, ma senza mai
metterci le… ruote sopra.
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E allora, com’è il “Tempio della Velocità”?
“Seguo le gare fin da piccolo e venni qui una dozzina di anni fa proprio per assistere a una
gara di autostoriche, perciò poter finalmente girare con una vettura da corsa sul circuito di
Monza è davvero fantastico”.
Quindi la passione ha radici lontane?
“Ho cominciato a correre da giovane, con F. Ford e F. Atlantic. Ho ancora una F. Atlantic del
1980, che nel frattempo è diventata storica e con quella disputo alcune gare”.
Com’è l’ambiente delle storiche in Australia?
“C’è molta passione. Ci sono tre o quattro grosse manifestazioni all’anno, una la settimana
prima del Gran Premio di Melbourne di F. 1. Ma anche a Phillip Island, che è un circuito
fantastico, c’è una bella manifestazione organizzata su tre giorni, un po’ come la Coppa
Intereuropa, con appassionati che vengono da America, Inghilterra, Giappone. Davvero un
bel week end, durante il quale corrono anche le F. 1 storiche costruite fino al 1987”.
Sono più seguite le monoposto oppure le vetture a ruote coperte?
“A me piacciono più le monoposto, ma in Australia c’è anche grande seguito per l’Alfa Romeo.
Io stesso ho una Giulia GT 1600 del 1962 e una 2000 del 1972. Sono molto attaccato a
queste vetture, d’altronde pur essendo nato in Australia ho buona parte di sangue italiano
dato che i miei genitori, Giuseppina e Francesco sono siciliani mentre quelli di mia moglie,
Paola e Antonio, sono calabresi”
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Perciò possiamo dire che a Daniel oltre alla passione per i motori hai trasferito anche
una buona percentuale di sangue italiano?
“Credo proprio di si. Quando Daniel era bambino veniva sempre in pista con noi. Ed era già
molto appassionato, infatti anche a casa non si perdeva una gara in tv, di ogni categoria: F. 1,
Nascar, F. Indy, V8 Touring, a lui piacevano tutte. Non ha mai avuto la fissa solo della F. 1. La
sua passione era correre in automobile, perciò gli sarebbe andato bene tutto. A lui piace
guidare, perciò il suo obbiettivo era diventare pilota professionista. Certo, come tutti ragazzi
che iniziano a correre il sogno era la F. 1, ma sapeva bene che sarebbe stato molto difficile da
raggiungere”.
Poi però ha scelto di venire in Europa per tentare la scalata alla F. 1?
“Ha cominciato a 9 anni con il kart, poi ha corso un po’ in Asia con F. Ford e F. BMW, perciò il
passaggio logico era quello di venire in Europa per cercare di proseguire la carriera in
monoposto”.
Peraltro avete scelto di venire in Italia, una scelta dettata dalle origini o altro?
“Il campionato di F. Renault era di buon livello e c’era anche l’europeo che dava modo di fare
parecchie gare. Non fu una scelta facile perché aveva solo 17 anni e sai come sono
apprensive le mamme… italiane. Anche i nonni ci diedero dei pazzi, ma lui aveva un
obbiettivo in testa e per questo ha accettato di fare un bel sacrificio, perché non è facile per un
ragazzo mollare tutto, casa, genitori e amici per trasferirsi dall’altra parte del mondo dove non
conosceva nessuno. Con la lingua italiana si arrangiava, perché la parlava a casa dei nonni,
però ha dovuto imparare ad arrangiarsi per le faccende di tutti i giorni. All’inizio per ogni cosa
chiamava sua madre, spendendo cifre folli di telefono, ma poi se l’è cavata bene”.
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Anche in macchina…
“Si. La sua era una buona squadra ma non aveva il budget di quelle sostenute da programmi
ufficiali. Poi con l’ingresso nel programma Red Bull è cambiato tutto”.
E appena arrivato in Red Bull si è preso il lusso di battere un quattro volte campione del
mondo come Vettel, sei rimasto sorpreso?
“Beh, in Australia, alla prima gara vederlo subito lì davanti è stato eccezionale. Il pubblico è
impazzito, perché gli australiani sono molto appassionati e poi ci sono anche tante persone di
origini italiane. Ma d’altronde lui era convinto dei propri mezzi, perché se non fosse riuscito a
prendere il posto di Webber non sarebbe rimasto un altro anno in F. 1 con una vettura di
secondo piano. Lui voleva vincere e puntare al titolo, altrimenti avrebbe preferito cambiare
categoria”.
Daniel si sente anche un po’ italiano?
“Certamente. Gli piacciono molte cose dell’Italia, primo fra tutte il cibo ma anche la storia. Lui
è nato in Australia e ovviamente si sente australiano ma è ben consapevole di avere una
buona parte di geni italiani”.
Forse è proprio questa parte italiana che ne fa quel bravo ragazzo tanto amato dai
fans?
“A lui viene naturale essere disponibile. Penso che una dei suoi aspetti migliori sia quello di
essere rimasto il bravo ragazzo che era a casa nonostante sia arrivato al top in F. 1. Adesso
ha più impegni, ma lui è rimasto il Daniel di sempre. D’altronde noi siamo una famiglia
semplice”.
A proposito di cose italiane, si è parlato a più riprese di un suo possibile arrivo Ferrari,
cosa ne pensi?
“Certamente per noi sarebbe il massimo se Daniel andasse alla Ferrari, che è il sogno di ogni
pilota. Naturalmente lui è grato alla Red Bull, perché senza il loro aiuto non sarebbe dov’è”.
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Daniel è appassionato anche di autostoriche, ha mai provato qualche tua macchina?
“No. Perché quando era in Australia era ancora troppo giovane. Ma recentemente in Sicilia,
sul tracciato della Targa Florio, ha provato l’Alfa Romeo 33 a suo tempo pilotata da Helmut
Marko e si è detto entusiasta per il tipo di vettura e per il sound del motore. Mi ha confessato
di aver capito perché mi piacciono tanto le macchine storiche. Inoltre è rimasto molto colpito
dal percorso della Targa Florio, pensando che i piloti dell’epoca correvano con dei prototipi su
quelle strade. Ma ogni pilota corre nella propria epoca, perciò se anche lui fosse nato a quel
tempo avrebbe fatto lo stesso. Gli è piaciuto tantissimo, anche perché ha conosciuto la terra
dei nonni, che sente anche un po’ sua”.
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E. Mosca 16/07/2018
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