HONDA D’URTO
di E. Mosca
A cinquant’anni esatti dal suo trionfo nel Gran Premio d’Italia, ad
opera del “Figlio del vento” John Surtees, la Honda RA300 è
tornata a Monza deliziando gli spettatori presenti per l’edizione
numero 88 della gara italiana con la musica del suo V12. Ri
percorriamo la storia di quella sorprendente vittoria e vediamo
com’è fatta la sua affascinante protagonista.
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Una delle cose che oggi, probabilmente, manca di più agli appassionati di Formula 1, so
prattutto a quelli dello scorso millennio, è la mancanza di rumore dei motori delle attuali mono
posto della massima formula. O meglio, per dirla con il linguaggio della passione, della
“musica” dei “vecchi” motori aspirati, soprattutto i 12 cilindri. Ebbene, coloro che erano pre
senti a Monza lo scorso settembre in occa
sione del Gran Premio d’Italia hanno
potuto vivere un evento più unico che raro,
godendo nuovamente di questa autentica
musica. Un’autentica sinfonia, davvero da
pelle d’oca. Unitamente all’amarcord dell’e
vento. Questo grazie alla tanto vituperata,
almeno nella F. 1 attuale, Honda. Che per
ricordare la sorprendente, nel vero senso
del termine, vittoria ottenuta esattamente
cinquant’anni fa proprio a Monza nel Gran
Premio d’Italia 1967 con il “Figlio del vento”
John Surtees, ha riportato sul circuito brianzolo la protagonista di quella impresa: la Formula 1
“tutta Honda”, la RA300, giunta direttamente dal museo di Tokyo con meccanici al seguito e
pilotata nell’occasione da uno dei giovani giapponesi di belle speranze, Nerei Fukuzumi.
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Figlia della… rivoluzione
La stagione 1966 della F. 1 parte con il nuovo
regolamento tecnico che prevede motori di 3.0
litri invece dei precedenti di 1.5 litri. La gran
parte dei Costruttori si fa cogliere piuttosto
impreparata al cambiamento. Tra questi
anche la Honda, che dedica buona parte della
stagione allo sviluppo del nuovo motore, tanto
da debuttare in gara solo a settembre, proprio
nel GP d’Italia di quell’anno a Monza. La nuo
va RA273, progettata dal trio di ingegneri Na
kamura, Irimagiri e Takeda, ha il classico
telaio tubolare ed è spinta da un motore V12 a
90° con quattro assi a camme in testa e inie
zione indiretta, accreditato di una potenza massima di 390 cv a 10.000 giri/min. Il problema
della nuova monoposto, però, è il peso decisamente eccessivo, oltre 720 kg. Sui veloci rettili
nei monzesi il propulsore riesce a sopperire almeno in parte a questo handicap, tanto che in
gara Richie Ginther riesce a superare la Ferrari di Scarfiotti prendendo il comando. Fino al 16°
giro, quando la foratura di una gomma spedisce il pilota americano fuori pista al Curvone in
piena velocità. La macchina è distrutta, mentre Ginther se la cava con la frattura di una clavi
cola. Terminata la convalescenza, l’americano rientra a fine stagione, in Messico, dove dopo
un ottimo terzo tempo in qualifica lotta per tutta la gara con Dennis Hulme, sfiorando il podio e
firmando il giro più veloce. Nel 1967 viene schierata una sola vettura per il neoacquisto John
Surtees. Ma dopo un terzo posto al debutto che fa ben sperare, la stagione prende una piega
decisamente storta, per vari problemi tecnici ma soprattutto per il peso eccessivo che mette in
crisi la guidabilità della monoposto giapponese.
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Arriva la “Hondola”
Il campionissimo inglese, l’unico pilota nel motorsport ad
avere vinto titoli iridati sia con le due sia con le quattro
ruote, era da sempre in stretto contatto con Erik Broadley
della Lola (uno dei motivi per i quali fu licenziato l’anno
prima dalla Ferrari, ndr.), perciò favorì il contatto tra i
giapponesi e il costruttore d’oltremanica al quale venne
commissionato un nuovo telaio. Per il nuovo progetto
Broadley si rifece all’esperienza maturata nella realizza
zione della monoposto T90 per la 500 Miglia di Indianapo
lis, tanto che la vettura ufficialmente conosciuta come
Honda RA300, in base alla tradizionale numerazione della
Casa di Tokyo, presso la factory inglese era stata denomi
nata T130. Una collaborazione che “costò” alla nuova mo
noposto, che si dimostrò subito molto veloce, il nomignolo
di “Hondola” affibiatole dalla stampa specializzata. La RA300, che montava una versione
alleggerita del V12 dotato anche di una nuova alimentazione, debuttò a Monza in occasione
del Gran Premio d’Italia con pneumatici Firestone invece dei precedenti GoodYear. In prova
Surtees migliorò di 2,1” il tempo segnato l’anno prima da Ginther, guadagnandosi il nono po
sto sulla griglia di partenza. Al via Jim Clark prese saldamente il comando della gara con la
Lotus, ma all’ultimo giro rimase senza benzina e venne superato da Jack Brabham e John
Surtees che si giocarono la volata finale nella quale il “Figlio del vento” ebbe la meglio per due
decimi sul rivale. Sarà l’ultima vittoria per l’asso inglese, così come per la RA300 che non riu
scirà a ripetersi, stabilendo così anche un record difficilmente battibile, perché ad oggi rimane
l’unica monoposto nella storia della F. 1 ad avere vinto la corsa d’esordio nell’unico giro in cui
è transitata in testa sul traguardo.
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Com’è fatta
La differenza più importante tra la
RA300 e la “sorella” giapponese che l’
ha preceduta, la RA273, è rappre
sentato dal telaio monoscocca in
alluminio realizzato dalla Lola, che ga
rantiva un netto risparmio di peso, con
serbatoi benzina laterali ed i tubi del ra
diatore acqua anteriore che passano
all’interno dei longheroni laterali. Dalla
scocca partono due telaietti tubolari in
acciaio che nella parte anteriore
supportano le sospensioni e il radiato
re, mentre al posteriore una struttura inferiore si prolunga fino alla centina che oltre alle so
spensioni supporta anche il cambio. Le sospensioni anteriori sono a bilanciere, con il gruppo
mollaammortizzatore entrobordo in posizione verticale e barra antirollio regolabile, mentre
quelle posteriori sono le tradizionali dell’epoca, a quadrilatero superiore con puntone di reazio
ne orizzontale che si allunga fino al termine dell’abitacolo, con il gruppo mollaammortizzatore
obliquo. Il motore è il 12 cilindri a V di 90° , alleggerito in varie componenti e accreditato di
circa 420 cv a 11.500 giri, con scarichi singoli che si raccolgono, nella parte superiore della V,
a gruppi di tre nei quattro terminali. Il cambio, anch’esso realizzato dalla Honda, è a cinque
rapporti.
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Honda e la F. 1
Il rapporto tra la Casa giapponese e la Formula 1 ha vissuto fasi alterne, così come alterne
fortune, sia come presenza del marchio sia come tipologia della presenza stessa: in qualità di
Costruttore in toto, di vettura e motore, oppure di semplice fornitore di motore ad altre scude
rie. A differenza di quanto successo con le due ruote, Honda entrò in Formula 1 dopo soli tre
anni dall’inizio della produzione di vetture stradali. Nel 1964 avvenne il debutto e già l’anno
successivo, nel Gran Premio del Messico con Richie
Ginther, arrivò la prima delle tre vittorie come Costrutto
re. Le altre saranno, appunto, quella nel GP d’Italia
1967 con Surtees e poi nel 2006 con Jenson Button nel
GP di Ungheria. Le soddisfazioni per la Casa giappone
se sono state senz’altro maggiori in qualità di fornitore
di motori, con 72 vittorie nei gran premi all’attivo che
hanno fruttato sei titoli iridati Costruttori in abbinamento
a McLaren e Williams. Nel 2015 la Honda è rientrata nel
Circus fornendo la propria power unit turbo ibrida alla
McLaren, una collaborazione piuttosto travagliata termi
nata a fine stagione 2017. Quest’anno, il passaggio
della fornitura alla Toro Rosso ha evidenziato che non
tutte le colpe degli insuccessi, per non dire autentici
disastri, del travagliato biennio erano da ascrivere alla
Honda, tuttavia i giapponesi hanno ammesso le proprie colpe e si sono rimboccati le maniche.
Ed i risultati sono cominciati ad arrivare, tanto che pare possibile una “promozione” anche in
prima squadra, la Red Bull, che riporterebbe la Casa di Tokyo al vertice della Formula 1.
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