CIAO
TINO!
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UNA VITA A TUTTO
GAS
Di Eugenio Mosca
Purtroppo in questo anno già orribile di suo, ieri ci è
piombata tra capo e collo un’altra triste notizia: la morte di
Ernesto “Tino” Brambilla pilota, di auto e moto, di classe
cristallina e tra gli ultimi rappresentanti di un mondo, quello
“normale” e del motorsport, che non c’è più. Peraltro,
insieme al fratello Vittorio, hanno rappresentato per alcuni
decenni l’esempio, per molti appassionati e aspiranti piloti,
d i chi crede in un sogno e lavora duro per raggiungerlo.
Abbiamo scelto di ricordare “Il Tino” riprendendo alcuni
passaggi di una intervista che gli feci qualche anno fa,
perché credo che nulla meglio delle sue personali parole
possano rendere l’idea del personaggio: puro, lucido,
diretto. Proprio come le persone ed i piloti di una volta.
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Come tan altri pilo dell’epoca inizias a correre con le moto, arrivando ad
un buon livello (4 toli tricolori: 125, 250 e 500), come avvenne il passaggio
alle automobili?
“Io lavoravo e correvo per la MV Agusta. A Monza, nel 1959, ero in testa ad
una gara quando mi si ruppe il motore e andai fuoristrada alla Parabolica.
Siccome gli Agusta mi volevano bene, dopo quell’incidente temevano che mi
facessi male, perciò il Signor Domenico mi propose di fare solo qualche gara
l’anno successivo. Allora io passai alla Bianchi, con la quale vinsi il tolo
tricolore 500 con la 350. Ma con il Conte Agusta restai sempre in buoni
rappor , tanto che con nuarono a portare tu e le macchine della famiglia a
riparare nella mia officina. A metà 1962 avevo smesso di correre con la
Bianchi e mi capitò una bella occasione per comprare una F. 3 Wainer: per
3.200.000 £ macchina con due motori e due cambi, un vero affare. Questo
perché la macchina l’aveva comprata di nascosto un mobiliere per correre,
ma quando la moglie lo venne a sapere gli impose di venderla altrimen lo
avrebbe lasciato”.
A quei tempi la F. 3 era bella comba uta, anche troppo a volte. Bas
ricordare il tragico incidente di Caserta…
“ Si, in quegli anni non si andava troppo per il so le, ma quello che successe
a Caserta si verificò anche perché gli organizzatori non erano
all’altezza”.
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Quindi arrivò la chiamata di Ferrari per la F. 2, come avvenne?
“Mi chiamò una prima volta su segnalazione di Stanguellini. Poi mise a
disposizione una Dino F. 2 all’Ancai, che invece di affidarla a me la diedero a
Baghe . Appena Ferrari seppe della cosa mi chiamò e mi affidò
personalmente un’altra Dino F. 2”.
Cosa significava per un pilota trovarsi al cospe o di Enzo Ferrari?
“Io la vivevo come una cosa normale. Forse perché si instaurò subito un
rapporto molto dire o e cordiale. Che è proseguito nel tempo , anche quando
non correvo più per loro. Ad esempio, quando volle regalare un kart al figlio
del suo au sta, mi telefonò chiedendomi di seguire la faccenda. Anche perché
si fidava di me. Ferrari non mi fece mai fare an camera per ricevermi, come
invece avvenne per altri”.
Un legame che divenne ancora più stre o dopo che portas alla vi oria la
Dino F. 2, a Hockenheim 1968, che portava il nome del tanto amato e
sfortunato figlio del Commendatore, vero?
“Si. Poi con quella macchina arrivai terzo nell’Europeo, dietro Beltoise a
Pescarolo, anche se non disputai tu o il campionato. Prima mi assegnarono
la macchina e un meccanico, mentre io dovevo pagarmi le spese, poi Ferrari
mi fece un contra o da pilota ufficiale”.
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E collaudatore. Un ruolo molto un’altra filosofia, c’era meno
importante all’epoca, quando non a enzione alla sicurezza. E comunque
c’erano sistemi computerizza per la passione non faceva vedere le co‐
verificare come si comportava una se nega ve”.
ve ura e quindi bisognava fidarsi
molto delle sensazioni del pilota che * Segnaliamo, che data la grande
effe uava i collaudi, prendendosi sensibilità e conoscenza tecnica, anche
spesso anche i rischi di sperimentare terminata la carriera di pilota Tino
le novità, vero? Brambilla ha continuato a svolgere
collaudi su incarico della Pirelli su
“Beh, una volta era tu o diverso. pneumatici sia per le auto sia per le
Anche le corse si affrontavano con motociclette.
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Tornando all’importanza del giudizio un parere sulla macchina. Io non sa‐
del collaudatore per orientare scelte pevo cosa dire, perché quella macchi‐
tecniche, anche in quella veste la tua na si guidava come un tram, perciò
schie ezza non è mai venuta meno: mi venne spontaneo dire che se aves‐
è celebre un episodio in cui definis sero aggiunto l’asta superiore per il
una ve ura del Cavallino un tram, co‐ conta o ele rico – Brambilla lo disse
me andò? in brianzolo: la “pertegheta” ‐ sa‐
rebbe stata un tram”.
“Stavamo provando la 512 sulla pista
di Modena e dopo i primi giri quando
mi fermai ai box l’Ing. Forghieri ed
Ferrari si avvicinarono chiedendomi
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Un commento che non sarà piaciuto a Forghieri, notoriamente piu osto
fuman no. A proposito, com’era lavorare con lui?
“Era molto scaltro. Secondo me a livello squisitamente tecnico ha usufruito di
quello che hanno fa o altri tecnici che lavoravano sui proge , come
Iacoponi, Dallara, Marche , Rocchi e Bussi, mentre era molto bravo sulla
messa a punto e sulla ges one in pista”.
Non fu l’unico screzio a livello tecnico con l’entourage Ferrari, come il famoso
rifiuto a correre a Monza con la F. 1 che imputarono ad una tua
indisposizione per una caduta in moto. Come andò in realtà?
“Si è ricamato molto su quell’episodio. In realtà io mi rifiutai di correre perché
la macchina non era compe va. Infa anche Amon si rifiutò di correre e
Rodriguez arrivò sesto staccato di molto. Anche perché il V12 a 65° non era
certo un motore eccelso. L’avevo provato a Monza quindici giorni prima,
segnando dei buoni tempi, ma quella che arrivò per il gran premio non era la
stessa macchina. Per giunta è vero che io ero già acciaccato per la caduta i
moto, perciò preferii non correre”.
Un peccato, però. Perché per un pilota italiano, proprio di Monza per giunta,
debu are in F. 1 sul circuito di casa al volante di una Ferrari non sarebbe
stato cosa di poco conto?
“Certo. Con una Ferrari è un conto, con un ro ame è un altro. Io amme o di
aver avuto l’incidente in moto, ma posso assicurare che se la macchina fosse
stata compe va avrei corso senza dubbi”.
Ferrari come la prese?
“Diciamo che questo sarebbe stato il conten no finale del nostro rapporto di
lavoro, perché avevano già deciso che per il futuro avrebbero fa o correre
Clay Regazoni, anche perché accompagnato da importan sponsorizzazioni
che certamente facevano molto comodo alle casse della scuderia. Ma come.
de o non ci furono strascichi, i miei rappor con Ferrari rimasero o mi”
Perciò come definires Enzo Ferrari?
“Una persona che sapeva quello che voleva. D’altronde se è arrivato fin dove
è arrivato significa che era una persona speciale”.
Qualche rimpianto per quello che avrebbe potuto essere?
“Nessuno. Sono orgoglioso di quello che ho fa o. Anche perché dopo la mia
carriera ho “allevato” altri ragazzi, oltre a mio fratello, che sia nel lavoro di
meccanico sia come pilo hanno corso raccogliendo tante soddisfazioni”.
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Come mai non hai mai corso con ve ure a
ruote coperte?
“A me piaceva guidare le monoposto. Ho
girato molto anche con i proto pi, dato che
per qua ro anni ho fa o i collaudi delle
Ferrari. Un anno feci anche i test in vista
della 24 Ore di Le Mans, che avrei dovuto
correre in coppia con Amon, ma poi mi
diro arono su una gara concomitante di F.
2”.
In F. 2 hai avuto una lunga militanza,
correndo contro mol pilo for poi passa
in F. 1, (Rindt, Stewart, Courage, Brabham,
Hill, Hulme, tanto per citarne alcuni) con chi
di loro hai avuto il maggiore feeling?
“Mi trovavo molto bene con Rindt. Tanto che
avrei potuto andare con lui alla Lotus, dove
aveva speso delle buone parole per me. Poi
successe la tragedia di Monza tu o si è
chiuso. Abbiamo fa o amicizia in modo
par colare: durante un weekend al
Nurburgring scoprimmo di avere lo stesso
problema, soffrire il mal d’auto, e lui mi
prestò delle pas glie che io avevo finito. Da
allora ridevamo spesso di questo
inconveniente. Ma anche con Stewart c’era
un buon feeling e tu ora quando ci
incontriamo mi abbraccia, perché in fin dei
con abbiamo condiviso momen
importan , e anche tris , della nostra
gioventù”.
Hai un grande e ininterro o feeling anche
con Frank Williams, come mai?
“Risale ai tempi in cui da giovane Williams
tentò di fare il pilota. Non aveva un
qua rino, perciò viaggiava sempre come un
disperato e quando passava da Monza si
fermava a casa mia a mangiare e dormire.
Ricordo che gli piaceva molto il minestrone
che cucinava mia moglie. Inoltre era un po
molto onesto, infa mol di noi gli
affidavano cifre anche considerevoli per
acquistare in Inghilterra e portare in Italia i
ricambi. Poi è stato davvero bravo a creare
una squadra che è salita ai massimi livelli”.
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Della F. 1 di adesso cosa ne pensi?
“Non mi interessa. Perché non considero serie delle
gare in cui ci si ferma a sos tuire le gomme dopo
cinque giri. Non hanno senso. Penso sia solo una
ques one di business. E per come sono fa i
regolamen non guardo più neppure le qualifiche.
Mentre mi piace ancora guardare le gare delle moto”.
Restando alla F. 1, tu l’hai sfiorata mentre tuo fratello
Vi orio ha vinto anche un gran premio. Ma per alcuni
anni avete fa o coppia in F. 2, perciò Vi orio può
essere considerato un tuo erede, anche se in mol
nell’ambiente considerano un talento ancora più
puro. Qual è la realtà?
“Anche Vi orio ha iniziato con le moto, dove andava
forte, tanto da vincere un tolo italiano 175 e provare
la MV 500, ma un altro pilota non lo volle in squadra e
lui lasciò le moto. E visto che se la cavava anche con le
auto, perché da anni si occupava di fare i rodaggi in
pista, gli dissi di usare la mia ex macchina di F. 3 che
era ferma in officina. Il primo anno ci costò uno
sproposito, perché per la grinta staccò un sacco di
sospensioni. L’anno successivo cominciò ad andare
bene e vincere. Poi passò in F. 2: il primo anno mi
seguiva per imparare le traie orie, poi ha imparato
bene e da lì in avan è stato bravo a me er a fru o
tu a l’esperienza accumulata”.
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realizzato da : Gianluca Mazzu o
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