UNA VITA…
DI CORSA
di E. Mosca
Luigi Marchesi in cinquant’anni di a vità nel motorsport
ha messo le mani su tu e le pologie di ve ure da corsa,
dalle Turismo ai mostri Gr. B dei rally, passando per i
proto pi della Dakar fino alle monoposto di Formula 1, e
lavorato con tan ssimi campioni del volante, da Lella
Lombardi a Carlos Sainz fino a Valen no Rossi. Con lui
ripercorriamo mezzo secolo di emozioni e passioni,
raccontando come sono cambiate le corse, spaziando tra
le varie categorie.
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Per Luigi Marchesi il mese di gennaio è sempre stato uno dei più intensi. Infa nei suoi
cinquant’anni di carriera, che l’ha visto impegnato in tu i se ori del motorsport, il
tecnico monzese ha partecipato, in qualità di preparazione e assistenza, a diverse
edizioni sia della Dakar sia del Rally di Monte‐Carlo, anche in versione storica.
Quest’anno, però, reduce da un intervento chirurgico, i medici gli hanno esposto il
cartello “IN” ed a malincuore “il Luigi” è dovuto rientrare ai box.
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“Avevo ricevuto delle proposte per il Monte‐Carlo, sia
moderno sia storico, però a malincuore ho dovuto
rinunciare perchè i medici mi hanno consigliato di
stare a riposo per adesso – sbo a Marchesi ‐. Anche
perché queste sono gare impegna ve da seguire e
dove fa parecchio freddo. Ma avrò tempo di
rifarmi”.
Infa per lui c’è già pronto un intenso programma
nei rally e, in previsione futura, un possibile ritorno
in Africa.
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“Sarei subito pronto a ripar re domani per quelle gare, e qualcosa sta bollendo in
pentola per il prossimo anno. Perchè sono troppo belle. Il “mal d’Africa” esiste
veramente”. Amme e Marchesi.
Nel fra empo ha seguito, tramite il web, con interesse le due maratone off‐road
appena concluse: la Dakar e l’Africa Eco Race. Cosa ne pensi?
“L’Africa Eco Race è una gara ideale per i priva . Per l’amatore che vuole fare esperienza
in questo po di gare, perché il livello non è così alto come la Dakar”
Infa abbiamo visto che spesso i camion sono sta davan alle ve ure, con due
Scania che si sono piazza secondo e terzo assoluto, cosa impensabile alla Dakar...
“Certo. Bisogna anche vedere chi guida le ve ure ed i camion, ma come de o nella
maggior parte dei casi si tra a di amatori. Mentre nella Dakar ai ver ci sono tu
professionis con mega stru ure ufficiali alle spalle. Io mi ero un po’ disamorato della
Dakar quando si era trasferita in Sudamerica, perchà la ritenevo più un… rally lungo.
Adesso vedendo i video mi sono ricreduto e ho rivisto la Dakar come l’ho fa a io e come
deve essere: tanta sabbia, le dune, tanta navigazione. Quest’anno me la sono proprio
goduta. Poi hanno rimesso le tappe marathon, che fanno una bella differenza perché sai
che hai due giorni di gara di seguito senza poter contare sull’assistenza esterna, perciò
se arrivi al bivacco con danni rilevan sono problemi grossi. Quindi devi guidare anche
con la testa”.
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A tal proposito, forse non a caso ha
vinto Sainz per la terza volta,
peraltro con tre marche diverse,
ba endo pilo altre anto esper
come Al‐A yah e Peterhansel…
“Va de o che se gli altri due non
avessero avuto dei problemi (e una
penalizzazione Al‐A yah)
probabilmente se la sarebbero potuta
giocare fino alla fine. Comunque
tanto di cappello a Carlos, che è
davvero un grande professionista, ed
ha alle spalle anche una organizzazione di grandissimo livello, senza la quale è
impensabile vincere una gara del genere. Per un piccolo team e un pilota privato, già
arrivare in fondo equivale ad un successo. Tu o il resto è un di più. Nel ‘96 quando
partecipammo con la Ssang Yong una delle nostre macchine arrivò 10.ma assoluta e
prima tra i diesel; fu una soddisfazione impagabile”.
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Peraltro Sainz, tra i tan pilo con cui hai lavorato (Biasion, Auriol, Cerrato, Loubet,
Fiorio, per citarne alcuni), è uno dei tuoi preferi , vero?
“So o l’aspe o umano, tu bravissimi. So o quello tecnico, due su tu : Biasion e
Sainz, a cui non la potevi raccontare e cercavano di avere sempre la macchina al top,
mentre Cerrato e Loubet tendevano a compensare eventuali magagne. Un esempio:
allora non c’era acquisizione da , perciò per capire quanto un pilota avesse le idee
chiare e fosse sensibile, spesso si faceva il trucco della finta modifica. Durante un test
misi alla prova Sainz, che si diceva avesse una sensibilità sopraffina e con cui avevo una
certa confidenza: finsi di modificare la taratura delle barre an rollio come mi aveva
chiesto ma dopo neppure un chilometro tornò indietro dicendomi “uei pirla, quando
chiedo una modifica, la devi fare!” Anche Biasion era molto me coloso”.
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Della gara di Alonso cosa ne dici?
“Sono rimasto impressionato. Perchè per essere la prima volta in una gara del genere è
stato davvero bravo. Ad onor del vero va de o che aveva al fianco Coma, che di Dakar
ne ha mangiate tante. Perciò sono convinto che in molte occasioni le sue dri e sono
state determinan nel leggere il percorso: come salire e superare le dune, affrontare le
piste e la navigazione. Infa oltre al secondo posto di tappa e diversi piazzamen nei
top ten, senza il tempo perso per la ro ura iniziale che gli è costata parecchio tempo e
l’incidente, sarebbe arrivato molto bene. Veramente bravo. Ha bisogno di esperienza,
ma credo che se dovesse ripresentarsi il prossimo anno sarebbe uno di quelli da tenere
d’occhio”.
Potendo scegliere quale fares tra le due gare?
“Anche se la Dakar a uale può essere paragonabile a quella “vera”, io sceglierei l’Africa
Eco Race, perché arrivare sul Lago Rosa e a Dakar è impareggiabile. Forse perché fa
parte della tradizione, ma nel cuore c’è quello”.
Passiamo all’altro appuntamento clou del mese, il Rally di Monte‐Carlo, che parte tra
poco. Tu hai partecipato a numerose edizioni, com’è cambiato rispe o al passato sia
per gli appassiona sia per gli adde ai lavori?
“Per gli adde ai lavori è meno stressante rispe o ad una volta quando dovevi
organizzare le assistenze volan tra le speciali, mentre ora il parco assistenza è fisso
perciò non rimane che aspe are le ve ure. Per gli appassiona cambia poco: magari a
livello visivo potrebbe sembrare meno spe acolare, perché con le macchine a uali per
fare i tempi bisogna guidare in modo pulito con un’unica traie oria invece dei traveri di
una volta, in compenso le macchine a uali sono molto veloci, tanto che staccano tempi
migliori ai mostri del Gr. B che avevano oltre 500 cv. Inoltre, all’epoca i pilo ufficiali
macinavano mol km in ricognizioni con i
mule , che erano a tu gli effe delle
macchine da corsa, mentre oggi le ricognizioni
sono limitate a tre passaggi a speciale, quindi
conta molto l’esperienza. Anche se mi ha
impressionato il giovanissimo Rovanpera per
quello che ha fa o al recente Ar c Rally al
debu o con la Yaris. Questo ragazzino è
davvero un fenomeno e sarà da tenere
d’occhio”.
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Come vedi la gara, anche alla luce delle mosse di mercato?
“Sarà una bella lo a tra gli squadroni Hyundai e Toyota. Peccato non vi siano pilo
italiani che possono competere al ver ce. Purtroppo da quando non c’è più l’impegno
del Gruppo Fiat nei rally non ci sono state più chance per i nostri pilo . Ma in generale
credo che in Italia manchino dei trofei promozionali davvero alla portata dei ragazzi,
come erano una volta i Trofei A112 Abarth e Fiat Uno Turbo dai quali sono usci i nostri
campioni. Gli a uali trofei sono roba per pochi, così diventa difficile fare una vera
selezione. Lo stesso vale per la pista”.
Da come ne parli le edizioni di una volta erano più vissute anche dagli adde ai lavori,
vero?
“E’ una gara sempre imprevedibile. Quando svegli alla ma na non sai mai cosa
succederà. Prima era anche un’avventura per noi adde ai lavori. E una bella mazzata,
perché si dormiva davvero poco. Sopra u o quando si facevano le assistenze volan ,
per noi era una gara nella gara. Date le condizioni non era sempre facile raggiungere i
pun fissa per le assistenze, e spesso una volta arriva dovevamo anche spalare la
neve per creare la piazzola in cui fare assistenza. Quindi dovevamo anche noi rare per
arrivare in tempo e non mancavano gli imprevis : ricordo un frontale tra uno dei nostri
furgoni e uno dell’assistenza Audi. Per fortuna, a parte i furgoni, nessuno si fece male,
ma dovemmo fare i sal mortali per compensare la mancanza di quel mezzo”.
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Quali edizioni ricordi in modo particolare?
“Due su tu . L’edizione 1976, con la Lancia Fulvia HF di Ambroge ‐Torriani,
innanzitu o perché era il primo rally importante a cui partecipavo e poi perché
nonostante fosse una ve ura Jolly privata, fino alla no e del Turini eravamo nei primi
dieci. Poi si ruppe un semiasse. Il più divertente, invece, fu quello in cui Dario Cerrato
(con la Delta Gr. A) navigato dal telecronista Rai Gianni Vasino, impegnato a fare la
dire a su Rai 2. Pra camente “Darione” fece tu o il rally a vista, perché non poteva fare
conto su quel navigatore improvvisato. E alle assistenze le risate si sprecavano”.
La settimana successiva partirà il MonteCarlo Historique, che conosci
altrettanto bene, cosa pensi di questa gara?
“Ha le cara eris che del Monte‐Carlo di una volta: con tappe di avvicinamento lunghe e
speciali belle toste. Parecchi chilometri da percorrere, di giorno e di no e, per giunta
spesso in condizioni difficili, con ghiaccio e neve. Quindi è una bella avventura e un po’ il
sogno di ogni appassionato di rally. Inoltre si può partecipare con qualsiasi macchina,
non necessariamente da corsa. Certo se uno vuole puntare in alto deve preven vare di
avere una macchina compe va. D’altronde era così anche una volta, quando par vano
300 macchine: una tren na, quelle dei pilo che ambivano ad un risultato di rilievo
erano a rezzate di tu o punto, mentre i priva par vano con le gomme montate e
qua ro pneuma ci chioda di scorta, due sul te o e due nel baule. Magari con due
amici che seguivano in macchina per fare benzina e dare una mano a cambiare le
ruote. In fondo era bello anche così. Certo è una gara dura, perciò nei limi del possibile
è sempre meglio par re organizza ”.
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Qualche consiglio sulla preparazione della vettura?
“Come de o la preparazione della ve ura, e della gara, dipendono molto dallo spirito
con cui la si affronta. Per fare risultato occorre curare tu o nei minimi de agli: la
meccanica della ve ura, l’asse o, effe uare delle ricognizioni accurate, poter contare su
un bravo navigatore e un’assistenza organizzata, pronta a intervenire in caso di guasto e
con la giusta dotazione di pneuma ci, così come avere le informazioni corre e sulle
condizioni del tracciato, perché il “Monte” è sempre un’incognita: puoi par re dal parco
assistenza con asfalto pulito e poi salire e trovare ghiaccio e neve”.
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Hai superato il mezzo secolo di attività nelle corse, passando per tutte le
discipline dell’automobilismo, dalla pista ai rally fino ai raid, com’è iniziata
questa affascinante avventura?
“Nel 1968 lavoravo come
meccanico nella concessionaria
Renault Messa di Monza. Un
cliente, che correva con lo
pseudonimo di “Manuel”,
portava la sua R8 da gara a fare
manutenzione in officina. Io mi
presi quell’impegno, che per
ordine del tolare dovevo
svolgere fuori del normale
orario di lavoro. A fine anno
vincemmo il campionato
Turismo Gr. 2. Nel ‘70 lo stesso
cliente comperò una Porsche 911 2.2 Gr. 4 e mi chiese di con nuare a curarne
l’assistenza. Però, ovviamente, non poteva portarla in concessionaria, quindi mi propose
di licenziarmi garantendomi uno s pendio superiore. De o fa o, a rezzai il garage di
casa, di 50 mq, mi iscrissi alla camera di commercio e iniziò l’avventura. Ges i per due
anni quella ve ura, con cui disputammo anche gare importan come la 1000 Km di
Monza e la Targa Florio”.
Poi il salto di qualità. Cosa avvenne?
“Negli anni Se anta, la domenica ma na quando non c’erano gare in programma
all’Autodromo di Monza si svolgevano delle prove libere. Una di queste ma ne mi
trovavo nei box a chiacchierare con Vi orio Brambilla quando arrivò una ragazza con
una monoposto di F. 3 sul carrello. Vi orio mi chiese di darle una mano. Terminate le
prove mi disse che stava cercando un meccanico proponendomi, nonostante io non
avessi esperienza specifica di monoposto, di seguirgli la macchina. Era Lella Lombardi. Io
naturalmente acce ai.
Ada ammo un furgone Fiat 238
per il trasporto della monoposto
e con una roulo e al traino
affrontammo le due stagioni
successive: ’72 con la Lotus 69 e
’73 con la Brabham BT41, poi
nel ’74 mi volle come meccanico
di riferimento nel team inglese
con il quale disputò la F. Aurora.
Avrebbe voluto portarmi anche
alla March F. 1 l’anno successivo,
ma avendo io una figlia piccola
non me la sen i di trasferirmi”.
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Com’era Lella?
“Molto professionale. Una perfezionista. Non sme eva di provare finché non o eneva
la messa a punto che desiderava. Bas dire che ero l’unico nell’ambito tricolore di F. 3 di
allora ad avere sul furgone una cassa con un cen naio di molle diverse. Grazie alla sua
pignoleria ho imparato il metodo di lavoro professionale. E poi aveva pure un bel piede
ed era una tosta, che non si rava indietro nella bagarre. A Monaco, nel ’72, c’erano un
sacco di macchine iscri e al GP di F. 3, perciò per accedere alla finale bisognava
superare diverse ba erie di qualificazione. Superammo le prequalifiche con il 13° tempo
su 60 macchine, ma la ma na della gara si presentò pallida come un cencio
confessando: “purtroppo sono una donna”. Dove aiutarla per calarsi in macchina e
nonostante le condizioni sfiorò la qualificazione classificandosi 11.ma”.
Con Lella Lombardi entrasti anche nel Jolly Club, una scuderia che ha
accompagnato gran parte della tua carriera...
“Conobbi Roberto Angiolini nel
’72 e ho lavorato quasi
esclusivamente con loro fino al
2000, anno di chiusura della
scuderia. Angiolini mi affidava i
programmi che lui definiva
“alterna vi”, che ges vo nella
mia officina. Dopo Lella, fu la
volta di Carlo Giorgio, con cui
vincemmo il tricolore F. 3 nel
1973 e passammo in F. 2. Poi
dato che l’interesse per la
Velocità era un po’ diminuito, dal
’76 mi diro arono nei rally,
cominciando con la Fulvia HF per
passare poi alle Alfe a GTV 1.8,
dalle Gr. 1 e 2 alle Gr. 4. Siccome ero digiuno di rally, passai l’inverno 76‐77 ad
assemblare le nostre macchine presso l’Autodelta, dove mi sono trovato come in
famiglia. Da lì in poi ho alternato periodi nei rally ad altri in pista, saggiando anche la
Formula 1 e Le Mans, fino ai raid. Con il Jolly poteva capitare di fare tu i pi di gare:
dal “rallino” nazionale alla prova del mondiale la se mana successiva. E collaborai in
qualche gara anche con il team Audi Europa dell’amico Emilio Radaelli”.
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Come mai una scuderia blasonata come il Jolly dovette alzare bandiera
bianca?
“Finché c’è stato il supporto delle squadre ufficiali come Lancia, Alfa Romeo e Abarth,
con cui nonostante le macchine dipinte diversamente si può dire fossimo un’unica
famiglia, e con queste anche sponsor di peso, tu o funzionava, quando ques suppor
sono venu meno Angiolini, che oltre alla passione ha sempre avuto un’impronta
imprenditoriale, ha valutato che non ci fossero più i presuppos per con nuare.
D’altronde, per una gara importante si muovevano 30 persone, dieci furgoni, tre
macchine di assistenza veloce e un elico ero, perciò i con alla fine dovevano
quadrare”.
Oltre che con molti campioni hai lavorato anche
con molti tecnici e manager, quali ricordi in modo
particolare?
“Tra tu Cesare Fiorio. Un auten co genio delle corse, con
una visione più avan di tu . Non a caso fu lui ad
inventare il cambio gomme in prova speciale, che in gare
par colari come Monte‐Carlo poteva fare la differenza,
facendo anche realizzare una speciale pistola pneuma ca
in grado di svitare contemporaneamente i cinque bulloni.
Come ingegnere, Franco Antoniazzi, che conobbi all’Alfa
Romeo e poi ha lavorato alla Oral con Forghieri. Oltre che
un bravo tecnico, una persona che se può aiutare qualcuno
lo fa volen eri. Ne ho avuto ancora conferma pochi anni fa,
quando ha aperto la fabbrica di no e per darmi un motore
di scorta senza il quale non avremmo potuto partecipare a
una gara il giorno dopo. Poi ho collaborato con “veri”
preparatori molto bravi, come Mauro Ambrogi e Mauro
Nocen ni”.
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E tra le tante vetture sulle quali hai messo le mani quale ti è rimasta nel
cuore?
“Indipendentemente dalla tecnica, la Stratos, perché nell’insieme incarnava la vera
macchina da rally. So o il profilo tecnico, invece, la Delta S4, anche perché bisognava
avere del gran pelo per pilotarla, sopra u o per ges re 500 cv sulla terra”.
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Hai conosciuto bene anche i fratelli Brambilla, com’erano e chi era il più
forte tra i due?
“Erano entrambi perso‐
naggi un po’ fuori dalle ri‐
ghe. Pilo vecchio stampo.
Tino era un cavallo pazzo.
Credo che proprio per il ca‐
ra ere inges bile si sia gio‐
cato la possibilità di
rimanere pilota ufficiale
Ferrari, nonostante il
Commendatore ci tenesse
molto a lui, anche perché
fu il primo a portare alla
vi oria il motore Dino F. 2.
Vi orio, invece, nono‐
stante fosse pure lui uno
bello tosto, era più mallea‐
bile. E al terzo anno di F. 3
comprese che per fare
carriera bisognava me ere da parte i bollen spiri . Poi ebbe anche la fortuna di trova‐
re l’appoggio della Beta per fare il salto in F. 1, che si meritava ampiamente. So o il pro‐
filo del pilotaggio, comunque, si equivalevano. Un paio di aneddo che rendono l’idea
dei personaggi: nel ’72 con Carlo Giorgio andammo a Magny Cours per partecipare alla
finale europea F. 3. Facevamo parte della squadra Italia A, insieme a Vi orio Brambilla e
Alessandro Pesen Rossi. Ci qualificammo bene, ma nel warm up Giorgio sba è vio‐
lentemente rompendo il retrotreno. Mancavano solo tre ore all’inizio della gara e se non
fossimo par la squadra non avrebbe preso pun . Naturalmente non avevamo ricambi,
perciò Vi orio si rimboccò le maniche della tuta ignifuga e insieme cominciammo a
smontare la monoposto. Poi staccò due longheroni dalla bisarca e li saldò al telaio in tu‐
bi in modo da fissare tu a la parte posteriore. Terminammo il lavoro dieci minu prima
del via e Giorgio riuscì a concludere la gara. L’anno successivo, al Nurburgring, con oltre
se anta F. 3 in gara, Tino era secondo dietro a Laffite e davan a Depailler. A due giri dal
termine cominciò a piovere, perciò Tino da quel gran… volpone che era, cominciò ad
accendere e spegnere a intermi enza il fanalino posteriore cambiando spesso anche
traie oria in modo tale da infas dire Depailler facendogli credere che davan a lui c’e‐
rano due macchine ed evitare che tentasse un sorpasso. E così fu. Vi orio, che notoria‐
mente se la cavava bene con la pioggia, invece, stranamente non arrivò nei primi ven ,
ma quando giunse ai box capimmo il perché. Non si tra ava di un problema tecnico.
Semplicemente lui aveva il vizio di tenere slacciata la parte alta della tuta, così tro‐
vammo un’ape ancora conficcata nel collo, che nel fra empo si era gonfiato come una
zampogna impedendogli quasi di respirare. Ma lui aveva fa o tu a la gara co‐
sì”.
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Insomma, un altro automobilismo…
“Certo. C’era molta più
solidarietà e spirito di gruppo.
Perché spesso si viaggiava
insieme per l’Europa passando
magari un mese di fila in giro nei
vari autodromi, dove si faceva
una sorta di accampamento e
alla sera era sempre festa, con
grandi tavolate a cui
partecipavano anche i pilo
ufficiali. E ci si diver va molto di
più, perché i pilo della vecchia
guardia erano molto più
pazzerelloni. Alex Fiorio era uno
dei più scatena . Nel 1985 io
ges vo la sua macchina nel Trofeo Uno. Al rally dell’Elba, una sera gli salta in mente di
prendere degli Ape a noleggio per sfidarci su una parte del percorso. Poi, non contento,
organizzò una scommessa su chi avesse saltato più lungo nella piscina dell’albergo, dove
restarono qua ro Ape affonda . Mentre a San Remo, dove eravamo nello stesso
albergo della Lancia ufficiale, vedendo suo padre che stava facendo il briefing nel
giardino con pilo e tecnici, non ci pensò due volte, salì nella camera che avevamo due
piani sopra, srotolò la maniche a an ncendio e annegò tu ”.
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E’ molto cambiato anche il lavoro di meccanici e preparatori, che una volta
potevano davvero fare la differenza, mentre oggi molto meno, vero?
“Oggi si può dire che siano assemblatori. Anche per ques oni regolamentari, non ci si
può inventare nulla ma bisogna u lizzare solo pezzi contenu nei kit o nelle fiche di
omologazione. Infa è cambiato molto anche il metodo di lavoro: oggi se si ferma la
macchina per un problema e non c’è il ricambio pronto è finita, mentre una volta
eravamo abitua a inventarci di tu o pur di farla ripar re. Inoltre, allora il bravo
preparatore doveva avere anche la capacità di interpretare i regolamen , trovando la
scappatoia che poteva fare la differenza”.
Qualche esempio…
“Nel Trofeo SZ Mauro Trione vinse o o
gare su dieci con la mia macchina. Il
segreto era nell’altezza da terra. Per
regolamento, con due pneuma ci sgonfi
sullo stesso lato nessuna parte della
macchina doveva toccare terra, io tagliai
orizzontalmente il muso (in vetroresina) e
lo reincollai accorciandolo di 30 mm. La
differenza la si poteva notare dal bordo del
passaruota a 20 mm dal pneuma co,
mentre nelle altre ve ure la distanza era
maggiore, ma nessuno scoprì l’inghippo,
neppure i commissari tecnici durante una
verifica a Misano. Confessai il trucco a chi
mi aveva fa o reclamo solo a fine
stagione, durante una cena. Inoltre mi ero
accorto che sulla fiche del motore era stato erroneamente riportato il peso minimo del
volano di 1,8 kg invece degli 11,8 kg originali, quindi io avevo alleggerito di molto il
volano ed i miei motori volavano rispe o agli altri. Ameno fino alla terza gara, quando in
verifica mi contestarono il peso del volano dovendo però prendere a o dell’errore e
fare un’errata corrige. Ma nel fra empo per tre gare l’avevo fa a
franca”.
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Anche la Formula 1 che hai conosciuto era un’altra cosa, vero?
“Certamente. Nel 1986 Angiolini fece un
accordo con lo sponsor El Charro per entrare in
F. 1. Strinse una joint venture con l’AGS, che
dopo alcune buone stagioni in F. 2 voleva fare il
grande passo, e per questo aveva ri rato i telai
Renault montandoci i Motori Moderni dell’ing.
Chi . Io ero l’unico italiano inserito nella
squadra e il programma prevedeva i GP di Italia
e Portogallo, dopo i quali si sarebbe valutata la
presenza anche alle prove sudamericane.
Assemblata la ve ura effe uammo una
se mana di test a Le Castellet con Didier
Pironi, dove non riscontrammo par colari
problemi tranne la ro ura di una turbina. A
Monza, invece, si ruppe un motore ad ogni
turno di prove, tanto che per la gara ce ne
prestò uno la Minardi. In qualifica, al terzo giro
Ivan Capelli si fermò in variante e senza il motorino d’avviamento non potè ripar re,
quindi rischiavamo di non qualificarci. Senza pensare un a mo presi in spalla la
bombola dell’aria compressa, inforcai la bicicle a e mi avviai alla Variante Ascari. I
commissari monzesi, conoscendomi, mi fecero entrare e arrivare fino alla monoposto,
riavviandola e riuscendo a qualificarci. Una cosa oggi impensabile. Ma quella era una
Formula 1 ancora a misura d’uomo, tanto che il team era composto da sole se e
persone e si lavorava ancora so o le tende. Fu una bella esperienza”.
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Ma in definitiva, tu preferisci la pista o i rally?
“I rally mi piacevano, ma ho sempre preferito la pista perché hai modo di avere un
riscontro reale del lavoro che stai facendo. In pista quando effe ui una modifica puoi
avere subito dal cronometro la risposta se è giusta o meno, mentre nei rally se non
lavori con pilo professionis capaci, non avendo dei parametri sempre precisi, spesso
si possono prendere delle cantonate”.
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Non a caso hai fatto poker di titoli Turismo in Spagna?
“Si, tre toli con Villamil e uno con Sala (‘87, ‘88, ‘89, ‘91), con le Alfa Romeo 75 3.0”.
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Però hai anche adattato la Delta alla Dakar sfiorando un clamoroso
risultato. Come andò?
“A se embre ’93 Servià, che aveva un
grosso sponsor per la Dakar, era rimasto
spiazzato dall’improvviso ri ro della Lada.
Non avendo alterna ve, con Angiolini mi
chiesero di alles re una Delta, ben consci
che difficilmente avrebbe potuto
resistere per più di alcuni giorni di gara.
Ri rai dall’Abarth una scocca rinforzata
“Safari”, però le gomme Pirelli erano della
misura dei fuoristrada, di 880 mm di
diametro, perciò dove tagliare e
modificare i passaruota per poterle
alloggiare. Così come dove far
realizzare un apposito serbatoio da 450 lt
che si adeguava alla gabbia e farci stare
anche due ruote di scorta. Lavorai giorno
e no e per un mese e mezzo e nello
shakedown, su un terreno con dune in
Spagna, l’unico problema che si verificò
fu la ro ura di un semiasse dovuta
all’eccessiva escursione delle sospensioni,
poi limitata con apposi cavi d’acciaio.
Per regolamento dovemmo anche sos tuire la turbina con quella della 155 Q4, perché il
regolamento T3 amme eva il diametro massimo della girante di 32 mm. Ne feci
preparare due “giuste” da uno specialista svizzero, portandone altre sei normali di
scorta. Inoltre alles mmo anche due furgoni Iveco Daily 4.2 (versione commercializzata
in Libia) per l’assistenza e par mmo per l’avventura. Quell’edizione par va e arrivava a
Parigi. Nei primi tre giorni saltarono qua ro turbine e all’ul ma PS in Spagna Servià
arrivò al traino con il motore fuso perché non si era accorto della spia che aveva
segnalato il surriscaldamento. Sos tuimmo il motore, anche se non si poteva fare, e
proseguimmo la gara. Incredibilmente poco prima dell’arrivo a Dakar ci trovammo ses
assolu , dietro alle macchine ufficiali Citroen e Mitsubishi, tanto che tu erano convin
che la ve ura fosse stata preparata ufficialmente in Abarth. Purtroppo il dire ore
spor vo non ascoltò il mio consiglio di fare arrivare a Dakar una serie di ricambi, perciò
quando in Mauritania fuse di nuovo il motore per la ro ura di un radiatore dell’olio
dovemmo ricostruire un motore dai pezzi di due motori fusi. Un accrocchio che
eme eva un rumore sinistro e che palesemente non sarebbe durato molto. Perciò fuori
dai CO trainavamo la macchina con il furgone, ma dopo tre tappe di 700 km in quelle
condizioni eravamo tu esaus e non avremmo potuto proseguire così fino a Parigi.
Peccato, perché magari con i ricambi che avevo chiesto avremmo potuto sistemare le
cose e se pensiamo che il buggy che ci seguiva in classifica arrivò terzo a Parigi ci fu da
mangiarsi le mani”.
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Ma durante una gara in cui ti succedono così tanti guai non ti viene mai da
pensare chi me l’ha fatto fare?
“No. Perchè sei talmente coinvolto: di
giorno sei sul camion anche per 12 ore,
alla sera arrivi tardi e devi verificare che
sia tu o a posto sul mezzo e magari dare
una mano all’assistenza che sta già
lavorando sulle macchine. L’unica volta
che ho avuto quel pensiero è stato
quando, nel ‘96 in Mauritania, è saltato in
aria il camion assistenza della Citroen. La
sera prima durante il briefing ci avevano
de o di stare assolutamente entro il
percorso tracciato, senza però specificare
il perché, così il giorno dopo ci trovammo
incolonna come i tangenziale all’ora di
punta. Il pilota del camion Citroen allora è
uscito dal tracciato e io l’ho seguito.
Abbiamo percorso meno di 500 metri e il
camion davan a noi è saltato in aria su
una mina an carro. Quella è stata davvero l’unica volta che ho avuto dei dubbi. Perchè
era una cosa al di fuori di ogni logica. Poi alla sera arriva al bivacco ci siamo dovu
rimboccare le maniche per lavorare sulle macchine e ogni bru o pensiero è svanito.
Tanto è vero che sarei subito pronto a ripar re per quelle gare. Perché sono troppo
belle. Posso assicurare che il “mal d’Africa” esiste veramente”.
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Hai anche il merito di aver dato il via alla carriera rallistica di Valentino
Rossi, come?
“Nel 1983 Graziano Rossi venne da me in officina
con un amico perché voleva correre dei rally e ci
accordammo per alcune gare con una nostra
Porsche 3.3 turbo. Nel 1997 gli proposi di fare il
Rally di Monza insieme al figlio, Valen no, che nel
fra empo stava vincendo il primo tolo mondiale
moto. Lui acconsen di buon grado e chieste le
necessarie autorizzazioni conta ai Luigi Fontana,
della scuderia Husky, che mise a disposizione la
Megane Kit. Quindici giorni prima della gara
vennero a provare la macchina e dato che Va‐
len no dimostrò di andare subito forte chiesi a
Graziano di lasciarlo correre da solo, con Longhi a
fargli da navigatore, mentre a lui avremmo dato
una Sierra Cosworth. Il problema era che nessu‐
no voleva fare da navigatore a Graziano, perciò gli
affidai mia figlia Vera che mi aveva già affiancato
sul camion nel Rally del Marocco e corso per
qua ro stagioni nel Trofeo Saxo”.
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Si è discusso molto sull’effettivo valore di Valentino al volante di una
vettura da rally, tu che lo hai visto all’opera direttamente come lo valuti?
“Beh, il rally di Monza è una cosa, mentre credo che in un rally mondiale potrebbe forse
entrare nei top ten, ma da qui a stare con i migliori ce ne vuole. D’altronde la realtà
l’abbiamo vista quando ha provato a partecipare ad alcune gare del Mondiale”.
Ora ti occupi ancora di vetture moderne, nei rally, ma soprattutto di auto
storiche, su molte delle quali avevi lavorato all’epoca. Come valuti
l’ambiente delle storiche?
“Mi pare ci sia troppa esasperazione, in par colare in Italia. Oltre al fa o che la maggior
parte delle ve ure sono costruite ex novo, c’è troppo permissivismo tecnico, mentre
secondo me bisognerebbe consen re solo quello che era riportato nelle fiche
dell’epoca, tranne per le dotazioni di sicurezza. Per gli ammor zzatori, ad esempio, al
massimo all’epoca si u lizzano i Koni con regolazione unica in estensione e
compressione oppure i Bilstein neppure regolabili, mentre ora mi capita di vedere
ammor zzatori con regolazioni a più vie. Così come alcune Porsche che invece delle
barre al posteriore hanno il gruppo molla‐ammor zzatore o la pedaliera sdoppiata. Lo
stesso dicasi per le gomme: per regolamento si dovrebbero u lizzare pneuma ci
omologa stradali, mentre ora si è arriva a pneuma ci che durano una cinquan na di
km e consentono di fare dei temponi. Perciò se si vuol essere compe vi bisogna
me ere in preven vo l’u lizzo di diversi treni di gomme, con i cos che salgono alle
stelle e lo spirito di queste gare viene stravolto. Ciononostante, l’ambiente delle storiche
è ancora più umano rispe o a quello delle auto moderne, dove l’esasperazione la fa da
padrona”.
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Del Rally di MonteCarlo, della Dakar e della Formula 1 ci hai già
raccontato, ma ci sono altre gare particolarmente significative che ricordi?
“Beh, la 24 Ore di Le Mans, sia quella “vera”
che ho vissuto seguendo la Lancia LC2 sia la
versione storica. E’ un evento unico, oltre che
per la gara in sé, per l’atmosfera magica che si
respira e per l’immensa cornice di pubblico
che ne fanno una grande festa. L’altra è la
Targa Florio, anche in questo caso era una
se mana di festa e all’epoca si parlava di oltre
500.000 spe atori lungo il tracciato. Peraltro,
la mia prima “Targa” l’ho vissuta anche come
viaggio di nozze. Infa avevo organizzato
tu o: mi sposai sabato 8 maggio e con mia
moglie la domenica ma na par mmo con una
Opel Rekord trainando la Porsche sul carrello.
Ebbi anche il piacere di fare un intero giro del
tracciato con la Porsche da gara durante la
ricognizione, seduto sulla casse a dei ferri e
tenendomi aggrappato al roll bar. Ma sempre
in tema di Targa Florio ho vissuto una
fantas ca esperienza alcuni anni fa, quando ho
seguito come assistenza l’Alfa 33 ex Helmut
Marko‐Nanni Galli che ha u lizzato Daniel Ricciardo. Sono sta qua ro giorni di puro
diver mento, durante i quali abbiamo percorso a tra tu o il tracciato realizzando dei
filma per la Red Bull. Ho conosciuto un ragazzo davvero super simpa co, sempre
disponibile con i fans per una foto o un autografo. E quando abbiamo terminato il giro
mi ha confessato: “non riesco a capire come facessero a guidare per una gara intera con
questo cambio”. E’ stata una vera boccata d’ossigeno dopo una vita sempre di corsa”.
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***Palmarès Luigi Marchesi
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