MARTINI… RACING
di E. Mosca
Direttamente dai box di Imola Pierluigi Martini ci racconta della sua passio
ne per l’automobilismo, tutt’altro che sopita. Tanto che ha acquistato e re
staurato alcune F. 1, tra cui la Tyrrell “sei ruote”, con cui gira in pista e
potrebbe anche tornare a correre. Ma soprattutto ripercorre la sua carriera,
spiegando come per… un motore sfumò la possibilità di correre per la
Ferrari.
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Chi è pilota dentro lo rimane per sempre. La regola non vale per tutti, ovvia
mente, perché di molti che hanno anche frequentato i piani alti dell’automobili
smo si sono perse le tracce. Una volta calata la bandiera a scacchi sulla carriera
da professionisti, semplicemente hanno girato l’interruttore su “Off”. Nulla di ma
le, per carità, d’altronde c’è molto altro nella vita. Quelli veramente appassionati,
invece, magari non frequentano più l’ambiente in modo assiduo, ma ogni tanto si
fanno vedere, si tengono comunque informati e, se capita, qualche giretto in pi
sta non disdegnano di farlo. E ci danno dentro! Perché a distanza di anni magari
la silhouette non è più quella dei giorni d’oro, i riccioli sono un po’ più radi e la tu
ta “tira” un po’ dalle parti degli addominali, ma il cuore è sempre quello. Da fermi,
magari potrebbe non sembrare, perché a volte l’aspetto un po’ più pacioso di un
tempo potrebbe far credere che
la fiamma del sacro fuoco si sia
un po’ affievolita, ma appena
salgono i giri motore si vede,
eccome. Pierluigi Martini fa
senz’altro parte di questa “spe
cie”. Lo avevamo trovato a
Monza un paio di anni fa, in
occasione del centenario BMW,
dove era risalito sulla Sport BMW
V12 LMR con cui vinse la 24 Ore
di Le Mans 1999 dandoci subito
del gran gas e, giusto per rende
re l’idea, appena sceso dalla
macchina aveva commentato:
“nelle curve veloci mi sono subito
trovato molto bene, mentre ci sarebbe voluto qualche giro ancora per trovare i
giusti punti di frenata!” L’anno scorso lo avevamo ritrovato al Minardi Day, non
con una ma bensì due monoposto di quelle che hanno avuto una rilevanza
importante nella sua carriera, Minardi M189 e Ralt RT20 F. 2 che ha acquistato e
si è fatto restaurare per poterci girare, anche in quel caso in agitazione per una
centralina galeotta che non gli consentiva di… prendere tutti i giri. Quest’anno,
poi, lo abbiamo ritrovato ancora al Minardi Day al volante di una autentica
chicca, l’ultimo acquisto restaurato a regola d’arte: la Tyrrel P34, la famosa “sei
ruote”, come viene comunemente chiamata dagli appassionati. Insomma se i
due aneddoti raccontati in precedenza facevano un indizio, quest’ultimo unita
mente a un altro che riveleremo più avanti, fanno una prova lampante. Che la
passionaccia per le corse è tutt’altro che sopita.
Ma partiamo dall’inizio: com’è nata ?
“Seguendo fin da piccolo mio zio Giancarlo. Fu lui a regalarmi il mio primo kart”.
Infatti, giova ricordare che Pierluigi è… nipote d’arte, perché suo zio Giancarlo
dopo avere vinto un titolo tricolore in F. Italia corse per quattro stagioni in F. 2,
debuttando anche in F. 1 nientemeno che con una Ferrari 312 T della Scuderia
Everest (di Minardi) con cui partecipò a due gare non valide per il Mondiale.
Quindi fu naturale il passaggio alle auto?
“Iniziai con la F. Fiat Abarth, disputando le ultime quattro gare della stagione
1981, quindi passai alla F. 3 dove nel 1993 vinsi il Campionato Europeo con la
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Ralt. Da qui il salto in F. 1 con Minardi”.
Praticamente proseguendo una sorta di storia di famiglia ?
“Conobbi Minardi a 9 anni. Così quando iniziai a correre in auto lui mi tenne “mo
nitorato” e nel ’93, mentre stavo per vincere l’Europeo di F. 3, mi diede l’opportu
nità di debuttare in F. 2 con una sua monoposto. Con cui mi piazzai secondo”.
Quindi la “promozione” in F. 1 sempre Minardi, con cui disputasti ben 107
dei tuoi 119 gran premi, ma non furono tutte rose e fiori, come mai?
“Beh, praticamente si può dire che abbiamo fatto insieme il salto in F. 1. Era tutto
nuovo per entrambi, fu un anno piuttosto travagliato e come spesso capita in
questi casi ciascuno tende a scaricare la colpa sull’altro, perciò a fine stagione le
nostre strade si divisero”.
E tu facesti un salto indietro andando a correre in F. 3000, una scelta obbli
gata o coraggiosa ?
“Fu un grande azzardo, ma non avevo altra scelta, perchè Minardi mi comunicò
la sua decisione di non proseguire con me a fine stagione, quando tutti i team
erano ormai al completo. Tanto è vero che appena fui al corrente della situazione
ordinai la macchina per correre in F. 3000, che però mi arrivò solo alla quinta ga
ra. Da lì in poi vinsi tutte le gare, ma persi il campionato per due punti”.
Però tanto bastò a dimostrare che le colpe degli scarsi risultati con la Mi
nardi F. 1, probabilmente, non erano da attribuire a te ?
“Esatto. Perché anche con Nannini e De Cesaris, che avevano preso il mio po
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sto, i risultati non arrivarono. La colpa era dei propulsori della Motori Moderni,
che oltre a non andare non erano affidabili. Infatti quando Minardi tornò ai motori
Cosworth mi richiamò”.
Però, il tuo vero debutto su una F. 1 avvenne con una Toleman, ma durò il
breve spazio delle qualifiche del GP d’Italia 1984, cosa successe ?
“La squadra aveva avuto una diatriba con Senna e lo lasciò a piedi per il GP d’I
talia. Perciò, grazie allo sponsor Segafredo io ebbi la possibilità di debuttare in F.
1. Però anche la scuderia inglese aveva parecchi problemi di affidabilità con i
motori Hart e a quel tempo per superare le qualifiche era necessario fare il
tempo con le gomme ultra morbide che duravano solo un giro. Purtroppo in
entrambi i giri “buoni” mi si ruppe la turbina prima del traguardo, così rimasi fuori
mentre sarei stato ampiamente qualificato con i tempi da gara”.
Invece al rientro con la Minardi l’aria cominciò a girare per il verso giusto,
vero?
“Assolutamente si. A partire dalla prima gara del rientro, a Detroit, quando arrivai
sesto guadagnando il primo punto iridato sia per me sia per la squadra. Da lì sia
mo stati insieme tanto tempo, togliendoci parecchie soddisfazioni: siamo andati
diverse altre volte a punti, siamo partiti in prima fila e stati in testa a un gran pre
mio. Tutte cose che per una piccola squadra equivalgono a delle vittorie”.
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Poi ci fu un’altra parentesi nella tua collaborazione con Minardi, quando
nel ’92 andasti alla Scuderia Italia…
“Non andò esattamente così. In realtà, nel ’91 dopo il GP del Portogallo dove mi
classificai quarto firmai un precontratto con la Ferrari, sul quale in base agli
accordi mantenni sempre il riserbo. Invece a fine stagione ci fu lo scambio con
Capelli che aveva firmato con la scuderia bresciana”.
Cosa successe esattamente ?
“Alla Scuderia Italia mi conoscevano bene perché ero il loro avversario diretto,
perciò Pirro aveva sempre parlato molto bene di me a loro. Quando Lombardi
arrivò alla Ferrari, che dava i motori alla Scuderia, chiese a Ramanzini e Stanza
ni chi era il migliore tra me e Capelli, e loro furbescamente risposero che era
molto meglio Capelli. Il giorno dopo Lombardi li chiamò proponendogli la fornitu
ra di motori con lo step superiore però chiese di scambiare il sottoscritto con
Capelli. Così in Scuderia Italia presero due piccioni con una fava”.
Praticamente fosti “barattato” con… un motore?
“Esatto. Anche se con il senno di poi, vedendo com’è amaramente finita la sta
gione e la carriera di Capelli, forse non era il momento migliore. Però avrei volu
to potermi giocare personalmente quella chance”.
Quindi se c’è un rimpianto è proprio quello di non essere salito sulla Ferra
ri ?
“In generale non ho rimpianti. Sono soddisfatto della carriera che ho fatto ed es
sere qua ancora oggi a divertirmi mi fa tanto piacere. Ho vinto in F. 3, in F. 3000,
con i Prototipi, con la F. 1 ho messo la Minardi in prima fila, sono stato in testa a
un GP, sono arrivato tante volte a punti, per me sono tutte piccole vittorie, quindi
sono contento. Certamente in F. 1 mi è mancato il podio e soprattutto la vittoria,
ma analizzando il contesto sono più che soddisfatto. Sono tutti ricordi molto posi
tivi, l’unica parentesi negativa è quella di non aver potuto guidare la Ferrari nel
‘92”.
Alla luce di tutti i risultati positivi ottenuti avevi dimostrato di saperci fare,
tanto da guadagnarti la chiamata Ferrari, cosa ti è mancato per arrivare al
top?
“Il grande team. In F. 1 se non hai una buona macchina fai fatica a farti notare. Io
ce l’ho messa tutta e qualcuno si era anche accorto che andavo forte, ma poi se
non ti mettono a disposizione la macchina con cui poter competere al vertice non
c’è nulla da fare. D’altronde questo è uno sport dove, a differenza del tennis o
dell’atletica per fare degli esempi, la prestazione è determinata per l’ottanta per
cento dal mezzo. Comunque io mi ritengo fortunato, perché ho disputato molti
gran premi. So di essermelo anche meritato, perché spesso ho portato la squa
dra a punti e questo è molto importante per garantirti il posto. Credo che i ri
sultati che ho ottenuto parlino da soli. Inoltre, avere corso con grandi campioni
come Senna, Prost, Mansell, Lauda, Piquet, Alboreto e tanti altri ancora, per me
è stato molto bello. Perciò quando ancora oggi penso al mio passato non ho
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rimpianti”.
Di tutti questi grandi campioni con cui hai corso, chi ricordi in modo parti
colare ?
“Beh. Senna è stato sempre il migliore. Secondo me è davvero indimenticabile e
inimitabile, perché era veramente una persona completa a tutti gli effetti”.
E anche avere vinto la 24 Ore di Le Mans è stata una bella soddisfazione ?
“E’ stata la ciliegina sulla torta. Anche perché prima di parteciparvi avevo confi
dato a un amico che quella sarebbe stata l’ultima mia gara. A quel punto mi
sentivo un po’ stanco ed era in arrivo il mio secondo figlio, quindi non avevo più
voglia di rischiare. Perciò vincere la gara finale è stato molto importante”.
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Ma adesso sei ancora qui con le tue macchine, significa che la malattia un
po’ è rimasta ?
“Ho la fortuna di avere rintracciato e avere potuto acquistare delle macchine
speciali. Due alle quali sono molto affezionato perché hanno avuto una parte
importante nella mia carriera e nella mia vita: la F. 3000 Ralt con cui arrivai se
condo in F. 3000, perciò quella che mi ha rilanciato, e la Minardi 189 con cui
partii in prima fila e condussi in testa un GP. Le ho fatte restaurare e mi piace
molto poterle guidare ma anche semplicemente poterle guardare la sera magari
mentre con gli amici beviamo un bicchiere di vino parlando di corse”.
E la “sei ruote”?
“La P34 per me è un vero gioiello, perché rappresenta un’epoca irripetibile. Poi
con l’arrivo del turbo e dell’aerodinamica esasperata è cambiato tutto. La
macchina è tutta originale. E’ stata restaurata nella versione in cui ha corso l’ulti
mo gran premio, Giappone 1977. Il volante è proprio quello di Ronnie Peterson,
mentre per fortuna sono riuscito a recuperare il sedile di Depailler perché non
avrei mai potuto guidare con quello di Ronnie, data la differenza di statura. Non
è stato facile effettuare un restauro fedele, perché all’epoca facevano prima le
modifiche sulla macchina dei disegni, ma fortunatamente sono riuscito ad avere
delle informazioni importanti da un disegnatore della Tyrrell. Derek Gardner ave
va pensato che le quattro ruotine davanti carenate dal muso avrebbero opposto
minore resistenza all’avanzamento. La monoposto, spinta dal tradizionale Ford
Cosworth DFV, aveva dimostrato grande agilità in curva mentre aveva accusato
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difficoltà in frenata e problemi di raffreddamento, perciò i tecnici spostarono i ra
diatori sul muso. Poi Maurice Philippe decise di allargare le carreggiate per
compensare una certa instabilità dell’anteriore. Il problema fu che la Goodyear
non aveva sviluppato adeguatamente le gomme da 10 pollici, mentre con le
Avon realizzate attualmente la macchina è fantastica, tanto che siamo tornati
alle carreggiati originali più strette trovando un bilanciamento ideale. Sono certo
che se allora la Goodyear avesse sviluppato le gomme la Tyrrell avrebbe potuto
vincere il mondiale”.
Perciò, com’è la guida ?
“Qui a Imola, che è una pista bella tosta, ho girato senza il minimo sforzo. La “sei
ruote” è una monoposto docile, con cui metti le ruote esattamente dove vuoi
senza avere reazioni anomale. E tanto più dai gas tanto più ne vorrebbe.
Insomma, è una F. 1 godibile da guidare”.
Meriterebbe di farla tornare a correre. Ci hai pensato ?
“Ho chiesto agli organizzatori del Monaco Historique Grand Prix di poter rea
lizzare una replica della macchina per parteciparvi, ma il regolamento della gara
ammette solo monoposto originali. Perciò ho rinunciato all’idea, perché non
vorrei rovinare il lungo lavoro eseguito per restaurare la P34. La porterò a Villa
d’Este. Mentre potrei farci un pensierino con un’altra macchina”.
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Stai forse annunciando un ritorno alle corse?
“Non una cosa continuativa, ma se ci fosse qualcosa di stimolante, come Monte
Carlo appunto, io ci sono sempre”.
Perciò non è ancora stata scritta la parola fine ?
“Mai!”
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