LA “LUMACA DI LATTA”
di E. Mosca
A dispetto del nomignolo che le fu simpaticamente affibiato la Ci
troen 2CV ne ha fatta di strada. L’iconica vettura del Double Che
vron, infatti, compie settant’anni e ancora oggi mantiene
quell’aria sbarazzina e anticonformista che ha fatto battere cuori
di intere generazioni. Qui la curiosa storia del suo progetto e il
successo dirompente che costrinse addirittura i vertici Citroen a
selezionare la clientela.
La Citroen 2CV compie settant’anni, ma mai come in questo caso si può dire che
non li dimostra. Perché la “lumaca di latta”, come venne affettuosamente
battezzata, alla faccia dell’anagrafe mantiene intatta quell’aria sbarazzina che ha
fatto innamorare milioni di persone di diverse epoche. Una passione tuttora
intatta, perché da settant’anni la 2CV esprime gioia di vivere, libertà, diverti
mento e pure una buona dose di anticonformismo. Insomma, uno stile di vita a
sé. E per capire quanto sia ampio l’attaccamento a questa vettura, nelle sue sva
riate versioni, basti pensare che al raduno mondiale (evento che si svolge ogni 2
anni in una nazione diversa) svoltosi in Francia a Salbris nel 2011 furono oltre
11.000 le 2CV e derivate presenti. Ma anche per il raduno svoltosi nel 2003 nel
nostro paese, a Vinadio, la presenza fu massiccia. Peraltro, per l’occasione
Franco Grosso, titolare di “Assistenza 2CV” ma soprattutto grande appassionato
di 2CV tanto da essersi aggiudicato la selezione mondiale presentando il prototi
po di una motocicletta (funzionante) realizzata per il 95% con particolari della
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2CV, preparò una 2CV denominata “All color” perché verniciata con tutte le tinte
(80) che negli anni erano state a catalogo, con tanto di numerazione e denomi
nazione ufficiale. Un modo davvero simpatico per ripercorrere la storia di questa
iconica vettura.
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“Tres Petite Voiture”
D’altronde fin dall’inizio, dal concepimento e sviluppo del progetto fino alla
commercializzazione, la storia della 2CV è assolutamente particolare. Tutto ebbe
inizio nel 1935, quando PierreJules Boulanger, eroe della Grande Guerra in cui
si era distinto in aviazione insieme al compagno di volo Pierre Michelin, prese
possesso dell’ufficio appartenuto in prece
denza ad André Citroen. Boulanger era
nato in Alvernia, dove c’era il grande stabi
limento di pneumatici dei fratelli Michelin, i
quali avevano salvato dal fallimento le
fabbriche di André Citroen che per lanciare
la rivoluzionaria Traction Avant si era espo
sto troppo con le banche. L’immediato
successo della nuova vettura non aveva
infatti raddrizzato la situazione economica
di Citroen, che peraltro poco tempo dopo
morirà in giovane età. “Pére Boule”, come
veniva chiamato Boulanger, era un
pragmatico che a quattordici anni era emi
grato in America per fare fortuna, riu
scendoci, ma era tornato in patria per la
chiamata alle armi. Al termine della guerra,
però, restò in Francia incaricato dai fratelli
Michelin di raddrizzare i bilanci del Double
Chevron, che doveva guardare oltre la
Traction Avant. Un bel giorno del 1936 sul
tavolo di Boulanger arrivò un corposo
faldone contenente un’indagine di mercato commissionata da lui stesso e dai
fratelli Michelin: la ricerca aveva lo scopo di evidenziare quali caratteristiche do
vesse avere l’auto più desiderata dal pubblico francese, che per la maggior parte
all’epoca non possedeva un’automobile. La sintesi delle richieste, che proveniva
no per la gran parte da una Francia contadina, puntava su un’automobile che
fosse economica, nell’acquisto e gestione, che potesse trasportare tutto come il
caro vecchio carro trainato dai cavalli e che fosse capace di andare dappertutto.
Richieste tutt’altro facili da soddisfare, ma Boulanger non si perse d’animo
dando indicazioni al responsabile del centro studi Citroen, Brogly, di studiare una
vettura che potesse trasportare due contadini con gli zoccoli, cinquanta chili di
patate o un barilotto di vino ad una velocità massima di 60 km/h con un consumo
di tre litri di benzina per 100 km. E come se non bastasse, la vettura doveva es
sere in grado di percorrere le strade più difficili, anche un campo arato, tra
sportando un paniere di uova senza
che queste si rompessero. Infine, il
conducente doveva poter salire a
bordo con il classico cappello in testa.
Perché secondo Boulanger il contadi
no, che rappresentava il target per la
nuova vettura, non si separa mai dal
cappello perciò se non avesse potuto
salire in auto con il copricapo in testa
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la vettura non sarebbe stata adeguata. Ma non era ancora finita: la nuova auto
mobile sarebbe dovuta costare un terzo della Traction 11 e poter essere guidata
in sicurezza anche da una donna neopatentata. Mentre l’estetica non aveva
importanza. André Lefebvre, che in precedenza aveva progettato la Traction
Avant, accettò la sfida scrivendo le tre lettere che avrebbero definito il nome
della nuova vettura fino al momento del lancio: T.P.V., acronimo di “Tres Petite
Voiture”, ossia auto molto piccola.
Lunga gestazione
Il primo modellino in legno, a grandezza naturale, fu realizzato nel 1936, mentre
l’anno successivo arrivò il primo prototipo marciante dei 49 che si sarebbero poi
avvicendati. L’aspetto era, per usare un eufemismo, piuttosto grezzo, caratte
rizzato dall’assenza di fari e da una struttura in lega leggera coperta da un telone
come carrozzeria. Il tutto spinto da un motore motociclistico BMW che lo…
lanciava fino a 100 km/h, evidenziando una forte instabilità. Quindi venne rea
lizzato un più “docile” bicilindrico da 375 cc raffreddato ad acqua, più in linea con
la filosofia del progetto. Nel corso dei test lo stesso Boulanger eseguì, con
successo, la prova di attraversamento del campo arato con il paniere di uova.
Nella primavera del 1939 venne realizzato l’ultimo dei prototipi, con carrozzeria
in duralinox, una lega di alluminio, caratterizzata dalla lamiera ondulata per au
mentarne la resistenza, il solo fanale sinistro, come permetteva la legislazione
francese dell’epoca, copertura del padiglione in tela e cambio a tre marce. Lo
scoppio della seconda guerra mondiale, però, bloccò l’evoluzione del progetto e
Boulanger fece distruggere quasi tutti i 250 esemplari di preserie, tranne po
chissimi accuratamente nascosti, per non farli cadere in mano ai nazisti. Durante
l’occupazione nazista, lo stilista Flaminio Bertoni, inizialmente non coinvolto nel
progetto T.P.V. perché considerato troppo estroso per un progetto dalle caratteri
stiche così minimaliste, realizzò in proprio un suo modellino della vettura che do
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po le iniziali resistenze del “capo” fu effettivamente preso in considerazione
perché modernizzava le linee ormai superate del vecchio prototipo. Inoltre, du
rante la guerra, in gran segreto, furono ricercate soluzioni più economiche per
abbattere drasticamente i costi di produzione. Così nel 1944, quando Parigi fu li
berata, il progetto riprese ufficialmente coinvolgendo anche un altro italiano per
la progettazione del motore: Walter Becchia, che nel giro di una sola settimana
approntò un bicilindrico da 375
cc ma raffreddato ad aria, per
evitare i problemi accusati dalla
precedente versione raffreddata
a liquido. A questo motore, no
nostante le iniziali resistenze del
vertici della Casa, venne
accoppiato un cambio a quattro
marce. Nei quattro anni succes
sivi vennero messe a punto
anche le sospensioni, adottando
quella geometria che avrebbe
costituito una delle doti principali
della vettura, la carrozzeria, sia
per le forme estetiche sia per le
esigenze tecniche, e altri
importanti accessori, come i freni idraulici a tamburo sulle quattro ruote, i vetri in
cristallo e l’impianto di riscaldamento. Il debutto ufficiale della Citroen 2CV, sigla
derivante dalla valutazione dei cavalli fiscali in Francia, avvenne al Salone di
Parigi del 1948, dove ottenne severe critiche dalla stampa specializzata per le
sue linee molto particolari ma soprattutto per la spartanità giudicata eccessi
va.
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Minimalista d’avanguardia
Tuttavia i tre esemplari esposti, tutti nell’unico colore previsto, il grigio “metallico”,
attirarono gli sguardi incuriositi del pubblico che, probabilmente, videro più in là
degli specialisti. In effetti, la 2CV introduceva tutta una serie di stilemi destinati a
perdurare nei modelli successivi nell’arco di tre decenni: ad esempio il tetto
arcuato quasi completamente costituito da un telo, che la trasformava in una
piccola cabriolet, la carenatura dei passaruota posteriori, mentre il montante C
più massiccio fu successivamente “alleggerito” con l’introduzione di un piccolo fi
nestrino. Anche sotto il profilo meccanico, pur nella sua estrema semplicità e
spartanità, la nuova vettura introduceva temi interessanti: il pianale era rinforzato
da elementi scatolati sui quali veniva fissata la carrozzeria in lamierati di acciaio,
dove possibile piani per risparmiare in fase di produzione. Le sospensioni
rappresentavano un ottimo compromesso tra semplicità ed efficacia, con un
braccio oscillante per ruota e tiranti longitudinali che agivano sulle molle elicoida
li e ammortizzatori a frizione, i freni erano a tamburo sulle quattro ruote, mentre il
motore bicilindrico da 375 cc raffreddato ad aria erogava solo 9 cv a 3.500 giri/
min, per una velocità massima di 66 km/h. Le critiche della stampa frenarono un
po’ l’entusiasmo dei vertici della Casa, tanto che la produzione della 2CV iniziò
solo nel luglio dell’anno successivo, con i primi 2.000 esemplari (denominati 2
CV A) destinati solo a professionisti. Da lì, invece, iniziò un successo tra
volgente, con liste di attesa che divennero anche piuttosto lunghe.
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Clientela… selezionata
Infatti, la grande abitabilità, l’economia di esercizio ed i costi di manutenzioni
prossimi allo zero, oltre all’interessante prezzo iniziale di vendita annunciato
(185.000 franchi) ne decretarono il grande successo istantaneo da parte degli
utenti. I Concessionari Citroen, che avevano iniziato le vendite con l’ausilio del
solo piccolo depliant, furono presi letteralmente d’assalto, ma la produzione non
era ancora partita. Nel luglio 1949 i Concessionari ricevettero una circolare in cui
venivano informati che presto avrebbero ricevuto le prime 2CV di serie, ma la
stessa circolare precisava che non poteva ancora partire il lancio commerciale in
quanto il prezzo definitivo non era ancora definito, così come le date di conse
gna delle automobili. Due mesi dopo un’altra circolare annunciava il prezzo di
vendita definito in 228.000 franchi, ma la stessa comunicava inoltre che a segui
to dell’incredibile numero di richieste già pervenute la priorità andava data a co
loro “che per lavoro sono obbligati a spostarsi in auto e che non possono
permettersi una vettura differente per costo, consumi o manutenzione”. Allo sco
po venne allegato un questionario molto dettagliato da far completare all’aspi
rante cliente di una 2CV. Il criterio di assegnazione delle richiestissime vetture
veniva definito direttamente
dalla Casa tramite un suo
ispettore incaricato di intervista
re direttamente i clienti selezio
nati dal Concessionario e
stabilire a chi “avrebbe asse
gnato in anima e coscienza una
delle cinque vetture prodotte
quotidianamente dalla fabbrica
di Javel”. Le grandi aziende,
invece, potevano acquistare lotti
di dieci vetture. Tra queste molti
quotidiani come France Soir e
Le Parisienne, che le diedero in
dotazione ai propri giornalisti e
fotografi. Per i “comuni mortali,
invece, i tempi della lista d’atte
sa crebbero fino ad essere quantificati in anni, tanto che la sede Citroen di Javel
fu subissata da una miriade di lettere di clienti che imploravano di poter ricevere
la propria vettura prima di altri. La situazione si era fatta così critica che ogni
forma di pubblicità fu sospesa per i tre anni successivi, il tempo necessario ad
implementare la produzione così da soddisfare le richieste. La situazione si
normalizzò solo nella seconda metà degli anni ’50, tuttavia per molti clienti la
possibilità di ottenere una 2CV in tempi brevi, e soprattutto del colore desiderato,
rimase una chimera ancora per molto tempo.
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Evoluzione della specie
Nei quarant’anni di onorato servizio
la Citroen 2 CV conobbe vari
aggiornamenti, sia stilistici che
meccanici. Nel 1951 arrivò l’avvia
mento con chiave, oltre alla serratu
ra anche sulla portiera anteriore
destra e la sicura. Nel 1953 fu modi
ficato lo stemma sulla calandra oltre
a nuovi rivestimenti e volante,
mentre l’anno successivo venne mo
dificata l’apertura dei finestrini ante
riori e con l’arrivo della versione AZ
(che affiancava la A) la cilindrata del
bicilindrico venne portata a 425 cc,
per una potenza a 12 cv. Nel 1957,
la versione AZLM introdusse uno
sportello metallico per il vano porta
bagagli e l’anno successivo, addi
rittura, divenne disponibile
l’autoradio a transistor. Il 1960 fu un anno importante per la 2 CV: cessò la pro
duzione della versione di base A, mentre arrivò un restyling importante a livello
di carrozzeria, con il cofano motore liscio, nuovi paraurti e ampliamento della
gamma colori. Nello stesso anno, arrivò anche la prima delle versioni speciali: la
“Sahara”, dotata di due motori, uno anteriore e l’altro posteriore, che trasmette
vano il moto direttamente all’asse corrispondente. Quella 2CV 4x4, però, era
tutt’altro che un semplice esperimento o un’operazione d’immagine, perché
rappresentava la risposta alle esigenze della Total, che andava ad esplorare i
campi petroliferi nel Nord Africa, del corpo forestale e delle poste francesi che
dovevano consegnare la posta anche in luoghi sperduti tra le montagne e, addi
rittura, dei reali del Belgio che commissionarono una vettura nel 1971, a produ
zione finita, appositamente costruita in Olanda; il 695.mo esemplare. Altre
importanti modifiche arrivarono nel 1963, con nuovi paraurti ma soprattutto l’au
mento di potenza a 18 CV e la predisposizione per le cinture di sicurezza, a ri
chiesta, così come due anni dopo le portiere anteriori passarono all’apertura
controvento, arrivarono nuovi ammortizzatori idraulici telescopici al posteriore e
la lista degli optional si allungò con la disponibilità dell’impianto di riscaldamento.
Nel 1968, nell’ottica di un possibile avvicendamento con la Dyane, le importazio
ni in Italia della 2CV cessarono, per poi riprendere nel 1976. Nel frattempo, co
munque, si verificò un altro importante cambiamento: il glorioso bicilindrico di
425 cc venne definitivamente pensionato per fare posto a due nuovi motori ripre
si dai modelli Dyane e Ami 8, rispettivamente di 435 cc per 26 cv e 602 cc per
28.5 cv. In contemporanea, furono ripresi da quei modelli anche altri particolari
della plancia e dei rivestimenti. Nel 1976 venne introdotta la versione 2CV Spe
cial, più economica, mentre per la 2CV 6 arrivarono una strumentazione più
completa e sedili anteriori divisi, mentre su tutta la gamma vennero definitiva
mente montati gli ammortizzatori idraulici. Da qui in avanti non vi furono più gros
se novità, ad eccezione dell’arrivo nel 1980 della versione Charleston,
presentata come versione speciale bicolore e poi diventata di serie, e dell’ado
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zione dei freni a disco anteriori nel 1982. Il 27 luglio 1990, dallo stabilimento
portoghese di Mangualde uscì l’ultima 2CV, una Charleston, dopo una produzio
ne stimata in oltre 5 milioni di vetture: 3.872.583 berlina e 1.504.221 Furgo
nette.
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Compagna di lavoro
Numeri che sanciscono il grande successo che la 2CV ebbe anche come mezzo
di lavoro, grazie alle caratteristiche tecniche e all’insuperabile rapporto costouti
lizzo. Infatti la prima versione della “Furgonette” (sigla progetto AU 250), pre
sentata al Salone di Parigi 1950 e poi rimasta in commercio fino al 1980, non
vantava certo prestazioni straordinarie, dato che il bicilindrico da 375 cc
raffreddato ad aria spingeva la vettura fino a un massimo di 60 km/h, tuttavia
all’epoca era uno dei pochi mezzi commerciali di quella taglia a vantare un suffi
ciente spazio interno di carico, per una portata massima di 250 kg. Per questo la
“Furgonetta”, come viene chiamata in Italia, montava pneumatici di dimensioni
leggermente più grandi. Nel 1955 anche per la “Furgonette” arrivò una evoluzio
ne (sigla progetto AZU 250), con un motore di cilindrata superiore (425 cc) che
incrementò la potenza da 6 a 9 cv assicurando maggiore brio.
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Serie speciali
Dopo un periodo di flessione, nella seconda metà degli anni Sessanta, la crisi
petrolifera del 1974 e la conseguente ricerca di automobili più parsimoniose pro
piziò un rilancio della “lumaca di latta”, così a distanza di parecchi anni dalla “Sa
hara” arrivarono altre serie speciali: nel 1976 la Spot, acronimo di SPecial
Orange Teneré; nel 1981 la Charleston, certamente la “special” di maggiore
successo che restò in attività fino al 1990, che inizialmente avrebbe dovuto chia
marsi Tréfle come la piccola 5HP Citroen degli anni ’20; nel 1983 la France 3, in
Italia chiamata Transat; nel 1985 la Dolly; nel 1986 la Cocoricò e nel 1988 la
2CV Special Perrier, allestita in collaborazione con la nota azienda di acque mi
nerali e dotata di frigobar. Alle serie speciali, nelle varie colorazioni e combina
zioni, Franco Grosso ha dedicato le quattro portiere della 2CV “All Colors”.
Infine, tra le serie speciali, anche se non ufficialmente prodotta dalla Casa, pos
siamo annoverare anche le versioni da competizione sia per la pista sia per au
tocross.
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