50 Aula “atelier”, Centro Internazionale L. Malaguzzi, Reggio Emilia, 2015. Foto G. Moscato. Archivio Indire, Fondo Fotografico.
51 2 – METODI E STRUMENTI Dai suoi albori la pedagogia speciale si dota di metodi e strumenti peculiari, strumenti che in alcuni casi avranno una vasta diffusione anche al di fuori di questo ambito, come nel caso dei materiali e delle strategie didattiche inizialmente sviluppate da Maria Montessori per i bambini con disabilità intellettiva. Un ruolo di primo piano, oggi come nel passato, è svolto dalle soluzioni tecnologiche che permettono di superare le difficoltà legate alla disabilità.
52 2. 1 Educazione della mano con il casellario Romagnoli, Istituto per ciechi, Cagliari, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 2. 2 Lezione all’aperto con sussidi didattici, Scuola elementare all’aperto Gaetano Negri per alunni motulesi, Milano, anni ‘30-‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 2. 3 Attività all’aperto con sussidi didattici, Regia scuola di metodo per insegnanti e maestri istitutori dei ciechi di Roma, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Materiali Scolastici.
53 2. 4 Lezione di cucito all’aperto, Scuola elementare all’aperto Gaetano Negri per alunni motulesi, Milano, anni ‘30-‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 2. 5 Laboratorio di falegnameria, presso una cooperativa guidato da un’insegnante con disabilità nell’ambito di un progetto di sensibilizzazione sulle differenze, Scuola Primaria Paritaria Edith Stein, Parma, 2014. 2. 6 Studio della botanica con sussidi didattici, Istituto per ciechi, Cagliari, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
54 2. 7 Attività nell’orto scolastico, Scuola elementare all’aperto Sante de Sanctis per alunni anormali psichici, Milano, anni ‘30-‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 2. 8 Nella fattoria, Scuola elementare all’aperto Sante de Sanctis per alunni anormali psichici, Milano, anni ‘30-‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 2. 9 Nell’orto scolastico, Scuola speciale di Stato (Croce Rossa Italiana) Mergozzo (VB), anni ’50-’60. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
55 2.10 Attività di gruppo, Istituto Comprensivo Baccio da Montelupo, Montelupo Fiorentino (FI), 2013. Foto G. Moscato, Archivio Indire, Fondo Fotografico. 2.11 Lavoro manuale, dei bambini non vedenti e ipovedenti con la creta, scuola materna, anni ‘60. Foto Farabola. Archivio Fotografico Istituto dei Ciechi di Milano-Museo Louis Braille. 2.12 Aula di audiologia, Pio Istituto dei Sordi, Milano, anni ‘60. Archivio Fondazione Pio Istituto dei Sordi, Milano.
56 2.13 Laboratorio di lettura, con la guida di un’insegnante con disabilità nell’ambito di un progetto di sensibilizzazione sulle differenze, Scuola Primaria Paritaria Edith Stein, Parma, 2014.
57 2.14 Macchinari per la stampa braille, Istituto Nazionale dei Ciechi Vittorio Emanuele II, Firenze, anni ‘40, Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
58 Attività all’aperto, Scuola elementare all’aperto Sante de Sanctis per alunni anormali psichici, Milano, anni ‘30-‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
59 3 – CURA DEL CORPO L’igiene, l’esercizio fisico, le cure rimangono a lungo aspetti centrali dell’educazione speciale; a prevalere, fino a metà del secolo scorso, è infatti l’approccio medico, centrato sugli aspetti deficitari e sul loro “emendamento”. Progressivamente si fa strada una nuova visione che vede la persona nella globalità dei suoi bisogni e delle sue capacità. Adriano Milani Comparetti riassume bene questo cambiamento: “from cure to care”, dalla cura al prendersi cura.
60 3.1 Solarium, Scuola elementare all’aperto Umberto di Savoia per alunni gracili, Milano, anni ‘30-‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 3.2 Igiene personale, Scuola elementare all’aperto Umberto di Savoia per alunni gracili, Milano, anni ‘30-‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 3.3 Bambini partecipano a un progetto di sensibilizzazione sulle differenze, Scuola Primaria Paritaria Edith Stein, Parma, 2014.
61 3. 4 Studenti partecipano a un’iniziativa di Special Olympics, Istituto Comprensivo Seravezza (LU), 2015. 3. 5 Ginnastica nel cortile, Istituto per sordomuti, Firenze, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 3. 6 Esercizi ginnici, Scuola elementare all’aperto Sante de Sanctis per alunni anormali psichici, Milano, anni ‘30-‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
62 3.7 “Giornata della consapevolezza”, iniziativa di sensibilizzazione sulla disabilità, Istituto Tecnico Cristoforo Colombo di Porto Viro (RO), 2016.
63 3.7 La sala medica, Scuola elementare all’aperto Umberto di Savoia per alunni gracili, Milano, anni ‘30-‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
64 Esercizi psicomotori con la musica, Scuola speciale di Stato (Croce Rossa Italiana) Mergozzo (VB), anni ’50-’60. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
65 4 – SOCIALITÀ Il paradigma della separazione educativa rimane in auge per quasi due secoli: per non rallentare i “sani”, i “normali”, chi ha delle difficoltà deve essere educato in luoghi speciali. Ma la centralità dei processi di socializzazione viene infine compresa: non si impara nell’isolamento e nella segregazione ma in contesti inclusivi. Le differenze, a scuola, sono una risorsa per tutti.
66 4.1 Lezione informale in aula ‘atelier’, Centro Internazionale L. Malaguzzi, Reggio Emilia, 2015. Foto G. Moscato, Archivio Indire, Fondo Fotografico. 4.2 Girotondo, scuola materna, 2011. In «Sindrome down notizie» n.1.11, Associazione italiana persone down Onlus. 4.3 Girotondo in cortile, Scuola medico-pedagogica Tortona (AL), anni ‘50-’60. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
67 4. 4 Nell’azzurro, tra i merletti del Duomo di Milano, riconoscimento tattile, anni ‘60. Foto Vianini. Archivio Fotografico Istituto dei Ciechi di Milano-Museo Louis Braille. 4. 5 Lezione nel frutteto, Scuola elementare all’aperto Sante de Sanctis per alunni anormali psichici, Milano, anni ‘30-‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 4. 6 Ricreazione insieme, scuola materna, 2011. In «Sindrome down notizie» n.1.11, Associazione italiana persone down Onlus.
68 4.7 Campagna di Fondazione Pubblicità Progresso, a difesa della disabilità, 1977-1978. Agenzia Publinter WPT, Casa di produzione B.R.W. e Erre Tre.
69 4.8 Lezione di canto corale, Scuola medico-pedagogica Tortona (AL), anni ‘50-’60. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 4.9 Lavoro manuale, Scuola medico-pedagogica Tortona (AL), anni ‘50-’60. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
70 Esercitazione di pittura, Istituto per sordomuti, Firenze, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
71 5 – VERSO IL MONDO DEL LAVORO Nelle scuole speciali si cerca di superare l’approccio assistenzialistico alla disabilità, insegnando agli studenti dei lavori manuali, attività pensate per contrastare l’inattività ma che spesso non tengono conto delle effettive abilità e inclinazioni. Dagli anni ‘80, anche il diritto all’istruzione superiore sarà riconosciuto; parallelamente la scuola cercherà di dare risposta ai bisogni di inclusione sociale, individuando strategie di transizione dalla scuola al lavoro.
72 5.1 Laboratorio di falegnameria, Istituto per sordomuti, Firenze, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 5.2 Esercitazione al centralino, Istituto per ciechi, Cagliari, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 5.3 Laboratorio calzaturiero, Istituto per sordomuti, Firenze, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
73 5.6 Lavori con il legno, Istituto per sordomuti, Firenze, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 5.4 Laboratori di legatoria, Istituto Nazionale dei Ciechi Vittorio Emanuele II, Firenze, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 5.5 Uno studente del Liceo Artistico Ripetta di Roma con autismo partecipa a un progetto di alternanza scuola lavoro presso l’Archivio di Stato di Rieti, danneggiato dal terremoto, 2017.
74 5.7 Lavori di cucito, Istituto per sordomuti, Firenze, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
75 5.10 Alternanza scuola lavoro in una cucina, Istituto Tecnico Cristoforo Colombo di Porto Viro (Rovigo), 2014. 5. 8 Economia domestica, Scuola elementare all’aperto Umberto di Savoia per alunni gracili, Milano, anni ‘30-‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico. 5. 9 Laboratorio di lavorazione della paglia, Istituto Nazionale dei Ciechi Vittorio Emanuele II, Firenze, anni ‘40. Archivio Storico Indire, Fondo Fotografico.
77 «Nel mondo non ci sono mai state due opinioni uguali. Non più di quanto ci siano mai stati due capelli o due grani identici: la qualità più universale è la diversità» M. Montaigne1 L’inclusione sociale non ammette discriminazioni, non ammette emarginati, non ammette ragioni per cui si possa rimanere esclusi. La parola inclusione, di cui oggi si sente spesso parlare, forse non del tutto adeguatamente, rimanda ad un mondo in cui ci si sente accolti, in cui le differenze non rappresentano un ostacolo ma, come sempre dovrebbe accadere un valore aggiunto. Non appartiene, in senso etimologico, al vasto, frastagliato e da più parti aggredito panorama della diversa abilità, ma a tutti e a ciascuno in un ottica di civiltà, di cittadinanza piena e condivisa. Questo universo sociale possiede una sorta di disegno collettivo a cui ciascuno aggiunge il proprio apporto diverso arricchendolo. La Storia ha definito, bizzarramente, un percorso, insieme antropologico e culturale, per giungere al tempo in cui oggi è possibile parlare di inclusione sociale in una cronologia che ha visto un’evoluzione e, insieme, una progressione che ha percorso la strada dell’esclusione e poi dell’inserimento, fino a giungere al concetto più ampio di integrazione e da questa all’inclusione. Fausto Benedetti, INDIRE Inclusione sociale: includere gli esclusi 1 M. De Montaigne, Saggi, F. Garavini (cur.), Giunti, 2012.
78 Quella dell’inclusione sociale è però chiaramente una sfida di non facile e scontata realizzazione dal momento che ciascun tipo di diversità, in una dimensione poliedrica e caratteristica, presenta specifiche difficoltà e che per ognuna occorrerebbe una soluzione puntuale ed incidentale. Istruzione, lavoro, salute, antropologia, socialità queste sono le rappresentazioni di cui un individuo necessita per vivere serenamente ‘dentro’ la società, per sentirsene parte attiva, per percepirsi come ‘incluso’, come soggetto e cittadino. Quando però alcune di queste condizioni vengono a mancare l’individuo può trovarsi nell’impossibilità o nell’incapacità di accedere ad alcuni ambiti sociali o a partecipare a determinate attività. Questa partecipazione non riuscita e infelice alla vita sociale è la condizione di coloro che possiamo definire gli ‘esclusi’. Sono tante le situazioni di deprivazione e di disagio che possono essere causa di esclusione sociale, ma, qui, forse in modo divergente ma non dissonante rispetto allo spirito di questa iniziativa, ho pensato che fosse opportuno concentrarmi solo su alcune di esse: la povertà, l’immigrazione e la disabilità. Si tratta di tre grandi categorie sociali, antropologiche e socio affettive che hanno generato nella tempo e nella Storia un numero smisurato di ‘esclusi’. Essi meritano un osservazione più approfondita. Gli esclusi e la povertà In tutte le epoche e in tutti i gruppi sociali il fenomeno della povertà è sempre stato presente. Tutte le regioni, anche quelle storicamente più floride e prospere hanno conosciuto quella condizione per cui «singole persone o collettività umane nel loro complesso si trovano ad avere per ragioni di ordine economico, un limitato (o del tutto mancante nel caso della condizione di miseria) accesso a beni essenziali e primari, ovvero a beni e servizi sociali d’importanza vitale»2. 2 Povertà, voce in Wikipedia, (25 febbraio 2018).
79 Condizione di povertà e tessuto sociale in cui si vive sono e restano strettamente correlati, in quanto possono dar luogo a situazioni di emarginazione. Questo tipo di situazioni ha fatto parte della vita delle diverse società nel corso del tempo influenzandone talvolta le dinamiche. In un rapporto Istat del 2009 il termine povertà viene definito come «un ampia serie di situazioni anche molto diverse tra loro. Povero è il senza dimora, colui che privo di mezzi di sostentamento, si affida alla carità del prossimo per sopravvivere; povero è chi con una pensione minima non riesce a soddisfare i propri pur limitati bisogni. Povero è colui che non riesce ad acquisire beni e servizi normalmente disponibili per gli individui appartenenti al suo contesto di riferimento»3. La povertà in sostanza mette l’individuo in una situazione di vulnerabilità e quindi di emarginazione. Il concetto di vulnerabilità lo troviamo espresso nelle riflessioni del sociologo Robert Castel che si è dedicato all’analisi critica dei cambiamenti della società al fine di favorire un’azione pratica che potesse rappresentare una ‘cura’ alla povertà e all’emarginazione sociale. Castel definisce ‘individuo’ una persona che dispone di supporti, che può fare dei progetti sulla propria vita essendone così a tutti gli effetti ‘proprietario’. Essere proprietari della propria vita significa aver creato e mantenuto intorno a sé delle basi economiche e relazionali che garantiscono alla persona la possibilità di disporre di protezione e di avere accesso a dei diritti. La condizione di individuo per Castel non è data ma conquistata e non è immutabile poiché è possibile perdere i propri supporti. Un supporto importante per Castel è dato dalla proprietà privata, con la perdita di questa si mette a rischio la condizione di individuo. Castel parla infatti di ‘povertà di massa’ riferendosi al fenomeno scaturito con l’industrializzazione e urbanizzazione del 1800. Con l’industrializzazione in effetti la povertà comincia ad essere avvertita come condizione sociale. In Italia l’industrializzazione vera e propria, con l’avvento della classe operaia, la vediamo nascere nell’ultimo ventennio 3 ISTAT, La misura della povertà assoluta, ISTAT – servizio di produzione editoriale, Roma, 2009.
80 dell’Ottocento. Prima di allora lo scenario dell’Italia post-unitaria mostrava una povertà diffusa, soprattutto nelle campagne, che portava con sé analfabetismo e malattie. Ma le grandi masse di operai che lasciarono le campagne per andare nelle città industriali non trovarono la ‘terra promessa’ che speravano; almeno la gran parte di loro non la trovò. I salari erano bassi e le famiglie contavano anche sui guadagni della prole per andare avanti. Erano ‘deboli’, ‘vulnerabili’. Trattandosi però di una condizione di massa comincia a farsi strada un sistema di diritti e protezione legato al lavoratore salariato, colui cioè che era proprietario della propria forza lavoro e la utilizzava come fonte di sostentamento. La figura che emerge ora come povero/escluso è quella del disoccupato che senza salario e fonte di sostentamento vive un disagio psicologico e sociale. La ‘società salariale’, utilizzando le immagini di Castel, è quella in cui in un certo senso ci troviamo ancora, sebbene con una notevole crescita economica, un’importante redistribuzione della ricchezza e un crescente individualismo; ma l’appartenenza degli individui ad una società collettiva, che garantisce protezione e sicurezza fin quando uno ne rimane all’interno, ha mantenuto alcune caratteristiche costanti. La povertà dunque è legata a doppio filo al concetto di inclusione poiché è una delle maggiori cause di esclusione sociale. Castel Individua il lavoro e le relazioni sociali come i due indicatori di quella che noi definiamo inclusione sociale e tre aree che ne rappresentano il grado. Nella prima area – ‘area dell’integrazione’4 - l’individuo ha sia un lavoro che delle relazioni ed è pienamente integrato nella società. Nella seconda area – ‘area della vulnerabilità’5 - all’individuo viene a mancare uno dei due indicatori ma ha ancora l’altro e può tornare più facilmente nell’area dell’integrazione; la situazione qui è però instabile e rischia di trascinare la persona nella terza area – ‘area della desafiliation’ 6 - in cui non ha più né lavoro né relazioni perdendo così - per Castel - perfino la dignità di individuo. Il servizio sociale per Castel dovrebbe concentrarsi sui ‘vulnerabili’ In modo 4 R. Castel, L’insicurezza sociale. Che significa essere protetti?, Torino, Einaudi, 2011. 5 Ivi. 6 Ivi.
81 tale da consentire loro una completa integrazione nella società e arginare così il fenomeno della ‘desafiliation’. Gli esclusi e l’immigrazione «Quando scoppia una catastrofe, i vicini, sconvolti, si dimostrano soccorrevoli. Tale è l’effetto di gravi catastrofi. Sembra che gli uomini sappiano che le catastrofi non durano a lungo. Le catastrofi croniche, invece, sono così mal sopportate che a poco a poco sia di esse sia delle loro vittime non importa più niente a nessuno, quando addirittura non sono vissute come qualcosa di molesto»7 . Joseph Roth le definisce come catastrofi croniche per sottolineare le condizioni drammatiche di chi decide di migrare o è costretto a farlo. Allo stesso tempo sottolinea l’indifferenza e il fastidio dei residenti nei luoghi d’arrivo, degli integrati nella comunità sociale e attiva di un paese. In realtà le migrazioni sono, non una catastrofe, ma un fenomeno cronico che ha però sempre generato situazioni di emarginazione ed esclusione sociale. L’Italia in verità dal momento in cui si è costituita come paese unito è stata sempre luogo di una realtà di emigrazione più che paese oggetto di immigrazione. Le persone tendevano a partire più che ad arrivare. La limitata presenza di stranieri nell’Italia post unitaria non aveva reso necessaria la creazione di norme specifiche; gli stranieri sottostavano alle medesime leggi degli italiani se non per l’eventuale espulsione in caso di reati e di respingimento al confine in caso di mancanza di documenti validi. Con l’avvento del regime fascista chiaramente la situazione cambia, portando un giro di vite sul controllo degli stranieri che avevano ormai bisogno di visto e permesso di soggiorno. A partire dal 1938 poi cominciano ad essere applicate le ‘leggi razziali’ che colpiscono, come obiettivo privilegiato, gli ebrei ma che ovviamente ricadono pesantemente sugli stranieri, se non si vuole poi parlare degli stranieri ebrei. Finita la guerra la discriminazione è arginata dai diritti umani sanciti con la Costituzione ma il fenomeno dell’immigrazione è ancora molto limita7 J. Roth, Ebrei erranti, Milano, Adelphi, 1985.
82 to e non rende necessaria una legiferazione organica sul tema. L’Italia è ancora un paese di emigranti e lo rimane fino agli anni ‘60-’70 quando la rotta comincia ad invertirsi. Inizia così a crescere il fenomeno dell’immigrazione in maniera massiccia e a livello normativo comincia ad essere creata una legiferazione dedicata che non sempre però viene ben strutturata e applicata e che non riesce ad evitare l’insorgere di episodi di discriminazione e razzismo. Le differenze culturali, religiose, etniche creano diversità e questa diversità crea in qualche modo un problema che nasce dalla paura. Il confronto con l’altro può infatti minare alcune certezze o dei valori assoluti che un individuo costruisce vivendo in un determinato luogo con una propria religione, proprie idee, proprio modo di agire governato dalla propria cultura. Il diverso può mettere in discussione, con la sua sola presenza, questi valori, queste verità (talvolta sentite come assolute) generando così sentimenti di paura e rifiuto. L’immagine che gli abitanti di un paese meta di migrazioni hanno nei confronti di chi arriva non è diffusamente positiva, al contrario la diffidenza, la paura di perdere qualcosa di proprio, di vedere il proprio spazio invaso, che il migrante non si adegua alle regole e alla cultura che trova. Attratto dall’analisi di società con una grossa componente multiculturale, il filosofo-storico-sociologo tedesco Jurgen Habermas che giunge ad una meravigliosa definizione di inclusione nel testo L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica in cui raccoglie una serie di contributi atti a far emergere il concetto di diversità come valore universale e transculturale. «L’eguale rispetto per chiunque non concerne chi è simile a noi, bensì la persona dell’altro (degli altri) nella sua specifica diversità. E la responsabilità solidale per un altro visto come uno di noi si riferisce in realtà al ‘noi’ flessibile di una comunità che - riluttante verso ogni forma di sostanzialità - estende sempre ‘più in là’ i suoi porosi confini. Questa comunità morale può fondarsi soltanto sull’idea negativa di eliminare discriminazione o sofferenza e di includere gli emarginati (ogni emarginato) nell’ambito del reciproco rispetto. Questa comunità - concepita in termini costruttivi - non rappresenta affatto un collettivo in cui gli appartenenti in uniforme debbano esaltare quanto è loro specificamente proprio. Inclusione qui non
83 significa accaparramento assimilatorio ne chiusura contro il diverso. Inclusione dell’altro significa piuttosto che i confini della comunità sono aperti a tutti: anche - e soprattutto - a coloro che sono reciprocamente estranei e che estranei vogliono rimanere»8. Per Habermas dunque l’integrazione sociale passa per l’accettazione di una società differenziata, il rapporto con l’altro deve partire da questa pluralità e scardinarsi dal concetto di Stato-Nazione che lega un luogo ad un popolo facendo proprio il concetto di uguaglianza ed includendo la diversità e dunque ‘l’altro’. Diversa è dunque questa visione rispetto all’enciclopedico concetto di integrazione sociale intesa come «una delle funzioni fondamentali svolte dal processo di socializzazione che consiste in particolare nella formazione della personalità sociale dell’individuo, attraverso la trasmissione dei modelli culturali e di comportamento, cui provvedono la famiglia, la scuola e in genere i gruppi cosiddetti primari […]L’integrazione comporta l’accettazione di una piattaforma di valori […]»9. Due visioni diverse l’una include il diverso accogliendone le influenze e accettandone l’alterità, l’altra assimila lo straniero trasmettendogli i propri modelli e la propria cultura. In un senso o nell’altro queste due visioni mirano a non tenere fuori, a non emarginare a limitare sempre il dilagante fenomeno per cui l’immigrazione sia causa di esclusione sociale. Gli esclusi e la disabilità La terza grande causa di esclusione sociale è rappresentata dalla diversità intesa in senso fisico e intellettivo, ovvero la disabilità. In Italia diversi milioni di persone sono colpite da forme gravi o lievi di disabilità. Qualcuno ci nasce, qualcuno va incontro a questa condizione nel corso della vita. Diversamente dalla vulnerabilità prodotta dalla povertà questa è una condizione da cui non si può uscire e caratterizza totalmente la vita di un individuo. 8 J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, trad. a cura di L. Cippa, Milano, Feltrinelli, 1998. 9 Integrazione, voce in Enciclopedia Treccani.
84 L’handicap incide sull’identità di chi ne è portatore e sulle sue relazioni sociali. È una condizione estremamente esposta a rischio di esclusione. Sì perché da sempre le diverse società che hanno abitato i nostri territori nel corso dei secoli hanno guardato all’handicap come qualcosa di negativo da estirpare, nascondere, ridicolizzare. È da questo antico, sofferto perché difficile e protratto sentimento, nonché da una profonda e recondita paura dell’handicap, che nasce quel rifiuto da parte della gente che è cagione di molte forme di discriminazione. Ancora una volta a condizionare la percezione è la paura del diverso, il timore di mettere in discussione le proprie certezze, il desiderio di allontanare da sè l’idea della possibilità di incorrere nella disabilità, di avere qualcosa o qualcuno nei nostri pressi che versi in quella condizione e con cui sia necessario confrontarsi diuturnamente. Infatti scrive per noi l’autrice inglese Jenny Morris, «sono la paura e il rifiuto della debolezza della vulnerabilità, della mortalità e l’arbitrarietà dell’esperienza umana che ci trattiene dal confrontarci con alcune realtà. La paura e il rifiuto richiedono l’isolamento di quelli che sono disabili, malati o vecchi come ‘altri, come ‘non come noi’»10. E lo sguardo dell’altro, del ‘normale’ è ciò che esclude di più. Vedere riflesso negli occhi degli altri il proprio limite, la propria disabilità, rappresenta ciò che rende più dolorosa e grande la frattura, ciò che impedisce più degli ostacoli reali e fisici, una piena integrazione poiché dà l’aberrata impressione, la sensazione definitiva e orribile, di perdere la dignità di individuo. Il sociologo americano Erving Goffman invece parla di etichette, di ‘stigma’ nell’analizzare le relazioni con i disabili. «Noi normali sviluppiamo certe concezioni, non sappiamo se oggettivamente fondate o no, riguardo alla sfera di vita in cui un particolare ‘stigma’ squalifica subito una persona». L’individuo nell’ incontro con la diversità opera un etichettatura, inquadra chi gli sta di fronte con uno stigma creando così una frattura. «Definirò normali noi e quelli che non si discostano per qualche caratteri10 J. Morris, Pride against prejudice. Transforming attitudes to disability, Philadelphia, New Society, 1991.
85 stica negativa dai comportamenti che, nel caso specifico, ci aspettiamo da loro […]. Per definizione, crediamo naturalmente che la persona con uno stigma non sia proprio umana»11. Lo stigma è quindi un giudizio a priori, che kantianamente e ovvio e non deriva dall’esperienza il quale viene attribuito all’individuo diverso in base alle caratteristiche. Si tratta di un fardello che la personalità porta con sé nelle relazioni sociali. La storia stessa ha stigmatizzato la disabilità nei modi più vari è più crudeli: da esseri subumani destinati all’emarginazione e all’abbandono a persone sofferenti meritevoli di pietà e carità, a poveri deboli, a fenomeni da baraccone con buffe anomalie, come i freaks nel capolavoro di Tod Browning. Nel corso del tempo della Storia, comunque, non sono mancati esempi positivi; si pensi alle protesi egizie, alla sedia con le ruote della Cina del Cinquecento, allo sviluppo di materiali educativi per sordomuti e ciechi, sviluppati tra il Cinquecento e il Settecento e, infine, all’attenzione ottocentesca per le disabilità intellettive. Un momento di maggior cambiamento nell’approccio alla disabilità, pero, lo abbiamo nel Novecento quando le vittime di infortuni sul lavoro e i mutilati di guerra vanno ad incrementare consistentemente il numero di disabili. Si inizia a dare valore alla previdenza sociale e a prendere provvedimenti per l’inserimento o il reinserimento nel mondo. La diffusione delle idee sulla genetica della Germania nazista apre tuttavia la strada a scenari aberranti che vanno ad esaurirsi con la fine della guerra. In Italia, nella seconda metà del Novecento, a partire dall’entrata in vigore della Costituzione e soprattutto poi dagli anni ‘60 e ‘70 il quadro cambia e si gettano le basi di uno Stato Sociale che aspira all’assistenza e all’inclusione. Già con la Costituzione i cittadini inabili hanno diritto all’educazione e all’avviamento ma per il diritto al lavoro degli invalidi civili si deve attendere fino al 1957. 11 E. Gofmann, Stigma. L’identità negata, trad. a cura di R. Gianmarco, Ombre corte, 2003.
86 Con la Legge 118 del 1971 (Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili) la condizione di invalido viene inquadrata in maniera più organica dal punto di vista giuridico. Questa legge definisce infatti il termine di ‘invalido civile’ ed assicura alle persone che rientrano in questa categoria assistenza sanitaria e, laddove accertata la totale inabilità al lavoro, una pensione. Stabilisce inoltre che gli invalidi minorenni frequentino la scuola dell’obbligo e che le barriere architettoniche che impediscono l’accesso degli invalidi a strutture pubbliche vengano abbattute. Con la Legge 517 del 1977 vengono abolite le classi differenziali e gli studenti disabili inclusi nelle classi assieme ai loro coetanei. La Legge 180/1978 stabilisce poi la chiusura dei manicomi in favore di un’assistenza diversa, più umana ed inclusiva per i disabili intellettivi. La Legge 13/1989 estende l’abbattimento delle barriere architettoniche, già previsto dalla 118, agli edifici privati. Importantissimi passi questi ultimi che trovano ampliamento e riorganizzazione organica nella legge 104 del 1992 che inquadra sotto una nuova luce il concetto di disabilità restituendo alla persona «il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia”12 e promuovendone “la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società»13. L’applicazione di questa legge, poi aggiornata e perfezionata, richiederà tempo e non troverà sempre strade in discesa ma le basi per superare gli ostacoli posti dalla disabilità, predisponendo tra l’altro «interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale»14, sono state poste. Esclusi tra i banchi Le tipologie generali che abbiamo proposto non rappresentano la totalità delle cause di esclusione sociale. Tuttavia possono raccogliere una buona parte degli individui che si trovano ad essere vittime di quel fenomeno individuale e collettivo definito 12 Legge 104/92, in «Gazzetta Ufficiale», 17 febbraio 1992, n. 39 , suppl. ordinario n. 30. 13 Ivi. 14 Ivi.
87 come discriminazione. La scuola è come una rappresentazione in cui i fenomeni sociali come in una lente si verificano in scala, in piccolo, anche se talvolta in maniera egualmente crudele. Per le ragioni approfondite in precedenza, povertà e disabilità hanno storicamente un forte rapporto con l’istruzione, idea inaccessibile per tanto tempo e poi veicolo di innalzamento e inserimento sociale. Fino all’introduzione della Legge Casati (1859), per esempio, difficilmente un bambino povero poteva accedere anche alle forme più basilari di scolarizzazione o anche semplicemente di alfabetizzazione. Questo primo ordinamento organico del sistema scolastico, che rende i primi due anni di scuola elementare obbligatoria e gratuita per tutti, dà inizio ad un percorso lungo di alfabetizzazione e scolarizzazione delle masse che porta fino ai giorni nostri in cui, sebbene tutti vadano a scuola ed abbiano diritto ad un’istruzione pari ai coetanei più ricchi, non significa che abbiano accesso alle stesse opportunità e che le differenze non rappresentino ancora un importante divario, quantomeno dal punto di vista sociale. Analogo percorso, anche forse più difficile, lo vediamo per i disabili per i quali la prima forma di obbligo scolastico venne introdotta solo nel 1923 e limitatamente a ciechi e sordi. Il sistema di istruzione all’inizio del Novecento prevedeva per gli studenti affetti da disturbi o diversamente abili, la frequenza in classi scolastiche dedicate, le famose ‘classi differenziali’ rimaste in vigore fino alla già citata Legge 517 del 1977 che ne dispone l’abolizione prevedendo l’inserimento degli studenti disabili nelle classi comuni. Diversa è la storia della scolarizzazione degli studenti immigrati in quanto il fenomeno migratorio che vede coinvolto in misura massiccia il nostro paese come meta d’arrivo, è relativamente recente e trova quindi già un sistema di istruzione obbligatorio e gratuito che non ostacola l’accesso all’istruzione degli studenti stranieri. Ciò chiaramente non implica che l’integrazione di questa categoria di studenti sia facile o scontata. Ecco già solo ritornando e soffermandoci sul significato letterale della parola ‘integrazione’ possiamo riscontrarne i limiti ed intravederne è una sorta di possibilità di fallimento. Diversamente dal termine ‘integrazione’, sebbene spesso usati con un valore di sinonimia, quello di ‘inclusione’ sposta il focus verso le differenze,
88 verso la valorizzazione di queste. La comunità di studenti (nel caso dell’inclusione scolastica) diventa quindi l’insieme delle differenze di tutti gli alunni. La scuola ha il compito di valorizzare queste differenze offrendo delle possibilità di apprendimento che si adattano e si plasmano in funzione del destinatario. Non più quindi una diversità che cerca, a volte invano, di avvicinarsi alla ‘conclamata’ normalità di una comunità, ma l’unione di tanti individui differenti. I legami che si formano in un tipo di società inclusiva riconoscono e valorizzano la specificità che caratterizza un’identità. Nel concreto delle realtà scolastiche non è sempre facile l’applicazione di questi precetti poiché tutto ciò che ha portato nella storia, come si è visto prima, ad allontanare e a stigmatizzare il diverso si presenta tra i banchi. E allora si assiste ad episodi in cui il ragazzo ‘normale’ etichetta quello povero, disabile, immigrato ma anche omosessuale, introverso o ‘secchione’ e riserva per questi tutta una serie di manifestazioni di disapprovazione finanche a farlo diventare oggetto di scherno degli altri compagni. La reazione è ovviamente una sofferenza del bambino/ragazzo discriminato che tende poi pian piano ad isolarsi. Ciò accade poiché, come diceva Goffman, «crediamo naturalmente che la persona con uno stigma non sia proprio umana»15 o perché è più facile ignorare, ridere della diversità, distaccarsene, non preoccuparsene con una leggera e, a volte, innocente insensibilità. Ma il compito della scuola è educare, è essere il luogo di formazione in cui crescono persone responsabili del proprio peso nella società, persone che così come apprendono le nozioni così imparano ad avere relazioni sociali costruttive. La scuola come comunità educante deve trasmettere il rispetto di tutte le persone e deve insegnare ad accogliere e anzi apprezzare ciò che di diverso si trova nell’altro. Inclusione scolastica Come abbiamo visto la scuola deve garantire l’inclusione di tutti gli studenti e deve dirigersi verso il riconoscimento della diversità come valore 15 E. Gofmann, Stigma. L’identità negata, trad. a cura di R. Gianmarco, Ombre corte, 2003.
89 ricercando modelli didattici flessibili che possano adattarsi alle singole specificità degli alunni. «La nozione di inclusione afferma l’importanza del coinvolgimento di tutti gli alunni nella realizzazione di una scuola realmente accogliente, anche mediante la trasformazione del curricolo e delle strategie organizzative delle scuole, che devono diventare sensibili all’intera gradazione delle diversità presenti fra gli alunni»16. Il percorso dell’inclusione scolastica può considerarsi iniziato con la Legge Casati (1859) accennata prima e proseguiti lungo il tragitto ad ostacoli verso l’acquisizione di diritti da parte degli studenti disabili che poi ha aperto la strada al concetto di valorizzazione delle differenze in senso più ampio. La Costituzione italiana parla di «pari dignità sociale […] Senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”17 (art. 3) nonché di una “scuola aperta a tutti. (Art.34)»18. Fino al 1977 tuttavia questi principi di uguaglianza e apertura vengono messi in pratica attraverso percorsi di formazione separati, in classi appunto differenziali. Già nel 1975 con la C.M. 277, il cosiddetto documento Fallucci, si preparano le basi per i passi successivi affermando principi come quello della collegialità, del coinvolgimento delle famiglie, della gestione integrata dei servizi, della formazione dei docenti. È però la Legge 517 del 4 agosto 1977 (cui abbiamo già accennato) a cambiare davvero rotta e a far muovere il paese verso una vera inclusione. Questa legge abolisce infatti le classi differenziali (art. 7) e sancisce il diritto alla frequenza scolastica, in classi comuni, degli studenti disabili con ‘il sostegno’ di un insegnante specializzato. Propone (art. 2) per le scuole elementari «attività scolastiche integrative organizzate per gruppo di alunni della classe oppure per gruppi di classi diverse anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni»19. Sempre il medesimo articolo prosegue: «la 16 In Inclusione: un sogno realizzabile? Cosa succede in Italia? E nel resto dell’Europa?, E.M. Bianchi (cur.), disponibile in <didatticainclusiva.loescher.it> 17 Costituzione italiana. 18 Ivi. 19 Legge 517/7, in «Gazzetta Ufficiale», 8 agosto 1977, n. 224.
90 scuola attiva forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicaps, con la prestazione di insegnanti specializzati»20. Questi assunti modificano di fatto l’assetto organizzativo della scuola italiana. Da questo momento in poi infatti la programmazione comincia a diventare parte integrante del lavoro del docente e gli insegnanti di sostegno parte di un sistema orientato ad interessarsi al singolo. Da una parte dunque programmazione didattica, consigli di classe, schede personali relative agli alunni, valutazioni trimestrali e comunicazioni ai genitori; dall’altra «servizio socio-psico-pedagogico e forme particolari di sostegno»21. Aspetti questi che rendono evidente la portata innovativa di questa legge e la sua virata verso l’inclusione. L’insegnante di sostegno viene poi introdotto anche nella scuola dell’infanzia con la legge 270 del 1982, che revisiona la disciplina di reclutamento del personale docente; si legge infatti che «la consistenza complessiva delle dotazioni organiche dei ruoli provinciali della scuola materna è calcolata aggiungendo anche i posti di sostegno da istituire in ragione, di regola, di un posto ogni quattro bambini portatori di handicaps»22. L’anno successivo la Circolare Ministeriale n. 258 fornisce ulteriori indicazioni «in materia di integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap»23 sottolineando l’intesa e il lavoro concertato tra l’Amministrazione Scolastica, gli Enti locali e il Servizio Sanitario Nazionale. A ribadire il diritto all’istruzione e a pari opportunità degli studenti portatori di handicap interviene un’altra Circolare Ministeriale, la n. 250 del 1985. Questa evidenzia «la particolare attenzione ai problemi relativi all’inserimento ed all’integrazione degli alunni portatori di handicap»24 insistendo sul diritto all’apprendimento: «le difficoltà di apprendimento derivanti da situazioni di handicap non possono costituire un ostacolo all’esercizio di tale diritto-dovere; si ribadisce, pertanto, che la scuola deve garantire a ciascun alunno le opportunità di esperienze e le risorse culturali di cui 20 Ivi. 21 Ivi. 22 Legge 20 maggio 1982, n. 270. 23 Circolare Ministeriale 22 settembre 1983, n. 258. 24 Circolare Ministeriale 3 settembre 1985, n. 250.
91 ha bisogno»25. Si cerca di mettere inoltre il disabile in condizioni di trovare meno ostacoli possibili anche da un punto di vista fisico/pratico; la legge 41 del 1986, riprendendo il D.P.R. 384 del 1978, mira infatti all’eliminazione delle barriere architettoniche disponendo che tutti i nuovi edifici siano progettati in modo da essere accessibili ai disabili e che «per gli edifici pubblici già esistenti non ancora adeguati alle prescrizioni del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, dovranno essere adottati da parte delle amministrazioni competenti piani di eliminazione delle barriere architettoniche»26. Da questo momento dunque tutti gli elementi che limitano lo spostamento o l’accesso ai servizi da parte dei disabili diventano fuori norma; tutte le scale, i marciapiedi senza rampe, le porte, gli ascensori e i bagni troppo stretti, devono rientrare nei suddetti piani di eliminazione delle barriere architettoniche. Consentire a tutti la piena vivibilità degli spazi comuni significa rispettare le differenze e le difficoltà dell’altro, considerarle e fare in modo che questi abbia meno ostacoli possibili nel vivere i luoghi come e con tutti gli altri. Ciò vale ancor di più se applicato ad un ambiente come la scuola che ha la responsabilità di formare gli alunni non solo da un punto di vista nozionistico ma anche come persona. Comunicare ad un bambino disabile la piena fruibilità di tutti gli ambienti significa dargli un messaggio di uguaglianza e pari opportunità. In questi anni si è infatti ormai assodata l’importanza della frequentazione da parte degli alunni disabili degli ambienti e della popolazione scolastica. Leggiamo infatti in una sentenza della Corte Costituzionale che «l’inserimento e l’integrazione nella scuola ha fondamentale importanza […]. La partecipazione al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce, infatti, un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggio»27. La formazione dell’alunno portatore di handicap all’interno della classe 25 Ivi. 26 Legge 28 febbraio 1986, n. 41. 27 Sentenza Corte Costituzionale 3-8 giugno 1987, n. 215.
92 comune raggiunge una tale rilevanza da portare all’emanazione di una Circolare che sottolinea addirittura ‘l’illegittimità’ di «istruire l’alunno facendolo uscire dalla sua classe»28. Gli unici casi in cui la formazione fuori dalla classe è consentita sono quelli già previsti dal «progetto educativo individualizzato» per specifiche attività didattiche. Anche la figura professionale dell’insegnante di sostegno viene via via definita meglio rendendone più chiare competenze e responsabilità, focalizzando di più il suo ruolo in quello di mediatore che, in collaborazione con i docenti della classe, attiva strategie finalizzate a migliorare l’efficacia degli interventi didattico-educativi. Come si è già accennato in precedenza, tutto ciò porta alla costruzione di una legge quadro che diventa punto di riferimento normativo sulle questioni inerenti la disabilità e l’integrazione scolastica e sociale. Tale è appunto la legge 104 del 1992, Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate29. Questo quadro normativo si rivolge a tutti coloro che hanno una «minoranza fisica, psichica o sensoriale»30 che possa essere causa ad esempio di uno svantaggio sociale o di una condizione di emarginazione. Si vuole tutelare il disabile su più fronti che vanno dalla prevenzione all’assistenza, dai servizi di terapia e riabilitazione al supporto informativo, psicologico ed economico della famiglia. Chiaramente il diritto all’istruzione rientra, in modo anche rilevante, in questo quadro di tutele che dunque prevede assistenza scolastica, personale qualificato, predisposizione di prove di valutazione adeguate e idonee dotazioni didattiche. Tutte le scuole sono ora tenute a tracciare un profilo dinamico-funzionale dell’alunno disabile in modo da poter individuare e seguire il suo percorso formativo che va programmato in un P.E.I. (Piano Educativo Individualizzato). Devono Inoltre garantire un’assistenza attivata anche attraverso docenti specificamente formati e abilitati all’insegnamento di sostegno. Il diritto allo studio è un aspetto fondamentale su cui si insiste poiché rap28 Circolare Ministeriale 15 giugno 1988, n. 153. 29 Legge 5 febbraio 1992, n. 104. 30 Ivi.
93 presenta uno strumento privilegiato di Integrazione sociale dei disabili che è una delle ragioni d’essere di questo quadro normativo. Da questo momento dunque si adotta un approccio rivolto verso l’assistenza e il rispetto dei diritti; lo si comincia a fare attraverso norme precise che concentrano l’attenzione sul singolo individuo e sulle sue specifiche necessità. È tale mutamento nell’approccio la vera chiave di volta dell’inclusione scolastica e in senso più ampio dell’inclusione sociale. Conclusioni Il percorso intrapreso dalla scuola italiana orientato verso l’inclusione della disabilità apre la strada alle altre forme di inclusione, mostra la via all’apertura della comunità sociale a tutte quelle categorie di persone che per una ragione o per l’altra rischiano di rimanerne escluse. Chiunque è escluso può essere incluso. Nelle scuole l’attenzione alle necessità del singolo alunno avviata per i portatori di handicap si estende a tutti gli alunni della classe mirando ad un apprendimento personalizzato che si basa sul superamento dei limiti e lo sviluppo delle potenzialità del singolo studente. Tutti sono persone speciali e diverse e meritano attenzione e personalizzazione della loro traiettoria. Tanto per dare un’idea degli sviluppi della Legge 104 in campo scolastico, vale la pena fare cenno alla Direttiva 27 dicembre 2012: Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali BES e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica in cui emerge l’esigenza di adeguare il sistema alla «complessa varietà delle nostre classi. […] L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di specialissima attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento oppure disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse»31. 31 MIUR, Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica, 2012.
94 Si è rimandato a questa direttiva del MIUR per sottolineare un fatto rilevante: si riconosce oggi l’esistenza di effettivi svantaggi generati da cause diverse e che possono portare a situazioni di discriminazione o esclusione sociale. Si giunge in sostanza all’individuazione e, soprattutto, alla considerazione di categorie ‘vulnerabili’. Queste categorie di persone, siano esse messe in condizioni di svantaggio da situazioni economiche, culturali, linguistiche, fisiche, psichiche devono potersi sentire parte integrante della società. Abbiamo visto essere ciò possibile grazie ad un approccio che valorizza la diversità, uno sguardo incentrato sull’ individuo, sulle sue necessità e sul suo sviluppo in un percorso inclusivo che parte dal sistema scuola ma che si estende e abbraccia tutti gli altri settori tenendo presente l’obiettivo di una vera inclusione sociale.
95 «La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato […] Data a Roma, addi’ 4 agosto 1977 […] Leone Andreotti–Malfatti-Stammati Visto, il Guardasigilli: Bonifacio» Così riporta la Gazzetta Ufficiale del 4 agosto 1977 e questi sono i nomi dei firmatari della legge che rivoluzionerà con il tempo la scuola italiana nel suo approccio e nella sua pratica didattica. Rendere onore a una legge per definire la qualità dell’inclusione scolastica in Italia? Proprio questo è l’obiettivo dello studio che ho ritenuto doveroso intraprendere con uno sguardo analitico e riflessivo. Con i ricercatori dell’INDIRE ci siamo incamminati, attraverso le immagini, in un viaggio impregnato di storie fatte di alunni e insegnanti che negli anni hanno costruito i percorsi di inclusione scolastica che oggi conosciamo. Un lavoro enorme e attento specialmente se lo si guarda nella sua interezza prendendo atto di quanto abbia modificato profondamente il senso comune dell’accoglienza e dell’integrazione trasformandolo in una normale prassi educativa. Le sfide che ci attendono sono ancora molte e il lavoro che ci aspetta per migliorare l’inclusione è ancora tanto, ma oggi proviamo a dare una letPierpaolo Infante Referente USR Toscana Inclusione alunni disabili Integrazione: la rivoluzione della Legge 517 del 4 agosto 1977
96 tura sulla nostra storia passata e presente di cui possiamo solo andare orgogliosi1 . La Legge 517/77 definisce ancora oggi una rivoluzione nel sistema educativo del nostro paese e allo stesso tempo rimane in Europa l’unica vera esperienza di integrazione degli alunni disabili nella scuola. L’art. n. 7 della Legge 517/77 definisce il contenuto di questa rivoluzione: «Al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità degli alunni, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche di integrazione anche a carattere interdisciplinare, organizzate per gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse, ed iniziative di sostegno, anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni»2. In questo passaggio si sottolinea l’importanza degli interventi individualizzati come processo che garantisca il diritto di apprendere nel rispetto della la diversità di ciascuno al fine di raggiungere i traguardi formativi comuni: «Nell’ambito della programmazione di cui al precedente comma sono previste forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicaps da realizzare mediante l’utilizzazione dei docenti, di ruolo o incaricati a tempo indeterminato, in servizio nella scuola media e in possesso di particolari titoli di specializzazione, che ne facciano richiesta, entro il limite di una unità per ciascuna classe che accolga alunni portatori di handicaps e nel numero massimo di sei ore settimanali. Le classi che accolgono alunni portatori di handicaps sono costituite con un massimo di 20 alunni». 1 Nel presente documento si propone una lettura degli ultimi dati statici pubblicati sulla situazione in Italia degli alunni con disabilità. I dati rielaborati sono conformi alle pubblicazioni emanate dal MIUR nell’ultimo rapporto del 2015 e dall’ISTAT nel 2016. Lo scopo di tale iniziativa è quello di fornire un quadro organico e sistematico dei suddetti dati al fine di creare uno strumento di facile consultazione. 2 Vedi http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1977-08-18&atto.codiceRedazionale=077U0517&elenco30giorni=false.
97 In questa sezione si definisce la figura dell’insegnante di sostegno che ha un ruolo determinante nel processo di integrazione, che si pone come mediatore tra l’allievo disabile e la comunità scolastica con il compito primario di individuare strategie atte alla realizzazione di processi indispensabili per l’apprendimento: «In tali classi devono essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psico-pedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal consiglio scolastico distrettuale. Le attività di cui al primo comma del presente articolo si svolgono periodicamente in sostituzione delle normali attività didattiche e fino ad un massimo di 160 ore nel corso dell’anno scolastico con particolare riguardo al tempo iniziale e finale del periodo delle lezioni, secondo un programma di iniziative di integrazione e di sostegno che dovrà essere elaborato dal collegio dei docenti sulla base di criteri generali indicati dal consiglio di istituto e delle proposte dei consigli di classe. Esse sono attuate dai docenti delle classi nell’ambito dell’orario complessivo settimanale degli insegnamenti stabiliti per ciascuna classe. Le attività previste dall’ultimo comma dell’art. n. 3 della Legge 31 dicembre 1962, n. 1859, devono essere coordinate con le iniziative comprese nel programma di cui al precedente quinto comma. Il suddetto programma viene periodicamente verificato e aggiornato dal collegio dei docenti nel corso dell’anno scolastico. I consigli di classe, nelle riunioni periodiche previste dall’ultimo comma dell’art. n. 2 della Legge 31 dicembre 1962, n. 1859, verificano l’andamento complessivo dell’attività didattica nelle classi di loro competenza e propongono gli opportuni adeguamenti del programma di lavoro. Le classi di aggiornamento e le classi differenziali previste dagli articoli 11 e 12 della Legge 31 dicembre 1962, n. 1859, sono abolite». Nell’ultima parte dell’art. n. 7 si definiscono le responsabilità degli enti locali nel sostegno all’inclusione scolastica degli alunni con handicap. Ma è da sottolineare soprattutto come si determinino gli ambiti di azione in rife-
98 rimento all’organizzazione scolastica. Infatti si dà mandato diretto agli organi della scuola di proporre «gli opportuni adeguamenti del programma di lavoro» in riferimento all’organizzazione e ai programmi. Ma è nell’ultima frase dell’articolo che si definisce l’apertura della scuola agli alunni con handicap abolendo da questo momento in poi le classi differenziali. Gli alunni con handicap in Italia Oggi dopo quarant’anni ci ritroviamo nella condizione di un costante aumento della presenza di alunni con disabilità nella scuola italiana. Negli ultimi dati statistici del MIUR l’incidenza degli alunni con disabilità sul totale degli alunni frequentanti le scuole italiane, considerate nel loro complesso, è progressivamente aumentata nel corso dell’ultimo decennio; infatti, nell’anno scolastico 2014-2015 tale percentuale si è attestata intorno al 2,7%, mentre nell’anno scolastico 2004-2005 era pari all’1,9%. Alunni con disabilità e totale alunni: l’andamento negli ultimi 10 anni 8.980.000 8.960.000 8.940.000 8.920.000 8.900.000 8.880.000 8.860.000 8.840.000 8.820.000 8.800.000 2004/2005 ---- 2008/2009 2009/2010 2010/2011 2011/2012 2012/2013 2013/2014 2014/2015 8.882.334 8.946.233 8.943.353 8.876.176 8.845.984 8.961.634 8.965.822 8.961.159 Totale alunni
99 3 240.000 230.000 220.000 210.000 200.000 190.000 180.000 170.000 160.000 2004/2005 ---- 2008/2009 2009/2010 2010/2011 2011/2012 2012/2013 2013/2014 2014/2015 167.804 192.997 223.496 228.017 234.788 200.462 208.524 2016.013 Alunni con disabilità 3 Alunni con disabilità e totale alunni: l’andamento negli ultimi 10 anni. Rilevazione Integrative” e sono relativi a tutti gli ordini scuola, per l’a.s. 2013-2014 e l’a.s. 2014-2015 sono di fonte Istat - Indagine sull’integrazione degli alunni con disabilità nella scuola primaria e sec. di I grado e sono relativi alla sola scuola primaria e secondaria di I grado. Fonte: MIUR - DGCASIS - Ufficio Statistica e Studi – Rilevazioni sulle Scuole.