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Era una mattina come tante altre, ma qualcosa di diverso stava per accadere: una convocazione dal notaio, un'eredità inaspettata, un lascito davvero particolare che catapulterà Francesco in un mondo che credeva racchiuso solo nelle fiabe e che da quel momento in poi spalancherà le porte coinvolgendo la sua intera esistenza, mettendo in discussione ogni sua certezza, nel bene e nel male.

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Published by Quelli di ZEd, 2023-07-17 06:51:08

Il Testamento, Claudio Paganini

Era una mattina come tante altre, ma qualcosa di diverso stava per accadere: una convocazione dal notaio, un'eredità inaspettata, un lascito davvero particolare che catapulterà Francesco in un mondo che credeva racchiuso solo nelle fiabe e che da quel momento in poi spalancherà le porte coinvolgendo la sua intera esistenza, mettendo in discussione ogni sua certezza, nel bene e nel male.

In uscita il 28/7/2023 ( euro) Versione ebook in uscita tra fine luglio e inizio agosto 2023 (5,99 euro) AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.


CLAUDIO PAGANINI IL TESTAMENTO ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ IL TESTAMENTO Copyright © 2023 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-617-9 Copertina: Immagine Shutterstock.com Prima edizione Luglio 2023


A Beatrice e Mattia, due stelle scese dal cielo per illuminare il mio cuore.


5 PROLOGO Sembrava una mattina come le altre. Un pallido sole illuminava la mia finestra dopo le piogge dei giorni passati mentre il canto degli uccelli, proveniente dagli alberi poco distanti, dava una nota di allegria e di speranza a quel cielo ancora ingombro di nubi. Non avevo voglia di fare granché visto che quello era il mio giorno di riposo dopo una settimana a dir poco pesante. “Ozio, ozio e ancora ozio”, avevo pensato mentre sorseggiavo la mia tazza di caffè fin troppo caldo seduto sul mio comodo divano. “Oggi niente e nessuno potrà dividermi da te”, gli sussurravo accarezzando i suoi morbidi cuscini convinto di quello che dicevo, ma ignaro del fatto che di lì a poco non solo la mia giornata ma l’intera mia esistenza sarebbe stata sconvolta dal suono fastidioso del campanello di casa. «Buongiorno e scusi se la disturbo: lei è il signor Francesco Ignazi?» La persona che avevo davanti era un signore di mezza età, ben vestito, con una valigetta nella mano sinistra e un sorriso professionale del tutto privo di calore. «Mi scusi, lei chi è?» Ero rimasto confuso da quella scarna presentazione e volevo liquidare quello sconosciuto il più presto possibile per tornare ai miei propositi di poco prima. «Mi scusi lei per non essermi presentato: sono il segretario dell’avvocato De Mattei e sono stato mandato per consegnarle una convocazione nel nostro ufficio. Ci sono comunicazioni urgenti che la riguardano e che necessitano della sua presenza nel nostro studio.» «Comunicazioni di che tipo?» Ero sempre più infastidito dalla piega che stava prendendo la giornata e non vedevo l’ora di tornare al mio caffè e ai miei propositi giornalieri. «Non saprei, ma troverà tutto scritto qui, in questa lettera di convocazione. La aspettiamo oggi pomeriggio alle quindici se per lei va bene.» Una busta di carta spessa, pesante, era apparsa come per magia nella mano destra dello sconosciuto e da lì era passata quasi in automatico nelle mie. «Buona giornata signor Ignazi, ci vediamo alle quindici allora…» mi aveva salutato mentre si dirigeva verso il portone. Ero rimasto alcuni


6 secondi come inebetito con la busta in mano e lo sguardo fisso sulla schiena di quello strano individuo, fino a che il rumore del portone che si chiudeva mi aveva fatto tornare improvvisamente alla realtà. «Accidenti!» avevo imprecato chiudendo la porta. «Addio ozio e meritato riposo», avevo aggiunto tra i denti mentre tornavo a sorseggiare il caffè ormai tiepido. Avevo atteso alcuni minuti prima di riprendere in mano la lettera; l’avevo girata e rigirata incerto se aprirla subito o tornare sul divano e rimandare a dopo quella scocciatura. “Ormai la mattina è rovinata”, avevo pensato mentre prendevo il tagliacarte e infilavo la punta nell’angolo appena sollevato. All’interno, in unico foglio piegato in tre, un insieme di frasi cordiali e informali che non svelavano nulla tranne il fatto che ero atteso nel pomeriggio per comunicazioni importanti che mi riguardavano. “Ma che cosa vuole questo avvocato da me? Non mi risulta di aver contenziosi con nessuno, tantomeno procedimenti che mi riguardano. Non parliamo poi di lasciti o eredità visto che ultimamente non è morto nessuno dei miei parenti: quindi?” continuavo a rimuginare tra me e me, combattuto dalla curiosità e dal fastidio che questo contrattempo mi causava. Per fortuna l’ora dell’appuntamento arrivò fin troppo presto e io, in perfetto orario, suonai il citofono dello studio proprio mentre le campane della chiesa vicino iniziavano a scandire l’ora convenuta. «Buongiorno signor Ignazi, prego si accomodi. L’avvocato la riceverà appena possibile.» Era stata la stessa persona che mi aveva consegnato l’invito ad aprire la porta e a farmi accomodare nella sala d’aspetto, una stanza ampia e molto elegante con un soffitto decorato da stucchi dorati e da un affresco rappresentante un paesaggio collinare. «Davvero notevole…» avevo sussurrato tra i denti mentre mi guardavo intorno. Anche le sedie sembravano antiche e s’intonavano alla perfezione con il resto dell’arredamento dando l’impressione di essere in una di quelle case nobiliari che si vedono solo in certe riviste specializzate. L’attesa fu breve e dopo una rapida presentazione mi fecero accomodare su una delle poltrone di fronte alla scrivania dell’avvocato De Mattei, un uomo di mezza età dal sorriso accattivante e dallo sguardo profondo. «Signor Ignazi la ringrazio di essere venuto subito da me. Ho una procura, conferitami alcuni anni fa da suo zio Guglielmo, che mi impone, in caso di dipartita, di assicurarmi che il lascito a lei destinato le venga consegnato di persona, esclusivamente nelle sue mani…» Lo zio Guglielmo? Io non conoscevo nessuno zio con quel nome né tantomeno


7 altri parenti che si chiamassero così. Di chi stava parlando allora l’avvocato? «Mi scusi se la interrompo, ma credo che ci sia un errore: io non ho uno zio con quel nome né l’ho mai sentito nominare. Dev’esserci sicuramente uno sbaglio…» «No, non c’è nessun errore: suo zio è stato via per parecchi anni e non aveva mantenuto rapporti con nessuno dei parenti per motivi che non sta a me rivelare in questa sede. Diciamo solo che era una sorta di “pecora nera” della famiglia, un parente scomodo sotto molti punti di vista. Abbiamo ricevuto mandato che alla sua morte alcuni beni venissero consegnati esplicitamente a lei e a nessun altro e ora siamo qui per eseguire le sue ultime volontà testamentarie.» «Mi scusi, ma io continuo a non capire: perché proprio a me visto che non lo conoscevo nemmeno?» «Lei ignorava la sua esistenza, ma negli ultimi anni il signor Guglielmo si è interessato molto a lei tanto da arrivare alla conclusione che fosse l’unico degno di ricevere e comprendere fino in fondo la sua eredità, “un lascito particolare e difficile da comprendere e da accettare, ma che apre uno spiraglio su un mondo meraviglioso e incredibile” per citare le sue esatte parole. Tutto ciò che le ha lasciato è all’interno di quel baule e questa è la chiave che lo apre. Suo zio si è raccomandato di consegnargliela solo a patto che accetti tutta l’eredità e si impegni a seguire le sue ultime volontà scritte in una lettera a lei indirizzata che si trova all’interno della cassa. Se è d’accordo ad accettare questa clausola vincolante possiamo passare alla parte burocratica, dopo di che sarà libero di tornare a casa con il suo lascito.» «Non ci sono trucchi o tranelli vero? Nel senso: non è che se firmo poi mi tocca pagare per i suoi debiti o eventuali pendenze?» «No signor Ignazi, stia tranquillo: suo zio non aveva debiti né pendenze con nessuno e anche il mio onorario è stato saldato in anticipo per cui alla firma dei documenti il suo unico compito sarà ritirare il lascito e tornare a casa, tutto qui.»


CAPITOLO 1 La grande scatola che avevo ereditato era proprio davanti a me, sul tavolo. Chiamarla baule era decisamente eccessivo anche se le sue fattezze ricordavano molto quei forzieri dei pirati che si vedevano nei film, stracolmi di ori e gioielli. Era troppo leggero per contenere un tesoro, ma il valore del suo contenuto poteva essere diverso da quello dell’oro o dei gioielli. Tenevo in mano la chiave che lo avrebbe aperto ormai da troppo tempo, girandola e rigirandola in attesa di una qualche ispirazione che tardava ad arrivare. Per qualche oscuro motivo ero titubante ad aprirla, come se una vocina interiore mi mettesse in guardia da quell’atto tanto semplice quanto definitivo. Erano state proprio le clausole citate dall’avvocato a rendermi prudente, come se il semplice gesto di infilare la chiave e far scattare la serratura mi costringesse poi a chissà quale folle azione. Ma chi cavolo era lo zio Guglielmo? Nemmeno mia sorella ne aveva mai sentito parlare e nelle foto di famiglia che avevo ereditato dai miei genitori non ve n’era traccia. “Ma eri proprio nostro zio o eri semplicemente un amico di famiglia a cui avevamo dato quell’appellativo quando eravamo troppo piccoli per ricordarti?” rimuginavo tra me e me mentre osservavo per l’ennesima volta quella strana chiave. Era tutta di metallo chiaro, forse argento, dalla foggia antica, finemente arabescata nel tondo dell’impugnatura. Due piccoli rami si intrecciavano lungo tutto il tondo e le foglioline minuscole che si dipartivano dai rami sorreggevano due piccole ali da libellula, in filigrana argentata molto fitta. “Un lavoro davvero notevole, non c’è che dire”, pensavo mentre avvicinavo quella piccola opera d’arte alla serratura. Ormai mi ero deciso: avrei scoperto quello che conteneva lo scrigno e solo in un secondo tempo avrei deciso se tenerlo o riportarlo dall’avvocato rinunciando all’eredità. Il debole scatto della serratura, dopo che la chiave aveva percorso per intero il suo giro, mi aveva fatto trasalire leggermente, ma, senz’altri indugi, avevo sollevato il coperchio rivelando il misterioso contenuto. «Tutto qui?» avevo esclamato ad alta voce, deluso di quello che i miei occhi stavano vedendo: all’interno del piccolo forziere un grosso libro


rilegato in pelle marrone, un paio di occhiali graduati dalla pesante montatura decisamente fuori moda e una grossa busta chiusa da un sigillo di ceralacca, come si usava nell’800. “A mio nipote Francesco” recitava l’intestazione, come se il mittente di quella missiva fosse stato certo che l’avrei ricevuta. “Niente ori o gioielli”, pensavo mentre, con delicatezza, facevo saltare il sigillo con la punta del tagliacarte. Anche qui, come sulla chiave, due ali di libellula erano impresse nella ceralacca, segno che, forse, quel simbolo era più di un semplice ornamento. Caro nipote, capisco bene il tuo sconcerto e la tua sorpresa nel venire a sapere di avere uno zio di cui non sapevi l’esistenza. La mia vita è sempre stata ai margini della famiglia, un po’ per mio volere, un po’ per volere dei miei genitori e di conseguenza anche dei miei fratelli. Io sono quello che viene definito “una pecora nera”, non perché fossi cattivo o perché mi comportassi male, ma semplicemente perché ho sempre avuto fin da piccolo un carattere fiero e indomabile, un piccolo sognatore che anelava a vivere fantastiche avventure in compagnia dei miei amici “particolari”. È questo che la mia famiglia non ha mai capito né accettato: il fatto che io fossi un bambino prima e un adulto poi capace di vedere cose che altri non vedevano, di interagire con un mondo che, pur essendo reale, rimane nascosto alla maggior parte del genere umano. Prima che tu possa pensarlo non sono pazzo né visionario, ma questa mia peculiarità mi ha portato a vivere al di fuori degli schemi classici della società civile, in una sorta di autoesilio che proteggeva me e i miei amici dalla curiosità morbosa della gente e dalla vergogna dei miei familiari. Non per questo, però, ho smesso di interessarmi a voi, tutt’altro; vi sono stato vicino sia pure da lontano, costantemente informato di tutte le vicissitudini che i miei cari attraversavano e ho seguito in special modo tutte le fasi della tua vita perché tra tutti tu sembravi il più promettente, quello con la mente più aperta, capace di non avere pregiudizi né preconcetti, uno spirito avventuroso proprio come me. Per questo ti ho scelto come erede, perché quello che lascio dietro di me non può essere apprezzato da chiunque, ma solo da chi saprà vedere ciò che normalmente non si vede. Come avrai notato il mio lascito non comprende beni materiali, ma conoscenze e segreti raccolti durante tutta la vita, nozioni che ti aiuteranno a capire fatti altrimenti inspiegabili fino a raggiungere il momento in cui, se tutto andrà bene, anche i miei amici si fideranno di te permettendoti di scoprire quello che


io ho scoperto: un mondo meraviglioso che coesiste con il nostro, nascosto eppure reale come l’aria che respiriamo o il calore del sole che ci scalda la pelle. Perdonami se rimango nel vago, se dico cose senza poi spiegarle, ma il percorso che dovrai intraprendere è fatto di piccole scoperte che tu dovrai fare senza l’aiuto di nessuno, proprio per poter acquisire fiducia in te stesso e nelle cose che via via scoprirai. Nel baule troverai il mio paio di occhiali: ti saranno indispensabili per conoscere il primo dei miei amici, quello che forse potrà spiegarti meglio le mie parole. Lo troverai davanti alla chiesetta che sorge vicino al vecchio cimitero; una volta arrivato là, metti i miei occhiali e attendi che lui si faccia vedere, con pazienza e senza alcuna paura. Nel caso non arrivasse ritorna il giorno dopo e il giorno dopo ancora fino a che non vi incontrerete. Ricorda, nipote caro, che non devi aver paura di nulla perché nessuno verrà per farti del male, ma solo per accompagnarti lungo la strada della conoscenza, fino al momento in cui, se tutto andrà bene, potremo finalmente incontrarci, anche se in un modo del tutto particolare. Tuo affezionato zio Guglielmo Avevo posato quello spesso foglio di carta con una sensazione di turbamento e di sconcerto. C’erano tante cose su cui meditare, prima tra tutte “perché” lo zio avesse scelto proprio me come erede. Da quel poco che avevo capito avevamo caratteri simili, “con i piedi per terra ma la testa tra le nuvole” come diceva sempre mia madre quando mi sorprendeva a fantasticare a occhi aperti, un aspetto del mio essere che adoravo e che conservavo gelosamente anche dopo esser diventato adulto. “Sarà questo che ha convinto lo zio ad affidarmi le sue cose? Cosa sarà mai questo misterioso percorso che mi esorta a intraprendere seguendo le sue orme? E chi saranno mai questi misteriosi amici?” erano alcune delle innumerevoli domande che affollavano la mia mente mentre prendevo dal baule il grosso volume rilegato in pelle scura. Aveva l’aspetto antico, solido e massiccio come se fosse stato fatto a mano con lo scopo di durare nel tempo. Il cuoio marrone con cui era fatta la copertina era stato marchiato a fuoco con un simbolo semplice ma d’impatto: un cerchio di rami fioriti con al centro due ali sottili di libellula che sembravano vibrare nell’aria. “Di nuovo queste ali…” avevo pensato mentre ne seguivo i contorni con la punta dell’indice. La carta era grezza, ruvida, ma conferiva un ulteriore alone di mistero a tutta la faccenda, come se l’autore di quel manufatto l’avesse realizzato pezzo


per pezzo, pagina dopo pagina con le proprie mani raggiungendo un risultato di tutto rispetto. Un foglio ripiegato sotto la copertina aveva attirato immediatamente la mia attenzione. Era bianco, moderno e industriale, a differenza degli altri del libro, messo in bella mostra proprio per essere letto prima di iniziare a sfogliare il resto delle pagine, forse una sorta d’introduzione a ciò che avrei trovato successivamente. A chiunque legga questo libro. Mi chiamo Guglielmo Ignazi e per lungo tempo sono stato attratto da tutti i piccoli misteri che ci circondano, quelle particolari situazioni, casualità, che ci rendono perplessi e attenti verso un mondo a noi precluso, inavvicinabile, tanto effimero quanto reale: quello del Piccolo Popolo. Spero che chi leggerà ciò che ho scritto su di loro non mi prenda per un pazzo visionario, ma che affronti la lettura di questo volume con mente aperta e curiosa com’era la mia quando iniziai questa meravigliosa avventura. Fin da piccolo avevo notato delle curiose coincidenze, piccoli fatti all’apparenza senza significato, ma che, messi uno accanto all’altro, offrivano spunto per riflessioni che solo una mente da fanciullo poteva trovare stimolanti; essi poi nel corso degli anni hanno acquisito connotati di prove e certezze per chi, come me, non ha voluto fermarsi alla semplice apparenza delle cose ma ha voluto scavare a fondo fino a raggiungere la verità. Qui troverai come si è svolto il mio percorso, che non dev’essere necessariamente uguale al tuo, ma per poterlo intraprendere avrai bisogno di qualcosa di speciale, un oggetto che lascerò solo a chi reputerò degno di proseguire la mia opera per cui, se tu non fossi lui, scusami se ti ho fatto perdere tempo inutilmente. Guglielmo Ignazi Era una lettera d’introduzione nello stile dello zio, non c’era alcun dubbio, misteriosa e sibillina come quella che avevo letto poco prima. Tutto ciò mi stava davvero incuriosendo, anche se non avevo ben chiaro il motivo di tanto mistero e di tanta segretezza. Sembrava che quelle poche righe fossero state scritte prima che lo zio avesse deciso di nominare me come suo erede, quando non era ancora certo in quali mani sarebbe finito tutto il suo lavoro, tutta la ricerca di una vita intera. Eppure il suo libro era nella cassa alla portata di chiunque per cui, se era così prezioso e particolare perché non lo aveva custodito in un luogo a parte?


La risposta si era palesata sotto i miei occhi non appena avevo cominciato a sfogliarne le pagine, una dopo l’altra, tutte fatte con la stessa carta ruvida e spessa, tutte ugualmente e irrevocabilmente bianche, dalla prima all’ultima. “Ma che scherzo è questo?” avevo pensato, divertito e irritato allo stesso tempo; non era possibile che tutto questo si riducesse a un semplice scherzo di un parente burlone, di una persona che senza conoscermi aveva architettato una simile presa in giro senza peraltro poterne vedere il risultato. Quelle pagine dovevano sembrare bianche a chiunque le guardasse senza avere le qualità elencate nella lettera perché il loro contenuto era riservato a chi voleva cercare la verità, a chi desiderava conoscere le scoperte dello zio intraprendendo il suo stesso cammino e io ero sempre più convinto a farlo, specialmente dopo aver aperto quel volume. «Spero proprio di non fare una sciocchezza di cui poi potrei pentirmi», avevo detto ad alta voce riponendo tutto quanto al proprio posto e riprendendo in mano la lettera che avevo letto per prima. «… conoscerai il primo dei miei amici, quello che forse potrà spiegarti meglio le mie parole. Lo troverai davanti alla chiesetta che sorge vicino al vecchio cimitero…» Era un luogo che ben conoscevo perché da piccolo ci andavo tutti i giorni a giocare con i miei amici. C’era un piazzale davanti alla cappella, perfetto per giocare a palla senza che qualcuno protestasse per il chiasso che inevitabilmente facevamo durante i nostri incontri. Ci eravamo andati per anni, ogni giorno, fino a che era successo qualcosa che mi aveva convinto a non tornare mai più in quel luogo: un pomeriggio eravamo intenti come al solito a giocare a pallone; avevamo sistemato due porte una davanti all’altra, la prima a ridosso del portale della chiesa, l’altra vicino al muretto che delimitava lo spiazzo e che separava la piazzetta da un piccolo dirupo di cinque o sei metri terminante sulla strada sottostante. Lo avevamo fatto un’infinità di volte e non era mai successo nulla, ma quel giorno qualcosa era andato diversamente: Luca, il mio migliore amico, aveva fatto un tiro davvero potente verso la mia porta e io, che volevo pararlo a tutti i costi, mi ero tuffato per intercettarlo, incurante del fatto che ero pericolosamente vicino al bordo della recinzione. Il pallone mi aveva colpito con violenza proiettandomi all’indietro verso il vuoto e mentre mi sentivo cadere nel vuoto, era successo un fatto inspiegabile: qualcosa o qualcuno mi aveva afferrato la mano tirandomi indietro quel tanto che bastava per colpire la sommità del muretto e cadere all’interno della piazza, una stretta gelida che mi aveva probabilmente salvato la vita ma che mi aveva terrorizzato


a morte. Non c’era nessuno vicino a me, né i miei amici né altri, solo io tra i pali della porta, eppure ero stato afferrato e salvato da qualcosa che nessuno di noi era riuscito a vedere e che ci aveva spaventato al punto da decidere di non tornare mai più a giocare in quel posto. “Perché proprio lì dovrei incontrare l’amico dello zio?” continuavo a chiedermi mentre un brivido gelido mi scorreva lungo la schiena. Era la stessa sensazione che avevo provato nell’attimo in cui avevo realizzato che sarei potuto morire quel lontano giorno della mia infanzia e che ora riprovavo all’idea di tornare in quel luogo. “Chissà chi verrà a incontrarmi, dopo tutti questi anni”, avevo rimuginato tra me e me mentre riponevo il tutto rimandando a domani ogni decisione sul da farsi.


CAPITOLO 2 Tornare in quel luogo non era stato facile anche se, dopo tutti questi anni, molto era cambiato. La chiesetta era decisamente in uno stato di pietoso abbandono, visibilmente sconsacrata e adibita probabilmente a magazzino per il custode del cimitero. Anche la piazzetta sembrava molto più piccola di come la ricordavo, asfaltata con un manto nero rovinato in più punti. Quello che invece era rimasto come lo ricordavo era il muretto che delimitava l’area, scheggiato e rovinato dal tempo e dalle intemperie ma ancora fieramente al suo posto a difesa dal dirupo che si stendeva poco dietro. Quanti ricordi mi avevano assalito mentre rivedevo me e i miei amici nei pomeriggi assolati e quel brivido gelido che avevo provato nell’attimo in cui avevo oltrepassato la recinzione verso una fine tristemente certa. Eppure ero caduto all’interno dello spiazzo, incredulo e sconcertato da quel prodigio improvviso, terrorizzato da quel tocco sovrannaturale che mi aveva salvato la vita: ero stato miracolato e non avevo nemmeno ringraziato per quell’intervento divino. Ora ero lì ad attendere qualcuno che forse non sarebbe arrivato, a ricordare eventi passati esprimendo sottovoce quella gratitudine che non avevo saputo concretizzare sul momento. Ma a chi o a che cosa dovevo essere grato? Non l’avevo mai capito, e quell’incertezza mi aveva ancor più confuso e sconcertato fino a che non ci avevo più pensato, fino a questo momento almeno. Gli occhiali erano ancora nella mia tasca, troppo strani per poterli indossare quando c’era gente; mi vergognavo a farmi vedere con quella roba sul naso, con quelle lenti che sembravano fondi di bicchiere. Però nessuno arrivava e forse era proprio quel gesto che tanto mi pesava il segnale che qualcuno attendeva per farsi vedere. Avevo aspettato che non ci fosse nessuno prima di indossare quella pesante montatura, ma non ero di certo pronto a quello che avrei visto. «Ciao Francesco…» «Accidenti!» avevo esclamato ad alta voce strappandomi quell’affare dalla faccia. Non c’era nulla davanti a me, ma, per qualche strano motivo che non riuscivo a comprendere, attraverso le lenti avevo visto qualcuno in piedi che mi sorrideva benevolo.


«Accidenti! Ma che cavolo succede?» continuavo a imprecare mentre il cuore non voleva saperne di rallentare. «Mi dispiace che ti sia spaventato, ma non sono qui per farti del male, piuttosto per spiegarti molte cose. Speravo che tuo zio ti avesse preparato a quest’incontro, ma, conoscendolo bene, era ovvio che non l’avrebbe fatto. Ora puoi rimettere gli occhiali e continuare il nostro incontro oppure riporli nella tasca e andartene, a te la scelta. Sappi solo che se te ne andrai perderai un’occasione unica di scoprire molte cose, prima tra tutte il vero motivo per cui non sei più tornato a giocare in questo luogo.» «Tu cosa ne sai che venivo a giocare qui? È passato così tanto tempo…» «Io sono quel motivo, ma se sarai così gentile da rimetterti gli occhiali, sarò ben lieto di spiegarti.» Non ero certo di voler rivedere la visione di prima, ma ero curioso di ciò che diceva quella voce proveniente dal nulla per cui, con una certa riluttanza e con molta cautela, avevo ubbidito. C’era un uomo davanti a me dove prima c’era solo spazio vuoto, un frate a giudicare dall’abito che indossava, un viso gioviale come le immagini sui calendari ma comunque inquietante visto il modo in cui si era materializzato. Perché lo vedevo solo attraverso gli occhiali? Quale trucco magico era mai quello? Era rimasto fermo davanti a me, in silenzio, come se volesse darmi il tempo di accettare quello che stava accadendo e l’espediente stava cominciando a dare i suoi frutti visto che alla paura si stava lentamente sostituendo la curiosità. «Chi sei e perché riesco a vederti solo attraverso questi affari?» «Io sono padre Nicola, un frate cappuccino che abitava nel piccolo convento che sorgeva dove ora ci sono quel gruppo di mausolei di famiglia, laggiù in fondo ai piedi della collina. Ero molto amico di tuo zio, purtroppo solo in questa veste effimera perché la mia dipartita da questo mondo è avvenuta molto tempo fa. Io ero il custode del piccolo cimitero che sorgeva alle porte del nostro convento, poca cosa a paragone di ciò è diventato adesso, ma sono rimasto a prendermi cura dei poveri defunti che qui vengono portati per il loro eterno riposo. È stato proprio in questo luogo, davanti alla cappella, che tuo zio mi ha visto mentre provava quegli strani occhiali, e invece di urlare spaventato mi si è avvicinato presentandosi con cortesia ed educazione. Era un uomo davvero eccezionale, curioso e attento ma anche umile nel comprendere la sua ignoranza verso una diversa realtà che solo allora si rivelava a lui e fu proprio per quelle qualità che cominciai a insegnargli i primi


rudimenti del mondo invisibile che vi circonda: quello del Piccolo Popolo.» «Sei stato tu a salvarmi quando ero piccolo e venivo qui a giocare a pallone con i miei amici?» «Sì, tuo zio mi aveva chiesto di tenerti d’occhio per vedere se avessi le potenzialità sufficienti per prendere un giorno il suo posto; ti descriveva come un ragazzo esuberante e attento, curioso ma aperto a tutto ciò che ti circondava. Ti osservava da tempo, tenendosi a distanza perché la vostra famiglia lo aveva ripudiato per le sue “stramberie” e non voleva avere più nulla a che fare con lui. Quel giorno hai rischiato di morire e io sono dovuto intervenire, a costo di rivelarti la mia presenza troppo presto: ti ho afferrato appena in tempo e ti ho fatto cadere dalla parte interna del muretto, ma facendo ciò ti ho spaventato allontanandoti da questo luogo e dalla mia supervisione fino a oggi…» Tutto cominciava ad avere un senso in questa strana storia, a patto di accettare a priori il fatto di stare parlando con un fantasma che riuscivo a vedere solo grazie a degli occhiali dalle lenti “magiche”. «Parlami di mio zio: io non ricordo di averlo mai conosciuto per cui non capisco il motivo per cui ha scelto proprio me come suo erede, erede poi di cosa?» «Guglielmo era una persona dallo spirito puro; era affascinato da tutti quei piccoli segnali che tradivano l’esistenza di qualcosa oltre il normale mondo che riuscite a vedere e fin da giovane aveva cercato di capire cosa si celasse dietro quelle incongruenze che sembrava solo lui notasse. Mi aveva raccontato che un giorno, durante un’escursione in montagna, aveva salvato un piccolo spiritello, un acqualimpida per l’esattezza, che era finito non si sa per quale motivo tra le rocce di un dirupo, troppo lontano dal ruscello da cui probabilmente proveniva. Aveva una delle ali completamente asciutta e secca e sarebbe morto di lì a poco se tuo zio non l’avesse trovato. Lo aveva raccolto con mille attenzioni e deposto nel recipiente che teneva nello zaino, riempiendolo poi con l’acqua fresca della sua borraccia. Credo che avesse agito d’istinto, senza nozioni particolari su come si soccorre uno della sua specie, ma il suo intervento gli aveva salvato la vita e quel gesto gli era valsa la gratitudine dello spiritello e l’inizio di un percorso che lo avrebbe portato molto lontano. Era risalito fino a dove il piccolo torrente formava una sorta di stagno e lì lo aveva depositato tra i soffici muschi che coprivano le sue sponde. Le sue ali, simili a quelle delle libellule, erano tornate quasi normali, ma il piccolo essere era ancora troppo debole per poter volare via e così Guglielmo era rimasto accanto al suo nuovo amico aspergendolo di tanto


in tanto con l’acqua del laghetto fino a che, finalmente, l’acqualimpida era tornato pienamente in forma. Lo aveva ringraziato per il suo intervento con quel modo particolare che hanno di proiettare i loro pensieri nella mente altrui ed erano rimasti a lungo a chiacchierare tra loro. Al momento del commiato, lo spiritello gli aveva rivelato il luogo dove trovare gli occhiali che ora indossi tu e il modo per cominciare a scoprire il mondo del Piccolo Popolo, piccoli passi per guadagnare la loro fiducia, perché a quasi nessuno era concesso il privilegio di varcare i loro confini. Così era iniziata la sua avventura, con un gesto di puro altruismo. Mi ha raccontato che da quel momento aveva cominciato a prendere appunti su tutto ciò che gli succedeva e poi, in un secondo tempo, li aveva raccolti in un diario, una sorta di vademecum che avrebbe lasciato al suo successore per aiutarlo a capire e a percorrere in modo corretto tutte quelle tappe che lo avrebbero portato dove lui era faticosamente giunto.» «Ce l’ho io quel libro: era nella cassa insieme agli occhiali e a una lettera che mi esortava a venire qui a incontrare qualcuno che mi avrebbe spiegato tutto.» «Io sono solo una sorta di mentore, una guida che ti accompagnerà nel difficile cammino che stai per intraprendere: posso consigliarti o darti alcune informazioni, ma sarai solo tu a prendere le decisioni, a scegliere cosa è giusto e cosa sbagliato, perché l’unico modo per venire in contatto con il Piccolo Popolo è la purezza di cuore e la sincerità, due qualità che dovrai dimostrare più volte prima che le creature del mondo fatato possano fidarsi di te.» «Non potrei chiedere a quell’essere che mio zio ha salvato di intercedere per me, quell’acqualimpida o come si chiama?» avevo chiesto d’impulso conoscendone inconsciamente la risposta. «No, non funziona così. Per secoli il Piccolo Popolo è stato oggetto di persecuzioni da parte degli umani, per ignoranza, superstizione o anche solo per malvagia curiosità. Si sono dovuti nascondere, celandosi alla vista e rimanendo nell’ombra per evitare la cattura, svolgendo comunque il loro compito in condizioni davvero disagiate. Per questo è difficile contattarli ed è per questo motivo che è quasi impossibile conquistare la loro fiducia al punto da renderli visibili. Dovrai essere davvero convincente e seguire il sentiero delineato da tuo zio, ma dovrai essere tu a dimostrare la tua buona fede, non lui. Ti senti pronto per tutto questo?» «In verità non lo so; mi sembra tutto così strano, assurdo, ma è irrazionale anche il fatto di parlare con te per cui non so più a cosa credere. Devo pensarci bene prima di capire cosa voglio fare perché non


voglio deludere nessuno, né mio zio che ha riposto in me le sue speranze e i suoi sogni né gli esseri che potrei incontrare e a cui potrei fare involontariamente un torto. Se per te va bene tornerò domani sperando di avere le idee un po’ più chiare, sei d’accordo?» «Direi che hai preso la decisione più sensata: Guglielmo sarebbe fiero di te, ne sono sicuro.» «Lo spero proprio, a domani allora.» Lo avevo salutato semplicemente con quella frase, senza un cenno di saluto né uno sguardo mentre mi allontanavo, la testa piena di emozioni contrastanti, di timori e aspettative per qualcosa che nemmeno comprendevo appieno. “In che cosa mi sto cacciando?” continuavo a pensare mentre tornavo a casa, confuso e frastornato come non mi era mai capitato. Le risposte che cercavo probabilmente erano tutte in quel libro che ora tenevo aperto tra le mani, con i fogli misteriosamente bianchi che celavano chissà quali segreti agli occhi di chi non era degno di leggerli. Fosse stato semplice non ci sarebbe stato bisogno dell’incontro con il fantasma di padre Nicola, tantomeno di tutte le sue raccomandazioni sulla fiducia e sul cuore puro necessario per iniziare il cammino. Avevo il presentimento che il percorso sarebbe stato graduale, passo dopo passo, enigma dopo enigma in una sorta di viaggio spirituale, quasi mistico, alla scoperta di qualcosa che per me esisteva solo nelle favole e nelle leggende: le creature del Piccolo Popolo. «Come faccio a leggerle?» mi ero chiesto più volte mentre osservavo attentamente la rozza trama della carta da ogni angolazione, sotto ogni luce possibile. Non c’era nulla che suggerisse il modo, né a nulla era valso usare gli occhiali che mi avevano permesso di vedere lo spettro. Ma allora a cosa serviva? Ci avevo ragionato tutta la sera soppesando i pro e i contro che una simile avventura comportava; mio zio era stato praticamente bandito dalla famiglia per le sue idee e per la sua ossessione verso qualcosa che nessuno di loro aveva mai visto. Un pazzo visionario, lo avevano certamente etichettato, allontanandolo da tutti gli affetti, me incluso. Chissà quante cose avremmo potuto fare insieme, quante scoperte e quante avventure in compagnia dei suoi piccoli amici e invece ero venuto a conoscenza della sua esistenza solo dopo che se n’era andato per sempre. «Tutto questo non può andare perduto», avevo mormorato mentre richiudevo il pesante volume riponendolo con cura nel piccolo baule. Sembrava che la decisione fosse ormai presa, ma volevo comunque dormirci sopra prima di scegliere in modo definitivo quale sarebbe stata


la mia strada futura, per cui, con la testa ancora piena delle parole di padre Nicola, me ne andai a letto sperando in una nottata ricca di buoni consigli.


CAPITOLO 3 «Come hai conosciuto mio zio?» Ero tornato la mattina successiva, dopo una notte agitata piena di sogni privi di senso ma con la determinata certezza di accettare l’eredità che mi aveva lasciato il mio strano parente. Avevo atteso che il piazzale fosse deserto prima di mettermi sul naso quel buffo paio di occhiali, scoprendo con piacere che lo spettro era in piedi davanti a me, in rispettosa attesa di un mio cenno. «Prima di tutto voglio sapere cosa hai deciso. So che finora non hai avuto molti elementi su cui decidere, ma prima di andare avanti con questa conversazione devo sapere se onorerai le richieste di Guglielmo oppure proseguirai con la tua vita di sempre, incurante di quello che hai appena intravisto del mondo invisibile che ti circonda.» «Perché è così importante che io decida subito? Non posso capire prima in che guaio mi sto per cacciare e poi valutare se ne vale la pena oppure no?» «No, non funziona così: grazie al lascito di tuo zio e all’incontro con me sai già più di quello che normalmente sarebbe consentito. Tu hai già la prova che Guglielmo non era un visionario ma un pioniere in un mondo che volutamente evita ogni contatto con gli umani e hai tutti gli elementi per valutare se vuoi continuare la sua opera oppure voltargli le spalle come hanno fatto i tuoi parenti prima di te. Non ti dirò nulla di più di quanto già sai fino a che non mi avrai giurato che accetterai le sue ultime volontà con tutto ciò che ne consegue.» «Avevo già intenzione di accettare, ma ora sono più che mai convinto che seguirò le sue orme fino a completare il lavoro di tutta la sua vita.» «Credo che se potesse sentirti sarebbe orgoglioso di te. Qual era la domanda? Ah sì, come ci siamo conosciuti…» Guglielmo aveva la rara capacità di captare quei particolari che stonavano con il resto del paesaggio che lo circondava. Il movimento anomalo delle foglie, un rumore inspiegabile, oppure semplicemente la sensazione che qualcuno o qualcosa lo stesse osservando, lo spronava sempre di più a cercare una spiegazione, un motivo per cui tutte quelle cose accadevano, e lo faceva con un entusiasmo tale da incuriosire gli


abitanti del Piccolo Popolo. Alcuni giocavano con lui e lo prendevano in giro, certi che prima o poi, non trovando spiegazioni a quei fenomeni, avrebbe abbandonato le sue ricerche, altri si tenevano prudentemente lontani perché avevano capito di che pasta era fatto tuo zio. Sta di fatto che non passava certamente inosservato, specialmente per i suoi simili, in particolare i suoi familiari che lo giudicavano strambo se non addirittura folle. Quando venne in possesso degli occhiali cercò i tutti i modi di usarli, ma nessuno volle farsi trovare sul suo cammino proprio per evitare di infrangere il voto di segretezza che ci aveva protetti per secoli. Stanco e abbattuto per i continui insuccessi era venuto qui, sedendosi proprio dove sei tu ora, il viso tra le mani e l’angoscia nel cuore. Stava cominciando a dubitare seriamente delle sue convinzioni, nonostante l’incontro con lo spiritello del ruscello, e temeva di buttare via la sua vita e i suoi affetti per rincorrere le sue fantasie. Io ero poco distante da qui, tra ciò che rimaneva del mio piccolo convento, ma nonostante la distanza avevo chiaramente percepito il suo dolore e non ero riuscito a non farmi travolgere da esso. Mi ero avvicinato con cautela per scoprire il motivo di tanto sconforto; ignoravo che in quel momento indossasse ancora le lenti fatate, ma non potevo far finta di nulla di fronte a tanta tristezza anche se non sapevo ancora come aiutarlo. A volte noi spiriti riusciamo ad alleviare le pene di chi si reca a trovare i propri cari sepolti in questo cimitero, ma non sembrava che tuo zio appartenesse a questa categoria per cui, imprudentemente, mi ero ulteriormente avvicinato cercando di infondere con la mia presenza un po’ di pace in quell’anima travagliata. Fu questo il mio errore: Guglielmo aveva percepito la mia presenza e aveva alzato di scatto la testa proprio nella mia direzione. Quando vidi gli occhiali e l’espressione stupita sul suo viso, capii immediatamente di aver fatto un errore imperdonabile e cercai in tutti i modi di fuggire il più lontano possibile. «Aspetta! Ti prego non andare via anche tu, fermati! Abbi pietà del mio dolore e permettimi di scambiare qualche parola con te, ti prego…» Era una supplica talmente straziante che non avrei mai potuto non esaudirla, per cui mi fermai e lentamente tornai sui miei passi, conscio che da quel momento tutto sarebbe cambiato, per me e per lui. «Chi ti ha dato quegli occhiali?» gli avevo chiesto stupito: gli oggetti magici erano riservati al Piccolo Popolo ed era severamente proibito cederli agli umani, per qualsiasi motivo. «Me li ha dati uno spiritello appartenente al popolo fatato, un acqualimpida credo che si chiami, o meglio, mi ha suggerito dove


cercare per trovarli. Non mi ha detto a cosa servissero, solo che mi avrebbero aiutato a superare la barriera che divide il mio mondo dal vostro, il primo passo verso un contatto vero e proprio con qualcuno di voi. Da allora, quando sono solo, li metto e scruto con attenzione tutto ciò che mi circonda, ma fino a ora non avevo trovato nulla, fino a quando non ho visto te…» Non aveva senso fuggire visto che ormai sapeva che esistevamo: avrebbe cercato qualcun altro con quella sua cocciuta testardaggine e lo avrebbe sicuramente trovato grazie a quegli occhiali speciali, ma sarebbe stato altrettanto pacifico e comprensivo? Era un’alternativa che non volevo nemmeno prendere in considerazione per cui, a malincuore, feci la prima di molte scelte potenzialmente discutibili che molti della mia specie avrebbero definito senza mezzi termini “tremendi errori di valutazione”. Guglielmo sapeva come ottenere ciò che voleva, non con la forza o con l’astuzia, bensì con una genuina e innocente curiosità, come un bambino che chiede spiegazioni alle persone adulte su tutto ciò che lo circonda. Fu probabilmente questa rara qualità che lo protesse nel suo lungo cammino di conoscenza, quella disarmante semplicità con cui affrontava tutte le cose nuove, tutti i personaggi del Piccolo Popolo che via via ebbe l’onore di conoscere e con i quali poté condividere una profonda amicizia. Io spero davvero che anche tu possieda queste virtù, perché senza di esse non ti sarà permesso continuare su questo cammino. Avevo ascoltato il racconto con molta attenzione, rapito dall’enfasi e dal sentimento con cui lo spettro narrava il suo primo incontro con mio zio. Chissà come gli aveva battuto forte il cuore nello scoprire che tutto ciò in cui credeva si stava rivelando reale, sicuramente come batteva il mio appena presa la decisione di ripercorrere la strada intrapresa da Guglielmo prima di me. “Ma avrò la stessa anima candida?” era il pensiero che mi assillava più di tutti, una sorta di incertezza che m’impediva di assaporare appieno quell’incontro. «Come faccio a sapere se ho le stesse qualità dello zio? Se la mia voglia di conoscenza è pura e innocente o dettata solo da una curiosità e nulla più?» «Sono le stesse paure che aveva tuo zio man mano che si addentrava nei segreti del Piccolo Popolo, ma la gioia nel conoscere nuovi spiriti e nuove entità lo riempiva talmente di felicità da dimenticare immediatamente ogni dubbio e ogni altro pensiero. Spero che succeda lo stesso anche a te, ma se ti accorgessi del contrario allora fermati subito


perché gli abitanti del mondo fatato se ne accorgerebbero immediatamente e le conseguenze potrebbero essere drammatiche.» «Qual è il passo successivo?» avevo chiesto senza nemmeno pensare, mentre un calore innaturale saliva dal mio cuore. «Sei tale e quale tuo zio, riesco a vederlo così nitidamente… Torna qui domani mattina e aspettami: ti affiderò il primo dei compiti che ti porteranno a capire con che spirito affrontare questa meravigliosa avventura. A domani…» «A domani padre Nicola e…grazie.» Me ne andai così, senza voltarmi indietro, conscio dello sguardo benevolo del mio nuovo amico sulla schiena. C’erano troppe cose da elaborare, prima fra tutte la consapevolezza che il mio mondo sarebbe cambiato, se in meglio o in peggio era tutto da scoprire. Mi ero avviato verso casa, ma la mia mente era altrove a fantasticare di spiriti e spettri, fate e gnomi, elfi e folletti, sempre che esistessero per davvero nella forma che ero abituato a conoscere dalle fiabe. La mattina del giorno dopo arrivò fin troppo presto, dopo una notte popolata da strani sogni e da un dormiveglia ancora più inquietante. Mi ero sentito osservato nei momenti in cui ero sicuro di essere sveglio, una sensazione non supportata da nessuna prova certa, ma che mi aveva messo in agitazione e in ansia, come se stessi sostenendo un esame con cui non potevo in nessun modo interagire. Avevo anche cominciato a ricordare; dapprima solo rapide immagini senza apparente significato, poi intere sequenze dove lo zio mi faceva giocare all’aria aperta, insegnandomi il nome di cose che solo lui sembrava vedere. Sembrava che qualcosa si fosse sbloccato nella mia mente, come se una parte della mia esistenza stesse lentamente riaffiorando dai meandri della mia memoria, una reminiscenza di cose passate che io avevo del tutto dimenticato. Sentivo che lo zio Guglielmo era stato per un lungo periodo presente nella mia vita di fanciullo, almeno fino a quando la famiglia non lo aveva allontanato ritenendolo pazzo. Cosa facessimo in quei lunghi pomeriggi non mi era del tutto chiaro, ma di una cosa ero sicuro: questo ritorno di memoria era stranamente coinciso con il suo lascito e questo non poteva non incuriosirmi sugli eventuali sviluppi futuri. Il piazzale era deserto, fatta eccezione per alcune vecchiette che si recavano quotidianamente al cimitero, un rito che non ero mai riuscito a capire. Mio padre diceva sempre che quando si muore, ciò che rimane è solo un vestito vecchio, logoro e sporco: quello che si era in vita è già volato via o conservato nella memoria delle persone che ti avevano voluto bene. È assurdo conservare e custodire un mucchio di stracci rotti,


li si butta via e basta. Anche io la pensavo così prima della sua morte e ancora oggi condividevo in parte quel pensiero, ma il sapere di avere un posto dove poter andare a parlargli riusciva ancora a confortarmi oltre a riempirmi l’animo di tristezza. Avevo aspettato a lungo prima di sentire la voce del mio amico proprio alle mie spalle, una lunga attesa che mi aveva non poco innervosito. «Buongiorno Francesco. Oggi, come prima lezione stai imparando il significato di pazienza. Gli abitanti di Altromondo, così il Piccolo Popolo chiama la dimensione in cui vive, vorranno avere la certezza che tu non possa nuocergli e per averla agiranno secondo i loro tempi e non i tuoi. La pazienza è la prima delle virtù che dovrai imparare, perché senza quella non riuscirai mai a passare oltre questa fase.» “La pazienza: era logico che il primo requisito fosse quello, visto che coloro che dovevano accordare la loro fiducia erano estremamente prudenti e sospettosi. Questo poteva rivelarsi un problema visto il mio carattere impulsivo e decisamente poco tranquillo”, pensavo mentre cercavo di metabolizzare le sue parole. «Come faccio a imparare a essere paziente e riflessivo se per tutta la vita sono stato decisamente l’opposto?» «Come fece a sua volta tuo zio: anche lui cercava di accelerare i tempi, troppo entusiasta di quanto stava scoprendo, ma comprese che in quel modo non sarebbe andato da nessuna parte. A poco a poco, aveva cambiato il modo di approcciarsi al mondo fatato e, come per magia, erano arrivati anche i primi risultati. Questo è l’unico sistema, non ce ne possono essere altri.» «Va bene, ho capito; ci metterò tutto l’impegno possibile per cambiare le mie abitudini, ma temo che avrò bisogno del tuo aiuto e del tuo sostegno per riuscirci.» «Lo avrai, come l’ha avuto Guglielmo prima di te. Il tuo primo compito è raccogliere il polline dei giaggioli che crescono lungo le rive del torrente: non è un lavoro stupido te l’assicuro, perché tutto ciò che ti verrà chiesto di fare avrà sempre un’ottima motivazione. Devi prendere un lungo filo d’erba e toccare con la punta la parte interna del fiore fino a che non si colorerà di lilla. Scrollala dentro questa fiala e ripeti l’operazione fino a che non l’avrai riempita, dopo di che riportamela e io ti insegnerò a cosa serve.» «Va bene, vado subito», avevo risposto pieno di entusiasmo prendendo il minuscolo recipiente e incamminandomi verso il corso d’acqua. Le rive, un po’ più a monte, erano piene di fiori per cui speravo fosse un’incombenza facile e veloce, tutto l’opposto di ciò che si era rivelata


poi in seguito. Di fiori del giusto colore ce n’erano davvero tanti, ma il metodo con cui estrarre il polline si era rivelato difficoltoso e con risultati davvero minimi. La fiala era simile a quella che si usa per le iniezioni, con un minuscolo tappo di sughero che ne chiudeva l’imboccatura, ma il prelievo di polvere dall’interno del fiore era minimo se non quasi inesistente. Erano passate diverse ore e ancora dentro la boccetta si intravedevano solo alcune tracce di sostanza violacea, ben lontana dalla quantità richiesta per quella missione. «Accidenti, non ce la farò mai a riempire l’ampolla, è impossibile davvero», continuavo a bisbigliare sottovoce mentre caparbiamente passavo da un fiore all’altro senza sosta. Intorno a me i rumori della natura cantavano la loro melodia mentre gli insetti e le farfalle continuavano le loro faccende incuranti di me e delle mie frustrazioni. Il sole stava ormai declinando al tramonto e il mio bottino era stato davvero irrisorio: a stento si intravedeva la polvere lilla nella piccola fiala, magro risultato per una giornata di lavoro. “Mi ci vorrà una vita intera…”, pensavo sconsolato mentre cercavo di non far caso ai dolori che avevo alla schiena e alle ginocchia. Anche i suoni intorno a me erano cambiati: oltre al rumore dell’acqua che scorreva vicina, il cinguettio degli uccelli si era fatto più rado, più distante, mentre gli insetti continuavano il loro ronzio cercando di terminare il proprio lavoro prima che la luce del sole lasciasse il posto alle tenebre della notte. Ma c’era un altro rumore, nascosto tra quelli che avevo sentito per tutta la giornata, lieve, quasi argenteo, come una risatina a stento soffocata. Mi ero seduto tra i fiori e avevo chiuso gli occhi per meglio concentrarmi su quel suono ed eccolo ritornare, un po’ più forte di prima, un po’ più vicino. «Buongiorno…» avevo bisbigliato a bassa voce. «O meglio buonasera visto che il sole ormai sta tramontando.» Il suono era cessato di colpo, ma la sensazione di non essere solo era rimasta, più forte di prima. Avevo atteso ancora qualche istante per parlare di nuovo, per cercare di far capire a chiunque fosse nelle vicinanze che non aveva nulla da temere da me. «Ti ho sentito ridere: era così buffo quello che facevo?» Ancora silenzio, ma ora i rumori erano cambiati: gli insetti avevano smesso di ronzare come se anch’essi stessero aspettando che qualcuno rispondesse alle mie parole. «Io sono Francesco e sono qui per raccogliere il polline di giaggiolo per un amico che ora aspetta il mio ritorno e rimarrà deluso del risultato. Io ce l’ho messa tutta, ma ciò che ho raccolto a stento si vede sul fondo della fiala…» avevo continuato a parlare nonostante il silenzio regnasse


intorno a me, conscio della presenza di qualcuno o qualcosa che si era avvicinato incuriosito ma che continuava cocciutamente a rimanere in silenzio. «Forse ho sbagliato qualcosa, ma questo è il metodo che mi ha insegnato e non riesco a capire perché il risultato è così misero.» «Forse perché l’insegnamento che dovevi imparare oggi non era come raccogliere polline, ma qualcos’altro, non credi?» La voce era molto vicina, sottile ma in un certo senso profonda, come se chi mi aveva parlato volesse farmi capire una verità importante. «Perciò ridevi? Perché non avevo capito che tutto questo lavoro era inutile?» Non ero assolutamente arrabbiato, piuttosto curioso da quell’incontro inaspettato. Avevo cominciato a capire che il fine ultimo di tutta la mia fatica non era ciò che avevo nella fiala, ma la pazienza con cui mi ero dedicato a quell’inutile lavoro e il premio per la mia abnegazione era stato proprio quell’incontro inaspettato. «Perdonami, non volevo essere scortese, ma era da tanto che non mi divertivo così, da quando un altro essere umano era venuto qui a fare la stessa cosa, tantissimo tempo fa.» «Probabilmente era mio zio Guglielmo: si vede che siamo un po’ tonti di famiglia.» «Esatto, Guglielmo. Anche lui aveva imparato la tua stessa lezione nello stesso modo, l’unico davvero efficace, credimi. Ora porta la fiala dal tuo amico; mi sono permesso di riempirla per te e vedrai che lui capirà.» «Ti ringrazio, è stato un onore parlare con te. Posso chiedere chi sei, nel caso il mio amico lo chiedesse?» «Non è ancora ora delle presentazioni e il tuo amico sa benissimo chi sono visto che ti ha mandato proprio qui. Oggi è stato fatto il primo passo, un passo importante, ma molti altri ne verranno prima di conquistare la nostra fiducia. Apri pure gli occhi, torna a casa e riporta a Nicola le mie parole: ti sei comportato bene e ho grandi speranze in te, non deludermi.» «Non lo farò. Grazie delle tue parole e del tuo incoraggiamento. Spero di rincontrarti presto, sei stato davvero gentile.» «”Gentile” non è proprio l’appellativo con cui mi descrivono, ma grazie comunque. È stato un piacere conoscerti.» Gli insetti avevano ricominciato a ronzare, segno che quell’incontro si era concluso. Ero piuttosto confuso sull’esito della giornata, ma la boccetta colma di polvere violetta mi faceva ben sperare nel fatto che quello fosse stato davvero il primo passo verso la scoperta di un mondo antico e misterioso.


CAPITOLO 4 «E così ci sei riuscito. Raccontami come hai fatto.» Padre Nicola si era seduto vicino a me. Era la prima volta che lo faceva da quando lo avevo conosciuto e mi piaceva interpretare quell’atto come un gesto di amicizia nei miei confronti. «Sono andato nel luogo che mi hai indicato, e per tutto il giorno ho fatto come mi hai detto, fiore dopo fiore, granello dopo granello, fino a sera…» «Ma non hai pensato che in quel modo non avresti mai ottenuto quello che ti serviva?» L’espressione del fantasma si era fatta attenta, quasi cercasse nelle mie parole la risposta alle sue aspettative. «Me ne sono accorto quasi subito: era impossibile raccogliere la quantità che mi hai chiesto in quel modo, ma credo che tu lo sapessi ancor prima di mandarmi su quel prato.» Ora anche io sorridevo, lieto di poter giocare a carte scoperte con il mio compagno di avventura. «Allora perché non hai mollato tutto tornando da me per avere spiegazioni?» C’era un non so che di ansia nelle sue parole, come se tutto dipendesse dalla risposta che stavo per dare. «Perché la prima lezione che ho imparato da te è la pazienza e ti assicuro che ne ho avuta tanta mentre ero chino tra l’erba alta. Ciò che ho imparato da solo è che se ti impegni a fondo in un’impresa apparentemente senza senso puoi ottenere risultati inaspettati, ed è quanto è successo a me: qualcuno mi ha aiutato, forse per compassione o perché ha avuto pietà dei miei sforzi, un essere che non si è fatto vedere ma solo sentire, che prima ha riso di me e poi mi ha donato il polline che mi mancava per completare la tua missione. Tu sai chi poteva essere?» «Sono tante le creature che dimorano in quei prati, ma da come lo descrivi credo che possa trattarsi di un folletto, un essere dal carattere difficile e volubile, capace di renderti la vita impossibile se gli sei antipatico oppure rivelarsi il migliore degli alleati se riesci a entrare nelle sue grazie. Credo tu gli abbia fatto una buona impressione, altrimenti non ti avrebbe aiutato e se addirittura ha parlato con te vuol dire che l’incontro è stato davvero positivo e promettente. Dovrai ringraziarlo per la sua gentilezza facendo un dolcetto con il polline che ti ha donato, una


cosa semplice con acqua, farina, zucchero e granella di nocciole di cui va matto. Portaglielo nello stesso posto dove vi siete incontrati e ringrazialo per l’aiuto, vedrai che apprezzerà il gesto.» «Volevo davvero ringraziarlo, ma non sapevo come. Ora, grazie a te potrò sdebitarmi e forse farmi un altro amico nel Piccolo Popolo.» «Credo che sarà proprio così: sono davvero contento di come ti sei comportato. Sei il degno erede di tuo zio, su questo non ci sono più dubbi…» «Lui chi aveva incontrato durante la prova?» Ero curioso di sapere chi aveva aiutato lo zio, se anche lui aveva fatto amicizia con un abitante di Altromondo nello stesso modo in cui era capitato a me. «A lui era toccato un sempreverde, un piccolo essere alto all’incirca trenta centimetri. Il loro colore è verde solo perché il loro corpo riflette l’erba che li circonda ed è per questo motivo che vivono prevalentemente nei prati e nei muschi. Non è difficile intravederli quando camminano, perché hanno la pelle come le bolle di sapone e, se si espongono alla luce del sole, essa riluce di riflessi colorati. Lo aveva notato proprio per tale caratteristica, ma aveva fatto finta di nulla aspettando che fosse lui ad avvicinarsi e a parlare per primo. Questo gesto di cortesia e di sensibilità era stato molto apprezzato e probabilmente aveva convinto il sempreverde ad accordargli il suo aiuto e la sua amicizia.» “Un sempreverde…” avevo rimuginato tra me mentre metabolizzavo tutte quelle informazioni. Non lo avevo mai sentito nominare e questo non faceva altro che avvalorare l’alone di mistero e segretezza che da sempre circondava il Piccolo Popolo. Favole e leggende riportavano solo i personaggi più famosi di Altromondo, fate, gnomi, folletti e ninfe, ma chissà quanti altri condividevano la nostra quotidianità senza mai essere visti, un intero mondo ancora tutto da scoprire. «Cos’altro devo fare? Qual è il prossimo compito che devo affrontare?» Morivo dall’impazienza di tornare al lavoro, di conoscere altri esseri misteriosi, di riuscire ad avere la loro fiducia e la loro amicizia; era tutto talmente eccitante che le parole dello spettro fecero lo stesso effetto di una doccia gelata in pieno inverno. «Il tuo unico compito è quello di ringraziare il folletto per il suo aiuto. Ricorda sempre che l’educazione e la gentilezza sono requisiti essenziali per essere accettati da loro, per essere diversi da tutte le altre persone da cui si tengono irrimediabilmente distanti. Sarà il tuo modo di porti a loro che deciderà se essere accettato o meno, perciò non devi avere fretta ma compiere i giusti passi al momento opportuno, né prima né dopo. Hai capito?» Avevo compreso le parole del fantasma e se anche da una parte


le condividevo, dall’altra mi avevano demoralizzato; volevo conoscere tutto e lo volevo subito, senza aspettare; l’indicazione dello spettro, però, era ben chiara: dovevo preparare i biscotti per il mio nuovo amico e attendere che quel gesto portasse i suoi frutti. Non era stato semplice trovare una ricetta adeguata al tipo di dolce che dovevo preparare: padre Nicola aveva detto che gli abitanti del Piccolo Popolo non gradiscono ingredienti di origine animale, in virtù della loro simbiosi con la natura, per cui dovevo escludere uova, latte, burro e relativi derivati per non rischiare di offendere il mio nuovo amico. Nelle ricette vegane che avevo consultato non c’era nulla che attirasse la mia attenzione per cui avevo ripiegato nei ricettari casalinghi di famiglia e proprio qui avevo fatto una curiosa scoperta: in uno dei quaderni di cucina di nonna Agata, mamma di zio Guglielmo, avevo trovato la ricetta dei “biscotti del ringraziamento”, una sorta di dolcetto semplice ma decisamente gustoso. Non c’era una nota che spiegasse un nome così particolare, ma gli ingredienti erano quelli giusti e i consigli per la loro preparazione mi facevano sospettare che fossero destinati proprio agli appartenenti al Piccolo Popolo. “I biscotti del ringraziamento esprimono felicità e gratitudine ed è con questo spirito che bisogna farli, proprio per infondere questi sentimenti nell’impasto… Non usare zucchero ma miele millefiori perché il suo profumo richiama la bellezza dei prati a primavera e il colore variopinto dei suoi frutti… La forma dev’essere tonda ma di piccole dimensioni perché devono essere semplici da mangiare e da trasportare…” Tutti suggerimenti che non avrebbero avuto senso se non riferiti agli abitanti di Altromondo, o così almeno credevo mentre impastavo tutti gli ingredienti seguendo alla lettera la ricetta. Era curioso che proprio la mamma dello zio avesse conservato nel suo quaderno il modo giusto per preparare questi dolcetti, e sembrava palese che condividesse i segreti di Guglielmo e lo aiutasse nella sua ricerca, una ragione in più per perseverare sulla strada appena intrapresa. Il risultato del mio esperimento culinario era a prima vista soddisfacente: una ventina di biscottini dorati della dimensione di una moneta facevano bella mostra di sé nel piatto dove li avevo messi affinché raffreddassero. Emanavano un delizioso profumo di miele e di nocciole, e più di una volta ero stato tentato di assaggiarne uno, ma avevo caparbiamente resistito conscio che quello era un dono importante e doveva rimanere integro fino alla consegna. Li avevo riposti in un piccolo sacchetto di stoffa con un lungo legaccio che poteva fungere eventualmente da tracolla; ignoravo le dimensioni di un folletto, ma se un sempreverde era


alto una trentina di centimetri, forse anche il mio amico non doveva essere tanto diverso o così almeno speravo. “Ma che sto facendo?” mi ero sorpreso a pensare mentre mi accingevo a uscire: davvero stavo tornando in quel prato a portare dei biscotti a qualcuno che nemmeno avevo visto? Ero rimasto immobile sulla soglia di casa per non so quanto tempo, rimuginando su tutto ciò che mi era successo da quando avevo ricevuto quella maledetta lettera del notaio. “Sto forse perdendo la ragione?” era stata la prima domanda che mi ero posto, ma subito dopo avevo pensato a quante volte lo zio probabilmente si era posto la stessa domanda, quante volte si era fermato sull’uscio di casa pieno di dubbi e di incertezze, per poi proseguire caparbiamente nel suo cammino, incurante delle critiche e dello scherno di chi non capiva ciò che stava facendo. “Fede”, forse tutto si riduceva a questa semplice parola, l’importanza di credere nelle proprie convinzioni, nei propri sogni. «Io voglio continuare a sognare…» mi ero detto sottovoce, quasi avessi paura di essere ascoltato e, caparbiamente, avevo sceso le scale fino al portone, verso quel prato che attendeva il mio dono e il mio atto di fede. Naturalmente non c’era nessuno ad attendermi, né una voce né un sussurro, niente di niente, solo il ronzio degli insetti e lo sciabordio dell’acqua che scorreva poco distante tra le rocce. Ero rimasto seduto esattamente nel posto dove avevo effettuato la raccolta di polline, nella vana speranza di essermi guadagnato la fiducia di chi mi aveva aiutato il giorno prima, o di un suo simile, ma il vento continuava ad accarezzare i fiori che crescevano rigogliosi intorno a me e gli insetti volavano pigri senza una meta in quel caldo pomeriggio. Avevo raccolto un sasso, stanco e deluso per la lunga attesa e lo avevo posizionato al centro di un minuscolo spazio privo d’erba, vi avevo deposto la piccola sacca con i biscotti e, dopo essermi guardato intorno per l’ultima volta, mi ero alzato per tornare a casa. «Vai già via? Non ti piace il panorama o sei stufo della mia compagnia?» Avevo riconosciuto immediatamente quella voce, ironica e sfrontata ma allo stesso tempo allegramente amica. Mi aveva fatto sussultare cogliendomi impreparato, ma non volevo darlo a vedere e allora avevo risposto per le rime. «La compagnia è davvero stimolante, ma fa troppo caldo e volevo spostarmi vicino al ruscello per poter godere del fresco delle sue acque, sempre che a te non dispiaccia, s’intende.» «No, anzi. Volevo proportelo io così potremmo offrire i tuoi biscotti anche a una mia amica: ti farebbe piacere conoscerla?» Il cuore aveva


cominciato a battere all’impazzata: il folletto era stato vicino a me tutto il tempo, osservando il mio comportamento e la mia pazienza nell’estenuante attesa e voleva ricompensarmi presentandomi un’altra creatura del Piccolo Popolo. Ero talmente impaziente che per poco, alzandomi, non ero inciampato. «Sarò davvero felice di conoscere la tua amica, spero solo che i dolci che ho portato siano di suo gradimento.» «Lo saranno di sicuro: li ho assaggiati mentre contemplavi l’erba che si muoveva al vento e li ho trovati davvero buoni.» «Sono contento che ti piacciano, portiamoli anche a lei allora.» Il corso d’acqua era poco distante, non molto grande ma sufficiente per dare un po’ di frescura in quella calda giornata assolata. Il ruscello, dopo un breve salto, creava una piccola pozza d’acqua limpida e cristallina e, poco sopra di essa, una roccia piatta sembrava essere stata posizionata ad arte per sfruttare al meglio quel piccolo angolo di paradiso. «Vieni, mettiamoci lì; lei arriverà subito, ne sono sicuro», aveva detto la voce poco più avanti di me. Era davvero frustrante non riuscire a vedere l’essere con cui stavo parlando e ancora più strano era il pensiero di portare dei biscotti a un altro essere fatato che probabilmente non si sarebbe mostrato. “Tutto questo assomiglia pericolosamente alla pazzia…” stavo pensando mentre mi sedevo sulla roccia contemplando lo specchio d’acqua sottostante. Un gruppo di insetti pattinatori si muovevano sulla superficie con movimenti rapidi, a scatti, coprendo quasi per intero l’invaso; la cosa strana, però, era che non si avvicinavano mai a un punto preciso del laghetto, proprio vicino a dov’ero seduto io. Il mio compagno rimaneva silente, forse in attesa di qualche mia domanda, oppure semplicemente era un’altra prova a cui ero sottoposto per vedere se fossi degno della loro amicizia. Sta di fatto che quel punto preciso della pozza continuava ad attirare la mia attenzione tanto che d’impulso avevo deciso di fare una cosa che andava contro ogni logica e buon senso. Aperto il sacchetto dei biscotti mi ero subito accorto che alcuni mancavano, segno tangibile che il mio amico si era servito abbondantemente del mio regalo. Era un sollievo avere finalmente la prova che tutto ciò non era una follia, ma il difficile doveva ancora arrivare: avevo estratto un dolcetto e tenendolo tra due dita lo avevo allungato verso quella zona che mi aveva così incuriosito accompagnando il gesto con un timido: «Posso?» Mi aspettavo una risata dal folletto, ma stranamente c’era solo silenzio intorno a noi, una pausa d’attesa che stava diventando imbarazzante.


«Grazie…» Era stata una vocina sottile ma garbata che aveva risposto al mio timido approccio, un suono simile al rumore dell’acqua che scorre tra le rocce, tanto bella quanto inaspettata. Il biscotto aveva lasciato le mie dita, ma invece di cadere era fluttuato per alcuni centimetri sparendo all’improvviso. «Lei è Clara, la mia amica ninfa, e sembra gradire il regalo che le hai fatto. Dice che sei gentile, diverso dagli altri umani che si fermano qui a riposare e mi chiede perché siamo qui.» «Ciao Clara, io sono Francesco e sono felice di fare la tua conoscenza. Mi ha portato qui il tuo amico folletto perché voleva dividere con te i dolcetti che gli ho portato per ringraziarlo del suo aiuto.» «Faunet, si chiama Faunet ed è molto dispettoso per cui fai attenzione ai suoi giochetti perché può essere davvero cattivo con chi gli sta antipatico.» Ora la voce sembrava più vicina, quasi a ridosso della roccia su cui sedevo, allegra e canzonatoria, come se si volesse prendere gioco di me e del mio piccolo amico. «Non mi aveva ancora detto il suo nome, ma con me è stato davvero gentile e premuroso e spero mi onorerà della sua amicizia se riuscirò a conquistare la sua fiducia.» «Credo che tu l’abbia già fatto se no non ti avrebbe portato qui, sbaglio Faunet?» «No, non sbagli Clara: Francesco è un bravo ragazzo, nipote di Guglielmo e ha superato tutte le prove che gli ho sottoposto. Lui crede in noi e ha fede, requisiti essenziali per poterci conoscere di persona.» «Sono d’accordo con te mio buon amico anche se non capisco il motivo per cui non ti sei ancora rivelato a lui.» «Volevo farlo insieme a te, per avere un altro parere oltre al mio sulla possibilità di accoglierlo nella cerchia del Piccolo Popolo. È una responsabilità che non mi sento di assumere da solo, nonostante sia stato caldamente raccomandato da padre Nicola.» «Hai perfettamente ragione e hai fatto bene a portarlo da me. È una persona educata e gentile, ma non basta per rivelarci a lui. Permettimi di fargli alcune domande, dopo di che decideremo se è il caso o meno di proseguire su questa strada.» Io ero rimasto ad ascoltare meravigliato e incredulo; pur non avendo più dubbi sull’esistenza di questi esseri fatati, il sentire le loro voci scaturire dal nulla continuava a riempirmi di gioia e di sconcerto. “È tutto reale o sto solo sognando?” continuavo a ripetermi dentro di me, timoroso di interrompere la loro discussione. Dovevano decidere se ero degno della


loro fiducia e io ero pronto a rispondere alle loro domande in tutta sincerità. «Perché sei qui Francesco? Cosa stai realmente cercando?» La domanda, all’apparenza semplice, nascondeva una complessità che andava ben capita per poter rispondere in modo corretto e soddisfacente. Che cosa stavo realmente cercando? C’era il brivido dell’avventura, la magia della scoperta, la voglia di conoscere qualcosa che immaginavo appartenesse solo alla fantasia, ma più ci pensavo e più mi sembravano motivazioni di poco conto. «Lo zio Guglielmo è sempre stato deriso e allontanato per le sue convinzioni su di voi. Non ne parlava con nessuno, ma con me amava raccontare storie fantastiche di un popolo invisibile che lui amava e rispettava. Erano semplici racconti, fiabe per bambini, ma io sentivo che c’era molto altro dietro quelle narrazioni, una sorta di indottrinamento che solo ora comincio a capire. Non ho potuto godere della sua compagnia, ma mi ha lasciato in eredità il suo baule e le nozioni di una vita anche se al momento non posso leggerle. Lui si fidava di voi e voi di lui, ma si fidava anche di me, della mia capacità a credere ciò che altri avevano etichettato come follie di una mente malata. Padre Nicola è stato il primo a manifestarsi quando ero piccolo salvandomi da una caduta che poteva essermi fatale e l’ha fatto proprio in virtù dell’amicizia che lo legava a mio zio. Spero di essere degno della sua eredità, perché sono veramente convinto di voler portare avanti la sua opera.» «Tuo zio non era solo un amico del Piccolo Popolo, era uno dei cavalieri umani impegnato in un’impresa di vitale importanza per la nostra sopravvivenza e proprio a causa di questa ha perso la vita.» Le ultime parole mi avevano colpito nel profondo: effettivamente non sapevo che fine avesse fatto lo zio fino al momento del suo lascito, e ancor meno sapevo della sua morte e delle circostanze che lo avevano portato a una prematura dipartita. Mi avevano detto che era da tempo malato, ma erano stati tutti molto vaghi, come se la sua malattia dipendesse dallo stato mentale in cui versava ormai da anni. Lo avevano ricoverato quasi di forza in una struttura specializzata per questo tipo di disturbi e lì aveva a passato gli ultimi anni della sua vita, solo e abbandonato da tutti, anche da me. «Com’è morto Guglielmo?» Lo avevo chiesto con un filo di voce, quasi una preghiera, timoroso di scoprire le mie colpe nell’averlo abbandonato, nell’aver dato retta a tutti coloro che lo consideravano un pazzo pericoloso.


«Non posso rispondere alla tua domanda, non ora. Ci sono troppi segreti legati alla vita di tuo zio che non saresti ancora in grado di capire, ammesso che ci fidassimo di te al punto da svelarteli. Sappi che era considerato un eroe dalla nostra regina e un prezioso amico dal resto del suo popolo. Spero che tu risulterai degno di essere suo nipote.» Faunet aveva finito di parlare. Era sceso un pesante silenzio tra noi, rotto solo dal cinguettio degli uccelli e dal rumore degli insetti, troppo cupo per poterlo sopportare a lungo. «Io mi fido…» Era stata Clara a parlare per prima con la sua voce argentea ridandomi quella fiducia che credevo perduta per sempre, «…e dovresti farlo anche tu non solo perché lo hai aiutato e portato qui, ma soprattutto perché eri già convinto della sua buona fede ancor prima di farmelo conoscere.» «Hai ragione, ma lo sai quanto amo tenere sulle spine le persone il più possibile. Hai visto la sua faccia quando pensava di non aver superato la prova? Davvero troppo buffa non credi?» «A volte sai essere davvero crudele con i tuoi scherzi ed è per questo che comincerai proprio tu a mostrarti in segno di amicizia verso Francesco.» «Io? Perché proprio io? Tu sei molto più carina di me…» Il tono delle voci si era fatto più scherzoso, allegro, segno inequivocabile che avevo superato anche quell’esame o almeno lo speravo. Mi ero tenuto in disparte lasciando a loro la decisione se mostrarsi o meno ai miei occhi, ma ero ugualmente felice della loro amicizia e della loro stima. Speravo solo di riuscire a meritarla in qualche modo. «E poi non è giusto: io sono più vecchio di te e quindi dovresti essere tu a mostrarti per prima…» continuava imperterrita la voce del folletto, la quale, però, anziché provenire dal nulla, si era materializzata in un essere dalle orecchie a punta con un ciuffo di capelli ribelli proprio sulla fronte. Sembrava non essersi accorto di essere diventato visibile, ma dal sorriso beffardo e dagli sguardi che mi lanciava mentre continuava a parlare con la sua amica era chiaro che lo aveva fatto apposta per godersi la mia reazione nel vederlo. Io avevo fatto finta di nulla continuando a fissare il punto dove avevo sentito per l’ultima volta la voce della ninfa e di lì a poco il miracolo si era compiuto: seduta sulla riva dello stagno, un’esile figura stava lentamente prendendo forma, una splendida fanciulla dai lunghi capelli dorati e dagli occhi di un blu intenso, magnetico, coperta da una corta veste che lasciava scoperte le gambe affusolate e le braccia. «Sei…bellissima», ero riuscito a balbettare, intimidito da tanta bellezza. Avevo abbassato gli occhi per pudore, perché la veste della ninfa anziché


coprire le sue forme le esaltava maggiormente creando una sorta di imbarazzo che lei non sembrava provare. «Ci sarei anche io se non ti dispiace», aveva esclamato Faunet con finto risentimento venendomi in aiuto. Gli ero grato di avermi fornito una scusa per distogliere gli occhi da quella meravigliosa creatura dandomi modo di osservarlo meglio. Come pensavo era alto una trentina di centimetri o poco più, il viso solcato da rughe che ne accentuavano le espressioni e una folta chioma di capelli spettinati e ribelli che somigliavano al dorso di un porcospino. Aveva i piedi scalzi e un paio di pantaloni marroni di stoffa pesante e una giacca verde dello stesso materiale, colori ideali per confondersi tra gli arbusti del sottobosco. «Perdonami, non volevo essere maleducato, ma la bellezza di Clara mi ha davvero abbagliato.» «Lo so, fa sempre quest’effetto e ti perdono questa volta, ma sappi che odio essere ignorato.» «Me lo ricorderò e vi ringrazio entrambi dell’onore che mi avete accordato. È una gioia immensa poter essere qui con voi.» «L’onore è nostro ser Francesco», aveva risposto la ninfa con tono leggermente canzonatorio, ma ciò che leggevo nel suo sguardo era la speranza che quest’incontro potesse portare benefici a entrambi in un modo che ancora dovevo scoprire.


CAPITOLO 5 Non potevo ancora crederci: avevo visto una ninfa e un folletto in carne e ossa! Non erano fantasie e neppure allucinazioni, ma semplicemente parti di una realtà che pochi conoscevano e ancor meno ne facevano parte. C’era un’altra cosa che mi aveva sorpreso, una notizia che aveva gettato una nuova luce su tutta questa faccenda: lo zio Guglielmo non era solo un amico del Piccolo Popolo, ma addirittura un cavaliere della regina, un personaggio importante a cui era stata affidata una missione e, forse, proprio a causa di questa era morto. Avevo notato lo sguardo di rimprovero apparso sul volto del folletto mentre la ninfa mi rivelava involontariamente questi particolari e solo per questo non avevo voluto approfondire la questione, ma era una cosa troppo importante per far finta di nulla e a tempo debito avrei dovuto nuovamente affrontare la questione. Ora, però, c’era un’altra cosa da fare. Clara mi aveva fatto un dono prezioso, senza il quale non avrei potuto progredire nella conoscenza racchiusa nel diario dello zio: mi aveva regalato una lente fatta col quarzo delle rocce del bosco levigato dalle acque del suo ruscello. Il risultato era un disco trasparente e traslucido che rendeva visibile e comprensibile ciò che era stato scritto sul Piccolo Popolo, uno strumento indispensabile senza il quale tutto il sapere di Guglielmo sarebbe rimasto indecifrabile. «Fanne buon uso, mi raccomando. Io ho fiducia in te e nel tuo cuore limpido e questo ti servirà a capire meglio il mondo in cui ti sei imbattuto. Non potrai usarla per conoscere i segreti più nascosti del nostro popolo, ma solo le nozioni generali. Per tutto il resto occorrerà un oggetto che solo la regina può acconsentire a donarti perché solo lei ha il potere di svelare ciò che è profondamente nascosto», mi aveva detto prima di salutarci e io avevo riposto quell’oggetto prezioso nella sacchetta ormai vuota dei biscotti. «Oggi per te è un giorno fortunato: non una, bensì due creature si sono palesate ai tuoi occhi, un onore che molto di rado accade agli umani. Fai tesoro di tutto quello che ci siamo detti e non svelare a nessuno la nostra esistenza, mi raccomando. D’ora in poi ci sarà sempre qualcuno di noi al tuo fianco, per sincerarsi della tua buona fede e del mantenimento della


promessa fatta. Forse decideranno di farsi vedere, forse no, ma stai pur certo che non sarai più solo d’ora in avanti.» «Non so se interpretarlo come un gesto di amicizia oppure una minaccia…» avevo risposto cercando di non sembrare ingrato. «Tutti e due, tutti e due…» aveva risposto Faunet con un sinistro sorriso. Diario di Guglielmo. Introduzione. Tu che leggi le pagine del mio diario dovresti essere il mio successore. Sappi che qui ho scritto tutto ciò di cui sono venuto a conoscenza sul mondo invisibile che ci circonda e sui suoi abitanti. Se, però, non sei quello che dovresti essere ti intimo di abbandonare la lettura e di consegnare questo libro al suo legittimo proprietario o, in alternativa, di distruggerlo con il fuoco. I segreti ivi contenuti non devono essere divulgati ad altri se non al mio discepolo, scelto secondo le rigide regole del Piccolo Popolo. La realtà che tu conosci è solo una parte del tutto. Coesiste con il nostro mondo un’altra realtà a noi nascosta, invisibile agli occhi umani tranne per coloro che si sono meritati la fiducia e l’amicizia degli esseri che la popolano, entità magiche che forse conosci attraverso le fiabe e le leggende del folklore popolare. Devi, innanzitutto, sgombrare la mente da tutti i preconcetti, da tutte quelle nozioni materialistiche che ti porteranno a dubitare sin da subito sulla sanità mentale di chi sta scrivendo. Ho combattuto tutta la vita con questi pregiudizi: mi hanno chiamato pazzo visionario, folle oppure semplicemente ritardato solo perché credevo fermamente in ciò che avevo visto e sperimentato sulla mia pelle, ma che era troppo distante dal credo comune delle altre persone. Ho perso affetti, anni della mia vita nella ricerca della verità e quando finalmente l’ho raggiunta non sono stato creduto e, cosa ancor peggiore, sono stato internato in manicomio perché ritenuto pericoloso per me stesso e per gli altri. Perciò capirò se chiuderai questo diario per non aprirlo mai più, ma, facendolo, sappi che chiuderai anche l’unica porta che ti si è aperta su un mondo che non ha eguali in bellezza e intensità di sentimenti, un luogo di pace ma anche di grande pericolo, perché il bene e il male coesistono sempre, in ogni luogo e in ognuno di noi. Fai la tua scelta, e se decidi di continuare usa la lente fatata e passa al capitolo successivo. Tutto ciò ero riuscito a leggerlo grazie agli occhiali di padre Nicola, ma dalla pagina successiva in poi i fogli apparivano desolatamente bianchi, tanto che all’inizio mi ero sentito preso in giro dallo zio.


Avevo accostato la lente al primo foglio per scoprire con grande sorpresa che al di sotto di esso si erano formate parole e poi frasi scritte con la calligrafia minuta di Guglielmo, un’altra prova che tutto quello che mi stava succedendo era vero. La domanda era solo una: ero davvero convinto di continuare? Alcune frasi dell’introduzione suonavano davvero sinistre e dopo quanto avevo saputo al ruscello non c’erano dubbi che non sarebbe stata una passeggiata e neppure un’avventura priva di rischi. “…un luogo di pace ma anche di grande pericolo, perché il bene e il male coesistono sempre, in ogni luogo e in ognuno di noi” aveva scritto lo zio e questo suonava stranamente come un avvertimento preciso per non prendere la decisione alla leggera. Diario di Guglielmo. Altromondo. Non è un nome inventato a caso, ma il modo con cui i suoi abitanti chiamano la dimensione in cui esistono, una sorta di Terra parallela e sovrapposta in cui vivono invisibili agli occhi umani, almeno per la maggior parte del tempo. Questa facoltà, a quanto sono riuscito a capire, non è una condizione naturale per loro, ma un artificio magico che li tiene al sicuro dal genere umano. Troppe volte gli abitanti di Altromondo sono stati oggetto di persecuzioni o sevizie per i più svariati motivi: religione, scienza oppure superstizione sono state le scuse maggiormente usate per dare loro la caccia ed è quindi normale che nessuno si fidi più di noi. Solo in rare eccezioni vengono meno alla regola di segretezza e si svelano agli occhi di un prescelto, ma se lo fanno è solo per merito oppure per estremo bisogno. In entrambi i casi è sempre un grande onore concesso a pochi e così dev’essere inteso. Nessun essere umano è ammesso nella dimensione del Piccolo Popolo, a meno che non siano loro stessi a offrirsi come guida e come garanti dell’integrità morale della persona che accompagnano. Solo in quel caso le porte di Altromondo si aprono all’ospite con tutti i privilegi e i pericoli a esso connesso. Di nuovo una citazione dei pericoli, come se lo zio volesse sottolineare che non era un mondo da fiaba quello che sarei andato a conoscere, ma un mondo parallelo dove coesistevano il male e il bene proprio come in quello in cui vivevo io. Non c’era molto altro da leggere se non accenni a riferimenti trovati nelle leggende e nei miti di un po’ tutti i popoli della Terra, segno che le persone che erano venute in contatto con i miei nuovi amici erano stati molti nel corso dei secoli.


«Vedo che non ti stanchi di leggere, sia pure attraverso quella minuscola lente. Scoperto qualcosa d’interessante su di noi?» La voce dal tono impertinente proveniva proprio dal fondo del mio letto, in un punto imprecisato vicino ai miei piedi. «Speravo che dopo oggi pomeriggio avrei avuto il piacere di parlare con te a quattr’occhi e non fissando il vuoto. Non sono ancora all’altezza di poterti ricevere in carne e ossa?» Ero deluso del fatto che ancora Faunet non si facesse vedere, ma forse occorreva più tempo per conquistare tutta la sua fiducia. «Hai ragione, scusami, ma le abitudini sono dure da abbandonare. D’altra parte non avrei potuto godere della tua faccia mentre sussultavi al suono della mia voce», aveva ridacchiato la figura apparsa vicino a me. «È risaputo che noi folletti siamo dei burloni di natura per cui non ti devi arrabbiare per qualche innocente scherzetto.» «Veramente di voi si dice che siete dispettosi e irascibili, pronti a vendicarvi per qualsiasi torto che credete di aver subito», gli avevo risposto a mia volta in tono scherzoso. «Bugie! Sono calunnie inventate da voi umani per giustificare le sacrosante punizioni inflitte per i vostri misfatti!» aveva ribadito tutto infervorato, tanto che la sua faccia rubiconda era talmente buffa che non ero riuscito a trattenere la risata. «Perdonami, non volevo prenderti in giro, ma avessi visto che faccia hai fatto…» Anche lui si era messo a ridere, contento che lo scherzo che aveva cominciato mi avesse coinvolto fino a quel punto. «È vero, a volte ho una faccia buffa, ma la mostro solo agli amici e per me tu da oggi sei un amico speciale.» Ero tornato improvvisamente serio: quelle parole mi avevano toccato nel profondo del cuore e l’affetto che provavo per quell’essere minuscolo era salito prepotentemente dall’anima facendomi battere forte il cuore. «Grazie Faunet, quello che hai appena detto è stato bellissimo. Anche io contraccambio la tua amicizia con tutto me stesso e sono pronto ad aiutarvi in ogni modo possibile.» «C’è ancora molta strada da fare prima di poterci aiutare per davvero, un percorso che nessuno può evitare o accelerare. Guglielmo ci ha messo anni per arrivare dove sei tu ora per cui ritieniti fortunato che la sua esperienza ti abbia agevolato fino a questo punto. Comunque speravo che ti offrissi di aiutarci, perché la missione di tuo zio si è interrotta in un momento davvero cruciale: continua a leggere il diario di Guglielmo e impara tutto quello che puoi, perché ogni cosa ti sarà davvero utile tra non molto.»


«Che cosa succederà?» gli avevo chiesto sperando di ricevere una qualsiasi risposta. «È troppo presto Francesco. Quando sarà il momento ti sarà detto tutto, ma per ora devi imparare con le tue sole forze. La notizia del tuo arrivo si è sparsa in fretta e molti miei fratelli vorranno conoscerti. Sii gentile e paziente con loro perché ognuno è diverso dall’altro in questo nostro mondo, ed è proprio questa la nostra ricchezza.» «Chiunque vorrà venire sarà il benvenuto. Sarà un onore fare la loro conoscenza e forse potrò offrirgli qualche biscottino se credi che lo gradiranno.» «Ne saranno felici di sicuro. Sei una brava persona Francesco», erano state le ultime parole prima di rimanere solo. Mi sentivo euforico e allo stesso tempo triste per non avere più il mio amico vicino. «Domani sarà un altro giorno entusiasmante», avevo sussurrato tra me mentre riponevo il libro e mi accingevo a dormire. Non capivo ancora il perché, ma avevo la netta sensazione di non essere più solo: sentivo degli occhi fissi su di me ed ero assolutamente certo che non fossero umani, ma la cosa, invece di allarmarmi, mi dava un senso di serena sicurezza e con quella piacevole sensazione mi addormentai profondamente. «Padre Nicola, padre Nicola!» avevo gridato a gran voce dopo essermi assicurato di essere solo sulla piazzetta del cimitero. Avevo corso fin lì per raccontare allo spettro tutto quello che mi era successo il giorno prima, la gioia nell’aver conosciuto una ninfa e il patto d’amicizia stretto con il folletto, ma nella foga avevo scordato di indossare gli occhiali che avrebbero reso visibile ai miei occhi il fantasma. Stavo proprio cercando di estrarli dalla tasca quando una voce vicino a me mi aveva fatto desistere. «Non servono più, stai tranquillo: Faunet mi ha raccontato di come ti sei comportato egregiamente con Clara, per cui non vedo il motivo per non apparire anche io senza bisogno di artifizi.» Nicola era seduto accanto a me, lo stesso sguardo triste verso i resti della sua abazia e la stessa voce calma, pacata, di quando l’avevo incontrato la prima volta. «Ma…posso vederti solo io oppure anche gli altri…» «No, solo tu e così sarà per gli altri esseri che decideranno di rivelarsi a te. Cerca solo di mantenere un atteggiamento distaccato se sarai in presenza di altri esseri umani per non apparire strano ai loro occhi, per il resto sii te stesso e tutto andrà per il meglio. Raccontami ciò che hai pensato dopo aver conosciuto due abitanti del Piccolo Popolo, perché è per questo che sei corso qui oggi, vero?» Non ero riuscito a nascondere


la gioia e l’entusiasmo agli occhi attenti di Nicola, per cui, dopo aver preso fiato, avevo cominciato a raccontargli tutto, senza tralasciare il benché minimo particolare. «Guglielmo non era stato così fortunato; gli ci erano voluti anni solo per poter conoscere me ed è risaputo che noi spettri siamo tra i più socievoli tra gli spiriti fatati. Tu hai una grande opportunità, ma sta a te decidere di sfruttarla perché non posso tacere il fatto che il cammino sarà quasi tutto in salita e irto di pericoli e di incertezze. Di una cosa puoi essere certo: tuo zio sarebbe orgoglioso di te.» «Perché tutti mi state dicendo che dovrò affrontare dei pericoli? È un modo per cercare di dissuadermi oppure c’è qualcosa che mi state tenendo nascosto?» Cominciavo a spazientirmi di fronte a tanti misteri; non riuscivo a capire perché tutti coloro che incontravo agivano in modo poco chiaro e sibillino. Se dovevo ricalcare le orme dello zio avrei dovuto ricevere incoraggiamenti e non mezze frasi del tutto oscure su quello che avrei dovuto affrontare o così almeno la pensavo ascoltando le parole del frate. «Non possiamo affidarti un tale carico di responsabilità senza metterti in guardia su ciò che dovrai affrontare e non parlo solo della diffidenza o dell’antipatia che incontrerai tra il Piccolo Popolo, ma di minacce reali, tangibili quanto un pugnale che ti entra nelle carni all’improvviso. C’è una guerra in atto, combattuta non solo sul campo ma su altri livelli, alcuni dei quali non sei ancora in grado di comprendere. C’è in ballo l’intera esistenza di Altromondo e dei suoi abitanti, ma le ripercussioni sul tuo mondo e su tutti gli esseri viventi che lo abitano potrebbero essere catastrofiche proprio per l’intimo legame che lega entrambe le dimensioni, per cui credimi se ti dico di pensarci bene prima di accettare l’eredità di Guglielmo.» Una guerra, un conflitto che si sviluppava su più livelli da chissà quanto tempo e che avrebbe inevitabilmente portato conseguenze in entrambi i mondi: ma in che razza di guaio mi stavo cacciando e, cosa ancor più importante, esisteva un’alternativa alla mia accettazione? Fine anteprima. Continua…


INDICE PROLOGO ......................................................................................... 5 CAPITOLO 1 ..................................................................................... 9 CAPITOLO 2 ................................................................................... 15 CAPITOLO 3 ................................................................................... 21 CAPITOLO 4 ................................................................................... 28 CAPITOLO 5 ................................................................................... 37 CAPITOLO 6 ..................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 7 ..................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 8 ..................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 9 ..................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 10 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 11 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 12 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 13 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 14 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 15 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 16 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO.


CAPITOLO 17 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 18 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 19 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 20 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 21 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 22 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 23 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 24 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 25 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 26 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 27 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 28 ................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. EPILOGO .......................ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO.


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