In uscita il 24/11/2023 (14,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine novembre e inizio dicembre 2023 (3,99 euro) AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.
ANGELO SANTORO LO SPETTATORE NEL REGNO DELLE CAREZZE ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ LO SPETTATORE NEL REGNO DELLE CAREZZE Copyright © 2023 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-636-0 Immagine di copertina: Shutterstock.com Prima edizione Novembre 2023
A tutti coloro che hanno trovato un modo originale per affrontare la solitudine. Siate fieri di voi stessi, anche se siete un po’ strani.
PRIMA PARTE “TUTTO IL BENE CHE SI PERDE” A volte ho la sensazione di essere solo al mondo. Altre volte ne sono sicuro. Charles Bukowski
9 1 Aprile 2019 Quella ragazzina ha un fondoschiena che manda in estasi» mormorò. Marco lo guardò interdetto. «In estasi» ripeté Ruggero. Non c'era traccia di morbosità, era una considerazione spassionata, quasi analitica. Marco stentava a riconoscere l'amico. «Hai detto davvero fondoschiena?» sussurrò di rimando. Ruggero assentì: «Sto cercando di ripulire il mio linguaggio». Valeria entrò nella stanza sorreggendo un vassoio sormontato da una torta dall'aspetto raffinato e costoso. Poggiò il vassoio sul tavolino tra il divano e la poltrona districandosi tra le gambe di Marco e quelle del marito, che non fece nulla per spostarle e per nascondere una smorfia. Marco pensava da sempre che Valeria Gàzzeri (dei Gàzzeri di Castelbello) in Chiavegato fosse una donna sexy e provocante, anche quando indossava una semplice mise casalinga come quella domenica. Il trucco perfetto, la manicure impeccabile, non un singolo capello fuori posto, per Valeria la propria immagine era fondamentale quasi quanto il saldo del conto corrente. Anche di questo Marco era convinto, ma erano questioni che riguardavano Ruggero e soltanto lui. Valeria rivolse tutta la sua attenzione all'ospite: «Caro, Ruggero ti ha parlato di quello che ha detto il dottore?» Tagliò una fetta ridicolmente sottile di torta e la depose su un piattino che piazzò davanti a Marco. «Siamo stati più di mezz'ora nel suo studio» aggiunse in tono pedante.
10 Marco era concentrato sulla parte del salone fisicamente occupata da Walter e da Giorgia, che si era appena lasciata cadere sull'altro divano, quello davanti alla TV, dopo aver inconsapevolmente ispirato il commento di Ruggero. «Non ci crederai, ma c'era anche mio cognato. In videoconferenza, ma c'era. Un evento quasi eccezionale» proseguì acida Valeria. «Valeria smettila, Davide vive a New York e non può venire qui quando ci fa comodo, te lo vuoi ficcare in testa?» la rimbeccò spossato suo marito. Valeria borbottò qualcosa come: «Vedremo cosa farà quando ci sarà da dividere l’eredità». Ruggero non colse la stoccata velenosa o fece finta di non sentire per non dare l’avvio all'abituale litigio quotidiano. Marco disse: «Scusa, dicevi?», senza distogliere lo sguardo dall’unico figlio di Valeria e Ruggero, stravaccato in poltrona e immerso in una partita alla Playstation, e dai piedi della sua ragazza, adagiati mollemente sul bracciolo del divano. «Il dottore ha detto che la situazione è stabile, ci vorrà tempo e una buona dose di preghiere ma forse papà Enzo si riprenderà. Caro, non è una magnifica notizia?» dichiarò Valeria prendendo posto sul divano, al fianco del marito ma a debita distanza. Aveva sgranato gli occhi come faceva sempre quando era irritata dalla altrui noncuranza. Erano minuti e sottili, fasciati in collant velati. Era piuttosto atipico che una diciottenne indossasse gonne corte a ruota e collant. Marco spostò l'attenzione sulle ginocchia e poi sulla generosa porzione di coscia in bella vista. «In effetti, l'ultima volta mi è sembrato più vispo del solito» riuscì a dire. Detestava quell’intercalare, “caro”, che Valeria alternava con l’ancor più odioso “gioia mia”. Ma sapeva che se non le avesse dato corda l'avrebbe resa petulante e sospettosa.
11 Evitò di incrociare lo sguardo di Ruggero, ma avrebbe potuto scommettere che l’amico fosse sul punto di subire uno shock anafilattico. Ruggero era gravemente allergico alla pronuncia delle parole “papà Enzo” da parte della moglie. Walter si alzò per dare un bacio a Giorgia; le incuneò la lingua in bocca con la stessa disinvoltura con cui ignorò l'imbarazzo dei genitori, poi raccolse da terra lo smartphone che si era sfilato dalla tasca dei jeans sdruciti e lo lanciò attraversò la stanza per farlo atterrare ballonzolante su una poltrona. Ruggero seguì la traiettoria con apprensione, mille euro di tecnologica fragilità che solcavano i cieli del salotto. Walter era un ragazzo posato e riflessivo, ma era in quella fase della crescita nella quale anche l’adolescente più pacato si lascia catturare dalla tentazione di apparire indisciplinato e trasgressivo. Ruggero, a suo tempo, ne aveva combinate di molto peggio. Marco si alzò. «Devo andare» annunciò fissando Valeria, «non c'è bisogno che mi accompagni». Decise di prendere l'ascensore. Tre infimi piani in discesa lo separavano dal completarsi della fuga ma il suo cervello era troppo distratto, assorbito dal ricordo di quei piedini, dei collant e di tutto il resto. Nell'atrio del palazzo s'imbatté nel sorriso gentile di una jogger accaldata; Marco, con teatrale deferenza, fece un passo indietro per aprire la porta dell'ascensore e consentirle di entrare. Quella trentenne (secondo l'ipotesi di Marco) dai tratti spigolosi e sensuali si chiamava Alice; era l'unica, magrissima, informazione che era riuscito a racimolare negli ultimi sei mesi. Alice sarebbe presto diventata la principale artefice di una nuova, sorprendente e non convenzionale rivoluzione nella vita di Marco.
12 2 Cinque anni prima, era riuscito a coronare il sogno di diventare insegnante universitario. Partecipare al concorso, vincerlo e diventare ricercatore presso il Dipartimento di Studi Politici della Facoltà di Scienze Politiche erano state occasioni irripetibili e quasi stupefacenti e avrebbero dovuto delineare un percorso ben preciso, rappresentare quella sferzata di entusiasmo e nuovi stimoli che, partendo da un’esistenza tutto sommato tollerabile, lo avrebbero condotto verso una dimensione più congeniale. Tuttavia, a quarantacinque anni appena compiuti, Marco si ritrovava senza più alcun obiettivo concreto da perseguire e senza desideri da realizzare in un futuro, auspicabilmente lunghissimo, che si prospettava noioso e frustrante. Si barcamenava a fatica, con l’atteggiamento di chi non crede più in niente e nessuno, passando il tempo a crogiolarsi nella conclamata incapacità di trovare un senso in tutto ciò che lo circondava. Raramente riusciva a perdonarsi una demotivazione così avvilente. A pensarci bene, Marco era perfettamente a conoscenza di cosa non funzionasse nella sua vita. Era, però, altrettanto consapevole di non avere la minima idea su come risolvere o, quantomeno, correggere quella situazione. Prima di trovare il coraggio di andarsene, per tredici lunghissimi anni Marco aveva deplorato ogni santo giorno la decisione, congegnata subito dopo la laurea, di diventare commercialista e lavorare nello studio che zio Enzo aveva
13 avviato per il figlio Ruggero grazie al patrimonio di conoscenze accumulate in oltre trent’anni di attività. Aveva detestato quella professione con tutte le sue forze; era stato un sentimento talmente radicato da costituire la colonna portante della sua quotidianità: in quel tormentato periodo, era convinto che se avesse smesso di odiare il suo lavoro sarebbe impazzito o, più banalmente, sarebbe morto. Dal punto di vista strettamente giuridico, era stato un libero professionista, ma si riteneva fin troppo intelligente per non sapere che quella era un'insulsa finzione. Ruggero Chiavegato, in qualità di titolare dello studio principale e unico finanziatore della sede periferica presidiata da Marco, disponeva di tutti i poteri; anche se non li esercitava e non faceva mai pesare la differenza di status. Quel compito spettava a sua moglie. Marco non ricordava una conversazione durata più di tre minuti nella quale Valeria si fosse trattenuta dal sottolineare in modo pretestuoso o esplicito quali fossero i rapporti di forza. “Con quelle tette può dire quello che vuole” era la chiosa sistematica di Ruggero fin dai tempi del loro fidanzamento. La vita di Ruggero si fondava su tre semplici pilastri: denaro, squadra del cuore, parti anatomiche femminili. Ruggero non era mai presente in studio; di partita doppia, imposte e contributi previdenziali ci capiva poco, lui si occupava delle pubbliche relazioni. Era il ragionier Picozzi a tirare la carretta, per questo Ruggero era ben felice di versargli uno stipendio di seimila euro al mese. Toccava a Valeria rodersi il fegato, ma lei era diplomata al liceo artistico e la ragioneria non era abbastanza cool perché lei se ne interessasse direttamente, si doveva accontentare di incassare le parcelle per conto del marito. Ruggero e Valeria erano entrambi in attesa dell’evento che avrebbe sovvertito la loro snervante routine coniugale: la morte di Vincenzo Chiavegato avrebbe reso la coppia molto ricca. Il
14 loro stato d’animo era, però, ben diverso; se Ruggero temeva la perdita del padre e pregava ogni giorno affinché avvenisse il più tardi possibile, per Valeria la circostanza luttuosa avrebbe coinciso con l’inizio di una nuova vita, senza dubbio più felice e soddisfacente di quella che stava portando avanti da troppo tempo. Vincenzo Chiavegato era un uomo malato ma non rassegnato. Si era rattrappito nel suo letto d'ospedale e, dopo quarantadue giorni dall'ictus che l'aveva spedito al pronto soccorso, il suo spirito rimaneva combattivo. Superata da poco la soglia degli ottantacinque anni, non si sentiva ancora pronto al grande passo, era persuaso di avere ancora molto da dare e da ricevere. Quando spostava lo sguardo annacquato in direzione della finestra trovava che quel rettangolo di cielo fosse ancora invitante. Vincenzo aveva anche un altro figlio maschio di cui parlava malvolentieri e si occupava ancor meno. Davide Chiavegato era stato il frutto di una relazione extraconiugale breve, infelice e portatrice di sventura; la sua nascita aveva distrutto la famiglia portando alla disperazione la moglie tradita da Vincenzo, zia Claudia per Marco, che si era dapprima ammalata per un grave esaurimento nervoso e poi, dopo interminabili anni trascorsi tra crisi, scenate e cliniche, posto fine alle sue angosce assumendo un cocktail letale di psicofarmaci. Molte cose erano cambiate nella lunga vita di Vincenzo Chiavegato. Sfortunatamente, i grattacapi e le contrarietà erano rimasti una costante. Negli ultimi anni, l’età e la debilitazione dovuta a un progressivo peggioramento della salute lo avevano investito bruscamente, con tutto il loro peso. Il desiderio di godersi gli anni che gli restavano da vivere aveva surclassato ogni
15 aspirazione di ritorno a un passato ormai distante più dal punto di vista psicologico che in termini di tempo. Gli affari dell’azienda di sua proprietà procedevano ancora molto bene, ma incombeva il timore che, una volta passato a miglior vita, i suoi eredi dilapidassero tutto quell’ingente capitale finanziario e umano, frutto di impegno, sudore e ingegno profusi in un’intera vita di lavoro e passione. Suo figlio e sua nuora conducevano vite separate, sebbene si distinguessero per una notevole abilità nel mascherare la realtà. Vincenzo aveva visto deteriorarsi progressivamente i rapporti tra Ruggero e Valeria e sapeva, da tempo, che la coppia tirava avanti soltanto per esigenze professionali e di responsabilità genitoriale. Walter pativa il conflitto permanente tra i genitori, malgrado si sforzasse in ogni modo di non darlo a vedere. I suoi risultati scolastici stentavano a valicare il confine della mediocrità e la sua natura socievole sembrava essersi rintanata a favore di un perenne malumore.
16 3 Marco incollò il cellulare all’orecchio e percepì dai rumori di sottofondo che Valeria e Ruggero si trovavano nel ristorante del Tennis Club “I Sempreverdi”, la vera sede ufficiale dello studio Chiavegato. Era di nuovo lunedì, ricominciava una dura settimana di lavoro. Recitò un mesto «Ciao Valeria» poi si bloccò per una decina di secondi. «Be’... dimmi» disse lei, «Cosa c’è, caro? Tutto bene?», poi abbassò la voce: «Siamo in compagnia dei signori Castrovillari stiamo per pranzare» bofonchiò in fretta. Li stava disturbando, eppure, se avesse attaccato, Valeria si sarebbe offesa a morte. Marco guardò il telefono e, per un attimo, dovette combattere con l’impulso di fingere che la linea fosse caduta. «Oggi passo dallo zio, in ospedale» disse. «Ah, va bene». «Intorno alle tredici». «Sì, sì, ok». «E...» «Devi dirmi qualcos'altro, caro?» «No, niente». «Allora ciao». Valeria chiuse la comunicazione. Allora fanculo, cara, pensò Marco. Erano passati dieci giorni dall'ultima visita; Marco era mortificato per l’assenza così prolungata e temeva che solo guardare lo zio gli avrebbe procurato disagio e imbarazzo. Le
17 sue ansie furono soverchiate dallo scoramento nel vedere quella persona a cui era tanto affezionato giacere immobile nel letto. La stanza era claustrofobica, cupa e deprimente. Zio Enzo respirava a fatica e solo grazie alla maschera di ossigeno; gli occhi, sempre così vivaci in passato, erano velati e lo sguardo che, di tanto in tanto, muoveva in direzione di Marco era spento. Un'ora prima che Marco arrivasse si era verificato un “importante episodio ischemico”, le parole del medico gli risuonavano nella testa. Sino ad allora il recupero era stato costante e anche sorprendente, tenendo conto dell’età e delle condizioni generali. La loro ultima chiacchierata, durante la precedente visita, aveva talmente confortato Marco che per una volta l'ambiente in cui si trovavano non gli era parso così demoralizzante. Zio Enzo pareva essere tornato lo stesso di sempre; era burbero e brontolone ma a Marco quelli erano sembrati ottimi indizi, quasi un segno di completa guarigione. Il ricordo della sua voce era ancora vivo nella mente di Marco. «So che Ruggero e quella rompicoglioni di sua moglie, come si chiama… Valeria, sono due ciondoloni che pensano solo ai soldi, alle macchine e alle vacanze» aveva scosso la testa disgustato, poi aveva proseguito ammiccando: «e so che hanno sempre bisogno di quattrini perché spendono più di quanto portano a casa tutti i mesi. Sono vecchio e malato ma non rincoglionito». Aveva fissato Marco con un’espressione bonaria. «Comunque, questi sono problemi miei dato che Ruggero sarà anche una mezza sega ma è pur sempre mio figlio, sangue del mio sangue». Si era fermato per tossire, poi aveva ripreso, anche se il respiro affannoso denunciava la realtà di una condizione di salute molto precaria. «Ti chiedo solo un favore, Marco: ogni tanto, getta un occhio su Ruggero
18 e Walter e, se pensi che stiano facendo qualche cazzata, fermali in tempo. Tutto qui, mi fido di te». Zio Enzo era stato da sempre una presenza solida e rassicurante, un anziano un po’ ruspante ma furbo e perspicace al quale chiedere consiglio nei momenti di sbandamento. Per la verità, Marco aveva seguito raramente quei suggerimenti, ché in genere si limitavano a una pacca sulla spalla, un “non mollare” e un “trovati una bella figliola e dacci dentro, niente è meglio di una sana scopata!” I ricordi d'infanzia più nitidi di Marco riguardavano proprio quell'uomo, già quasi cinquantenne, che lo prendeva per mano e lo portava a spasso nel parco oppure gli consegnava splendidi regali confezionati in pacchi che gli apparivano giganteschi e avvolti in carte tanto variopinte da sembrare magiche. Agostino Torri, il padre di Marco, era di un'altra pasta; un uomo placido e taciturno appassionato di lirica e di vecchi film in bianco e nero che, quando tornava a casa dopo dodici ore di lavoro, sprofondava nella sua poltrona sgangherata e per almeno un quarto d'ora non sopportava di sentire il minimo rumore. Se ne era andato in silenzio, come il suo stile comandava, a soli sessant'anni, per un’insidiosa insufficienza cardiaca congenita che si era tramutata in un letale infarto notturno. Agostino e la moglie di Vincenzo erano cugini di secondo grado, quindi tra Marco e zio Enzo, in effetti, non sussisteva alcun vincolo di sangue. Le famiglie Torri e Chiavegato, però, erano sempre state molto vicine; Marco sapeva che suo papà e zio Enzo erano stati soci per quasi vent'anni. Possedevano una piccola officina meccanica che negli anni si era ingrandita e, grazie soprattutto all'intraprendenza di Vincenzo, era diventata un'impresa di medie dimensioni molto attiva anche nel campo delle esportazioni. Tuttavia, Agostino e Vincenzo avevano man mano sviluppato idee diverse e quando il secondo aveva
19 sostenuto con forza la necessità di indebitarsi pesantemente con le banche per permettere all'azienda di espandersi, Agostino, che non aveva mai coltivato particolari ambizioni o illusioni, aveva preferito abbandonare la condivisione delle sorti di un'attività che l'aveva visto tra i fondatori. Marco a quel tempo aveva circa dieci anni; nonostante le divergenze negli affari, i due soci avevano mantenuto ottimi rapporti e così i loro figli. Ruggero e Marco erano coetanei ed erano cresciuti praticamente insieme. Ora, zio Enzo pareva raggrinzito; un tempo robusto e massiccio, sotto quel lenzuolo ruvido sembrava rimpicciolire ogni istante di più. I capelli che spiccavano per essere folti e scuri nonostante l'età, adesso spuntavano flosci e radi. Mosse le labbra come se volesse dire qualcosa, Marco lo osservò afflitto attraverso la vetrata che lo separava dalla sala della terapia intensiva. Si avvicinò al vetro freddo fino a sfiorarlo con la testa. Zio Enzo esalò soltanto quello che a Marco parve un rantolo appena percettibile, poi chiuse gli occhi e si assopì per l’ultima volta.
SECONDA PARTE “LE GEMME DEL SOLITARIO” Non è vero che non si possa vivere senza una donna. È vero soltanto che senza una donna non si può aver vissuto. Karl Kraus
4 Percorse il vialetto lastricato seguendo gli altri a qualche metro di distanza, una brezza insistente scuoteva i cipressi che facevano da schermo al corteo. Per qualche secondo soffermò lo sguardo su una cappella imponente che era ornata di fregi sfarzosi ma al suo interno era spoglia e fredda; Marco lesse i nomi scolpiti e le date, la più recente risaliva soltanto a pochi mesi prima, ciononostante non c'erano fiori. Il contrasto tra la magnificenza di quella costruzione destinata a durare molto a lungo e a illustrare il passato dei propri inquilini e la desolazione dell'abbandono gli suscitarono un soffocante sentimento di infelicità. Aveva pianto parecchio, di notte ma anche di giorno, in luoghi pubblici. Mentre faceva la spesa in un supermercato oppure passeggiava senza meta, le lacrime sgorgavano spontanee e improvvise. Gli mancava, zio Enzo; gli mancavano la sua risata roboante, le espressioni colorite che solo lui sapeva coniare, la ferrea forza di volontà, la lucida risolutezza. Quell’uomo era stato un appiglio cui aggrapparsi nei momenti più bui, come la morte di suo padre quando era ancora un ragazzino. Aveva pianto, in alcuni momenti senza freni, e se per qualcuno quello non era segno di un’indole monolitica o di coriacea mascolinità, be’… erano affaracci suoi. Sorrise tra sé, il primo a pensare che l’uomo che piange non è un vero uomo era proprio zio Enzo, se fosse stato lì presente glielo avrebbe fatto certamente notare e Marco ci sarebbe senz’altro rimasto male. Ma era un problema che adesso pareva insignificante. Durante la cerimonia funebre, Valeria aveva tenuto un contegno rigido, lei certamente non aveva pianto ma sarebbe
stato ingiusto insinuare che non fosse dispiaciuta per la dipartita del suocero. Si poteva però altrettanto affermare che non fosse dispiaciuta per l’imminente eredità, diretta conseguenza della dipartita del suocero. Era andata via subito dopo la straziante operazione della tumulazione, portando via anche Walter che era apparso spento e stralunato e non aveva proferito parola. Marco aveva salutato tutti con una mesta stretta di mano riservando l’unico caloroso abbraccio a Ruggero, il quale aveva stoicamente resistito alla tentazione di abbandonarsi allo sconforto nonostante gli occhi gonfi e lucidi. Dopotutto, lui sì che era un vero Chiavegato, degno figlio di Vincenzo. Piuttosto, Marco non riusciva a decodificare il comportamento di Norma. Tutta quella premura nei suoi confronti appariva artefatta e irragionevole, in una parola: inspiegabile. Norma lo prese sottobraccio, Marco non ebbe tempo né modo di sfuggire a quell'atto che giudicò inopportuno e invadente. Avrebbe voluto accelerare il passo ma Norma lo tratteneva costringendolo a rallentare. Norma (2018) Il rapporto di parentela tra Norma e Valeria era piuttosto nebuloso, sebbene Valeria l'avesse presentata come cugina, senza peraltro specificare il grado. D’altronde, a Marco il tema non incuriosiva per nulla. Aveva conosciuto Norma durante una sfibrante adunata familiare, stranamente organizzata dai Chiavegato-Gàzzeri, geneticamente recalcitranti davanti a ogni tipo di manifestazione di affetto. Era il pomeriggio del giorno di Natale, a casa di un'anziana ma arzilla zia di Valeria. Marco sonnecchiava scompostamente su
un divano fingendo di ascoltare il chiacchiericcio circostante a sua volta sormontato dagli strilli di bambini e neonati variamente sparpagliati per l'appartamento. Intorno alle cinque, si presentò alla porta una nuova infornata di cugine con annessi amici e fidanzati. Tutte tranne Norma, che, come Marco apprese nei giorni seguenti interrogando Ruggero con discrezione, aveva da pochi mesi posto fine a una storia tanto tormentata quanto inconcludente e stava ancora navigando nelle acque del dispiacere e della commiserazione. A sentire Ruggero, però, nelle ultime settimane Norma aveva lanciato segnali di ritorno alla realtà. Detto in altri termini, con quelli genuinamente rustici di Ruggero per esempio: “la fanciulla è a caccia di un nuovo manico”. Marco e Norma avevano appena fatto in tempo a presentarsi e condividere due battute veloci. Dopo un breve interscambio di convenevoli, la truppa di cui Norma faceva parte si era diretta a casa di una non ben identificata parente alla lontana e a Marco era rimasta una sensazione di incompiutezza perché, di primo acchito, gli era sembrato che Norma mostrasse un certo interesse nei suoi confronti. Tanto bastava a Marco per valutare l'ipotesi di approfondire la reciproca conoscenza. Si incontrarono ancora qualche giorno dopo, in vista del Capodanno, nel corso di un’altra barbosa riunione familiare e poi a una festa da amici dove Marco era stato trascinato quasi a forza da Ruggero. Tutto quello che Marco ne aveva ricavato era un numero di telefono. Norma era responsabile degli acquisti in un grande negozio specializzato in alimenti e accessori per animali domestici, viveva da sola in un appartamento di sua proprietà, proveniva da una famiglia benestante, all’anagrafe contava trentacinque anni, fisicamente ne dimostrava meno di trenta. Decisamente un buon viatico.
Dopo numerosi tentennamenti e un paio di richieste di informazioni a Ruggero, Marco ordinò a se stesso di chiamarla per avanzare la proposta di “una serata insieme”, formula volutamente poco impegnativa per non rischiare di perdere il treno ancor prima di individuare la destinazione. La risposta di Norma fu immediata e positiva. Marco ne fu doppiamente lusingato ma, per qualche esoterico motivo, la facilità nell'ottenere l'appuntamento lo rese guardingo. Ruggero gli aveva raccontato che Norma amava molto gli animali battendo insistentemente su quel tasto, allora Marco aveva pensato che fosse un'idea carina proporle di andare al cinema per vedere il nuovo film di animazione della serie de “L'era glaciale”. Una storia che aveva come protagonisti un bradipo, una tigre e un mammut avrebbe sicuramente instradato la serata sul percorso emotivo più propizio. Guardarono il film, sorrisero, si scambiarono occhiate di esitante intesa e si approssimarono, rilassati ma fisicamente distanti, alle porte del ristorante dove Marco aveva prenotato. A Marco le ragazze miti e riservate non erano mai piaciute molto, preferiva la donna sfrontata e sicura di sé. Norma apparteneva alla prima categoria, soprattutto parlava pochissimo, il che per molti uomini, ma non per Marco, era un pregio inestimabile. Marco, tuttavia, s’impose di non essere troppo precipitoso, anche se Norma non lo stuzzicava, e non solo per il temperamento. Conoscendola meglio avrebbe potuto scovare una miriade di altri motivi per spingerlo a frequentarla regolarmente. Il menu del ristorante era ricco e vario, Marco l'aveva scelto appositamente non conoscendo i gusti gastronomici della sua ospite. Norma scorse la lista con una lentezza sospetta e un broncio crescente che si trasformò presto in cipiglio. Marco azzardò un «Tutto bene?» Norma rispose con una specie di verso gutturale.
Il giorno dopo, alle otto del mattino, Marco telefonò a Ruggero. L'amico era ancora a letto a poltrire. Marco lo sapeva, aveva scelto quell'ora di proposito. «Perché cazzo non mi hai detto che Norma è vegana?» «Buongiorno anche a te.» «Vaffanculo, Ruggero». Ruggero rise di gusto. Poi disse: «Non ti avevo detto che ama gli animali?» «Allora avrebbe dovuto sposare te». Marco attaccò. Marco detestava dover combattere battaglie ideologiche, il suo motto era: “Vivi e lascia vivere”. Norma non era della stessa idea, di conseguenza le abitudini alimentari dell’umanità erano rapidamente diventate un terreno di scontro, per fortuna soltanto verbale. Le parole, delle quali era stata tanto avara fino ad allora, erano sgorgate veementi come una valanga che aveva travolto Marco, nonostante i suoi reiterati tentativi di dirottare la conversazione verso approdi meno infidi. Norma accusò lui e tutti gli onnivori come lui delle peggiori nefandezze. Dopo aver rinunciato a malincuore alla tagliata di fassone e alla torta della nonna, perché contenente uova, Marco si era spazientito ma aveva preferito comunque evitare litigi e animosità per cui aveva continuato a subire passivamente. Anche Norma, alla fine, si era tranquillizzata e il resto della serata era trascorso in un clima di gelida non belligeranza, tra il resoconto di una vacanza passata e il racconto delle gesta del suo precedente fidanzato. Al momento dei saluti, sotto casa di Norma, non c’erano stati inviti a salire su, né baci della buonanotte, contingenze che Marco aveva accolto con un sospiro di sollievo. Ciononostante, non aveva saputo resistere alla tentazione di avventurarsi in una domanda scomoda:
«Perché prima di entrare nel ristorante non mi hai detto di essere vegana? Saremmo andati in un altro posto». La risposta lo aveva tramortito. «Perché sarebbe stato un comportamento da maleducata, mentre io sono una persona aperta e rispettosa delle scelte degli altri».
5 Presente Norma aveva mantenuto il suo posto al fianco di Marco per tutto il tempo, durante la messa e anche dopo, talvolta stringendogli il braccio, sempre sorridendo, con espressione comprensiva. Il disorientamento di Marco era lievitato di pari passo. Erano rimasti solo loro tre, Ruggero disse che doveva sbrigare alcune faccende burocratiche e quindi doveva tornare presso la sede dell’impresa di pompe funebri. Si congedò abbracciando Norma e ringraziando Marco con una virile pacca sulle spalle e un ammiccante occhiolino che, nel codice Ruggero, poteva significare soltanto una cosa: “dài, che questa è la volta buona”. Sedettero, l’una di fronte all’altro, a un tavolino di una caffetteria scelta da Norma dopo essere tornati nella zona centrale della città. Norma aveva raggiunto la chiesa in autobus, poi aveva chiesto a Marco se non gli dispiaceva che si unisse a lui per il tragitto in auto verso il Camposanto, infine lo aveva pregato di darle un passaggio fino alla fermata della metro vicino alla stazione. Prima di andarsene gli aveva proposto di prendere un caffè insieme. Marco aveva accettato tutto, per indolenza ancor più che per educazione. Norma disse: «È stato bello rivederti» con un sorriso che parve sincero. «Anche per me» rispose Marco, non altrettanto sincero. «Sai, credo di doverti delle scuse» sussurrò Norma. «Scuse?»
«Sì, per come mi comportai quella sera quando uscimmo insieme». «Acqua passata». «Comunque ci tenevo a scusarmi». «Scuse accettate». «Grazie». «Prego». Arrivarono i caffè, la pausa fu efficace nel sospendere l’imbarazzo. «Ehm… insegni sempre all’università, vero?» «Già». «E ti piace sempre?» «Molto». «Non ti ricordavo così taciturno». «Mmm… sai, la morte di zio Enzo, il funerale… sono un po’ scosso». «Oh, certo, che stupida che sono. Ti chiedo scusa». «Di nuovo?» «Sì, per… oh, abbi pazienza. Anch’io sono un po’ agitata». Marco avrebbe dovuto chiedere “Come mai?” ma proprio non gli uscirono le parole. Rimase zitto e pensieroso. Norma, sempre più a disagio, mormorò: «Voglio dirti una cosa importante, molto importante». Marco cominciò a preoccuparsi ma perseverò nel suo silenzio. Norma prese fiato: «Quello che voglio dirti è che tra due mesi mi sposo, con un medico. Un medico che fa il missionario e opera nelle zone più pericolose del mondo dove c’è più bisogno di aiuto. Tre mesi fa ho seguito un corso di primo soccorso, ci siamo conosciuti così, lui era uno degli insegnanti. Dopo il matrimonio partiremo insieme, per l’Africa subsahariana, probabilmente nei primi mesi saremo in Niger. In famiglia non l’ho ancora detto a nessuno, tu sei il primo a saperlo. Non chiedermi perché, è una decisione istintiva.
Quando ti ho visto stamattina in chiesa ho pensato che dovevo dirtelo». Parlò in fretta come se un cronometro scandisse un tempo esiguo terminato il quale non ci sarebbe più stata l’occasione di ripetere. Senza neanche dare la possibilità a Marco di aprir bocca, aggiunse: «Tu mi piaci, sei un uomo davvero interessante, sono sicura che sarei stata bene con te, ma io sento di dover dare sfogo alla mia vocazione che è quella di dedicarmi al prossimo. Non ha importanza che siano animali o persone, ciò che conta è aiutare gli altri in tutti i modi possibili e con Joffrey, il mio fidanzato, siamo in perfetta sintonia. Joffrey è fantastico, è intelligente, forte, coraggioso. Con lui mi sento sempre al sicuro, pensa che per lui ho anche smesso di essere vegana e ho cominciato a mangiare la carne. E poi, a letto è… Avevo anche pensato di prendere i voti, ma… be’… perché rinunciare al sesso?»
6 Valeria Gàzzeri di Castelbello stava vincendo la partita più importante della sua vita, quella che le era costata quasi vent’anni di bocconi amarissimi inghiottiti con straordinaria capacità di resistenza. Aveva dovuto sopportare un marito inetto e farfallone e la sua famiglia (a suo avviso un branco di trogloditi rozzi e incivili), una gravidanza laboriosa, anni e anni di sacrifici dedicati alla crescita e all’educazione di suo figlio, che per grazia divina non assomigliava né fisicamente né caratterialmente al padre, unica vera consolazione per Valeria. Infine, aveva dovuto abbandonare le proprie ambizioni artistiche, a suo giudizio tutt’altro che velleitarie, per consacrarsi al successo dello studio di commercialista del marito, un’impresa ai limiti del sovrumano, calcolando l’incompetenza e la poltroneria di Ruggero unite alla tendenza all’insubordinazione e alla pigrizia dei suoi dipendenti. Aveva tollerato tutto questo conservando, per giunta, una forma fisica che rasentava la perfezione e un’avvenenza che faceva girare la testa agli uomini e aizzava l’invidia malevola delle donne. Una donna intelligente, determinata, affascinante e ancora giovane che, a quarant'anni ancora da compiere, sentiva di essere in credito con la fortuna. Così si sarebbe descritta Valeria se avesse dovuto curare la pubblicazione della propria autobiografia. E così, molto probabilmente, si vedeva rimirandosi nel riflesso di un quadro, quella mattina in quella sala d’attesa, in compagnia di Marco.
Marco stava pensando esattamente la stessa cosa di Valeria, eccetto per il credito con la fortuna. E per il non trascurabile dettaglio che la considerava una stronza di prima grandezza. La splendida villa liberty che ospitava lo studio “Tomaselli e associati” era la plastica testimonianza di quanto la carriera di Renato Tomaselli, fosse stata costellata di riconoscimenti professionali ed economici di altissimo livello. Il figlio Giancarlo aveva saputo tenere il passo e, alla collezione di successi legali, aveva anche aggiunto una solida fama di seduttore. Era divorziato, senza figli e ufficialmente libero da legami sentimentali. Marco non amava le insinuazioni, ma, osservando Valeria, il sospetto che la moglie del suo migliore amico non avrebbe respinto a priori le eventuali avances dell’avvocato lo avvolse e disturbò. Valeria e Marco stavano aspettando che Ruggero tornasse dall’aeroporto dove si era recato per accogliere il fratellastro Davide che fino a un paio d’ore prima si presumeva fosse su un volo proveniente da New York. Ruggero aveva appena chiamato la moglie per avvertirla che Davide gli aveva fatto sapere di aver deciso all’ultimo momento di rimanere nel suo loft rimodernato nel Greenwich Village, con la sua fidanzata creola, Lola, e il suo pastore belga Mick. “Tenetevi pure i soldi, le case e tutta l’altra merda”, in estrema sintesi, il contenuto del messaggio inviato da Davide a Ruggero. Un’altra vittoria per Valeria, la quale considerava la semplice esistenza del cognatastro, in quanto pretendente a pieno titolo alla corresponsione di una cospicua fetta di eredità, una iattura pari a una calamità naturale. Certo, ci sarebbero state un mucchio di scartoffie da riempire e battaglie legali e chissà quali altre scocciature di vario genere, ma il primo passo, contemporaneamente il più significativo e il meno scontato, era stato compiuto. Valeria era felice.
«Tu non capisci e non capirai mai, caro» disse a Marco occhieggiandolo attraverso il riflesso dello specchio improvvisato mentre combatteva con una ciocca ribelle che continuava a ricaderle imperterrita sull’occhio destro. Marco non capiva un sacco di cose e, per quanto lo riguardava, avrebbe tranquillamente fatto a meno di capire anche quella che Valeria stava cercando di spiegargli. Però, certamente non la condivideva. E poi l’arroganza e l’avidità di quella donna lo istigavano a provocarla. «Quella ragazza è insipida come quei brodini che ti danno all’ospedale» insisté Valeria, «Avremmo dovuto licenziarla da un sacco di tempo. Non è capace di gestire i rapporti con i clienti, è troppo servile e accondiscendente». «Allora, affiancale un’esperta di pubbliche relazioni» ribatté Marco. «Figuriamoci! Un altro stipendio da pagare, gioia mia non dire sciocchezze!» Marco lottò con la tentazione di alzarsi e andarsene, ma non poteva, per rispetto di zio Enzo. Allora, provò a calmarsi e a far ragionare la megera, pur sapendo che fosse fatica inutile. «Licenziare Teresa e chiudere la sede distaccata dello studio ti avrebbe fatto risparmiare uno stipendio e un affitto ma anche perdere una bella fetta di clienti che la stimano e si fidano di lei. Alla fine ci avreste rimesso un sacco di soldi. Sarebbe stato un pessimo affare». Valeria reagì in un modo che per poco non lasciò Marco a bocca aperta: si voltò e lo fissò per qualche istante esibendo un sogghigno machiavellico. «Massì, tenetevi pure quella befana» disse. «Se le cose andranno per il verso giusto, non saranno più problemi miei». In quel momento Ruggero entrò nella sala seguito dall’avvocato Tomaselli che li invitò a spostarsi nel suo ufficio per la lettura del testamento.
Teresa (2006-2008) A differenza di Marco, Teresa amava la contabilità e adorava il suo lavoro. A ogni modo, nel corso dei primi due anni di convivenza professionale, tra loro si era creata un'intesa naturale e quasi telepatica. Qualche settimana dopo essere stata assunta presso lo studio Chiavegato, lei aveva ventisette anni allora, aveva pensato che il dottor Marco Torri le avrebbe chiesto di uscire prima o poi. Sapeva di non possedere un fisico capace di attrarre l'attenzione degli uomini e di avere una mentalità troppo tradizionalista frutto di una rigida educazione religiosa, anche il carattere non aiutava, era timida e introversa, ma era convinta di non essersi inventata un fantomatico interesse. Marco trascorreva gran parte della giornata in ufficio chiacchierando con lei; ridevano spesso, lui era sempre di buon umore e aveva un inesauribile senso dell'ironia che scagliava contro i clienti o contro quelli che chiamava i “Big Boss”, i coniugi Chiavegato, e poi scherzava su tutto senza mai scadere nella volgarità. Era anche abile ed efficiente sul lavoro ed era capace di risolvere i problemi con rapidità a volte impressionante. Soprattutto, Marco era single. Da principio Teresa si era chiesta come mai un uomo che reputava intelligente, sensibile e spiritoso non fosse già sposato o, per lo meno, fidanzato. La risposta aveva dovuto tener conto della cruda realtà: Marco era di statura media, più tendente al basso, la sua non era una silhouette da modello né da sportivo (era abbastanza sicura che non avesse mai frequentato una palestra) ed era anche un po’ impacciato con le donne. Teresa l'aveva visto all'opera con un paio di clienti giovani e carine: i risultati erano stati piuttosto inconsistenti, eufemisticamente parlando. Ciononostante, a parere di Teresa poteva essere considerato un buon partito.
Poi, pian piano le cose erano cambiate. Marco era diventato più taciturno e disattento, si mostrava scettico al limite del cinismo riguardo a qualsiasi opinione espressa dal prossimo, talora aveva scatti d'ira esagerati o s'infervorava nel mezzo di sciocche discussioni alzando la voce e sferrando feroci accuse a carico del suo interlocutore. Aveva cominciato ad assentarsi dall'ufficio con sempre maggiore frequenza, inizialmente adducendo motivazioni in apparenza ragionevoli, col passare del tempo accampando scuse poco credibili o stravaganti sino a non sentire più il bisogno di giustificare le sue fughe. Teresa era convinta che la causa fosse da ricercarsi in una sofferta storia d'amore conclusa in malo modo, con una certa Amelia. Non si vergognava di aver origliato alcune telefonate, erano state situazioni casuali e involontarie. Le dispiaceva per Marco ma si era detta che non era il caso di disperarsi più di tanto. Su quella condizione di spirito aveva influito, non poco, il suo recente fidanzamento con un ragazzo che aveva conosciuto durante un corso di aggiornamento informatico. FINE ANTEPRIMA. CONTINUA…
INDICE PRIMA PARTE: “Tutto il bene che si perde” ........................... 7 1 ................................................................................................. 9 2 ............................................................................................... 12 3 ............................................................................................... 16 SECONDA PARTE: “Le gemme del solitario” ...................... 21 4 ............................................................................................... 23 5 ............................................................................................... 29 6 ............................................................................................... 32 7 ....................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 8 ....................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 9 ....................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 10 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 11 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito.
12 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 13 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. TERZA PARTE: “Quello che lei non dice”Errore. Il segnalibro non è definito. 14 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 15 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 16 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 17 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 18 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 19 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 20 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 21 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 22 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 23 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 24 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 25 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito.
26 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 27 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. EPILOGO ........................ Errore. Il segnalibro non è definito. 28 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 29 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. 30 ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. RINGRAZIAMENTI ...... Errore. Il segnalibro non è definito.