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Published by associazione chiekete, 2020-12-01 10:50:43

grammatica Nene

grammatica Nene

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Roberto Allegri

STRUTTURE FONDAMENTALI
DEL DIALETTO SERRAVALLE SE

ROBERTO ALLEGRI

STRUTTURE FONDAMENTALI
DEL DIALETTO SERRAVALLESE

(SERRAVALLE SCRIVIA)

Pro Loco - Serravalle Scrivia

F

Questa Grammatica non ha scopi pratici nè scientifici, ma
soltanto documentali: ho tentato di raccogliere le strutture
fondamentali del dialetto affinchè ne rimanga la nozione
quando esso, fra qualche generazione presumibilmente, sarà
dimenticato o talmente modificato da essere irriconoscibile
con quello attuale.

La trascrizione, per mancanza di alcuni segni grafici, non
è quella dell«Alfabeto fonetico Internazionale». Tuttavia, con
gli accorgimenti adottati, si è raggiunto per lo meno lo sco-
po di dare ad ogni suono un solo segno grafico, per evitare
confusioni.

A suggerirmi questo lavoro sono stati il Proi. Tavella, Presi-
de della Scuola Media di Serravalle e i professori Terrosi e
Modena, cui va il mio ringraziamento per la sensibilità
dimostrata verso un patrimonio locale che rischia, in tempi
relativamente brevi, la scomparsa e l'oblio. Alla Signora Tina
Lera e al Signor Italo Rava, Presidente della Pro Loco Ser-
ravallese devo inoltre la mia gratitudine per averne voluto
la pubblicazione.

Siccome vi saranno certamente lacune e imprecisioni, spero
sia almeno compresa l'intenzione sopra espressa e valga
come atto di affetto verso il mio paese.

R.A.

(foto inizio secolo XX)

ORTOGRAFIA E FONETICA

Per adottare un criterio razionale di trascrizione (non esistendo precedenti
scritti cui fare obbligatorio riferimento) si è attribuito ad un segno un
suono soltanto.
Conseguentemente vi è in generale corrispondenza con l'italiano, salvo nei
casi seguenti:

PER LE VOCALI: si indicano
con «è, ò» la e ed o aperte (come nelle parole «erba, tono»):
con «0, il» la o ed u quando hanno il suono di «eu» ed «u» francesi
nelle parole «boeuf, uni té» ;

ièsia (festa) lavò (lavare)
fazo (fagiolo) biltò (germogliare)
La «e» ed «o» prive di accento si leggono chiuse come nelle parole
«vela, ora»; l'accento però compare quando esso cade su dette vocali
in posizione non piana, ossia su sillaba in ultima o terz'ultima po-
sizione.
kapé (cappello) kunvéinslu (convincerlo)

Le vocali intermedie «o, il» quando sono in fine di parola sono sem-

pre accentate.
fio (figlio, ragazzo)

PER LE CONSONANTI:

«é, g» hanno il suono dolce di «cielo, gelo».

éamò (chiamare) si legge «ciamà»
gàinte (gente) si legge «giàinte»

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Dopo la «c» e la «g» la i non si segna, salvo che abbia un suo-
no staccato dalla vocale che segue, ossia se non forma con essa un
dittongo.

mangò (mangiare) si legge «mangiò»
giò (girare) si legge «gi-ò»

k, g hanno il suono duro di «rasa, gara».
karasa (paletto di vigna)
galetu (solletico)

il- ha un suono «nasalizzato» tipico del dialetto, quasi fosse preceduta
da una «u» pressoché impercettibile.

kaii (cane) si legge quasi «kàun» o «kau»
Per notare la differenza tra «n» piana ed «n» basta pronunziare
la parola «manimah» (altrimenti, c'è pericolo che): la prima «n» è
piana, la seconda «nasale».

s ha sempre il suono aspro della parola «sera».
z ha invece il suono della «S» sonora della parola «rosa».

savài (sapere) skusò (grembiule)
roza (rosa) skiizò (fare a meno, scusare)

se suona come in italiano, men tre «se» è usata quando i due suoni
restano distinti.

sciò (sciare); scankò (strappare) si legge «s-cìancò»

Quando la parola è piana, ossia l'accento cade sulla penultima sillaba, l'ac-
cento non viene indicato; esso appare invece sulla sillaba interessata negli
altri casi (è omesso solo se cade su 0, ti).

babiu (rospo) perchè il dittongo «iu» è una sillaba.
kuniu (coniglio) truvò (trovare)

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PARTICOLARITA' DELLA PRONUNZIA

Le vocali doppie non si leggono distinte, ma si pronunziano come la voca-
le semplice allungata.

daa ka (dalla casa) aa dona (alla donna)

Il suono doppio della «i», purchè la prima delle due sia atona, dà
luogo ad un suono liquido, quasi «mouìllé».

bàbiu (rospo) bàbii (rospi)
foii (fogli) buii (bollire)

ma: kuniu (coniglio) fa «kunii», essendo tonica la prima «i».

Le consonanti doppie non esistono, salvo che non si voglia dar enfasi al-
la parola.

gramu (cattivo) l'è grammu kmè ... (è cattivo come ... )

La consonante N ha suono «n», quando è preceduta dalle vocali A oppure
O in sillaba tonica e chiusa (ossia se sulla vocale cade l'accento e la N è
finale di sillaba).

Fuori di questi casi la pronunzia della N è piana, ossia senza che si per-
cepisca la U fuggevole di cui si è detto.

mandilu (fazzoletto): la n non è in sillaba tonica.
manezu (artificio, trama): la n non è in sillaba chiusa.
iéin. (fine): la n non è preceduta da A oppure O.

L'assimilazione del suono nasalizzato alla U è evidente nel caso di passag-
gio da sillaba chiusa ad aperta, ossia quando la N è oppure diventa segui-
ta da vocale conclusiva di sillaba. In questo caso la U viene chiaramente
espressa.

kaii (cane) ha il plurale «kàuni» (la sillaba si chiude con i)
san (sano) ha il femminile «sàuna» (la sillaba si chiude con A)
lana si dice «làuna» (anche qui la A chiude la sillaba).

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Eccezioni apparenti alla regola sembrano le pronunce della N in casi come
«san Biòzu» (san Biagio) e «grand'omu» grand'uomo). E' apparente l'ec-
cezione perchè l'aggettivo in realtà si unisce procliticamente alla parola che
segue: «san Biòzu» suona «sanbiò-zu».

Il gruppo ZI seguito da vocale e se la i è atona tende a pronunciarsi co-
me «j» francese.

ziata (piatto fondo) si pronuncia anche <~jata»
préziu (prezzo) anche preju»

I suoni «is, ds» non esistono come suoni autonomi, benché essi possano ri-
sultare per l'incontro di una dentale e di una sibilante a seguito della
caduta di una vocale intermedia.

arvédise (arrivederci) diventa «arvédse»
metise (mettersi) diventa «metse»

In casi analoghi possono verificarsi anche variazioni consonantiche, specie

il passaggio da é a t.

guàcil u (guardalo ) diventa «guatl u»,

IMPORTANZA DELL'ACCENTO

Lo spostamento dell'accento dalla vocale tematica ad altre sillabe nella for-
mazione delle parole, e quindi soprattutto nella formazione delle voci ver-
bali, può provocare mutamenti fonetici riconducibili ai seguenti tipi:

a) L'apoionia, ossia il cambiamento della vocale tematica

da ò tonica ad a atona òzi (asino), azneta (asina)
da 6 tonica ad u atona br6ka (chiodo), brukéini (scarponi chiodati)
da o tonica ad u atona bogu (buco), bugò (bucare)
da o tonica ad il tonica zogu (gioco), zilgò (giocare)
da ai tonica ad e atona bàive (bere), a bevemu (beviamo)
da ei tonica ad i atona véinse (vincere), a vinsàivu (vincevo)
e viceversa.

lO

b) La nasalizzazione della N in sillaba accentata e chiusa, se preceduta
da A ed O.
zuntò (aggiungere) zoùta (aggiunta)
poiize (pungere) i punzài (pungete)
Se la sillaba è però aperta, ossia termina con una vocale che segue la
«n», quando è o diventa accentata, la «n» deve essere preceduta dalla «u»,
limunò (tirare in lungo, scocciare) u limouna (scoccia)
dindanò (ciondolare camminando) a dindàuna (ciondola)

c) L'inserimento di una E fra due consonanti in sillaba tonica.
rastlò (rastellare) rasté (rastrello, da «rastellu (s) »)
zbardlò (spargere) u zbardela (sparge)
lvò (levare) a levu (levo)

Le radici «plò» (pelare) e «splò» (spelare) intercalano «è».
pèle (pelle) ti te spèli (ti speli)

Queste variazioni hanno rilevanza anche dal punto di vista etimologico:
asinus (asino) òzi seta sàida
finis (fine) iéin. dens, dentis (dente) dàinte
bene (bene) bàin nero nàigru

L'ELISIONE

L'incontro di una vocale finale e di una iniziale di parole provoca la ca-
duta della prima che viene sostituita dall'apostrofo.

ataku (presso) atak'a ka (vicino a casa)
grande (grande) grand'omu (grand'uomo)
ke (che) k'i rivesa (arrivassero!)

La vocale «i» subisce pure l'elisione iniziale quando è seguita da due con-

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sonan ti e nelle parole id (di) , in (un, uno; in), isu (codesto) .

inkù (ancora) l'è 'nkù ki (è ancora qui)
indò (andare) a 'ndem u dmaù (andiamo domani)
insème (insieme) vene 'nsèm' a mi (vieni con me)
istu, ecc. (questo pia 'sta karega (prendi questa sedia)
isu, ecc. (codesto) guaca 'sa ka (guarda quella casa)
id (di) kuè' d lavuò (voglia di lavorare)
in (un, uno) dame 'n toku'd paii (dammi un pezzo di pane)
in (in) vene 'n ka (entra in casa)

Quando, per effetto dell'elisione, una parola bisillabica diventa monosillabi-
ca, essa sposta sulla parola seguente il suo accento, assume cioè una posi-
zione proclitica. In tal caso essa subisce le modificazioni fonetiche esami-
nate.

grande (grande) ma: grand'omu (grand'uomo)
séinkue (cinque) ma: sink'ue (le cinque)
tràinta (trenta) ma: trent'oin, trentoin. (trentuno)

Quando una particella enclitica, di solito monoconsonantica (vedi più ol-
tre «preverbo e particelle», ovvero ID o IN; talvolta anche ISTU e ISU che
possono mantenere anche la forma in U) si trovano davanti a parole ini-
zianti con due consonanti, l'enclitica cessa di essere tale ed assume una E
ed anche le altre parole ora viste assumono una E.

kuè 'de skersò (voglia di scherzare)
l' a di tu 'ne zçuaréii (ha detto uno strafalcione)
am lòvu (mi lavo) ma: a me stiijù (mi stanco)
tit guaéi (ti guardi) ma: ti te rpii (ti riprendi)

Si può parlare di elisione impropria (perchè non rientrante nello sche-
ma dell'incontro di due vocali) quando cade la vocale finale atona di
una parola, fatto che è assai frequente con le forme verbali.

atu dig' mi (per «atu digu mi» - te lo dico io)
u l'a [ai' le (per «u l'a fatu le» - lo ha fatto lui)

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PANNI STESI AL SOLE (foro inizio secolo)

IL CONSIGLIO COMUNALE ED IL PERSONALE DEL COMUNE INTORNO AL 1920

IL SOSTANTIVO

Genere: può essere maschile o femminile a seconda della terminazione.
Sono maschili i nomi uscenti in:

e prève (prete) barbé (barbiere)
u, il omu (uomo) kasii (mestolo)

o lenso (lenzuolo) giro (lippa)

n qaroii (calcagno) fiuéin (bambino)

Però: muié (moglie), rugre (rovere), bute (botte), man (mano) sono
femminili.

Sono femminili i nomi in a.
karasa (paletto di vigna) mumà (mamma)

Però: pupà (padre) e suldà (soldato) sono maschili.

Possono essere maschili o femminili i nomi in ò.
mazlò (macellaio) è maschile, strò (strada) è femminile.

Sono generalmente maschili i nomi in i.
puntì (ballatoio) tranvai

Il genere non corrisponde tassativamente a quello italiano. Vi sono infatti

femminili in dialetto e maschili in italiano:

sò (sale), iiua (fiore), amsuria (falcetto), skarlasa (pettine), pàsua
(passero) , aguga (ago) , ecc.

maschili in dialetto e femminili in italiano: (livido),

kupusu (nuca), [ersb (frittella), zurzo1i (fregola), makéii
sterpéii (spina), papé (carta), ecc.

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Numero: può essere singolare o plurale, il quale si ottiene o con la termi-
nazione in i o con e.

Hanno il plurale in i i nomi maschili, nei quali questa finale sostituisce
quella del singolare, se è atona; si aggiunge a quella del singolare, se accentata.

prève - prèvi omu - omi saku (sacco) - saki
barbé - barbéi fio (ragazzo, figlio) - fiDi
kasii - kasiii gugnéin (maiale) - gugnéini

I nomi in ari, an hanno plurale in auni, auni per le ragioni già espo-
ste a proposito dell'accento, nonché della sua influenza sulla lettera n.

garan - çaréuni kan - kduni

Hanno il plurale in e:
i nomi femminili;

i nomi in o, siano essi maschili o femminili.

karasa - karase ganasa (mascella) - ganase

mazlò - mazlè kuntrò (via) - kuntrè

L'accento rimane dov'è al singolare.

iiua - jiue lenso - Lensoi papé - papéi

Non variano al plurale:
i nomi in à: suldà pl. sul dà; pupà pl. pupà
i nomi in i: basì (catino) pl. basì; tranvai pl. tranvai
i nomi femminili in e: muié pl. muié; bute pl. bute
i monosillabi femminili: ka pl. ka; mom pl. mah.

I monosillabi maschili prendono di regola i, sebbene qualcuno sia usato al
plurale senza variazione.

pé (piede) pl. pé, péi
mii (mulo) pl. mui bo (bue) pl. bbi
mré (fragola) pl. mréi fio - fiDi

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Non variano alcuni nomi di recente «importazione», come
ràdiu (radio) pl. ràdiu

NOMI COMUNI e NOMI PROPRI

Il fatto che molti nomi comuni diven tino «propri» e viceversa deriva dal ri-
stretto ambito di riferimento che i nostri antenati avevano quando il dia-
letto nacque; il territorio conosciuto fu per molti secoli soltanto quello
feudale o del territorio «comunale» e di questa circostanza risente il dialet-
to in molti casi.
Cosi la tramontana si chiama «vàintu da basu» (vento che proviene dal
basso perché la pianura a nord è più bassa delle colline serravallesi; lo
scirocco, che proviene dal sud-est, da una regione che si sapeva essere af-
facciata sul mare, ha preso il nome di «maéin» (o vento di mare, appunto).
Ed ancora «porta d'òtu» era la Porta di Genova (Porta 'd Zena) perché più
alta della «porta da basu», ossia quella verso Milano.
La collina che sovrasta il vecchio borgo è denominata «é kasté» (il castello,
perché esso infatti c'era fino a che Napoleone lo fece demolire), mentre il se-
minario di Stazzano, costruito accanto al vecchio castello vescovile, porta il
nome di «kasté 'di prèvi» o «castello dei preti» sia per la sua origine sia
per la funzione esercitata fino a qualche lustro fa.
A sud la collina un tempo a strapiombo sulla Scrivia è chiamata l' «Ar-
manéina», nome che ricorda il presidio longobardo degli Arimanni, ossia
degli uomini d'arme alle dirette dipendenze del re, e che deriva dal gotico
«haarìs» (esercito) e «manna» (uomo) .
Il lato sul torrente, oggi solcato dalla ferrovia e dalla strada nazionale, si
chiama «a Rivèa», quasi la «riva» per antonomasia.
Verso Libarna è rimasto il nome di «Piue» o «Pieve» ad una tenuta che
sorge nell'ambito dell'antico perimetro della città e che ricorda il sorgere
di un villaggio quando la città romana decadde.

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Ad occidente del Castello le due regioni più importanti sono Gazzolo e Mon-
tei: la prima ha un'origine germanica e significa «bosco» (<<gehage»in an-
tico tedesco, diventato «Gazzo» o «Gazzolo» attraverso la mediazione del tar-
do latino «gadìum»): la seconda di origine chiaramente latina, associata
com'è a «mons» (monte).
Procedendo a nord oltre le mura c'erano le «aie» (<<ièe») e tale è il nome
tuttora dato alla piazza ivi esistente; più oltre il «Burçuninru» (Borgonuovo)
per distinguerlo dal «Castelvecchio».
Non manca l'esempio di un nome proprio che diventa comune: «u. Skriuuri:»
il quale indica la Scrivia in piena. Questo accrescitivo è diventato sinonimo
di «inondazione, alluvione, piena» e non sarebbe quindi sbagliato dire «'ntee
Po u g'ea u Skriiiuri» per indicare che il Po era in piena.
Per la formazione del femminile vedi paragrafo sugli «Aggettivi qualificativi».

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L'ARTICOLO E LA PREPOSIZIONE

ARTICOLO DETERMINATIVO
a) davanti a consonante

Al singolare il maschile distingue l'articolo a seconda della consonante con
cui il nome inizia. Esso è:

è u
se la consonante è labiale (p, b, m, se la consonante è palatale (c, g, Z,
f, v) o gutturale (k, g). gn) o l inguale (n, l, r, s, se, d, t).

è prève (il prete) u nòzu (il naso)
è maséù (il maschio)
u tron (il tuono)
è véin (il vino)
è balu (il ballo) u cogu (il chiodo)
è ferò (il fabbro) u sé (il cielo)
è kavalu (il cavallo) u ruçnoii (il rene)
u digò (il ditale)

Il femminile singolare davanti a consonante è a:

a ka (la casa) a màizra (la madia)

Al plurale l'articolo è i al maschile, e al femminile.

i prèvi, i bali, i kavali, i nòzi, i éogi
e ka, e done, e màizre, e strè

b) davanti a vocale

Al singolare l'articolo è l'ed al plurale i per entrambi i generi:

l'omu, l'òzi, l'anga (l'anitra), l'agug•a•

i omi, i òzi, i ange, i aguge

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ARTICOLO INDETERMINATIVO

Il dialetto distingue l'articolo indeterminativo dal numerale «uno».

articolo numerale

in, ina oin, oina

in kou (un cavolo), in libru (un libro), ina dona (una donna), ina
ka (una casa)

damne bin. (dammene uno), damne oina (dammene una)

in, ina subiscono l'elisione e l'inserimento di e eufonica.

'n kou, 'n libru, 'na ka, 'na dona, 'ne sterpelu (gran quantità)
oin, oina ovviamente non subiscono mutamenti fonetici.

PREPOSIZIONI ARTICOLATE

Solo le preposizioni a (a), id (di), da (da), in (in), si combinano con l'ar-
ticolo secondo il seguente schema:

ID 'deè 'du 'da 'd l' di dee
A aè au aa a l' ai ae
DA daè dau daa da l' dai dae
IN 'nte è 'n tu 'nta 'n t'l' 'nti 'n te e

daè pupà (dal padre) aà mumà (alla mamma)
u libru 'da dona (il libro della donna)
'ntu saku (nel sacco) da l'ortu (dall'orto)

Le altre preposizioni (inkù, con; per, fra) restano separate (*) dall'articolo;
altre vogliono dopo di sè

(*) «Per» vuole spesso lè, lu, la al posto di è, u, a.
per la prima vota (per la prima volta)

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A (asua, sopra; suta, sotto; ataku, presso; insème, insieme; in sima,
sopra; davanti, davanti; ecc.)

ataku aa ka (vicino alla casa)
in sima aa skòa (sulla scala)
davanti aa busrò (davanti alla siepe)

DA (luiiian, lontano; foa, fuori; ecc.)

luiitan. daa piasa (lontano dalla piazza)

KE (prima, prima; dopu, dopo; ecc. quando reggono pronomi; altri-
men ti vogliono I D) .

prima ke mi (prima di me)
prima 'd mangò (prima di pranzo)

IL PARTITIVO

Nel partitivo l'influenza francese è notevole: esso infatti è obbligatorio, a
differenza dell'italiano, e, come in francese è espresso

dalla preposizione articolata in frase affermativa
dalla preposizione semplice in frase negativa

a ooiu. 'deè pan un g'a 'd sodi
(voglio pane) (non ha soldi)
je veux du pain il n'a pas d'argent

Ancora somigliante è l'uso del partitivo con sàinsa e inkù:
con sàinsa (senza) non ci vuole alcun partitivo:

l'è restò sàinsa pan (è rimasto senza pane)

con inkù (con) ci vuole la preposizione articolata:
l'è 'n omu 'nkù 'di sodi (è una persona con soldi)

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GLI AGGETTIVI QUALIFICATIVI

FORMAZIONE DEL FEMMINILE E DEL PLURALE

Gli aggettivi concordano col sostantivo in genere e numero. Le varie forme
si ottengono nel modo seguente:

se l'aggettivo termina in N o in U aggiungendo (se termina in N) o cam-
biando la finale (se termina in U) le seguenti terminazioni:

A al femminile singolare: bròvu (bravo) bròva

[éiti (fine) téina

I al maschile plurale: bròvi jéini

E al femminile plurale: bròve [éine

Gli aggettivi in àn, 6n, per le già esposte ragioni fonetiche, interca-
lano u davan ti alla n.

b6n (buono) b6una, b6uni, b6une
luntàh (lontano), luntàuna, luntàuni, luntàune

Se l'aggettivo termina in E varia solo al maschile plurale.

saku greve (sacco pesante) bursa greve (borsa pesante)
saki grevi (sacchi pesanti) burse greve (borse pesanti)

Se l'aggettivo termina in ò varia soltanto al plurale, maschile e femminile,
dove prende è.

omu invezendò (uomo affannato) dona invezendò
omi invezendè done invezendè

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La regola del femminile .in a vale anche per i nomi, se il genere
non è già espresso da parole distinte (es. «omu» e «dona»), termina-
zione che assumono anche i nomi in E atona.

sciuu (signore) sciua
plis6'n (poltrone) plisDuna
sakriste (sacrestano ) sakrista

Se la vocale finale del nome è accentata, la a si aggiunge.

barbé (barbiere) barbéa
sertù (sarto) sertùa

Se il nome termina in ò ha il femminile in èa.

mazlò (macellaio) mazlèa

furnò (fornaio) iurnèa

spesciò (farmacista) spescièa

muinò (mugnaio) muinèa

Gli aggettivi grande (grande), santu (santo) e bèlu (bello):

v

«santu» diventa san davanti a nome proprio: San Giizèpe

«grande» diventa gran davanti a nome singolare; al plurale solo se il
nome incomincia per consonante.

gran dona, gran done, grand'omi, gran spesciè

«bèlu» diventa bèi al plurale:

bèi omi, bei done (ma anche: bèle done)

Per l'elisione vedi paragrafo relativo.

AGGETTIVI DI QUANTITA'

«Molto» e «tanto» si rendono entrambi con: (f.p.)

tante (m.s.) tanta (f.s.) tanti (m.p.) tante

tante lète (molto latte)
tanti sodi (molti soldi)

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«Quanto» si rende con kuaiiie che si declina analogamente.

kuaiite lète (quanto latte)
kuaiiti sodi (quanti soldi)

«tante» e «quante» diventano «taiitu» e «quaiitu» se sono soli.
an uoiu. taiitù (ne voglio molto)

«Poco» è p6ku «Troppo» è tr6pu

con declinazione regolare: p6ka, p6ki, p6ke

COMPARAZIONE

Gli avverbi «pii» (più) e «menu» (meno) sono sempre correlati:
nel comparativo con ke davanti al secondo termine di paragone;
nel superlativo (ossia quando sono preceduti dell'articolo) con id.
l'è pii (menu) tiirtn: ke ti (è più (meno) furbo di te)
ug a pii (menu) sodi ke ti ha più (meno soldi di te)
l'è è pii (menu) [iirbù 'd tiiti (è il più (meno) furbo di tutti)
ug a pii (menu) sodi 'd tiiti ha più (meno) soldi di tutti)

Il comparativo di eguaglianza si esprime con kmè davanti al secondo termine,
se la comparazione avviene tra aggettivi: se invece avviene tra sostantivi
la correlazione è data da tante (declinato) ... kmè

l'è furbu kmè ti (è tanto furbo quanto te)
ug a tanti sodi kmè ti (ha tanti soldi quanto te)

ke traduce anche l'espressione «di quello che»
kuel'omu l'è meiu k'an pensòvu (quell'uomo è meglio di quel
che pensassi)

Non esistono comparativi irregolari, ma «migliore» e «peggiore» possono tra-

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dursi con gli avverbi «meius e «pézu».

l'è pu vègu ke mi (è maggiore di me)

l'è meiu ke mi (è migliore di me)

Il superlativo assoluto si ottiene con gli avverbi tantu. (anteposto all'agget-
tivo) o bàin (posposto) - ovvero con la desinenza isimu che provoca la ca-
duta della vocale finale dell'aggettivo e, spostando l'accento su di sé, an-
che le già viste modificazioni fonetiche.

bèlu. (bello) tantu. bèlu, bèlu bàin (bellissimo)
f éin (fine) [inisim. u (finissimo)

b6n (buono) bunisimu (ottimo)
kaisimu (carissimo)
kòu (caro)

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AGGETTIVI E PRONOMI

POSSESSIVI

Le stesse voci sono usate come aggettivi e pronomi, ma in questo caso so-
no precedute dall'articolo. Esse sono:

mè (mio) to (tuo) so (suo, loro) invariabili
nostru (nostro) vostru (vostro) variabili come gli aggettivi

è mè libru e u to (il mio libro ed il tuo)
i mè libri e i to (i miei libri ed i tuoi)
a mè ka e a vostra (la ma casa e la vostra)
a so ka e e vostre (la sua casa e le vostre)

Con parola «casa (ka) il possessivo si pospone se con essa non vuole in-
dicarsi tanto l'edificio quanto il focolare domestico.

a ka mè (a casa mia) versu ka to (verso casa tua)

Con «padre» e «madre» accompagnati dai possessivi invariabili, oltre alle
corrispondenti «pupà» e «mumà» possono usarsi le parole «'upà» e «'umà».

mè 'upà, to 'umà (mio padre, tua madre)

DIMOSTRATIVI

Sono istu (questo) fem. ista pl. masch. isti pl. fem iste
isu ( codesto) isa isi ise
kuelu (quello) kuela kueli kuele

Queste voci sono pronominali (pia isti (prendi questi), un diza 'd
kuele . . . (ne dice di quelle . . .)

Se usate come AGGETTIVI, a parte l'elisione di cui si è già parlato
ed a cui si rinvia, si deve aggiungere:

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isu e kuelu hanno l'elisione impropria della u al singolare;

isa e kuela elidono la a invece solo davan ti a vocale.

is' prève (codesto prete) is' aguga (codesto ago)

kuel'omu (quell'uomo) kuel'aguga (quell'ago)

kuelu, come aggettivo, fa kuei al plurale per i due generi.

kuei omi (quegli uomini) kuei done (quelle donne)

Quanto all'USO dei dimostrativi:

se non vi è pericolo di confusione circa la persona o la cosa cui ci si rife-
risce, isu è di uso generale, ossia sostituisce anche gli altri due dimostrativi,
purché l'oggetto del riferimento sia nella percezione attuale di chi parla (ciò
vale soprattutto per l'uso di isu al posto di kuelu).

a piu 's' joiu. (prendo questo foglio) (è vicino a me)
dame 's' libru (dammi codesto libro) (è vicino a te)
guaéa 'sa niigra (guarda quella nuvola) (è lontana, ma visibile)

se vi è pericolo di confusione o si vuol comunque accentuare l'idea di vi-
cinanza o di lontananza, si usano le voci distinte:

a piu 'sta karega (prendo questa sedia)
metlu 'nt' is' vòzu (mettilo in codesto vaso)
dame kuel' sitroii (dammi quell'arancia)

Le particelle ki e la si usano con i dimostrativi per specificare meglio la
vicinanza o la lontananza; però

con isu (is' al maschile singolare) si usano accompagnati da ke (is' ke ki,
is' ke la) e se c'è il sostantivo vanno dopo di esso.

dame is' ke ki (dammi questo)
dame 's' libra ke la (dammi quel libro)

Con istu si usa pure il ke, ma soltanto nella forma ke ki.

dame istu ke ki (dammi questo)
dame 'sta bursa ke ki (dammi questa borsa)

25

Con kuelu si usano le particelle senza ke: allora il dimostrativo ha le for-
me kuel, kuela al singolare, kuei al plurale ed il sostantivo eventuale sta
fra l'aggettivo e la particella.

dame kuel ki (dammi questo)
dame kuei libri la (dammi quei libri)

(Per altri dimostrativi a carattere idiomatico vedi il capitolo relativo
alle espressioni idiomatiche).

INTERROGATIVI

I pronomi sono ki per le persone e kose per le cose, ma la forma perifra-
stica più usata accompagna tali voci con la particella ke:

chi? ki è ke (letteralmente: chi è che ... )
ki è k'u pòrla? (chi parla?)
lei è ke ti vegi? (chi vedi?)
id ki è ke ti pòrli? (di chi parli?)

Un ulteriore allungamento si può avere in kièlu, kièla, kièli, kièle
(che sono in realtà forme interrogative contratte, come si vedrà) seguiti da ke:

kièlu k'u pòrla?
kièla ke ti vegi? (chi vedi?, con «chi» femminile).

che cosa? kos' ke (cfr. il francese: «qu'est-ce que?»)

kos' k'ug è? (che cosa c'è?)
kos' ke ti ueçi? (che cosa vedi?)
ui kos' ke ti pòrli? (di che cosa parli?)
'nku kos' ke ti lavùi? (con che cosa lavori?)

L'aggettivo «quale» si traduce con ke invariabile ; il pronome «quale» si
rende con kuel declinato seguito da ke.

ke libru ti VD? (che libro vuoi?)
ke libri ti va? (quali libri vuoi?)
kuela ke ti va? (quale vuoi? - di cosa femminile)
kuei ke ti va? (quali vuoi? - di cose maschili)

26

RELATIVI

Esiste soltanto il pronome diretto ke, di solito nella forma k' per essere
seguito dal preverbo, ossia dalla particella che regge le forme verbali, di
cui più oltre si dirà.

l'omu k'u pòrla (l'uomo che parla)
a dona k' a vegu (la donna che vedo)

Quando il pronome relativo è obliquo (in italiano «cui» o «quale» con pre-
posizione) si usa sempre il pronome ke:
- se preceduto in italiano dalle preposizioni «di, a, da», queste si omettono

semplicemente.
l'omu ke u so fio l'è a suldà (l'uomo il cui figlio è al servizio
militare: «a soldato»)
a dona k'ag dagu 'n libru (la donna cui do un libro)
a dita k'a dipàindu (la ditta da cui dipendo)

- se preceduto da altre preposizioni, queste si rendono con un avverbio
di significato corrispondente, che si pone dopo il verbo.
è fio k'ag pòrlu 'nsème (il ragazzo con cui parlo; ossia: il ra-
gazzo che gli parlo insieme)
u tetu k'ag sah in sima (il tetto su cui sono; ossia: il tetto che
ci sono sopra)
a skàtua k'ag çuaèu. 'n dràinta (la scatola nella quale guardo;
.... che ci guardo dentro).

INDEFINITI
AFFERMATIVI:
kuòrke (*) (qualche)e ogni (ogni) sono aggettivi indeclinabili.

kuòrke libru, kuorke ka (qualche libro, qualche casa)

(*) in unione con certe parole si abbrevia in kok'
kok' vota (qualche volta) kok' 'd oin. (qualcuno)

27

ogni libru, ogni ka (ogni libro, ogni casa)

kuòrke 'd oin. (qualcuno) ì

ogni 'd oin. (ognuno) ( soltanto pronomi.

kuarkosa (qualcosa) )

«Alcuni» si traduce con espressioni del tipo «'da gàinte» (della gente) e simi-
li, non essendovi corrispondente dialettale, oppure con dutrài (m.), dutrè (f.)

'da gàinte a diza (alcuni dicono)
damne dutrè (dammene alcune)

NEGATIVI:

'nsiiin. (tnsoini) e mank'oiti (nessuno) sono invariabili come pronomi, ma
hanno il femminile in A se aggettivi (rnaùku. in allora).

un g'ea mahku. 'n fiO (non c'era nessun ragazzo)
un g'ea rruuilcù 'n kan (nessuno, «nemmeno un cane»)
un g'ea 'nsoin. (non c'era nessuno)

néinte (nulla)

Con questi pronomi la forma negativa non consente l'uso del no o
miga rafforzativi.

oan no vistu è barbé (non ho visto il barbiere)

an o uistù 'nsbin. (non ho visto nessuno)

an katu no '8' libru (non compera questo libro)
an katu miga (non compera)
an katu néinte (non compera nulla)

IMPERSONALI:
Il «si» impersonale si rende:

col verbo alla terza persona plurale: i diza (si dice, dicono)
col riflessivo alla terza singolare: us diza (si dice, dicono)
In ogni caso è usato solo il preverbo e non il soggetto.

22

I NUMERALI

I primi tre cardinali hanno due forme secondo il genere del nome che segue:

1 oin. (masch.), dina (femm.) se il numero è usato da solo; in (masch.),
ina (femm.) se segue il nome ossia se sono articoli indeterminativi.

2 dui (masch.), due (femm.) 3 trai (masch.), tre (fem.)

es.: trai omi, tre done

Gli altri sono: 4 kuatru, 5 séinkue, 6 séi, 7 sète, 8 otu, 9 nove, 10 deze,
11 onee, 12 tiuze, 13 treze, 14 kuator ze, 15 kéinze, 16 seze, 17 disète, 18

dizdotu, 19 dizniroe, 20 véinti, 30 tràinta, 40 kuaraiita, 50 sinkuaiita, 60
sesanta, 70 setaiita, 80 utaùta, 90 nuoaiita, 100 sàintu, 200 duzàintu, 300
trezàintu, 400 kuatrusàintu, ecc.
1000 mile, 2000 duemila, 3000 tremila, 4000 kuatrumila, ecc.

La combinazione di decine ed unità (come in 24, 36, ecc.) può provocare
mutamenti fonetici a causa dello spostamento dell'accento.

21 è uintiiin. 28 uiniotu, ma véintikuatru, véintisei, ecc.
31 è trenioin, ma trtiinuuiui, triiintalcuatru, ecc.

La finale a dal 40 in poi può diventare e in composizione.
46 è kuarantesei o kuarantasei.

Gli ordinali sono usati pochissimo e comunque non oltre il dieci:

1° primu, 2° sekoiuiu, sçoiuiu, 3° tersu, 4° kuòrtu, 5° kuéintu, 6° sestu,
7° sètimu, 8° utinni, 9° n6nu, 10° dééimu.

Le ORE fino a tre si esprimono col numero seguito da «botu» (rintocco),
dalle quattro alle dodici col numero seguito sempre da «ue» (ore) e sen-
za l'articolo che invece compare in italiano.

la mezza: mèzbotu l'una: in botu le due: dui boti

29

le cinque: sink'ue (la ei di seinkue diventa i perchè l'accento si spo-

sta sulla parola ue)

le otto: ot'ue verso le sei: vèrsu sei ue

La parola «ue» può mancare se sono espresse determinazioni di tempo in-
feriori all'ora: kuòrtu (quarto), mèzu o mèza (mezzo, mezza) il primo ri-
ferito a «botu», la seconda a «ue», miniitù (minuto), spesso sottinteso.

le due e mezzo: dui boti e mèzu
le cinque e un quarto: séinkue e in kuòrtu
le sei e mezzo: sei e mèza

Il verbo rimane prevalentemente al singolare: l'è sei ue (sono le sei). Per
esprimere il tempo che manca dalla mezz'ora all'ora successiva si usa l'e-
spressione u kala (manca, mancano) seguita dal numero.

le otto meno dieci: u kala deze a ot'ue
un quarto alle otto: u kala in kUOTtUa ot'ue

«Mezzogiorno» è mezdì; «mezzanotte» mezanote. Non si usano per le ore
i numeri successivi al dodici.

le diciotto: sei ue

Le DATE si esprimono come in italiano, ma la preposizione id deve appa-
rire davanti al nome del mese e l'articolata 'deè davanti al numero dell'anno.

il 5 maggio 1985: u 5 'd mazu 'deè 1985

30

LA FESTA DEL VINO

LA FORNACE

II VERBO

La coniugazione poggia su tre elementi: il soggetto, il preverbo e le desi-
nenze personali secondo i vari modi e tempi.

Soggetto può essere un nome o un pronome ed in quest'ultimo caso esso
può anche mancare, visto che il preverbo e la desinenza sono sufficienti
per evitare equivoci circa chi compie l'azione.

I l preverbo è una particella che serve a coordinare il soggetto con il ver-
bo e, poichè ad ogni pronome corrisponde un preverbo, qui ne viene dato
l'elenco:

in italiano Pronome dialettale Preverbo

lo mi a
ti ti
Tu le u
Egli le a
Ella nui, nuòtri a
Noi vui, vuiòtri i
Voi lu i
Essi, esse

Così:

io prendo: mi a pìu noi sentiamo: a sentimu
tu corri: ti ti kuri voi vorreste: i vresi
egli parla: le u pòrla essi guardano: i guaéa
ella crede: le a kreda

Mentre il pronome può mancare, il preverbo deve essere sempre presente
all'indicativo e al congiuntivo.

Così si può dire mi a biasu oppure a biasu per dire «io mastico», ma non
si può dire mi biasu.

31

La coniugazione avviene secondo le persone, i tempi e i modi. Vi sono tre
coniugazioni:

la prima ha l'infinito in ò biasò (masticare)

la seconda ha l'infinito in e krede (credere)

la terza ha l'infinito in ì kurì (correre)

Per quanto riguarda modi e tempi in dialetto mancano:

il condizionale, che è sostituito dal congiuntivo passato come in latino.

a katesu 's' libru, s'u iisa a bunpatu
(comprerei quel libro se fosse poco caro)

a katesu: comprassi o comprerei

il passato remoto, che è sostituito dal passato prossimo, tempo composto.
iéi a son 'ndatu a Zena (ieri andai a Genova)

il participio presente, che è sostituito sempre da una proposizione
relativa.

e letre k'i [urma a parola
(le lettere formanti la parola: ... che formano ... )

Le desinenze proprie ai vari modi e tempi sono esposte nella tabella che
segue.

Da notare che il pronome di cortesia italiano «Lei» è reso con Vui in dialetto.
Vui kos'k'i dizi? Lei che cosa dice?

PARADIGMI VERBALI (tema - desinenza)

Infinito:

bias-ò kred-e kur-ì

32

Indicativo presente:

bias-u kred-u kur-u
bias-i kred-i kur-i
bias-a kred-a kur-a
bias-emu kred-emu kur-imu
bias-ài kred-ài kur-t
bias-a kred-a kur-a

Indicativo passato:

bias-òvu kred-àivu kur-ivu
bias-òvi kred-àivi kur-ivi
bias-òva kred-àiva kur-iva
bias-òrmu kred-àirmu kur-irmu
bias-òvi kred-àivi kur-ivi
bias-òva kred-àiva kur-iva

Indicativo futuro:

bias-ro kred-ro kur-irii
bias-rè kred-rè kur-irè
bias-rà lcur-irà
kred-rà
bias-remu kur-iremu
bias-rài kred-remu kur-irài
bias-ràii kred-rài kur-iràii
kreti-ràii

Congiuntivo presente:
come l'indicativo presente

•• Congiuntivo passato:

bias-esu kred-esù kur-isu, kur-iesu

bias-esi kred-esi kur-isi, kur-iesi

bias-esa kred-esa kur-isa, kur-iesa

bias-ezmu kred-ezmu kur-izmu, kur-iezmu

bias-esi kred-esi kur-isi, kur-iesi

bias-esa kred-esa kur-isa, kur-iesa

Imperativo:

bias-a kred-a kur-a
bias-ài kred-ài kur-ì

33

Participio: bias-ò kreii-iui kur-ìu
Gerundio: bias-aiuiu. kred-àindu kur-indu

Note:

Le desinenze emu, imu hanno una variante in ema, ima: bias-ema,
kur-ima.

Al congiuntivo passato le desinenze delle prime persone hanno una
variante in a: benchè l'uso sia promiscuo, la desinenza in u ha pre-
valente valore di condizionale, quella in a di congiuntivo.

a 'ndesu (andrei) k'a 'ndesa (che andassi)

Le desinenze iesu e successive hanno prevalente valore di condizionale.

a gniesu (verrei) s'a gnisa (se venissi)

Alle forme mancanti dell'imperativo si supplisce con il presente pre-
ceduto da ke (ma non alla prima persona plurale).

k'u vaga (vada) mangemu (mangiamo)

PARTICOLARITA' DELLA CONIUGAZIONE

A) Mutamenti fonetici provocati dallo spostamento dell'accento. Tale spo-
stamento ha duplice direzione:
la ritrazione quando l'accento dalla sillaba finale dell'infinito si sposta su
quella tematica: questo avviene nella prima e terza coniugazione nel singo-
lare del presente e dell'imperativo e nella terza persona plurale del presente.

gminsò (cominciare) a gméinsu, ti gméinsi, u gméinsa, i gméinsa
ma a gminsemu, i gminsòvi, çminsaiuiù

lo slittamento quando l'accento, che è sulla sillaba tematica all'infinito, si
sposta sulla desinenza: questo avviene nella seconda coniugazione in tutte
le forme verbali diverse da quelle sopra indicate.

34

bàive (bere) a bàivu, ma: a bevemu, i bevaivi, a beoro

Le modificazioni fonetiche sono quelle già elencate a proposito dell'accento
e qui valgono alcuni esempi:

markò (segnare) a mòrku, ti mòrki, u mòrka, i mòrka
ma: i markài, u markòva, a markesa

kantò (cantare) a katitu, ti kahti, u kania, i kania
ma: i kantài, u kantòva, a kantrb

brutò (brucare) a brotu, ti broti, u brota, i brota
ma: a brutemu, ti brutòvi, a brutezmu

runfò (russare) a roniu, ti ronii, u roiiia, i ronia
ma: a runiinru; i runjài, u runiesa

O1ize (ungere) a oiizu, ti onzi, u onza, i onea
ma: a unzàivu, ti unzrè, i unzesa

krubì (coprire) a krbbu, ti krobi, u kroba, i kroba
ma: a krubimu, i krubivi, i krubirtu:

ziigò (giocare) a eoçu, ti zogi, u zoqa, i zoga
ma: i ziigòvi, a ziigesa, zuçandu.

sentì (sentire) a sàintu, ti sàinti, u sàinta, i sàinta
ma: a sentimu, i sentivi, a sentizmu

pezò (pesare) a pàizu, ti pàizi, u pàiza, i pàiza
ma: a pezemu, i pezòvi, i pezesa

véinse (vincere) a véinsu, ti véinsi, u véinsa, i véinsa
ma: a vinsemu, i vinsàivi, i vinsrài

L'apofonia serve talvolta a distinguere i significati:

vutò votare a vutu (io voto) senza apofonia
voltare a vòi;u (io volto) con apofonia

In altri casi permane l'ambiguità:

a drobu può significare «io apro» (da drubì), oppure
«io adopero» (da drubò)

i
e Non tutti i verbi con le vocali tematiche suscettibili di apofonia la subisco-

no nella coniugazione, ma i verbi che hanno la N nel tema hanno tassati-

35

vamente le variazioni fonetiche.

Seguono ora due elenchi uno di verbi che modificano e uno di verbi che
non modificano.

VERBI CON APOFONIA VERBI SENZA APOFONIA

a - ò fiagò (fiatare) bagagò (sbadigliare)
in~avò (serrare i denti) bertuzò (sporcare)
r.narkò (segnare) bragò (gridare)
nazò (annusare) éar.nò (chiar.nare)
zbagò (socchiudere) éifulò (zufolare)
éucò (succhiare)
u - 6 brutò (brucare, masticare) dubiò (piegare)
f;ukò (scrosciare, sragionare, frugnò (rovistare)
affibbiare) guaéò (guardare)
f;alukò (scuotere, agitare) gnakò (schiacciare)
drubì (aprire) kalò (dir.ninuire, r.nancare)
drubò (adoperare) katò (cor.nprare )
drurni (dormire) kupò (alzare le carte)
kulò (inghiottire) kuò (colare)
luéò (far oscillare) laéò (r.nungere)
ripuzòse (riposarsi) lapò (bere rur.norosar.nente)
stupò (turare) r.nakò (amr.naccare)
surtì (uscire) r.nasò (uccidere)
r.nustrò (mostrare, insegnare)
zm.urtò (spegnere) pucò (in tingere)
pugò (potare)
u - o bugò (bucare) pacugò (pasticciare)
ragnò (piangere)
dugò (adocchiare) ravatò (rovistare)
gragnuò (grandinare) skrapò (raspare)
krugò (cadere di foglie, di capelli) scapò (spaccare)
suò (suolare) skuò (scolare, scopare)
skursò (accorciare)
u - o zugò (giocare) skuzò (fare a r.neno)
stransiiçò (sudare)
butò (germogliare) stufò (stancare)
ai - e pràinde (accendere) siirbt (sorbire)

bàive (bere)
e - ai bregò (darsi da fare)

dizlenguò (sciogliersi)
fregò (fregare)
rr.nenò (spostare oggetti)
rzentò (risciacquare)

36

i -ei gaminò (soffrire) silgò (asciugare)
'ndvinò (indovinare) takò (attaccare)
insò (aprire scatole, bottiglie, tastò (assaggiare)
iniziare ad affettare pa- tukò (toccare)
ne o salame, ecc.) zgiliò (pulire raschiando)
kinò (cullare) zbukò (sboccare la bottiglia)
vinò (preparare per il vino)
ecc.
ecc.

Verbi col tema in an, un: subiscono la nasalizzazione e quelli in un anche l'apo-
fonia. Ma se la n è seguita dalla vocale della desinenza (ossia la sillaba è
aperta), an e un diventano àun, oun. nei casi di ritrazione.

brankò (afferrare) a brtniku, ma: a brankemu
runfò (russare) u rotiia, ma: i runièoi
dindanò (ciondolare) ti dindàuni, ma: a dindanemu
Zimunò (scocciare) u limourui, ma: ti Zimunòvi

L'inserimento della e può essere:

effetto dello spostamento dell'accento, come vocale di appoggio tonico
nei casi di ritrazione, per i verbi che, davanti alla desinenza dell'infi-
nito, hanno una Z preceduta da .altra consonante.

éatlò (chiaccherare) a cateZu, ti cateZi, ecc.
ma: a éatlemu, ti catlòvi, ecc.

Così fanno: mazZò (macellare), pa tlò (spettegolare), ,parpZò (tremolare
delle palpebre, del fuoco, del sugo), pZò (sbucciare), rabZò (trascinare),
rastlò (rastrellare), zbardZò (spargere in disordine), zgarbZò (scortica-
re), ecc.

Il verbo pZò ed il composto spZò (spellare) inseriscono una è.

u pèZa, i spèZa, ma: a pZòvu, a pZemu

Anche batzò (battezzare) e zrò (gelare) intercalano la e, ma zrò
perde la r nel presente e nel futuro.

u bateza; a zeu; ti zei; u zea, ecc.
ma: i zrai; a zeero; ti zeerè; ecc.

37

vocale semplicemente eufonica da vanti alle desinenze del futuro per i
verbi della prima e della seconda coniugazione, se il tema esce in vo-
cale, in palatale (c, g, gn), in n o in liquida (l, r).

mzuò (misurare) a meiiero, ecc. ecc.

bragò (gridare) ti bragerè, a brageremu
frugnò (rovistare) u iruçnerà, i frugnerài
mustrò (mostrare, insegnare) a mustrero ti mustrerè,

Il verbo lvò (levare) inserisce la e tra le consonanti del tema sia nei casi
di ritrazione che al futuro.

a levu, ti levi, ecc. a lvemu, i lvai, a leoro, ti levrè, ecc.

La e del tema scompare invece, nei casi di slittamento dell'accento, in alcu-
ni verbi della seconda coniugazione:

leze (leggere) a lzemu, i lzai, a lzàivu, ti lzesi ma: a lezrii
kugnese (conoscere) a kugnesu, ti kugnesi

ma: a kunsemu, i kunsàivi, kunsiiù

B) Verbi con l'allungamento in is nei- casi di ritrazione dell'accento.

Si tratta di alcuni verbi della terza coniugazione, tra i quali:

finì (finire) diskarì (separare) kapì (capire)
patì (patire) sarsì (rammendare) séuzì (schiudere)
skrusì (scricchiolare) silì (fia tare)
tu sì (tossire) zubì (esporre merce, mostrare, esibire)

Così: a finisu, ti [inisi, u [inisa, i finisa
ma: a finimu, i finiva, ti finirè

Il congiuntivo passato di questi verbi ha l'allungamento in ies per evitare
confusione con il presente.

s'a finiesu (se finissi) se ti kapiesi (se capissi)

38

»

C) Verbi con l'infinito in ai: appartengono alla seconda coniugazione e, a-
vendo la desinenza in ài dell'infinito accentata, subiscono variazioni nei
casi di ritrazione dell'accento. Nelle altre voci sono regolari.

duvài (dovere) a devu, ti devi, u deva, i deva
ma: a duvemu, i duvàivi, ecc.

pazài (sembrare) a pòu, ti pòi, u pò, i pòa
ma: a pazàivu, i pazài, ecc.

piazài (piacere) a piòzu, ti piòzi, u piòza, i piòza
ma: i piazài, a piazàivu, ecc.

tazài (tacere) a tòzu, ti tòzi, u tòza, i tòza
ma: a tazàiou, ti tazrè, ecc.

Altri verbi come pudài (potere), savài (sapere), vrài (volere), presentando par-
ticolarità anche in altre voci, sono elencati tra i verbi irregolari.

D) Desinenza i nella seconda persona plurale del presente: nei verbi di pri-
ma e di seconda coniugazione la desinenza ai della seconda persona
plurale è spesso sostituita da i atona (cosa che non avviene assoluta-
mente all'imperativo).

Essendo la desinenza i atona, essa comporta la ritrazione dell'accento,
ma non lo slittamento, sicché la forma verbale subisce l'apofonia nei
verbi di prima coniugazione ed ha il tema dell'infinito nella seconda.

In pratica coincide con la seconda persona singolare.

i pensài, i pàinsi (pensate) i pezài, i pàizi (pesate)
i mangài, i mangi (mangiate) i bevài, i bàivi (bevete)
i vinsài, i véinsi (vincete) i lzai, i lezi (leggete)

E) VERBI IRREGOLARI. In questi verbi l'irregolarità riguarda il presen-
te (anche congiuntivo), il futuro (ma non sempre) ed il participio. Ven-
gono perciò indica te solo le voci irregolari:

dò (dare) Pres.: dagu, dè, da, demu, dai, daii
Cong.: daga, dagi, daga, demu, dagi, daga
Fut.: darà, darè, ecc. Part.: datu Imp.: da, dai

39

fò (fare) Pres.: fagu (fasu), iè, fa, iemu, fai, fan
Cong.: [asa o faga, fasi o fagi, iasa o faga, [emu,
pudài (potere)
savài (sapere) fasi o fagi, [asa o faga
snò (cenare) Fut.: faro, iarè, ecc. Part.: fa tu Imp.: fa, fai
stò (stare)
Pres.: posu, po, po, pudemu, pudài, pba
Cong.: posa, posi, posa, posimu, posi, posa

Pres.: so, sè, sa, semu, sai, san
Cong.: saèa, saéi, sada, sàéimu, saèi, saèa

Pres.: sàinu, sàini, sàina, snemu, snai, sàina

Fut.: snerii, snerè, ecc. Imp.: sàina, snai

Pres.: stagu, stè, sta, stemu, stai, sta'ti

Cong.: staga, stagi, staga, stàgimu, stagi, staga

Fut.: storo, starè, ecc. Part.: statu.

Il verbo «eto» ha anche il significato di «sedere»
falu stò (fallo sedere)

stose (sedersi) Pres.: setu, seti, seta, stemu, stai, seta
Fut.: setero Part.: stò, setò Imp.: sette, stàive

vrai (volere) Pres.: »oiu, vo, vo, vrema, vrai, ooa

Cong.: voga, vogi, voga, vogimu, vogi, voga

Fut.: uuro, vurè, ecc. Part.: »usiui

di (dire) Pres.: digu, dizi, diza, dimu, dizi, diza

Cong.: diga, digi, diga, dimu, digi, diga

Part.: di tu Gerundio: dizàindu, dindu

gni (venire) Pres.: venu, veni, vena, gnimu, gni, vena

Cong.: vena, veni, ecc. Part.: gnuu

I verbi mete (mettere, supporre) e vege (vedere) seguono la terza coniuga-
zione (ma non al futuro):

meti, metimu, metivu, metro, metisa, metindu, mi su
vegi, vegimu, vegivu, oeçro, vegisa, vegindu, vistu

(non è accentata la desinenza della seconda persona plurale del
presente)

40

I verbi ausiliari avai (avere) ed ese (essere) sono pure irregolari, ma a
causa delle osservazioni inerenti il preverbo, la loro coniugazione verrà da-
ta dopo il paragrafo relativo.

Per il resto le irregolarità di parecchi verbi si ritrovano nel Participio, do-
ve è evidente l'influenza dell'italiano.

koze (cuocere) kotu. deéide (decidere) decizu

divider (dividere) divizu miroe (muovere) mostù

skoiuie (nascondere) skuzu perde (perdere) persu

skrive (scrivere) skritu O1ize (ungere) ontu

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PREVERBO E PARTICELLE

Alcune particelle, pronominali o avverbiali, aggiunte al preverbo o al verbo,
secondo i casi che verranno esaminati, consentono:

a) di esprimere i pronomi complementi.

um guaéa (mi guarda) al vegu (lo vedo)
a la sàintu (la sento) ug diza (gli, le dice)

b) di rendere il verbo al negativo con la particella N.
un guacva (non guarda) an lezù (non leggo)

c) di rendere il verbo riflessivo. tit siiçi (ti asciughi)
am lòvu (mi lavo)

d) di aggiungere un significato locativo (<<ci,vi» in italiano).

ag vagu (ci vado) ug leza (ci legge; legge lì)

Le particelle hanno due forme, una breve o monoletterale ed una lunga o
biletterale, e sono:
Forma lunga
Corrispondente italiano Forma breve ME
me, mi M TE
te, ti T LU
lo L LA
la
N NE
ce, ci (accusativo personale)
non (forma negativa) V VE
ne (significa to parti tivo) I
I II
ve, vi
li lE
le (accusativo personale)

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gli, le, loro (dativo) G GE
ci, vi (avverbi di luogo) S SE

se, si
ce, ci (riflessivo)

Le particelle assumono una posizione enclitica, ossia si uniscono direttamen-
te, quelle brevi, al preverbo nell'indica tivo e nel congiuntivo.

tim pòrli (mi parli) ul kata (lo compra)

in vari (non vanno) as lavemu (ci laviamo)

ig vari (ci vanno) tit lòvi (ti lavi)

in mariga (ne mangiano; oppure: non mangiano)

La particella LA, che ha solo forma lunga, rimane staccata dal pre-
verbo e diventa l' davanti a vocale.

a la guaéu (la guardo) al indrisu (lo raddrizzo)
a l'indrisu (la raddrizzo);

quelle lunghe al verbo quando il preverbo non è usato (ossia nell'im-
perativo e nei modi infinitivi: participio, gerundio, infinito).

In questo caso le vocali finali delle forme verbali (salvo la ò e quel-
le già uscenti in i) si mutano in i) che tende a scomparire.

kata (compera) kàtilu (compralo) katlu

lòva (lava) lòvite (lavati) lòvte
matujemu. (mangiamo) mangemlu (mangiamolo)
'ndò (andare) 'ndòge (andarci)
lavaridu (lavando) lauàridise (lavandosi) lauaauise

Se la radice del verbo termina in i essa richiede una r eufonica da-
vanti alla particella.

mìa (guarda) mìilu (guardalo) mìrlu
tìa (tira) tìine (tirane ) tirne

Le forme lunghe non assumono però posizione enclitica, ossia rimangono
staccate dal preverbo, anche all'indicativo ed al congiuntivo:

a) se la forma verbale inizia con doppia consonante.

a ge 'ndemu (ci andiamo) a ne gméinsu (non inizio)

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i se staiika (si stancano) u se rpia (si riprende)

b) se il preverbo è già unito ad un'altra particella.

an ge vagu (non ci vado) ag l'a ditu (gliel'ha detto)

Se il verbo incomincia per consonante, lu diventa u e si unisce en-
eliticamen te.

agu digu (gliela dico)
ag l'o di tu (glielò detto)

Nell'imperativo e nei modi infinitivi, se vi sono due particelle, esse si uni-
scono al verbo direttamente, la prima in forma breve, l'altra in forma lunga.

dimlu (dimmelo) guacàivlu (guardatevelo)
avàindigne (avendone) mangàndislu (mangiandoselo)

FORME VERBALI

A) Forme composte, ossia tempi composti, formati con gli ausiliari AV AI
(avere) ed ESE (essere) ed il participio.

CONIUGAZIONE

Avài - Ind. pres.: o, t'è, l'a, emu, i ai, i an

pass.: avàivu, t'avàivi, l'avàiva, avàirmu, i avàivi, i avàiva

fut.: aoro, t'avrè, l'avrà, avremu, i avrài, i aoràii

Cong. pres.: aga, t'agi, l'aga, agimu, i agi, i aga

pass.: avesu, t'avesi, l'avesa, avezmu, i avesi, i avesa

Part.: avuu Ger.: avàindu

Ese - Ind. pres.: a san, t'è, l'è, a semu, i sai, i san
pass.: eu, t'ei, l'ea, ermu, i ervi, i ea
fut.: a saro, ti sarè, u sarà, a saremu, i sarai, i saraii

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Cong. pres.: a si.qva, ti su• nv ,• u si.çva, a su, nv m. u, i su. nv., i •v

s'lga

pass.: a [isu, ti [isi, u fisa, a fizmu, i [isi, i [isa

Part.: statu Ger.: esàindu

La coniugazione degli ausiliari è irregolare; inoltre le prime persone ten-
dono a non avere preverbo (con avài sempre con ese solo all'indicativo pas-
sato), il quale è l'alla terza persona singolare davanti a voce iniziante con
vocale.

Il preverbo è però regolare se c'è una particella.

l'a ditu (ha detto) ug a di tu (gli ha detto)

Da notare ancora:

a) quando il verbo «avere» indica il possesso, ossia è sinonimo di «posse-
dere, tenere», ha sempre la forma avàige e vuole sempre il preverbo re-
golare: in sostanza le voci verbali sono quelle date, ma occorre il pre-
verbo in tutte le persone e la particella «g».

mi ag jj 'na ka (ho una casa)
le ug avàiva 'n libru

b) il verbo «essere», in espressioni impersonali, vuole al maschile singolare
l'aggettivo che segue, salvo nell'espressione «è vero», perché in tal caso
l'aggettivo è femminile.

l'è bèlu kaminò (è bello camminare)
l'è vea (è vero)

c) il verbo «essercì» (esge) è usato alla terza persona singolare maschile,
anche se il soggetto è plurale o femminile.

ug è 'di omi (ci sono uomini)
ug è statu 'na ièsta (c'è stata una festa)
ug è gniiu kuè (gli è venuta voglia)

B) La forma negativa, espressa con la particella n (o ne), può essere raf-
forzata da no posposto al verbo.

an ge vagu no ( non ci vado).

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Nell'imperativo e nei modi infiniti vi la forma negativa si esprime col no
soltanto, posposto all'imperativo, an teposto o posposto negli altri modi.

vage no (non andarci) no mangò, mangò no (non mangiare)
no avàindige, avàindige no (non avendo)

Il no posposto si omette (come il «pas» francese) quando nella frase c'è
già altra parola negativa o di valore negativo.

un g'ea 'nsoui (non c'era nessuno)
kata néinte (non comprare nulla)
un leza mòi (non legge mai)
ma: no avàindige matiku. 'n libru (non avendo libri)

C) La forma interrogativa è costruita come quella affermativa; se inizia
con una parola interrogativa, questa deve essere seguita da ke.

kos' ke ti iè (che cosa fai?)
Kmè k'a va? (come va?)
'tuiè ki 'ndai? (dove andate?)
ki è k'u vena? (chi viene?)

Esistono forme contratte idiomatiche, nelle quali il pronome si unisce encli-
ticamente al verbo: ciò avviene con k'sa (da kose), kma (da kmè ) e 'nda
(da tuiè ) ed alcuni verbi come fò (fare), di (dire), in dò (andare), gni (ve-
nire), ese (essere) .

k'sa dizlu? (che dice?) k'sa femni (che facciamo?)
kma vòla? (come va?) kma fòlu? (come fa?)
'ndervi? (dove eravate?) 'ndèlu (dov'è?)
'nda venlu? (donde viene?) 'ndeti? dove sei?)

D) Le forme periirastiche più importanti sono:

- una forma più cortese e meno volitiva dell'imperativo, che esprime un
invito più che un comando e che si ottiene con l'imperativo del verbo
stò (stare) seguito da a e dall'infinito.

stai a sentì (ascoltate)

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Il negativo si ottiene con il no posposto o con il ne anteposto al verbo stò.

stai no a sentì ~ non ascoltate!
ne stai a sentì

- la forma progressiva (in italiano: «stare» più il gerundio) che si ren-
de con ese a prinni, ese adré seguiti da «a» e dall'infinito del verbo.

a son aprinni a skrive sto scrivendo
a son adré a skrive

USO DEI TEMPI E DEI MODI

Oltre a quanto si è detto all'inizio del capitolo sul verbo, bisogna notare:

- l'uso relativamente poco frequente del futuro, sostituito dal presente
quando la frase contiene già l'idea del futuro.
l'an k'u vena a vagu a Milàh (l'anno prossimo andrò a Milano)

- l'uso più ridotto, rispetto all'italiano, del congiuntivo, sostituito dal-
l'indicativo
spesso nelle dichiarative oggettive:
a pensòvu k'u gniva (pensavo che venisse)
nelle comparative:
l'è meiu k'an pensòvu (è meglio di quanto pensassi)
nelle dubitative:
an savàivu s'ug ea (non sapevo se ci fosse)

Le proposizioni implicite (formate cioè con i modi infiniti o non personali
del verbo) sono rare in dialetto.
Non si usa l'infinito sostantivo.

leze l'è iitile (il leggere è utile)

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Il gerundio assoluto dei verbi transitivi è usato, quello dei verbi intransi-
tivi no e deve sostituirsi con la proposizione esplicita.

avàindige di sodi u po katòse a ka

(avendo soldi può comprarsi la casa)

odatu k' Z'ea a ka pudiiu parZòge

(essendo egli a casa, ho potuto parlargli)
Il participio assoluto non esiste.

kuaiuie k'ar: finìu 'd mangò is ne soii 'ndati
(finito il pranzo se ne andarono)

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