IL NEGOZIO DI RIVA
LA VECCHIA DISTILLERIA GAMBAROTTA
PARTI INVARIABILI
AVVERBI
Se non sono rappresentati da voci originarie (<<abretiu» = alla rinfusa; «bain»
= bene; «urenté» = volentieri, ecc.) si ottengono dal femminile dell'aggettivo
con la desinenza màinti (che essendo accentata, comporta modificazioni fo-
netiche).
[raulcu. (schietto) frankamàinti
Molti aggettivi sono tuttavia usati come avverbi.
atu digu sèetu. e netu (te lo dico con franchezza)
Altri avverbi sono:
«altrimenti» iioiika, che significa anche «dunque»
: ke manimàù, se la prospettiva alterna è sgradita.
fa u to lavù, doiika tin sorti no (fa il tuo lavoro, altrimenti non esci)
sera a porta, ke manimàii u vena iredù (chiudi la porta altro viene freddo)
«anche» = asì (mi asì = anch'io; è prève asì = anche il prete)
= =«abbastanza» =«meno male»
asè «allora» alantùa 'nku d'asè
PREPOSIZIONI
Oltre a quanto già detto nel paragrafo sull'articolo, occorre notare:
a) con per l'articolo è spesso preceduto da l.
per la prima vota (per la prima volta)
49
f
b) al posto di in è usata la variante inte (in t')
davanti all'articolo indeterminativo
int'ina note (in una notte)
con dimostrativi, interrogativi, indefiniti
inte ke libru? (in quale libro?)
int' is' ke ki (in questo)
davanti ai numerali
inte dui o trai (in due o tre)
davan ti ai nomi propri
in te Skrivia, inte Milan (nella Scrivia, a Milano)
c) da, se indica provenienza da territori vasti (regione, nazione, ecc.) si e-
sprime con la preposizione articolata o con da seguito da 'n.
u vena daa Zvìsera I viene dalla Svizzera
u vena da 'n Zvìsera
Si usa anche in: da 'n geza (dalla chiesa), da 'n baiika (dalla banca) ,
da 'n piasa (dalla piazza), ecc.
CONGIUNZIONI taùtu ke (mentre)
prima ke (prima che)
Tra le più importanti: sikume ke (siccome)
kmè ke (come se)
kuande ke (quando) anke se (sebbene, quantunque)
jéin. ke (finché) dopu ke (dopo che)
perkè (perché, poiché)
pràinta ke (affinché)
kmè se ke (come se)
apàina ke (appena che)
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NOTE SINTATTICHE
IL PLEONASMO
E' di uso diffuso e riguarda pronomi personali o particelle che ripetono, tan-
to da poter ritenersi in astratto superflui, il concetto già espresso nella fra-
se da altri nomi o pronomi.
Ciò avviene con il partitivo, con il dativo, con l'accusativo e con determina-
zioni locative.
ag l'o ditu a to 'upà (l'ho detta a tuo padre)
la particella «g» è pleonastica; letteralmente sarebbe «gliel'ho
detto a tuo padre».
ti l'è vistu le? (l'hai visto?)
qui pleonastico è il pronome «le». Letteralmente: «lo hai vista
lui ?»
un ge n'è 'd savòn (non c'é sapone)
la «n» raddoppia il senso partitivo. Letteralmente: «non ce n'è
di sapone».
ug è 'ndatu ksi la (è andato laggiù. Il senso locativo dell'avverbio è
anticipato dalla particella «q»,
Di struttura pleonastica è la determinazione locativa già vista con la pre-
posizione da.
da 'n Zuisera (letteralmen ce: «da in Svizzera»).
LO KSI CONFERMATIVa
Davanti ad enunciazioni indirette, dopo i verbi di dire quindi, ksi è usata
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con valore dichiarativo, quasi confermativo.
l'a ditu ksi k'un vena no
(ha detto che non viene; letteralmente: ha detto così che non viene)
a diza ksi ke 'nko u pioua
(dice che oggi piove; letteralmente: dice così che oggi piove).
Questa dunque è la costruzione del discorso indiretto.
udiva ksi k'u ge 'ndòva
(diceva che ci sarebbe andato; letteral.: diceva così che ci andava).
52
-
ALCUNE PIU' COMUNI FRASI IDIOMATICHE
Abretiu: dal latino «ad arbitrium» significa «a discrezione, come si vuole»
ed in tale accezione traduce la parola «qualunque» che ha appunto signifi-
cato analogo. Sulla scia di questo senso vuol anche dire «senza ordine, a
casaccio», quindi «male, non come si deve».
dame 'n libru abretiu (dammi un libro qualunque)
l'a misu a roba abretiu (ha messo le cose a casaccio)
kmè k'l'a fatu u lavù? Abretiu. (come ha fatto il lavoro? Male.)
Traduce anche le espressioni italiane «in abbondanza, in gran quantità».
u g'a di sodi abretiu (ha moltissimi soldi)
A bunpatu: da «bono pactu», ossia dopo una conveniente contrattazione, si-
gnifica «a buon prezzo, non caro».
inko e tumate i soii a bunpatu (oggi i pomodori non costano molto)
Amàinti: forse dal latino «ad mentem», ossia «secondo la volontà, l'intenzio-
ne» è usata col verbo dò e col verbo fò.
Dò amàinti significa «dar retta, ubbidire» e sembra ricordare in forma ellit-
tica un'espressione del tipo «dare (opus suum) ad mentem alicuius» ossia
«prestare (la propria opera) secondo l'intenzione di qualcuno», quindi «ob-
bedirgli» .
u da amàinti a so 'upà (ubbidisce a suo padre)
Fò amàinti significa «prestare attenzione», ossia volgere la mente a qualcosa.
fa amàinti a kuel k'u diza (presta attenzione a quel che dice)
fame amàinti aè kaii (guardami il cane un momento)
A moiu: da «mollis» (molle) significa «in ammollo, a bagno».
o misu a moiù i lensoi (ho messo le lenzuola in ammollo)
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A vezu: significa «in cima a qualcosa, come un albero, una scala, ecc.» ed
è normalmente detto delle galline, quando si appollaiano sugli staggi del tre-
spolo. Metaforicamente ha il significato su riportato.
kos'ti fè li a vezu? (cosa fai lassù, per es. sull'albero?)
Au lubgu: dal latino «opacus» (ombreggiato, che è all'ombra) e vuol dire
appunto «in luogo non esposto al sole, bacio», il contrario perciò dell'espres-
sione «aù suiu» (al solatio, ossia in luogo esposto al sole, aprico).
'sa ka l'è au lubgu (quella casa è esposta a nord, dove non batte il sole)
A sustu: «al riparo», forse da «sostare», ossia trovare il posto adatto per fare
una sosta.
u piova: 'ndemu a sustu (piove, andiamo al riparo)
Tegnì in skosu: tenere in grembo (es. un bambino), viene dal tedesco
«Schoss», con eguale significato.
sa dona a tena è fio 'n skosu (quella donna tiene il bimbo in grembo)
Fò a kalò: dal latino «callìs» (sentiero). E' l'aprirsi un sentiero nella neve
con il badile e poi, estensivamente, «spalare la neve».
o iatu a kalò (ho spalato la neve)
Avàige no testa: siccome la testa è la sede della volontà, «non avere testa»
(questo il significato dell'espressione) vuol dire «non avere intenzione», os-
sia non porre la propria intelligenza a favore di qualcosa.
Col verbo «'ndò» esistono varie locuzioni, fra le quali:
'n dò in çatoii: «andare carponi», con le mani e i piedi a terra, «a
quattro zampe» come i gatti, dal cui nome deriva.
'ndò 'n berliçoii: «andare barcolloni»
'ndò 'n zòza: «andare tentoni», forse dal nome «zozza» che indica un
liquore alcoolico dozzinale, di quelli che, andando subito alla testa
fanno appunto procedere tentando il terreno con il piede e lo spazio
con le braccia.
'ndò 'n vilezu: «andare in villeggiatura», ossia in vacanza in villa, co-
me avveniva spesso in passato quando i benestanti della città (per
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noi Genova) trascorrevano i mesi estivi nelle loro ville in Serravalle.
Stò in kuc6n: «essere accovacciato» come il cane nella cuccia.
Savài asè: «non sapere nulla». E' un'espressione ironica perchè ad onta del
suo significato letterale (sapere abbastanza) vuol dire esattamente il con-
trario.
Daè pioue au stravakò: letteralmente «dal piovere allo straripare» ossia «da
un'estremo all'altro.». E' di solito accompagnata dal verbo «pasò» (passare).
Mangov, 'nku i dàinti sciue,: mangiare contro voglia», di solito se non piace
il cibo, senza masticare, a denti sciolti o disuniti.
A revu: ha due significati, probabilmente collegati a due parole latine.
Da «regula» (regola) deriva la locuzione «'ndò a reuu», procedere con ordine,
facendo una dopo l'altra le cose necessarie, di modo che il lavoro renda, ossia
risulti tale da «fò retru», questa volta derivante da «redìtus» (resa, rendimen-
to), ossia «che dia resa». In questa seconda accezione si dice anche delle co-
se che si consumano per indicare che con minore quantità si ottiene un
maggior utile: «ist' oriu. u fa reuu» (quest'olio è di tale qualità che, nella
stessa quantità di altri oli non altrettanto buoni, rende di più.
A bèi buròuni: «bur6n» deriva da «borra», miscuglio di peli e crine di ani-
mali con il quale si riempiono i basti ed altre cose. Si dice: «in buréii 'd kaveli,
'd kaiioa», di capelli o di stoppa; cioè «una manciata, una presa di ... ».
Siccome le sostanze filamentose di solito si aggrovigliano, quando se ne estrae
una presa dal mucchio, questa risulta più voluminosa della presa di una qual-
siasi altra sostanza. Per cui «a bèi bur6uni» significa «non badare alla quanti-
tà» e quindi non essere esatti nell'esecuzione del lavoro.
«U bota zii a pulàinta a bèi bur6uni»: getta la farina di granturco nell'ac-
qua bollente a manciate non ben definite.
Kaiéini e kontrakaiéini: i «kaiéini» sono i primi dodici giorni dell'anno, così
chiamati a causa, probabilmente, del «iredu. kaiéin», ossia del freddo «cattivo»
(c'è forse un richiamo a Caino?) che imperversa ai primi di Gennaio. Essi
sono seguiti dai secondi dodici giorni (i kontrakaiéini). Esaminando il tempo
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del primo e dell'ultimo, del secondo e del penultimo e così via, si ottenevano pro-
nostici metereologici sui dodici mesi dell'anno.
Stiidiò 'ntu libru di sciui: aver «studiato nel libro dei signori» significa «esse-
re persona colta». E' un'espressione che si rivela quasi uno spaccato delle stra-
tificazioni sociali dei secoli scorsi, quando la cultura era appannaggio delle so-
le classi benestanti. Per converso «u libru di povri», il libro dei poveri, era l'e-
lenco di coloro che, indigenti o miseri, potevano fruire di qualche aiuto della Co-
munità.
Segnò i gargéi: la frase è misteriosa come l'operazione cui è diretta. Già la pa-
rola «segnare» ha in sè qualcosa di arcano, tanto è vero che il verbo derivato
«insegnare» vuol dire innanzi tutto «svelare i segreti dell'arte o del mestiere» e
ad esso corrisponde in dialetto «mustro» che significa infatti «insegnare» e «far
vedere, esporre» e quindi «svelare». Insegnare, infatti, è piuttosto impartire
un metodo che contenuti.
«Gargei» è parola non traducibile, anzi neppure si può dire esattamente che
cosa sia, ma è certamente legata alla radice che ha prodotto le parole: gargari-
smo, gargarozzo, garganella, ossia ha una qualche attinenza con la gola. Fa
parte infatti di una formula che i guaritori usano, premendo i gangli del polso
per guarire il mal di gola. E' una cura che si svolge in sette giorni Canche il
sette è un numero carico di simbolismo) e che prevede la ripetizione della for-
mula.
« I gargéi i san sète irtuiéi
ke da sète i vena sei
e da sei i vena séinkue»
e così via finchè
« da bui i van via».
Cigargéi sono sette fratelli, che da sette diventano sei, da sei diventano cinque.
. . . e da uno vanno via).
La formula deve essere sorta nel Novese perchè la parola «[nuiéi» è appunto
novese Cqui si direbbe «frè») ma credo si sia mantenuta non solo per ragioni
di rima, ma anche perché, essendo una formula «magica», non può essere
cambiata.
55
'd mesté: significa «necessario» ed è di solito collegato ai verbi «ese», esse-
re; «aixuçe», avere (nel senso di «aver bìsogno»); «[o», fare, (nel sen-
so di «far bisogno»). L'espressione è molto antica e richiama imme-
diatamente alla mente del dantesco «mestìer non era».
Esge asùa: «esserci sopra» per dire «far mente locale a». Di solito usata
=al negativo per significare «essere distratto: «an. g'eu no asùa»
non prestavo attenzione (a quanto si diceva).
VERBI CON PREPOSIZIONE: la carenza di parole dotte o ricercate in dialetto
ha reso necessario combinare verbi con preposizioni per esprimere significati
che l'italiano rappresenta con una parola sola. E se è vero che la lingua nazio-
nale ha influenzato il dialetto attraverso la «dialettizzazione» di molte parole
italiane, è anche vero che il contrario si è verificato proprio con queste locuzio-
ni idiomatiche, entrate ormai nel colloquiale italiano.
Così:
'ndò aprinni = seguire, assecondare
stò aprinn: (star dietro) = curare, occuparsi di qualcuno o di qualcosa
mete sii (metter su) = organizzare (es. una mostra), aprire (es. un negozio),
aizzare contro qualcuno.
mete suta (mettere sotto) = sottomettere, dove appare evidente la permanenza
del concreto in dialetto, laddove in italiano il verbo tende all'astrazione.
drivò zii (rovinare giù) = precipitare, diroccare.
jò sii (fare su) = raccogliere, avvolgere, abbindolare (quest'ultimo in senso tra-
slato) .
stò sii (stare su) = alzarsi, levarsi dal letto, mettersi in piedi.
satò sii (saltar su) = rispondere agressivamente.
dò !Da (dar fuori) = impazzire
no esge (non esserci) = essere dissennato, alienato (un g'è no = non si rende
conto di ciò che fa; an ge semu, non ci siamo = la cosa non quadra).
mete 'nsème (mettere insieme = combinare).
dòge zii (darci giù) = fare le cose in modo superficiale.
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stò 'nsème (stare insieme) = convivere
muntò su da (salire): u monta su daa skòa» (sale la scala).
kinò zu (scendere): «kéina zu da li» (scendi di la).
tiò su (tirare su) = inspirare col naso per evitare che esso coli; sollevare; e-
strarre a sorte: in questo senso anche «essere chiamato alla leva militare»
quando essa dipendeva dalla estrazione a sorte.
Tiò è zìzue: si dice quando è molto freddo. «U tia dee zìzue»' forse legato a «zu-
folo, sibilo», del vento invernale.
Traduzione di «ECCO»quando è riferito ad una terza persona:
VOTLU (vòtla, vòtii, vòtie) in generale e
TIKITLU (tikitla, tikitii, tikitie) indica persona vicina a chi parla
TILITLU (tilitla, tilitii, tilitie) indica persona vicina a chi ascolta.
TILATLU (tilatla, tilatii, tilatie) indica persona lontana da chi parla
da chi ascolta.
COSTUI, COLUI in senso non cortese, quasi dispregiativo:
KILE' (costui, costei) plurale KILU'
LILE' (costui, costei) plurale LILU'
LA LE' (quello lì, quella là) plurale LALU'
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LA PARABOLADEL FIGLIOL PRODIGO (Luca, XV, 11-31)
Un uomo aveva due figli. Il più gio- In omu ug avàiva dui fioi. E' pu. zunu
vane disse a suo padre: Papà, dammi ug a ditu a so 'upà: Pupà, dame sùbtu
subito la mia parte di eredità. Allora quel' k' um tuka 'd l'eredità. Alantùa
il padre divise il patrimonio tra i due è pupà l'à spartiu. kuel k'ug avàiva tra
figli. i dui iioi.
Pochi giorni dopo il figlio più gio- Da li a kuòk' gurnu è fio pu zunu l'a
vane vendette tutti i suoi beni e con uendiiù tuta a so roba e 'nku i sodi
i soldi ricava ti se ne andò in un paese fati su us n'è 'n datu 'nt'in paize lun-
lontano. Là si abbandonò ad una vita tàii: li us è datu aa bèla vita e us è
disordinata e così spese tutti i soldi. mangò tiiti i sodi.
Ci fu poi in quella regione una gran- PO dirpu. 'nt'is situ ug è statu 'na
de carestia e quel giovane, non avendo gran karestìa e kuel' zunu, k'un g'a-
più nulla, si trovò in grave difficoltà. vàiva pii néinte, l'a gminsò a pruvò
kos' k' l'è a bazéina.
Allora andò da uno degli abitanti
di quel paese e si mise alle sue dipen- Alantua l'è 'ndatu suta padròn da 'n
denze. Costui lo mandò nei campi a sciuu 'd is paize. Lalé ul a mandò 'nti
fare il custode ai maiali. Era talmente kairpi a fò è guardiàn ai purséi. U9
affamato che avrebbe voluto sfamar- avàiva 'na fame k' l'avesa vusuu 'm-
si con le ghiande che si davano ai ma- pinise u stonçu. 'nku e gande k'i man-
iali, ma nessuno gliene dava. gova i purséi, ma un g'ea 'tisoin. k'ug
ne dòva.
Allora si mise a riflettere sulla si-
tuazione e disse: Tutti i dipendenti Alantùa l'a gminsò a pensòsge 'nsima
di mio padre hanno cibo in abbon- e l'a ditu: Tiiti kuei k'i lavùa suta mè
danza. lo, invece sto qui a morire di 'upà ig an deè pan abretiu. Mi, 'nvece,
fame. Ritornerò da mio padre e gli
dirò: Padre, ho peccato contro Dio e ag o 'na bazéina da muì.
contro di te. Non sono più degno di
essere considerato tuo figlio. Tratta- Auva a vagu da mè 'upà e ag digu: Pu-
mi come uno dei tuoi dipendenti.
opà, at mankò 'd rispètu a ti e au
Si mise subito .in cammino e ri-
Signù, an méritu pu 'd'ese u to fiO;
tràtme kmè bin. 'di to garsòuni.
Us è siibtu. 'nkaminò pè 'ndò da so
59
•
tornò da suo padre. 'upà.
Era ancora lontano dalla casa pa- L'ea 'nku iumiài: daa ka kuaiuie ke
terna, quando suo padre lo vide e, so 'upà ul a vistu; ug a fa tu mòlprù;
commosso, gli corse incontro, lo ab- ug è kurìu 'nkoiitra, ul a brasò e bazò.
bracciò e lo baciò.
oM a è fio ug a ditu: Pupà, at mankò
Ma il figlio gli disse: Padre ho
peccato contro Dio e contro di te. 'd rispètu a ti e au Signù; an mèritu
pii 'd ese u to fiO.
Non merito più di essere conside-
rato tuo figlio. M a è pupà l'a siibtù ditu ai servitùi:
Prestu, piài è vestì pu bèlu e metiglu
Ma il padre ordinò subito ai suoi 'n dosu.
servi: presto andate a prendere il ve-
stito più bello e fate gliela indossare. Metige 'n'ané 'ntu digu e skòrpe 'nti
pé.
Mettetegli l'anello al dito e date gli
un paio di sandali. Poi prendete il Poi b[ankài è vité pu grasu, masàilu,
vitello, quello che abbiamo ingras- mangemlu e femu baldoria. Ag emu
sato ed ammazzatelo. Dobbiamo fe- da fò ièsta, perkè is' me fio per mi
steggiare con un banchetto il suo ri- l'ea mortu e àuva u viva turna, us
torno, perchè questo mio figlio era ea pèrsu e al emu turna truvò.
per me come morto e ora è tornato
in vita, era perduto e l'ho ritrovato. E i adi gminsò a fò ièsta.
E cominciarono a far festa. E i fio pu. vegu 'ntaiitu. l'ea 'nti kah/pi.
Ttnitu. k'u gniva 'nderé e u se vzinòva
Il figlio maggiore intanto si trova- a ka, u sentiva k'i sunòva e k'i balòva.
va nei campi. Al suo ritorno, quando
fu vicino a casa, sentì un suono di L'a camò oiti 'di garsòuni e ug a di tu
musiche e di danze. kose k'l'ea 's' burdeleriu.
Chiamò uno dei servi e gli doman- U servitù ug a rispostu: L'è çniiu. a ka
dò cosa era successo. to irè e to 'upà l'a fa tu masò è vité,
kuelu k'emu iatu gni grasu, perkè l'è
Il servo gli rispose: E' tornato tuo rivò san e sòlvu.
fratello e tuo padre ha fatto ammaz-
zare il vitello, quello che abbiamo in-
grassato, perchè ha potuto riavere
suo figlio sano e salvo.
60
-
Allora il fratello maggiore si sentì Alantùa è [rè pii vègu us è rabiò e un
offeso e non voleva neppure entrare vràiva maiiku. 'ndò 'n ka. Ma è pupà
in casa. Suo padre uscì e cercò di l'è surtìu e l'a serkò 'd kunvèinslu a
convincerlo ad entrare. 'ndò 'ndràinta.
Ma il figlio maggiore gli disse: Da Ma kuel la ug a ditu: Ma kmè, mi at
tan ti anni io lavoro con te e non ho servu da 'n mugu 'd ani, an g'o mòi
mai disobbedito ad un tuo comando. datu du la 'ntu lavù e ti tin m'è matikù
Eppure tu non mi hai mai dato nep- datu 'n kravéin per fò [èsta 'nku i mè
pure un capretto per far festa con i amigi. Ma àuva l'è rivò kilé k'l'a zgiò
miei amici. Adesso invece torna a ca- tuta a to roba 'nku dee plaiuire e ti
sa questo tuo figlio che ha sprecato tig è masò è vité pu grasu.
i tuoi beni con le prostitute e per lui
tu hai fatto ammazzare il vitello più Ma ug a di tu è pupà: Kòu è mè fiO, ti
grasso. ti stè sàinpre 'nku mi e tiitu. kuelu
k'l'è mè l'è u to asì.
Il padre gli rispose: Figlio mio, tu
stai sempre con me e tutto ciò che è Ma àuva ag emu da fò [èsta e stò aie-
mio è anche tuo.
gri perkè to irè l'ea mortu e àuva u
lo non potevo non essere contento
e non far festa, perchè questo tuo viva turna, us ea pèrsu e al emu turna
fratello era per me come morto ed truvò.
ora è tornato in vita, era perduto ed
ora l'ho ritrovato.
61
Ortografia e fonetica. INDICE
Particolari della pronuncia.
Importanza dell'accento pago 7
L'elisone »9
» 10
Il sostantivo » 11
Nomi comuni e nomi propri » 13
» 15
L'articolo e la preposizione . » 17
Articolo determinativo » 17
Articolo indeterminativo » 18
Preposizioni articolate » 18
Il parti ti vo » 19
» 20
Gli aggettivi qualificativi » 20
Formazione del femminile e del plurale » 21
Aggettivi di quantità. » 22
Comparazione » 24
» 24
Aggettivi e pronomi » 24
Possessivi » 26
Dimostra tivi » 27
In terroga tivi » 27
Relativi » 29
Indefiniti » 31
» 34
I numerali » 42
» 44
Il verbo » 47
Particolarità della coniugazione » 49
Preverbo e particelle . » 51
Forme verbali
Uso dei tempi e dei modi » 53
» 59
Parti invariabili
Note sin tattiche
Alcune più comuni frasi idiomatiche
La parabola del figliol prodigo
•••
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La Pro Loco di Serravalle Scrivia ringrazia
il Comune di Serravalle Scrivia;
il Comm. Vittorio Guido;
il Dott. Architetto Franco Dazzi;
il Sig. Piero Fossati;
il Rag. Renato Savini;
che hanno contribuito alla pubblicazione di
questo libro.
Sharnpa de'Me gra'iche gi esse
officina di Borghet·to Borbera (Alessandria)
settembre 1987
Edizione a cura del!' Assoclazlone Pro Loco di Senoavalle Scrivia (AL)
La foto di copertina proviene dall'archivio Mori di Novi Ligure