Alessandro Manzoni - I Promessi sposi
di sporchizie: ma lì, per buona sorte, non s’eran visti
lanzichenecchi.
– Ah signor curato! – disse il sarto, dandogli di brac-
cio a rimontare in carrozza: – s’ha da far de’ libri in
istampa, sopra un fracasso di questa sorte.
Dopo un’altra po’ di strada, cominciarono i nostri
viaggiatori a veder co’ loro occhi qualche cosa di quello
che avevan tanto sentito descrivere: vigne spogliate, non
come dalla vendemmia, ma come dalla grandine e dalla
bufera che fossero venute in compagnia: tralci a terra,
sfrondati e scompigliati; strappati i pali, calpestato il ter-
reno, e sparso di schegge, di foglie, di sterpi; schiantati,
scapezzati gli alberi; sforacchiate le siepi; i cancelli por-
tati via. Ne’ paesi poi, usci sfondati, impannate lacere,
paglia, cenci, rottami d’ogni sorte, a mucchi o seminati
per le strade; un’aria pesante, zaffate di puzzo più forte
che uscivan dalle case; la gente, chi a buttar fuori por-
cherie, chi a raccomodar le imposte alla meglio, chi in
crocchio a lamentarsi insieme; e, al passar della carroz-
za, mani di qua e di là tese agli sportelli, per chieder
l’elemosina.
Con queste immagini, ora davanti agli occhi, ora nella
mente, e con l’aspettativa di trovare altrettanto a casa lo-
ro, ci arrivarono; e trovarono infatti quello che s’aspetta-
vano.
Agnese fece posare i fagotti in un canto del cortiletto,
ch’era rimasto il luogo più pulito della casa; si mise poi a
spazzarla, a raccogliere e a rigovernare quella poca roba
che le avevan lasciata; fece venire un legnaiolo e un fab-
bro, per riparare i guasti più grossi, e guardando poi, ca-
po per capo, la biancheria regalata, e contando que’
nuovi ruspi, diceva tra sé: «son caduta in piedi; sia rin-
graziato Iddio e la Madonna e quel buon signore: posso
proprio dire d’esser caduta in piedi».
Don Abbondio e Perpetua entrano in casa, senza aiu-
to di chiavi; ogni passo che fanno nell’andito, senton
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crescere un tanfo, un veleno, una peste, che li respinge
indietro; con la mano al naso, vanno all’uscio di cucina;
entrano in punta di piedi, studiando dove metterli, per
iscansar più che possono la porcheria che copre il pavi-
mento; e dànno un’occhiata in giro. Non c’era nulla
d’intero; ma avanzi e frammenti di quel che c’era stato,
lì e altrove, se ne vedeva in ogni canto: piume e penne
delle galline di Perpetua, pezzi di biancheria, fogli de’
calendari di don Abbondio, cocci di pentole e di piatti;
tutto insieme o sparpagliato. Solo nel focolare si pote-
van vedere i segni d’un vasto saccheggio accozzati insie-
me, come molte idee sottintese, in un periodo steso da
un uomo di garbo. C’era, dico, un rimasuglio di tizzi e
tizzoni spenti, i quali mostravano d’essere stati, un brac-
ciolo di seggiola, un piede di tavola, uno sportello d’ar-
madio, una panca di letto, una doga della botticina, do-
ve ci stava il vino che rimetteva lo stomaco a don
Abbondio. Il resto era cenere e carboni; e con que’ car-
boni stessi, i guastatori, per ristoro, avevano scaraboc-
chiati i muri di figuracce, ingegnandosi, con certe ber-
rettine o con certe cheriche, e con certe larghe facciole,
di farne de’ preti, e mettendo studio a farli orribili e ridi-
coli: intento che, per verità, non poteva andar fallito a
tali artisti.
– Ah porci! – esclamò Perpetua. – Ah baroni! –
esclamò don Abbondio; e, come scappando, andaron
fuori, per un altr’uscio che metteva nell’orto. Respiraro-
no; andaron diviato al fico; ma già prima d’arrivarci, vi-
dero la terra smossa, e misero un grido tutt’e due insie-
me; arrivati, trovarono effettivamente, in vece del
morto, la buca aperta. Qui nacquero de’ guai: don Ab-
bondio cominciò a prendersela con Perpetua, che non
avesse nascosto bene: pensate se questa rimase zitta: do-
po ch’ebbero ben gridato, tutt’e due col braccio teso, e
con l’indice appuntato verso la buca, se ne tornarono in-
sieme, brontolando. E fate conto che per tutto trovaro-
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no a un di presso la medesima cosa. Penarono non so
quanto, a far ripulire e smorbare la casa, tanto più che,
in que’ giorni, era difficile trovar aiuto; e non so quanto
dovettero stare come accampati, accomodandosi alla
meglio, o alla peggio, e rifacendo a poco a poco usci,
mobili, utensili, con danari prestati da Agnese.
Per giunta poi, quel disastro fu una semenza d’altre
questioni molto noiose; perché Perpetua, a forza di
chiedere e domandare, di spiare e fiutare, venne a saper
di certo che alcune masserizie del suo padrone, credute
preda o strazio de’ soldati, erano in vece sane e salve in
casa di gente del paese; e tempestava il padrone che si
facesse sentire, e richiedesse il suo. Tasto più odioso non
si poteva toccare per don Abbondio; giacché la sua roba
era in mano di birboni, cioè di quella specie di persone
con cui gli premeva più di stare in pace.
– Ma se non ne voglio saper nulla di queste cose, – di-
ceva. – Quante volte ve lo devo ripetere, che quel che è
andato è andato? Ho da esser messo anche in croce,
perché m’è stata spogliata la casa?
– Se lo dico, – rispondeva Perpetua, – che lei si lasce-
rebbe cavar gli occhi di testa. Rubare agli altri è peccato,
ma a lei, è peccato non rubare.
– Ma vedete se codesti sono spropositi da dirsi! – re-
plicava don Abbondio: – ma volete stare zitta?
Perpetua si chetava, ma non subito subito; e prende-
va pretesto da tutto per riprincipiare. Tanto che il po-
ver’uomo s’era ridotto a non lamentarsi più, quando tro-
vava mancante qualche cosa, nel momento che ne
avrebbe avuto bisogno; perché, più d’una volta, gli era
toccato a sentirsi dire: – vada a chiederlo al tale che l’ha,
e non l’avrebbe tenuto fino a quest’ora, se non avesse
che fare con un buon uomo.
Un’altra e più viva inquietudine gli dava il sentire che
giornalmente continuavano a passar soldati alla spiccio-
lata, come aveva troppo bene congetturato; onde stava
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