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Published by , 2017-06-28 07:46:35

Tesi (4)

Tesi (4)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
DIPARTIMENTO DI MATEMATICA GIUSEPPE PEANO

SCUOLA DI SCIENZE DELLA NATURA

Corso di Laurea in Matematica

Tesi di Laurea Triennale

CURVATURA SEZIONALE
E PROPRIETÀ GLOBALI

Relatore: Candidato:
Chiar.ma Prof.ssa Anna Maria Fino Fabio Paradiso

ANNO ACCADEMICO 2016-2017



Indice

Introduzione v

1 Richiami su varietà differenziabili 1

1.1 Prime definizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

1.2 Campi vettoriali su varietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2

1.3 Forme differenziali e tensori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

1.4 Metriche riemanniane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

1.5 Connessioni affini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

1.6 Curvatura riemanniana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

2 Richiami su superfici regolari in R3 15

2.1 Definizione ed esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

2.2 Prima forma fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

2.3 Connessione di Levi-Civita su una superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

2.4 Mappa di Gauss . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

2.5 Seconda forma fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2.6 Curvatura gaussiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

3 Geodetiche su varietà differenziabili 23

3.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

3.2 Minimizzazione della lunghezza d’arco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

3.3 Completezza e Teorema di Hopf-Rinow . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28

3.4 Campi di Jacobi e punti coniugati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

3.5 Variazioni di energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

3.6 Teorema di Rauch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41

4 Richiami di topologia algebrica 47

4.1 Omotopia e gruppo fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

4.2 Teoria dei rivestimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

4.2.1 Rivestimenti di varietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

4.2.2 Rivestimento universale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

5 Curvatura sezionale per varietà differenziabili 57

5.1 Curvatura sezionale negativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

5.1.1 Teorema di Cartan-Hadamard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

5.1.2 Teoremi di Preissmann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61

5.2 Curvatura sezionale positiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

5.2.1 Teorema di Bonnet-Synge-Myers . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

5.2.2 Teorema di Synge-Weinstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

iv

6 Curvatura sezionale per superfici regolari 73

6.1 Ovaloidi e convessità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

Bibliografia 77

v

Introduzione

Lo scopo di questo elaborato è quello di presentare alcuni risultati classici di geome-
tria differenziale globale, riguardanti varietà riemanniane. Tali risulati furono studiati e
dimostrati per la prima volta tra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni ’60 del secolo
scorso.

I primi quattro capitoli sono dedicati all’introduzione di tutte le nozioni preliminari
necessarie ad affrontare tali risultati: varietà riemanniane, connessioni affini e curvatura
riemanniana (Capitolo 1), superfici regolari e curvatura gaussiana (Capitolo 2), geodetiche
e campi di Jacobi (Capitolo 3) e alcuni accenni ad elementi di topologia algebrica, in
particolare teoria dei rivestimenti (Capitolo 4).

Nel Capitolo 5, i risultati introdotti nei capitoli precedenti vengono adoperati per dimo-
strare alcuni risultati globali riguardanti varietà riemanniane su cui sono imposte condizioni
relative al segno della curvatura sezionale: il Teorema di Cartan-Hadamard e il Teorema
di Preissmann per curvatura sezionale negativa e i teoremi di Bonnet-Synge-Myers e di
Synge-Weinsten per curvatura sezionale positiva.

L’ultimo capitolo, infine, è dedicato all’applicazione di tali risultati nel caso in cui la
varietà riemanniana in oggetto sia una superficie regolare in R3. Sfruttando i risultati intro-
duttivi del Capitolo 2, verranno enuciati e dimostrati alcuni teoremi dovuti a J.Hadamard
riguardanti ovaloidi in R3.



Capitolo 1

Richiami su
varietà differenziabili

In questo capitolo vengono esposti alcuni richiami riguardanti varietà riemanniane,
connessione di Levi-Civita e curvatura riemanniana. Tali argomenti saranno approfonditi
e ampliati nel Capitolo 3 con lo studio delle geodetiche.

In quanto segue, regolare, quando riferito a una funzione, è sinonimo di C∞.

1.1 Prime definizioni

Definizione 1.1. Sia M uno spazio topologico. Diciamo che M è una varietà topologica
di dimensione n se:

1. M è uno spazio di Hausdorff : per ogni coppia di punti distinti p, q ∈ M esistono
U, V ⊂ M aperti tali che p ∈ U , q ∈ V e U ∩ V = ∅;

2. M è a base numerabile: esiste una base numerabile per la topologia di M ;

3. M è localmente euclideo: per ogni punto p ∈ M esistono un intorno V ⊂ M aperto
e connesso di p e un omeomorfismo xα : Uα → V , dove Uα è un sottoinsieme aperto
e connesso di Rn, con quest’ultimo dotato della topologia euclidea.

V è detto intorno coordinato di p in M . La mappa xα è detta mappa coordinata e viene
solitamente indicata tramite la coppia (Uα, xα). L’insieme di tutte le mappe coordinate,
{(Uα, xα), α ∈ A}, viene detto atlante di M.

Un atlante di M così definito è detto regolare se e soltanto se, date due mappe coor-
dinate di tale atlante, (Uα, xα) e (Uβ, xβ), α, β ∈ A, con xα(Uα) ∩ xβ(Uβ) = W = ∅, gli
insiemi xα−1(W ) e xβ−1(W ) sono aperti in Rn e la mappa x−β 1 ◦ xα è differenziabile (C∞).
Se un atlante è regolare, diciamo che esso dota la varietà M di una struttura differenziabile
se è massimale, ovvero se non è propriamente contenuto in nessun altro atlante regolare di
M.

Una varietà topologica dotata di una struttura differenziabile viene detta varietà dif-
ferenziabile.

Una varietà M di dimensione n verrà spesso indicata con M n.

In questo elaborato considereremo solamente varietà (topologiche e differenziabili)
connesse.

2 CAPITOLO 1. RICHIAMI SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Definizione 1.2. Una funzione ϕ : M1n → M2m tra due varietà differenziabili M1 e M2 si
dice differenziabile in un punto p ∈ M1 se è continua e se esistono un intorno coordinato
y(V ) ⊆ M2 di ϕ(p), V ⊆ Rm, e un intorno coordinato x(U ) ⊆ M1 di p, U ⊆ Rn, tali che

1. ϕ(x(U )) ⊆ y(V );

2. ϕ˜ = y−1 ◦ ϕ ◦ x : U → Rm, ovvero l’espressione di ϕ in coordinate locali, sia
differenziabile nel senso usuale in x−1(p).

ϕ si dice diffeomorfismo se è differenziabile e ammette inversa differenziabile.
ϕ si dice diffeomorfismo locale se per ogni p ∈ M1 esiste un intorno U ⊆ M1 di p tale
che la restrizione ϕ|U : U → ϕ(U ) ⊆ M2 è un diffeomorfismo.
Indichiamo con C∞(M ) l’insieme delle funzioni differenziabili da M in R e con DM,p
l’insieme delle funzioni definite in un intorno di p e differenziabili in p, a valori in R.

Definizione 1.3. Una varietà differenziabile M si dice orientabile se ammette un atlante
regolare (Uα, xα) tale che, per ogni coppia di indici α e β, il differenziale della mappa di
cambio di coordinate x−β 1 ◦ xα, quando essa è definita, abbia sempre determinante positivo.

Definizione 1.4. Sia M una varietà differenziabile. Una funzione γ : I ⊆ R → M continua
viene detta curva su M . Con abuso di notazione, spesso la sua immagine γ(I) ⊂ M verrà
indicata semplicemente con γ.

Definizione 1.5. Una curva γ : I = [a, b] → M su M si dice differenziabile a tratti se
esiste una partizione a = t0 < t1 < · · · < tk−1 < tk = b di I tale che le restrizioni di γ sui
singoli intervalli [ti−1, ti], i = 1 . . . k, siano curve differenziabili.

1.2 Campi vettoriali su varietà

D’ora in poi, se non altrimenti specificato, M indicherà una varietà differenziabile
dotata di un’altlante regolare e massimale {(Uα, xα), α ∈ A}.

Vettori tangenti

Definizione 1.6. Sia α : (−ε, ε) → M una curva differenziabile su M con α(0) = p.
Il vettore tangente ad α in t = 0 è una funzione α˙ (0) : DM,p → R data da

α˙ (0)f = d(f ◦ α) , f ∈ DM,p.

dt t=0

Un vettore tangente in p è il vettore tangente in t = 0 di una curva α : (−ε, ε) → M
con α(0) = p.

Si definisce inoltre lo spazio tangente a M in p come l’insieme di tutti i vettori tangenti
a M in p. Esso si indica con TpM .

Proposizione 1.7. Siano M una varietà differenziabile e p ∈ M un suo punto. TpM ha
una struttura di spazio vettoriale di dimensione n una cui base è data da

∂ ,i = 1...n ,

∂xi p

dove ∂ p rappresenta il vettore tangente alla curva coordinata per la coordinata xi in p
∂xi

(si veda [6, pp. 7,8]).

1.2. CAMPI VETTORIALI SU VARIETÀ 3

Talvolta, quando non vi sarà ambiguità sul nome delle coordinate locali, indicheremo

∂ con ∂i.
∂xi

Definizione 1.8. Siano M1n e M2m due varietà differenziabili, p ∈ M1 e ϕ : M1 → M2 una
funzione differenziabile in p. Il differenziale di ϕ in p è definito come la funzione

dϕp : TpM1 → Tϕ(.p)M2

α˙ (0) → (ϕ ◦ α)(0).

Proposizione 1.9. La mappa differenziale introdotta nella Definizione 1.8 è una appli-
cazione lineare. Sia p ∈ M1. Si considerino due sistemi di coordinate locali (xi)i=1...n e
(yj)j=1...m di un intorno rispettivamente di p (tramite la mappa coordinata x) e di ϕ(p)

(tramite la mappa coordinata y). Si indichi con ϕ˜ l’espressione di ϕ in coordinate locali,
ovvero ϕ˜ = y−1 ◦ ϕ ◦ x. In questi termini il differenziale di ϕ risulta espresso come

dϕp : TpM1 → Tϕ(p)M2,

x˙ i(0) ∂ → ∂yi x˙ j (0) ∂ ,
∂xi ∂xj ∂yi
p x−1 (p) ϕ(p)

dove la matrice m × n ∂yi è la Jacobiana di ϕ˜ (si veda [6, p. 9]).
∂xj

Definizione 1.10. Il fibrato tangente di una varietà differenziabile M è l’insieme

T M = TpM = { (p, v), p ∈ M, v ∈ TpM } .

p∈M

Osservazione 1.11. Si può dimostrare che, se M è una varietà differenziabile di dimensio-
ne n, il suo fibrato tangente T M , dotato della topologia quoziente indotta dalla proiezione
canonica

π: TM → M,
(p, v|p) → p,

possiede una naturale struttura di varietà differenziabile 2n-dimensionale, il cui atlante è
costruito a partire da quello di M , aggiungendo alle n coordinate del punto le ulteriori n
coordinate realtive ai vettori tangenti. Tale struttura rende la proiezione canonica π una
mappa differenziabile tra varietà. La continuità è garantita dalla topologia quoziente di
T M , la differenziabilità dalla struttura differenziabile costruita (si veda [13, pp. 66,67]).

Immersioni e embedding

Definizione 1.12. Sia ϕ : M1n → M2m una funzione differenziabile tra due varietà diffe-
renziabili M1m e N n. ϕ si dice

• immersione (di M1 in M2) se il differenziale dϕp : TpM1 → Tϕ(p)M2 è iniettivo per
ogni p ∈ M1;

• embedding (di M1 in M2) se ϕ è un omeomorfismo sulla sua immagine ϕ(M1),
considerata con la topologia di sottospazio indotta da M2.

Inoltre, se M1 ⊆ M2 e l’inclusione i : M1 →− M2 è un embedding, diciamo che M1 è una
sottovarietà di M2.

4 CAPITOLO 1. RICHIAMI SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Campi vettoriali

Definizione 1.13. Un campo vettoriale su una varietà differenziabile M è una funzione
della forma

X: M → TM
p → X(p) ∈ TpM.

In un intorno coordinato U , esso è esprimibile in coordinate locali come

X (p) = ai (p) ∂ , ai : U → R, i = 1 . . . n.
∂xi
p

X si dice differenziabile in p ∈ M se, in coordinate locali, le funzioni ai sono differenziabili.
Un campo vettoriale X è interpretabile come operatore sulle funzioni f : M → R

differenziabili in modo naturale come

Xf (p) = X(p)f (p), p ∈ M.

Si denota con X(M ) l’insieme di tutti i campi vettoriali differenziabili su M .

Definizione 1.14. Sia f : M → N un diffeomorfismo tra due varietà differenziabili. Dato
X ∈ X(M ), è detto push-forward di X il campo vettoriale differenziabile su N dato da

(f∗X)q = dff−1(q)(Xf−1(q)), q ∈ N.

Definizione 1.15. Dati due campi vettoriali X, Y ∈ X(M ), il bracket (di Lie) o commu-
tatore di X e Y è definito come l’operatore

[X, Y ] = XY − Y X : C∞(M ) → C∞(M )

Proposizione 1.16. Per ogni coppia di campi vettoriali differenziabili X, Y ∈ X(M ) il
loro bracket, [X, Y ], appartiene a X(M ).

Dimostrazione. Sia f ∈ C∞(M ). Sia Vα un intorno coordinato in M e siano

X = ai ∂ , Y = bj ∂
∂xi ∂xj

le espressioni di X e Y in coordinate locali. Allora

[X, Y ]f =XY (f ) − Y X(f ) = X bj ∂f −Y ai ∂f =
∂xj ∂xi

=ai ∂bj ∂f + aibj ∂ ∂2f − bj ∂ai ∂f − aibj ∂ ∂2f =
∂xi ∂xj xi∂xj ∂xj ∂xi xi∂xj

= ai ∂bj ∂ − bj ∂ai ∂ f,
∂xi ∂xj ∂xj ∂xi

in quanto i termini contenenti le derivate seconde miste della f si elidono per differenzia-
bilità di f . Dunque, in conclusione,

[X, Y ] = ai ∂bj − bi ∂aj ∂
∂xi ∂xi ∂xj

sull’intorno coordinato preso in esame. Possiamo ora estendere tale campo all’intera varietà
M , “incollando” le definizioni locali appena trovate, ottenendo un campo differenziabile su
M.

1.3. FORME DIFFERENZIALI E TENSORI 5

Proposizione 1.17. L’operatore di bracket gode delle seguenti proprietà:

1. [X, Y ] = −[Y, X];

2. [aX + bY, Z] = a[X, Z] + b[Y, Z];

3. [[X, Y ], Z] + [[Y, Z], X] + [[Z, X], Y ] = 0;

4. [f X, gY ] = f g[X, Y ] + f X(g)Y − gY (f )X;

5. ∂ , ∂ = 0,
∂xi ∂xj

per ogni X, Y, Z ∈ X(M ), a, b ∈ R, f, g ∈ C∞(M ) (si veda [6, p. 27]).

1.3 Forme differenziali e tensori

Introduciamo ora alcuni concetti che risulteranno fondamentali per la definizione e lo
studio di metriche e curvature riemanniane, affrontate nelle sezioni successive.

Definizione 1.18. Sia p ∈ M n. Lo spazio cotangente a M in p, che indichiamo con Tp∗M ,
è definito come lo spazio duale di TpM , ovvero come lo spazio vettoriale delle applicazioni

lineari da TpM in R.
Esso, essendo il duale di uno spazio vettoriale n-dimensionale, risulta anch’esso uno

spazio vettoriale di dimensione n. Consideriamo una parametrizzazione di un intorno

coordinato di p in M . Essa fissa una base ∂ p, i = 1 . . . n di TpM , la quale a sua volta
∂xi

induce naturalmente una base dxi|p, i = 1 . . . n di Tp∗M , dove definiamo

dxi : TpM → R,

v = ai ∂ → dxi(v) = ai.
∂xi

Il fibrato cotangente di M , indicato con T ∗M , è definito come l’insieme

T ∗M = Tp∗M = (p, v), p ∈ M, v ∈ Tp∗M .

p∈M

Definizione 1.19. Una 1-forma differenziale su una varietà differenziabile M n è una
funzione della forma

ω : M → T∗M
p → ω(p) ∈ Tp∗M.

In un intorno coordinato Uα, essa è esprimibile in coordinate locali come

ω(p) = ai(p)dxi|p, ai : Uα → R, i = 1 . . . n.

ω si dice differenziabile o regolare in p ∈ M se, in coordinate locali, le funzioni ai sono
differenziabili. Grazie alla struttura differenziabile su M , quest’ultima definizione è ben
posta.

Denotiamo con Ω(M ) l’insieme di tutte le 1-forme differenziali regolari su M .
Una forma differenziabile è interpretabile in modo naturale come operatore su X(M ).
Siano ω ∈ Ω(M ) e X ∈ X(M ). Allora definiamo ωX ∈ C∞(M ) come

ωX : M → R,
p → ωX(p) = ω(p)(X(p)).

6 CAPITOLO 1. RICHIAMI SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Passiamo dunque a trattare di tensori su una varietà differenziabile.

Definizione 1.20. Un tensore di tipo (r, s) su una varietà differenziabile M è una funzione

T : X(M ) × · · · × X(M ) × Ω(M ) × · · · × Ω(M ) → C∞(M ),

r volte s volte

multilineare, ovvero lineare in ognuno dei suoi argomenti.
Indichiamo con Ωrs(M ) l’insieme dei tensori (r, s) sulla varietà M .

Poniamoci in un intorno coordinato Uα ⊂ M . Siano ∂ , i = 1 . . . n e dxi, i = 1 . . . n
∂xi

le basi rispettivamente dello spazio tangente e dello spazio cotangente dei punti di Uα, in-

dotte dalla parametrizzazione locale. Sia T ∈ Ωrs(M ) e siano X1, X2, . . . , Xr ∈ X(M ) e

ω1, ω2, . . . , ωs ∈ Ω(M ). Siano

Xi = a(i)k ∂ , i = 1 . . . r,
∂xk

ωj = b(j)ldxl, j = 1 . . . s

le loro espressioni locali nell’intorno coordinato Uα. Per multilinearità del tensore T , si ha
che

T (X1, . . . , Xr, ω1, . . . , ωs)(p) = a(1)k1 . . . a(r)kr b(1)l1 . . . b(s)ls Tkl11,,......,,lKs r ,

dove i valori Tkl11,,......,,lksr = T ∂ , . . . , ∂ , dxl1 , . . . , dxls sono detti coordinate di T
∂xk1 ∂xkr

nella base locale.

Gli indici k1 . . . kr sono detti contravarianti, mentre gli indici l1 . . . ls sono detti cova-
rianti.

1.4 Metriche riemanniane

Definizione 1.21. Una metrica riemanniana su una varietà differenziabile M è una fun-
zione g che associa ad ogni punto p ∈ M un prodotto scalare (ovvero forma bilineare e
simmetrica) definito positivo sul suo spazio tangente TpM , indicato come

g(p)(vp, wp) = v, w p, vp, wp ∈ TpM.

Si richiede che tale prodotto vari in modo differenziabile su M , ovvero che le funzioni

gij : Uα → R

p→ ∂∂ ,
,
∂xi ∂xj p p
p

definite localmente su ogni intorno coordinato (Uα, xα), siano differenziabili per ogni i, j =
1 . . . n. Grazie alla condizione sulla differenziabilità dei cambiamenti di sistemi di coor-
dinate locali su M , è sufficiente infatti che la precedente richiesta sia locale perché sia
estendibile globalmente. Si noti inoltre che i cambiamenti di coordinate conservano in mo-
do naturale la simmetria e la segnatura di g (essendo quest’ultima definita positiva). Ciò
è dovuto a semplici risultati di algebra lineare. Sia G una matrice quadrata, simmetrica
e definita positiva e sia A una matrice invertibile. Allora la matrice AtGA risulta ancora
simmetrica e definita positiva. Nel nostro caso G rappresenta la matrice della metrica in
un certo sistema di coordinate, mentre A rappresenta, in coordinate, il cambiamento di
base locale. AtGA rappresenterà la matrice della metrica in questo nuovo sistema locale.

Una varietà dotata di una metrica riemanniana si dice varietà riemanniana.

1.5. CONNESSIONI AFFINI 7

Una metrica riemanniana è dunque interpretabile come un tensore di tipo (2, 0),

g : X(M ) × X(M ) → C∞(M ),

con g(X, Y )(p) = X(p), Y (p) p, p ∈ M .

Proposizione 1.22. Ogni varietà differenziabile ammette una metrica riemanniana (si
veda ad esempio [6, p. 43]).

Definizione 1.23. Siano M e N due varietà riemanniane. Una funzione differenziabile
f : M → N si dice isometria locale se, per ogni p ∈ M e per ogni coppia di vettori
u, v ∈ TpM ,

dfp(u), dfp(v) f(p) = u, v p.
f si dice isometria se è un’isometria locale e un diffeomorfismo.

Si noti che, se f è un’isometria locale, il suo differenziale dfp è non singolare per ogni
p ∈ M . Per il teorema della funzione inversa esiste dunque un intorno U ⊆ M di p per cui
f |U : U → f (U ) è un’isometria.

Sia ora f : M → N un diffeomorfismo locale tra M , varietà differenziabile, e N , varietà
riemanniana. È possibile indurre in modo naturale una metrica su M , detta metrica del
pull-back. Sia p ∈ M e siano u, v ∈ TpM . Possiamo definire

u, v p = dfp(u), dfp(v) f(p).

La linearità e la non singolarità di tale applicazione discendono dalla linearità e dalla non
singolarità del differenziale df .

Si noti che, dotando M di tale metrica, f risulta banalmente un’isometria locale.

1.5 Connessioni affini

Definizione 1.24. Sia M una varietà differenziabile. Una connessione affine su M è
un’applicazione

∇ : X(M ) × X(M ) → X(M ),
(X, Y ) → ∇X Y,

che rispetta le seguenti proprietà

1. ∇fX+gY Z = f ∇X Z + g∇Y Z;

2. ∇X (Y + Z) = ∇X Y + ∇X Z;

3. ∇X (f Y ) = f ∇X Y + X(f )Y ,
per ogni X, Y, Z ∈ X(M ), f, g ∈ C∞(M ).

Dati due campi vettoriali X e Y definiti in un intorno coordinato U , si può agevolmente

operare in coordinate locali, scomponendo i campi vettoriali in combinazioni lineari della

base ∂ p e sfruttando le proprietà della definizione stessa di connessione. Se
∂xi

X = xi ∂ ,
∂xi

Y = yj ∂ ,
∂xj

8 CAPITOLO 1. RICHIAMI SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

allora ∂
∂xk
∇X Y = (Γkij xiyj + X (yk )) , (1.1)

con

∇∂ = Γkij ∂ .
∂ ∂xj ∂xk
∂xi

I coefficienti Γikj sono detti simboli di Christoffel.

Osservazione 1.25. L’equazione (1.1) mostra come la nozione di connessione affine sia

locale. In un intorno coordinato, ∇X Y (P ) dipende soltanto da xi(P ) e yk(P ) e dalle
derivate di yk rispetto al campo X.

Esempio 1.26. Consideriamo lo spazio euclideo n-dimensionale, Rn. Su di esso possiamo

definire una connessione che corrisponda al’usuale derivazione. Siano X, Y ∈ X(Rn). Se

p ∈ Rn definiamo

∇X Y (p) = ∂X = d X(γY (p)(t)) ,
(p) dt
t=0
∂Y (p)

dove γY (p) : (−ε, ε) → Rn è una curva differenziabile avente γY (p)(0) = p e γ˙Y (p)(0) = Y (p).
L’operatore ∇ così definito corrisponde alla derivata direzionale in Rn e verifica ovviamente

le proprietà che definiscono una connessione affine.

Inoltre, siccome per ogni i, j = 1...n il vettore ∂ si mantiene costante sulle curve
∂xi
xj , ∇∂
coordinate per la coordinata è chiaro che ∂xi ∂ = 0, dunque per ogni i, j, k = 1 . . . n,
∂xj

il simbolo di Christoffel Γikj è identicamente nullo.

Vediamo ora un’interpretazione più intuitiva del concetto di connessione affine.

Proposizione 1.27. Sia M una varietà differenziabile dotata di una connessione affine

∇. Siano γ : I ⊆ R → M una curva differenziabile su M e V un campo vettoriale lungo γ.

Esiste un’unica corrispondenza che associa a V un nuovo campo vettoriale, indicato con

DV , lungo la curva γ, che soddisfi le seguenti proprietà:
dt

1. D (V +W) = DV + DV ∀ V, W campi vettoriali lungo γ;
dt dt dt

2. D (f V ) = df V + f DV ∀ V lungo γ, ∀f ∈ C∞(M );
dt dt dt

3. Se V è la restrizione sull’immagine di γ di un certo Y ∈ X(M ), cioè se V (t) =

Y (γ(t)), ∀t ∈ I, allora DV = ∇ dγ Y .
dt
dt

Dimostrazione. Per l’Osservazione 1.25 il concetto di derivata covariante dovrà essere lo-

cale. Lavoriamo dunque in coordinate locali. Se si dimostra l’esistenza e unicità della

corrispondenza cercata in un intorno coordinato qualsiasi, essa si estenderà automatica-

mente a tutto M . Infatti, se due intorni coordinati si sovrappongono, per unicità le due

definizioni, nei due sistemi di coordinate, dovranno coincidere.

Supponiamo innanzitutto che la corrispondenza cercata esista. Sia xα : U ⊆ Rn → V ⊆

M un sistema di coordinate intorno a un punto di γ(I). Siano (x1(t), . . . , xn(t)) e V (t) =

v i (t) ∂ le espressioni rispettivamente di γ eV in coordinate. Allora, applicando le tre
∂xi
γ(t)

proprietà,

DV D(v i ∂ ) dvi ∂ D( ∂ )
dt ∂xi dt ∂xi ∂xi
= = + vi =
dt dt

dvi ∂ + vi∇ dγ ∂ = dvi ∂ + vi∇ dxj ∂ ∂ =
= dt ∂xi ∂xi dt ∂xi ∂xj ∂xi
dt dt

dvi ∂ + dxj vi ∇∂ ∂
= ∂xi dt ∂xj ∂xi .

dt

1.5. CONNESSIONI AFFINI 9

In coordinate basta ora definire DV come l’espressione trovata. Essa rispetta le tre
dt

proprietà per costruzione ed è unica, essendo fornita in modo esplicito.

Definizione 1.28. Il campo vettoriale DV lungo γ viene detto derivata covariante di V
dt

lungo la curva γ.

I punti 1. e 2. della Proposizione 1.27 mostrano come la scelta di una connessione
affine su M porti con sé la definizione di una derivazione di campi vettoriali lungo curve.

Il punto 3., invece, ci permette di interpretare il concetto di connessione affine in ma-
niera più intuitiva. Dati due campi vettoriali X, Y ∈ X(M ), possiamo infatti pensare a
∇X Y come la derivazione del campo Y lungo le direzioni del campo X.

Sfruttando sempre il punto 3. e l’espressione della connessione affine in coordinate
locali fatto in precedenza, possiamo ottenere un’espressione per la derivata covariante in
un intorno coordinato. Se

γ(t) = xα(x1(t), . . . , xn(t))

V (t) = vi(t) ∂ ,
∂xi
γ(t)

per ogni t ∈ I, allora

DV dv k dx i ∂
= dt dt ∂xk .
+ Γikj vj (1.2)
dt

Esempio 1.29. Consideriamo la connessione affine ∇ su Rn introdotta nell’Esempio 1.26.
Poiché i simboli di Christoffel per ∇ sono tutti identicamente nulli su Rn, è chiaro, per
il punto 3. della Proposizione 1.27 e per l’espressione (1.2), che la derivata covariante
associata a ∇ corrisponde semplicemente all’usuale derivazione di campi vettoriali in Rn.
Vale a dire,

DW dW
=,

dt dt

per ogni W ∈ X(Rn).

Definizione 1.30. Sia γ : I ⊆ R → M una curva differenziabile su M dotato di una

connessione affine. Un campo vettoriale V lungo γ viene detto parallelo se, per ogni t0 ∈ I

si ha che DV t=t0 = 0
dt

Proposizione 1.31. Sino M una varietà differenziabile dotata di una connessione affine
∇ e γ : [0, b] ⊆ R → M una curva differenziabile su M . Per ogni v0 ∈ Tγ(0)M esiste un
unico campo vettoriale differenziabile parallelo lungo γ tale che V (0) = v0.

Dimostrazione. Poiché il concetto di connessione affine e, di conseguenza, quello di derivata

covariante sono concetti locali, è sufficiente concentrarsi su un singolo intorno coordinato

e considerare il sistema lineare di equazioni differenziali ordinarie suggerito dall’equazione

(1.2), ovvero

v˙ k + Γikjvjx˙ i = 0 ∀k = 1 . . . n (1.3)

avente come dato iniziale vk(0) = vok per ogni k. Per risultati noti, il problema di Cauchy
così definito ha un unica soluzione per vk(t), k = 1 . . . n, definita per t ∈ [0, b].

Definizione 1.32. Il campo V soluzione del sistema (1.3) è detto trasporto parallelo di v0
lungo la curva γ.

10 CAPITOLO 1. RICHIAMI SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Connessione di Levi-Civita

Sia M una varietà differenziabile dotata di una connessione affine ∇ e di una metrica
riemanniana.

Definizione 1.33. La connessione ∇ si dice compatibile con la metrica di M se vale una
delle seguenti condizioni equivalenti:

1. Per ogni coppia di campi vettoriali paralleli P e P lungo una curva differenziabile
γ, P, P è costante.

2. Per ogni coppia di campi vettoriali V e W lungo una curva differenziabile γ,

d DV DW .
V, W = , W + V, (1.4)
dt dt dt

3. Per ogni X, Y, Z ∈ X(M )

X Y, Z = ∇X Y, Z + Y, ∇X Z . (1.5)

Mostriamo l’equivalenza delle tre definizioni date. Sia γ : I ⊆ R → M una curva

differenziabile.

(1. =⇒ 2.): Sia t0 ∈ I e sia Pt0 = { Pi(t0), i = 1 . . . n } una base ortonormale di
Tγ(t0)M . Indichiamo con Pt = { Pi(t0), i = 1 . . . n } ⊂ Tγ(t)M il trasporto parallelo della
base Pt0 lungo γ. I campi vettoriali dati da Pi(t), t ∈ I, sono per costruzione campi
paralleli lungo γ. Per ipotesi, dunque, per ogni t ∈ I,

Pi(t), Pj(t) = Pi(t0), Pj(t0) = δij, i, j = 1 . . . n.

Pt risulta dunque una base ortonormale di Tγ(t)M , per ogni t ∈ I. Siano ora V e W due
campi vettoriali differenziabili lungo γ. Scriviamoli come V = viPi e W = wiPi. Dunque

DV DW = dvi Pi, wj Pj + viPi, dwj Pj =
,W + V, dt dt

dt dt

= dvi wi + dwi vi d viwi =
dt dt =
dt
ii

d
= V, W .

dt

(2. =⇒ 1.): Siano P e P due campi vettoriali paralleli lungo γ. Per definizione,

DP = DP = 0 per ogni t ∈ I. Quindi, usando l’ipotesi del punto 2.,
dt dt

d DP DP
P, P = , P + P, = 0, P + P, 0 = 0.
dt dt dt

P, P è dunque costante lungo γ.
(2. =⇒ 3.): Siano X, Y, Z ∈ X(M ), p ∈ M e sia γ : I ⊆ R → M una curva

differenziabile con γ(t0) = p, t0 ∈ I e γ˙ (t0) = X(p). Applicando il punto 2., si avrà che

d = DY , Z|p + Y |p, DZ =
X(p) Y, Z = Y, Z dt dt
dt t=t0 t=t0 t=t0

= ∇X Y p, Z|p + Y |p, ∇X Z p .

Poiché ciò vale per ogni p ∈ M arbitrario, si ha la tesi.
(3. =⇒ 2.): È sufficiente ripetere l’argomento del passaggio precedente all’inverso,

ponendosi su una curva integrale di X e considerando la restrizione di Y e Z su tale curva.

1.6. CURVATURA RIEMANNIANA 11

Definizione 1.34. La connessione ∇ si dice simmetrica se

∇X Y − ∇Y X = [X, Y ], (1.6)

per ogni X, Y ∈ X(M ).

Si noti che, se ∇ è simmetrica,

∇ ∇∂ = ∂

∂ ∂xj ∂ ∂xi
∂xi ∂xj

e dunque Γikj = Γkji per ogni i, j, k = 1 . . . n.

Teorema 1.35 (Levi-Civita). Sia M una varietà riemanniana. Esiste un’unica connes-
sione affine ∇ su M che sia compatibile con la metrica e simmetrica (si veda ad esempio
[6, p.55]).

Tale connessione è detta connessione di Levi-Civita (o riemanniana) e soddisfa la
cossiddetta formula di Koszul,

2 ∇X Y, Z = X Y, Z + Y X, Z − Z X, Y − Y, [X, Z] − X, [Y, Z] − Z, [Y, X] .

D’ora in poi verranno considerate varietà riemanniane (M, g) dotate della loro connes-
sione di Levi-Civita.

Esempio 1.36. Dotando lo spazio Rn dell’usuale metrica euclidea, dimostriamo che la

connessione introdotta nell’Esempio 1.26 è la connessione di Levi-Civita di Rn.

Per la proprietà di simmetria, siano X, Y ∈ X(M ), con X = ai ∂ eY = bj ∂ . Allora,
∂xi ∂xj

ricordando che i simboli di Christoffel sono nulli e sfruttando l’espressione in coordinate

per una generica connessione affine data dall’equazione (1.1) a pagina 8, avremo che

∇X Y − ∇Y X = (X (bk ) − Y (ak )) ∂ = ai ∂ bk − bi ∂ak ∂
∂xk ∂ xi ∂xi ∂xk = [X, Y ].

Per arbitrarietà di X e Y , la connessione è dunque simmetrica.
La compatibilità con la metrica è invece immediata da verificare, sfruttando il punto

2. della Definizione 1.33 e la regola di derivazione del prodotto scalare.

Proposizione 1.37. Sia ϕ : M → N un’isometria. Allora

ϕ∗(∇X Y ) = ∇ϕ∗X (ϕ∗Y )

per ogni X, Y ∈ X(M )

Tale risultato segue in modo naturale dal fatto che la connessione di Levi-Civita è
completamente determinata dalla metrica riemanniana e dunque è invariante per isometrie.
Per maggiori dettagli sulla dimostrazione si veda [8, pp. 454-456].

1.6 Curvatura riemanniana

Definizione 1.38. L’endomorfismo di curvatura di Riemann su M è la mappa

R : X(M ) × X(M ) × X(M ) → X(M ),
(X, Y, Z) → R(X, Y )Z = ∇Y ∇X Z − ∇X ∇Y Z + ∇[X,Y ]Z.

12 CAPITOLO 1. RICHIAMI SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Proposizione 1.39. L’endomorfismo di curvatura R è un tensore di tipo (3, 1), in parti-
colare è multilineare. Inoltre soddisfa l’identità di Bianchi,

R(X, Y )Z + R(Y, Z)X + R(Z, X)Y = 0, (1.7)

per ogni X, Y, Z in X(M ) (si veda [6, pp. 90,91] e [8, p. 410]).

Possiamo dunque parlare di tensore di curvatura di Riemann.
Calcolando R su una base locale, otteniamo che

R ∂∂ ∂ = Riljk ∂ ,
∂xi , ∂xj ∂xk ∂xl

dove Riljk, i, j, k, l = 1 . . . n sono proprio le componenti di un tensore di tipo (3, 1).

Proposizione 1.40. In coordinate locali le componenti del tensore di curvatura di Riemann

sono calcolabili come

Riljk = ∂ Γlj k − ∂ Γilk + ΓpjkΓlip − ΓpikΓljp,
∂xi ∂xj

per ogni i, j, k, l = 1 . . . n, dove i coefficienti Γikj sono i simboli di Christoffel della connes-
sione di Levi-Civita.

Dimostrazione. Per definizione,

∂∂ ∂ = ∇∂ ∇∂ ∂ −∇ ∂ ∇ ∂ ∂ , (1.8)
R ∂xi , ∂xj ∂xk ∂xj ∂xi ∂xk ∂xi ∂xj ∂xk

essendo ∂ , ∂ = 0. Riscrivendo il termine di destra in coordinate locali, sfruttando i
∂xi ∂xj

simboli di Christoffel, abbiamo che

∇ ∇ = ∇∂ Γikl ∂ ∂ Γilk ∂ + Γilk Γjpl ∂ .
∂ ∂ ∂xk ∂ ∂xl = ∂xj ∂xl ∂xp
∂xj ∂xi ∂xj

Ora è sufficiente rinominare gli indici ed effettuare la sottrazione data da (1.8), ottenendo
la tesi.

Risulta spesso comodo “abbassare” l’indice controvariante e considerare il corrispon-
dente tensore di tipo (4,0) dato da

Rm(X, Y, Z, T ) = R(X, Y )Z, T ∈ D(M ), X, Y, Z, T ∈ X(M ), (1.9)

di coordinate ∂∂ ∂∂
Rm ∂xi , ∂xj , ∂xk , ∂xl
= Risjkgsl = Rijkl.

Proposizione 1.41. Valgono le seguenti uguaglianze:

1. Rm(X, Y, Z, T ) + Rm(Y, Z, X, T ) + Rm(Z, X, Y, T ) = 0;

2. Rm(X, Y, Z, T ) = −Rm(Y, X, Z, T );

3. Rm(X, Y, Z, T ) = −Rm(X, Y, T, Z);

4. Rm(X, Y, Z, T ) = −Rm(Z, T, X, Y ),
per ogni X, Y, Z, T ∈ X(M ) (si veda ad esempio [6, p. 91]).
Proposizione 1.42. Sia ϕ : M → N un’isometria locale. Allora

ϕ∗R(X, Y )Z = R(ϕ∗X, ϕ∗Y )ϕ∗Z
per ogni X, Y, Z ∈ X(M ). Vale a dire, un’isometria locale conserva il tensore di curvatura.

Dimostrazione. Segue dalla Proposizione 1.37 e dalla definizione stessa del tensore di
curvatura in termini della connessione di Levi-Civita.

1.6. CURVATURA RIEMANNIANA 13

Curvatura sezionale

Definizione 1.43. Sia p ∈ M . Per ogni sottospazio bidimensionale σ di TpM si definisce
la curvatura sezionale di σ in p come

Rm(x, y, x, y) (1.10)
Kp(σ) = Kp(x, y) = x ∧ y 2 ,

dove x e y costituiscono una qualunque base di σ e

x ∧ y = x 2 y 2 − x, y 2.

Per maggiori dettagli sulla buona positura di tale definizione si veda [6, pp. 94,95].
Proposizione 1.44. Sia ϕ : M → N un’isometria locale. Allora

Kϕ(p) (dϕp(x), dϕp(y)) = Kp(x, y)

per ogni coppia di vettori x, y linearmente indipendenti in TpM .

Dimostrazione. Segue dalla Proposizione 1.42, dalla definizione della curvatura sezionale in
termini del tensore di curvatura e dal fatto che l’isometria conserva la norma x ∧ y .

Curvatura di Ricci

Sia p ∈ M . Per ogni coppia di vettori x, y ∈ TpM consideriamo l’endomorfismo
Q˜(x, y) : TpM → TpM
z → R(x, z)y

e consideriamo l’applicazione bilineare

Q : TpM × TpM → R
(x, y) → tr(Q˜(x, y)),

dove tr(Q˜(x, y)) indica la traccia dell’endomorfismo Q˜(x, y).

Definizione 1.45. Sia p ∈ M e x ∈ TpM . Si definisce la curvatura di Ricci di x in p come

Ricp(x) = 1 Q(x, x). (1.11)
1
n −

Se si considera una base ortonormale {z1, . . . , zn−1, zn = x } di TpM è possibile
scrivere Q(x, y) in maniera più semplice, ovvero x

nn

Q(x, y) = R(x, zi)y, zi = Rm(x, zi, y, zi),

i=1 i=1

da cui

1 1n
Ricp(x) = Q(x, x) = Rm(x, zi, x, zi) =
n − 1 n − 1
i=1

1 n−1
= n − 1 Rm(x, zi, x, zi) =

i=1

1 n−1
= n − 1 Kp(x, zi).

i=1

Il termine n-esimo della somma, Rm(x, zn, x, zn) = Rm(x, x , x, x ), è nullo, per le
x x

proprietà della Proposizione 1.41.

14 CAPITOLO 1. RICHIAMI SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Osservazione 1.46. Per quanto visto la curvatura di Ricci di x in p rappresenta la media
aritmetica delle curvature sezionali calcolate in p rispetto a n − 1 sottospazi bidimensionali
di TpM ortogonali tra loro e contenenti x.

Capitolo 2

Richiami su
superfici regolari in R3

2.1 Definizione ed esempi

Definizione 2.1. S ⊂ R3 è una superficie regolare se, per ogni p ∈ S, esistono un intorno
Vα ⊂ R3 di p, un aperto Uα ⊂ R2 e un embedding xα : Uα → R3 tale che xα(Uα) = Vα ∩ S.

Le mappe xα sono dette mappe coordinate e sono solitamente indicate tramite la coppia
(Uα, xα), dove Uα ⊂ Rn sono i loro rispettivi domini. Questi ultimi sono detti intorni

coordinati.

L’insieme di tutte le mappe coordinate, {(Uα, xα), α ∈ A}, è detto atlante (regolare)
di S.

Ora, è possibile dimostrare che le cosiddette leggi di cambiamento di coordinate che

legano le parametrizzazioni di intersezioni di intorni coordinati su S risultano essere dif-
feomorfismi. Ciò deriva dalla struttura differenziabile di R3 (per la dimostrazione, si veda

ad esempio [6, pp. 40-42]).

Ciò vuol dire che, se consideriamo un atlante massimale per S, ovvero un atlante

non contenuto propriamente in nessun altro atlante di S, esso dota S di una struttura

differenziabile. S è dunque una varietà differenziabile.

A livello di notazione, indicheremo con le lettere u e v le coordinate locali di S indotte

dalle mappe coordinate. TpS indicherà il piano tangente a S in p ∈ S. Per semplicità

useremo x invece che xα, per indicare una mappa coordinata, e xu e xv per denotare

rispettivamente ∂ e ∂ , i vettori della base di TpS indotta dal sistema di coordinate
∂u ∂v

locali.

Esempio 2.2 (Sfera unitaria). Consideriamo la sfera unitaria in R3, ovvero

S2 = {v ∈ R3, v = 1}.

Cerchiamo un atlante regolare per S2, in modo da mostrare esplicitamente che essa è una

superficie regolare. Ci limitiamo in realtà a trovare una mappa coordinata che parametrizzi

tutta la sfera unitaria, fatta eccezione per un singolo meridiano; Per completare l’atlante

sarà sufficiente modificare leggermente la mappa trovata in modo da ricoprire l’intera

superficie.

Definiamo tale mappa in termini di due coordinate: la latitudine (che chiameremo θ) e

la longitudine (ϕ). Sia ora U = − π , π × (0, 2π).
22

16 CAPITOLO 2. RICHIAMI SU SUPERFICI REGOLARI IN R3

Allora la mappa

x : U → R3,
(θ, ϕ) → x(θ, ϕ) = (cos θ cos ϕ, cos θ sin ϕ, sin θ)

parametrizza S = S2 \ {(x, y, z) ∈ R3, x ≥ 0, y = 0}. È infatti immediato verificare che la
mappa x sia un omeomorfismo su S. Inoltre, il suo differenziale, nel punto di coordinate
(θ, ϕ) è dato in forma matriciale da

− sin θ cos ϕ − cos θ sin ϕ

dx = − sin θ sin ϕ cos θ cos ϕ  ,

cos θ 0

che ha sempre rango 2 per ogni punto di S ed è dunque iniettivo.

2.2 Prima forma fondamentale

Lo spazio euclideo R3, visto come varietà differenziabile, è dotato in modo naturale di
una metrica riemanniana. Essendo TpR3 isomorfo canonicamente a R3 per ogni p ∈ R3, dati
v, w ∈ TpR3 possiamo definire g(p)(vp, wp) = v, w , ovvero il semplice prodotto scalare

standard tra v e w. È immediato verificare che tale operatore definisce effettivamente una
metrica riemanniana su R3.

Possiamo ora indurre sulla superficie S la metrica del pull-back rispetto all’immersione
i : S → R3. Per ogni p ∈ S, se vp, wp sono vettori tangenti di TpS, avremo che

g(p)(vp, wp) = v, w ,

ovvero il prodotto scalare standard tra i due vettori vp e wp in TpR3
Operando in coordinate locali, le componenti del tensore di tale metrica saranno date

da

g11 = xu, xu := E
g12 = g21 = xu, xv := F
g22 = xv, xv := G.

Per cui, siano vp, wp ∈ TpS, con p ∈ S, e siano
vp = v1xu|p + v2xv|p, wp = w1xu|p + w2xv|p

le loro rispettive espressioni rispetto a un certo sistema di coordinate intorno a p. Allora
vp, wp p = v1xu|p + v2xv|p, w1xu|p + w2xv|p = v1w1E|p + (v1w2 + v2w1)F |p + v2w2G|p.
Definizione 2.3. La prima forma fondamentale di p in S è la funzione

Ip : TpS → R,
vp → v, v = v 2.

Tale forma quadratica, che è il semplice operatore di norma euclidea, in coordinate euclidee

ha matrice unitaria, mentre in coordinate locali è espressa dalla matrice della metrica, gij,
descritta precedentemente. Ovvero, se vp = v1xu + v2xv, la prima fondamentale di vp in p

sarà data da v1 v2 E F v1
FG v2
= E(v1)2 + 2F v1v2 + G(v2)2,

dove abbiamo omesso di indicare che E, F e G sono calcolati in p.

2.3. CONNESSIONE DI LEVI-CIVITA SU UNA SUPERFICIE 17

2.3 Connessione di Levi-Civita su una superficie

Per il Teorema 1.35 a pagina 11, la definizione di una metrica su una varietà differenzia-
bile definisce su quest’ultima un’unica connessione affine che sia simmetrica e compatibile
con tale metrica. Ci chiediamo dunque quale sia la connessione di Levi-Civita su S, legata
alla metrica introdotta precedentemente.

Per tutto il resto di questo capitolo, indicheremo con ∇ la connessione euclidea in R3,
trattata negli esempi 1.26, 1.29 e 1.36 del capitolo precedente.

Definiamo dunque la funzione

D : X(M ) × X(M ) → X(M ),
(X, Y ) → DX Y

con
DX Y = ∇X Y − ∇X Y, N .

Essa rappresenta la proiezione su S della derivata del campo Y lungo le direzioni del

campo X, dove X e Y indicano anche una qualsiasi estensione differenziabile degli stessi

in X(R3). Grazie alle proprietà di ∇ e alla linearità del prodotto scalare, D risulta essere

una connessione affine simmetrica su S.

Sia ora γ una curva differenziabile su S e sia W un campo vettoriale differenziabile lungo

di essa. La derivata covariante di W , rispetto alla connessione affine appena definita, sarà

data da DW = dW − dW
N,
dt dt dt ,

ovvero dalla proiezione del vettore tangente alla curva, considerata immersa in R3, sul
piano tangente alla superficie.

Non è dunque complicato mostrare che la connessione affine D sia anche compatibile

con la metrica, facendo riferimento alla terza condizione della Definizione 1.33 a pagina 10.
D è dunque la connessione di Levi-Civita di S rispetto alla metrica indotta da R3.

2.4 Mappa di Gauss

Sia x : U → S una mappa coordinata per la superficie S, parametrizzante un intorno
coordinato x(U ) ⊂ S.

Per ogni punto p ∈ x(U ) possiamo definire un vettore

N (p) = xu ∧ xv
xu ∧ xv

(con xu e xv calcolati in p), dove con “∧” indichiamo il classico prodotto esterno in R3.
Sappiamo già che TpS è un sottospazio bidimensionale (dunque un piano) di TpR3, di cui
xu e xv costituiscono una base, dunque N (p) è chiaramente un versore di TpR3 normale
al piano tangente TpS. Il verso di N (p) è invece determinato dall’orientazione della base
{xu, xv}.

Poiché N (p) ha norma euclidea unitaria, possiamo naturalmente identificarlo con un
punto di S2, la sfera unitaria in R3. Dunque, per come abbiamo definito N (p), la funzione
N : x(U ) → S2 è una funzione differenziabile tra superfici: i campi vettoriali xu e xv sono
differenziabili su x(U ) e il denominatore dell’espressione di N (p) non è mai nullo.

Ricordando la definizione di orientabilità di una varietà differenziabile abbiamo il
seguente risultato.

18 CAPITOLO 2. RICHIAMI SU SUPERFICI REGOLARI IN R3

Figura 2.1: Mappa di Gauss su una porzione di superficie (da [1, p. 180])

Proposizione 2.4. Una superficie regolare S ⊂ R3 è orientabile se e soltanto se esiste
una funzione differenziabile N : S → S2 tale che, per ogni p, N (p) è normale a TpS (per
maggiori dettagli si veda [5, p. 105]).

La funzione definita nella proposizione precedente viene detta mappa di Gauss o mappa
dei versori normali.

D’ora in poi S indicherà una superficie regolare orientata in R3.

Osservazione 2.5. A livello intuitivo, la proposizione precedente afferma che in una su-
perficie regolare orientabile S sia possibile assegnare un verso ai vettori N (p) in modo che
essi puntino verso l’“interno” o verso l’“esterno” della superficie. La formalizzazione di tale
intuizione, che vale se S è compatta, si ha con la seguente proposizione.

Proposizione 2.6. Sia S ⊂ R3 una superficie regolare compatta e orientabile. Allora
R3\S risulta essere composta da due componenti connesse per archi. Una è detta interno
di S ed è limitata (con bordo S), l’altra è detta esterno di S ed è illimitata.

Su S sono possibili due sole scelte per la mappa di Gauss: una che punta verso l’interno
di S (vale a dire per ogni p ∈ S esiste ε¯ > 0 tale che per ogni ε ∈ (0, ε¯) p+εN (p) appartiene
all’interno di S), l’altra che punta verso l’esterno di S.

La dimostrazione di tale risultato, analogo al Teorema di Jordan per curve chiuse ma
in 3 dimensioni, esula dagli scopi di questo elaborato.

Sia p ∈ S. Consideriamo il differenziale della mappa di Gauss in p, ovvero dNp : TpS →
TN(p)S2. Confrontiamo dominio e codominio di tale funzione: entrambi sono piani, uno
in TpR3, l’altro in TN(p)R3, ma per isomorfismo di TqR3 con R3 per ogni q ∈ R3, essi
sono identificabili con due piani vettoriali in R3. Inoltre, sono entrambi perpendicolari al
vettore N (p): TpS lo è per definizione, TN(p)S2 perché su S2 il piano tangente in un punto
è sempre normale al vettore posizione di tale punto. Da tutto ciò si ha che TN(p)S2 è
naturalmente identificabile con TpS.

Possiamo dunque riscrivere il differenziale di N come dNp : TpS → TpS.

2.5. SECONDA FORMA FONDAMENTALE 19

Proposizione 2.7. Si consideri un intorno coordinato su S tramite la mappa coordinata
(U, x). Per ogni p ∈ x(U ) ⊂ S si ha che

dNp(xu|p) = ∂N = ∇xuN (p),
∂u
x−1(p)

dNp(xv|p) = ∂N = ∇xv N (p),

∂v x−1(p)

dove, con abuso di notazione, N indica anche la mappa di Gauss definita in coordinate su
U.

In futuro, per semplicità, indicheremo ∂N e ∂N rispettivamente con Nu e Nv .
∂u ∂v

Se la rappresentazione di v ∈ TpM , p ∈ S, in un certo sistema di coordinate è v =

v1xu + v2xv, si ha dunque che, per linearità di dNp,

dNp(v) = v1Nu + v2Nv.

Proposizione 2.8. Per ogni p ∈ S, il differenziale della mappa di Gauss è un en-
domorfismo simmetrico di TpS, ovvero per ogni v, w ∈ TpS si ha che dNp(v), w p =
v, dNp(w) p.

Esprimendo la questione in termini di una base {xu, xv} di TpS, per p in un intorno
coordinato di S, e ricordando la Proposizione 2.7 nella pagina precedente, ciò è equivalente
a dire che Nu, xv = Nv, xu .

Per la dimostrazione delle due proposizioni precedenti, si veda [5, pp. 140,141].

Osservazione 2.9. La proposizione precedente assicura che per ogni p ∈ S esista una

base ortonormale di autovettori per il differenziale della mappa di Gauss. Indichiamo tale
base con B = {e1, e2} e con k1 e k2 i loro autovalori reali corrispondenti. Sia ora v ∈ TpS,
con v = 1. Allora, poiché B è una base ortonormale, v potrà essere scritto come

v = cos θ e1 + sin θ e2,
per un certo θ ∈ R (unico in [0, 2π)). Dunque, poiché e1 e e2 sono autovettori di dNp,

dNp(v) = k1 cos θ e1 + k2 sin θ e2.

2.5 Seconda forma fondamentale

Sia p ∈ S. Grazie alla simmetria di dNp, possiamo definire una forma quadratica su
TpS, detta seconda forma fondamentale in p, che indichiamo con IIp, definita come

IIp(v) = − dNp(v), v , v ∈ TpM.

Operando all’interno di un intorno coordinato x(U ), possiamo esprimere la seconda forma
fondamentale nei punti di x(U ) in coordinate locali. Sia p un generico punto di x(U ) e sia
v ∈ TpM , v = v1xu + v2xv. Allora

IIp(v) = − dNp(v), v = − v1Nu + v2Nv, v1xu + v2xv = e(v1)2 + 2f v1v2 + g(v2)2,

dove

e = − Nu, xu = N, xuu , (2.1)
f = − Nu, xv = − Nv, xu = N, xuv ,
g = − Nv, xv = N, xvv

20 CAPITOLO 2. RICHIAMI SU SUPERFICI REGOLARI IN R3

sono detti coefficienti della seconda forma fondamentale. Con xuu, xuv e xvv intendiamo

rispettivamente ∂xu = ∇xu xu, ∂xu = ∇xv xu e ∂xv = ∇xv xv. Si è inoltre sfruttato il fatto
∂u ∂v ∂v

che N, xu = N, xv = 0, per definizione stessa di N . Derivando tali prodotti rispetto a

u e v si ottengono espressioni identicamente nulle da cui si deducono le ultime uguaglianze

riportate per ognuno dei coefficienti. Sfrutteremo questa considerazioni più avanti.

Diamo un’interpretazione geometrica per la seconda forma fondamentale. Cominciamo

con una definizione.

Definizione 2.10. Sia γ : (−ε, ε) → S una curva differenziabile su S, parametrizzata

secondo la lunghezza d’arco. Sia p = γ(0). La curvatura normale di γ in p si indica con

kn(γ)|p ed è data da

kn(γ)|p = γ¨(0), N (p) .

Intuitivamente, essa rappresenta il grado con cui la curva γ devia dal piano tangente a
S in p.

Siano ora p ∈ S e v ∈ TpS un vettore unitario, ovvero v = Ip(v) = 1. Si consideri
una curva differenziabile γ : (−ε, ε) → S, parametrizzata secondo la lunghezza d’arco, tale
che γ(0) = p e γ˙ (0) = v. Con abuso di notazione, indichiamo con N : (−ε, ε) → S la
restrizione della mappa di Gauss sulla curva γ, ovvero N ◦ γ. Come nella considerazione
del paragrafo precedente, siccome N (s), γ˙ (s) = 0, per ogni s, allora, derivando,

N (s), γ¨(s) = − N˙ (s), γ˙ (s) .

Dunque,

IIP (v) = − dNp(γ˙ (0)), γ˙ (0) =− d(N ◦ γ) =
, γ˙ (0)

ds 0

= − N˙ (0), γ˙ (0) = N (0), γ¨(0) = kn(γ)|p.

La seconda forma fondamentale di un vettore tangente unitario v ∈ TpS rappresenta dun-
que la curvatura normale di una qualunque curva differenziabile che passi per p con velocità
v.

Per quanto appena visto, la curvatura normale di una curva in un suo punto dipende sol-
tanto dal vettore tangente alla curva in quel punto. Sia dunque γ una curva differenziabile
su S e sia p = γ(t0). Se γ˙ (t0) = v, possiamo dunque definire

kn(v) = kn(γ)|p.

Osservazione 2.11. Sfruttiamo l’Osservazione 2.9 per ottenere una formula più significa-
tiva per la seconda forma fondamentale (e dunque per la curvatura normale). Siano p ∈ S
e v ∈ TpS, con v = 1. Se v = cos θ e1 + sin θ e2, dove {e1, e2} è una base ortonormale di
TpS di autovalori di dNp (con autovalori corrispondenti k1 e k2) e θ ∈ R. Allora

IIp(v) = kn(v) = − dNp(v), v = k1 cos θ e1 + k2 sin θ e2, cos θ e1 + sin θ e2 = (2.2)
=k1 cos2 θ + k2 sin2 θ.

(2.2) è detta formula di Eulero. È banale verificare che tale espressione, intesa come

funzione di θ, assume valore k1 per θ = 2kπ, k ∈ Z, ovvero per v = e1, e valore k2 per

θ = π + 2kπ, k ∈ Z, ovvero per v = e2; si ha inoltre che tali valori rappresentano massimi e
2

minimi per (2.2), a seconda che k1 sia maggiore, minore o uguale a k2. Per questo motivo

k1 e k2 sono dette curvature principali in p, mentre e1 e e2 si dicono direzioni principali in

p.

2.6. CURVATURA GAUSSIANA 21

Introduciamo ora le cosiddette formule di Gauss. Esse altro non sono che la scom-
posizione di xuu, xuv e xvv nella base dello spazio tangente in R3 data da xu, xv e N .
Sfruttando (2.1) abbiamo

xuu = ∇xu xv = Γ111xu + Γ211xv + eN, (2.3)
xuv = ∇xu xv = Γ112xu + Γ122xv + f N,
xvv = ∇xv xv = Γ212xu + Γ222xv + gN.

Si noti che i coefficienti Γikj, i, j, k = 1, 2, sono proprio i simboli di Christoffel per la
connessione D, per definizione stessa di quest’ultima come proiezione della connessione ∇

sul piano tangente a S.

2.6 Curvatura gaussiana

Giungiamo ora a un’importante definizione.

Definizione 2.12. Sia p ∈ S. La curvatura gaussiana in p si indica con K(p) ed è data

da

K(p) = det(dNp). (2.4)

La curvatura gaussiana ha un’interpretazione geometrica molto intuitiva, alla luce di
quanto visto nelle osservazioni 2.9 e 2.11: il determinante di dNp sarà infatti dato dal
prodotto dei suoi autovalori, ovvero dal prodotto delle curvature principali k1 e k2, che,
ricordiamo, sono i valori di massimo e di minimo per la curvatura normale in p.

È possibile dimostrare (per una trattazione completa rimandiamo a [5, pp. 153-155])
che la curvatura gaussiana è calcolabile come

eg − f 2 (2.5)
K = EG − F2 ,

dove E, F , G sono i coefficienti della prima forma fondamentale, e, f , g quelli della seconda
forma fondamentale.

Le espressioni (2.4) e (2.5) non devono trarre in inganno: la curvatura gaussiana di
una superficie regolare è del tutto intrinseca: intuitivamente, ciò significa che essa dipende
soltanto dalla metrica della superficie e non dal modo in cui quest’ultima è immersa nello
spazio euclideo. Nella pratica, ciò vuol dire che è possibile trovare un’espressione per K
che contenga solamente i coefficienti della prima forma fondamentale e le loro derivate.

Il prossimo teorema fornisce una dimostrazione di ciò, nonché un modo per tradurre
nel caso particolare di una superficie regolare tutta la trattazione che nei prossimi capitoli
verrà effettuata in generale su varietà differenziabili.

Teorema 2.13. Sia S ⊂ R3 una superficie regolare e sia p ∈ S. La curvatura gaussiana
di S in p coincide con la curvatura sezionale calcolata in p rispetto al piano tangente TpS,
ovvero

K(p) = Kp(TpS) = Kp(xu, xv).

Dimostrazione. Prima di tutto, semplifichiamo leggermente la notazione introdotta nelle

sezione precedenti. Indichiamo con x1 e x2 le coordinate locali di S e con ∂i il vettore

tangente ∂ , i = 1, 2. A questo punto introduciamo i coefficienti bij , i, j = 1, 2, dati da
∂xi

bij = ∇∂i ∂j, N = dNp(∂i), ∂j = − ∇∂i N, ∂j ,

22 CAPITOLO 2. RICHIAMI SU SUPERFICI REGOLARI IN R3

ovvero b11 = e, b12 = b21 = f , b22 = g.
Esplicitando il tensore della metrica della metrica g, corrispondente alla matrice della

prima forma fondamentale di S, otteniamo che

bij = − ∇∂iN, ∂j = −gkjv(i)k, i, j = 1, 2, (2.6)

dove ∇∂iN = v(i)k∂k, i = 1, 2. Invertendo (2.6) si ottiene che
∇∂i N = −bij gjk∂k,

dove gjk, j, k = 1, 2, indicando le componenti dell’inverso del tensore g.
Ora, le formule di Gauss introdotte in (2.3) diventano

∇∂i ∂j = Γkij∂k + bijN, i, j = 1, 2.

Derivando tali formule rispetto a ∂1 e ∂2 otteniamo

∇∂i ∇∂j ∂k =(∂iΓljk)∂l + Γjl k∇∂i ∂l + (∂ibjk)N + bjk∇∂i N =
=(∂iΓjl k)∂l + (ΓljkΓpil∂p + ΓljkbilN ) + (∂ibjk)N − bjkbipgpl∂l =
=(∂iΓjl k + ΓjpkΓlip − bjkbipgpl)∂l + aijkN,

con aijk = Γljkbil + ∂ibjk.
Rinominando gli indici abbiamo inoltre che

∇∂j ∇∂i ∂k = (∂j Γlik + ΓpikΓljp − bikbjpgpl)∂l + ajikN.

Ora, su Rn gli operatori di derivazione ∇∂i e ∇∂j commutano, infatti sia X ∈ X(Rn),

allora ∂2 ∂2
∂xi∂xj X ∂xj∂xi X
∇∂i ∇∂j X = = = ∇∂j ∇∂i X.

Dunque, poiché abbiamo espresso ∇∂i∇∂j ∂k e ∇∂j ∇∂i∂k in termini di una stessa base di
TpR3, possiamo eguagliare le loro espressioni termine a termine, ottenendo in particolare

che
∂iΓljk + ΓjpkΓlip − bjkbipgpl = ∂j Γilk + ΓpikΓjl p − bikbjpgpl,

ovvero che

∂j Γilk − ∂iΓjl k + ΓpikΓjl p − ΓjpkΓilp = (bikbjp − bjkbip)gpl, (2.7)

per ogni i, j, k, l = 1, 2. Ora, per la Proposizione 1.40 a pagina 12, il termine a sinistra corri-

sponde alla componente Riljk del tensore di curvatura di Riemann di S. Perciò, applicando
ad esso il tensore g otteniamo

Rijkl = Risjkgsl = bikbjp − bjkbip.

In particolare

R1212 = b11b22 − (b12)2 = eg − f 2.

Per definizione di curvatura sezionale otteniamo infine che

Kp(∂i, ∂j) = ∂i, ∂i R1212 ∂i, ∂j eg − f 2
∂j, ∂j − 2 = EG − F 2 = K(p),

dove l’ultima uguaglianza deriva da (2.5).

Capitolo 3

Geodetiche su
varietà differenziabili

3.1 Definizione

Definizione 3.1. Sia γ : I → M una curva differenziabile. γ è detta geodetica in t0 ∈ I se

D dγ
= 0.

dt dt

t0

Se γ è geodetica in ogni t0 ∈ I, γ è detta geodetica.

A livello intuitivo, le geodetiche sono curve la cui accelerazione è nulla. Siccome la

connessione considerata è quella di Levi-Civita, essa è compatibile con la metrica e vale

ad esempio il punto 1. della definizione 1.33. Quindi, considerando il campo vettoriale dγ ,
dt

esso è parallelo per definizione di geodetica, dunque in particolare

dγ dγ dγ = c costante.
,=
dt dt dt

Perciò ogni geodetica, a meno di una costante moltiplicativa, è parametrizzata per lun-

ghezza d’arco. Una geodetica γ si dice normalizzata se, in particolare, dγ = 1.
dt

La lunghezza del segmento geodetico di γ tra γ(t0) e γ(t1) (t0, t1 ∈ I, t0 < t1) sarà

dunque data da

l(γ) t1 = t1 dγ dt = c(t1 − t0).
t0 t0 dt

Con abuso di linguaggio, verrà chiamata geodetica l’immagine γ(I) di una geodetica

in M , indipendentemente dalla sua parametrizzazione.

Lavorando in coordinate locali, è possibile fare riferimento l’equazione (1.2) a pagina 9.

Se γ(t) = x (x1(t), . . . , xn(t)) è una geodetica, si ha dunque

d2xk + Γikj dxi dxj =0 ∀ k = 1 . . . n. (3.1)
dt2 dt dt

Chiamiamo (3.1) l’equazione caratteristica della geodetica.
Daremo un esempio specifico del calcolo delle geodetiche su una varietà differenziabile

(in particolare su un cilindro) più avanti, nell’Esempio 4.27 a pagina 53.

Proposizione 3.2. Per ogni p ∈ M e per ogni v0 ∈ TpM esiste un intervallo I ⊆ R,
0 ∈ I, ed esiste una geodetica γ : I → M tale che

24 CAPITOLO 3. GEODETICHE SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

1. γ(0) = p;

2. γ˙ (0) = v0.

Tale geodetica è unica nel senso che, per ogni coppia di geodetiche di M che soddisfano i
punti 1. e 2., esse coincidono sul loro comune dominio.

Dimostrazione. Sia U un intorno coordinato di p, con p = x(x10, . . . , xn0 ) e v = v0i ∂ p, e si
∂xi

consideri l’equazione (3.1). Essa è equivalmente ad un sistema di due equazioni differenziali

ordinarie su T M ,

dxk = yk (3.2)
dt
dyk
dt = −Γkij yiyj.

per ogni k.
Se si considera il problema di Cauchy associato, imponendo xk(0) = x0k e yk(0) = v0k,

per ogni k = 1 . . . n, si ottiene, per risultati noti, un’unica soluzione per xk(t) e yk(t)

definita in un intorno I di t = 0.

Osservando il sistema di ODE dato da (3.2) è possibile interpretare le geodetiche su
M (in realtà le curve date da t → (γ(t), γ˙ (t)), con γ geodetica) come curve integrali di un
campo vettoriale definito su T M , detto flusso geodetico. Ciò permette di applicare risultati
noti riguardanti le traiettorie di un campo vettoriale. Tramite la proiezione canonica da
T M a M delle curve integrali del flusso geodetico, si ottiene la seguente proposizione.

Proposizione 3.3. Per ogni p ∈ M esistono un suo intorno V ⊆ M , due costanti δ, ε > 0
e una mappa differenziabile γ : (−δ, δ) × U → M , con

U = { (q, v), q ∈ V, v ∈ TqM, v < ε } = V × Bε(0) ⊆ T V,

tale che, per ogni (q, v) ∈ U la curva data da t → γ(t, q, v), con t ∈ (−δ, δ), è l’unica
geodetica locale passante in q per t = 0 con velocità iniziale v (per maggiori dettagli si veda
[6, pp. 63,64]).

Osservazione 3.4. Nella definizione di U , nella proposizione precedente, è possibile au-

mentare a piacere il valore della costante ε a discapito di δ e viceversa. Non è infatti

difficile mostrare che, se γ(t, q, v) è definita per t ∈ (−δ, δ), allora, per ogni a ∈ R, a > 0,

la curva γ(t, q, av) è definita per t ∈ (− δ , δ ) e si ha che
a a

γ(t, q, av) = γ(at, q, v).

Vale anche il viceversa (si veda [6, p.64]). Riscalando opportunamente ε è dunque possibile
riscrivere la mappa γ della Proposizione 3.3 ad esempio come

γ : (−2, 2) × U → M. (3.3)

L’osservazione precedente permette di introdurre la seguente definizione.

Definizione 3.5. Sia p ∈ M e sia γ la mappa introdotta nella Proposizione 3.3, nel-
la formulazione data da (3.3). La mappa esponenziale in un intorno di p è la mappa
differenziabile definita da

exp : U → M
(q, v) → exp(q, v) = expq(v) = γ(1, q, v).

3.1. DEFINIZIONE 25

Proposizione 3.6. Dato p ∈ M esiste un intorno di 0 ∈ TpM tale che expp : Bε(0) → M
è un diffeomorfismo sulla sua immagine.

Dimostrazione. Per il teorema di inversione locale è sufficiente che il differenziale di expq
sia non singolare in 0. Identificando in maniera naturale T0(TpM ) con TpM , sia v ∈ TpM .
Si ha

d(expq )0 (v) = dd = d
dt (expp(tv)) = (γ(1, p, tv)) (γ(t, p, v)) = v.
t=0 dt t=0 dt t=0

d(expq)0 è dunque chiaramente non singolare, da cui la tesi.

Si ha in realtà un risultato leggermente più ampio:

Proposizione 3.7. Per ogni p ∈ M esiste un suo intorno W ⊆ M ed esiste δ > 0 tale
che, per ogni q ∈ W , expq è un diffeomorfismo su Bδ(0) ⊂ TqM e W ⊆ expq(Bδ(0)) (per
la dimostrazione si veda ad esempio [6, p. 72]).

Definizione 3.8. Sia p ∈ M . Un intorno U di p diffeomorfo tramite expp a un intorno di
0 ∈ TpM è detto intorno normale di p.

Sia Bε(0) ⊂ TpM un intorno circolare di 0 ∈ TpM su cui expp sia un diffeomorfismo.
Allora expp(Bε(0)) = Bε(p) è detta palla normale di centro p e raggio ε.

Un intorno W di p dato dalla Proposizione 3.7 è detto intorno totalmente normale di

p.

Proposizione 3.9. Sia p ∈ M . Sia γ : [0, 1] → M una geodetica di M data da γ(t) =
expp(tv), t ∈ [0, 1], dove v è un vettore in TpM . Allora l(γ) = v .

Dimostrazione. Innanzitutto γ˙ (0) = (d expp)0(v) = v ∈ TpM . Dunque, poiché γ è una
geodetica, γ˙ (t) = v per ogni t ∈ [0, 1]. Perciò

11

l(γ) = γ˙ (t) dt = v dt = v .

00

Definizione 3.10. Una famiglia regolare di curve su M è una mappa differenziabile
Γ : [a, b] × (−ε, ε) ⊂ R2 → M , con a, b, ε ∈ R, ε > 0.

Un campo vettoriale V sulla famiglia Γ è definito in modo naturale come una mappa
continua V : [a, b] × (−ε, ε) → T M , con V (t, s) ∈ TΓ(t,s)M per ogni (t, s) nel dominio di Γ.

La famiglia Γ è anche detta variazione della curva t → Γ(t, 0), t ∈ [a, b]. Tale variazione
è detta propria se le curve s → Γ(a, s) e s → Γ(b, s) sono costanti.

Per ogni s0 ∈ (−ε, ε) fissato, la curva Γs0 : [a, b] → M , data da Γs0(t) = Γ(t, s0),
t ∈ [a, b], è detta curva della variazione Γ.

Per ogni t0 ∈ [a, b] fissato, la curva Γt0 : (−ε, ε) → M , data da Γt0(s) = Γ(t0, s),
s ∈ (−ε, ε), è detta curva trasversale della variazione Γ.

Proposizione 3.11. Sia Γ : [a, b] × (−ε, ε) → M una famiglia regolare di curve e sia V
un campo vettoriale su Γ. Allora

D D − D D =R ∂Γ ∂Γ V
V V ,
∂t ∂s ∂s ∂t ∂s ∂t

per ogni (t, s) nel dominio di Γ, dove le derivate covarianti D e D sono calcolate in
∂t ∂s

modo naturale rispettivamente lungo le curve della variazione (s costante) e lungo le curve

trasversali (t costante) (si veda [6, pp. 98,99]).

26 CAPITOLO 3. GEODETICHE SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Lemma 3.12 (di simmetria). Sia Γ : [a, b] × (−ε, ε) → M una famiglia regolare di curve

su M . Allora D ∂Γ D ∂Γ
=.

∂t ∂s ∂s ∂t

Dimostrazione. Trattandosi di una questione locale, possiamo scrivere Γ(t, s) in coordinate
locali intorno a un punto dell’immagine di Γ come Γ(t, s) = x(x1(t, s), . . . , xn(t, s)). Perciò,
applicando le proprietà della connessione affine e della derivata covariante,

D ∂Γ ∂2xk + ∂xi ∂xj Γkji ∂
= ∂s∂t ∂t ∂s ∂xk ;

∂s ∂t ∂2xk + ∂xi ∂xj Γikj ∂
D ∂Γ ∂t∂s ∂t ∂s ∂xk .

=
∂t ∂s

Per differenziabilità di Γ, i termini con derivate seconde sono uguali in entrambe le espres-
sioni. Per simmetria della connessione di Levi-Civita, inoltre, Γkij = Γjki per ogni i, j, k =
1 . . . n, perciò sono uguali anche i termini rimanenti.

Teorema 3.13 (Lemma di Gauss). Siano p ∈ M e v ∈ TpM tale che expp(v) sia definito.
Sia w ∈ TpM . Allora

(d expp)v(v), (d expp)v(w) = v, w ,

dove, con abuso di notazione, Tv(TpM ) è identificato con TpM .

Dimostrazione. Si noti innanzitutto che, per ogni λ ∈ R si ha che

expp )v (λv ) dd
(d = dt expp(v + tλv) = γ(1, p, v + tλv) =
dt
t=0 t=0

dd = λ(d
= (1 + λt, p, v) = λ γ(1 + t, p, v) expp )v (v ).
dt dt
t=0 t=0

Siccome (d expp)v(v) = v , se w è parallelo a v si avrà la tesi. Per linearità di dexpp ci
si può dunque limitare ad analizzare il caso in cui w sia normale a v e non nullo.

Vogliamo dunque dimostrare che, se w è normale a v,

(d expp)v(v), (d expp)v(w) = v, w = 0.

La mappa expp, essendo definita in v, lo sarà anche in
u = tv(s), 0 ≤ t ≤ 1, − ε < s < ε,

dove v(s) è una curva su TpM con v(0) = v, v˙(0) = w e v(s) costante. Si consideri ora
la famiglia regolare di curve su M data da

Γ(t, s) = expp(tv(s)), 0 ≤ t ≤ 1, − ε < s < ε,

dove le curve della variazione (t → Γ(t, s0), s0 fissato) sono geodetiche.
Si osservi dunque che

∂Γ ∂Γ
, (1, 0) = (d expp)v(w), (d expp)v(v)
∂s ∂t

e che ∂ ∂Γ ∂Γ D ∂Γ ∂Γ ∂Γ D ∂Γ D ∂Γ ∂Γ

, = , +, = ,,
∂t ∂s ∂t ∂t ∂s ∂t ∂s ∂t ∂t ∂t ∂s ∂t

3.2. MINIMIZZAZIONE DELLA LUNGHEZZA D’ARCO 27

poichè ∂Γ è il vettore tangente di una geodetica, la cui derivata covariante (rispetto a t) è
∂t

nulla per definizione. Continuando, per il lemma di simmetria si ha

D ∂Γ ∂Γ D ∂Γ ∂Γ 1 ∂ ∂Γ ∂Γ
,= ,= , = 0,
∂t ∂s ∂t ∂s ∂t ∂t 2 ∂s ∂t ∂t

per la scelta di v(s) costante.

Dunque ∂Γ , ∂Γ non dipende da t e si ha
∂s ∂t

∂Γ ∂Γ ∂Γ ∂Γ
, (1, 0) = lim (t, 0), (t, 0) =
∂s ∂t t→0 ∂s ∂t

∂Γ ∂Γ
= lim (t, 0), lim (t, 0) =
t→0 ∂s t→0 ∂t

= lim(d expp )tv tw, v = 0, v = 0,

t→0

da cui segue la tesi.

3.2 Minimizzazione della lunghezza d’arco

Definizione 3.14. Sia B una palla normale di p in M e V ⊂ TpM la sua controimmagine
(ad essa diffeomorfa) tramite expp. Un segmento geodetico radiale che parte da p è una
curva differenziabile di M della forma

γ(t) = expp(r(t)v), t ∈ [0, 1], r : [0, 1] → R+ crescente e lineare,
r(0) = 0, r(1) = L,
v, r(1)v ∈ V, v = 1.

La curva così definita è un segmento geodetico che collega p e expp(r(1)v), di lunghezza
L. La condizione di linearità su r si può omettere se ciò che interessa è semplicemente
l’immagine di γ.

Proposizione 3.15 (Le minimizzanti sono geodetiche). Sia p ∈ M , Bε(p) una palla
normale di centro p e q ∈ Bε(p), q = expp(Lv), L ∈ R+, v = 1. A meno di riparame-
trizzazioni, il segmento geodetico radiale da p a q è l’unica curva minimizzante da p a q in
M.

Dimostrazione. Sia σ : [0, 1] → M una qualsiasi curva differenziabile che colleghi p e q.
Vogliamo dimostrare che σ ha lunghezza maggiore o uguale di quella del segmento geodetico
radiale da p a q. Iniziamo col supporre che l’immagine di σ sia contenuta interamente in
Bε(p). È chiaro che si può anche supporre che σ(t) = p per ogni t = 0, altrimenti, se
σ(t0) = p, basterà considerare la restrizione di σ su [t0, 1], la quale collega ancora p a q
e ha lunghezza minore della curva originale. Per la normalità della palla Bε(p) e per la
considerazione precedente possiamo scrivere σ(t) in modo unico come

σ(t) = expp(r˜(t)v˜(t)), t ∈ [0, 1],

dove v˜(t) è una curva in TpM con v˜(t) = 1 per ogni t e r˜: [0, 1] → R+ è tale che r˜(0) = 0,
r˜(1) = L. Si noti che v˜(0) è ben definito come limite di v˜(t) per t → 0. Sia inoltre

γ(t) = expp(r(t)v), t ∈ [0, 1],

28 CAPITOLO 3. GEODETICHE SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

il segmento geodetico radiale tra p e q. Vogliamo dimostrare che l(σ) ≥ l(γ). Si ha che

σ˙ (t) =(d expp)σ(t)(r˜˙(t)v˜(t) + r˜(t)v˜˙(t)) =
=r˜˙(t)(d expp)σ(t)(v˜(t)) + r˜(t)(d expp)σ(t)(v˜˙(t)).

Dato che v˜(t) ha sempre lunghezza unitaria, esso è sempre ortogonale alla sua derivata.
Per il lemma di Gauss la scomposizione di σ˙ (t) appena vista risulta dunque ortogonale, e

(d expp)σ(t)v˜(t)) = v˜(t)) = 1. Perciò

σ˙ (t) 2 = r˜˙(t) 2 + r˜(t)(d expp)σ(t)(v˜˙(t)) ≥ r˜˙(t) 2.

Dunque

1 11

l(σ) = σ˙ (t) dt ≥ r˜˙(t) dt ≥ r˜˙(t) dt = r˜(1) = r(1) = L = l(γ).

0 00

Inoltre, se si ha che l(σ) = l(γ), risalendo nei passaggi precedenti, risulta che v˜˙(t) = 0 e
che r˜˙(t) > 0, dunque v˜(t) = v per ogni t e σ risulta semplicemente una riparametrizzazione
monotona di γ, da cui σ([0, 1]) = γ([0, 1]).

Si consideri invece il caso in cui l’immagine di σ non sia interamente contenuta in Bε(p).
Per continuità esiste t1 ∈ (0, 1) per cui σ(t1) ∈ Bd(Bε(p)), dove Bd(Bε(p)) indica il bordo
di Bε(p). Perciò, sfruttando la prima parte della dimostrazione,

l(σ) ≥ l(σ|[0,t1)) ≥ ε > L = l(γ),

che conclude la dimostrazione.

Proposizione 3.16. Ogni geodetica γ : I → M minimizza localmente la lunghezza d’arco,
ovvero per ogni to ∈ I esiste un intorno U ⊆ I di t0 tale che γ|U minimizza la lunghezza
d’arco tra qualsiasi coppia di punti della sua immagine.

Dimostrazione. Siano t0 ∈ I, W un intorno totalmente normale di γ(t0) e U ⊆ I la
componente connessa di γ−1(W ) contenente t0. Una conseguenza immediata del fatto che
W è un intorno totalmente normale è che per ogni coppia di t1, t2 in I, le loro immagini
γ(t1) = q1 e γ(t2) = q2 sono collegate da un’unico segmento geodetico, radiale dal punto
di vista di entrambi i punti. Tale segmento deve dunque coincidere quindi con l’immagine
di γ ristretta a [t1, t2]. Per la proposizione precedente, γ minimizza dunque la lunghezza
d’arco tra q1 e q2.

Rafforziamo ora il concetto di intorno totalmente normale. Si ha il seguente risultato.

Proposizione 3.17. Per ogni p ∈ M esiste una palla normale Bε(p) centrata in p che
sia fortemente convessa: per ogni coppia di punti q1, q2 nella chiusura di Bε(p), esiste
un unico segmento geodetico minimizzante contenuto in Bε(p), che collega q1 e q2 (per la
dimostrazione si veda [6, pp. 76,77]).

3.3 Completezza e Teorema di Hopf-Rinow

Definizione 3.18. Una varietà riemanniana M è detta (geodeticamente) completa se,
equivalentemente:

• Per ogni p ∈ M , expp è definito su tutto TpM ;

3.3. COMPLETEZZA E TEOREMA DI HOPF-RINOW 29

• Ogni geodetica di M ha come dominio massimale l’intera retta reale.

Per maggiori dettagli sull’equivalenza delle definizioni si veda [6, pp. 146-149].

Proposizione 3.19. Ogni varietà riemanniana M possiede una struttura di spazio metrico
(M, d) con

d(p, q) = inf l(fp,q),

Λp,q

dove p, q ∈ M e Λp,q è l’insieme di tutte le curve differenziabili a tratti che vanno da p a
q (per dettagli si veda [14, pp. 94,95]).

Tale metrica è detta metrica intrinseca della varietà M .

Teorema 3.20 (Hopf-Rinow). Sia M una varietà riemanniana. Le seguenti affermazioni
sono equivalenti:

1. M è geodeticamente completa;

2. (M, d) è uno spazio metrico completo.

Una qualsiasi delle due condizioni implica inoltre che per ogni coppia di punti p, q ∈ M
esiste una geodetica γ minimizzante tra p e q, vale a dire tale che l(γ) = d(p, q).

Dimostrazione. Dimostriamo soltanto la seconda parte sull’esistenza di una geodetica mi-

nimizzante, usando in particolare come ipotesi la prima delle due condizioni equivalenti

(per maggiori dettagli sulla prima parte si veda [6, pp. 146-149]).

Sia r = d(p, q) e sia Bδ(p) una palla normale di centro p. Bd(Bδ(p)) = S è immagine
della circonferenza (compatta) di raggio δ in TpM ed è dunque compatto. Sia x0 ∈ S un
punto dove la funzione continua x → d(q, x) definita su S assume un minimo. Possiamo

scrivere x0 come x0 = exppδv, con v = 1. Sia dunque γ la geodetica radiale data da
γ(s) = exppsv, s ∈ R per l’ipotesi di completezza di M . Occore mostrare che γ(r) = q. In
questo modo, infatti, γ risulta una geodetica minimizzante tra p e q.

Sia A = { s ∈ [0, r] | d(γ(s), q) = r − s } ⊆ [0, r]. 0 ∈ A, dunque A è non vuoto.
A è inoltre chiuso, essendo l’intersezione di [0, r] e degli zeri della funzione continua s →
d(γ(s), q)−r+s. Perciò, mostrando che sup A = r, si avrebbe che r ∈ A, da cui d(γ(r), q) =
r − r = 0, cioè γ(r) = q. Per fare ciò, sia s0 ∈ A, s0 = r. Mostriamo che esiste δ > 0
per cui s0 + δ ∈ A, perciò x0 = sup A. Sia infatti Bδ (γ(s0)) una palla normale di γ(s0),
con S = Bd(Bδ (γ(s0))). Sia x0 un punto di S dove d(x, q), x ∈ S , assume un minimo
(S è compatto, essendo immagine di Bd(Bδ (0)) ⊂ Tγ(s0)M , il quale è compatto, tramite
expp). Poichè, chiaramente,

d(γ(s0), q) = δ + min d(x, q) = δ + d(x0, q) (3.4)
(3.5)
x∈S

e poichè, essendo s0 ∈ A,

d(γ(s0), q) = r − s0,

per disuguaglianza triangolare otteniamo che

d(p, x0) ≥ d(p, q) − d(q, x0) = r − (d(γ(s0), q) − δ ) = r − (r − s0 − δ ) = s0 + δ ,

che è esattamente la lunghezza della geodetica a tratti data dalla giustapposizione di γ
tra p e γ(s0) e del segmento geodetico radiale che collega γ(s0) con x0. La disuguaglianza
precedente diventa dunque un’uguaglianza, il che rende la geodetica a tratti definita prima

30 CAPITOLO 3. GEODETICHE SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Figura 3.1: Teorema di Hopf-Rinow (da [6, p. 147])

una geodetica in ogni suo punto. Si avrà dunque che γ(s0 + δ ) = x0 e, sfruttando (3.4) e
(3.5), si ha che

r − s0 = δ + d(x0, q) = δ + d(γ(s0 + δ ), q),

da cui

d(γ(s0 + δ ), q) = r − (s0 + δ ).

s0 + δ appartiene dunque ad A, il che conclude la dimostrazione.

3.4 Campi di Jacobi e punti coniugati

Definizione 3.21. Sia γ : [0, l] → M una geodetica di M . Un campo vettoriale J lungo γ
è detto campo di Jacobi se è regolare su tutto [0, l] e, per ogni t ∈ [0, l],

D2J dγ dγ
dt2 + R ,J = 0. (3.6)
dt dt

L’equazione (3.6) è detta equazione di Jacobi.

Proposizione 3.22. Sia γ : [0, l] → M una geodetica di M . Dati v, w ∈ Tγ(0)M , esiste

un unico campo di Jacobi J lungo γ tale che J (0) =v e DJ (0) = w.
dt

Dimostrazione. Trattandosi di un concetto locale, possiamo tradurre l’equazione di Ja-

cobi in coordinate locali. Per ogni t ∈ [0, l] sia { ei(t), i = 1 . . . n } una base ortonor-
male di Tγ(t)M , ottenuta come trasporto parallelo di una arbitraria base ortonormale
{ ei(0), i = 1 . . . n } di Tγ(0)M . Sia

J(t) = Ji(t)ei(t).

Si avrà dunque che

D2J = J˙i(t)ei(t)
dt2

e
R(γ˙ , J )γ˙ = R(γ˙ , J )γ˙ , ej ej = J i R(γ˙ , ei)γ˙ , ej ej = J iaji ej,

jj

3.4. CAMPI DI JACOBI E PUNTI CONIUGATI 31

dove aji = R(γ˙ , ei)γ˙ , ej . Sostituendo in (3.6) si ottiene un sistema lineare di n equazioni
differenziali ordinarie del secondo ordine,

J¨j(t) + aji (t)Ji(t) = 0, j = 1 . . . n. (3.7)

Ponendo come dati iniziali J (0) = J (t) = J i(0)ei(0) e DJ (0) = J˙i(0)ei(0), esiste un’unica
dt

soluzione differenziabile definita su [0, a].

Osservazione 3.23. La precedente dimostrazione prova in realtà qualcosa di più. Come
si è visto, i campi di Jacobi lungo γ sono tutte e sole le soluzioni del sistema lineare
omogeneo di n equazioni differenziali del secondo ordine dato da (3.7). Per risultati noti
riguardanti i sistemi dinamici, i campi di Jacobi lungo γ costituiscono uno spazio vettoriale
2n-dimensionale. k campi di Jacobi J1, . . . Jk lungo γ sono linearmente indipendenti se e
soltanto se lo sono i rispettivi dati iniziali, ovvero se e soltanto se la matrice 2n × k, dove
la colonna i-esima contiene le coordinate locali di Ji(0) e di J˙i(0), ha rango k.

Definizione 3.24. Sia γ : [0, l] → M una geodetica normalizzata di M . Una variazione
geodetica di γ è una variazione differenziabile

Γ : [0, l] × (−ε, ε) → M,

con Γ(t, 0) = γ(t), t ∈ [0, l], e tale che ogni curva della variazione sia una geodetica di M .

Definizione 3.25. Sia γ : [0, b] → M una curva differenziabile su M e sia Γ : [0, b] ×
(−ε, ε) → M una sua variazione differenziabile. Il campo variazionale della variazione Γ è
il campo vettoriale V lungo γ dato da

∂Γ t ∈ [0, b].
V (t) = (t, 0),
∂s

Esso è dato cioè dal vettore tangente (per s = 0) della curva trasversale della variazione,
al variare di t in [0, b]. Se Γ è una variazione geodetica, V è detto campo variazionale
geodetico.

Proposizione 3.26. Sia γ : [0, b] → M una curva differenziabile e sia V = V (t), t ∈ [0, b],
un campo vettoriale differenziabile lungo γ. Allora esiste una variazione di γ, Γ : [0, b] ×
(−ε, ε) → M tale che V è il campo variazionale di Γ.

Dimostrazione. Sia γ(t), t ∈ [0, b], un punto qualsiasi dell’immagine di γ e si consideri un

suo intorno totalmente normale Wt. È chiaro che la famiglia di intorni { Wt, t ∈ [0, b] }

è un ricoprimento aperto dell’immagine compatta di γ, γ([0, b]). Esisterà dunque un suo

sottoricoprimento finito {W1, . . . , Wn}. Siano ora δ1, . . . , δn le costanti positive associate

agli intorni totalmente normali del ricoprimento finito (si veda la Proposizione 3.7) e sia

δ, 0 < δ < mini=1...n { δi }. Siano ora N = max[0,b] V (t) e ε ∈ R tale che 0 < ε < δ .
N

Con questa scelta di ε, la funzione

Γ : [0, b] × (−ε, ε) → M
Γ(t, s) = expγ(t)sV (t)

è ben definita, differenziabile e Γ(t, 0) = expγ(t)0 = γ(t), quindi Γ è effettivamente una
variazione di γ. Resta solo da verificare che il suo campo variazionale coincida con V , e

infatti ∂Γ d
∂s (t, 0) = ds (expγ(t)sV (t)) s=0 = (d expγ(t))0V (t) = V (t).

32 CAPITOLO 3. GEODETICHE SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Proposizione 3.27. Sia p ∈ M e siano v, w ∈ TpM , con v = 1, e l ∈ R+ tale che

expp(lv) sia definito. Si consideri la geodetica γ(t) = expp(tv), t ∈ [0, l]. Esiste un unico

campo variazionale geodetico V lungo γ tale che V (0) = 0 e DV (0) = w. Inoltre, V è un
dt

campo di Jacobi.

Dimostrazione. Dimostriamo l’esistenza. Sia s → v(s), s ∈ (−ε, ε) una curva differenzia-

bile su TpM tale che v(0) = v e dv (0) = w. Sia Γ la famiglia regolare di curve
ds

Γ : [0, l] × (−ε, ε) → M
Γ(t, s) = expp(tv(s)).

Γ è ben definita (expp è definita in tv per ogni t ∈ [0, l] e dunque anche in un intorno di tali
punti) ed è è una variazione geodetica della curva γ dell’enunciato. Il campo variazionale

geodetico di Γ sarà

∂Γ (3.8)
V (t) = ∂s (t, 0) = (d expp)tv(tw).

Si ha allora che

V (0) = (d expp)00 = 0

e che

DV D = w.
dt (0) = dt (d expp)tv(tw) t=0 =
t=0
D
= (d expp)tv(w) + t dt (d expp)tv(w)

Resta soltanto da verificare che V sia un campo di Jacobi. Una volta fatto ciò, l’unicità

seguirà dalla Proposizione 3.22. Applicando la Proposizione 3.11 al campo ∂Γ lungo la
∂t

variazione Γ si ha

D D ∂Γ − D D ∂Γ = R ∂Γ ∂Γ ∂Γ
,
∂t ∂s ∂t ∂s ∂t ∂t ∂s ∂t ∂t

per ogni (t, s) ∈ [0, l] × (−ε, ε). Se ci si concentra solo sui punti (t, 0), t ∈ [0, l] si ha che

• ∂Γ (t, 0) = γ˙ (t);
∂t

• ∂Γ (t, 0) = V (t).
∂s

Dunque D ∂Γ (t, 0) = 0, per definizione di geodetica. Per il lemma di simmetria, inoltre,
∂t ∂t

D D ∂Γ D D ∂Γ (t, 0) = D2V
(t, 0) = dt2 (t).
∂t ∂s ∂t ∂t ∂t ∂s

Riscrivendo tutto si ottiene

D2V dγ dγ
dt2 + R ,V = 0,
dt dt

che è l’equazione di Jacobi per V .

Abbiamo dunque il seguente importante risultato.

Proposizione 3.28. Sia γ : [0, l] → M una geodetica normalizzata di M e sia J un campo
di Jacobi lungo γ, con J(0) = 0. Allora J è un campo variazionale geodetico di γ.

3.4. CAMPI DI JACOBI E PUNTI CONIUGATI 33

Dimostrazione. Sia v = γ˙ (0), sia w = DJ (0) e sia V il campo variazionale geodetico lungo
dt

γ dato da (3.8). Per la proposizione precedente, V è un campo di Jacobi lungo γ e si ha

che

V (0) = J(0) = 0

e che DV DJ
(0) = (0).

dt dt

Per la Proposizione 3.22, V e J coincidono.

Proposizione 3.29. Sia γ : [0, l] → M una geodetica e sia J un campo di Jacobi lungo γ.

Allora dγ DJ dγ dγ

J, = (0), (0) t + J(0), (0)
dt dt dt dt

per ogni t ∈ [0, l].

Dimostrazione. Sfruttando l’equazione di Jacobi, il fatto che γ è una geodetica e il punto
3. della Proposizione 1.41, si ha

d DJ dγ D2J dγ DJ D dγ D2J dγ
, = dt2 , dt + ,= dt2 , dt =
dt dt dt dt dt dt

= −R(γ˙ , J)γ˙ , γ˙ = −Rm(γ˙ , J, γ˙ , γ˙ ) = 0.

Dunque DJ , dγ = DJ (0), dγ (0) . Quindi
dt dt dt dt

d dγ DJ dγ D dγ DJ dγ DJ dγ
J, = , + J, = , = (0), (0) .
dt dt dt dt dt dt dt dt dt dt

Integrando quest’ultima espressione si ottiene la tesi.

Definizione 3.30. Sia J un campo di Jacobi lungo una geodetica γ : [0, l] → M , con
J(0) = 0. J si dice ortogonale se

dγ = 0 ∀ t ∈ [0, l].
J,
dt

Si noti che, per la proposizione precedente, ciò è equivalente a chiedere che

DJ dγ
(0), (0) = 0.

dt dt

Punti coniugati

Definizione 3.31. Siano p e q due punti di M collegati da un segmento geodetico γ. q si
dice essere coniugato a p se esiste un campo di Jacobi J non identicamente nullo lungo γ
che si annulla in corrispondenza di p e di q.

La molteplicità del punto coniugato q è la dimensione dello spazio vettoriale dei campi
di Jacobi non identicamente nulli lungo γ che si annullano in p e in q.

La dimensione dello spazio vettoriale dei campi di Jacobi lungo γ che si annullano in p
è n, per l’Osservazione 3.23. È però immediato verificare tramite l’equazione di Jacobi che
il campo J(t) = tγ˙ (t) è un campo di Jacobi lungo γ che si annulla solamente per t = 0. Da
ciò si deduce che la molteplicità di un punto coniugato non può mai superare n−1. Inoltre,
sempre facendo riferimento all’Osservazione 3.23, è evidente che k campi di Jacobi Ji lungo

34 CAPITOLO 3. GEODETICHE SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

γ che si annullano in p sono linearmente indipendenti se e soltanto se DJ1 (0), . . . , DJk (0)
dt dt

sono linearmente indipendenti.

Un’interpretazione geometrica del concetto di punto coniugato è data dalla seguente

osservazione.

Osservazione 3.32. Sia γ : [0, l] → M una geodetica, con γ(0) = p. Sia t0 ∈ [0, l] tale
che γ(t0) = q sia coniugato a p. Esisterà dunque un campo di Jacobi J non identicamente
nullo lungo γ tale che J(0) = J(t0) = 0. Ciò implica, per la Proposizione 3.28 che esso
sia un campo variazionale geodetico. Esisterà dunque una variazione geodetica di γ|[0,t0],
Γ : [0, t0]×(−ε, ε) → M . Per definizione di punto coniugato, si avrà inoltre che la variazione
Γ è propria, cioè Γ(t0, s) = γ(t0) per ogni s ∈ (−ε, ε). L’intero fascio di geodetiche dato
dalla variazione Γ, dunque, parte da p e passa per γ(t0). È perciò naturale interpretare un
punto coniugato a p come l’intersezione di due geodetiche che partono da p “arbitrariamente

vicine”.

Proposizione 3.33. Siano p e q due punti coniugati di M , e siano γ e J rispettivamente
la geodetica e il campo di Jacobi della definizione di punto coniugato. Allora J è un campo
di Jacobi ortogonale.

Dimostrazione. Segue dalla Proposizione 3.29, che afferma che la funzione t → J(t), γ˙ (t)
è lineare in t. Se p = γ(0) e q = γ(t0) si avrà banalmente che J(0), γ˙ (0) = J(t0), γ˙ (t0) =
0. Da ciò segue immediatamente che J(t), γ˙ (t) = 0 per ogni t nel dominio di γ.

Diamo ora una caratterizzazione dei punti coniugati.

Proposizione 3.34. Sia γ : [0, l] → M una geodetica normalizzata e sia p = γ(0). Il punto
q = γ(t0), t0 ∈ [0, l], è coniugato a p lungo γ se e soltanto se v0 = t0γ˙ (0) è un punto critico
di expp, ovvero se e soltanto se expp non è un diffeomorfismo in un intorno di v0.

In tal caso, la molteplicità di q (come punto coniugato di p) è uguale alla dimesione del
nucleo di (d expp)v0.

Dimostrazione. Per definizione, q è coniugato a p lungo γ se e soltanto se esiste un campo

di Jacobi J non identicamente nullo lungo γ per cui J(0) = J(t0) = 0. Siano ora v = γ˙ (0)

e w = DJ (0). Per la Proposizione 3.28, J è dato da (3.8), ovvero J(t) = (d expp)tv(tw).
dt

Perché J non sia identicamente nullo, è necessario e sufficiente che w = 0. q = γ(t0) è

dunque coniugato a p se e soltanto se

J (t0) = (d expp)t0v(t0w) = 0,

cioè, se e soltanto se (d expp)t0v è singolare.
Lo spazio dei campi di Jacobi lungo γ che si annullano in p e q è un sottospazio

dei campi di Jacobi lungo γ. L’indipendenza lineare di due campi è inoltre determinata
completamente dall’indipendenza lineare della loro derivata covariante in corrispondenza
di p. Per queste considerazioni e per la costruzione fatta, la molteplicità di q è uguale alla
dimensione del nucleo di (d expp)v0.

Definizione 3.35. Sia p ∈ M . Il luogo coniugato di p, che indichiamo con C(p), è l’insieme
di tutti i punti di M coniugati a p tramite un qualche segmento geodetico che parte da p.

3.5. VARIAZIONI DI ENERGIA 35

3.5 Variazioni di energia

Sia γ : [0, b] → M una curva differenziabile e sia Γ : [0, b] × (−ε, ε) → M una sua
variazione. Siano p = γ(0) e q = γ(b). Definiamo

Ωp,q = { α ∈ C∞(I = [0, b], M ), α(0) = p, α(b) = q } .

Vogliamo ora analizzare come si modifichi, al variare di s ∈ (−ε, ε), la lunghezza della
curva Γs della variazione. Per fare ciò definiamo una funzione

L : (−ε, ε) → R+

b ∂Γ
L(s) = L(Γs) = (t, s) dt,
∂t
0

dove L indica anche, con abuso di notazione, il funzionale della lunghezza sulle curve di
Ωp,q (con gli estremi di integrazione opportuni).

Risulta più agevole considerare una seconda funzione, detta funzionale dell’energia della
variazione, data da

E : (−ε, ε) → R+ ∂Γ 2
(t, s) dt,
b
∂t
E(s) = E(Γs) =

0

che è strettamente collegata alla funzione L.
Si ha innanzitutto che, applicando la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz,

b 2b b

f g dt ≤ f 2 dt g2 dt,

0 00

con f ≡ 1 e g = dα , si ottiene che
dt

L(α) ≤ bE(α) (3.9)

per ogni curva α di Ωp,q. Si ha uguaglianza se e soltanto se g = dα è costante, ovvero se
dt

α è parametrizzata proporzionalmente alla lunghezza d’arco.

La prossima proposizione mostra come le curve da p a q che minimizzano L (che sono

geodetiche, per quanto visto) minimizzino anche E.

Proposizione 3.36. Siano p, q ∈ M e sia γ ∈ Ωp,q una geodetica. γ minimizza il fun-
zionale L su Ωp,q (γ è dunque un segmento geodetico minimizzante) se e soltanto se essa
minimizza il funzionale E su Ωp,q.

Dimostrazione. Sia α ∈ Ωp,q. Dimostriamo innanzitutto che, se γ minimizza L, essa mi-
nimizza anche E. Sfruttando (3.9) e il fatto che una geodetica è sempre parametrizzata
proporzionalmente alla lunghezza d’arco (che darà la prima uguaglianza), si ha che

bE(γ) = (L(γ))2 ≤ (L(α))2 ≤ bE(α), (3.10)

dove la prima disuguaglianza segue dall’ipotesi che γ minimizzi la lunghezza d’arco. Ne

segue che E(γ) ≤ E(α) per ogni α ∈ Ωp,q, che conclude la prima parte della dimostrazione.

Proviamo ora che, se γ minimizza E, minimizza anche L. Sfruttando tale ipotesi e

(3.9) si ottiene

(L(γ))2 ≤ bE(γ) ≤ bE(α) = (L(α))2, (3.11)

da cui L(γ) ≤ L(α) per ogni α ∈ Ωp,q.

36 CAPITOLO 3. GEODETICHE SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Torniamo ora al funzionale dell’energia definito sulle curve della variazione Γ. La
prossima proposizione fornisce una formula per quantificare la variazione dell’energia sulle
curve prossime a γ = Γs=0.

Proposizione 3.37 (Prima variazione dell’energia). Sia γ : [0, b] → M una curva diffe-
renziabile e sia Γ : [0, b] × (−ε, ε) → M una variazione di γ. Allora

1 dE b D dγ dγ b
(0) = − V (t), dt + V (t), (3.12)
2 ds 0 dt dt ,
dt
0

dove V (t) è il campo variazionale di Γ.

Dimostrazione. Per definizione E(s) = b ∂Γ , ∂Γ (t, s) dt. Quindi, integrando sotto il
0 ∂t ∂t

segno di integrale,

dE b ∂ ∂Γ ∂Γ b D ∂Γ ∂Γ
= , dt = 2 , dt =
ds 0 ∂s ∂t ∂t 0 ∂s ∂t ∂t dt,

b D ∂Γ ∂Γ
=2 , dt =

0 ∂t ∂s ∂t

=2 bd ∂Γ ∂Γ dt − 2 b ∂Γ D ∂Γ
, ,
0 dt ∂s ∂t 0 ∂s ∂t ∂t

ovvero b b ∂Γ D ∂Γ
, dt,
1 dE ∂Γ ∂Γ − (3.13)
= ,
∂s ∂t 0 0 ∂s ∂t ∂t
2 ds

dove, per semplificare la notazione, il primo termine del membro di sinistra si intende

calcolato per s costante. Calcolando tale espressione per s = 0 e ricordando che ∂Γ (t, 0) =
∂t
∂Γ
γ˙ (t) e che ∂s (t, 0) = V (t), si ottiene la tesi.

Proposizione 3.38. Sia γ : [0, b] → M una curva differenziabile. γ è una geodetica se e

solo se, per ogni variazione propria di γ, dE (0) = 0.
ds

Dimostrazione. Sia Γ : [0, b] × (−ε, ε) → M una variazione propria di γ. Siccome per

definizione, detto V il campo variazionale di Γ, V (0) = V (b) = 0, la formula per la prima

variazione dell’energia diventa

1 dE (0) = − b D dγ dt. (3.14)
V (t),
2 ds 0 dt dt

Se γ è una geodetica, per definizione D dγ ≡ 0, da cui 1 dE (0) = 0. Per l’implicazione
dt dt 2 ds

contraria, l’ipotesi diventa che

− b D dγ dt = 0
V (t),
0 dt dt

per ogni campo V (t) lungo γ che si annulli ai suoi estremi. Ciò segue dal fatto che, dato

un campo differenziabile V lungo una curva regolare esiste una variazione regolare Γ di cui

V è il campo variazionale (Proposizione 3.26). Se V (0) = V (b) = 0, tale variazione sarà

propria.

Sia dunque V (t) = g(t) D dγ , con g ∈ C∞([0, b], R) tale che g(t) > 0 ∀t ∈ (0, b) e
dt dt

g(0) = g(b) = 0 (ad esempio g(t) = −t (t − b)). Applicando (3.14) a una variazione di γ

avente V come campo variazionale, si ha

1 dE b D dγ D dγ
(0) = − g(t) , dt = 0.
2 ds 0 dt dt dt dt

3.5. VARIAZIONI DI ENERGIA 37

Poiché l’integrando è non negativo, si dovrà avere che, per ogni t in (0, b),

D dγ D dγ
g(t) , = 0,
dt dt dt dt

ma, per le ipotesi su g, ciò equivale a chiedere che D dγ ≡ 0, cioè che γ sia una geodetica.
dt dt

Nelle sezioni precedenti abbiamo visto come le geodetiche minimizzino localmente la

lunghezza d’arco. Vogliamo ora studiare quando un segmento geodetico effettivamente

minimizzi la lunghezza d’arco tra due punti di M , non necessariamente posti in uno stesso

intorno totalmente normale. È chiaro che ciò non accade sempre. Si consideri un punto
p sulla sfera unitaria S2 ⊂ R3 e un segmento geodetico (arco di circonferenza massima)

che, partendo da p, percorra tre quarti del giro completo, arrivando in un secondo punto

q. Esso è lungo 3 π e non minimizza la lunghezza d’arco tra i suoi estremi, in quanto
2

basta considerare un segmento geodetico che parta da p in direzione opposta al segmento

precedente, percorrendo un quarto di circonferenza massima. Esso congiungerà p e q, ma

avrà una lunghezza pari a 1 π.
2

Nello studiare se una geodetica γ minimizzi o meno la lunghezza d’arco tra i suoi

estremi, tenendo conto del risultato della Proposizione 3.38, risulta naturale considerare

una variazione propria di γ e studiare la derivata seconda del funzionale dell’energia sulle

curve di tale variazione, dal cui segno vedremo che si può dedurre una condizione necessaria

affinché γ sia minimizzante. Se d2E (0), tenendo conto anche Proposizione 3.38, è possibile,
ds2

tramite lo sviluppo di Taylor di E(s), avere informazioni sul comportamento di E per s

prossimo a 0. In particolare, se d2E (0) > 0, il funzionale E, su curve della variazione
ds

prossime a γ, sarà minore di E calcolato in γ, da cui si deduce immediatamente che γ non

può minimizzare l’energia, e dunque la lunghezza d’arco, tra i suoi estremi.

Abbiamo dunque bisogno di una formula per d2E (0).
ds2

Proposizione 3.39 (Seconda variazione dell’energia). Sia γ : [0, b] → M una geodetica e
sia Γ : [0, b] × (−ε, ε) una variazione di γ. Allora

1 d2E D ∂Γ (t, 0), dγ b (3.15)
2 ds2 (0) = Ib(V, V ) +
dove V è il campo variazionale di Γ e ∂s ∂s dt ,

0

b DV 2 dγ dγ dt. (3.16)
, V, , V
Ib(V, V ) = − Rm
dt dt dt
0

In particolare, se Γ è propria,

1 d2E (3.17)
2 ds2 (0) = Ib(V, V ).

Dimostrazione. Derivando (3.13) si ottiene

1 d2E D ∂Γ ∂Γ b ∂Γ D ∂Γ b
2 ds2 = , + ,
∂s ∂s ∂t
0 ∂s ∂s ∂t 0

b D ∂Γ D ∂Γ b ∂Γ D D ∂Γ
, ,
− 0 ∂s ∂s ∂t ∂t dt − 0 ∂s ∂s ∂t ∂t dt.

Calcoliamo tale espressione per s = 0. Nel primo termine non vi è nulla da modificare.

Nel secondo, notiamo che, per il lemma di simmetria, D ∂Γ = D ∂Γ . Il terzo termine si
∂s ∂t ∂t ∂s

38 CAPITOLO 3. GEODETICHE SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

annulla, poiché γ è una geodetica. Nel quarto termine applichiamo la Proposizione 3.11 e
il lemma di simmetria per ottenere che

D D ∂Γ D D ∂Γ ∂Γ ∂Γ ∂Γ D D ∂Γ ∂Γ ∂Γ ∂Γ
= +R , = +R , .
∂s ∂t ∂t ∂t ∂s ∂t ∂t ∂s ∂t ∂t ∂t ∂s ∂t ∂s ∂t

Sfruttando queste considerazioni e ricordando che ∂Γ (t, 0) = V (t) si ottiene che
∂s

1 d2E (0) = − b D2V dγ dγ dt
2 ds2 0 V (t), dt2 + R ,V dt
(3.18)
dt

+ V (t), DV b D ∂Γ dγ b
+ ,.
dt 0 ∂s ∂s dt 0

Manipoliamo ancora i primi due termini dell’equazione. Otteniamo che

− b D2V dγ dγ dt + DV b
0 V (t), dt2 + R ,V dt V (t),
=
dt dt
dγ dγ 0
bd DV − D2V
= V (t), V (t), dt2 + R ,V dt =
0 dt dt dt dt

b DV DV − V, R dγ dγ dt =
, ,V
= dt dt dt dt

0

= Ib(V, V ),

da cui la tesi.

Nella formula per la seconda variazione dell’energia compare un termine che risulterà
fondamentale per considerazioni che faremo nelle sezioni successive.

Sia γ : [0, b] → M una geodetica. Indichiamo con Vγ(0, b) = V lo spazio vettoriale dei
campi vettoriali lungo γ differenziabili (a tratti) e propri (i quali cioé si annullano in 0 e
in b).

Definizione 3.40. La forma di Morse lungo γ è la forma bilineare e simmetrica definita
su Vγ(0, b), data da

b DV DW − Rm dγ dγ dt,
, , V, , W
Ib(V, W ) = dt dt dt dt

0

con V, W ∈ Vγ(0, b).

Osservazione 3.41. La forma quadratica associata alla forma di Morse, utilizzata nella
proposizione precedente, è dunque definita da

b DV DV − Rm dγ dγ dt.
, , V, , V
Ib(V, V ) = dt dt dt dt

0

Si noti che è possibile esprimere l’integrando in termini della curvatura sezionale. Ricor-

dando che

dγ Rm dγ , V, dγ , V
K ,V = dt dt
,
dt 2
dγ ∧
dt V

si ha che dγ ∧ V 2 dt.
dt
b DV DV −K dγ (3.19)
, ,V
Ib(V, V ) = dt dt dt

0

3.5. VARIAZIONI DI ENERGIA 39

Proposizione 3.42. Sia γ : [0, b] → M una geodetica e siano V, W ∈ Vγ(0, b). Supponiamo
che W sia differenziabile in tutto [0, b]. Allora

b D2V dγ dγ k DV (3.20)
dt2 + R ,V ,W ∆i dt , W (ai) ,
Ib(V, W ) = − dt −
dt dt
0 i=1

dove ai, . . . , ak sono tutti i valori di t per cui V non è regolare e

DV DV − lim DV
∆i dt = lim t→a−i dt

t→ai+ dt

è il “salto” che DV ha in corrispondenza di ai.
dt

Dimostrazione. In ogni intervallo [ai−1, ai] si ha

d DV D2V DV DW .
,W = dt2 , W + ,
dt dt dt dt

Perciò

ai DV DW dt = − ai D2V −d DV dt =
, =− dt2 , W dt ,W
ai−1 ai
ai−1 dt dt ai dt ai−1

ai−1 D2V DV
dt2 , W dt + ,W
dt

Dunque, sommando tutti gli integrali sui singoli intervalli e tornando alla definizione di
forma di Morse,

b DV DW b dγ dγ
Ib(V, V ) = , dt − Rm , V, , W dt =
dt dt 0 dt dt
0

b D2V dt + k DV
dt2 , W ∆i dt , W (ai)
=− i=1

0

− b dγ dγ dt
R ,V ,W
0 dt dt

da cui la tesi.

Proposizione 3.43. Sia γ : [0, b] → M una geodetica e sia J un campo di Jacobi lungo γ.
Allora

Ib(J, J) = 0

Dimostrazione. Segue dalla proposizione precedente. Se J è un campo di Jacobi, per

definizione D2J dγ dγ

dt2 + R ,V = 0.
dt dt

Calcolando Ib(J, J) usando (3.20), otteniamo che l’integrando è banalmente nullo. Essendo

J regolare su tutto il suo dominio (sempre per definizione di campo di Jacobi), anche i

termini di correzione dovuti alle discontinuità di DJ vanno rimossi.
dt

Giungiamo dunque al risultato anticipato prima della Proposizione 3.39.

40 CAPITOLO 3. GEODETICHE SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Proposizione 3.44. Sia γ : [0, b] → M una geodetica. Se γ minimizza la lunghezza d’arco

tra i suoi estremi, allora

Ib(V, V ) ≥ 0

per ogni V ∈ Vγ(0, b).

Dimostrazione. Sia V ∈ Vγ(0, b). Si considerino la variazione propria di γ avente V come
campo variazionale e il funzionale dell’energia E definito sulle curve di tale variazione.

Sviluppando E(s) in serie di Taylor intorno a s = 0, ricordando che per ipotesi γ
minimizza la lunghezza d’arco, si ottiene che

E(s) = E(0) + dE (0)s + 1 d2E (0)s2 + R(s) = E(γ) + 1 d2E (0)s2 + R(s),
ds 2 ds2 2 ds2

con R(s) = o(s2). Quindi

E(s) − E(γ) = 1 d2E (0)s2 + R(s).
2 ds2

Si supponga per assurdo che Ib(V, V ) < 0. Allora, per la formula della seconda variazione
dell’energia

1 d2E
2 ds2 (0) = Ib(V, V ) < 0.

Ne consegue che esiste un intorno di s = 0 in cui E(s) < E(γ) e dunque L(s) < L(γ). Ciò

significa che esistono curve differenziabili della variazione che congiungono γ(0) e γ(b) le

quali hanno lunghezza minore di γ. Ciò è assurdo per l’ipotesi che γ fosse minimizzante.

Il teorema successivo rende chiara l’importanza dello studio dei luoghi coniugati di una
varietà differenziabile.

Teorema 3.45. Sia γ : [0, b] → M un segmento geodetico, con γ(0) = p e γ(b) = q. Se
esiste a ∈ (0, b) tale che γ(a) è coniugato a p, γ non minimizza la lunghezza d’arco tra p e
q.

Dimostrazione. Per la proposizione precedente è sufficiente mostrare che esiste un campo

vettoriale in Vγ(0, b) per cui Ib(V, V ) < 0.
Siccome esiste a ∈ (0, b) tale che γ(a) è coniugato a p, per definizione esiste un campo

di Jacobi J lungo γ|[0,a] che si annulla per t = 0 e t = a. Definiamo dunque un nuovo
campo vettoriale lungo γ, dato da

J(t), t ∈ [0, a]
V (t) =

0, t ∈ (a, b]

Sia ora W ∈ Vγ(0, b) tale che W (a) = − DJ (a). Per fare ciò è sufficiente considerare
dt
W˜ (t), DJ
il trasporto parallelo lungo γ del vettore − dt (a) ∈ Tγ(a)M , e una funzione regolare

θ : [0, b] → R tale che θ(0) = θ(b) = 0 e θ(a) = 1. Basterà ora considerare W (t) = θ(t)W˜ (t).

Si noti che − DJ (a) = 0, altrimenti J, essendo nullo in a, sarebbe identicamente nullo.
dt

Sia ora Xε = V + εW , ε > 0. Allora

Ib(Xε, Xε) = Ib(V, V ) + 2ε Ib(V, W ) + ε2Ib(W, W ).

V soddisfa l’equazione di Jacobi sui due sottointervalli [0, a] e [a, b], dunque, per le Propo-
sizioni 3.42 e 3.43,

Ib(V, V ) = − DV DV
∆a , V (a) = − ∆a dt , 0 = 0,
dt

3.6. TEOREMA DI RAUCH 41

dove DV DV DV
∆a dt = lim .
− lim
t→a+ dt t→a− dt

Ora, per il termine Ib(V, W ), applichiamo nuovamente la Proposizione 3.42, notando
che, poiché V è un campo di Jacobi, l’integrale di (3.20) è banalmente nullo. Otteniamo

Ib(V, W ) = − DV = − W (a), W (a) = − W (a) 2,
∆a dt , W (a)

dove sfruttiamo la richiesta fatta in precedenza che W (a) = − DJ (a) = ∆a DV .
dt dt

Si ha dunque che

Ib(Xε, Xε) = −2ε W (a) 2 + ε2 Ib(W, W ) = ε −2 W (a) 2 + ε Ib(W, W ) .

Per ε sufficientemente piccolo, dunque, Ib(Xε, Xε) < 0, da cui la tesi.

3.6 Teorema di Rauch

In questa sezione ontinuiamo a sviluppare la teoria relativa ai campi di Jacobi, co-

minciando a intravvedere alcune condizioni globali imposte da disuguaglianze relative alla

curvatura sezionale.

D’ora in poi, per semplicità di notazione, indicheremo talvolta DV con V˙ e D2V con
dt dt
V¨ , dove V è un campo vettoriale lungo una curva γ.

Lemma 3.46. Sia γ : [0, l] → M una geodetica normalizzata senza punti coniugati a γ(0)
nell’intervallo (0, l]. Sia J un campo di Jacobi ortogonale lungo γ, con J(0) = 0 e sia V un
campo vettoriale differenziabile a tratti lungo γ, anch’esso ortogonale a γ e con V (0) = 0.
Se J(t0) = V (t0) per un qualche t0 ∈ (0, a], allora

It0(J, J ) ≤ It0(V, V ).

L’uguaglianza si ha se e soltanto se J ≡ V in [0, t0].

Dimostrazione. Sia J lo spazio vettoriale dei campi di Jacobi ortogonali lungo γ tali che
J(0) = 0. J ha dimensione n − 1, con n = dim M . Per la Proposizione 3.29 e per
l’Osservazione alla Definizione 3.30, infatti, se J(0) = 0,

J(t), γ˙ (t) = DJ (0), γ˙ (0) t

dt

e dunque J è ortogonale se e soltanto se DJ (0) è ortogonale a γ˙ (0), ovvero se DJ (0)
dt dt
appartiene a γ˙ (0)⊥, sottospazio di Tγ(0)M ortogonale a γ˙ (0), il quale ha dimensione n − 1.

Poiché, per l’Osservazione 3.23, k campi di Jacobi J1, . . . , Jk con J(0) = 0 sono linearmente
DJk
indipendenti se e solo se DJ1 (0), . . . , dt (0) sono linearmente indipendenti, segue quanto
dt

affermato.

Sia dunque { J1, . . . , Jn−1 } una base di J . Consideriamo il suo trasporto parallelo

{ J1(t), . . . , Jn−1(t) } lungo γ, per t ∈ [0, l]. Poiché γ non ha punti coniugati in (0, l],

Ji(t) = 0 per ogni i = 1 . . . n − 1, per ogni t ∈ [0, l]. Perciò { J1(t), . . . , Jn−1(t) } risulta
una base di γ˙ (t)⊥ per ogni t ∈ [0, l].

In termini di questa base, scriviamo J = aiJi, con i coefficienti ai costanti, e V (t) =
f i(t)Ji(t), dove le f i(t) sono funzioni differenziabili a tratti su [0, l] (in realtà estendere

42 CAPITOLO 3. GEODETICHE SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

le f i in modo continuo e differenziabile per t = 0 non è banale, per dettagli si veda [6,
p. 213]).

Ora, osserviamo che, sfruttando la definizione di campo di Jacobi, in ogni sottointervallo
in cui le V sia differenziabile

R (γ˙ , V ) γ˙ = R γ˙ , f iJi γ˙ = f iR (γ˙ , Ji) γ˙ = −f iJ¨i.

Perciò

V˙ , V˙ − R (γ˙ , V ) γ˙ , V = f˙iJi + f iJ˙i, f˙jJj + f jJ˙j − R (γ˙ , V ) γ˙ , V =

= f˙iJi, f˙jJj + f˙iJi, f jJ˙j + f iJ˙i, f˙jJj + f iJ˙i, f jJ˙j + f iJ¨i, f jJj =

=d f iJi, f jJ˙j + f˙iJi, f˙jJj − f iJi, f˙jJ˙j + f iJ˙i, f˙jJj .
dt

Mostriamo però che

f iJ˙i, f˙jJj = f iJi, f˙jJ˙j , (3.21)

in modo da cancellare il terzo e il quarto termine nella formula precedente. Per fare ciò,

sia
h(t) = J˙i, Jj − Ji, J˙j .

Applicando nuovamente l’ipotesi che Ji e Jj siano campi di Jacobi, si ha che

dh J¨i, Jj + J˙i, J˙j − J˙i, J˙j − Ji, J¨j =
=

dt

= − R (γ˙ , Ji) γ˙ , Jj + Ji, R (γ˙ , Jj) γ˙ = 0.

Poiché h(0) = 0, h ≡ 0. Per distributività, dunque, si ottiene (3.21).
Possiamo dunque riscrivere l’equazione trovata in precedenza come

V˙, V˙ − R (γ˙ , V ) γ˙ , V = f˙iJi, f˙jJj d f iJi, f jJ˙j . (3.22)
+

dt

Per J vale una formula analoga. Siccome però i suoi coefficienti nella base {Ji(t)} sono
costanti, i termini con le loro derivate saranno nulli. Perciò

J˙, J˙ − R (γ˙ , J) γ˙ , J d aiJi, ajJ˙j . (3.23)
=

dt

Integrando (3.22) e (3.23) tra t = 0 e t = t0, e sfruttando l’ipotesi che J(0) = V (0) = 0,
otteniamo le seguenti espressioni per la forma di Morse It0 di V e di J:

It0 (V, V ) = f iJi, f jJ˙j (t0) + t0 f˙iJi, f˙jJj dt,

0

It0 (J, J ) = aiJi, ajJ˙j (t0).

Per ipotesi J(t0) = V (t0), dunque ai = f i(t0) per ogni i = 1 . . . n − 1. Sostituendo
nell’espressione precedente di It0 (V, V ) si ha

t0 f˙iJi 2

It0 (V, V ) = It0 (J, J ) + dt,

0

da cui segue immediatamente che It0 (V, V ) ≥ It0 (J, J).
Se si ha uguaglianza, si deve avere che f˙iJi ≡ 0, che, per lineare indipendenza dei Ji

per t = 0, implica che f˙i = 0 per t = 0, per ogni i = 1 . . . n − 1. Per continuità in t = 0,
f˙i ≡ 0 per ogni i, cioè f i costante. Perciò f i ≡ f i(t0) = ai per ogni i, da cui V ≡ J.

3.6. TEOREMA DI RAUCH 43

Enunciamo e dimostriamo ora il Teorema di Rauch. Esso mette in relazione la curvatura
sezionale e i campi di Jacobi, i quali a loro volta rappresentano il grado di “apertura” di
un fascio di geodetiche. A livello intuitivo, questo Teorema afferma che, più la curvatura
sezionale di una varietà è grande, meno le sue geodetiche si aprono, si separano l’una
dall’altra.

Teorema 3.47 (Rauch). Siano M n e M˜ n+k due varietà riemanniane, con k ≥ 0 e siano

γ : [0, l] → M n,
γ˜ : [0, l] → M˜ n+k

due geodetiche normalizzate. Supponiamo che γ˜ non abbia punti coniugati in tutto l’inter-
vallo (0, l].

Siano J e J˜ due campi di Jacobi rispettivamente lungo γ e lungo γ˜ tali che

1. J(0) = J˜(0) = 0;

2. J˙(0), γ˙ (0) = J˜˙(0), γ˜˙ (0) ;

3. J˙(0) = J˜˙(0) .

Supponiamo ora che, per ogni t ∈ [0, l] e per ogni x ∈ Tγ(t)M e x˜ ∈ Tγ˜(t)M˜ , si abbia
che

Kγ(t) (x, γ˙ (t)) ≤ K˜γ˜(t) x˜, γ˜˙ (t) ,
dove K e K˜ indicano la curvatura sezionale rispettivamente in M e in M˜ . Allora

J ≥ J˜ .

Inoltre, se esiste t1 ∈ (0, l] per cui J(t1) = J˜(t1) , allora

Kγ(t) (J (t), γ˙ (t)) = K˜γ˜(t)(J˜(t), γ˜˙ (t))

per ogni t ∈ [0, t1].
Dimostrazione. Sfruttando la Proposizione 3.29 e il fatto che J(0) = J˜(0) = 0, abbiamo
che richiedere che J˙(0), γ˙ (0) = J˜˙(0), γ˜˙ (0) è equivalente a imporre la condizione che
J, γ˙ = J˜, γ˜˙ .

Si noti inoltre che
J, γ˙ γ˙ = J˙(0), γ˙ (0) tγ˙ = t J˙(0), γ˙ (0) γ˙ = t J˜˙(0), γ˜˙ γ˜˙ = J˜, γ˜˙ γ˜˙ .

Ciò significa che le componenti tangenziali di J e J˜ hanno la stessa norma. Per verificare
la disuguaglianza della tesi del teorema, possiamo dunque supporre che J e J˜ non abbiano
componente tangenziale, cioè che siano ortogonali (rispettivamente a γ e a γ˜).

Se J˙(0) = J˜˙(0) = 0, banalmente J = J˜ = 0, da cui la tesi. In caso contrario,
definiamo le funzioni regolari

v(t) = J(t) 2 = J(t), J(t) ,
v˜(t) = J˜(t) 2 = J˜(t), J˜(t) .

Basterà ora dimostrare che v(t) ≥ v˜(t) per ogni t ∈ [0, l].

44 CAPITOLO 3. GEODETICHE SU VARIETÀ DIFFERENZIABILI

Siccome J˜ non ha punti coniugati in (0, l], v˜(t) non si annulla mai in (0, l]. Il rapporto

v(t) è dunque ben definito in (0, l]. Applicando due volte la regola di de l’Hôpital si ottiene
v˜(t)

che v(t) v¨(t) J˙(0) 2

lim v˜(t) = lim v˜¨(t) = J˜˙(0) 2 = 1,

t→0 t→0

dove l’ultima uguaglianza segue dal punto 3. delle ipotesi del teorema.

Per dimostrare che v ≥ v˜ è dunque sufficiente (ma, si noti, non necessario) dimostrare

che, per ogni t ∈ (0, l], d v(t) ≥ 0, ovvero che
dt v˜(t)

v˙v˜ ≥ vv˜˙. (3.24)

Fissiamo t0 ∈ (0, l]. Se v(t0) = 0, allora J(t0) = 0 e dunque v˙ = 2 J˙(t0), J(t0) = 0.

(3.24) è banalmente verificata.
Se v(t0) = 0, invece, definiamo i “riscalamenti” di J e J˜ dati da

U (t) = J (t) J (t)
U˜ (t) = = ,

v(t0) J (t0)
J˜(t) J˜(t)
J˜(t0) .
=
v˜(t0)

e osserviamo che sia U sia U˜ rimangono campi di Jacobi. Perciò

v˙ (t0) 2 J˙(t0), J (t0) = 2 U˙ (t0), U (t0) d t0 d2
=
v(t0) v(t0) = U, U = dt2 U, U dt =
dt t0 0

t0 t0

=2 U˙ , U˙ + U, U¨ dt = 2 U˙ , U˙ − U, R (γ˙ , U ) γ˙ dt =

00

=2 It0 U, U

e, in modo analogo

v˜˙ (t0) = 2 It0 U˜, U˜ .
v˜(t0)

Poiché v(t0) = 0, dimostrare (3.24) in t0 equivale a dimostrare v˜˙ (t0) ≤ v˙ (t0) e, dunque, per
v˜(t0) v(t0)

quanto appena visto, It0 U˜, U˜ ≤ It0 U, U .
Siano allora B = { e1, . . . , en } e B˜ = { e˜1, . . . , e˜n+k } basi ortonormali e parallele

rispettivamente lungo γ e γ˜, tali che

e1(t) = γ˙ (t), e2(t0) = U (t0)

e, analogamente,

e˜1(t) = γ˜˙ (t), e˜2(t0) = U˜ (t0).

Si noti che ciò è reso possibile dal fatto che J e J˜ sono stati supposti ortogonali.

Sia Wγ lo spazio vettoriale dei campi vettoriali lungo γ e sia Wγ˜ l’analogo per γ˜. Sia
V ∈ Wγ. Esso si può scrivere in modo unico nella base B come V (t) = gi(t)ei(t). Definiamo

dunque una funzione

Φ : Wγ → Wγ˜
Φ giei = gie˜i,

Per ogni coppia di campi V = giei, W = hjej ∈ Wγ si ha che:


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