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Published by goroiamanuci, 2023-07-11 05:13:05

Lessicografia_e_filologia

Lessicografia_e_filologia

LA CRITICA DEL TESTO Problemi di metodo ed esperienze di lavoro. Trent’anni dopo, in vista del Settecentenario della morte di Dante Atti del Convegno internazionale di Roma 23-26 ottobre 2017 a cura di Enrico Malato e Andrea Mazzucchi SALERNO EDITRICE ROMA


Questo volume costituisce anche il n. 26 della serie « Pubblicazioni del “Centro Pio Rajna” », sez. i. Studi e Saggi ISBN 978-88-6973-372-7 Tutti i diritti riservati - All rights reserved Copyright © 2019 by Salerno Editrice S.r.l., Roma. Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, senza la preventiva autorizzazione scritta della Salerno Editrice S.r.l. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge.


369 Francesco Montuori LESSICOGRAFIA E FILOLOGIA* 1. Premessa Il titolo impone una breve premessa terminologica. Sul versante della lessicografia, farò riferimento a prodotti di forma e di funzione molto diverse: soprattutto parlerò di vocabolari storici e di glossari di testi, ma anche di repertori lessicografici in senso lato, come le banche-dati fondate su corpora, che sono prodotti differenti da quelli tradizionali per concezione, per elaborazione e per impiego.1 A proposito di filologia, faccio mio un assunto di Alberto Varvaro: « Probabilmente nessuno studioso serio identificherebbe senz’altro la filologia con la filologia testuale »;2 perciò non limiterò il discorso all’ecdotica ma utilizzerò il termine in senso generale, come scienza dell’interpretazione. I due termini sono asimmetrici, anche nella nomenclatura accademica, con le molte filologie e la (quasi) nessuna lessicografia. Gli oggetti di studio e i metodi di lavoro del lessicografo e del filologo si sovrappongono * Per le opere frequentemente citate si adottano le seguenti sigle: CLPIO = Concordanze della lingua poetica italiana delle origini, a cura di d’A.S. Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, vol. i 1992; DELI = M. Cortelazzo-P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 19992 ; ED = Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970- 1984, 6 voll.; GDLI = Grande dizionario della lingua italiana, fondato da S. Battaglia, Torino, Utet, 1961-2002, 21 voll.; LEI = Lessico etimologico italiano, fondato da M. Pfister, Wiesbaden, Reichert, 1979-; LEI-Germ = Lessico etimologico italiano. Germanismi, a cura di E. Morlicchio, ivi, id., 2000-; NTF = Nuovi testi fiorentini del Dugento, a cura di A. Castellani, Firenze, Sansoni, 1952, 2 voll.; OVI = Corpus OVI dell’Italiano antico (www.ovi.cnr.it); TB = N. Tommaseo-B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino, Utet, 1865-1879, 7 voll. (rist. Milano, Rizzoli, 1977); TLIO = Tesoro della lingua italiana delle origini, fondato da P.G. Beltrami, Consiglio Nazionale delle Ricerche e Opera del Vocabolario Italiano (tlio.ovi.cnr.it). 1. Cfr. i molti contributi in E-lexicography: the internet, digital initiatives and lexicography, ed. by P.A. Fuertes Olivera and H. Bergenholtz, London-New York, Continuum, 2011; cfr. inoltre J.-M. Pierrel-É. Buchi, Research and Resource Enhancement in French Lexicography: The ATILF Laboratory’s Computerised Resources, in Perspectives on Lexicography in Italy and Europe, ed. by S. Bruti, R. Cella, M. Foschi Albert, Cambridge, Cambridge Scholars Publ., 2009, pp. 79-117; M. Biffi, Accademia della Crusca’s Online Dictionaries, ivi, pp. 239-85. 2. A. Varvaro, Prima lezione di filologia, Roma-Bari, Laterza, 2012, p. 11. Cfr. ora G.B. Palumbo, Alberto Varvaro e l’ecdotica: per un glossario antologico, in « Ecdotica », xii 2015, pp. 115-55.


francesco montuori 370 solo parzialmente; quel che preme qui evidenziare non è tanto le specificità delle discipline, quanto il loro « organico ma non biunivoco intrecciarsi »:3 infatti, esemplificando nell’ambito della sola ecdotica, se « l’editore di testi, soprattutto antichi, è colui che fornisce ai lessicografi la base documentaria per i loro spogli e come tale si fa garante, per cosí dire, della qualità della materia prima impiegata »,4 d’altro lato la « filologia testuale, che mira all’edizione critica di testi antichi e moderni, nel caso di lezioni corrotte od incerte trae gran giovamento dalla piena ed esatta conoscenza delle parole, delle forme, delle costruzioni vigenti nell’età e nell’ambiente cui un dato testo appartiene ».5 Da un lato, la sensibilità dei filologi per la lessicografia è un dato riconosciuto, non solo nel lavoro quotidiano ma anche nella gestione dei grandi programmi di ricerca: basta ricordare il ruolo avuto da Giorgio Pasquali nel progetto di Vocabolario storico elaborato alla Crusca nel secondo dopoguerra.6 Ma è chiaro che il campo di lavoro del filologo non è solo il lessico. Per meri fini polemici e in modo del tutto strumentale, Ettore Romagnoli, in un suo antitedesco e antifilologico libello, accordava al critico del testo la sola dote di avere « un certo sentimento della fraseologia », che faceva coincidere con quel talento « che nei luoghi errati o lacunosi suggerisce la correzione o il complemento » e che i tedeschi « chiamano critica divinatoria ».7 Pur non negando l’utilità del sentimento 3. Uso l’espressione adoperata da Pier Vincenzo Mengaldo nel comparare storia della lingua e filologia testuale: P.V. Mengaldo, Filologia testuale e storia linguistica, in Studi e problemi di critica testuale: 1960-2010. Per i 150 anni della Commissione per i testi di lingua. Atti del Convegno di Bologna, 25-27 novembre 2010, a cura di E. Pasquini, Bologna, Commissione per i testi di lingua-Bononia Univ. Press, 2012, pp. 19-36, a p. 19. 4. V. Formentin, Filologia e lessicografia: due discipline in contatto, in La nascita del vocabolario. Atti del Convegno Per i quattrocento anni del ‘Vocabolario della Crusca’, Udine, 12-13 marzo 2013, a cura di A. Daniele e L. Nascimben, Padova, Esedra, 2014, pp. 193-209, a p. 194. 5. G. Nencioni, Relazione all’Accademia della Crusca sul ‘Vocabolario della lingua italiana’, in « Studi di filologia italiana », xiii 1955, pp. 395-420, a p. 397; qui, si noti, tra le discipline che si avvantaggerebbero della compilazione di un vocabolario storico integrale, la filologia testuale viene nominata dopo la storia della cultura e dei costumi, la lessicologia e l’onomasiologia, e subito prima della critica letteraria dell’analisi stilistica. 6. M. Barbi-G. Pasquali-G. Nencioni, Per un grande vocabolario storico della lingua italiana [1957], a cura di N. Maraschio e D. De Martino, Firenze, Le Lettere, 2012. 7. Cfr. E. Romagnoli, Minerva e lo scimmione, Bologna, Zanichelli, 1917, p. 42. L’atteggiamento tendenzioso di Romagnoli viene ribadito poche pagine dopo (p. 46), dove l’obiettivo polemico sono gli strumenti di precisione del filologo, tra cui sono annoverati, ancor prima di « grammatiche, repertorî, prontuarî, manualetti e manualoni, e indici di ogni specie, costruiti con meticolosità infinita », i « Dizionarî generali, [e i] dizionarî speciali ».


lessicografia e filologia 371 della fraseologia, Giorgio Pasquali respingeva con forza la derisione della filologia come semplice esercizio dell’emendamento lessicale e rispediva al mittente il tendenzioso riconoscimento che il Romagnoli dava al filologo del testo nel campo dell’interpretazione.8 D’altra parte, è difficile che il buon lessicografo sia insensibile alla filologia, soprattutto in Italia, dove con la Crusca è nata quella che è stata definita la lessicografia filologica.9 Persino un vocabolario etimologico come il LEI, pur mettendo da parte per motivi pratici le ragioni della filologia, tuttavia non le ha misconosciute e talvolta le ha discusse attraverso le prestigiose dichiarazioni del suo fondatore.10 Cosí in Italia la vita della filologia si intreccia in modo indissolubile con quello della lessicografia, dando vita ad episodi tanto cruciali quanto imprevedibili della nostra storia linguistica. Un’intensa e innovativa operosità filologica può sia favorire sia ostacolare la compilazione di grandi imprese lessicografiche: da una parte, se molte delle edizioni del Vocabolario della Crusca sono state precedute ora da « intensa attività editoriale », ora da un’« irripetibile stagione nella storia delle edizioni degli antichi testi »,11 è forse vero che anche per la stagione lessicografica che stiamo vivendo oggi, sulla quale la linguistica storica ha avuto un’influenza importante, sia stato fondamentale l’impulso dato dai NTF di Arrigo Castellani (1952). D’altra parte, però, si può azzardare l’ipotesi che la straordinaria stagione filologica dei primi trent’anni del Novecento, quella raccolta tra le due edizioni della Vita nuova curate da Barbi (1907-1932), abbia contribuito a bloccare la quinta impressione della Crusca, per la sopraggiunta difficoltà nel gestire materiali filologicamente disomogenei.12 In altri casi, invece, 8. Cfr. G. Pasquali, Filologia e Storia, Firenze, Le Monnier, 1920, p. 17. 9. P.G. Beltrami, Lessicografia e filologia in un dizionario storico dell’italiano antico, in Storia della lingua italiana e filologia. Atti del vii Convegno ASLI, Pisa-Firenze, 18-20 dicembre 2008, a cura di C. Ciociola, Firenze, Cesati, 2010, pp. 235-48, a p. 235. 10. Cfr. infra, par. 5.1. Al riguardo, riflessioni importanti si leggono in A. Varvaro, Storia della lingua e filologia (a proposito di lessicografia), in Storia della lingua e storia letteraria. Atti del i Convegno ASLI, Firenze, 29-30 maggio 1997, a cura di N. Maraschio e T. Poggi Salani, Firenze, Cesati, 1998, pp. 99-108, specialmente alle pp. 105 e 107. 11. Cfr. C. Ciociola, L’OVI e lo sviluppo delle discipline: la filologia, in Attorno a Dante, Petrarca, Boccaccio: la lingua italiana. I primi trent’anni dell’Istituto CNR Opera del Vocabolario Italiano 1985- 2015. Atti del Convegno internazionale di Firenze, 16-17 dicembre 2015, a cura di L. Leonardi e M. Maggiore, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2016, pp. 273-86, a p. 274. 12. È vero, però, che la Crusca del primo Novecento mostrò apprezzabili tentativi di adeguare i propri metodi ai rinnovati obiettivi lessicografici che si era posta: per il campo delle etimologie, cfr. D. Baglioni, Le etimologie della Quinta Crusca, in Il Vocabolario degli Acca-


francesco montuori 372 come si vedrà nelle pagine successive, è stata proprio la lessicografia a provocare l’esigenza e a stimolare la redazione di nuove edizioni attendibili (cfr. infra, par. 5.2). Una cosí intensa dialettica tra i due poli fa sí che il punto di vista lessicografico delle riflessioni e delle esperienze di lettura che seguono cercherà di evidenziare, in tutti i casi, le strette relazioni che lo studio del lessico ha con le dinamiche dell’attività filologica. In particolare, ci si augura di far emergere alcuni dei migliori contributi forniti dalla recente lessicografia italiana: aver superato la fase di primitiva digitalizzazione per cominciare ad adoperare corpora e rete come risorse cognitive; perseverare nello scrupolo di lavorare su testi filologicamente attendibili e aprirsi alla significatività storico-linguistica della varia lectio; non limitarsi all’ostensione dei materiali di lavoro ma operare formalizzazioni utili anche ai non specialisti; favorire la continuità della circolazione delle parole e delle idee e, quindi, della lettura dei libri. 2. Il lessico e la cultura dei compilatori Il filologo si avvale della lessicografia per rafforzare le sue competenze lessicologiche, per valutare l’uso che delle parole si fa in un testo e per comprenderne il significato, tappe fondamentali dell’ecdotica e di ogni tipo di esegesi. Soprattutto la conoscenza degli sviluppi interni alle strutture del lessico e all’uso delle parole in una comunità è strumento di valutazione e verifica delle dinamiche della storia del testo in molte tappe del lavoro di interpretazione: nella localizzazione dei manoscritti, per esempio, se capita anche al lessico di subire quei processi di adattamento che in genere interessano i fatti sublessicali o se dal lessico sono stimolate, in copisti e in lettori, riflessioni metalinguistiche realizzate attraverso le glosse; o, ancora, nell’individuazione e spiegazione degli errori di trascrizione, come insegnava Castellani in un celebre articolo del 1961;13 e, in modo speciale, nella critica delle varianti. Tra le molte acquisizioni che l’analisi lessicale fornisce all’interprete di un testo è di primaria importanza la vademici della Crusca (1612) e la storia della lessicografia italiana. Atti del x Convegno ASLI, Padova, 29-30 novembre - Venezia, 1o dicembre 2012, a cura di L. Tomasin, Firenze, Cesati, 2013, pp. 281-93. 13. Cfr. A. Castellani, Indagine sugli errori di trascrizione [1961], in Id., Saggi di linguistica e di filologia italiana e romanza (1946-1976), Roma, Salerno Editrice, 1980, 3 voll., iii pp. 208-14.


lessicografia e filologia 373 lutazione della cultura di autori, volgarizzatori e copisti, che travisavano piú facilmente quello che non capivano. Per esempio, nel codice It. 581 della Bibliothèque nationale de France è conservata un’antologia di 133 ottave del Teseida commentate da un anonimo salentino con declarationes di diversa ampiezza.14 La valutazione della cultura di questo commentatore è un processo complesso, che deve tener conto di indizi contrastanti: il voler scrivere di miti e di astrologia senza avere una preparazione specifica, la capacità di citare molte auctoritates, l’individuazione di modelli espositivi nei commenti alla Commedia, la disattenzione per la correttezza del testo da commentare, che gli è giunto molto rovinato. Per tutti questi motivi, e anche perché tende ad assecondare le sue conoscenze pregresse sforzandosi, al contempo, di avere una visione coerente dell’insieme, il commentatore salentino incorre spesso in errori di comprensione e compie diverse distorsioni interpretative. Il piú curioso malinteso è indotto dalla tradizione del testo che a viii 74 trasforma nomi letti nel Teseida, cioè Giapeto feroce e il padre Eaco, re dei Mirmidoni, rispettivamente in « già Pecto Ferocie » e « Bacho ». Cosí, il commentatore fa nascere un nuovo mito, raccontato con toni moraleggianti: « pare che questo Pecto Feroce fo multo subiecto di Baccho, et sempre amò et coltivò piú Bacho che Ceres: et questo generalmente è naturale ad quelli che se delectano et àmeno Bacho, che se curano poco di Ceres ». Annota l’editore: « Nel brano successivo l’anonimo si diffonde a motivare la crudeltà in battaglia di Petto Feroce con la sua eccessiva inclinazione al vino, cogliendo cosi l’occasione per sviluppare uno dei temi piú ricorrenti nel testo, insieme alla misoginia: la censura dell’ebbrezza ». Un secondo esempio, ancora quattrocentesco, riguarda Loise De Rosa, l’autore dei Ricordi, il cui stile oralizzante, molto suggestivo nella genuina popolarità della lingua e nella vivezza di una narrazione riportata di solito con il discorso diretto o con un fitto dialogato, fu soggetto alla brillante metafora crociana del fonografo: lo scopo dichiarato dell’immagine era quello di enfatizzare il brutale realismo della “voce” di Loise, che, affermava Croce, « poco o punto gioverà alla seria conoscenza storica » e porterà invece solo « vario diletto e curiose sensazioni ».15 Tale impressione 14. M. Maggiore, Scripto sopra Theseu Re. Il commento salentino al ‘Teseida’ di Boccaccio (Ugento/ Nardò, ante 1487), Berlin-Boston, De Gruyter, 2016; le citazioni sono dalle pp. 1069 e 34. 15. B. Croce, Sentendo parlare un vecchio napoletano del Quattrocento [1913], Roma-Bari, Laterza, 19797 , pp. 119-39, alle pp. 121-22.


francesco montuori 374 di “ascolto” si è combinata con il giudizio sulla cultura dell’autore, definita « assai mediocre » in base a indizi deducibili dal testo, soprattutto per la dominante ottica autobiografica della narrazione16 e per l’incerta tipologia cui appartiene l’opera. Ebbene, in un passo della prima sezione dei suoi Ricordi, Loise risponde alla domanda Quid est homo? : « Quy este omo? Memoria incarnata, fantasema del tenpo, guardatore de la vita, aio de fatica, remmieo trapassante furistiere, abbitatore de picczolo tienpo. [. . .] »; il passo riproduce i Detti di Secondo del Fiore de’ filosafi. 17 Subito dopo, affinché i contenuti siano compresi dal destinatario dei Ricordi, Loise procede alla desspossicione con grande sforzo metalinguistico, simile a quelli di un predicatore; tra gli altri, glossa anche la strana locuzione « Aio de fatica: che vole dire ‘aio de fatica’? Tu sý dell’aio mio, tu sý tienpo de fatica ». La forma aio è interpretata da De Rosa come l’equivalente del gallicismo toscano antico aggio ‘tempo, età’,18 ma è chiaro che una tale interpretazione è generata piuttosto dalla difettosa interpretazione del testo originario, che doveva avere la forma aîo de fatica, con aîo come forma abbreviata di animo; 19 l’inganno di Loise, dunque, è dovuto a errore non di ascolto ma di lettura e la circostanza che egli qui stia consultando una fonte scritta è un indizio di quanto sia stata determinante per lui la “conquista” dell’alfabetizzazione.20 16. « Si direbbe che tutta la sua cultura consiste di notizie apprese ascoltando e guardando » (ivi, p. 126); la sua narrazione, in altri termini, si fonda principalmente su racconti di tradizione popolare e su esperienze autobiografiche (L. De Rosa, Ricordi, a cura di V. Formentin, Roma, Salerno Editrice, 1998, 2 voll., i pp. 36-50). 17. Cfr. Fiori e vita di filosafi e d’altri savi e d’imperadori, a cura di A. D’Agostino, Firenze, La Nuova Italia, 1979, p. 216: « “Che è l’uomo?”. “È mente incarnata, fantasma del tempo, aguardatore de la vita, servente a la morte, romeo trapassante, oste forestiere di luogo, anima di fatica, abiturio di piccol tempo” ». I Detti di Secondo, cap. xxviii dei Fiori, sono il volgarizzamento tardoduecentesco toscano di alcuni capitoli dei Flores historiarum di Adamo di Clermont, a loro volta compendio dello Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais (ivi, p. 97; non interessa qui l’altra versione da Walter Burley, pur attestata in area italiana e di cui tratta A. D’Agostino, Una versione inedita dei ‘Detti di Secondo’ (contributi alla storia della tradizione), in « Acme », xxx 1977, pp. 185-212). Relativamente alla tradizione dei Detti non risultano particolari novità, per il passo che qui interessa, da A. D’Agostino, In margine ai ‘Fiori di filosafi’ e ai ‘Detti di Secondo’, in Filologia romanza e cultura medievale. Studi in onore di Elio Melli, a cura di A. Fassò, L. Formisano, M. Mancini, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1998, 2 voll., i pp. 263-77. 18. Cfr. De Rosa, Ricordi, cit., s.v. aio; cfr. TLIO, s.v. aggio2 . 19. A testo nell’edizione di D’Agostino (p. 216) c’è anima di fatica, ma in apparato sono segnalati quattro manoscritti che riportano la lezione animo. 20. « Una volta messi in evidenza gli aspetti della cultura di Loise che si possono ricondurre con verosimiglianza a una tradizione illetterata a forte oralità residua, non bisogna mai


lessicografia e filologia 375 In entrambi i casi si tratta di rimotivazioni che gli scriventi operano su significanti letti in testi composti in un volgare diverso dal loro; tale comportamento ha manifestazioni linguistiche ma ragioni culturali, proprie di una marginalità che forse ha origine nella perifericità geografica del commentatore salentino o nell’oralità che caratterizza il discorso narrativo di Loise, ma che, soprattutto, consiste nell’incapacità di perseguire con successo l’ambizione di mediare tra culture diverse attraverso tradizioni discorsive con cui ha una familiarità solo parziale.21 3. Dinamiche novecentesche: aggiornamenti lessicografici e mutamenti nell’uso delle parole Riflessioni di questo tipo possono essere fatte grazie all’ottima qualità delle edizioni e alle piú recenti acquisizioni della lessicografia. Rileggendo gli atti del citato convegno del 2010 sugli studi e i problemi della critica testuale, si osserva che lo sguardo degli studiosi appare spesso come preso da una vertigine: per descrivere le prospettive delle scienze del testo in relazione al percorso effettuato nei precedenti cinquant’anni, tutti osservano i progressi davvero incredibili occorsi nel campo della lessicografia. Una delle acquisizioni piú importanti è stata la conclusione nel 2002 (dopo quarant’anni) della pubblicazione del “Battaglia” (GDLI ), che, completo delle fonti e di un paio di volumi di aggiornamento, ha cambiato radicalmente il quadro della lessicografia storica dell’italiano.22 Certo, ci sono stati alcuni studi sui difetti del vocabolario, sulla incompletezza della documentazione dei primi volumi, sull’oscillazione nell’uso e nel perdere di vista il fatto che i Ricordi sono (com’è ovvio) un testo scritto » (De Rosa, Ricordi, cit., i p. 57); sul punto cfr. N. De Blasi, Storia linguistica di Napoli, Roma, Carocci, 2012, pp. 41-46 e 60-63; C. De Caprio, La scrittura cronachistica nel Regno: scriventi, testi e stili narrativi, in Le cronache volgari in Italia. Atti della vi settimana di studi medievali, Roma, 13-15 maggio 2015, a cura di G. Francesconi e M. Miglio, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2017, pp. 227-68, alle pp. 253-56. L’importanza della lettura è un aspetto dei Ricordi che l’edizione di Formentin e i progressi della lessicografia consentiranno di approfondire in altra sede. 21. Ci troviamo davanti a testi che mostrano « caratteristiche culturali e modalità espressive [. . .] molto inferiori [. . .] alle capacità di discorso comunemente espresse da autori e gruppi intellettuali anche di non grande spicco » (F. Bruni, Traduzione, tradizione e diffusione della cultura: contributo alla lingua dei semicolti, in « Quaderni storici », xiii 1978, n. 38 (Alfabetismo e cultura scritta), pp. 523-54, a p. 523. Per un esame di tale tipologia di scriventi cfr. in questo vol. il contributo di Chiara De Caprio. 22. C. Marazzini, L’ordine delle parole. Storia di vocabolari italiani, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 389-94.


francesco montuori 376 rinvio alle fonti, sulla incerta struttura delle voci, sulla dispersione delle informazioni raccolte al suo interno.23 Ma mi sembra che, nel complesso, queste osservazioni non abbiano sottratto prestigio al vocabolario della Utet e soprattutto non abbiano reso meno necessario l’uso di un repertorio la cui realizzazione per molti anni è stata auspicata e che ora moltissimi studiosi di lingua e letteratura adoperano quotidianamente. Il progetto – recentemente reso pubblico – di rendere consultabile il GDLI sul portale dell’Accademia della Crusca è un significativo progresso in relazione all’uso della risorsa lessicografica: il prestigio della sede di pubblicazione digitale è un requisito fondamentale per la condivisione del vocabolario come strumento critico ed esegetico. Certamente l’acquisizione digitale del GDLI potrebbe essere un’occasione per evitare l’ingessamento imposto dalla stampa al vocabolario e per trasformarlo in un repertorio aggiornabile e quindi dinamico. Come un lavoro da aggiornare doveva averlo concepito già Salvatore Battaglia. Credo che lo dimostrino, tra l’altro, le schedine di spoglio che sono rimaste custodite presso l’ex Facoltà di Lettere della « Federico II » e che testimoniano una gran quantità di schedature solo in parte giunte in casa editrice a Torino:24 ci sono residui di spogli su vecchie edizioni, per esempio in una scheda di Palazzeschi tratta da Riflessi (in Romanzi straordinari 1907- 1914, edita da Vallecchi nel 1943, p. 21), per la voce benedizione: « Venezia. È bella nella pioggia come nella luce dell’aurora o di un tramonto, e l’acqua che cade pare una benedizione di diamanti sulla regalità dei suoi marmi » (sigla 1-21). Invece la citazione (siglata ii-320) adoperata nel GDLI è stata ricavata da una raccolta piú recente: Opere giovanili di A. Palazzeschi, edita da Mondadori nel 1958, che dal romanzo Allegoria di novembre (nuovo titolo di Riflessi) a p. 320 riporta anche una variante redazionale: « dell’aurora o del tramonto ». Tale circostanza rende visibile l’aggiornamento della schedatura all’apparire della nuova edizione, che ha fatto diventare obsoleta la scheda rimasta a Napoli.25 23. Cfr. ad es. E. Picchiorri, Sulla genesi di un errore nel Battaglia, in « Studi linguistici italiani », xxxix 2013, pp. 134-36, con l’aggiornamento in Id., Problemi filologici nei dizionari storici italiani dal GDLI al TLIO, in Actes du xxviie Congrès international de linguistique et de philologie romanes, Nancy, 15-20 jullet 2013, Section 5. Lexicologie, phraséologie, lexicographie, Nancy, Atilf/ Slr, 2016, pp. 475-84, alle pp. 477-78. 24. Un repertorio critico di 1263 schede è stato elaborato da F. Davide, Il ‘Grande dizionario della lingua italiana’ di Salvatore Battaglia: le schede ritrovate e lo “scarto di lavorazione”, Tesi di laurea in Storia della lingua italiana, Università di Napoli « Federico II », a.a. 2017-2018. 25. È noto che sin dall’apparire del primo volume del GDLI uno dei punti problematici


lessicografia e filologia 377 Piú che aggiornamenti tardivi, sono scarti di lavorazione anche gran parte di quelli che sarebbero stati lemmi aggiuntivi se non fossero stati eliminati perché considerati eccessivamente arcaici o specifici di lessici settoriali: tra le settanta schede che riportano lemmi assenti nel GDLI ci sono le voci abella[re] di Giacomino Pugliese e bellire di Iacopone,26 o autocratismo di Croce27 e bistecco di Calvino.28 Altri documenti, invece, sono certamente aggiornamenti, documentazione di nuovi significati, prime attestazioni o indicazioni etimologiche;29 e ci sono, anche, integrazioni a voci già compilate, anch’esse rimaste nel cassetto di Battaglia: alla voce adeguato: ricordo di avere registrato la voce anche come sost. [prezzo medio di una merce; media dei prezzi per vari anni e mercati] con una citazione tecnica del Broccardo: l’adeguato (e adequato) del grano; aggiungere questa citazione di Beccaria [. . .]. Seguono tre attestazioni tratte da una Consulta del 1781: esse probabilmente poco aggiungono alla illustrazione di adeguato che Rezasco dà nel suo Dizionario, citando Francesco Pagnini (1745); tuttavia, il rimando a Beccafu identificato nelle edizioni adoperate: « Non si capisce perché per testi oggi facilmente accessibili in edizioni migliori le citazioni non siano riportate a queste edizioni, e perché gli spogli nuovi siano stati condotti su edizioni molteplici e di vario valore » (G. Folena, Libri ed articoli, in « Lingua nostra », xxii 1961, pp. 52-57, a p. 54). Osservazioni molto critiche sul repertorio degli autori citati sono state avanzate da A. Lupis, Rinunzia avanti a nodaro all’ ‘Indice degli autori citati’ del ‘Grande Dizionario della Lingua Italiana’, in « Zeitschrift für Romanische Philologie », cxvi 2000, pp. 512-45. 26. Le schede sono tratte rispettivamente dalla prima edizione della Crestomazia italiana dei primi secoli di E. Monaci (Città di Castello, Lapi, 1889), in Giacomino Pugliese, Mortte, perché m’ài fatta sí gran guerra, p. 93, v. 44, e dall’edizione delle Laudi di Iacopone a cura di F. Ageno (Firenze, Le Monnier, 1953), p. 103, num. 27 v. 42. Cfr. ora TLIO, s.vv. abbellare e bellire. La scheda di Iacopone è parzialmente dattiloscritta ed è preceduta da un altro appunto a mano: « Scheda di be da considerare per la definitiva revisione ». 27. In Etica e politica, aggiuntovi il contributo alla critica di me stesso, Bari, Laterza, 19453 , p. 313. L’esemplare usato da Battaglia è conservato nella Biblioteca di Area Umanistica della « Federico II ». Nel fascicolo dei citati del GDLI viene indicata, erroneamente, l’edizione del 1956. Ora la voce autocratismo è in GDLI. Supplemento 2009, a cura di E. Sanguineti, Torino, Utet, 2008, s.v., con un esempio tratto da Arcangelo Ghisleri (1855-1938). 28. Termine ligure per ‘colpo’ dato a una biglia, è attestato in Va’ cosí che vai bene (1947), nell’ed. dei Racconti del 1958 (Torino, Einaudi, p. 125). Cfr. G. Dossena, Enciclopedia dei giochi, Torino, Utet, 1999, 3 voll., i p. 331 (s.v. ciclotappo). 29. Per esempio, su una busta proveniente dall’Utet e timbrata 28.9.1969 c’è l’appunto per l’etimologia del sostantivo giornale, riportata poi, con minime varianti, nella voce stampata l’anno successivo.


francesco montuori 378 ria avrebbe reso meno incompleta la cronologia della documentazione della voce del GDLI. 30 La digitalizzazione del Battaglia avrà un rilievo molto piú significativo di questi aggiornamenti programmati da chi concepí l’opera e iniziò a realizzarla, soprattutto se si guarda a tale digitalizzazione nel contesto del progetto per un « Corpus di riferimento per un Nuovo Vocabolario dell’Italiano moderno e contemporaneo ». Attraverso queste attività la Crusca punta a un nuovo vocabolario che si prospetta come strumento di interrogazione telematica su corpus variabile di testi dal 1861 a oggi (di qui il nome di Vocabolario dinamico dell’italiano moderno: VoDIM ), di cui il GDLI sarà una delle tanti componenti utilizzabili.31 La digitalizzazione del Battaglia non sarà fatta, quindi, con l’obiettivo di accontentarsi della sola e, direi, concettualmente primitiva fase dell’archiviazione e consultabilità on line dei volumi; non sarà mirata cioè solo a dare una “rappresentazione” digitale dei volumi, per consentire una interrogazione aperta a tutti ma che forse non sarebbe tra le piú agevoli. Nel VoDIM la trasformazione dello strumento lessicografico sarà completa, come accade non tanto per i vocabolari in linea quanto, piuttosto, con le banche-dati, che consentono acquisizioni un tempo impensabili.32 Il rovesciamento della prima Crusca, che ha lasciato intravedere le varietà d’uso della lingua dei primi compilatori, e la versione digitale delle Crusche in rete, che ha trasformato le edizioni del vocabolario in una straordinaria banca-dati, sono precedenti illustri che lasciano ben sperare per la conversione cui sarà sottoposto il Grande dizionario della lingua italiana e per le informazioni che potremo ricavarne, processandone i dati attraverso gli elaboratori elettronici.33 Per esempio, chiunque legga una pubblicazione della metà del Novecento, che sia la cronaca di un giornale o una delle prime riviste di enig30. Cfr. G. Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo, Firenze, Le Monnier, 1881. 31. Sul VoDIM cfr. L’italiano elettronico. Vocabolari, corpora, archivi testuali e sonori, a cura di C. Marazzini e L. Maconi, Firenze, Accademia della Crusca, 2016. 32. Le rinnovate prospettive di ricerca aperte dal VoDIM per il lessico specialistico sono esposte da R. Gualdo, Un nuovo vocabolario dinamico dell’italiano. Il lessico specialistico e settoriale, in « Studi di lessicografia italiana », xxxv 2018, pp. 193-216. 33. Cfr. G. Nencioni, Il ‘rovesciamento’ del primo vocabolario della Crusca (1612), in « International Journal of Lexicography », xiv 2001, pp. 21-22; i risultati del progetto che, sotto la responsabilità di M. Fanfani e M. Biffi, ha portato le Crusche in rete sono visibili sul portale dell’Accademia (www.accademiadellacrusca.it).


lessicografia e filologia 379 mistica, un saggio storico o uno scritto politico, o, a maggior ragione, un romanzo anche celebre, sarà colpito da quei cambiamenti lessicali, intervenuti con il tempo, che non impediscono la comprensione ma si impongono alla percezione dei moderni come delle vere e proprie distorsioni nell’uso. Ricorrendo al dizionario storico il lettore potrà apprendere che solo di recente alcune parole del tutto prive di marcatezza hanno acquisito un valore degradato; o che quello che ci appare oggi come un tecnicismo medico era una volta una parola d’uso comune; o che molti prestiti, considerati oggi parte del lessico fondamentale, solo pochi anni fa vivevano in un limbo fatto di oscillazioni di grafia e di pronuncia e di tentativi di adattamento e traduzione che li relegavano a quel settore del nostro vocabolario in cui sono raccolti gli occasionalismi.34 Faccio tre esempi, tratti da Lessico famigliare (1963) di Natalia Ginzburg, romanzo in cui « l’abbassamento dei toni, la riduzione del repertorio [a un registro medio] e l’oltranza antiletteraria » sono autorevolemente considerati tratti caratterizzanti.35 Quando si legge che « un inverno, nel cesso, crebbero due o tre funghi », non si ha un incongruo inserimento di parola volgare nel registro familiare ma l’uso di un eufemismo che, con il tempo, si è usurato: perso il valore attenuativo e divenuto inutilizzabile nella conversazione media, il termine è stato rimpiazzato da altre parole meno connotate e oggi viene adoperato soprattutto per enfasi triviale.36 Quasi alla fine del romanzo si legge di una delle donne di servizio di casa Levi che ebbe « uno sbocco di sangue » e fu visitata dal fratello della scrittrice: « Alberto disse che però non gli sembrava un’emottisi, gli sembrava avesse un graffio in gola ». Emottísi, ‘perdita di sangue dalla bocca causata da lesioni polmonari’, è parola coniata con materiale classico, come molta terminologia della medicina; il tecnicismo nel primo Novecento era divenuto termine d’uso abbastanza frequente, piú o meno come 34. Cfr. T. De Mauro, È irresistibile l’ascesa degli anglicismi? [14.7.2016], leggibile su internazionale.it. 35. Cfr. E. Testa, Lo stile semplice. Discorso e romanzo, Torino, Einaudi, 1997, p. 297; a questo risultato contribuiscono anche alcuni tagli compiuti sul manoscritto: cfr. E. Carbè, Fino alla pura memoria. Appunti sull’elaborazione di ‘Lessico famigliare’, in « Autografo », xxv 2017, n. 58 pp. 123-37, alle pp. 125-26. Le tre citazioni dal romanzo sono tratte da N. Ginzburg, Lessico famigliare, Torino, Einaudi, 1963, risp. alle pp. 25, 186 e 31. 36. G. Lemma-M. Trifone, Parolacce ed eufemismi, in Enciclopedia dei ragazzi, Roma, Ist. della Enciclopedia Italiana, 2005-2006, 7 voll., vol. vi (http://www.treccani.it/enciclopedia/elenco-opere/Enciclopedia_dei_ragazzi/6).


francesco montuori 380 oggi è accaduto, per rimanere nello stesso ambito, ad emorragia. A confermarlo sono sufficienti le annotazioni di Migliorini e di De Mauro, secondo cui emottísi era parola che veniva spesso rimotivata, anche a livello colto, attraverso la cosiddetta etimologia popolare, per accostamento a tisi, prendendo cosí la forma emotísi. 37 Infine, a proposito del padre, l’autrice scrive: « Gli sci lui li chiamava “gli ski” »; e, di seguito, usa sempre ski e skiare, allo scopo di rappresentare la distanza tra la lingua della sua generazione e quelli dei coetanei del padre, per i quali fino alla fine degli anni Trenta gli usi possibili prevedevano diverse soluzioni grafiche e diverse pronunce della parola presa in prestito dal norvegese.38 Si noti, altresí, che talvolta gli stessi slittamenti di uso si manifestano nelle traduzioni, influenzandone la ricezione, dal momento che i lettori si aspettano sempre di trovare solo usi linguistici correnti. Di fronte a singolarità che interessano settori del lessico cui i parlanti sono particolarmente sensibili, le scelte traduttive possono essere percepite, con il tempo, come dei veri e propri errori da correggere. Ne Il buio oltre la siepe di Harper Lee vi è un uso consapevole dei nomi destinati a indicare le persone di colore, con Negro (pl. Negroes) usato come termine neutro e puramente descrittivo, e con nigger (pl. niggers) adoperato con intenti insultanti.39 Nella traduzione italiana del 1962 si sono fatte, a questo proposito, delle scelte equivoche. Per esempio: Il giorno prima, nel cortile della scuola, [Cecil] aveva dichiarato che il padre di Scout Finch difendeva i negri [« niggers »]. Io negai; poi lo dissi a Jem. “Che voleva dire?” chiesi. “Niente,” rispose Jem. “Chiedilo ad Atticus, te lo dirà lui.” “Tu difendi i neri [« niggers »], Atticus?” chiesi la sera stessa. “Certo,” rispose. “Ma non dire ‘neri’ [« nigger »], Scout, è villano.” “A scuola dicon tutti cosí.” “Da ora in poi lo diranno tutti meno uno.” “Allora, se non vuoi che impari a parlar cosí, perché mi mandi a scuola?” Mio padre mi guardò, bonario, con un’occhiata divertita. Nonostante il nostro primo accordo, la mia campagna antiscuola era continuata, in una forma o nell’altra, sin dalle mie prime esperienze [. . .]. 37. B. Migliorini, Lingua contemporanea, Firenze, Sansoni, 1938, p. 85; Grande dizionario italiano dell’uso, a cura di T. De Mauro, Torino, Utet, 20072 , 8 voll., s.v. 38. G. Cartago, ‘Sciare’ sui vocabolari, in « Acme », xlv 1995, pp. 201-6. 39. H. Lee, To Kill a Mockingbird, New York, Harper Collins, 1960; uso l’ed. London, Arrows Books, 1997.


lessicografia e filologia 381 Ora però non era la scuola che mi preoccupava. “Tutti gli avvocati difendono i ne. . . i negri [« n-Negroes »], Atticus?.” “Certo, Scout.” “Allora perché Cecil ha detto che tu difendi i negri [« niggers »] come se ti accusasse di fare il contrabbando di liquori?” Atticus sospirò. “Ho assunto la difesa di un negro [« a Negro »], tutto qui [. . .]”.40 La traduttrice, nella circostanza, ha compiuto scelte incoerenti, dal momento che non ha usato un sostituente per nigger e un altro per Negro. Inoltre oggi appare ambigua la battuta di Atticus: « Ma non dire ‘neri’, Scout, è villano ». La consuetudine (diffusasi in Italia tra gli anni Settanta e gli Ottanta del Novecento) di evitare il termine negro perché dispregiativo e di sostituirlo con nero o con perifrasi rende oggi la traduzione inaccettabile. Ma la scelta compiuta dalla traduttrice nel 1962 non è del tutto sorprendente, dal momento che solo in pochissimi negli anni Sessanta mostravano sensibilità e disponibilità a distinguere tra forme insultanti e termini non marcati:41 cosí, quando la traduttrice è stata costretta dal contesto oppositivo a fare una selezione lessicale diffenziante, ha preferito far prevalere il fatto che, paradigmaticamente, la parola nero ha in italiano una connotazione negativa;42 lo conferma Migliorini, negli stessi anni: « Nero. Ha preso negli ultimi decennii vari significati fig[urati] spreg[iativi] (che si ricollegano ai significati già accolti anteriormente) ».43 Oggi le cose sono cambiate:44 la nuova traduzione pubblicata nel 2017 40. H. Lee, Il buio oltre la siepe, trad. di A. D’Agostino Schanzer, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 114-15; il passo resta inalterato ancora nella ristampa della collana « Universale Economici », 200323, pp. 85-87. 41. La terminologia in uso oggi si trova già perfettamente applicata in studi degli anni Sessanta, come per es. B. Cartosio, Due scrittori afroamericani: Richard Wright e Ralph Ellison, in « Studi americani », xv 1969, pp. 395-431; G.P. Rawick, Lo schiavo americano dal tramonto all’alba. La formazione della comunità nera durante la schiavitú negli Stati Uniti, pref. [e trad.] di B. Cartosio, Milano, Feltrinelli, 1973. 42. In un articolo del 21 ottobre 1979 pubblicato sulla « Stampa » di Torino (poi in Parole in piazza, Milano, Longanesi, 1984, pp. 11-13), Tristano Bolelli elenca anche questo tra i motivi per cui vi è stata a lungo resistenza a usare nero al posto di negro; gli altri sono i seguenti: solo negro è produttivo in senso razziale; i cambiamenti della norma sono caratterizzati da una congenita lentezza; i comportamenti linguistici politicamente controllati suscitano un diffuso scetticismo; alcuni italiani regionali sono restii ad appiattirsi sul tipo dialettale “nero” e premono contro il cambiamento. 43. B. Migliorini, Parole nuove. Appendice di dodicimila voci al ‘Dizionario moderno’ di Alfredo Panzini, Milano, Hoepli, 1963, s.v. 44. Cfr. F. Faloppa, La “linea del colore”: appunti per la storia della parola “negro”, in « Quaderni della Sezione di Glottologia e Linguistica del Dipartimento di Studi Medievali e Moderni


francesco montuori 382 ha ripristinato la corrispondenza biunivoca dei traducenti di Negro e nigger secondo l’uso ampiamente condiviso (ma ancora discusso) di adoperare negro come termine marcato in senso dispregiativo e nero come parola neutra:45 cosí il dialogo tra Atticus e la figlia ha perso l’incoerenza e l’ambiguità proprie della precedente traduzione. 4. Glossari e testi medievali Grazie ai progetti realizzati e a quelli messi in cantiere, una sempre piú ampia porzione di lettori specializzati nello studio dei testi letterari della contemporaneità potrà trarre profitto dalla lessicografia storica dell’italiano, cosí come è auspicabile che faccia da quella etimologica.46 Per i testi del Medioevo, invece, le cose sono in parte diverse, dal momento che il condizionamento della competenza nella lingua d’uso è molto minore che per i testi moderni e contemporanei, mentre di gran lunga maggiore è la consapevolezza di dover ricorrere a supplementari strumenti di conoscenza. Al proposito è sufficiente citare il bel ricordo di Mengaldo che racconta di un Dante Isella che, intento a preparare l’edizione delle Antiquarie prospetiche romane, compulsava il REW di MeyerLübke per cercare sussidio alla lezione capreon ‘caprone’.47 [dell’Univ. di Chieti] », ix 1997, pp. 93-129; Id., Parole contro. La rappresentazione del “diverso” nella lingua italiana e nei dialetti, Milano, Garzanti, 2004, pp. 99-128; spunti utili anche in A. Belladelli, Voci (non) bianche nel doppiaggio televisivo italiano degli anni Ottanta, in Parlare di razza. La lingua del colore tra Italia e Stati Uniti, a cura di T. Petrovich Njegosh e A. Scacchi, Verona, Ombre corte, 2012, pp. 241-53; A. Scacchi, Negro, nero, di colore, o magari abbronzato: la razza in traduzione, ivi, pp. 254-83. Per l’incidenza dei manuali per giornalisti sul tema, cfr. M. Palermo, I manuali redazionali e la norma dell’italiano scritto contemporaneo, in « Studi linguistici italiani », xxi 1995, pp. 88-115, a p. 105. 45. H. Lee, Il buio oltre la siepe, trad. di V. Mantovani, Milano, Feltrinelli, 2017, pp. 99-101. 46. Alberto Varvaro deplorava che parte dei filologi frequentassero troppo poco alcuni tipi di lessici: « Per le difficoltà linguistiche che non sono affatto poche anche in testi dell’Ottocento (penso a Nievo o a Verga), il commentatore si fida della propria competenza di parlante colto, senza ricorrere ai vocabolari storici e men che meno ad opere piú complesse. In Francia ci sono voluti decenni perché i letterati imparassero ad usare il Französisches Etymologisches Wörterbuch, l’inventario di tutto il patrimonio lessicale (lingue e dialetti) della Francia, – in Italia non mi pare di avere ancora visto mai citato nei commenti il corrispondente, ancora incompleto, Lessico Etimologico Italiano. Senza pretendere tanto, quanti commentatori si sono accorti che un’opera diffusissima e di uso facile come il Dizionario Etimologico della Lingua Italiana di Cortelazzo e Zolli può risultare preziosa? » (Prima lezione di filologia, cit., p. 107). 47. Cfr. Mengaldo, Filologia testuale, cit., p. 20. L’ed. delle Antiquarie curata da D. Isella e G. Agosti è del 2004 (Parma, Fondazione Pietro Bembo-Guanda).


lessicografia e filologia 383 Si è già accennato alle acquisizioni compiute sul versante della lessicografia storica e di quella etimologica, àmbiti sui quali nelle pagine successive si faranno altre riflessioni. Si osservi ora, invece, un tipo speciale di ricerca lessicale, relativa ai termini tecnici, che adesso tendono a uscire dalla forma del glossario per assumere una configurazione storica piú completa in repertori che aspirano a diacronie piú ampie. Nel campo estremamente ricco dei lessici tecnici, infatti, la ricerca lessicografica si apre a lavori di diversa ampiezza che si esercitano sulla lingua di diversi campi del sapere: facendo tre esempi abbastanza casuali tra recenti prodotti di qualità, si ricordano le annotazioni sul lessico della divulgazione astronomica di Michele Ortore, quelle di Rosa Casapullo sulla vulcanologia scientifica ai suoi albori nel Settecento o quelle sulla geometria medievale di Francesco Feola collaterali all’edizione di un volgarizzamento di Fibonacci.48 Per alcuni settori tecnici e scientifici il cammino è già tracciato. Il progresso dei tempi si percepisce comparando lo splendido studio di Gualdo del 1996 sul lessico medico del De regimine pregnantium di Michele Savonarola con qualche articolo recente su argomento simile, e vedere quanta lessicografia dei corpora sia entrata nel discorso filologico.49 Nell’articolo di Gianluca Valenti intitolato Lessico anatomico in lingue romanze. Un’indagine su tre traduzioni trecentesche del ‘De proprietatibus rerum’ di Bartolomeo Anglico, incentrato sulla formazione del lessico della medicina, si enumerano le fonti lessicografiche per lo studio dei lessici specialistici in lingue romanze: « Di grande rilevanza sono i numerosi database e vocabolari scientifici attualmente disponibili o in corso di creazione, come LLS e DFSM per il francese, LeMMA, ReMediA e TLAVI per l’italiano e DiTMAO per l’occitano [. . .] ».50 È necessaria una grande specializzazione per dominare 48. Risp. cito M. Ortore, La lingua della divulgazione astronomica oggi, Pisa-Roma, Serra, 2014; R. Casapullo, Note sull’italiano della vulcanologia fra Seicento e Settecento, in Napoli e il gigante. Il Vesuvio tra immagine, scrittura e memoria, [Atti del Convegno di Napoli, 10 maggio 2013], a cura di R. Casapullo e L. Gianfrancesco, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2014, pp. 13-54; F. Feola, Gli esordi della geometria volgare. Un volgarizzamento trecentesco della ‘Practica Geometriae’ di Leonardo Pisano, Firenze, Accademia della Crusca, 2008. 49. R. Gualdo, Il lessico medico del ‘De regimine pregnantium’ di Michele Savonarola, Firenze, Accademia della Crusca, 1996. 50. Apparso nella « Revue de Linguistique Romane », lxxx 2016, pp. 457-504, a p. 457 n. 2; per lo scioglimento delle sigle cfr. pp. 496-97. Solo la prima sigla rinvia a un “libro”: Lexique de la langue scientifique (Astrologie, Mathématiques, Mèdecine). Matériaux pour le Dictionnaire du Moyen Français (DMF), éd. par D. Jacquart et C. Thomasset, Paris, Klincksieck, 1997; le al-


francesco montuori 384 un’offerta cosí variegata di strumenti di ricerca, per seguirne il corso di realizzazione, o anche solo per interrogarli adeguatamente;51 i risultati, però, sono garantiti, visto che dal trattamento digitale dei repertori glossografici di testi medici seguono immediate le ricadute filologiche: basta vedere alcuni recenti lavori che propongono una serie di emendamenti a voci di vocabolario o a lezioni di edizioni di ambito medico.52 Comparato alla lessicografia dei corpora, quello dei glossari sembra un tipo di compilazione meno promettente, ma in concreto è ancora molto praticato e, in generale, il glossario continua a essere una risorsa di complessa definizione e complicata da realizzare. Piú che in altri tipi di prodotti, è proprio nei glossari che si osserva una tensione tra le esigenze della filologia e quelle della lessicografia: perciò viene avvertito diffusamente il bisogno di combinare l’intenzione (filologica) di illustrare l’interpretazione delle parole di un testo con l’obiettivo (lessicografico) di far interagire questo “vocabolario” con tutti gli altri documenti sugli usi di una lingua.53 Negli ultimi anni sono apparse delle edizioni con glossari di eccezionale qualità. Esemplificando con l’area napoletana, mi limito a ricordare quelli di Vittorio Formentin, di Marcello Barbato, di Marcello Aprile e di Carolina Stromboli relativi a Loise De Rosa, alle traduzioni di Plinio e di Vegezio fatte da Giovanni Brancati e a una piccola porzione del lessico de tre fanno riferimento a prodotti lessicografici di diverso tipo e di ineguali livelli di completezza. 51. A questi strumenti fanno ricorso altri studiosi, come G. Zarra, Il ‘Thesaurus pauperum’ pisano. Edizione critica, commento linguistico e glossario, Berlin-Boston, De Gruyter, 2018, o come R. Piro, Sulle tracce del lessico della fisiognomica nelle cinque edizioni della Crusca, in Il Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) e la storia della lessicografia italiana, cit., pp. 409-23, dove, dopo l’edizione critica dell’Almansore apparsa nel 2011, si propone un breve specimen sulla sola fisiognomica, con la ricerca del lessico entrato nelle edizioni della Crusca dall’Almansore, dalla Santà del corpo di Zucchero Bencivenni (Rossella Baldini) e dallo Zibaldone Andreini; in una prospettiva piú ampia il progetto di ricerca è inquadrato in M. Giuliani-S. Lubello-R. Piro, Per lo studio dei lessici tecnico-scientifici medievali: le prospettive del ‘Lessico Medievale della Medicina e dell’Alimentazione’, in « Contributi di filologia dell’Italia mediana », xxviii 2014, pp. 5-40. 52. Cfr. ad es. E. Artale, Testi medici antichi e banche dati informatizzate. L’indicizzazione come risorsa ecdotica ed esegetica, in Dal manoscritto al web. Canali e modalità di trasmissione dell’italiano [. . .]. Atti del xii Congresso SILFI, Helsinki, 18-20 giugno 2012, a cura di E. Garavelli ed E. Suomela-Härmä, Firenze, Cesati, 2014, pp. 43-50. 53. Cfr. J.-P. Chambon, Lexicographie et philologie, réflexions sur les glossaires d’éditions de textes (français médiéval et préclassique, ancien occitan), in « Revue de Linguistique Romane », lxx 2006, pp. 123-41. Sulla differenza tra glossario e dizionario, identificata qui solo nella dimensione del corpus (p. 129), cfr. quanto osservato oltre, al par. 5.


lessicografia e filologia 385 lo Cunto de li cunti di Basile.54 Sono lavori compilati da studiosi per i quali la formazione di linguistica storica e, per gli ultimi tre, l’esperienza compiuta a vari livelli nell’officina del LEI ha costituito un momento fondamentale della formazione scientifica. Non sarà un caso, allora, che le voci di quei glossari, coniugando filologia e lessicografia, mirano a strutturare la semantica, a dare informazioni morfologiche e sintattiche, a inquadrare nella storia del lessico romanzo tutti i dati relativi alle occorrenze tratte dai rispettivi testi: finiscono, insomma, con l’essere delle vere e proprie voci di dizionario storico-etimologico. Questo ha complicato in modo straordinario il lavoro del glossografo: le operazioni e i controlli da fare per introdurre ogni voce in un quadro generale sono complesse e numerose, con un ovvio ritardo e un enorme aggravio di lavoro, dovuto alla consultazione degli strumenti disponibili e alle conseguenti valutazioni da fare. Naturalmente i progressi delle conoscenze sono innumerevoli, ma il contraltare di questa situazione è che se l’aspirazione di ogni editore dovesse essere di raggiunger sempre il massimo livello di completezza, la maggior parte degli studiosi rinuncerebbe a produrre un glossario. Bisogna infatti sempre saper scegliere il possibile, oltre al meglio. Anche qui mi limito a un paio di esempi. Lo stesso Marcello Barbato per il Rebellamentu siciliano ha elaborato un glossario di servizio, molto ben fatto, ovviamente, ma ha rinunciato in partenza a valutare in modo analitico il lessico di quella cronaca rispetto alle dinamiche siciliane e romanze, limitandosi a svolgere in altre sedi dei sondaggi specifici; e per le Cronache del Vespro, data anche la sede editoriale, ha prodotto, a supporto del lettore, un indice delle voci commentate.55 A sua volta, nell’ambito di un ampio spoglio della lingua di un testo ipertrofico come i Diarii di Marin Sanudo, Francesco Crifò offre due prodotti glossografici molto diversi: un repertorio di voci “ragguardevoli” selezionate su un excerptum della parte piú anti54. Cfr. De Rosa, Ricordi, cit.; M. Barbato, Il libro viii del Plinio napoletano di Giovanni Brancati, Napoli, Liguori, 2001; M. Aprile, Giovanni Brancati traduttore di Vegezio. Edizione e spoglio lessicale del ms. Vat. Ross. 531, Galatina, Congedo, 2001; C. Stromboli, Il lessico de ‘Lo cunto de li cunti’ di Giovan Battista Basile: saggio di glossario, in « Studi linguistici italiani », xxxv 2009, pp. 28-87; e cfr. ora S. Rovere, L’ ‘Esopo’ napoletano di Francesco Del Tuppo, Pisa, Ets, 2017. 55. M. Barbato, Plinio il Vecchio volgarizzato da Landino e da Brancati, in Le parole della scienza. Scritture tecniche e scientifiche in volgare (secoli XIII-XV). Atti del Convegno di Lecce, 16-18 aprile 1999, a cura di R. Gualdo, Galatina, Congedo, 2001, pp. 187-227; Lu Rebellamentu di Sichilia, a cura di M. Barbato, Palermo, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 2010; Cronache volgari del Vespro, a cura di M.B., Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2012.


francesco montuori 386 ca dell’opera e un completo regesto commentato delle parole dell’artiglieria.56 Le soluzioni dei due studiosi, inappuntabili dal punto di vista filologico, sono ricche di informazioni di interesse lessicografico e storico-linguistico: grazie alla vividezza con cui sono analizzate le parole usate nel testo, esse sono esempi di quell’auspicabile tipo di studi che costituiscono il requisito preliminare per realizzare lavori su domini piú ampi. 5. TLIO e OVI Per arrivare ad acquisizioni di tale qualità, e alle sistematiche ripercussioni sulle nostre conoscenze lessicali e quindi sull’edizione dei testi e sulla loro corretta lettura, è stato necessario attendere un’altra innovazione nella lessicografia storica italiana, un luogo che funzionasse da collettore e ordinatore delle nuove conoscenze e, prima ancora, che si proponesse come generatore di una nuova concezione del lavoro lessicografico: si è dovuto aspettare che nascesse il TLIO. È bene precisare subito che quando si parla di TLIO si fa riferimento a due risorse completamente diverse: il vocabolario delle origini, propriamente il TLIO, Tesoro della lingua italiana delle origini, e la banca dati che funziona come corpus testuale di base su cui lavorano i redattori delle voci, e che, per convenzione e per brevità, chiamo qui OVI, Opera del Vocabolario Italiano.57 Entrambi gli strumenti sono consultabili in rete. Il TLIO è il glossario di un corpus formato da tutti i testi antichi fino al terzo quarto del Trecento e vuole documentare gli usi di tutte le varietà italo-romanze antiche e questo lo differenzia in modo sostanziale dai glossari dei testi, orientati a fornire un’interpretazione dei singoli contesti. La differenza, fa notare acutamente Beltrami, è chiarissima per esempio nel rapporto tra entrata e forme o nella definizione: il lemma nei glossari è una “ricostruzione”, nel TLIO è una etichetta che « definisce un’entità virtuale, non un dato »; la definizione nei glossari è una parafrasi sinonimica, nel TLIO è una riformulazione perifrastica.58 56. F. Crifò, I ‘Diarii’ di Marin Sanudo (1496-1533). Sondaggi filologici e linguistici, Berlin-Boston, De Gruyter, 2016. 57. Cfr. http://www.ovi.cnr.it. Il TLIO nel 2018 ha festeggiato il traguardo delle 40.000 voci completate. Come si legge nella Guida ai contenuti, nel gennaio del 2019 l’OVI « contiene 2446 testi per complessive 23.874.376 occorrenze di 479.915 forme grafiche distinte ». 58. Beltrami, Lessicografia e filologia, cit., pp. 239-40.


lessicografia e filologia 387 5.1. Il ‘TLIO’, i testimoni e le edizioni È difficile sopravvalutare l’impatto che il TLIO ha avuto sulle conoscenze storiche e linguistiche del nostro lessico e dei nostri testi nonché sul modo di operare di storici della lingua e filologi italiani e romanzi. Il TLIO è un vocabolario, consultabile in rete e continuamente aggiornato, del lessico della tradizione italiana delle origini. Diverse recenti pubblicazioni hanno fornito molte notizie sulla storia del TLIO, sulle sue difficili premesse nella vita dell’Accademia della Crusca e poi del CNR tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, e sull’eccezionale e decisivo impulso fornito dalla direzione di Pietro Beltrami. Nella preistoria del TLIO, tra le tappe piú significative del progetto di vocabolario storico, spicca la scelta di intendere per italiano antico non il solo fiorentino ma l’insieme delle varietà romanze usate in Italia. In un documento recentemente messo in circolazione si legge il momento in cui Nencioni e Fiorelli, durante la loro direzione provvisoria (1972-1974), decisero di concentrare tutte le energie sul Tesoro delle Origini e non piú solo sul Vocabolario storico. In un verbale della riunione del 1973 c’è l’elenco delle ragioni: 1 o Il Tesoro non va inteso, finalmente, come una prima parte del Vocabolario storico della lingua, ma come strumento a sé. A Tesoro compiuto, si potrà riprendere da questo quel tanto che serva alle voci del Vocabolario. [. . .] 2 o Le due opere si distinguono anche perché hanno caratteri lessicografici diversi: il Tesoro prevede infatti una integralità di spogli che il Vocabolario non contempla, ed ha un plurilinguismo che l’altro non avrà; si tratta pertanto di due opere parallele che si completano a vicenda. 3 o Con le caratteristiche geografiche sopra delineate, si riafferma unanimemente che il confine del Tesoro resta fissato al 1375, come già previsto, in modo da non compromettere la visione, per quanto possibile completa, del plurilinguismo dei primi secoli. Si sottolinea infatti da piú parti che un Tesoro limitato al 1321 taglierebbe fuori tutta la produzione dialettale centro-meridionale e creerebbe una forte disparità. 4 o Si riafferma inoltre la necessità che l’Accademia concentri, d’ora in avanti, tutte le sue forze alla redazione del Tesoro nei termini e nell’ampiezza qui sopra descritti.59 59. Sul documento ha richiamato l’attenzione Giulio Vaccaro, tirandolo fuori dall’Archivio dell’OVI e rendendolo pubblico: G.V., Veniamo da molto lontano e andiamo molto lontano. Documenti per la storia dell’Opera del Vocabolario Italiano dalle origini al 1992, in « Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano », xviii 2013, pp. 277-390, a p. 353; alcune prime riflessioni, contestualmente, sono apparse in Id., ‘Ab OVI’. Materiali per una storia dell’Opera del Vocabolario Italiano, in « Diverse voci fanno dolci note ». L’Opera del Vocabolario Italiano per Pietro G. Beltrami, a


francesco montuori 388 Il punto n. 2 è quello cruciale: innanzitutto viene rivendicata l’« integralità di spogli » su cui si fonderà il Tesoro, con una disamina inedita di tutto il materiale lessicale raccolto e censito nei testi antichi;60 poi si afferma che un Tesoro può documentare agevolmente il plurilinguismo, al contrario di un Vocabolario storico che, per l’inerzia della storia, restituirà un quadro meno multiforme e policromo del lessico italiano. E invece, uno dei piú significativi risultati che la recente lessicografia ha consolidato, in seguito allo studio di un gran numero di testi filologicamente attendibili, è stato proprio l’aver ricavato un’immagine complessa e meno fiorentinocentrica della storia linguistica italiana.61 Il punto n. 2 è cruciale anche per un’altra ragione. Questa stessa immagine di plurilingue policentrismo, restituita da un’opera di impianto “nazionale” come il TLIO, non potrebbe essere desunta da un analogo studio sui volgari municipali, nemmeno per diacronie molto piú grandi. I vocabolari storici e storico-etimologici dei dialetti d’Italia, infatti, descrivono le lingue locali in modo che ne emerga l’ibridismo dovuto alle stratificazioni lessicali: esso appare sia in vocabolari circoscritti a particolari sincronie, sia negli studi su lunghissime e ininterrotte diacronie.62 Ma, anche se cura di P. Larson, P. Squillacioti, G. Vaccaro, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2013, pp. 3-14. 60. Sul trattamento di alcune parole funzionali, cfr. P.G. Beltrami, The Lexicography of Early Italian: its Evolution and Recent Advances, in Perspectives on Lexicography in Italy and Europe, cit., pp. 27-53, a p. 50 e n. 47. 61. L’opera che, portando a compimento la forma antologica dei Testi non fiorentini di Migliorini e Folena, ha sistematizzato la visione policentrica della storia della lingua italiana è L’italiano nelle regioni, a cura di F. Bruni, Torino, Utet, 1992-1994, 2 voll. (con un’importante e rinnovata introduzione nella ristampa Milano, Garzanti, 1996). Si riportano, al proposito, anche le parole di Paolo Trovato in un paragrafo (La filologia per la storia linguistica) del resoconto del suo intervento al primo convegno dell’ASLI: « È appena il caso di notare che, al solito, le messe a punto sinergiche della filologia e della storia linguistica restituiscono un’immagine piú precisa e complessa, meno fiorentinocentrica, dei rapporti di dare e avere tra il centro della nostra tradizione linguistica e le nostre meno prestigiose, ma ricchissime, periferie: da Napoli, prima angioina e poi aragonese, alla Ferrara degli estensi, a lungo tenacemente abbarbicata alla produzione in lingua d’oïl, a Venezia, porta d’Oriente e grande emporio di libri in tutte le lingue » (Storia della lingua e filologia: i testi letterari, in Storia della lingua e storia letteraria, cit., pp. 73-98, a p. 80). 62. Cfr., per es., M. Cortelazzo, Dizionario veneziano della lingua e della cultura popolare del XVI secolo, Limena, La linea, 2007; I. Paccagnella, Vocabolario del pavano. XIV-XVII secolo, Padova, Esedra, 2012; A. Varvaro, Vocabolario storico ed etimologico del siciliano, Palermo-Strasbourg, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani-Eliphi, 2014, 2 voll.; REP. Repertorio etimologico piemontese, dir. A. Cornagliotti, Torino, Centro di Studi Piemontesi, 2015.


lessicografia e filologia 389 impostati su scala regionale, tali dizionari non riescono a restituire un quadro degli usi linguistici altrettanto vivace di quello disegnato dal TLIO a proposito dell’italiano antico.63 Il plurilinguismo congenito della storia d’Italia si vede con particolare chiarezza nello spoglio e nel trattamento che il TLIO fa delle glosse, cioè del risultato di un’antica procedura di riformulazione di uso comune nella lessicografia e nei commenti ai testi. Le glosse e gli antichi glossari sono una risorsa imprescindibile di conoscenze linguistiche: per dirla con Paolo Trovato, quelli studiati da Baldelli sono la versione mediana dei testi pratici toscani o veneziani, per quanto riguarda le informazioni linguistiche che si possono trarre dalla loro edizione e interpretazione filologicamente fondate.64 La rilevanza della glossa come risorsa di analisi del testo a piú livelli, del resto, è cosa ben nota ed è egregiamente utilizzata dal TLIO, che marca in modo specifico le occorrenze che si presentano come glosse, consentendo la ricerca lessicale all’interno di questo solo campo. In tal modo si favoriscono anche ricerche onomasiologiche:65 per es., partendo dal carpone dantesco (Inf., xxv 141 e xxix 68) si arriva agevolmente a recuperare sinonimi (bocconi, branciconi, brancoloni, branconi) e quindi a perifrasi (cholle mani per terra).66 63. Sull’italiano antico, si veda L. Tomasin, Che cos’è l’italiano antico?, consultabile on line su https://unil.academia.edu/LorenzoTomasin (versione ampliata di Qu’est-ce que l’italien ancien?, in « La lingua italiana », ix 2013, pp. 9-18). 64. Cfr. Trovato, Storia della lingua e filologia, cit., p. 79; per i glossari cfr. A. Aresti, L’edizione di glossari latino-volgari prima e dopo Baldelli. Una rassegna degli studi e alcuni glossarietti inediti, in « Studi di lessicografia italiana », xxxiv 2017, pp. 35-81. 65. Naturalmente, reti onomasiologiche possono essere costruite piú rapidamente facendo ricerche nelle definizioni: cfr. M. Pifster-M. Giuliani, Una collaborazione recente: il ‘Lessico Etimologico Italiano’, in Attorno a Dante, cit., pp. 72-84, a p. 76. 66. La perifrasi è nelle Chiose del falso Boccaccio. Sotto la voce branconi sono registrate tre occorrenze: la chiosa dell’Ottimo a Purg., iv 50, che però ora non appare nell’edizione curata da Massimiliano Corrado (cfr. infra, n. 88), e anche le forme branzone e branzuni del Lana; ma le glosse del Lana impongono una revisione secondo quanto si legge ora nell’ed. di Volpi, risp. dal Riccardiano Braidense AG XII 2 e dal Trivulziano 2263 (Iacomo della Lana, Commento alla ‘Commedia’, a cura di M. Volpi, con la collab. di A. Terzi, Roma, Salerno Editrice, 2009, 4 voll.): Inf., xxv 139, « corra corponi, çoè in brançoni » e « corra carponi, cioè in bracciconi » (pp. 724-25); Inf., xxix 68, « carpone. Çoè a brançone, çoè in quatro » e « carpone. Cioè brancone, overo in quatro » (pp. 818-19); Purg., iv 50, « carpendo. Çoè andando in quatro over brançoni » e « carpendo. Cioè andando in quattro overo branconi » (pp. 1014-15); per una corretta rilemmatizzazione, si tenga conto che brancone, -i è da branca ‘zampa; *ramo’, mentre brançone, -i e bracciconi sono da *brancia ‘fronda’ (risp. LEI, vii 117-63 e 168-75). Per un’analisi morfologica in sincronia e diacronia delle forme in -oni cfr. L. Corona, Il suffisso italia-


francesco montuori 390 Altra caratteristica del TLIO è quella di essere un vocabolario fondato su un corpus di testi editi. Anche questa scelta, piú volte discussa e alla fine ribadita, ha una ragione fondamentalmente pratica, cioè tende alla realizzabilità di ciò che è possibile e non alla desiderabilità di ciò che è auspicabile. L’esistenza di una commissione filologica, guidata per molti anni da Domenico De Robertis, ha garantito la scientificità delle scelte, cioè l’attendibilità dei risultati, e ha imposto che, come detto piú volte in molte occasioni, il redattore del TLIO, cioè il compilatore di voci di un vocabolario, fosse anche un filologo: « Piú ancora che di edizioni fatte apposta per la lessicografia, comunque piú che opportune, ma che non potranno certo, ancora per lunghissimo tempo, coprire tutto il dominio della lingua dei primi secoli, il lessicografo dell’italiano antico, che non può fare a meno di essere anche filologo, ha soprattutto bisogno di sapersi districare fra le edizioni, mettendo a frutto criticamente ciò che ognuna gli offre ».67 Questa caratteristica del TLIO come vocabolario delle edizioni e non dei manoscritti ha provocato effetti non secondari. Come noto, trattandosi di un vocabolario fondato su un corpus, il TLIO presenta un regesto completo delle forme che sono rappresentate dal lemma. Si tratta di un no in -oni, in « Archivio glottologico italiano », xcvii 2012, pp. 34-77. Il carpendo che rinvia nella glossa al dantesco carpando (‘andando carponi’) è considerato documento della polimorfia degli esiti di carpere, con forme in -are e in -ire: cfr. LEI, xii 329-49; TLIO, s.v. carpare, 2, e carpire, 3. Si notino, però, tre circostanze: « le citazioni del testo dantesco contenute all’interno della glossa » sono le « zone linguisticamente piú ambigue dell’intero Commento »; gli antichi volgari settentrionali tendono a estendere -ando al posto di -endo; il ms. Riccardiano Braidense non asseconda questa estensione, riportando un buon numero di forme in -endo, e nei « rimandi e nelle citazioni dirette [. . .] non compaiono mai le forme settentrionali » in -ando di verbi in -ere o -ire (le citazioni sono da M. Volpi, « Per manifestare polida parladura ». La lingua del commento lanèo alla ‘Commedia’ nel ms. Riccardiano-Braidense, Roma, Salerno Editrice, 2010, pp. 174 e 252). 67. Cfr. P. Beltrami, Il mito dell’edizione per i lessicografi e il ‘Tesoro della Lingua Italiana delle Origini’, in Lexicon, Varietät, Philologie. Romanistiche Studien zum 65. Geburstag von Günter Holtus, hrsg. von A. Overbeck, W. Schweickard, H. Völker, Berlin-Boston, De Gruyter, 2011, pp. 341-49, a p. 347. Cfr. anche Picchiorri, Problemi filologici, cit., p. 479: « Ma è soprattutto l’impostazione di fondo a essere mutata rispetto alle opere lessicografiche precedenti, innanzi tutto perché lo stesso processo di redazione delle voci si configura come un continuo lavoro ecdotico ». Sull’ufficio filologico cfr. E. Artale-P. Larson, Il punto sui corpora dell’Opera del Vocabolario Italiano, in Dizionari e ricerca filologica. Atti della Giornata di studi in memoria di Valentina Pollidori, Firenze, 26 ottobre 2010, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2012, pp. 25-40. Il lavoro dell’ufficio filologico è ora visibile nella “bibliografia dei citati”: quando si apre la scheda bibliografica, un link rinvia a una tabella riassuntiva dei cambiamenti introdotti dall’ufficio filologico.


lessicografia e filologia 391 servizio di straordinaria importanza, su cui in seguito torneremo: qui si intende solo sottolineare che le forme non sono le lezioni dei manoscritti ma quelle delle edizioni. Questo è un punto fondamentale, che non va mai dimenticato, altrimenti si rischia di chiedere al TLIO piú di quello che esso promette. Un immediato effetto è che, innanzitutto, davanti al testo delle edizioni, il lessicografo talvolta può reagire manifestando insoddisfazione. In un convegno di qualche anno fa Max Pfister annotò con rammarico che nel LEI tra le forme documentate sotto la voce basilisco non si trovasse il badalischo attestato dal Vat. lat. 3793 in una canzone di Stefano Protonotaro (Assai mi placeria) e ben visibile nelle CLPIO di Avalle. Il motivo è presto detto: il redattore del LEI fa riferimento al TLIO e, in subordine, all’OVI; gli editori che sono nel corpus non hanno conservato a testo quella specifica forma di quel manoscritto, ma sono intervenuti modificandola o, eventualmente, commentandola nella nota al testo. Davanti a tale stato di cose, Pfister, con il suo prestigio, sollecitava gli editori affinché fornissero una documentazione quanto piú completa è possibile: « Ormai è chiaro come conti anche il peso della variante e della sua esatta grafia ».68 In secondo luogo, il lessicografo si colloca in posizione di difesa; è giusto salvaguardare l’utilizzabilità lessicale delle forme ricostruite: « Se il ragionamento dell’editore è valido, una forma ricostruita non è meno reale di una attestata dai mss., e si deve citare, purché con la dovuta annotazione, almeno quando si tratta di un’attestazione unica o rara, o che fa emergere un significato diverso da quelli individuati nella lista delle attestazioni che i redattori spogliano in linea di principio integralmente ». 69 Ma la cautela è d’obbligo: « Quando una forma congetturata è citata da 68. Cfr. Pfister, Lessicologia e filologia, cit., p. 260. Pfister in coda rinviava ai lavori di R. Coluccia, di cui cfr. in ultimo Ancora su grafia dei testi e grafia delle edizioni, in Atti del xxviii Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza, Roma, 18-23 luglio 2016, a cura di R. Antonelli, M. Glessgen, P. Videsott, Strasbourg, Eliphi, 2018, 2 voll., ii pp. 1111-19: « Le oscillazioni dovute a scelte editoriali, non analizzate nella loro natura reale, arrivano a trasferirsi nella lessicografia dell’italiano contemporaneo: i vocabolari presentano come caratteristiche di fasi precedenti della storia della lingua e attribuibili agli autori fenomeni che sono anche di natura ecdotica, dipendenti in parte dalle scelte degli editori » (p. 1116). Del resto l’opportunità e i limiti dell’ammodernamento grafico nelle edizioni di testi antichi è un problema innanzitutto filologico: cfr. R. Antonelli-N. Tonelli-M. Zaccarello, Foro. L’edizione perfetta tra studio e lettura (Bologna, 15 maggio 2015), in « Ecdotica », xii 2015, pp. 83-113, alle pp. 95-99 (Grafie. Come fare con le grafie del Medioevo, del Rinascimento e quelle moderne? ). 69. Beltrami, Il mito dell’edizione per i lessicografi, cit., p. 345.


francesco montuori 392 una edizione che voglia essere critica è indispensabile che si indichi la parte ricostruita del lemma ».70 Soluzioni diverse da queste sono, al momento, impraticabili. Infatti, parlare di una lessicografia delle edizioni contrapposta a quella dei manoscritti apre questioni non completamente risolte, innanzitutto dal punto di vista grafico. Assicurare la conservazione estrema dei tratti grafici e paragrafematici dei manoscritti può essere un desiderio del lessicografo ma quasi mai è un’ambizione dell’editore. Un libro come Scripta manent di Pino Coluccia è stato fondamentale nell’evidenziare alcune delle tradizioni scrittorie, ma ha avuto un impatto minore nella pratica filologica. Se è vero che le scripte sono composite per variazione (per l’intrinseca eterogeneità dei sistemi linguistici), per tradizione (a causa dell’incrocio di correnti linguistiche diverse) e per trasmissione (per la stratificazione di sistemi grafico-linguistici diversi nella tradizione dei testi), allora avere la possibilità di studiare le configurazioni e le evoluzioni dei sistemi grafici delle scritture medievali e moderne potrebbe essere una risorsa non indifferente per i filologi.71 Invece la situazione italiana è molto lontana da quella di altre aree romanze e gli effetti si sono avvertiti in lessicografia e anche nella linguistica storica: è sufficiente comparare il peso che, ne Lo spazio letterario del Medioevo volgare, la scripta ha nel profilo dell’area galloromanza tracciato da Max Pfister e in quello dell’area linguistica italiana scritto da Vittorio Formentin; si percepiscono chiaramente l’incomparabilità della situazione italiana e di quella francese, il differente materiale utilizzabile e la diversa tradizione di studi alle spalle dei due autori.72 La stessa ricerca scientifica sulle scripte, cioè la scriptologia, in Italia non ha a disposizione una sufficiente mole di documenti attendibili su cui lavorare: ed è un peccato, dato il grande contributo che una disciplina come questa può dare a diverse domande di tipo filologico, come, per esempio, alla localizzazione dei manoscritti. L’unica area in cui è stato possibile fare una valutazione della 70. M. Pfister, Lessicologia e filologia nella redazione del ‘LEI’, in Storia della lingua italiana e filologia, cit., pp. 249-60, a p. 260. 71. Cfr. A. Varvaro, Per lo studio dei dialetti medievali, in Storia della lingua italiana e dialettologia. Atti dell’viii Convegno ASLI, Palermo, 29-31 ottobre 2009, a cura di G. Ruffino e M. D’Agostino, Palermo, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 2010, pp. 161-71. 72. M. Pfister, L’area galloromanza, in Lo spazio letterario del Medioevo. 2. Il Medioevo volgare, a cura di P. Boitani, M. Mancini, A. Varvaro, ii. La circolazione del testo, Roma, Salerno Editrice, 2002, pp. 13-96; V. Formentin, L’area italiana, ivi, pp. 97-147.


lessicografia e filologia 393 scripta medievale è stata quella toscana, grazie alla co-occorrenza di piú componenti: la gran mole di testi pratici e documentari disponibile; l’accuratezza delle edizioni e l’acume delle analisi linguistiche di Castellani e dei suoi allievi. Sui tentativi fatti di recente con altri metodi e per altre aree, valga il giudizio esposto da Marcello Barbato: Alla scriptologia va chiesto [. . .] un rapporto piú diretto e trasparente con il documento [. . .]. Si badi bene: insistere sulla filologia non significa appigliarsi nostalgicamente a una tradizione gloriosa (e un po’ polverosa), ma richiamarsi alla forma della scientificità specifica del nostro campo di studi, l’unica che dà garanzie sulle procedure di elaborazione dei dati e sulla loro visibilità.73 Lessicografia e linguistica storica, insomma, temono che le edizioni possano sottrarre agli studi materiali linguisticamente attendibili e auspicano, per alcuni aspetti, un approccio alle fonti nel quale la mediazione del filologo sia minima. Tuttavia l’obiettivo di passare da un vocabolario delle edizioni a un vocabolario delle forme dei manoscritti potrebbe sembrare un facile auspicio, ma non può essere un obiettivo del lavoro del lessicografo, neanche di quello del TLIO: « questo tipo di revisione [di opere edite male su manoscritto unico] non si pratica piú [nella redazione dell’OVI], sia perché l’impresa non se lo può permettere, sia per una piú netta distinzione fra il lavoro dei filologi (in quanto editori di testi) e quello dei lessicografi ».74 Operazioni pre-lessicografiche, come i NTF e le CLPIO, hanno avuto enorme influenza sul TLIO, ma ciò non ha mai fatto prevalere la « filologia dell’“attestazione” » su quella della ricostruzione.75 L’attenzione al dato filologico per fornire un prodotto attendibile dal punto di vista storico resta la caratteristica che dà prestigio al TLIO; e se in qualche modo il vocabolario ha fatto proprio il motto di Contini che il “ricostruito” è piú vero del documento, tuttavia esso sa anche evidenziare i dati sulla tradizione forniti dalle edizioni. Massèra nella sua edizione delle rime di Boccaccio attribuí al certaldese il sonetto Rotto è il martello, rott’è quella ’ncugge, tràdito da un manoscritto bodleiano in una sezione di rime attribuite al Petrarca. Anche il tema è 73. M. Barbato, Scriptologia e filologia italiana. Accordi e disaccordi, in « Medioevo romanzo », xxxiv 2010, pp. 163-72, a p. 172. 74. Cfr. Beltrami, Lessicografia e filologia, cit., p. 244. 75. Cfr. Ciociola, L’OVI e lo sviluppo delle discipline, cit.; G. Frosini, Linguistica e filologia, in Manuale di linguistica italiana, a cura di S. Lubello, Berlin-Boston, De Gruyter, 2016, pp. 612-32.


francesco montuori 394 petrarchesco, con la rottura degli strumenti della scrittura per rinnegare una stagione compositiva trascorsa e prepararsi a nuovi temi e argomenti; non canterò piú fole, scrive il poeta (v. 10), ma tesserò le lodi « della fior soprana di soprane / che vince l’altre come l’auro brenna », ‘come l’oro supera in pregio la crusca’;76 in tal modo Massèra modificava la segmentazione adottata da Solerti, che nella sua edizione delle Disperse di Petrarca aveva scritto « come lauro brenna »;77 dal piccolo ritocco grafico derivava anche un cambio di referente: non piú Laura ma la Madonna.78 Ora, l’attribuzione a Boccaccio è davvero difficile: mentre le suggestioni stilistiche avevano indotto il Massèra a includere il sonetto nella sua raccolta, invece il “piano testuale”, cioè la valutazione critica delle raccolte manoscritte e del loro ordinamento, ha convinto Leporatti, ultimo editore delle rime, che fosse opportuno lasciar fuori il sonetto dal repertorio di Boccaccio.79 In precedenza, è da notare, c’era stata un’ingegnosissima correzione di Branca (1958): « ma della fior soprana di soprane / che vince l’altre come sauro brenna », cioè ‘che supera le altre donne come un sauro (il piú nobile dei cavalli) [supera] una rozza, un ronzino’;80 l’emendamento comporta un cambio di significato di brenna da ‘crusca’ a ‘ronzino’, possibile in teoria, ma che manifesta una certa “debolezza” lessicografica:81 il LEI documenta che la diffusione nel tempo e nello spazio di brenna ‘crusca’ è compatibile con la presenza in un sonetto del Trecento, mentre il significato di ‘ronzino’ è voce tarda e, se accolta in questa sede, sarebbe del tutto isolata in italiano antico.82 76. Rime di Giovanni Boccacci, testo critico per cura di A.F. Massèra, Bologna, Romagnoli-Dall’Acqua, 1914, p. 217. 77. Rime disperse di Francesco Petrarca o a lui attribuite, per la prima volta raccolte a cura di A. Solerti, edizione postuma con pref., intr. e bibliografia [a cura di V. Cian], Firenze, Sansoni, 1909, p. 197 num. cxxxi. 78. Rime di Giovanni Boccacci, cit., p. cccxi. 79. Cfr. G. Boccaccio, Rime, ed. critica a cura di R. Leporatti, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2013, dove si è rinunciato a compilare una sezione delle attribuibili. 80. G. Boccaccio, Tutte le opere, a cura di V. Branca, vol. v to. i, Milano, Mondadori, 1992, p. 320 (già in Id., Rime. Amorosa Visione. Caccia di Diana, a cura di V.B., Bari, Laterza, 1939, p. 89 n. 29 e pp. 354-55). La congettura si legge anche in A. Bertoldi, Del sentimento religioso di Giovanni Boccaccio e dei canti di lui alla Vergine, in « Giornale storico della letteratura italiana », lxviii 1916, pp. 82-107, a p. 93 e n. 1. 81. Consultando i dizionari etimologici romanzi e galloromanzi di Meyer-Lübke e di Wartburg, si opponeva all’emendamento già A. Roncaglia, Appunti lessicali dal Boccaccio minore, in « Lingua nostra », v 1943, pp. 73-77, a p. 75. 82. Cfr. LEI, vii 333-41 (s.v. « prerom. *brenno/*brenna ‘crusca’ ») e 753.45 (s.v. « *br(r)-;


lessicografia e filologia 395 Il TLIO non è obbligato a valutare né l’attendibilita dell’attribuzione né la validità della congettura, ma può mostrare la problematicità del passo e delle relative interpretazioni sdoppiando i significati della voce brenna ed esponendo brevemente la questione oggetto di discussione: 2 Signif. incerto. || Con l’emendamento di Branca sauro brenna (ms. lauro brena) il senso è ‘cavallo di poco valore’ (cfr. GDLI s.v. brenna1 con altri ess. piú tardi). Mantenendo come Solerti, Petrarca, Disperse, p. 197 la distinctio del ms. si ricade sotto 1 [cioè ‘materiale di scarto della lavorazione della farina, crusca [in contesto fig.:] cosa di poco valore]; dividendo l’auro come Massera, Boccaccio, Rime, p. 217, brenna varrebbe in senso fig. ‘cosa di poco valore’ (cfr. es. 1[1]). Il TLIO può sottoporre a revisione la voce, aggiornandone la struttura ogni volta che lo ritiene opportuno e, eventualmente, riesaminando la stessa validità del lemma: cosí può proporre in modo problematico anche quanto è discutibile piuttosto che eliminare ciò che è incerto. 5.2. Il ‘TLIO’ e le banche dati dell’OVI Il TLIO non mira, quindi, al restauro del dato testuale ma gestisce con scrupolo ciò che è èdito; allo stesso modo si pone l’obiettivo di documentare lo spettro semantico di una voce e la sua tendenza a ricorrere in sequenze ordinate o in formule, senza ambire alla ricostruzione etimologica. Nel primo esponente della voce si allineano meccanicamente le forme, secondo l’ordine alfabetico, e nell’esemplificare le diverse accezioni l’aspetto storico non è considerato pertinente: non si distingue, ad esempio, tra forme di tradizione dotta e forme di tradizione popolare. Perciò, chi prenda il LEI o il DELI alla voce alga scopre che alla base delle forme diffuse a livello popolare nelle lingue romanze c’è un latino ricostruito *aliga, con anaptissi;83 da qui derivano le forme succedanee attestate anticamente e, in un’amplissima area geografica, modernamente: tutte attestano o almeno presuppongono una forma con -i-. Invece alga, la forma corrispondente a quella classica, è un termine di tradizione colta e di documentazione piú tarda in italiano, anche se poi alla fine è risultata quella predominante nella lingua nazionale. Il TLIO aggiunge poco a questa ricostruzione. La sua funzione non è *ber(r)-/*per(r)-; *bar(r)-; *bir(r)- /*pir(r)-; *bur(r)- ‘grido richiamo; rumore di animale’ », coll. 739-87). 83. LEI, ii 35-42 (alga ‘alga’); DELI, s.v. alga.


francesco montuori 396 quella di proporre nuove interpretazioni etimologiche84 né di presentare il lessico delle origini in una prospettiva stratificata, ma piuttosto di fornire quei dati documentari sulla presenza e sulla semantica di una parola che poi i vocabolari etimologici, sempre sensibili alla storia delle parole, usano nelle loro argomentazioni. Nella voce alga del TLIO, perciò, il materiale è strutturato secondo la semantica del termine e non evidenzia le stratificazioni delle forme: abbiamo esempi con alga e con il sic. arga, ma non si evince che quest’ultima è una forma di tradizione popolare, dal momento che « nel sic[iliano . . .] la r si spiega piú convincentemente partendo da una l intervocalica ».85 Inoltre, solo l’elenco delle forme attesta anche aliga, la cui esistenza è storicamente molto importante ma che risulta assente dall’esemplificazione esplicita. Ciò accade perché aliga è conservato in edizioni infíde, se non del tutto inaffidabili: una volta nell’edizione Torri del commento dell’Ottimo Commento86 e per tre volte nell’edizione di Bortolomeo Sorio del Trattato della agricoltura di Piero de’ Crescenzi volgarizzato, annotato come « testo completamente inaffidabile » nella scheda bibliografica.87 Questo spiega perché il redattore della voce alga non ha inserito nessun esempio di aliga nel vocabolario: ma in futuro, visto che il quadro filologico è cambiato con l’apparizione della nuova edizione dell’Ottimo, l’attestazione del commentatore fiorentino potrà essere finalmente recuperata.88 Quindi, la ricostruzione della storia delle forme e dei significati delle parole nell’area linguistica italoromanza è informazione desumibile solo dal LEI e, eventualmente, dal DELI; invece, la documentazione filologicamente attendibile del lessico dell’italiano antico è data dal TLIO. Poiché il TLIO è il prodotto dell’elaborazione dei dati desunti da un corpus di testi, dalla voce del vocabolario è possibile passare alla consultazione integrale di tutte le forme del lemma, dei contesti e delle voci bibliografiche 84. Nella nota etimologica della voce del TLIO c’è in genere un rinvio al LEI o al DELI; in qualche caso c’è un rinvio diverso (cfr. per es. s.v. agevole); ma ora si veda A. Parenti, Etimologie per il TLIO (i), in « Bollettino dell’OVI », xxii 2017, pp. 381-90. 85. Cfr. LEI, ii 41.29-32. 86. Questa è la stringa del rinvio bibliografico nella banca dati dell’OVI: « <Ottimo, Par., a. 1334 (fior.)> c. 11 273,13 ». 87. Cfr. Trattato della Agricoltura di Piero de’ Crescenzi, [. . .] ridotto a migliore lezione da B. Sorio, Verona, Vicentini e Franchini, 1851-1852, 3 voll. 88. Cfr. Ottimo Commento alla ‘Commedia’ - Amico dell’Ottimo, Chiose sopra la ‘Comedia’, a cura di G.B. Boccardo, M. Corrado, V. Celotto, C. Perna, Roma, Salerno Editrice, 2018, 4 voll.: la forma aliga è nel vol. iii p. 1534.


lessicografia e filologia 397 relative alle opere che le contengono. La rapidissima e molto efficace consultazione di tali schede bibliografiche del TLIO consente, nel caso di alga, di distinguere le forme attestate dalle fonti volgarizzanti da quelle presenti nelle opere “originali”. Si scopre cosí che ad attestare alga sono tutti volgarizzamenti dal latino: la forma quindi appare perfettamente italiana ma, a questa altezza cronologica, è un latinismo precipitato dalle fonti, un « latinismo latente », secondo la felice denominazione proposta da Burgassi e Guadagnini.89 Ma a questo punto vale la pena di sottolineare un ulteriore aspetto. Il TLIO è il prodotto finale dell’elaborazione di dati dal corpus OVI, ma interagisce con molti altri corpora, la cui disponibilità è col tempo progressivamente aumentata.90 Una delle acquisizioni recenti piú importanti è data dal corpus DiVo, contenente solo testi volgarizzati. A proposito di alga, allargando lo sguardo agli altri corpora disponibili si vede che, se nei testi “originali” la forma di tradizione dotta non appare mai, invece nei volgarizzamenti possono occorrere anche le forme di tradizione popolare: oltre al siciliano arga e all’aliga di Piero de’ Crescenzi, di cui si è detto, cercando la voce alga nel DiVo si compie immediatamente un’ulteriore acquisizione: un’aliga in un volgarizzamento dell’Eneide attribuita ad Andrea Lancia.91 La ricorrenza conferma lo statuto marcato di alga nel Trecento e la sua convivenza con le forme con -i-, in proporzioni presumibilmente diverse da quelle che appaiono nel TLIO. Ma il contributo di tale piattaforma di lavoro alla ricerca lessicologica è molto piú profondo. Uno dei volgarizzamenti in cui è presente alga è la versione delle Eroidi di Ovidio di ser Filippo Ceffi, citato nel TLIO secon89. « Proponiamo [. . .] di individuare come “latinismi latenti” quei prestiti dal latino che sono comuni nell’italiano contemporaneo ma che, dallo studio della documentazione disponibile, risultano rari, episodici o occasionali nella fase antica. Per il periodo delle origini, questi vocaboli sembrano rappresentare delle “possibilità linguistiche”, piú che dei dati di lingua: essi sono in antico una scelta lessicale minoritaria e fortemente marcata, assurta poi – in epoca moderna – allo standard linguistico tutt’oggi in vigore. L’attributo “latente” vorrebbe far riferimento al fatto che la consapevolezza della natura di forte latinismo predicabile in antico per questa tipologia lessicale è occultata dalla combinazione fra l’esistenza di prime attestazioni medievali e il rango comune (spesso fondamentale) occupato da questi lessemi nella lingua odierna » (C. Burgassi-E. Guadagnini, Prima dell’« indole ». Latinismi latenti dell’italiano, in « Studi di lessicografia italiana », xxxi 2014, pp. 5-43, a p. 7). 90. L’elenco dei corpora ora disponibili, con una breve descrizione dei contenuti, è alla pagina http://www.ovi.cnr.it/index.php/it/risorse/interroga-il-corpus. 91. Cfr. E. Bertin, Contributi all’edizione critica dei volgarizzamenti dell’ ‘Eneide’ in compendio, Tesi di dottorato, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2007, p. 94.


francesco montuori 398 do l’edizione ottocentesca, compiuta sulla stampa napoletana di Sisto Riessinger del 1492: « Certo l’allegrezza di quella notte non si potrebbe contare, se non come l’erba alga che nasce intorno al mare ».92 Nel testo-base in corrispondenza di contare (l’allegrezza) c’è (gaudia) numerari. 93 Una verifica nel corpus di base del TLIO mostra che questo contare è stato lemmatizzato nel significato di ‘raccontare’ e quindi rientra nel gruppo di forme rappresentate dal lemma contare2 ‘esporre, dire, pronunciare’. Qualsiasi residua incertezza su significati di contare è spazzata via dalla lezione dell’edizione dell’autografo del volgarizzamento di Ceffi, curata da Zaggia e recuperabile in DiVo: « Certo l’allegrezza di quella nocte non si potrebbe racontare, se non come l’erba alga che nasce intorno al mare ».94 L’editore commenta: « il testo latino ha piú concretamente il plurale gaudia e il verbo numerari ». Si tratta allora di una di quelle libertà che Ceffi si prende per “interpretare” il lessico ovidiano senza ricalcarlo meccanicamente: mentre resta vincolato alla forma alga della fonte e non introduce il popolare aliga, Ceffi abbandona invece il “computo delle molte gioie” in favore del “racconto dell’allegrezza” di quella notte e usa racontare in corrispondenza di numerari. Il DiVo è solo uno dei corpora aggiuntivi, insieme ad altri di non minore importanza, e trova il suo naturale perfezionamento in CLaVo, il corpus dei testi latini volgarizzati. Su quest’ultimo, per esempio, è possibile cercare le occorrenze del verbo latino numerare per osservare il comportamento dei vari volgarizzatori, trovare quali sono i traducenti selezionati e verificare se è del tutto isolata la scelta di Filippo Ceffi di usare racontare per numerari. Già alla prima occorrenza della ricerca delle forme che iniziano con numerar* scopriamo che il nesso tra racontare l’allegrezza di Ceffi e il gaudia numerari di Ovidio non è una scelta idiosincratica: un passo del iii libro delle Historiae adversus paganos di Paolo Orosio (« referre caesa hominum milia non possem, etiam si bella numerarem ») è cosí volgarizzato da Bono Giamboni: « dire non potrei il numero deli huomini morti, pognia92. Ovidio Nasone, Epistole eroiche volgarizzate nel buon secolo della lingua, a cura di G. Bernardoni, Milano, Bernardoni, 1842, p. 172 r. 20. 93. Ovid, Heroides. Amores, Translated by G. Showerman, Revised by G.P. Goold, Cambridge (Mass.), Harvard Univ. Press, 1914, p. 250: « non magis illius numerari gaudia noctis / Hellespontiaci quam maris alga potest » (Leandro, vv. 107-8). 94. Ovidio, Heroides. Volgarizzamento fiorentino trecentesco di Filippo Ceffi, i. Introduzione, testo secondo l’autografo e glossario, a cura di M. Zaggia, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2009, p. 606.


lessicografia e filologia 399 mo ke le battaglie dicesse ». La “diffrazione traduttiva” non è quindi un caso isolato.95 L’accertamento delle fonti bibliografiche riserva un’ulteriore sorpresa: per il testo di Bono non è stata usata la vecchia edizione del Tassi ma una trascrizione del ms. Ricc. 1561 approntata provvisoriamente per le esigenze del DiVo da Joëlle Matasci.96 Infatti la creazione di DiVo ha già avuto effetti molto significativi sulle procedure di lavoro della redazione dell’OVI, con il (dispendioso, ma utile) processo di preparare edizioni di servizio per il solo corpus elettronico.97 Una circostanza che mostra come possano essere anche le esigenze della lessicografia a promuovere nuove edizioni che garantiscano dati piú attendibili di quelle pur disponibili ma compilate in tempi filologicamente meno scrupolosi. Come giustamente auspicato, questa consuetudine potrebbe essere generalizzata nell’ambito dell’OVI con la creazione di « un database di edizioni digitali “native”, cioè create digitalmente e immesse direttamente nel corpus, eliminando il passaggio della pubblicazione a stampa ».98 In effetti, il fatto che dietro il TLIO ci siano delle banche dati testuali e che la loro proliferazione sia andata avanti parallelamente alla compilazione del vocabolario è un segno dell’importanza di tali prodotti e della loro oggettiva diversità rispetto al vocabolario. Mentre questo è rimasto sostanzialmente lo stesso sin dalla prima progettazione e le voci continuano a essere compilate e aggiornate in un ordine tendenzialmente alfabetico con la consueta struttura, si sono moltiplicate le banche dati con cui il TLIO interagisce. È certamente superfluo dire che, come la Letteratura Italiana Zanichelli 99 non è un’antologia della letteratura italiana, allo stesso 95. Cfr. D. Dotto, Esercizi sul contributo del lessico di traduzione in lessicografia: dal ‘TLIO’ al ‘DiVo’, in Actes du xxviie Congrès international de linguistique et de philologie romanes, cit., pp. 243-53. 96. Cfr. DiVo. Bibliografia filologica, consultabile all’indirizzo tlio.sns.it. La trascrizione della Matasci è del 2013. L’edizione ottocentesca è Delle Storie contra i Pagani di Paolo Orosio libri vii. Volgarizzamento di Bono Giamboni, pubblicato ed illustrato con note dal dott. F. Tassi, Firenze, Baracchi, 1849. 97. Cfr. E. Guadagnini-G. Vaccaro, L’OVI visto dal DiVo: due contributi alla discussione, in Attorno a Dante, cit., pp. 183-228. 98. Z. Verlato, Lessicografia delle edizioni, dei manoscritti e dei cassetti. Per un nuovo corpus OVI di ‘born digital editions’, in « Diverse voci fanno dolci note », cit., pp. 45-58, specialmente alle pp. 51- 52. Nell’articolo si precisa che edizioni digitali sono in uso in due corpora: « Folchetto » e, appunto, « DiVo ». 99. LIZ 4.0. Letteratura Italiana Zanichelli. CD-ROM dei testi della letteratura italiana, a cura di P. Stoppelli ed E. Picchi, Bologna, Zanichelli, 20014 .


francesco montuori 400 modo l’OVI, cioè l’insieme delle banche dati testuali, non è un vocabolario. I corpora sono variabili o anche del tutto nuovi per contenuti e talvolta anche per struttura, e ciò che è possibile trovare in essi è correlato strettamente alle domande che uno pone loro.100 Per esempio, il valore e l’importanza di DiVo (e CLaVo) non sono limitate alla storia del solo italiano antico, pur nella sua variegata accezione nazionale. Infatti dalle ricerche su questi corpora correlati escono fortemente potenziate le nostre conoscenze sui latinismi, sui quali si sono avuti alcuni dei migliori contributi dei curatori del corpus. 101 La conservatività del toscano ha facilitato il protrarsi di ondate di latinizzazione del lessico italiano, ma con funzioni variabili nel tempo: avere un’idea un po’ piú chiara sui latinismi del medioevo può aiutarci a studiare il comportamento nel tempo delle strutture derivazionali, della latinizzazione del lessico patrimoniale, del successo dell’ibridismo non solo nel Rinascimento ma anche in età moderna.102 6. L’OVI e l’emendatio Il TLIO, insomma, è sempre piú frequentemente solo il primo passo che il filologo compie nel suo percorso di ricerca lessicografica; successivamente egli prende l’iniziativa di rivolgersi alle banche-dati, per cercare risposte alle sue domande: è evidente che le potenzialità di un corpus di dimensioni eccezionali [. . .] investono nel profondo i piani della filologia, se non altro per quanto riguarda l’individuazione di errori o di lectiones faciliores: soprattutto nel momento in cui il corpus 100. Sempre valide le precisazioni di Pasquale Stoppelli: « bisogna dire che non basta la macchina per ottenere risultati filologicamente significativi. La qualità delle risposte che la macchina fornisce dipende dalla natura delle domande che a essa si pongono » (La filologia italiana e il digitale, in Studi e problemi di critica testuale: 1960-2010, cit., pp. 87-98, a p. 95). 101. Cito, tra i molti casi possibili, un articolo ricco anche di riflessioni generali: E. Guadagnini, Lessicografia, filologia e « corpora » digitali: qualche considerazione dalla parte dell’OVI, in « Zeitschrift für Romanische Philologie », cxxxii 2016, pp. 755-92. Ora si veda: C. Burgassi-E. Guadagnini, La tradizione delle parole. Sondaggi di lessicologia storica, pref. di I. Zamuner, Strasbourg, Eliphi, 2017. 102. Cfr. L. Serianni, Per una tipologia dei latinismi nei testi dei primi secoli, in « Rem tene, verba sequentur ». Latinità e medioevo romanzo: testi e lingue in contatto. Atti del Convegno [. . .] DiVo. Dizionario dei volgarizzamenti. Il lessico di traduzione dal latino nell’italiano delle origini, Firenze, 17- 18 febbraio 2016, a cura di E. Guadagnini e G. Vaccaro, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2017, pp. 125-41.


lessicografia e filologia 401 è direttamente interrogabile dalla propria postazione, secondo modalità avanzate e duttilmente configurabili. La verifica delle attribuzioni (fondate su base stilistica) e l’identificazione dei falsi sono due attività tipicamente filologiche che possono proficuamente giovarsi dell’interrogazione del corpus.103 Naturalmente, come per il TLIO, anche per le banche-dati dell’OVI la novità del prodotto può indurre gli studiosi a interrogare la “macchina” in modo suggestivo e quasi a forzare i limiti di risposta che esse hanno. Ma integrando in un quadro indiziario solido i dati cosí desunti, si possono avere risposte attendibili. Per esempio, una canzone dubitativamente ascritta a Boccaccio da Branca (Subita volontà, nuovo accidente) è stata di recente attribuita a Mino di Vanni d’Arezzo anche grazie a una rima segni : piegni ‘piangi’: prendendo spunto da alcune indicazioni di Parodi su qualche caso di palatalizzazione di -à- nell’aretino moderno e portando a riscontro piengnere trovato nel Bestiario moralizzato attraverso l’OVI, Leporatti, con la dovuta cautela, ha giudicato opportuno avanzare la sua ipotesi attributiva.104 Del resto, il continuo aggiornamento delle banche-dati comporta l’immissione di materiali che possono mutare il panorama noto. Anche il colorito linguistico della Commedia ha visto recenti contrapposizioni fondate su valutazioni operate sulle banche dati dell’OVI, con diverse selezioni di sottocorpora: in particolare il corpus dell’OVI è stato utilizzato ora senza badare ad altri vincoli di qualità ora limitatamente ai testi contrassegnati con la sigla TS, cioè ai testimoni considerati dalla redazione dell’OVI attendibili da un punto di vista linguistico per qualità dell’attestazione (cioè, dell’edizione) e per l’omogeneità della lingua garantita dall’appartenenza a tipologie pratiche o documentarie.105 Davanti a una documentazione compattamente omogenea nella Toscana occidentale di voluntieri, l’occorrenza attestata in Inf., i 55, da tre manoscritti fiorentini (contro volontieri e volentieri di altre famiglie della tradizione della Commedia), ed entrata nella vulgata, è stata considerata poco difendibile: « Nel TLIO trovo solo 41 occorrenze di voluntieri, per lo piú pisane oppure genericamente “toscane” o di altre aree linguistiche, contro oltre 600 esempi di volon103. Ciociola, L’OVI e lo sviluppo delle discipline, cit., p. 281. 104. Boccaccio, Rime, cit., pp. ccxxvii-ccxxviii e specialmente n. 24; Id., Tutte le opere, cit., p. 104 num. 38. 105. L’esemplificazione dai testi TS entra sempre nelle voci, come prima attestazione e con almeno un contesto.


francesco montuori 402 tieri e piú di mille voluntieri ». 106 Ma è pur vero che un testo fiorentino e marcato TS di recente pubblicazione ha quattro volte volontieri, sei volte volentieri e una voluntieri; 107 la forma con -u-, insomma, è minoritaria ma non impossibile in un testo fiorentino del terzo quarto del Duecento. Nel complesso dà risultati incerti il tentativo di usare l’OVI per cautelarsi dal rischio di considerare erronee lezioni accettabili e dal pericolo di inserire emendamenti frettolosi: l’opportunità di sostituire una lezione dubbia o ambigua potrà essere solo parzialmente rafforzata alla luce di corpora che restituiscono i dati di altre edizioni e non di altri manoscritti. Questo vale soprattutto per gli errori generati da fatti linguistici, a causa delle caratteristiche proprie dell’OVI; detto con le parole di Valentina Pollidori, nella costituzione di un corpus testuale che si fonda sulle edizioni disponibili piuttosto che sulla riedizione degli originali manoscritti, l’endogena varietà dei fatti di lingua attestata dal complesso dei documenti viene sovraesposta e complicata dall’eterogeneità delle prassi editoriali, che su quella varietà intervengono spesso con finalità e modalità del tutto opposte.108 È proprio l’eterogeneità delle prassi editoriali a rendere il corpus che ne raccoglie gli esiti un repertorio composito, collettore non di materiali scrittori grezzi ma di soluzioni interpretative. La pratica dell’emendatio ha bisogno delle seconde soprattutto per correlarle ai primi. 7. Vocabolari di autore Una forma intermedia tra i dizionari storici di una lingua e i glossari dei testi sono i vocabolari degli autori. Alcuni progetti sono non poco ambiziosi, sebbene siano legati al campo del singolo autore. È in fase di realizzazione il Vocabolario dantesco, il cui completamento è previsto per il 2021, e che aprirà la strada, a quel che è dato sapere, anche a un progetto paral106. P. Trovato, Primi appunti sulla veste linguistica della ‘Commedia’, in « Medioevo romanzo », xxxiii 2009, pp. 29-48, a p. 32 n. 8. La forma con -u-, già dell’ed. Petrocchi, è conservata da Giorgio Inglese (Inferno, Roma, Carocci, 2007, ad loc.). 107. A. Castellani, Il ‘Trattato della dilezione’ d’Albertano da Brescia nel codice II IV 111 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, a cura di P. Larson e G. Frosini, Firenze, Accademia della Crusca, 2012, p. 49. Sull’importanza filologica e lessicografica del testo e dell’edizione cfr. la recensione di P.G. Beltrami, in « Medioevo romanzo », xxxviii 2014, pp. 223-26. 108. V. Pollidori, Analisi, trattamento e codifica dei dati testuali per la base di dati del ‘Tesoro della Lingua Italiana delle Origini’, in « Bollettino dell’OVI », iv 1999, pp. 375-406, a p. 376.


lessicografia e filologia 403 lelo sul lessico latino.109 Il Vocabolario propone, all’interno della scheda, non solo una voce fondata sulla base del TLIO, ma anche una serie di collegamenti a corpora dell’italiano antico e a vocabolari moderni: si « potrà cosí fornire lo sfondo sul quale collocare il particolare uso dantesco » e « potranno emergere convergenze o discrepanze proprie della specificità dantesca ».110 Inoltre « Il V[ocabolario] D[antesco] si è proposto di registrare non soltanto le voci desumibili dall’edizione-base, ma anche l’insieme delle varianti lessicalmente significative che scaturiscono dalla tradizione »:111 perciò, finalmente, esso verrà incontro a due esigenze piú volte richiamate da molti studiosi, a cominciare da Nencioni e Folena. Innanzitutto, quella di fare il repertorio del lessico di apparato, cioè di quelle forme collaterali che sono attestate nella tradizione e che non sono mai entrate nel Dante letto dai moderni ma devono aver avuto la loro ragione di esistere per i lettori di altre epoche e di altri luoghi.112 Il secondo contributo che il Vocabolario dantesco promette è quello di dar conto delle parole dei commentatori, cosa che consentirà di cogliere il complesso dell’estensione delle parole di Dante, sia in relazione al senso assunto da esse sia in relazione alla diatopia delle riformulazioni sinonimiche ed esegetiche. Saranno contributi preziosi, che già in alcune occasioni sono stati sondati per esempio da Andrea Mazzucchi, in relazione alla diffusione della Commedia a Napoli, o da Fabrizio Franceschini, che ha utilizzato i sinonimi e gli allotropi dei commentatori danteschi come informazioni geolinguistiche:113 a breve, finalmente, tali dati saranno sistematizzati e forniranno un importante contributo allo studio storico della lingua italiana. Dalle voci emergono quindi le ragioni della lessicografia, con l’esposi109. Z. Verlato, « Onorate l’altissimo poeta! ». L’OVI e i lavori per il nuovo ‘Vocabolario dantesco’, in Attorno a Dante, cit., pp. 229-55. 110. L. Leonardi-A. Mazzucchi, Tra storia, lingua, testo e immagini: la ‘Commedia’ oggi, in Atti del xxviii Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza, cit., i pp. 33-55, alle pp. 54 e 53. 111. Presentazione, in www.vocabolariodantesco.it. 112. Cfr. G. Nencioni, Filologia e lessicografia a proposito della « variante » [1961], in Id., Di scritto e di parlato. Discorsi linguistici, Bologna, Zanichelli, 1983, pp. 57-66; R. Coluccia, Trasmissione e variazione del testo, scelte degli editori, conseguenze per la storia della lingua, in Id., Storia, lingua e filologia della poesia antica. Scuola siciliana, Dante e altro. Bibliografia degli scritti a cura degli allievi, Firenze, Cesati, 2016, pp. 13-30. 113. A. Mazzucchi, Commenti danteschi e lessicografia napoletana, in « Rivista di studi danteschi », vi 2006, pp. 321-70; F. Franceschini, Tra secolare commento e storia della lingua. Studi sulla ‘Commedia’ e le antiche glosse, Firenze, Cesati, 2008.


francesco montuori 404 zione del significato del lemma nei contesti e con la possibilità di osservare le ricorrenze in altri testi, in altre opere letterarie, in altri dizionari; le necessità della storia della lingua, con il repertorio delle forme del lemma e la registrazione degli usi; e anche quelle della filologia, visto che si descrive a quale altezza della tradizione appare una determinata forma e quali varianti sono attestate. L’auspicio è che una descrizione “filologica” ci sia sempre, anche quando le alternative sono solo formali. Per esempio, nell’Enciclopedia dantesca appare la voce berzaglio (Par., xxvi 24) e nulla si dice delle ragioni della forma con -z- e di come debba essere interpretata la sua presenza in Dante. Invece nel Vocabolario dantesco la ricchissima e aggiornata documentazione affianca una lunga serie di informazioni: la parola è un germanismo di mediazione galloromanza; la -z- « appare di origine non fior[entina] », ma già in antico ha riscontri in alcune regioni della Toscana e di gran parte dell’area italiana;114 una -z- per l’etimologica -s- è già in un altro germanismo della Commedia ed è garantita dalla rima (berze di Inf., xviii 37); l’Ottimo e altri commentatori ritenevano che il termine fosse veneziano;115 il TLIO non attesta forme con -s- nei testi dell’Italia nord-orientale.116 Una tale documentazione è pienamente soddisfacente dal punto di vista storico-linguistico, ma, sapendo che il livello di fiorentinità della lingua di Dante è incerto ed è ricostruito cercando nella tradizione le forme piú vicine alle strutture del fiorentino del Duecento cosí come noi le conosciamo,117 al lettore resta forse la curiosità di sapere se la scelta dell’editore di riferimento di stampare -z- (e quindi del lessicografo di lemmatizzare berzaglio) si deve al manoscritto cui si è ricorsi per restituire il colorito linguistico del testo (in questo caso il Trivulziano 114. Cfr. già Giorgio Inglese (in Dante Alighieri, Paradiso, Roma, Carocci, 2016, p. 323, in nota): « berzaglio: [. . .] l’esito con affricata [-ts-] è comune nella lingua antica ». Un panorama della co-occorrenza in antico delle forme con -s- e -z- è in LEI-Germ, b.franc. « *birsōn ‘andare a caccia’ - fr.a. berser », coll. 833-46. 115. Nella recentissima edizione: « Berzaglio nome è viniziano: luogo è dove si pruovano di saettare li uomini » (Ottimo Commento, cit., iii p. 1769). 116. Rispettivamente le voci sono di Andrea Mariani e di Fiammetta Papi. 117. « In assenza di autografi, non abbiamo certezze assolute circa il tasso di fiorentinità della lingua di Dante »; « La filologia novecentesca ha [. . .] preteso, secondo il modello ancora di Barbi, di poter individuare nella tradizione le forme piú consone al fiorentino duecentesco, grazie anche alla raffinata analisi dei documenti toscani e fiorentini coevi prodotta dalla scuola di Schiaffini e di Castellani, e sulla scorta dell’ancora fondamentale analisi delle rime condotta da Parodi a fine Ottocento, e applicarle – quelle forme antiche – al testo di Dante » (Leonardi-Mazzucchi, Tra storia, lingua, testo e immagini, cit., p. 48).


lessicografia e filologia 405 1080) e se vi siano varianti documentate nella tradizione: circostanze su cui la voce del Vocabolario dantesco tace. Il verso in cui appare berzaglio è uno dei loci critici individuati da Barbi:118 « dicer convienti / chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio »; vi è infatti l’erronea innovazione l’arco tuo > li occhi tuoi che coopera a configurare un importante raggruppamento nella tradizione tosco-fiorentina della Commedia, siglato con a0 da Elisabetta Tonello.119 L’errore è anche in altri codici importanti, come l’Ashburnhamiano 828 della Biblioteca Laurenziana, che con a0 ha rapporti frequenti, « sebbene solo per una parte del Paradiso », e come il codice n. 88 della Biblioteca Comunale di Cortona, « il quale presenta una natura fortemente contaminata ». Nonostante ciò, nonostante l’importante variante nel corpo del verso, la forma con berzaglio è attestata in quasi tutti i codici, anche in quelli fiorentini.120 Quindi, in conclusione, nella voce berzaglio del Vocabolario dantesco si decide, opportunamente, di non fare cenno alle varianti della parola, poche e solo formali, e il cui limitato rilievo è stato già discusso nel commento.121 Dato ciò, il lettore moderno potrebbe con inquietudine interrogarsi sul motivo per cui una voce che « appare di origine non fior[entina] » sia nel testo della Commedia; la sede lessicografica non deve giustificare ma può esporre le ragioni di questa presenza e riferire almeno l’opinione dell’editore del testo di riferimento, secondo cui la -z- per l’attesa -s- in berzaglio appartiene a una casistica i cui esempi « sono nettamente individuabili dalla tradizione ».122 Per Boccaccio, il lavoro è solo all’inizio. L’edizione del Decameron curata da Amedeo Quondam è stata un’ottima occasione per proporre rinnovate annotazioni lessicali:123 non è stato approntato un glossario, ma una 118. C. Brandoli, Due canoni a confronto: i luoghi di Barbi e lo scrutinio di Petrocchi, in Nuove prospettive sulla tradizione della ‘Commedia’. Una guida filologico-linguistica al poema dantesco, a cura di P. Trovato, Firenze, Cesati, 2007, pp. 99-214, alle pp. 121 e 173. 119. Cfr. E. Tonello, La tradizione tosco-fiorentina della ‘Commedia’ di Dante (secoli XIV-XV), Padova, libreriauniversitaria.it, 2018, alle pp. 42 e 204; lo stemma a p. 216; le successive citazioni alle pp. 205-6. 120. Nell’antica vulgata le forme registrate in apparato da Petrocchi sono: bressagio Mad; bercalglio Po; berciaglio Urb; le poche « varianti formali non toscane hanno poco rilievo »: Dante Alighieri, La ‘Commedia’ secondo l’antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, Firenze, Le Lettere, 19942 , 4 voll., iv p. 427. 121. Del tutto diversamente si agisce nella voce piota: qui l’analisi delle varianti a Par., xvii 13. 122. Cfr. Dante Alighieri, La ‘Commedia’ secondo l’antica vulgata, cit., i pp. 442-43. 123. G. Boccaccio, Decameron, intr., note e repertorio di Cose (e parole) del mondo di A.


francesco montuori 406 guida per campi lessicali, in modo che il lettore possa orientarsi tra le parole di Boccaccio; un tale promettente prospetto onomasiologico del lessico del Decameron ha, per il suo pionierismo, il gradevole compito di stuzzicare la curiosità del ricercatore oltre che quello di soddisfare le incertezze del lettore, e quindi di porre problemi per alcuni oltre che di risolverli per altri.124 Sappiamo che le difficoltà di lettura di Boccaccio per gli italiani di oggi non sono solo lessicali, dal momento che prevalgono quelle diffrazioni sintattiche che per taluni costituiscono la principale discontinuità tra la prosa italiana antica e quella moderna.125 Del resto, alcune recenti acquisizioni sul significato delle parole del Decameron sono nate da riflessioni sulle relazioni tra i costituenti di un sintagma, come è accaduto per la locuzione essere soçi a Baronci (Dec., vi 5-6), cioè ‘essere simili ai Baronci’, importata o almeno interferita con costrutti analoghi, documentati in testi medievali in volgare napoletano.126 Ma oltre al Boccaccio angioino, c’è anche quello genovese, per il quale Alessandro Parenti non solo restaura il testo di Dec., ii 9 42, recuperando la voce ligure albagia ‘bonaccia’, che manca nei recenti repertori lessicografici, ma fornisce anche indizi e riflessioni per orientarsi in una vecchia questione sorta intorno alla tradizione del Decameron, sui rapporti tra l’autografo Hamiltoniano 90 di Berlino (B) e il codice detto Mannelli, Laurenziano Pl. 42.1 (Mn), per concludere che « l’autografo del Decameron che conosciamo, quello approdato a Berlino, Francesco Mannelli l’ha avuto davanti davvero ». 127 Indubbiamente, un sussidio per orientarsi tra le parole di Boccaccio Quondam, testo critico e nota al testo a cura di M. Fiorilla, schede introduttive e notizia bibliografica di G. Alfano, Milano, Rizzoli, 2013. 124. Cfr. P. Manni, La lingua di Boccaccio, Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 113-29; in precedenza N. Maraschio, Parole e forme del ‘Decameron’. Elementi di continuità e di frattura dal fiorentino del Trecento all’italiano contemporaneo, Firenze, Centro Duplicazione Offset, 1992. 125. Cfr. Tomasin, Che cos’è l’italiano antico?, cit. 126. N. De Blasi, Un dubbio sintattico e lessicale su messere Forese e i Baronci a proposito di « essere sozzo a » (‘Decameron’ vi 5), in Boccaccio e Napoli. Nuovi materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento. Atti del Convegno Boccaccio angioino. Per il VII Centenario della nascita di Giovanni Boccaccio, Napoli-Salerno, 23-25 ottobre 2013, a c. di G. Alfano et al., Firenze, Cesati, 2014, pp. 341-55. 127. A. Parenti, Recupero di una voce spezzata. Sul testo di ‘Decameron’ ii 9,42, in « Studi di filologia italiana », lxxiv 2016, pp. 33-46, alle pp. 44-46; il rilievo filologico della riscoperta lessicale e del restauro testuale è già stato segnalato da E. Moretti, Annotazioni e correzioni al ‘Decameron’ nell’Hamilton 90: Boccaccio e altri lettori, in Intorno a Boccaccio / Boccaccio e dintorni. Atti del Seminario internazionale di Certaldo Alta, 9 settembre 2016, a cura di S. Zamponi, Firenze, Firenze Univ. Press, 2017, pp. 65-78, a p. 66 n. 6.


lessicografia e filologia 407 può essere un conforto per chi voglia fruire di un lavoro attendibile filologicamente e anche facilmente leggibile. Si va incontro cosí a sollecitazioni, provenienti da piú parti, che spingono gli studiosi a coltivare anche una filologia per i lettori, approntando, ad esempio, strumenti che favoriscano la fruizione di una lettura “naturale” del testo. Francesco Bruni consiglia una frammentazione ordinata dei prodotti filologici, una scansione che vada dall’estremo specialismo, che codifichi un gran numero di informazioni in poco spazio e prescinda dalla lettura sequenziale di un testo, a un’amichevole leggibilità che favorisca la trasmissione della cultura e il consolidamento della conoscenza della letteratura.128 8. Vocabolari di ambiente In altri casi il lavoro piú opportuno da fare e, allo stato, il percorso piú impegnativo da compiere, non è il vocabolario di un autore ma quello di un ambiente. Un percorso di ricerca va impostato per il Quattrocento, per il formarsi del lessico politico nelle cancellerie italiane e per le relazioni genetiche che esso ha con quello giuridico e con quello amministrativo, con il vocabolario della trattatistica parenetica, con il linguaggio cortigiano, quello degli ambasciatori e quello “familiare”, con le parole settoriali, con la trattatistica in latino dell’età classica e del medioevo.129 Negli scritti politici, infatti, la presenza di lessico astratto, le insidie della polisemia, le tradizioni discorsive e le inerzie lessicali che interagiscono con i mutamenti occorsi nella realtà o con i cambiamenti nella percezione del128. F. Bruni, Ecdotica, accessibilità dei testi, interpretazione: per una filologia pensante, in Id., Tra popolo e patrizi. L’italiano nel presente e nella storia, Firenze, Cesati, 2017, pp. 711-30, a p. 727: « Filologi e studiosi sono o dovrebbero essere interessati a fornire un ventaglio, se cosí si può dire, di offerte testuali, digradando (non degradando!) dalle edizioni tecniche alle edizioni dotate dei sussidi essenziali per la lettura: a uso anche proprio, e a utilità del pubblico non professionale ricordato all’inizio di questo lavoro, senza il quale la stessa attività specialistica si esaurisce in sé stessa e inevitabilmente s’inaridisce in un tecnicismo sterile, sordo all’interesse per il testo in sé e per il testo nel suo processo storico ». 129. È facile osservare la compresenza di tali categorie nell’epistolografia, con il confine molto sottile che separa la lettera diplomatica e la lettera familiare. L’attenzione al lessico è raramente sistematizzata: si veda ora Roberto Vetrugno, che, dopo aver studiato La lingua di Baldassar Castiglione epistolografo (Novara, Interlinea, 2010) e aver cooperato all’edizione (B. Castiglione, Lettere famigliari e diplomatiche, a cura di A. Stella e U. Morando, nota ai testi, apparati e indici a cura di R. Vetrugno, Torino, Einaudi, 2016), ha in corso di pubblicazione un volume sul lessico di tali lettere.


francesco montuori 408 la cosa nominata sono tutte dinamiche di complessa gestione e che, tra l’altro, incidono anche sul vocabolario di alcuni autori classici del nostro patrimonio storiografico, memorialistico e politico, a cominciare da Machiavelli e Guicciardini.130 Nella lettura della corrispondenza diplomatica quattrocentesca sono strumenti preziosissimi per la comprensione dei testi alcuni repertori lessicografici molto diversi, dal vocabolario latino-volgare di Tranchedini fino all’Enciclopedia machiavelliana. 131 Sono tipologie di risorse entrambe necessarie per decifrare il significato o le funzioni che parole e locuzioni assumono nell’uso degli scriventi e nella terminologia degli ambasciatori: lo studio del lessico politico rinascimentale, infatti, non può esimersi dal tener conto di quello che accade nel campo della lingua latina e dal fare continuo riferimento, come avviene nelle opere enciclopediche, ai concreti referenti designati. Come ci si deve orientare, ad esempio, per esporre la semantica di reputazione nella selva di accezioni attestate nelle lettere degli ambasciatori? I sinonimi latini accumulati da Tranchedini documentano la polisemia del termine ma sono troppi e troppo vaghi per fornire un orientamento utile;132 di maggiore conforto sono i dizionari storici dell’italiano,133 ma i casi concreti mostrano ancora molti ostacoli a una comprensione complessiva. 130. Una raccolta di lavori esemplare è in Catégories et mots de la politique à la Renaissance italienne / Categorie e termini della politica nel Rinascimento italiano, éd. par J.-L. Fournel, H. Miesse, P. Moreno, J.-C. Zancarini, Bruxelles et al., P.I.E. Peter Lang, 2014; al lessico del Quattrocento sono dedicati alcuni saggi in L’italiano della politica e la politica per l’italiano. Atti dell’xi Convegno ASLI, Napoli, 20-22 novembre 2014, a cura di R. Librandi e R. Piro, Firenze, Cesati, 2016; cfr. inoltre A. Felici, « Honore, utile et stato ». “Lessico di rappresentanza” nelle lettere della cancelleria fiorentina all’epoca della pace di Lodi, in « Studi di lessicografia italiana », xxxiv 2017, pp. 83-130. 131. N. Tranchedini, Vocabolario italiano-latino. Edizione del primo lessico dal volgare, secolo XV, a cura di F. Pelle, Firenze, Olschki, 2001; Enciclopedia machiavelliana, Roma, Ist. della Enciclopedia Italiana, 2014, 3 voll. Sui carteggi diplomatici pubblicati cfr. La diplomazia bassomedievale in Italia, a cura di T. Duranti, in « Reti medievali. Repertorio » (versione dell’ottobre 2009, disponibile on line). Utile anche Diplomazia edita. Le edizioni delle corrispondenze diplomatiche quattrocentesche, in « Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano », cx 2008, fasc. 2 pp. 1-143. 132. Li elenco: « Maiestas; auctoritas; dignitas; dignacio; gloria; fama; prestancia; excellentia; elegantia; nobilitas; gravitas; gradus; honor; honestas; splendor; amplitudo; opinio; laus; decus; celebritas; existimacio; ornamentum; magnitudo; habitudo; nomen; fastigium » (Tranchedini, Vocabolario italiano-latino, cit., p. 146, s.v. Reputatione). 133. GDLI, s.v. reputazione; TB, s.v. riputazione.


lessicografia e filologia 409 Sembra una dittologia sinonimica quel sintagma reputatione et credito usato da Antonio da Trezzo, ambasciatore dello Sforza a Napoli, nel riferire al duca di Milano le parole di Ferrante d’Aragona quando nominò suo figlio Alfonso luogotenente del Regno: la serenissima maiestà del signore re per dare reputatione et credito al prefato signore principe suo primogenito l’ha constituito et creato suo locotenente generale in tuto questo suo regno cum amplissima possanza de potere fare quello che poria sua maiestà [. . .]. Et ha dicto sua maiestà ad Zohanne Cayme et ad me che, se esso suo figliolo serà virtuoso et da bene come spera, non lo tegnerà cosí basso né remesso come la maiestà del signore re condam suo padre l’ha tenuto luy, che gli darà de le imprese et gli remetterà la mazore parte de le facende occorrerano.134 La formula reputatione et credito ricorre con una buona costanza nelle missive diplomatiche. Ma la seconda parte della citazione insinua un dubbio: le imprese (militari) e le facende (di politica interna ed estera) nominate distintamente alla fine della lettera possono lasciar credere che reputatione et credito facciano riferimento a due sfere del potere del monarca, quella militare e quella della gestione politica e amministrativa, tenute distinte nella terminologia e nella semantica. L’imbarazzo esegetico aumenta quando si va a leggere un’altra lettera di Antonio da Trezzo, dove, con termini affini a quelli visti nella missiva precedente, vengono riportate le parole di Ferrante che, per sollecitare l’aiuto del duca di Milano, spiega la sua situazione di “minorità” al momento della morte del padre. Scrive da Trezzo: Me subiunxe poi che, finché ’l re suo patre è vivuto, l’ha tenuto cosí basso in darli principio de reputatione et condictione de stato, che ’l se trova tuto novo ad queste cose et convenne che in adaptarseli el cominci da capo, et però gli bisogna durare piú fatica a drizarse, siché ’l bisogna la signoria vostra habi parte de queste fatiche, saltim in aiutarlo et consigliarlo quello che ’l habia a fare, sperando che ’l drizarà cosí bene lo stato suo che vuy et vostri figlioli ne havereti ad essere ben contenti.135 Come si dovrà spiegare « principio de reputatione et condictione de stato »? Si tratta di una dittologia sinonimica o dell’accostamento di elemen134. Dispacci sforzeschi da Napoli, ii (4 luglio 1458-30 dicembre 1459), a cura di F. Senatore, Salerno, Carlone, 2004, p. 123 lett. n. 42 (Teano, 14.9.1458). 135. Ivi, p. 37 lett. n. 10 (Capua, 22.7.1458). L’accostamento dei due passi è già in F. Senatore, L’itinérance degli Aragonesi di Napoli, in L’itinérance des seigneurs (XIVe -XVIe siècles). Actes du Colloque international de Lausanne et Romainmôtier, 29 novembre-1er décembre 2001, éd. par A. Paravicini Bagliani, E. Pibiri, D. Reynard, Lausanne, Univ. de Lausanne, 2003, pp. 275-325. Per drizare cfr. n. 141.


francesco montuori 410 ti che rinviano a un elemento terzo lasciato inespresso?136 Proporre una parafrasi è un esercizio che deve gestire troppi margini di incertezza:137 per reputatione e stato si può pensare a dei significati generici e ben documentati come ‘prestigio’ e ‘ruolo sociale’; oppure si possono ipotizzare accezioni piú specialistiche, come ‘immagine pubblica’ e ‘autorità’ o, in modo ancor piú restrittivo, ‘forza militare’ e ‘potere politico’. La formula sembra essere una sintesi della maiestas quattrocentesca, non molto diversa, dunque, da quella attestata nella coeva storiografia e nella letteratura parenetica, per esempio nel discorso di Alfonso al giovane Ferrante in procinto di andare in missione militare contro Firenze nel 1452:138 « Praeterea decus et existimationem tui tibi plurimum commendatam optarim »; la reputazione è l’existimatio che il principe si deve preoccupare di conseguire, importante soprattutto in guerra.139 Proprio in questa trattatistica l’abilità militare e l’esperienza di governo sono tra i requisiti essenziali della maiestas. 140 136. Un dubbio preliminare, su cui qui non mi soffermo, è nella segmentazione: è anche possibile che da principio dipendano sia de reputatione sia [de] condictione. 137. In un lavoro precedente fornivo questa spiegazione: « Il re lamenta che il padre, finché ha vissuto, l’ha tenuto basso nel dargli principio de reputatione e condictione de stato, cioè nel dargli una dote iniziale di buona fama e nell’attivare in lui il ruolo del sovrano » (F. Montuori, Scrittura politica e varianti linguistiche nelle lettere autografe di Ferrante d’Aragona, in Il Mezzogiorno italiano. Riflessi e immagini culturali del Sud d’Italia / El mediodía italiano. Reflejos e imágenes culturales del Sur de Italia, a cura di C.F. Blanco Valdés et al., Firenze, Cesati, 2016, 2 voll., ii pp. 747-60, a p. 750). 138. Il discorso è uno speculum principis; sulle due redazioni scritte dal Panormita, ripreso da Facio e di qui volgarizzato e tradotto nel Cinquecento, cfr. F. Delle Donne, Le parole del principe: effetto di realtà e costruzione del consenso, in Linguaggi e ideologie del Rinascimento monarchico aragonese (1442-1503). Forme della legittimazione e sistemi di governo, a cura di F. Delle Donne e A. Iacono, Napoli, FedOAPress, 2018, pp. 13-24; Id., I detti memorabili del re. Riscritture di un discorso di Alfonso il Magnanimo al figlio Ferrante, in Ingenita curiositas’ Studi sull’Italia medievale per Giovanni Vitolo, a cura di B. Figliuolo, R. Di Meglio, A. Ambrosio, Battipaglia, Laveglia & Carlone, 2018, 3 voll., iii pp. 1445-58. 139. Dalla versione del discorso di Alfonso elaborata da Bartolomeo Facio, cosí traducono G. Mauro e poi A. Di Costanzo, nel XVI secolo: « Dovete esser sommamente geloso della fama e della riputation vostra, e pensare che tra le cose di qua giú non ve n’è alcuna di maggiore importanza di lei, e specialmente nella guerra »; « abbi cura non meno della riputazion tua, che della vita, perché spesso a la buona fama ha bastato senz’armi a dare gran vittoria » (Delle Donne, I detti memorabili del re, cit., pp. 1456 e 1455). Allo stesso modo, anche nel De Principe di Pontano l’aestimatio caratterizza la maiestas del re: « Ex his igitur atque aliis quae natura, tempus, res et ars docuerit, de quibus nulla certa praecepta tradi possent, nascetur admiratio quaedam, sine qua maiestas esse nullo modo potest » (G. Pontano, De principe, a cura di G.M. Cappelli, Roma, Salerno Editrice, 2003, p. 56). 140. « Qui Ferrante [prima di partire per la guerra contro Firenze] è ancora lungi dall’es-


lessicografia e filologia 411 Si può ipotizzare, allora, che ciò che lamentava Ferrante nelle parole riferite da Da Trezzo fosse la mancanza di legittimazione, per non essere stato indirizzato a un comportamento disciplinato all’interno delle mansioni militari e di governo: l’accostamento tra gestione del potere politico e forza militare doveva essere naturale per una monarchia come quella aragonese, che vedeva la sua origine negli acquisti territoriali operati da Alfonso. Del resto la reputatio può riferirsi all’ambito militare anche se privo di specifiche determinazioni, ed è anzi un requisito particolarmente importante nell’azione del condottiero, è molto volatile e quindi va sempre inseguita, perché facilita la gestione del territorio su cui si opera. Lo stato, d’altra parte, indica la condizione di una persona, il suo onore e il suo patrimonio e quindi, a proposito di un monarca, quel complesso di beni, di entrate fiscali, di prerogative giurisdizionali che fanno capo a lui nel suo territorio.141 D’altra parte, la maiestas consiste anche nella “visibilità” del re, che esponendosi alla vista dei sudditi si propone come modello pubblico ma manifesta anche una disponibilità al controllo.142 Avere una reputazione per Ferrante è, quindi, un requisito di base per esercitare il governo, dal momento che « la reputazione è la condizione necessaria a preservare il regno dai pericoli che potrebbero turbarne la stabilità: strumento utile alla conservazione dello stato e della pace »,143 la reputazione garantisce continuità e controllo nella gestione del potere: a Ferrante fanno difetto la sere nuovo re; egli deve ancora dimostrare di essere pronto a succedere al trono, innanzitutto con l’abilità bellica » (Delle Donne, Le parole del principe, cit., p. 21); Ferrante « deve dimostrare di possedere tutte le virtú di un buon comandante che deve guidare in maniera equilibrata i soldati in guerra, cosí come dovrà governare in maniera equa i sudditi » (Id., I detti memorabili del re, cit., p. 1451). 141. Nella seconda lettera citata il verbo drizare ha come complementi una volta Ferrante e una volta lo stato suo: « et però gli bisogna durare piú fatica a drizarse, [. . .] sperando che ’l drizarà cosí bene lo stato suo che vuy et vostri figlioli ne havereti ad essere ben contenti ». È incerto se il cambio di oggetto comporti un diverso significato del verbo, che oscilla tra ‘dare un indirizzo efficace e opportuno’ e ‘sollevare da una situazione di incertezza, sistemare’; quest’ultimo sembra piú adeguato quando si parla di “stati” non consolidati; cosí, Antonio da Trezzo racconta che Alfonso I concesse per necessità la dogana del sale al principe di Salerno, ma « Vedendose poi esso signore re havere drizato lo stato suo, revocò dicta gratia facta de dicto sale » (Dispacci sforzeschi da Napoli, cit., pp. 125-26 lett. n. 44, Venafro, 22.9.1458). 142. Cfr. G. Cappelli, Maiestas. Politica e pensiero politico nella Napoli aragonese (1443-1503), Roma, Carocci, 2016, specialmente parr. 1 e 4. 143. Cfr. F. Storti, El buen marinero. Psicologia politica e ideologia monarchica al tempo di Ferdinando I d’Aragona re di Napoli, Roma, Viella, 2014, p. 149.


francesco montuori 412 personalità pubblica e l’autorità che lui deve far crescere per adeguarli a sé e al suo nuovo ruolo. Una precisa semantica della reputazione, come si vede, è difficile da ricostruire: una soluzione a tali incertezze esegetiche si trova solo avendo disponibile il repertorio di tutto il lessico usato nei diversi contesti diplomatici opportunamente spiegati e con una visione chiara del funzionamento delle istituzioni quattrocentesche d’Italia. Sarebbe lavoro meritorio, utile per seguire con cognizione di causa il formarsi del linguaggio politico nelle corti italiane e per poter meglio valutare le dinamiche fiorentine e cinquecentesche.144 Su un piano solo parzialmente diverso, infatti, anche Machiavelli era molto interessato a valutare la funzione politica dell’immagine pubblica;145 ed era anche particolarmente attento alle dinamiche di acquisizione di un nuovo stato o del passaggio di regime, accostando frequentemente armi e potere politico. Per questo motivo un esercizio di « filologia politica » su reputazione (e stato) non potrebbe non coinvolgere anche gli usi linguistici di Machiavelli.146 Questi nei Discorsi poteva tradurre con riputazione o grado la maiestas di Livio,147 e nel piú celebre dei suoi scritti dava a riputazione e stato il compito di descrivere il potere del principe: « Alcuno principe de’ presenti tempi, quale non è bene nominare, non predica mai altro che pace e fede, e dell’una e della altra è inimicissimo: e l’una e l’altra 144. Cfr. da ultimo A. Felici, « Parole apte et convenienti ». La lingua della diplomazia fiorentina di metà Quattrocento, Firenze, Accademia della Crusca, 2018, con un ampio « glossario cancelleresco » (pp. 71-197). 145. Cfr. il classico L. Vissing, Machiavel et la politique de l’apparence, Paris, Puf, 1986. 146. Per l’accezione con cui si deve intendere la locuzione filologia politica, cfr. J.-C. Zancarini, Une philologie politique. Les temps et les enjeux des mots (Florence, 1494-1530), in « Laboratoire Italien », vii 2007 (Filologia e politica, a cura di C. Del Vento e J.-L. Fournel), pp. 61-74. Il legame tra Machiavelli e la lingua volgare di fine XV sec. è oggetto del lavoro di F. Franceschini, Lingua e stile nelle opere in prosa di Niccolò Machiavelli: appunti, in Cultura e scrittura di Machiavelli. Atti del Convegno di Firenze-Pisa, 27-30 ottobre 1997, Roma, Salerno Editrice, 1998, pp. 367-92. 147. « Non ostante che la virtú di Furio Cammillo, poi che gli ebbe libera Roma dalla oppressione de’ Franciosi, avesse fatto che tutti i cittadini romani, sanza parere loro tôrsi riputazione o grado, cedevano a quello, nondimanco Mallio Capitolino non poteva sopportare che gli fusse attribuito tanto onore e tanta gloria [. . .] » (Disc., i 8 2 ); in nota il curatore rinvia a Liv., vi 6: « collegae fateri regimen omnium rerum, ubi quid bellici terroris ingruat, in viro uno esse sibique destinatum in animo esse Camillo summittere imperium, nec quicquam de maiestate sua detractum credere quod maiestati eius viri concessissent » (cfr. N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, a cura di F. Bausi, Roma, Salerno Editrice, 2001, 2 voll., i p. 56).


lessicografia e filologia 413 quando e’ l’avessi osservata, li arebbe piú volte tolto e la reputazione e lo stato » (Principe, xviii 19).148 Insomma reputazione e stato è un sintagma utilizzato con continuità tra XV e XVI secolo, i cui significati possono essere molteplici ed evocare coppie in opposizione o giustapposte; ma oltre ai cambiamenti semantici, anche i referenti a cui i termini si riferiscono possono essere profondamente diversi. Per arrivare a parafrasi soddisfacenti e a una piena comprensione del significato delle parole è importante capire che la scrittura di Machiavelli può differire da quella dei pionieri della diplomazia in volgare nel Quattrocento non perché rispecchia l’interesse per una formulazione che sorge da una riflessione teorica (contro un atteggiamento tutto pratico tipico dei diplomatici), ma soprattutto quando vi sia anche una profonda differenza nelle istituzioni politiche di riferimento, nel loro funzionamento o nella loro concezione. Un dizionario politico dell’italiano rinascimentale, allora, dovrebbe partire dall’analisi dei contesti, dallo studio delle concordanze, dalla disamina delle locuzioni, dagli spogli non di sole parole ma di sintagmi e locuzioni, su testi non solo cinquecenteschi ma anche scaturiti dalla vita politica quattrocentesca, e non solo teorici ma anche pratici, non solo volgari ma anche latini: è ora che le parole dei testi e i molti materiali che sono accumulati nei saggi e nei commenti alle edizioni siano raccolti e sistemati in repertori lessicografici utili per descrivere gli usi di alcuni ambienti culturali e professionali.149 Allo stesso tempo un dizionario politico del Rinascimento non potrebbe esimersi dal fare riferimento, come le opere enciclopediche, ai concre148. N. Machiavelli, Il Principe, a cura di M. Martelli, corredo filologico a cura di N. Marcelli, Roma, Salerno Editrice, 2006, p. 242. Su “stato” in Machiavelli, cfr. R. Descendre, voce Stato, in Enciclopedia machiavelliana, cit.; su “reputazione”: G. Paparelli, Feritas Humanitas Divinitas. Le componenti dell’Umanesimo, Messina-Firenze, D’Anna, 1960, pp. 181-83; R. Zanon, Potenza, autorità, reputazione in Machiavelli (‘Principe’, ‘Discorsi’, ‘Arte della guerra’), in « Cultura neolatina », xl 1980, fasc. 4-6 pp. 319-32; T. Perez, ‘Reputazione’ in Machiavelli’s Thought, in « Yearbook of European Studies - Annuaire d’études européennes », 8 1996 (Machiavelli: Figure-Reputation, ed. by J.T. Leerssen and M. Spiering), pp. 165-77; F. Pommier Vincelli, Il concetto di reputazione e i giudizi sulla monarchia spagnola, in Filippo II e il Mediterraneo. Atti del Convegno di Roma, 2-4 dicembre 1998, a cura di L. Lotti e R. Villari, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 289-324. 149. C. Manchio, Machiavel secrétaire et l’écriture de la politique. Étude d’une langue de chancellerie au temps des guerres d’Italie (1498-1512), Tesi di dottorato, Université Vincennes-Saint-Denis Paris 8 e Università di Napoli « Federico II », 2016.


francesco montuori 414 ti referenti designati, alle istituzioni e alle idee.150 E questo è tanto piú vero dal momento che è proprio il lessico, insieme con la sintassi e la testualità, il campo su cui indagare le modalità di uso e citazione delle fonti, soprattutto in un periodo in cui le pratiche politiche sembravano mettere in crisi i “protocolli” degli umanisti, le loro procedure storiografiche e la loro riflessione teorica. Un quadro chiaro della terminologia politica latina e italiana tra Quattrocento e Cinquecento è utile per leggere i testi, infatti, ma è anche un requisito necessario per seguirne le complesse vicende intertestuali: come è noto, il riuso di Livio nei Discorsi è un processo difficile da valutare ma è necessario farlo con il piú ricco corredo possibile di strumenti linguistici e filologici affinché emergano le modalità critiche della teoria e della pratica politica italiana posteriore alla crisi degli ultimi anni del XV secolo:151 solo tenendo sempre fermo l’accertamento filologico sarà possibile recuperare il Quattrocento nella riflessione di chi ha ricostruito gli sviluppi del pensiero politico e giuridico rinascimentale.152 150. J.-L. Fournel, I tempi delle parole nella prosa machiavelliana. Considerazioni su tre storie incrociate, in Lessico ed etica nella tradizione italiana di primo Cinquecento. Atti del Seminario di Bari, 5-6 marzo 2015, a cura di R. Ruggiero, Lecce, Pensa MultiMedia, 2016, pp. 123-38; M. Pozzi, Pour un lexique politique de la Renaissance. La situation linguistique italienne au début du XVIe siècle, in « Laboratoire Italien », vii 2007 (Filologia e politica, cit.), pp. 41-59. Resta necessario il rinvio ai saggi di Fredi Chiappelli (Studi sul linguaggio di Machiavelli, Firenze, Le Monnier, 1952; Nuovi studi sul linguaggio di Machiavelli, ivi, id., 1969). 151. Oltre al lessico, adopera anche la sintassi e la testualità A. Salvo Rossi, « Accomodare rebus verba ». L’uso politico delle fonti: Tito Livio nei ‘Discorsi’ di Niccolò Machiavelli, Tesi di dottorato, Université Vincennes-Saint-Denis Paris 8 e Università di Napoli « Federico II », 2018. 152. A lungo si è stati poco attenti alle codificazioni presenti nelle opere politiche e giuridiche del Quattrocento: cfr. G. Pedullà, Machiavelli in tumulto. Conquista, cittadinanza e conflitto nei ‘Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio’, Roma, Bulzoni, 2011.


801 INDICE Convegno internazionale sul tema: « La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro. Trent’anni dopo, in vista del Settecentenario della morte di Dante » 7 Programma del Convegno 8 Introduzione al Convegno, di Enrico Malato 13 I. PROBLEMI DI METODO Andrea Mazzucchi, La critica del testo trent’anni dopo. La prospettiva dantesca 21 Roberto Antonelli, La filologia del lettore 43 Maria Luisa Meneghetti, Edizione critica ed esegesi 57 Lino Leonardi, La storia del testo, la prassi ecdotica e il ruolo della filologia 73 Giancarlo Breschi, Copista “per amore”: Boccaccio editore di Dante 93 Paola Italia, Filologie d’autore 119 Giovanni Palumbo, Morfologie della contaminazione 133 Rosario Coluccia, Morfologie e funzioni degli apparati critici 153 Rossana E. Guglielmetti, L’edizione dei testi a basso livello di autorialità 177 Paolo Chiesa, Le tradizioni sovrabbondanti. Strategie di approccio 201 Stefano Carrai, Metrica e critica del testo 223 Pietro Trifone, Lingua, stile e critica del testo. La punteggiatura nell’edizione delle opere a stampa 237 Marco Cursi-Maurizio Fiorilla, Fisionomia del manoscritto ed ecdotica: Boccaccio e Mannelli copisti del ‘Decameron’ 249 Vincenzo Fera, La filologia dei testi umanistici 295 Lina Bolzoni, Per una filologia integrata dei testi e delle immagini: tre esempi 311 Vittorio Formentin, Problemi di localizzazione dei testi e dei testimoni 327 Michele Rinaldi, Problemi di stratigrafia linguistica e di ricostruzione della veste formale nei testi mediolatini 355


indice 802 Francesco Montuori, Lessicografia e filologia 369 Maria Careri, Raccogliere errori nei manoscritti romanzi 415 Inés Fernández-Ordóñez, Las variantes de lengua: un concepto tan necesario como necesitado de formalización 439 Pasquale Stoppelli, Metodologia delle attribuzioni letterarie 469 Alberto Cadioli, Filologia e dinamiche editoriali tra Otto e Novecento 483 Emilio Russo, Pratiche filologiche per opere incompiute. Il caso della ‘Liberata’ 495 Nicola De Blasi, Edizione di testi teatrali 509 Paolo Procaccioli, Filologia, pratiche editoriali e storia culturale. La militanza dei poligrafi 531 Niccolò Scaffai, Pratiche editoriali e questioni testuali nelle raccolte di lirica del secondo Novecento 545 II. ESPERIENZE DI LAVORO Vittorio Celotto, Problemi filologici della poesia del ‘nonsense’: il caso delle ‘Mattane’ di Niccolò Povero 563 Massimiliano Corrado, Alle origini della tradizione fiorentina della ‘Commedia’: il testo dantesco nell’ ‘Ottimo Commento’ 581 Chiara De Caprio, Il tempo e la voce. La categoria di ‘semicolto’ negli studi storico-linguistici e le scritture della storia (secc. XVI-XVIII) 613 Alessio Decaria, Pratiche di copisti e tradizione dei testi tra Tre e Quattrocento 665 Ciro Perna, La scrittura satirica degli epigoni ariosteschi: il caso di Camillo Pellegrino 685 Irene Romera Pintor-Susanna Villari, Gli studi “giraldiani” tra filologia e critica: un laboratorio di ricerca 701 TAVOLA ROTONDA SUL TEMA: CRITICA DEL TESTO ED ERMENEUTICA 719 INDICI Indice dei nomi 773 Indice delle tavole 797


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