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Published by lapazienzadiercolino, 2019-06-23 11:16:30

L'estate dei tempi

Puleo

L’ESTATE
DEI TEMPI

MARGHERITA
PULEO 3D







INTRODUZIONE

Dalla mia cameretta, volta sulla sponda del lago
Maggiore, mi siedo alla scrivania e scrivo. Scrivo
racconti d’altri tempi guidata dai suoni e dai
sospiri della casa e da quello che le è intorno,
annoto sul mio diario in pelle rilegato da un
nastrino blu, tutti i miei pensieri, da quello che mi
suggerisce l’ambiente ai racconti della giornata
passata, rimasti nella mia memoria, e immagino.
Immagino come dovrebbe essere il futuro, come
doveva essere il passato e come deve essere il
presente. Mentre scrivo, sento provenire dal
giardino gli urli e le risate di gioia di mio fratello,
dei miei cugini e amici. I miei parenti li
accompagnano con lo sguardo, mentre, tranquilli,
sono seduti al tavolo a fare merenda, a
chiacchierare e a stabilire i programmi per i giorni

a venire. Alcuni di loro sono in cucina a preparare
la cena. Persino i gatti sono fuori a passeggiare o a
esplorare, a sonnecchiare sul prato o a rincorrere
cavallette, come piace fare anche a me. Ma allora
perché sono qui, da sola, ad ascoltare il dolce e
ritmato suono delle onde del lago che sbattono e si
infrangono sulle boe, sulle barche ormeggiate e sul
muretto della spiaggia, affacciata alla mia finestra?
Perché tutto questo mi piace e mi fa stare bene.
Adoro concedermi, quando ne ho l’occasione, del
tempo per me e, soprattutto, adoro fermarmi e
restare in ascolto e a immaginare, cullata dai suoni
del lago. Dal suono delle onde a quello del vento
tra le fronde degli alberi, dal lamento di un corvo al
passero che zampetta sulle rocce della spiaggia, dal
canto del merlo in giardino ai cigni sull’acqua. È
piacevole ascoltare anche il rumore del motore di
un motoscafo, del passaggio delle macchine, o di
quello di un elicottero perché anche questi fanno

parte del quadro. È questo quello che voglio in
questo momento, nient’altro che questo: che il
tempo si fermi in questo instante e che non passi
più, perché è questo che mi rende felice. So che
può sembrare noioso, ma io rimarrei in eterno ad
ammirare questo paesaggio dalla finestra sul lago,
con le sfumature di tutti i colori che vengono
riflesse dal grande specchio di giorno, e con il
riflesso dell’astro d’argento di notte. Quindi io vi
chiedo di provare, provate ogni tanto a rilassarvi e
a concedervi del tempo per pensare e per
realizzare solo quello che vi piace. Ora lascio la mia
finestra, la grande finestra di legno, quella che si
affaccia sulla sponda del lago contornata della vite
del Canada, la stessa che fa da cornice ai miei
sogni, e raggiungo tutti in giardino per divertirmi
insieme a loro.



L’ESTATE DEI TEMPI



Nelle calde mattine d’estate, prima che tutto
cominci, mi pare ancora di sentire nell’aria la voce
bianca d’una bimba allegra. Una bimba dalle forme
tondeggianti, quasi come un birillo, dal nasino
all’insù, dai capelli raccolti in una piccola fontanina
che ricade morbida sui folti capelli castani, dalle
guance rosee e dai piccoli occhietti vispi e scuri,
desiderosi di avventura. È la stessa bimba nella
quale capita di ritrovarmi in certi momenti della
vita, quando hai voglia di giocare alla piccola
scienziata insieme al tuo gatto solo per scoprire la
meravigliosa vastità di tesori che si possono
trovare in giardino.
Il cielo azzurro, l’aria tersa e il dolce e caldo sole
che illumina tutte le giornate, ogni giorno un po’ di
più, sembra sempre che rimandi in quel posto
antico e lontano dove la distanza si fa sentire
molto forte, ma che in fondo non può importare
tanto poiché sei in un luogo magico.

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La magia di quel luogo è così forte che qualsiasi
situazione si può trasformare in un ricordo ancora
vivido e ardente dentro di me perché io l’ho
vissuto e fatto mio lì. Se non fosse per la scuola, gli
amici e le responsabilità di tutti i giorni che ogni
persona è costretta ad affrontare, sarei già là a
vivere ogni momento, con la promessa di fare di
questo un ricordo speciale.

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Le mattine di marzo, ancora immerse nella coltre
dell’inverno, mi capita di svegliarmi e di vedere
quel raggio di sole penetrare dalla finestra della
cucina come lame, ma, allo stesso tempo, tenui e
dolci come una carezza, illuminandone i contorni:
è lo stesso raggio di sole che scioglie i ghiacci
dell’inverno del mio cuore e li trasforma in
pensieri estivi, caldi e soprattutto unici come
l’estate.
La separazione, il distacco, come il nudo piede
infrange, come onde contro la scogliera, il contatto
con la nuda roccia, cocente dal sole caldo del
mezzogiorno per immergersi nelle profonde acque
di un cielo lontano, fanno parte della vita, ma
quando è un legame così forte si fa fatica a
spezzare. Infatti è sempre un dispiacere vedere
partire quella bimba dalla voce allegra, mia cugina
Nina, la mia migliore amica, la mia compagna di
giochi e di divertimento, come lo è per i miei occhi

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vedere le lacrime lasciare il loro nido. Come uccelli
che si preparano al volo per migrare, così io piango
di malinconia per il rimpianto e per la nostalgia dei
momenti attesi bruciati troppo in fretta e
dell’estate che volge al termine. Nostalgia delle
giornate pazze trascorse semplicemente a
sonnecchiare distesi su un prato verde, color
speranza, cullati dal suono del vento che passeggia
tra le fronde degli alberi e dal suono delle onde di
un mare lontano, lo stesso mare che ognuno
conserva gelosamente dentro di sé. Oppure le gite
e le passeggiate, quando la dolce brezza dell’estate
che ti accarezza, ti convince a fare il più possibile,
approfittando dei bei momenti e della bella
stagione. Ma d’altra parte so che nessuno è in
grado di trasformare la realtà e si dice che non
bisogna mai rimpiangere niente, soprattutto i
momenti belli e sinceri che si trascorrono con le

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persone a cui si vuole bene, nei luoghi dove in ogni
momento e situazione ci si sente bene.
Questo è il mio luogo lontano, ma che tanto
ricordo, che parla di natura, di giardino, di vite
passate, presenti e future, di erba verde odorosa di
terra e alta, troppo alta, che nessuno taglia e che, in
primavera, aspetta solo i piedi nudi, liberi dalle
scarpe pesanti dell’inverno; aspetta il contatto con
il piede che è finalmente libero di correre e di
rotolarsi, insieme alle cavallette, alle api e ai grilli
che volano e saltano felici, nei grandi ciuffi di erba
verde che spuntano dalla terra come i capelli
arruffati di uno gnomo che non esce in superficie
da molto, molto tempo. Questo è il luogo ricco di
frutti, che parla di un giardino nel quale, come può
ridestarsi, in un mattino di primavera, un uccello,
dopo il lungo gelo invernale, così si ridesta l’orto
che inizia a regalare i prodotti della terra, come i
funghi che spuntano in autunno, a decine per i

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boschi, così zucchine, pomodori, peperoni, fagioli,
fagiolini e ancora rape, insalata e melanzane
spuntano allegramente dalla terra fra i cori degli
uccelli e i bisbigli del vento tra le chiome degli
alberi.
Questo è il luogo dell’estate, che parla di prati
contornati da fiori di campo, estivi e generosi, dal
profumo intenso e delicato, di alberi vivi e pieni di
sussurri in autunno, con rami forti e possenti che
permettono di salirci sopra per prendere mele,
pere, prugne, susine e uva, alberi che, guardati da
lontano, sembrano pezzi di dipinti o arazzi con i
rami carichi di frutti con sfumature rosse e dorate,
pronti per essere raccolti. Sono gli stessi alberi
secchi e senza vita in inverno, ma che poi si
risvegliano in primavera come trionfo della vita.
Questo è il luogo dell’acqua, che parla dei colori
pastello di quando, sul lago, appaiono l’alba o il
tramonto, il mondo che si desta e che poi ritorna

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nel letto, nella coltre di nebbia sottile quando il
tempo è brutto, e il cielo manda sulla terra
fragorosi tuoni e boati. In quei momenti la paura si
fa sentire, ti sorprende e vorresti soltanto
immergerti nelle coperte, nel dolce tepore caldo
che ti fa stare in un posto sicuro, come quando si
rimane con la testa sotto le coperte da piccoli,
quando si ha paura dell’uomo ombra e le coperte ti
danno la sicurezza che nessuno potrà farti del
male. Sotto le coperte, rinvoltolati e con solo uno
spiraglio di occhi e di naso fuori e le orecchie
dentro, in silenzio per non sentire neanche il
proprio respiro.
Questo è il luogo della grande casa di pietra, del
legno che vive e respira, che è presente
tutt’intorno, fa da scenario a molte vicende, a
molte vite, a ritrovamenti e scoperte, a suoni e voci
lontane, a pianti e risate, a semplici oggetti di vita
familiare come un diario, un attestato di

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matrimonio o un vecchio orologio, a immagini in
bianco e nero come una vecchia cartolina: il Lago
Maggiore, l’isola Madre.

Appaiono le montagne che cingono la foto come
uno sfondo tra il cielo terso e il lago azzurro
cristallino che brilla sotto la luce del sole di
mezzogiorno, e, in primo piano, una parte di isola
con una grande nuvola bianca e spumeggiante che
rivela una chiazza di vegetazione. In basso, vicino
alla sponda, affacciata ad un porticciolo, una
piccola casetta bianca a due piani, con il tetto a

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spiovente e tre grandi finestre aperte sul lago,
senza vetri né persiane, la stessa immagine che si
può vedere dal traghetto durante il tour delle isole
che occupa sicuramente un posto di primo piano
tra le gite dell’estate, di tutte le estati. E’
un’immagine che mi porto dentro da anni, che mi
accompagna fin da piccina, fin dalle mie vacanze
passate nella grande casa di Oggebbio e che
ravvivo tutte le volte che volgo lo sguardo a quella
cartolina appoggiata sul camino della grande sala.
Tutto è ricordo in questa casa e amo riguardare le
vecchie foto di famiglia che decorano, come i
ghiaccioli sulle grondaie, il grande camino della
sala, che, d’inverno, brucia legna, disegnando
arabeschi di fiamma che incantano e scaldano
piano piano il cuore di chi gli sta vicino, i quadri
appesi alle pareti che ornano le stanze con
paesaggi dipinti di luoghi lontani, gli specchi e i
vasi di ceramica, sempre pieni di fiori freschi del

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giardino, che ogni volta, come un’esplosione di
colore, riempiono la stanza in cui vengono
posizionati di vivaci spruzzi colorati.
La stanza più frenetica della casa è sicuramente la
cucina, antica, con la stufa economica che macina
legna, brontolando e schioccando tra i ciocchi, che
diventa quasi aiutante nella preparazione di pranzi
e cene. La stessa cucina nella quale, avvolti dal
silenzio e dalla tranquillità notturna, è possibile
udire i sussurri e i respiri di piccole creature. La
credenza di legno verde è il mobile centrale della
stanza che contiene vecchi piatti, tazze e ciotole in
ceramica che rimandano al passato, alle persone
che le hanno utilizzate, che ci hanno mangiato e
bevuto. Sono le stesse ceramiche che si ritrovano,
ormai in frantumi, lungo la spiaggia, con tutte le
loro pose, i fatti, le situazioni e gli elementi
raffigurati: un pezzo di orecchio di una bambola di
porcellana o la testa di una donnina, un coccio

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raffigurante un buffo omino che spinge un carretto
e, in un altro frammento, un paesaggio con un
ponte, contornato dalla natura, e che Nina e io
amiamo cercare e collezionare come fossero tesori.
Salendo la scala in pietra si entra nelle camere
vuote e ordinate, ognuna con il suo colore alle
pareti: camera rosa, azzurra, verde... colori vissuti,
colori della natura, colori di crema, di verde, di
cielo, di lago, di fiori sbocciati. Ogni stanza ha letti
di legno scuro e vecchie reti di metallo, comodini
accoglienti e riservati, che hanno ascoltato i sogni
di tutte le persone di famiglia, compresi i miei, e li
hanno racchiusi nei loro cassetti, grandi armadi in
legno massiccio decorati da specchi, ampie finestre
di legno che si aprono ai vari lati della casa e che
volgono i loro sguardi ai monti con la neve e la
nebbia. Affacciata alla finestra della camera verde,
guardo gli stessi monti che hanno accompagnato le
nostre passeggiate e i giri in bici, le scampagnate

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per andare a raccogliere funghi o frutti di bosco;
dalla camera azzurra osservo la sponda lacustre
con la fioritura di azalee, rododendri e oleandri in
primavera, che aggiungono, al verde del giardino,
macchie di colori vivaci che si proiettano nel blu
intenso del lago e del cielo; dalla camera rosa vedo
il grande castagno vicino al cancello d’ingresso,
che ogni autunno regala il piacere della caccia alle
castagne, nascoste dalle foglie secche e umide,
dell’odore della cottura sul fuoco e del dolce
sapore che si scioglie in bocca. Infine, dalla stanza
color panna, vedo l’orto fino al confine del
giardino; il mio sguardo attraversa il prato e gli
alberi da frutta, gli alti abeti che rimandano a un
mondo lontano.
Il luogo protagonista delle nostre avventure più
divertenti e emozionanti è la cantina buia e
silenziosa, umida di terra e legna secca tagliata
l’estate passata, piena di attrezzi a riposo per

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essere usati durante la bella stagione e armadi che
racchiudono ancora gli utensili utilizzati ai tempi
che furono. È il luogo dove anche il topino di
campagna cerca un passaggio per ripararsi dal
freddo invernale e salire in cucina.
Accanto alla cantina si apre la stanza della barca,
che racchiude i ricordi di mio zio, delle sue uscite
in barca con mia nonna, sua madre, e che ora
racchiude anche il ricordo delle mie estati, delle
gite in barca a vela, delle virate intorno alla boa e
delle traversate da una sponda all’altra del lago,
insieme a lui e ai miei cugini. Vicino alla Maretta
Touring riposa la barca a remi, regina delle remate
fino alla villa d’Azeglio, andata e ritorno, degli
arrembaggi dentro la darsena con l’acqua piena di
rami e foglie secche a causa delle forti piogge, delle
remate fino ai pontili dove tutti insieme facciamo i
tuffi. La stanza racchiude anche i ricordi delle
cacce ai tesori trovati nell’acqua dopo una forte

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tempesta, una pallina da tennis o un pallone da
calcio.

È anche il luogo cornice di tanti stupori e scoperte,
come il ritrovamento di una bambola di pezza, che
apparteneva a mia nonna. Ricordo ancora
l’emozione provata nel trovarla in una valigetta
nella stanza della barca, custode dei giocattoli dei
tempi passati. Questa bambola di pannolenci è una
damina d’altri tempi, una bambola rag doll stile
Old England, con gli occhi grandi grandi e blu,
contornati da ciglia disegnate a raggi come piccoli

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soli scuri, le sopracciglia ad arco sottili e ben
marcate, il nasino appena accennato, la bocca
piccola e tonda, rosa confetto, le guance
leggermente rosate, e una cascata di capelli biondi
di lana, elegantemente arruffati, tenuti dal classico
cappello a cuffietta azzurra di lenci, con un enorme
fiocco rosa. Rosa e di panno è anche il vestito, con
vita alta, tenuto da una fascia azzurra con fiocco,
maniche a sbuffo, impreziosite da merletti
anch’essi azzurri, come anche azzurri sono i
merletti che contornano il collo e il fondo della
gonna, dalla quale spuntano spiritose braghette di
cotone in stile floreale, decorate ugualmente da
merletti di pannolenci azzurro. Completano
l’elegante vestito due scarpine azzurre con
fiocchetto. Ma la sua più grande magia è rinchiusa
in quel visino attento e lontano, capace di
continuare a far sognare tante generazioni di
bambine, compresa me.

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Il regno riservato a noi ragazzi fin dalle
generazioni passate è la soffitta, accogliente, secca
di tegole e legno, dove corrono i ghiri per tutta la
notte e dove stanno appollaiati i gufi e le civette,
riempiendo il sonno notturno e i sogni di rumori
magici e misteriosi, di piccoli versi che si
propagano per la casa, che rimanda il canto di un
animale che, gentilmente, augura la buonanotte a
tutte le creature, uomini, animali o piante che
siano. Nella soffitta vivono le storie di tutti noi,
racchiuse nei libri antichi e odorosi di passato
trovati impacchettati nei giornali o in quelli chiusi
nelle vetrinette; nella soffitta vivono grandi bauli,
scrigni e credenze, pieni di nuovo e di vecchio,
della storia della culla di ferro che protesse mia
nonna dalla possibilità di non ridestarsi più dal
sonno, la culla che reca ancora lo schienale scalfito
da un proiettile uscito dalla canna di una pistola,
durante la guerra.

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La casa del lago è il luogo del mio cuore, lo scrigno
che racchiude le vicende belle e brutte, lo specchio
che fa apparire lo stesso giardino sveglio e pieno di
vita in estate, freddo e malinconico d’inverno, ma
che poi, in primavera, sarà, di nuovo, pieno di
colori, che verranno portati via ancora con il vento
dell’autunno, così come nel continuo ciclo delle
stagioni e della natura.

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Ecco perché posso sentirmi in piena sintonia con la
natura quando sono al lago, perché posso
osservare e vivere ancora il ciclo delle stagioni:
l’estate, quando il lago brilla sotto il sole, il cielo è
di un azzurro intenso e gli alberi sono verdi e
rigogliosi, pieni di frutti pronti per essere raccolti;
l’autunno, quando le foglie cominciano a ingiallire,
e tutto si fa umido e odoroso di bosco e di terra, e
quando, a volte, si trovano, sui piani verdi rialzati, i
finferli con il loro colore giallo che attira subito
l’attenzione di chi passa davanti.
I risotti di funghi e di ortiche bollono in cucina sul
fuoco ardente e scintillante della stufa economica
che aspetta, sormontata da casse di frutta e
verdura raccolta nell’orto, che passi tutta la bella
stagione, fino al momento in cui si fa sentire
l’arrivo del freddo, per tornare a lavorare, e
fermarsi ancora in estate, quando il lago e il cielo
prendono un colore blu e si riempiono di schiuma

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di onde e di nuvole. Ho imparato a conoscere e
quindi ad amare ogni momento della natura di
questo luogo meraviglioso: l’inverno, quando gli
alberi spogli formano buffi disegni nel cielo grigio,
quando non è più possibile distinguere la spiaggia
perché le onde ghiacciate del lago l’hanno
inghiottita, quando il lago si confonde con la
nebbia, tanto da non riuscire più a vedere l’altra
sponda, quando tutto intorno si sente l’odore di
legna che brucia nel camino e di biscotti alla
cannella appena sfornati; la primavera, quando fa
ancora freddo, ma sugli alberi spuntano i primi
boccioli e tornano gli insetti, il lago ti sorprende
con temporali improvvisi e nuvoloni, o con
momenti di pace in cui ci si perde in tutto
quell’azzurro di acqua e di aria. Questa è la grande
casa di Oggebbio, sul Lago Maggiore, il luogo dove
ogni istante che passa diventa un ricordo che non
lascerò mai.

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20

Perché la bellezza di un ricordo è l’essenza di un
momento che continua a vivere.
Mi torna ancora alla memoria un fatto che fece
destare il mio stupore, di un giorno d’estate,
l’estate dei tempi, in cui faceva ancora caldo e
andai in spiaggia con la mia famiglia. La spiaggia
era avvolta in un momento di particolare serenità
e silenzio, tra la foschia di gennaio e il calore di
luglio, senza le grida e gli schiamazzi di troppa
gente intorno, e così, come per magia, gli animali
selvatici presero il loro spazio, creando un
equilibrio perfetto tra uomo e natura, come alle
origini della vita. Le papere e i cigni che
zampettavano sicuri sulla spiaggia, un gabbiano
che cercava invano un pezzo di pane e nell’acqua
tantissimi pesci che nuotavano tranquilli. Davamo
il pane alle papere, ai cigni, al gabbiano e ai
cavedani, che spuntavano dall’acqua per
partecipare anche loro alla merenda.

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L’immersione, il distacco dal suolo madre e il tuffo
tra le acque profonde che, quel giorno, pullulavano
di vita. E poi il contatto con la natura e il pensiero
che esistono ancora persone buone. E io
circondata, come un fiore coccolato dalla sua
farfalla, da un’infinità di cavedani e di zampe
palmate delle anatre. La certezza che non siamo
noi ad avere paura degli animali, ma sono loro che
guardandoci, scappano impauriti, quando non si
sentono sicuri, e che abbiamo la possibilità,
attraverso l’armonia, di condividere con loro spazi
e tempi, mi sembrò in quel momento chiarissimo, e
io vissi quell’istante come non feci mai, come
d’estate il riccio cammina svelto nel prato con la
consapevolezza di essere inseguito, ma che,
nonostante tutto, non ha paura di una mano
delicata, tanto che si fa accarezzare. Guardavo il
fondale, come quando un pittore finisce di
dipingere il suo quadro e il solo pensiero che si

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colora nella tavola della sua mente è lo stupore.
Era meraviglioso, pieno di alghe che si facevano
cullare dalla corrente, raccontando storie che noi
non possiamo capire; tutto era di un colore
azzurro verde. La luce del sole filtrava e faceva
brillare la sabbia piena di mica e le squame dei
pesci che si muovevano velocemente in tutte le
direzioni. Le immagini che racchiudono gli attimi

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di quel giorno sono le zampe dei cigni immerse
nell’acqua, le code dei pesci che smuovono la
sabbia in cerca di molluschi e i becchi delle anatre
che ripuliscono il fondale dalle alghe che si
depositano come muschio sulla corteccia degli
alberi. Lo stesso muschio che si deposita su
ognuno di noi perché abbiamo perso la natura di
cui facciamo parte, e che io riesco a ritrovare tutte
le volte che sono al lago.

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