Jessica
Wallace
E
il caso del
clone assassino
Francesco StefanoGambaro
Jessica Wallace
e
il Caso del Clone Assassino
Francesco Stefano Gambaro
Giorno 1
- Ho deciso di cominciare gli esperimenti sulla clonazione umana,
tramite la copia del DNA. Ho intenzione inoltre di registrare le mie
mosse su questo registratore portatile, così da poter affermare la mia
proprietà sulla creazione. Ho già sperimentato il mio macchinario su
alcune specie di topo, con scarsi risultati, dal momento che sono stati
uccisi dalla troppa pressione.
Giorno 8
- Sono finalmente riuscito a risolvere il problema della pressione con
un dispositivo ideato da mia moglie, me lo ha spedito da casa. Le cavie
clonate con successo sono state due su quaranta. Non è un buon
risultato, ma è già un inizio. Credo che sia dovuto al fatto che la
puntura che preleva il DNA li uccida dissanguati, per la troppa
debolezza causata dalla clonazione.
Giorno 18
- Risolto anche questo problema. Ora il macchinario funziona a
meraviglia, quindi, nei prossimi giorni comincerò i test sulle scimmie.
Poi sospenderò gli esperimenti per stare un po’ con la mia famiglia,
perché successivamente farò gli esperimenti su di me.
Giorno 25
Venti scimmie su quaranta hanno dimostrato la rabbia, e tre sono
addirittura morte. La causa è ancora sconosciuta, ma penso che siano
state strangolate dalle altre attraverso le gabbie. Non devo più
lasciarle vicine. Non sono più sicuro di volerlo fare, questo
esperimento su di me. Vedrò di scoprire il problema e procurarmi
nuove cavie. Nel frattempo, continuo a godermi questo bellissimo
tramonto. E’ un peccato che voi non lo possiate vedere.
Giorno 39
Dopo questa sessione di esperimenti con le cavie appena arrivate, ho
ottenuto i seguenti dati: non ci sono scimmie morte e quelle con
rabbia sono “solo” sette su quaranta. Sono quasi al risultato sperato
(ovvero zero scimmie con rabbia), mi basta solo togliere quella piccola
percentuale di possibilità di rabbia. Farò ancora una settimana di
prove, poi tornerò dalla mia famiglia, in America. Non vedo l’ora di
abbracciare mia figlia di nuovo.
Giorno 45
- Porterò a casa il materiale dal laboratorio, sento troppa nostalgia
di casa e della mia famiglia, non so se avrò la forza di ripartire. I
risultati di questo ultimo esperimento sono: una scimmia su quaranta
ha dimostrato di avere la rabbia ed essere iperattiva.
Giorno 52
- Oggi testerò la clonazione su di me. Sto… entrando nella cabina di
clonazione… ho ideato anche un sistema di attivazione da remoto,
così da poter… attivarlo dall’interno del macchinario. Ok… count
down. 10… 9… 8… 7… 6… 5… 4… 3… 2… 1… Attivazione! … … …
Sono pieno di “cough cough” sangue. Il mio clone è scappato di
sopra… dalla mia famiglia. Sento i suoi passi e le urla… le urla della
mia bambina. Jessica!? Marica!? LASCIA STARE MIA FIGLIA! … Non
sento più le urla. No! Andrei subito di sopra, ma sono bloccato nella
mia cella. Eccolo, sta aprendo la porta del laboratorio. Ha… un coltello
insanguinato in mano… COSA VUOI FARE? No fermo. Fermo! Ti
prego, no. TI PREGO! …
- Ma la bambina è viva? - Sì signora. E dato che lei è la parente più
stretta, può decidere se adottarla o mandarla in orfanotrofio. - Ma…
così, su due piedi? - Sì, signora.
- Allora siamo pronti per questa crociera mirabolante, fantastica
incredibile? - disse mia mamma, un attimo prima di aprire la porta.
- Ma’! Ho sedici anni, maledizione! - dissi, con tono svogliato. -
Mamma mia tesoro, quanto sei negativa. Stiamo per partire per una
crociera. - Mmmh. Sì, sì. Ok. - Mi guardai allo specchio. I miei capelli
castani mi ricadevano in faccia, segno che avevo passato la notte a
contorcermi. Erano talmente lunghi che mi arrivavano al collo e
coprivano il mio occhio grigio di destra. La mia finissima faccia era
tagliata a metà. Mi preparai lentamente e svogliatamente e uscimmo
dalla porta. Fummo in macchina in pochi minuti, e il viaggio durò
qualche ora. Vedemmo campi e grandi distese di erba
dall’autostrada. Quando arrivammo al porto, notammo subito che la
nave era enorme. Jessica! Hai preso la macchina fotografica.
- Ma’! Questo si chiama CELLULARE! Si possono fare ANCHE le foto! -
Sarà… Ci accomodammo nella nostra cabina di prima classe,
larghissima e molto sfarzosa. Il programma della nave era senza
fermate, solo puro lusso per due settimane. Per salpare in bellezza,
la sera ci sarebbe stato un ballo di benvenuto. Mi stesi subito sul mio
letto e tirai fuori dalla tasca il mio cellulare per guardare Instagram e
Facebook. Qualche minuto dopo iniziai la mia esplorazione della
nave. Vidi la sala da pranzo, le cucine e le varie sale che ospitavano
spettacoli, buffet e vari corsi di ogni tipo, da seguire durante la
vacanza. Mentre mi mettevo il mio vestito per il ballo, guardai fuori
dall’oblò della nave e vidi il porto, nella sua pienezza di luce, le case
e la collina. Poi guardai il molo, e vidi un tizio, di cui non riuscivo a
scorgere la faccia, girare intorno con una mano sul volto, sembrava
stesse meditando sul da farsi. Pensai fosse un poveraccio e continuai
a prepararmi. Quando finii ero bellissima. Il mio vestito aveva una
scollatura a cuore si diramava fino a finire a terra. Brillava, da quanto
era bello. Andai nella sala da ballo principale e, data la mia golosità,
mi avvicinai al tavolo del buffet. Mi presi solo un tramezzino piccolo,
che mangiai per metà. Ad un certo punto, un ragazzo che sembrava
avere più o meno la mia stessa età, mi si avvicinò, ma qualcuno lo
chiamò per nome e si girò. Solo che, non vedendo nessuno, si rigirò e
mi finì addosso. - Scusami tantissimo! Sono mortificato, chiedo scusa.
Ti sei fatta male? - mi chiese, ansimando. Era alto come me, ma aveva
i capelli corti ai lati e lunghi sopra, di colore nero. Indossava uno
smoking nero e, sotto, una camicia bianca, sulla quale spiccava una
cravatta blu oceano. - No, tranquillo. Mi hai solo urtato. - cercai di
tranquillizzarlo. Era diventato rosso di vergogna. - Magari ti offro
qualcosa, tanto per sdebitarmi. - mi chiese, speranzoso. - Boh, va
bene. - Risposi. Cosa mai potrebbe accadere a bere qualcosa con un
ragazzo? Niente. Arrivammo al bancone del bar e prendemmo un
cocktail. Chiacchierammo un po’, poi andammo a sederci ad un
tavolo. Continuammo a chiacchierare per una mezz’ora e poi
iniziarono i balli. Decidemmo di ballare, ma la cosa ci sfuggì di mano.
Ballammo dei lenti, poi della musica pop, poi scoprii che lui, Daniel,
sapeva ballare la break-dance. Alla fine, verso mezzanotte e mezza o
l’una, ci salutammo e tornammo nelle nostre rispettive stanze. Non
riuscii a dormire, perché il mio pensiero era rivolto a Daniel. Mi aveva
confidato che aveva tenuto gli occhi su di me tutta la sera. E mi aveva
confidato anche che mi aveva urtato apposta. Si era spaventato
tantissimo quando mi ha visto “cadere”, e che aveva pensato di
avermi fatto male sul serio. Io ho risposto con una ristata. Già, ho riso
proprio di gusto. Dopo ci siamo salutati e ci siamo dati appuntamento
al piano superiore l’indomani. Alla fine, seppur pensando e navigando
tra pensieri, mi riuscii ad addormentare. Credo che pensai anche di
scrivere una scheda sulle informazioni che avevo su di lui. Sognai,
sognai una persona, la stessa che avevo visto sul molo. Era tipo un
anime, con gli occhi oscurati e un sorriso gigante che gli attraversava
quel poco di faccia che vedevo. Poi il mio punto di vista venne
afferrato e ingoiato. Nel mio sogno si sentii anche un urlo lacerante,
ma che continuò anche dopo che aprii gli occhi. Pensando che fossi
ancora nel sogno, lasciai perdere. Internet Invece, quando sentii mia
mamma dire di stare in camera, scoprii che forse non me lo stavo
immaginando. - Mamma cosa succede?! - ma non mi rispose: era già
uscita di corsa dalla stanza. La seguii con il cuore in gola e la raggiunsi
poco prima di scendere le scale per seguire le urla. Anche altre
persone ci stavano seguendo. Quando arrivammo alle cucine ci
unimmo ad un gruppo di persone che arrivavano dall’altro lato della
nave, tra cui c’era anche Daniel. Per un attimo, solo un attimo non
provai più paura. Poi, quando sentii urlare le persone entrate nelle
cucine, sbiancai. Entrai anche io e vidi la visione più orribile della mia
vita: una ragazza di schiena con un coltello infilzato alla base della
schiena e un taglio profondo, da cui usciva ancora sangue, che partiva
dalla lama e arrivava alla nuca. Daniel vide la stessa cosa e,
vedendomi paralizzata, mi condusse fuori dalla doppia porta.
Cominciai a lacrimare e mia mamma mi consigliò di andare a dormire.
Il funerale si svolse la mattina dopo gettando una bara in mare. La
bara era vuota, perché il corpo poteva servire per scoprire l’identità
dell’assassino. L’ indomani mi svegliai e vidi tutti molto turbati e
chiusi, quasi diffidenti nei confronti degli altri. Incontrai Daniel e
iniziammo a parlare. - Allora - iniziò lui - come hai passato la notte? -
Mah… più o meno bene. - notai che stava evitando di parlare della
cosa che era successa la notte scorsa. - Allora… tu chi pensi che sia
stato? - domandai, per capire se fosse anche lui diffidente, come gli
altri. - Io non ho anche una minima idea di chi possa essere stato. Ma
comunque, penso che, chiunque sia stato, abbia fatto gridare la sua
vittima apposta, per farci spaventare. - Opzione plausibile, Sherlock.
Ma perché lo avrebbe fatto? - Non ne ho la più minima idea, ma
sicuramente non era quello il suo unico obbiettivo. - E tu come fai ad
esserne certo? - Sono un lettore seriale di gialli, Jess. - Jess? - Boh,
mi sembrava un buon nomignolo. - Ok. Che si fa? - Mmh. È una bella
giornata di sole, potremmo andare in piscina. - Ma sì, perché no?
Comincio anche ad avere caldo. Mi sono sempre chiesta, quando ero
bambina, perché su una nave debba esistere una piscina, perché,
effettivamente, si è in mare. Comunque mi misi il costume in stile
LAMPO e ricorsi di sopra, dove mi aspettava Daniel, che aveva
indossato i suoi pantaloncini. Aveva proprio un bel fisico… Per fortuna
mi chiese - Andiamo? -, perché avrei benissimo potuto stare lì a
guardarlo per ore. La piscina era attrezzatissima: C’erano i trampolini
delle diverse altezze, c’era quel coso che usano per i tuffi alle gare,
che di solito non si vede nelle navi, ma questa era una nave di lusso,
quindi… Le persone sembravano aver quasi dimenticato
l’avvenimento del giorno precedente, e se la stavano spassando alla
grande. La mattina si consumò tutta in piscina e, dopo, andammo al
tavolo dell’aperitivo. C’ erano i tramezzini, le NOCCIOLINE e le olive.
C’erano i pezzi di mortadella e i salumi. Era il Paradiso delle buone
forchette, ed io sono una di quelle. Nel pomeriggio ci fu un esame
delle camere, per capire se l’assassino si fosse potuto trovare
notando dei segni o degli oggetti, ma lo fecero vanamente, siccome
non fu trovata alcuna prova, il che aumentò sensibilmente le paure
di tutti. Ciò andava a contrastare le mie apparenze sul fatto che la
faccenda fosse stata dimenticata. Io cercai di non mostrare il mio
timore, ma stavo morendo dalla paura. Quale era l’obbiettivo
dell’assassino? Ero io? I miei pensieri a riguardo si spensero quando
Daniel mi chiese di cenare con lui e i suoi, e magari portare i miei
genitori. Non credo che arrossii veramente, ma lo feci dentro, più o
meno. OVVIAMENTE dissi di sì, e ci demmo appuntamento alla sala
per la cena verso le otto. Stemmo assieme per altre due orette, dove
passammo per la sala giochi, che aveva i videogiochi, quei giochi in
cui devi fare determinate robe per vincere tickets per ricevere i
premi. Giocammo alla ruota, dove bisogna tirate una leva per fare un
certo punteggio e ricevere un certo numero di tickets, che è
proporzionale al punteggio*. Poi c’ era il tiro delle palline ai secchi,
gestito da una signora super antipatica che sembrava arrabbiata con
il mondo. Io, al posto suo sarei felice di essere pagata per vestire
un’uniforme e sorridere tutto il giorno. Alla fine della serata,
avevamo accumulato un sacco di punti, 243 in totale. Ci prendemmo
un anello de “Il signore degli anelli” e una maglietta della Hollister. Ci
andammo a preparare e ci ritrovammo nella sala per cena. Mia
mamma era vestita molto bene: aveva delle scarpe col tacco nere e
un vestito rosso che arrivava fino a terra. Sembrava una di quelle tipe
spagnole che ballavano il tango e suonavano le nacchere. I suoi
capelli arancioni e i loro boccoli le scendevano fino alle spalle. I
genitori di Daniel, Max e Sara, erano cordialissimi. Sara era molto
bella: era vestita con una giacca di pailletts argentate ed una camicia
di seta nera, con dei pantaloni neri. Max era, invece, vestito molto
simile al figlio, con uno smoking bianco e una cravatta nera, con delle
lucidissime scarpe nere. - Ci accomodiamo? - iniziò il discorso Sara. -
Ovviamente - rispose di rimando mia mamma. Dopo i convenevoli, ci
accomodammo a tavola. I pochi discorsi che seguirono ebbero come
protagonisti la crisi economica e la vita sociale. Arrivò un cameriere
che ci prese le ordinazioni. Io ordinai, come antipasto caviale e burro.
Per primo una ratatouille e per dolce uno strudel e una mela
caramellata. Come omaggio dello chef ci arrivò del caviale
(buonissimo). Durante la cena chiacchierammo del più e del meno,
scoprii anche che Sara faceva l’architetto e Max era un imprenditore
industriale di successo. Ma la conversazione arrivò ad un punto
critico quando Max chiese: - Ma allora… secondo voi chi ha ucciso la
cameriera? - Non ne ho idea… Come mai? - rispose prontamente mia
mamma. - Così da avere qualche indizio in più da usare per scoprire
chi è realmente stato. - Sapete - spiegò Sara - mio marito è un
campione nel risolvere gli enigmi. Sono sicura che lui troverà il
colpevole. Dopo quelle frasi mi stettero meno simpatici i genitori di
Daniel. Non so bene perché, ma non mi piacque il modo in cui lo
dissero. Quindi io e mia madre ci scambiammo uno sguardo d’ intesa
e iniziammo a prendere le distanze. Anche Daniel lo notò, e mimò con
le labbra la parola “scusa”. Per il resto della serata mi domandai se
fosse stata una buona idea quella di distaccarci, oppure quanto lo
avessi messo in imbarazzo. Quando tornammo nella suite, mi distesi
sul letto così come ero e piansi, mi sfogai e alla fine mi addormentai.
Il giorno dopo avevo voglia di tramezzini, ma quando uscii dalla porta
cacciai un urlo: c’era una testa fuori dalla porta di camera nostra.
Colava ancora il sangue, ma la testa era… del cameriere della sera
scorsa. Sopra la testa c’ era scritto: “Ciao, Jessica”. Tutti quelli delle
stanze vicine accorsero nel giro di pochi minuti, e videro me
pietrificata e la testa, infilata nella maniglia della stanza di fronte. Mia
mamma mi porto via, mentre lacrimavo e singhiozzavo. Chiudemmo
la porta e ci sedemmo sul letto, dove la mamma mi abbracciò.
- Quindi… vuole noi, mamma - Tesoro… non abbiamo fatto niente a
nessuno, vedrai che tutto si risolverà. - Mamma… ho paura. - Non
c’ è vergogna nell’ avere paura, tesoro. - Ti… ti voglio bene, mamma.
- Anche io tesoro. Il giorno dopo, non mi vidi con Daniel. Preferii
chiudermi in stanza per tutto il giorno. Uscii giusto per il pranzo, ma
la cena me la feci portare direttamente in camera. E ciò perché vidi
Daniel seduto nel tavolo dietro che mi fissava da quando ero arrivata.
Non volevo che ci vedessimo più, perché avevo capito che l’assassino
voleva me, e non volevo metterlo nei guai. Pensai tutto il giorno,
pensai se potessi ancora essere nelle simpatie del ragazzo che ormai
mi piaceva, se fossi realmente al sicuro e se fossimo riusciti a trovarlo,
l’assassino. Comunque, dopo che mi persi nei miei pensieri, presi il
mio fumetto di Topolino e, con il contributo del farsi cullare dalle
onde, mi addormentai. Questa vacanza non si stava rivelando proprio
bella, come d’altronde me l’aspettavo. Il giorno seguente, mi decisi
di spiegare a Daniel cosa pensavo, di esprimermi e di sfogarmi con
lui. Lo incontrai in sala giochi, dove stava stancamente giocando a
Street Fighters. - Ciao! - dissi. - Ah… ciao. - mi rispose lui. - Allora,
come vanno le cose? - Come dovrebbero andare? Già due morti, tu
che mi volti le spalle e io che sto morendo di noia. Come pensi che
vada? - Oh. - Oh? Non te ne frega proprio niente, allora! Sei proprio
insensibile, tu. Quando abbiamo parlato la sera del ballo ti avevo
inquadrata in un modo diverso. Speravo di aver trovato qualcuno con
cui poter parlare e stare insieme. È stata tutta una perdita di tempo.
Adesso lasciamo stare, ok? E se ne andò, lasciandomi li, senza parole.
Me ne andai anche io, ma dalla parte opposta. Tenevo le braccia
conserte, e mi stringevo forte. Ero, ancora una volta, sconfortata.
Stavolta però, non mi rifugiai nella mia camera, ma andai sul retro
della nave, a guardare l’orizzonte. Ad un certo punto mi diedi un
pugno sulla fronte, che faceva anche male, pensando che ero
un’idiota, e che forse aveva ragione lui. Mi sentivo priva di forze, ed
allora mi si avvicinò un signore. - Anche tu guardi il mare? - aveva una
voce da cinquantenne, ed era vestito in uniforme. Portava un
cappello bianco, tipo quello di Super Mario. - No, signore. Stavo
pensando a certe cose che sono capitate. Ma mi tolga una curiosità.
Lei è per caso il capitano? - Per servirla, signorina. Io penso che il mare
aiuti a concentrarsi. Vorrei restare con lei a contemplare questa
immensità blu che abbiamo di fronte, ma purtroppo delle faccende
mi attendono. È stato un piacere, signorina… - Wallace - dissi,
tendendogli la mano. - Jessica Wallace. Quando si allontanò, ripresi a
pensare. La sera, quando meno me l’aspettavo, venne annunciato un
concerto di una cantante di nome Jane Non-Mi-Ricordo-Come-Si-
Chiamava perché aveva un nome impronunciabile. Mia madre mi
convinse ad andarci assieme. Quando scoprii che suonava musica
country, sperai che non fosse mai esistito quel concerto. Jane,
denominata anche “La tipa”, era vestita da cowgirl, e mi arrabbiai
tantissimo quando vidi Daniel, in prima fila, che la fissava
imbambolato. L’avrei ucciso, fosse stato il mio ragazzo, ma
sfortunatamente non lo era. Non più. Già. Il solo pensiero mi intristì
molto, perché pensai a come ci eravamo trattati. Avrei tanto voluto
ricominciare con lui. Ma LA TIPA ad un certo punto lo chiamò sul
palco a ballare e LUI LO FECE. La cosa mi fece arrabbiare non poco, e,
sotto lo sguardo di incomprensione di mia mamma, uscii dalla sala,
stizzita. Mi addormentai subito, ma solo dopo aver tirato al mio
cuscino una serie indeterminata di cartoni. Il giorno dopo li vidi
assieme, e lei era vestita con una maglietta che le arrivava
all’ombelico e con dei jeans corti, e i suoi capelli biondi spiccavano da
sotto il suo cappello da cowgirl della sera precedente. Meglio che non
vi dico cosa mi passò per la mente in quel momento. Vi basti sapere
che pensai, fra le altre porcherie “Esplodi!”. Ma quando li vedi
baciarsi, vidi che tutti e due ci provavano gusto, e che lei baciava
tremendamente bene, ma anche lui non scherzava. Pensai che avesse
avuto delle relazioni precedenti. Stavo ribollendo dalla rabbia. Ma
quando feci per sorpassarli, si levò un grido di spavento dalla piscina.
Corremmo subito a vedere. Il vetro della cabina di comando che dava
sulla piscina era perforato e nella vasca galleggiava un corpo tranciato
in due, con alcuni organi che cadevano dalla parte superiore. Mi
coprii la bocca con la mano, perché quel corpo apparteneva al
capitano. Dopo la mia ormai consueta reazione alle morti e dopo la
celebrazione del funerale, questa volta con un po’ più di riguardo,
venne deciso che c’era il bisogno di rinforzi. Arrivarono dei militari
direttamente da terra e fecero un controllo di tutte le stanze, ma non
trovarono niente. Fecero un controllo di tutte le sale e setacciarono
la nave da cima a fondo, ma vanamente. - Mamma, cerca me. - Ma
tesoro, non possiamo esserne sicure… - Ieri ho parlato con il capitano.
- Ma, tesoro… è solo una banale coincidenza. - Mamma, non è mai
una banale coincidenza. Sulla scena del crimine è stato trovato un
bigliettino, e hanno pensato che sia giusto che lo abbia io. - Cosa…
cosa c’era scritto? - Che sono adottata.
- Tesoro… - Mi guardò e capii che non poteva più mentire - ok. Allora,
mmh. Io… io… non so come dirtelo. Ma in realtà io sono tua zia. E ciò
mi spiace, perché sei la ragazza più incredibile del mondo. Tua madre
e tuo padre sono stati assassinati, ed io credo che ad ucciderli sia
stato lo stesso mostro che ti sta torturando. Ma, cerca di capire… ti
ho cresciuta ed amata come una figlia, quale sei per me… Vedendola
triste, la abbracciai, per consolarla. - Sei la zia migliore che avessi
potuto avere, mamma. - Grazie, tesoro. È stato scioccante, oggi più
degli altri giorni di “vacanza”. Essere adottata. Ho sempre pensato di
essere fortunata nei confronti degli altri senza genitori, ma ora…
Questo non cambiava neanche di una virgola, né la mia situazione né
tantomeno i miei rapporti con mia mamma/zia. “Zamma”? Oppure
forse era meglio “Mamia”? Ma non avevo tempo da sprecare sulla
faccenda dell’adozione. Dovevo preoccuparmi di più per la faccenda
dell’“Oddio mi vogliono uccidere”. Cosa posso fare? Allora smisi di
immaginare una bella vita con Daniel, e cominciai a pensare ad un
modo per uscire dalla mia situazione scomodissima. Pensai di
potermi offrire come esca per la cattura dall’assassino dei miei. I
militari me lo avrebbero sicuramente chiesto. Pensai a quello che
poteva significare per me, o peggio, per mia mamma. Glielo
comunicai, e lei disse: - Non devi farlo per forza, tesoro. - Ma poi
cominciai a credere che fosse la cosa giusta da fare. Allora andai dai
militari e dissi al caporale Smitson che volevo catturare l’assassino, e
che potevo fare da esca. Lui mi disse che potevamo farlo di notte, per
non allarmare gli altri passeggeri. La sera mi preparai: indossai una
tuta nera per correre, in caso di dover scappare. Allora i militari mi
dissero di camminare come se niente fosse per la nave, nella parte
superiore. Io lo feci. Mentre lo facevo, guardai il mare. Mi appoggiai
alla ringhiera coi gomiti e scrutai l’orizzonte di tribordo. L’acqua era
nera come se un kraken fosse proprio sotto la nave a espellere
inchiostro. Poi, dietro di me, sentii una voce, che, a una certa, mi
sembrava familiare. - Ciao, Jessica. - disse. Mi girai di scatto, ma me
ne pentii amaramente. Dietro di me c’era il tizio che voleva uccidermi,
che teneva Daniel con un coltello affilato puntato alla sua gola. Mi
voltai a guardare mia mamma, che però stava sudando e si stava
coprendo il volto con le mani. Quella persona doveva ricordargli
qualcuno, perché lo fissava con una paura tale da leggergliela sul viso.
- Lascialo andare! - gridai. - Lo lascerò andare, ma solo se tu verrai
con me. Notai che il tipo era molto calmo, agiva pacatamente, come
se già sapesse cosa stessi per fare. Mi doveva aver spiato tanto, così
tanto da capire cosa fossi disposta a fare per Daniel. Guardai il mio
presunto padre, poi Daniel ed infine mia zia. Poi riguardai mio padre.
E decisi che la cosa giusta era consegnarmi per quello… quel
grandissimo… per Daniel. Anche se mi aveva spezzato il cuore, non
doveva sacrificarsi per cose in cui non c’entrava. Sperai che andasse
tutto liscio come l’olio, quando facemmo lo scambio. Ci disponemmo
gli uni di fronte agli altri, e ci fecero andare in direzioni differenti.
Quando ci incontrammo, lo sentii mormorare la parola “Grazie”, e poi
si allontanò. Quando arrivai dal tipo, mi prese di prepotenza e mi
puntò il coltello alla gola, allontanandosi camminando all’ indietro,
verso la prua della nave, dove c’era una scala che portava all’interno
della stiva. Arrivammo all’ estremo della nave, dove c’era un muro,
ma mio “padre” cercò una maniglia nascosta al suo interno e una
porta nascosta si aprì. Mi fece sedere su una sedia e cominciò a
scrivere su un pc. - Perché lo hai fatto? - Uh? Hai anche il coraggio di
chiederlo? Aaaah, ma tu non lo sai, allora? Beh, io sono colui che ha
ammazzato i tuoi genitori. Dalla sua voce si capiva che era
febbricitante e farneticante, ad un certo punto si mise anche a
fregarsi le mani. - Ma mi hanno detto che tu sei mio padre!
- È vero. Ma è anche falso. Io sono un suo clone. - Eh? Oltre che
assassino, sei pure bugiardo! - Sì, sì, continua pure a crederlo. Ma
prima, guarda questo video. Mi si avvicinò e mi girò la sedia verso uno
schermo bianco, e avviò un video, tramite un proiettore. Nel video si
vedeva la ripresa di un uomo e lui intrappolato in una gabbia
cilindrica di vetro, ornata con dei pezzi di metallo agli estremi. L’
uomo con la telecamera ha anche un coltello, e apre la gabbia del mio
rapitore, uccidendolo con vari colpi al petto, mentre la vittima
implorava pietà. Poi, l’uomo che reggeva la telecamera la girò verso
di sé e vidi… mio padre. - Ma che cavolo… come hai… COME? - Lascia
che il video continui. Nel video, mio padre, quello non ancora morto,
parlò. - Allora. Aspetta, come ti ha chiamato l’essere spregevole del
tuo vero padre? Ah, sì. Giusto. Jessica. Allora, ricominciamo. Ciao,
Jessica. Da dove comincio? Da un breve riassunto della storia. Bene.
Tuo padre si è clonato, e io, per vendetta, li ho sterminati. Li ho
distrutti, disgregati. Li ho uccisi. - Sei un… un essere schifoso! - Calma,
le parole. In fondo, io sono tuo padre. - Non è vero! - Sono solo
estremamente più aggressivo! - Come hai fatto, allora ad uccidere gli
altri in tutta calma, se sei aggressivo? - Ho avuto pazienza: sono salito
sulla nave quando hai prenotato il biglietto e ho costruito questa
stanza. Poi ho comprato il biglietto con falso nome e sono salito un
attimo prima del ballo. Ho deciso di architettare un piano studiato nei
minimi dettagli. Ho deciso di seminare paura. E terrore. Diffidenza
negli altri. Poi sono cominciati gli omicidi. La ragazza l’ho attirata nelle
cucine, dicendo ad un ragazzo che il cuoco la chiamava, e, con un
coltello da cucina l’ho squartata. Il cameriere l’ho “accoppato”
perché ti aveva parlato, così da mettere più paura. Gli ho tagliato la
testa e, con i suoi legamenti, te l’ho appoggiato davanti alla porta. Il
capitano è morto per lo stesso motivo. È stato divertente sentirlo
implorare pietà. Mi sembrava tuo padre. Poi ti ho lasciato senza
appoggi. Ho fatto trapelare il fatto dell’adozione, ho pagato Jane
perché facesse in modo che Daniel ti spezzasse il cuore. Ma
tranquilla, dopo di te ti raggiungeranno anche loro due. - Oh, forse
no. - disse una voce alle mie spalle - Daniel! – gemetti. Il clone mi
slegò e mi mise di nuovo il coltello alla gola. Daniel tirò fuori una
pistola - Lasciala cadere per terra. - No! - La vuoi vedere decapitata?
Allora io gli mollai un pestone sul piede, e, nell’ attimo di tranche per
il dolore, mi allontanai gridando -Spara! Mi voltai dall’altra parte e
sentii un colpo di pistola. - Ah! Il clone giaceva morto con un buco
nello stomaco, da cui colava ancora il sangue. - Grazie - mormorai.
- Ho sentito tutto. Jane mi sentirà. Ti amo. - disse, abbracciandomi.
Quelle parole, non so. Mi riscaldarono, ma mi chiusero ancora di più.
Ero sfinita, e spaventata. - Come… come hai fatto a trovarmi? -
Credevi che ti avessi abbandonata? Io vi ho pedinato, ho origliato.
Sono bravo a origliare. Allora ricambiai l’abbraccio, e lo strinsi forte.
La storia finisce così, con un bacio. Un bacio come primo atto di un
lieto fine poetico.
Note dell’autore:
Ho scritto questo giallo per portarlo all’ esame, per questo ci
ho messo anima e corpo a scriverlo. Credo anche che sia uno
dei miei più bei racconti, non che il migliore che io abbia mai
scritto.
Per citare Alessandro Manzoni, spero che la mia trama non vi
abbia annoiati, e soprattutto vi abbia incuriositi.
Ho evitato, dove possibile, di scrivere parti apparentemente
banali. Una persona che ha letto la bozza ha detto che era
una trama contorta, e io sono felice di questo, perché credo
che più la trama sia contorta, più si infittisce la narrazione,
più si suscita curiosità. La prima parte è sotto forma di
racconto epistolare, ma un po’ più futuristico, perché al posto
delle lettere viene usato un registratore, e serve a introdurre
il lettore alla vicenda. Questo lo distingue da un giallo
suspence, facendolo diventare un giallo enigma. Chiedo perdono
inoltre sul fatto che non sia una relazione vera e propria, nei
minimi dettagli, ma, non avendone mai avuta una, non saprei
fare di meglio.
Grazie
Fine
Francesco Stefano Gambaro
è un aspirante scrittore,
studente con una fervida
immaginazione.
Questo testo è stato ideato
da lui e portato avanti nel
corso del periodo scolastico.
Maggio, 2019