Worthless thoughts
Innamorati Carla
1. PRECONCETTI E STEREOTIPI
Siamo la copia, il riflesso degli stereotipi inculcatici
nella testa da una sorta di canone di realtà, che noi
valutiamo e consideriamo come l’unico possibile. Le
ragazze che osserviamo e ammiriamo in TV o sui
social, sono esteticamente belle e apparentemente
perfette, ciò spinge la maggior parte delle ragazzine
della mia età a voler somigliare il più possibile a loro,
a conformarsi a volersi ritrovare in questi modelli,
questi preconcetti ormai impressi nella nostra
mente. Il concetto di “bella ragazza” si è ridotto alla
taglia del reggiseno e al tipo di corporatura, ai vestiti
firmati, o ai capelli tinti, insomma tutte cose
superflue, superficiali. Una persona viene giudicata
bella per il suo aspetto esteriore, per come gli altri la
vedono da fuori, non per la sua singolarità e
particolarità. La bellezza non esiste, la bellezza è tutta
nella nostra testa. La bellezza non è l’estetica. La
vera bellezza è trovata nelle idee, nel modo di
pensare di una persona, nel suo carattere unico,
perché ogni persona è unica e bellissima a suo modo.
In questi quattordici anni di vita, per quanto poco io
ne abbia capito, mi sono accorta che tutti quelli che
ho conosciuto, io compresa, tendono a giudicare e
talvolta ad emarginare le persone che non rientrano
nei suddetti canoni. E’ il caso dei cosiddetti
“secchioni”, degli “sfigati”. Fin da piccola, nei telefilm
e nei cartoni animati sono stata abituare a vedere la
classica storiella: il gruppetto dei popolari della
scuola con la ragazza cattiva, e la ragazza
tendenzialmente buona, che viene inizialmente quasi
bullizzata da quella cattiva, ma che alla fine, riesce a
far emergere il suo valore e a farsi benvolere da tutta
la scuola. La principale differenza fra questi
programmi e la realtà che finora ho sperimentato, è
che non c’è lieto fine per la povera ragazza “buona”.
Quanti di noi, vedendo esternamente queste
situazioni, proverebbero un’immediata antipatia per
la ragazza “cattiva”? Penso praticamente tutti.
Purtroppo, però, l’idea della divisione, della creazione
di diversi piani nella situazione scolastica è quasi
inevitabile, e, inconsciamente, molte persone hanno
recitato la parte della ragazza cattiva in ambito reale.
Io stessa ammetto di averlo fatto. A scuola ci
insegnano a non trattare male i nostri compagni, a
non giudicarli, ci fanno vedere video sul bullismo, che
spesso ci colpiscono, ci fanno pensare a quanto
questo fenomeno possa essere ingiusto, ci fanno
promettere a noi stessi di non provocare mai un atto
di tale crudeltà, ma la verità, la verità che nessuno ha
il coraggio di esporre è che il bullismo è ovunque.
Certo, non a certi livelli, in nessuna scuola che io
abbia frequentato, si sono verificati episodi di
violenza fisica, o almeno non di certi spessori.
Però questa tendenza a dividere la classe, la scuola,
in gruppi, è presente e si sente fin dal primo giorno.
“Io vicino a lui non mi siedo, che sfigato.” , “hai visto
come si è vestita quella?” , sin dall’inizio delle medie
ho notato questo tipo di giudizi superficiali, in un
primo momento non ci ho fatto caso, era quasi
normale per me che in una classe si formassero
queste differenze che vanno anche ad interferire con
i rapporti sociali di essa, ma in questo momento,
mentre sto scrivendo su questo computer, mi rendo
conto che questa non dovrebbe essere la normalità,
non dovrebbe essere la situazione a cui siamo
abituati, no, non dovrebbe.
Sono consapevole di quale sia il gruppo dei
“popolari” della mia classe e della mia scuola, ma
posso affermare che loro non sono consapevoli di
esserlo. Questa situazione di divergenze e fazioni, -
che sono termini dal significato forse troppo grande,
importante, ma non riesco a trovare vocaboli più
calzanti per ciò che sto cercando di descrivere – è
diventata talmente quotidiana, di routine, che i
diretti interessati non sono consapevoli della sua
esistenza.
Chi mai ammetterebbe di credersi in qualche modo
superiore ad altri? Chi mai ammetterebbe di esserlo?
Nessuno lo ammette ma quasi tutti ne sono
fermamente convinti. Ci sono dei canoni nei quali una
persona deve rientrare, per essere considerata degna
da altre che si atteggiano con fare di superiorità. Per
tre anni, anzi se devo dire la verità, durante tutto il
mio percorso scolastico ho cercato di rientrare in
quei canoni, è stato quasi il mio principale obiettivo.
Cercare di essere accettata, non per come sono
realmente, accettata e basta. Perché è questo quello
che si fa quando si tenta in tutti i modi di dimostrare i
propri valori agli altri: li si oscura. Si mettono da parte
le proprie particolarità e ci si conforma alla massa,
creando una sorta di maschera da indossare al fine di
piacere alla gente. E così, non riesci più nemmeno a
distinguere il vero te stesso dal te stesso che sei con
gli altri, i due personaggi si fondono e si confondono.
Tutti ormai assumono gli stessi comportamenti, gli
stessi modi di fare, di dire, indossano gli stessi vestiti,
ascoltano la stessa musica, la personalità delle
persone si semplifica, si assottiglia sempre più e si
riduce ad una linea sottile, linea su cui sono posti
questi individui, ormai quasi uguali in tutto e per
tutto, che si percepiscono così grandi, così
importanti, ma su questa linea sono solo degli
insignificanti ed identici punti. Ma perché fare tutto
questo? Perché per sentirsi speciali, importanti,
dobbiamo adottare comportamenti che talvolta non
rispecchiano il nostro modo di essere? Ma
soprattutto, ne vale la pena? Se devo essere sincera,
non ho ancora trovato risposte precise a questi
quesiti, e non penso ce ne siano.
Durante questo mio percorso ho appreso che il
giudizio delle persone è spesso inutile e superficiale,
ma è difficile per me e penso per tutti, non farci caso,
non darci peso. Sono consapevole che qualsiasi cosa
io faccia, qualsiasi cosa una persona faccia, verrà
sempre giudicata e criticata. Se ti applichi nella scuola
sei secchione, se non lo fai non hai voglia di fare
niente. Se ti trucchi, lo fai per attirare l’attenzione, se
non lo fai sembri appena alzata dal letto. Se stai sulle
tue sei asociale, se cerchi di integrarti ti rifiutano. Ho
imparato che non posso niente contro il giudizio
altrui, perché è come un vortice infinito, come un
boomerang, qualsiasi cosa tu faccia torna sempre
indietro, ti si può rivoltare contro, qualsiasi cosa non
è mai abbastanza agli occhi degli altri. Probabilmente
non sono la persona più adatta per parlare di questi
argomenti con fare di estraneità rispetto questo
modo di ragionare, perché io stessa giudico con
facilità le persone senza conoscerle, senza sapere
cosa hanno passato, cosa li ha spinti a intraprendere
determinate scelte o azioni. Ma penso che tutti,
anche le persone più buone, più giuste, abbiano fatto
questo errore almeno una volta nella vita. Viviamo in
una società in cui tutti ne vogliono sapere di più, tutti
sono in grado di giudicare su tutto, e anche se noi
non vorremmo, questo fatto ha delle ripercussioni sul
nostro modo di ragionare e di rapportarci.
Il consiglio che do, e che in questo periodo ho
ripetutamente dato a me stessa è quello di non
badare a ciò che la gente dice, all’opinione spesso
errata che si può formare attorno alla propria
persona; ma, io raramente riesco a mettere in pratica
ciò che sono i miei pensieri, e soprattutto in questo
caso, non penso accetterò mai che anche un solo
individuo al mondo si faccia un’idea sbagliata della
mia persona, ma sono anche consapevole che ciò sia
inevitabile, e anche col passare degli continuerà ad
esserlo.
Nell’arco della mia breve esperienza scolastica, ho
imparato a osservare i miei compagni di classe, a
farmene un’idea e ad imprimerla, a marchiarla nella
mia mente come un tatuaggio, come una scritta
indelebile, che raramente ha la capacità di
scomparire. Involontariamente ho creato anch'io, nel
mio cervello, una classificazione dettagliata di tutti i
miei compagni, nonostante questo vada
completamente contro ciò che ho elaborato nei miei
ragionamenti. Solo ora mi rendo conto di quanto
tutto questo possa essere sbagliato, di quante
persone si possano ferire attuando questa sorta di
divisione, di quante persone invece ormai si siano
abituate ad essere giudicate e classificate, e quindi
non faccia più la differenza per loro. Forse è questa la
cosa più triste. Persone che per tutta la loro esistenza
sono state trattate come inferiori per il loro aspetto,
per la loro attitudine nello studio, o per la loro
situazione economica e familiare, per il loro modo di
rapportarsi, per una miriade di preconcetti che ormai
sono fissi nelle nostre menti e che non abbiamo ne la
capacità, ne l’intenzione di distogliere. Questo è il
bullismo dal mio punto di vista, questo è il bullismo
che sperimentiamo ogni giorno sulla nostra pelle,
forse non è una forma così evidente, ma è di sicuro la
più diffusa. Potrebbe parere perfino banale nel suo
complesso, come una bambina che si lamenta con la
mamma “Mi escludono, non mi fanno giocare con
loro” ed in effetti è quello il concetto, solo
notevolmente amplificato, soprattutto in un età
come l’adolescenza, un età in cui ancora ci stiamo
inoltrando, ma di cui già percepiamo, o almeno io
percepisco i sintomi. Non sentirsi mai abbastanza,
costante ansia, quasi paura di ritrovarsi soli, senza
nessuno dalla propria parte.
Probabilmente sono solo impressioni, idee contorte
che il nostro cervello elabora a causa dello stress e
della preoccupazione, ma a volte non posso fare a
meno di rifletterci su.
La cosa che mi farebbe più piacere sarebbe che tutti
potessero fare le cose che più li appassionano, e in
cui emergono maggiormente senza la costante ansia
e la pressione dell’opinione altrui. Se una persona
ama studiare non dovrebbe essere criticata per la sua
passione, non dovrebbe reprimerla. Se invece fosse
interessata alla musica classica, dovrebbe ascoltarla
in pubblico, esserne fiera, non vergognarsene e di
conseguenza smettere di coltivare questi particolari
gusti.
Se la passione di una ragazza fosse la danza, non
dovrebbe nasconderla a causa della sua taglia
elevata, del suo corpo, dovrebbe essere orgogliosa di
se stessa e danzare senza paura di essere giudicata.
Se tutti noi cercassimo di essere noi stessi senza
modificarci per piacere agli altri, probabilmente
sarebbe molto più facile coltivare i nostri piccoli
sogni, sviluppare le nostre abilità, fare le nostre
scelte senza timore.
Ma purtroppo, pur di non essere giudicati “strani”
preferiamo rimanere nell’ombra, o, come ho
precedentemente detto, conformarci con delle
maschere.
Per quanto piccoli possiamo essere, dovremmo
essere capaci di vedere oltre. Io a volte ci provo,
provo a vedere oltre i preconcetti, oltre gli stereotipi,
oltre la mentalità sempre più diffusa. Una ragazza
non deve per forza fingersi stupida e superficiale,
attaccata alle cose, ai vestiti, ai trucchi, non deve per
forza essere debole e indifesa in ogni situazione, una
ragazza non ha bisogno di nascondersi dietro a
queste idee ridicole che non sono altro che idee. Una
ragazza è bella a modo suo, non perché cerca di
essere una fotocopia di ciò che si pensa essere la
ragazza ideale. La ragazza ideale non esiste, così
come non esiste il ragazzo ideale, il professore ideale,
l’allenatore ideale. Niente di tutto questo è reale,
siamo tutti diversamente unici e perfetti, e non
dovremmo mai avere paura di mostrarlo.
2. UN MONDO DI APPARENZE
Oggi, fra i ragazzi della mia età, c’è la tendenza a
voler rendere tutto pubblico, qualsiasi azione
quotidiana, evento personale, persino le cose più
banali vengono condivise con una miriade di persone
a cui probabilmente interessa poco o niente di ciò.
Dal mio punto di vista, i social media sono vantaggiosi
secondo certi punti di vista, Instagram, Facebook,
Whatsapp… sono tutti mezzi che noi sfruttiamo per
comunicare con gli altri e per fare nuove conoscenze,
e sono totalmente d’accordo con questo. Ma queste
piattaforme non devono andare ad intralciare i
rapporti reali fra di noi, facendo si che la gente non
comunichi più parlando, ma messaggiando, che il
nostro principale obiettivo sia racimolare più likes
possibili, che la nostra giornata sia continuamente e
ininterrottamente occupata da presenze altrui, al di
fuori di ciò che stiamo facendo, di quello che stiamo
vivendo, a volte sembra quasi che non ci bastino le
persone affianco a noi, pertanto abbiamo bisogno di
inoltrarci in questa finta ma ormai sempre più vera
realtà alternativa.
A volte subentro così profondamente in questa finta
realtà basata sulle apparenze che non riesco a
sopportarla. Tendo a giudicare i ragazzi che
condividono tutto sui social e mi lamento, pensando
in qualche modo di essere superiore a loro, superiore
a questa finzione, ma man mano che il tempo passa
mi accorgo che mi sto inconsapevolmente
addentrando in essa, ne sono parte, tutti ne facciamo
parte. Ero solita a trascorrere ore che sembravano
infinite davanti al telefono, ammiravo, incantata, la
vita perfetta che tutti sembravano avere, che si
dipingevano autonomamente su questa tela vuota e
trasparente che tutto il mondo è in grado di
osservare, e mi deprimevo, più stavo sui social più mi
sentivo inevitabilmente inferiore, ma non riuscivo a
staccarmene, volevo, volevo e voglio disperatamente
sottrarmi a questo finto paradiso, a questa solida
costruzione che ogni giorno si fortifica, e il mio solo
desiderio è quello di distruggerla, di farla cadere a
pezzi. Ma non ci riesco, non riesco a estraniarmene
ma non riesco nemmeno a farne completamente
parte. Sono in una sorta di spazio neutro, indefinito.
In questo periodo ho voluto compiere un drastico
distacco da tutto ciò, forse per dimostrare di essere
una persona vera, che non ha bisogno di apparire ma
di esistere, ma dimostrarlo a chi? Perché sento il
bisogno di dover dimostrare qualcosa a qualcuno?
Questo azzera e rende incoerenti tutti i miei pensieri,
che messi su un piano obiettivo sembrano così inutili
e superficiali. Questi ideali hanno assediato il mio
cervello e vi si sono insediati senza che io potessi
opporre resistenza. Ormai hanno occupato la mente
di quasi tutti gli uomini. Il fine di qualsiasi azione
sembra quello di apparire agli occhi degli altri e non
più quello di stare bene con se stessi.
Ormai nessuno può più fare a meno di ragionare
secondo tali principi.
E quindi mi ritrovo a chiedermi, chi sono veramente
io per giudicare persone esattamente come me?
Persone che si sono trovate incastrate in questa rete
contorta e che si sono dovute adeguare per non
essere emarginate? Perché alla fine, se non ti adegui
finisci fra gli scarti, fra gli sfigati, ma perché? Qual è il
vero senso di tutto questo? Perché condividere
qualsiasi momento dimenticandosi di viverlo
veramente? Stiamo veramente vivendo, o vogliamo
solo convincere il mondo di ciò? Arrivati a questo
punto, sono consapevole che questi saranno gli
ennesimi interrogativi senza risposta.
Ci sono pomeriggi nei quali mi ritrovo sola a casa, per
studiare, per rilassarmi, e sul mio cellulare
compaiono storie su storie di persone che escono, si
divertono. Inizialmente provavo una sorta di invidia
verso di esse, ma ora, l’unica cosa che quelle
pubblicazioni provocano in me è un forte sentimento
di pena verso queste persone, queste persone che
stanno insieme ma in realtà sono sole.
Li vedi li, seduti in cerchio, ognuno col suo telefono,
ogni tanto si fanno qualche foto, per dimostrare che
si stanno divertendo, ma è questo divertirsi? E’
questo essere amici? Ormai le amicizie vengono
sancite, ufficializzate con un post e qualche frase
presa da internet, e ciò provoca una grande tristezza
in me. Riuscirò mai a trovare qualcuno di vero? Più
vero di tutti gli altri, più vero di me? Qualcuno
estraneo ma allo stesso tempo consapevole di questa
finta realtà, qualcuno che ha scelto di non farvi parte,
qualcuno che è riuscito a resistere. Qualcuno che
possa aiutarmi a farlo, perché io provo,
insistentemente, disperatamente a farlo, ma non ne
sono in grado, è per questo che critico tutti, perché
non sono in grado di essere come loro, magari
inconsapevolmente lo voglio, voglio sentirmi parte di
qualcosa, ma semplicemente non ci riesco, non sono
capace.
La verità è che sto trattando questi temi non perché
io ne sono in qualche modo esterna, sostanzialmente
ne io ne nessun’ altro potrebbe permettersi di
giudicare o anche più semplicemente di parlare con
fare di superiorità di questi argomenti, perché bene o
male ci siamo tutti dentro.
Questo stile di vita è penetrato nella nostra società e
ci ha circondato andando inevitabilmente ad
influenzare il nostro modo di agire e pensare, senza
che noi potessimo fare nulla per impedirlo. E la cosa
più brutta, la cosa che mi fa stare peggio è che
nonostante io provi ad essere diversa, denigrando i
gusti monotoni e superficiali dei miei coetanei, non
sono migliore di loro. Chi sono io per parlare di
questo? Chi sono io per pensare di cambiare
veramente le cose?
L’accettazione della propria impotenza di fronte a
questa situazione e a parer mio la peggior sensazione
che si possa provare.