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Published by urbanapneaedizioni, 2019-09-10 16:27:01

Teologia del Dominio

Teologia del Dominio

TEOLOGIA DEL DOMINIO
J. L. Bryan

Traduzione di Giuseppe Bellomo, Dafne Munro, Dario Emanuele Russo

Editori Dario Emanuele Russo / Dafne Munro
Direttore editoriale Dario Emanuele Russo
Redattrice Dafne Munro
Correzione di bozze Federica Fiandaca
Coordinamento editoriale Giuseppe Bellomo
Impaginazione Alessio Manna
Valutazione Antonio Vena
Co-finanziatore Chiara Lecito

Titolo originale: Dominion,
J.L. Bryan 2009

Urban Apnea Edizioni, 2019

Via Antigone 123, 90151 Palermo
www.urbanapneaedizioni.it
[email protected]

Questo libro è in Licenza Creative Commons negli Stati Uniti.
Lo traduciamo con la gentile concessione dell’autore.

Copia cartea in edizione speciale.

ISBN: 9788894410624

SPONSOR:





Black gold for silver stars
cold hard cash for armored cars
the brass ain’t fighting but they’re sure as hell taking a stand
and they’ll have to live with American blood on their hands.

“American Blood”
Reckless Kelly, 2008

I

Daniel Ruppert, allontanandosi dalla cupola nera di acciaio rinforzato
degli studi GlobeNet, si era addentrato nell’inferno claustrofobico di
South Los Angeles. Nei quartieri più estremi della Zona di Risanamen-
to Economico, dove il Comitato per le Risorse ed Energie Occidentali
concedeva fino a quattro ore di elettricità quotidiana e ben sette litri
e mezzo di acqua ad abitazione (nel tentativo di scongiurare le rivolte
per l’ultima revoca della Guardia Nazionale), le strade si sgretolava-
no dietro di lui. Nuove restrizioni erano in programma per il mese
successivo. Ripreso dalle telecamere triangolari di sorveglianza della
GlobeNet che, come un nugolo di avvoltoi sorvolavano i luoghi sensi-
bili, Daniel redigeva le relazioni in uno stato di costante apprensione.
Durante il telegiornale della sera aveva descritto le nuove misure
come un’audace iniziativa per incrementare la prosperità e le opportunità
dei cittadini di South Los Angeles. Si era domandato se “incrementare”
fosse la parola appropriata, dal momento che implicava, prima di tut-
to, che quelle condizioni esistessero davvero. La parola, come il tono
complessivamente positivo della storia, era stata scelta dal network e
un semplice reporter come lui non era autorizzato a interferire con
eventuali revisioni. Daniel era solo un mezzobusto, qualcuno in grado
di apparire affidabile e rassicurante, indipendentemente da quello che
diceva o da quanto mentisse.
Mentre viaggiava lenta e lussuosa lungo la devastata 405, la sua nuova
Ford Bluehawk 2035 si stagliava come un gioiello, accelerando ogni
volta che affrontava il sottopassaggio di una sopraelevata pericolante.
Molto spesso i barboni, appostati all’ombra sotto i ponti, tendevano
agguati a obiettivi appetibili inserendo esplosivi allestiti in casa nelle

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crepe delle carreggiate, oppure con raffiche di vecchie mitragliatrici.
Per lo meno questo era il genere di insidie che Daniel denunciava du-
rante i notiziari locali. Il divario tra il mondo reale e quello fittizio,
confezionato ad arte per l’audience, era impalpabile e poroso perfino
per lui, perché ignorava del tutto se stesse dicendo la verità oppure
no. Tutto era una smisurata sceneggiatura.
La maggior parte delle rampe di quel tratto dell’interstatale era se-
polta dall’immondizia e dalle macerie del terremoto. Su per le rampe,
dietro i cordoli arrugginiti e i collegamenti a catena che costeggiavano
l’autostrada, molte delle vecchie costruzioni in calcestruzzo erano al
buio, a eccezione degli occasionali bagliori rossi dei fuochi che luc-
cicavano dalle fessure delle finestre. Quattro ore di elettricità erano
chiaramente un’esagerazione. Il Comitato per le Risorse ed Energie
Occidentali concedeva non più di un’ora, e forse neanche quella.
Quell’annuncio era stato diffuso per rassicurare i residenti delle zone
circoscritte di Beverly Hills e Orange County che ci si stava adoperan-
do per le masse disagiate di South L.A.
Da lì a quattro settimane avrebbe letto davanti alle telecamere la no-
tizia che gli abitanti di South L.A. avevano sabotato trasformatori e li-
nee elettriche, o che avevano usato l’elettricità per alimentare attività
insurrezionali e, di conseguenza, l’interruzione dell’energia elettrica
sarebbe stata necessaria ancora una volta. Davanti a drink ghiacciati,
sul limitare di curati campi da golf dove schiere di alberi nascondeva-
no le recinzioni di filo spinato elettrico, i colleghi di Daniel avrebbero
scosso la testa commentando l’impossibilità di venire incontro a quel
genere di persone. A sostegno di questa versione, la Guardia Nazio-
nale sarebbe stata inviata per un altro turno di presidio. Centinaia di
adolescenti e ragazzi sarebbero stati trascinati nei già sovraffollati

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Penitenziari di Emergenza, mentre la parte benestante del pubblico
televisivo avrebbe proseguito con la propria vita, soddisfatta che quel-
lo che poteva essere fatto, era stato fatto.
Daniel non si sarebbe mai dovuto dirigere a Sud. Abitava al Nord, a
Bel Air, in una casa di tre piani ben protetta, in una cella suburbana ad
alta sicurezza dove tutte le case si affacciavano su un “parco” al cen-
tro di un cortile, completo di altalene che nessun bambino obeso del
quartiere si sarebbe mai azzardato a toccare.
Lui lì non c’entrava niente. Dirigersi nella zona Sud non era certo il-
legale, però altamente sospetto. E il sospetto aveva più rilevanza della
legge. Il sospetto era sufficiente a spedirti al Penitenziario di Emer-
genza, sebbene, con il suo lavoro e con il suo background, era più fa-
cile che finisse per affondare negli incubi delle prigioni psichiatriche
statali. O direttamente ucciso, opzione preferibile.
Raggiunse la sua uscita dopo aver attraversato il cupo labirinto di un’a-
rea commerciale in malora, e avanzò fino ai cancelli del LUOGO-PRO-
TETTO. Sventolò la sua carta d’accesso e il cancello si aprì cigolando.
Durante il black-out di South L.A., la struttura del LUOGO-PROTETTO
poté contare sul proprio gruppo elettrogeno di emergenza. Faceva parte
del pacchetto per le garanzie di qualità. Navigò lungo corridoi di matto-
ni bassi, fiancheggiati da saracinesche arrugginite chiuse con lucchetti
a impronta digitale, fino all’unità 332, dove parcheggiò. Scese e respirò
l’aria bruciata della notte avvelenata dall’ozono, mentre la saracinesca
si chiudeva silenziosamente alle sue spalle. Il produttore aveva garantito
che il funzionamento meccanico della saracinesca fosse come “il mor-
bido tocco di un maggiordomo”, cosa che a Daniel suonava disgustosa.
La sua macchina si chiuse in automatico, il parabrezza e i finestrini si
oscurarono. Aveva disabilitato il GPS. Se gli fosse stata chiesta una spie-

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gazione, avrebbe risposto che si era guastato e che non aveva avuto tem-
po di portarlo all’assistenza. Era verosimile che non l’avesse disattivato
da solo, quale persona sana di mente avrebbe corso il rischio di staccarsi
dalle comode e rassicuranti tracce della rete? D’altro canto si rese conto
che quella scusa l’avrebbe protetto non più di qualche settimana.
Il consunto lucchetto sulla porta del deposito e la vecchia chiave di
metallo lo avevano sempre affascinato. Quella era l’unica chiave ma-
teriale che possedeva. L’ingresso alla sua auto, alla sua casa e al suo
ufficio si basava su dati biometrici. Un tale oggetto implicava attività
segrete fuori-dalla-rete, e rappresentava un ulteriore insidioso motivo
di sospetto. Il lucchetto strideva e, quando si aprì, il chiavistello del
capannone liberò scaglie arrugginite.
Daniel sollevò la porta del garage, fece qualche passo avanti, e lasciò
che si richiudesse vibrando dietro di lui. Azionò la torcia. La luce illu-
minò i mobili ammassati: un divano, una poltrona reclinabile divorata
dalle termiti, un’ottomana rotta, un tavolino da caffè, alcune scatole di
cartone impolverate piene di libri e vestiti ammuffiti. Niente di quello
che aveva passato in rassegna era suo. Si trovava già lì quando aveva
affittato il deposito comprensivo dei residui abbandonati della vita
di qualcun altro. Quando Daniel l’aveva affittato, il proprietario della
struttura, un vecchio mezzo cieco di nome Carlos, aveva evitato di
prendere l’argomento sullo sgombero dei precedenti affittuari, ma lui
non se n’era lamentato e non si era nemmeno preso la briga di occu-
parsene. Quel mucchio di robaccia rendeva il garage piuttosto anoni-
mo, niente per cui gli agenti del Dipartimento del Terrore avrebbero
perso tempo. All’esterno, un lungo fischio sibilò nella notte, seguito
dal boato di un’esplosione. Una granata a razzo. Gli abitanti erano di
nuovo in guerra, o con l’autorità, o tra di loro. Il pavimento sembrò

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crollargli sotto i piedi, una nube di polvere proruppe dal tetto, e poi
nel mondo intorno a lui tornò il silenzio.
Aprì a fatica il cassetto più basso di uno schedario pieno di documen-
ti, li ammassò davanti a sé. Dal retro estrasse il suo bene più prezioso,
un cubo grigio un po’ più piccolo di un pugno, incastonato di lucci-
canti ideogrammi cinesi e una sola parola inglese stampata sul fondo:
SinoDyne, con il numero di serie abraso. Era vecchio di tre o quattro
anni, ma molto più avanzato di qualsiasi altra merce non autorizzata.
Il Dipartimento del Terrore aveva dichiarato illecito qualsiasi oggetto
portatile avesse una bassa rapidità di elaborazione, in modo che la
gente fosse costretta ad accedere alla rete di casa o degli uffici, che
erano più facili da tracciare e registrare.
Si collegò all’interfaccia: lenti VR, auricolari, guanti. Resistette all’im-
pulso di controllare all’esterno. La struttura era blindata, ma rimpianse
di non aver noleggiato un altro deposito per nascondere meglio la sua
auto. Ogni cosa prodotta negli ultimi dieci anni avrebbe insospettito il
vicinato. Al momento, solo un elicottero di pattuglia sarebbe riuscito a
individuare la sua auto, e quegli elicotteri lo preoccupavano più dei cri-
minali di strada. Un criminale gli avrebbe soltanto rubato la macchina,
e forse tolto la vita. Bazzecole in confronto al Terrore.
Avviò la consolle cinese e si immerse in un mondo di ideogrammi. La
sua fantasmatica mano virtuale selezionò l’icona della traduzione e il
sistema si convertì in inglese. Daniel, oltre al suo idioma, non cono-
sceva né una parola di cinese né di qualsiasi altra lingua. Impararne
una seconda era considerato pericolosamente antipatriottico.
Indirizzò la sua ricerca all’archivio del BolivarNet, uno dei tanti siti
illegali a cui aveva accesso, di norma impossibili da visualizzare. Era
alla ricerca di notizie fresche non censurate dall’iter di approvazione

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del Dipartimento del Terrore e BolivarNet offriva continui aggiorna-
menti sulle guerre in Sud America.
Daniel divenne un partecipante virtuale di una scena registrata in pre-
cedenza sulle strade di San Juan, Argentina, dove gli appaltatori dell’At-
lantico avevano combattuto una lunga guerra contro le forze del merca-
to comune del Mercosur, o per contenere il virus del fanatismo politico
neocomunista, o per controllare le miniere locali di oro e rame, il mo-
tivo era abbastanza velleitario. Forse il video era stato registrato dai
guerriglieri argentini, ma Daniel non riuscì a risalire alle fonti.
Nella sua proiezione virtuale, un convoglio di carri armati neri gli
passò a fianco schiacciando detriti e rifiuti ossidati delle automobi-
li abbandonate che ingombravano il barrio. Un lato dei carri armati
era marchiato con la lettera “H” nera della Hartwell Services Inc. con
un cuore disegnato sull’asta orizzontale della lettera e inserita al cen-
tro di un ovale dorato. Sui lati opposti dei carri armati sventolava la
bandiera della Nuova America: una sola grande stella bianca su un
quadrato blu incorniciato da tre grosse linee, due rosse e una bianca.
Forse qualche assistente al marketing, o chi per lui, aveva ridisegna-
to la bandiera così che i bambini potessero ricopiarla più facilmente
e sviluppare il valore del patriottismo già dall’infanzia. Il Presidente
Winthrop aveva proclamato che quell’unica stella ben rappresentava
la Nuova America che era molto più coesa, e ne attribuiva il merito
alla sua amministrazione. Centinaia di proiettili di artiglieria esplode-
vano dai cannoni demolendo le ultime case di argilla ancora in piedi.
La maggior parte del quartiere era in fiamme e devastato dai recenti
bombardamenti aerei. Gli altoparlanti dei carri armati gracchiavano in
inglese “Deponete le armi. I ribelli non saranno risparmiati. Deponete
le armi. I prigionieri saranno graziati. Deponete le armi”. Il cannone

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del carro al comando girò rapidamente verso il videomaker e così Da-
niel si ritrovò a correre lungo un vicolo: era come il pubblico passivo
di chiunque stesse girando il video. Davanti agli occhi gli rimbalzava-
no pezzi di muri in frantumi, il cielo era oscurato dal fumo nero e la
terra coperta di macerie. L’operatore, insieme ad alcuni meticci arma-
ti che lo accompagnavano, scese una ripida rampa di scale. Daniel non
sapeva se quelle scale fossero state progettate per l’esterno oppure se
un tempo avessero fatto parte di uno stretto tunnel sotterraneo all’in-
terno di una casa. Intravide nell’ombra cadaveri scheletrici e smem-
brati. L’operatore corse fino all’oscurità del sottosuolo e il video si
interruppe. Evidentemente i ribelli non volevano che occhi esterni
sbirciassero all’interno della rete dei sotterranei di San Juan. Daniel
tornò all’archivio del BolivarNet, circondato da sfere fluttuanti e cubi
impressi in varie lingue, ogni forma geometrica rappresentava un vi-
deo differente, un file audio o di testo, fornito dai ribelli argentini. Per
vedere gli aggiornamenti dal Brasile e dal Venezuela avrebbe potuto
accedere ad altre “stanze”, ma già si sentiva abbastanza sconvolto e
non aveva fretta di conoscere altro. I crimini che aveva commesso
erano sufficienti a meritare la reazione del Dipartimento del Terro-
re, che aveva giurisdizione su ogni tipo di propaganda straniera. Uno
dei loro agenti, George Baldwin, occupava un ufficio alla GlobeNet in
fondo al corridoio degli studi di Daniel. La sua mansione era garantire
che nessun tipo di propaganda terroristica si infiltrasse, anche acci-
dentalmente, nella programmazione della GlobeNet. Inoltre si occu-
pava di indirizzare le informazioni delle fonti ufficiali ai giornalisti.
Secondo la versione fornita da Baldwin e raccontata al pubblico, il
popolo argentino viveva sotto la brutale dittatura di un tiranno neo-
comunista, e quindi implorava l’aiuto dell’America. Il Presidente Win-

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throp, dall’alto della sua pietà e benevolenza, desiderava solo la loro
libertà. Daniel era diventato il ricettacolo delle notizie dall’estero, fat-
to che lo avrebbe automaticamente marchiato come un simpatizzante.
La consolle cinese, integrata con il software di traduzione, era illegale.
Nessun cittadino onesto voleva ricevere notizie da fonti estere non
autorizzate, mentre lui da anni desiderava scoprire la verità che si ce-
lava dietro le storie che riportava giorno dopo giorno, forse perché da
giovane aveva imparato quel tipo di giornalismo che considerava fon-
damentale verificare le fonti di ogni notizia, con controlli incrociati e
fatti concreti. La Legge Anti Propaganda e Sedizione aveva soppresso
quel modo di fare giornalismo e ormai i reporter della GlobeNet non
si ponevano neanche più il problema se la notizia fosse vera o falsa,
solo se fosse riportabile o non riportabile.
Daniel si scollegò dalla consolle mentre le immagini del quartiere
devastato bruciavano ancora dentro ai suoi occhi. Quell’unico colle-
gamento era stato più che sufficiente. Era sempre consigliata la pru-
denza, nel caso di ritrovarsi in un interrogatorio faccia a faccia con
un agente del Terrore. Doveva pensare anche a sua moglie Madeline,
che, riflettendoci bene, poteva essere una agente anche lei. Nascose la
consolle, chiuse a chiave il deposito e tornò alla macchina.
Mentre accelerava verso Nord sulla superstrada sconquassata, si sentì
stupido e si vergognò. Cosa poteva ottenere dalle informazioni non uffi-
ciali, avrebbe solo messo a rischio se stesso e Madeline, oltre al lavoro e
alla casa. Riusciva quasi a immaginarsi ammanettato in fondo a una gab-
bia del Penitenziario di Emergenza, a sbraitare come un cane affamato
insieme ad altri prigionieri, invocando la dose quotidiana di proteine
all’ora dei pasti. Daniel spinse sull’acceleratore puntando a Nord, lon-
tano da un mondo inquietante, vero e frammentato, verso l’ordine luc-
cicante e di facciata di quella parte di mondo ufficialmente autorizzato.

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II

Daniel si sedette alla sua scrivania lucida, con la faccia rivolta a una
parete vuota del medesimo colore. Un’unica tonalità brillante ricopri-
va ogni superficie dal pavimento al tetto. Un tecnico video, che si oc-
cupava dello stile mensile, avrebbe presto aggiunto dei motivi grafici.
Dalle pareti sporgevano lenti nere e concave che catturavano la vista
a trecentosessanta gradi in visuali dinamiche, movimenti e panorami-
che per catturare lo sguardo degli spettatori annoiati. Sullivan Stone
agguantò la sedia verde alla sinistra di Daniel Ruppert. Portava i capel-
li biondi con un severo taglio alla Marines (Sully non aveva mai pre-
stato servizio nelle forze armate). Gli ologrammi in movimento sulla
sua cravatta mostravano brevi scene della partita dei Dodgers della
sera precedente, si trattava della notizia più importante che avrebbe
raccontato nelle ore successive.
Ventidue minuti del programma venivano dedicati allo sport, tren-
ta agli spot pubblicitari, due al meteo e tre alle ossessionanti notizie
nazionali e internazionali di Daniel Ruppert. Come il più serio dei
reporter, indossava il suo impeccabile completo blu con tanto di orna-
mento della bandiera della Nuova America al collo. Amanda Greene
(con il meteo, come concludeva sempre il suo cervello in automatico)
si sedette alla sua destra.
– Daniel! – Stone strattonò il braccio di Ruppert con il suo ridicolo
e consueto entusiasmo – Che mi racconti? Li hai visti questi Snipes?
Daniel era stato troppo occupato a osservare dati illegali, e no, non
li aveva visti. Si dannò di non aver controllato almeno il punteggio
quella mattina.
– Sì – disse Daniel – incredibile, eh?

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– Esatto! E quella tripletta alla fine del nono? Chi se l’aspettava?
– Il tuo dipartimento, Sully.
– Lo so, grazie al cielo, ho fatto ricerche per conto mio, senza offesa,
Amanda.
Amanda sollevò lo sguardo dagli aggiornamenti del meteo digitale che
scorrevano lungo la scrivania per rivolgergli un’occhiataccia. I suoi
dati venivano preconfezionati dall’Autorità Centrale Meteorologica.
– Camera in azione – disse un tecnico dall’alto – audio ok. Tutti pronti?
– Pronti e operativi – disse Stone schiacciando un occhiolino ad
Amanda che gli rispose con uno sguardo sensuale e le labbra aperte in
un sorriso forzato.
Daniel si accigliò d’istinto; davanti a simili ambiguità era sempre me-
glio mostrarsi distaccati. Lui era sempre sotto osservazione.
– Fantastico – disse il tecnico. – Ruppert, arriva il conto alla rovescia.
Si alzò dalla sedia e si schiarì la gola. La sfera lampeggiante blu metal-
lizzato del logo GlobeNet gli si materializzò davanti e si udì il fruscio
degli accordi del nuovo tema musicale dell’edizione notturna. I nume-
ri olografici del conto alla rovescia fluttuarono da cinque a uno.
– Buonasera – disse Daniel. Il logo svanì lasciando spazio al suo co-
pione che, riga dopo riga, fluttuava a lettere ben visibili. – E benve-
nuti al telegiornale della sera della GlobeNet-Los Angeles. Qui Daniel
Ruppert. I cittadini di San Juan, Argentina, hanno organizzato una
manifestazione spontanea per celebrare l’arrivo della democrazia nel
loro paese. Per questo motivo, migliaia persone di tutte le età si sono
riunite per ringraziarci…
Daniel si bloccò un attimo. Proprio la sera prima aveva costatato che
San Juan era ancora zona di guerra, ma ormai raccontare fake news
era consuetudine. A lasciarlo interdetto era stato il video che docu-

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mentava la celebrazione: frotte di latini sorridenti che sbandieravano
piccoli gonfaloni della nuova bandiera americana. Aveva riconosciuto
quel video. Lo avevano già usato un anno e mezzo prima per mostrare
la gratitudine dei venezuelani a Caracas in seguito alla vittoria ameri-
cana. Qualcuno da casa se ne sarebbe accorto?
– … per la liberazione dalla brutale oppressione delle forze comuniste
del Mercosur che aveva tenuto sotto ostaggio il paese – continuò. – Una
formidabile vittoria per la libertà. Punteggio finale: trecento comunisti
morti e duecentododici catturati. Ci colleghiamo con il nostro corri-
spondente dal Sud America, Robert Maxwell, per gli approfondimenti.
Il video, all’inizio sfocato, inquadrava il longilineo e pallido Maxwell
circondato da un manipolo di ragazzini che, sventolando la bandiera,
si spintonavano l’un l’altro per essere ripresi. Daniel era sconcertato:
Maxwell era stato digitalmente catapultato in una vecchia ripresa.
– Dici bene Ruppert, proprio una grande vittoria per la libertà. Mol-
tissime persone stanno accorrendo in strada per festeggiare l’arrivo
dei Servizi di Sicurezza Hartwell. Come sai, mi trovo qui da sei mesi,
e posso testimoniare che non c’è mai stato un periodo più felice per il
popolo della Colombia.
– Ha detto Colombia – fece notare Daniel.
– Grazie Ruppert, lo correggeremo in post-produzione. Preparati per
la prossima registrazione.
Le immagini della folla latina, argentina, venezuelana o quello che era,
furono rimpiazzate da un nuovo torrente di abbagliante retorica.
– Il Vicepresidente Hartwell – riprese Daniel a voce tonante – i cui
Servizi hanno riportato a casa la vittoria, ha elogiato i nostri soldati che
hanno combattuto con coraggio e abnegazione. Intanto però, dall’altra
parte del globo, la flotta cinese prosegue l’assedio alla penisola coreana,
interferendo con l’approvvigionamento alle basi americane.

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Alcuni video di repertorio di battaglie navali e portaerei decorate con
stelle rosse si materializzarono davanti agli occhi di Daniel, anticipan-
do quello che i telespettatori avrebbero visto da casa. La sua espres-
sione si rabbuiò.
– Il Presidente Winthrop, impegnato al Torneo Master di Augusta, in
Georgia, non ha potuto rilasciare alcun commento. Tuttavia il Segre-
tario alla Difesa ha ufficializzato una dichiarazione.
L’obeso e trasandato Segretario apparve su un podio fasciato dalla
bandiera mentre leggeva con tono piatto e monotono: – Ancora una
volta avvertiamo il Primo Ministro cinese della concreta possibilità da
parte dell’Alleanza Atlantica di un attacco preventivo nucleare con-
tro le loro città e le loro centrali. Il nostro sistema bellico satellitare
Skyfire è efficiente e operativo. Se questa aggressione ingiustificata
dovesse proseguire, ci adopereremo affinché la Cina non si trovi nelle
condizioni di rispondere con il suo arsenale nucleare contro il popolo
americano, perché quell’arsenale verrà distrutto.
– Parole forti, quelle del Segretario alla Difesa – commentò Ruppert
– e a proposito di parole forti, non sarà stato da meno il coach dei Del
Ray Snipers, Richard “Rusty” Keyes, dopo la schiacciante e sanguinosa
sconfitta contro i Dodgers. Dico bene, Sully?
– Assolutamente, Daniel – rispose Sully – la partita di ieri notte è sta-
ta una vera mazzata per Rusty…

_____

Ruppert e Stone pranzarono al Soyballs Bistro, un ristorantino angusto
e sporco abbastanza lontano dallo studio, ma sempre all’interno del-
le mura della Zona di Sicurezza di Westwood (costruita per la Vostra

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Protezione dai Servizi di Sicurezza Hartwell, recitavano i cartelloni).
Soyballs era il posto ideale per tenere alla larga i colleghi. Quell’infi-
mo ristorante era specializzato in piatti di simil carne preparati con
la soia, secondo una loro ricetta segreta, di qualità così discutibile da
provocare o costipazione, o il suo opposto, come era noto ai più. Di
conseguenza, i loro colleghi lo disdegnavano come una colonia di leb-
brosi, preferendo luoghi di fascia alta sul lato opposto di Westwood.
Daniel invece si sentiva molto più a suo agio tra gli inservienti e i la-
voratori a cottimo che frequentavano quel locale.
La cameriera arrivò in silenzio, limitandosi ad annotare con un moz-
zicone di matita sul bloc-notes. Daniel ordinò un pasticcio di soia con
i cavoli, e quando Sully chiese un’insalata Soy-Ton, sollevò il soprac-
ciglio. La cameriera annuiva, annotava e se ne andò senza dire una
parola.
– Filocinese? – chiese a Sully con un ghigno – Non proprio patriottico
di questi tempi. Dovresti stare attento.
Sully si versò del tè caldo dalla teiera sul tavolo. Da Soyballs non c’era
grande scelta, si beveva l’offerta del giorno, oppure acqua.
– Non che questa roba sia veramente quello che mangiano in Cina –
affermò Sully. – Sembra più una caricatura.
– Che ne pensi della Cina? – chiese Daniel. – Credi che scoppierà la
guerra?
– Penso che il loro Presidente dimostri un totale disinteresse per la
moda.
– E qual è il problema?
– È un gran problema. È assurdo che un uomo che governa due miliar-
di di persone si vesta come un poveraccio. Già questo dovrebbe far
scattare un campanello d’allarme.

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Daniel si versò anche lui un po’ di tè. Era pallido e verdognolo, al gu-
sto di corteccia d’albero bollita.
– Ma che stiamo facendo, Sully?
– Intendi dire, sul pianeta Terra? Se abbiamo il ruolo di condottieri,
come sostengono i Warreniti a ogni angolo della strada? Oppure se la
vita è solo un inutile baccano, come ci insegnano i gruppi punk?
– Intendo dire il nostro lavoro. Il network.
– Ci limitiamo a informare il pubblico.
– Facile, per te – gli contestò Daniel.
– Ma il mio spazio è molto più lungo del tuo.
Appena gli portarono l’insalata Soy-Ton, Sully sogghignò. Abbassò lo
sguardo sui tre pezzi pallidi, membranosi e con una vaga forma di
wonton posti sull’insalata verde e li ingurgitò uno dopo l’altro.
– Ma tu parli solo di punteggi e infortuni – precisò Daniel – è facile
per te che racconti sempre la verità.
Gli occhi blu di Sully si spalancarono e Daniel ricambiò lo sguardo.
– Stai più attento alle tue affermazioni, Daniel, siamo in guerra, non
dimenticarlo.
– Siamo sempre in guerra.
– Ascoltami. – Sully parlò bisbigliando a denti stretti con la faccia tesa
e contratta e il timbro di un serpente. – Lo so perfettamente a cosa
stai pensando. E tu sai cosa sto pensando io. Lascia perdere, d’accor-
do? Non ho alcuna intenzione né di farmi catturare, né di essere sot-
toposto a interrogatorio.
– Sully, non ti voglio fregare. Non sto con il Terrore.
– Questo lo so.
– E allora perché oggi sei così paranoico? – Daniel diede un’occhiata
ai pochi clienti della sala, un tavolo di tre messicani che indossavano
tute da lavoro logore e macchiate.

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– E penso che neanche loro facciano parte del Terrore.
– Come fai a esserne sicuro? – sussurrò.
– Cristo, Sully. – Daniel scosse la testa e con la forchetta infilzò un
pezzo di polpetta di soia bruciacchiata. Non aveva per niente fame. –
Prima le cose andavano diversamente, no?
– E chi se lo ricorda – rispose Sully. – La bomba a Columbus è lo
spartiacque del tempo. Ormai ogni giorno è il giorno dopo il lancio
della bomba.

22

III

Daniel parcheggiò nel lotto riservato agli ospiti al Distretto 118-4 del-
la Scuola Pubblica Secondaria 171E, un edificio di dodici piani a Bren-
twood Glen. Mentre si avvicinava ai vetri antiproiettile della postazio-
ne di guardia vicino all’ingresso della scuola, le telecamere allineate
sulle recinzioni di filo spinato si girarono verso di lui. La guardia, un
robusto caucasico con la testa rasata e le palpebre cadenti, era assorto
nella lettura di una rivista sportiva.
– Ciao – disse Daniel – il mio nome è Daniel Ruppert, sono qui per
vedere mia moglie, Madeline.
La guardia alzò la testa e spalancò gli occhi.
– Oh merda! – la voce della guardia uscì con suono metallico dagli
altoparlanti. Poi uno stridio forte e acuto risuonò nello stesso alto-
parlante, e la guardia si coprì le orecchie con le mani. Era il sistema di
monitoraggio lessicale previsto dalla scuola, che puniva le guardie per
l’uso di linguaggio inappropriato.
– Cioè, cavoli, o qualsiasi altra cosa – disse la guardia – lei è il tipo del
telegiornale!
– Sì – Rupert lo accolse con quello che considerava il suo miglior sor-
riso da copertina – molto lieto che ci segua. Sono qui per prendere
mia moglie.
– Sua moglie lavora qui?
– Madeline Ruppert.
– Madeline… – la guardia si sporse in avanti e toccò lo schermo della
consolle – sì, sì, l’ho vista. Mi scusi, è la mia prima settimana di lavoro.
Non possiamo ammettere visitatori non autorizzati durante le lezioni.
L’ultima ora non è ancora finita.

23

– Davvero mi vuole fare star qui per i prossimi venti minuti?
– Non è colpa mia.
Daniel aspettò che la guardia parlasse con un supervisore all’aurico-
lare. Alla fine la guardia annuì, toccò lo schermo e un cassetto scorre-
vole apparve sotto la vetrata. Daniel ci trovò un badge laminato con il
suo nome, la data, l’ora e una sua foto appena scattata.
– La signora Ruppert è all’ottavo piano, Stanza 82B – disse la guardia
– gli adulti devono mantenersi sul percorso centrale di tutti i corridoi.
Il badge ha un sensore di frequenza, quindi non vada fuori rotta o
scatterà l’allarme.
– Grazie.
La porta principale si aprì e Daniel entrò nel corridoio diviso in tre
corsie da spesse strisce nere. Le telecamere lo inquadravano dal sof-
fitto. Numerosi poster erano allineati sulle pareti, quasi tutti del Presi-
dente Winthrop su un podio ricoperto da bandiere e l’immagine della
Terra galleggiante dietro di lui nell’oscurità. Le foto lo ritraevano agli
inizi, perché ora, da vecchio, al suo ventitreesimo anno come Presi-
dente degli Stati Uniti, appariva decrepito e avvizzito. I poster sfog-
giavano gli slogan preferiti dal Partito: “Forza all’Estero, Forza in Pa-
tria”, “America agli americani”, “America: la Rivoluzione Continua”. E
naturalmente l’immancabile crocifisso stilizzato come una bandiera,
piantato in cima a una collina d’erba sanguinante con il classico slogan
“America Immortale”.
Mentre Daniel si dirigeva all’ascensore, osservava i poster dei nemici
della patria. Uno mostrava un guerrigliero sudamericano dall’aspetto
feroce, di certo comunista, in una giungla di notte con il plenilunio, la
faccia dipinta di nero e la mitragliatrice puntata contro l’osservatore.
Lo slogan dell’immagine era: “Se ti droghi, sostieni i Terroristi”. Un al-

24

tro poster rappresentava un arabo jihadista rannicchiato in una grotta
a studiare una mappa degli Stati Uniti: “Dove colpiranno la prossima
volta? State allerta”.
Dal momento che Daniel non era autorizzato a visitare gli altri pia-
ni, l’ascensore lo condusse direttamente all’ottavo. Mentre procedeva
verso l’aula di Madeline, lungo un corridoio simile al precedente, un
ragazzino di dodici o tredici anni strascicava i piedi sulla corsia alla sua
sinistra. Il ragazzo manteneva lo sguardo basso sulle proprie scarpe e
gli passò accanto senza alzare la testa. La porta dell’aula di Madeline
si trovava accanto al poster di un’adolescente con le labbra piene di
vesciche e la tipica tuta arancione delle prigioniere. Il poster diceva:
“Ricorda: il SESSO prematrimoniale è un PECCATO e un CRIMINE”.
Madeline, sorridente, uscì dalla porta sistemandosi una lunga ciocca
di capelli rossi dietro l’orecchio. La Sicurezza doveva averla avvertita.
– Non è ancora terminata l’ultima ora – sussurrò – stai infrangendo
il protocollo.
– Ti volevo fare una sorpresa. Sei sorpresa?
– Shhh. Stiamo seguendo una lezione.
Lo portò nell’aula buia dove sessanta studenti della terza media guar-
davano il rituale video sulla vita a Columbus in Ohio prima della
bomba: bambini che giocavano a baseball, famiglie che andavano in
chiesa, un agricoltore che guidava il furgone carico di balle di fieno.
Ogni volta che Daniel vedeva quel video si chiedeva quanti agricoltori
guidassero davvero a Columbus con il furgone ricolmo di fieno, ma
naturalmente la domanda gli moriva dentro.
Il quattro luglio del duemilaventuno, Columbus, nell’Ohio, era ancora una
tranquilla città Cristiana al centro dell’America, diceva il narratore. Era
la voce profonda e vibrante della stella quasi dimenticata della musica

25

country Olroy P. Toombs. A Columbus la gente aveva una vita normale.
La buona gente dell’Ohio era ignara dell’orribile destino che i terroristi
avevano pianificato per il loro quattro luglio. Le immagini del video mo-
stravano famiglie vestite di rosso, bianco e blu a bocca aperta davanti
ai fuochi d’artificio, chi mangiava hot-dog, chi soffiava le stelle filanti.
La colonna sonora variò dalle note calme del pianoforte alle note tristi
e oscure dell’oboe e del basso. Daniel si appoggiò alla parete di fondo
accanto a Madeline e osservò i bambini. Erano vestiti secondo il rigo-
roso codice morale della scuola: pantaloni e camicie per i maschietti,
gonne e maglie a manica lunga per le femminucce.
Il codice morale prevedeva che la lunghezza dei capelli dei maschi
non superasse i due centimetri, con un taglio a spazzola, mentre tutte
le ragazze dovevano portare i capelli fino alle spalle. Alcuni sembra-
vano annoiati, ma la maggior parte contemplava lo schermo con lo
stesso incanto di chi sta per vedere Gesù risorgere dalla tomba.
Spezzoni di video tagliati e rimontati l’uno sull’altro. Riprese da ogni
angolo, la nuvola a fungo che si alzava da Columbus, i quartieri rasi al
suolo e la carcassa nera e contorta di uno scuolabus.
Poi, mentre centinaia di veicoli militari, della polizia e del FEMA af-
follavano la città, la colonna sonora virò verso un’orchestra di fiati
tuonanti. Sul video apparve il Presidente Winthrop in piedi sotto il
portico della Casa Bianca: i lineamenti ancora duri e squadrati dei suoi
cinquanta anni e i capelli grigio acciaio arruffati dal vento.
… oggi, durante l’anniversario della nostra nazione, abbiamo subito un
attacco orrendo e ingiustificato al cuore della patria. L’intero Paese si
stringe attorno alla gente dell’Ohio. Oggi il nostro Paese è cambiato per
sempre. Per troppo tempo l’America ha consentito ai suoi nemici di co-
spirare negli angoli più oscuri del mondo. Siamo stati generosi. Siamo

26

stati giusti. Abbiamo amato la pace. Oggi però ci accorgiamo che abbia-
mo amato la pace senza un limite, siamo stati troppo caritatevoli verso i
nostri nemici e troppo indulgenti verso quelli che minacciavano i nostri
interessi. Noi americani siamo persone di buon cuore ma, dopo questo
grave atto di guerra perpetrato da terroristi stranieri contro vite inno-
centi, dobbiamo mostrare al mondo un nuovo volto, un altro aspetto, un
esempio di ciò che siamo in grado di fare. Gli americani amano la pace,
ma la giustizia ancora di più.
Un ruggito di grida e una valanga di applausi, registrati nella sala stam-
pa, proruppero dagli altoparlanti.
L’America oggi ha subito, ma l’America è forte e lo diventerà sempre di più.
Oggi io dichiaro una Seconda Rivoluzione Americana, quella che epurerà
la nostra nazione dalle infiltrazioni corrotte, ci renderà liberi e ci permet-
terà di rialzarci ancora una volta. Mentre ci mostravamo permissivi all’e-
stero, lo diventavamo anche in patria; e come costatiamo tutti, il nemico
era già presente, era qui tra noi. Forse nei nostri quartieri. Forse nelle
nostre scuole. Forse perfino nelle nostre chiese. Non siamo più al sicuro,
America. È tempo di stringerci insieme come americani per combattere il
nemico in ogni angolo della Terra. Incluso il nostro. Domani il Congresso
farà passare, e io li firmerò, gli Articoli per la Continuazione della Demo-
crazia. Queste misure di emergenza garantiranno piena autorità al potere
esecutivo per scovare ogni terrorista, sradicare ogni infiltrato nascosto,
trovare chiunque nel mondo ambisca a danneggiarci e distruggerci. Per
difendere la nostra libertà, i nostri figli, il nostro modo di vivere e, sì Ame-
rica, soprattutto il nostro Dio! Dopo una nuova ondata di applausi, il
Presidente riprese. Tuttavia, anche in questa orribile tragedia, possiamo
avere un’opportunità. Restituiremo l’America agli americani e ristabili-
remo i diritti della nazione. Cittadini d’America, la Seconda Rivoluzione

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è iniziata. Insieme costruiremo un’America che durerà migliaia di anni:
un’America Immortale.
Questa volta anche i bambini nell’aula si unirono all’applauso. Quel
tipo di entusiasmo gli era stato inculcato con cura.
Madeline toccò un pannello nero sulla parete e le luci fluorescenti
dell’aula si accesero, mentre l’immagine gigante del Presidente Win-
throp scemava sulla lavagna bianca. Apparirono alcune parole nere
con la calligrafia di Madeline:

PER STASERA:
Ripassare la lezione di oggi. Scrivere le vostre considerazioni sul vi-
deo. Domani valutazione in classe.

La campanella suonò e i sessanta bambini balzarono in piedi. Mentre
uscivano dall’aula, Madeline li ammoniva.
– Mark non spingere! Guarda dove metti i piedi! Sarah alzati le calze,
nessuno vuole vedere le tue gambe sporche!
Quando anche l’ultimo bambino se ne andò, lei si girò verso Daniel e
il piglio severo si sciolse in un sorriso.
– Ciao – disse.
– Ciao a te – Daniel si sporse per baciarla, ma lei lo tenne a distanza.
– Non mentre siamo in prigione – disse lei.
Lui si allontanò e lei prese la borsa dal tavolo.
– Deve essere il lavoro più facile del mondo – disse.
– Prova a fare ogni giorno il babysitter di nove classi con sessanta
mostriciattoli infernali.
– Credevo che insegnassi storia.
– Come chiami quello che hai visto? – indicando la lavagna mentre si
dirigevano verso la porta.

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– Un film.
– È l’unico modo in cui questi monelli miscredenti possono imparare
qualcosa. Prova tu a fargli leggere un libro. Metà di loro non vede l’ora
di tornare a casa per piazzarsi alla consolle e sparare a musulmani
virtuali.
– Questo è ciò che la metà di loro farà per tutta la vita.
– Giusto.
Nel corridoio affollato si spostarono subito verso il centro, nella cor-
sia degli adulti.
– Spero soltanto che sul campo di battaglia avranno rispetto della sto-
ria. Dovrebbero sapere per che cosa si stanno sacrificando. Hai preso
i biscotti?
– Biscotti?
Madeline si fermò di colpo e Daniel le finì quasi addosso.
– Te l’ho detto tre volte. Devo portare i biscotti per la raccolta fondi
della Società di Antiquariato delle Donne. Biscotti al burro. Daniel, te
l’ho detto tre volte! – la sua voce salì di un’ottava – Sarai presente alla
Riunione degli Uomini?
– È mercoledì, no?
– Allora dobbiamo essere in chiesa per le cinque! Daniel devo com-
prali nella stessa pasticceria. La pasticceria Zia Frizzie. Lo sai. – Corse
verso l’ascensore degli insegnanti. Daniel le andò dietro.
– Ma non dovresti farli tu? – chiese lui.
– Stai zitto, Daniel. Ora tutti penseranno che io non contribuisco.
Nel parcheggio, la Bluehawk di Daniel si aprì mentre si avvicinavano.
Più tardi sarebbero ritornati a prendere la macchina di Madeline.
– Non ci posso credere che mi fai questo, Daniel – la voce di Madeline
era spezzata.
– Che sto facendo? Ehi, ma cosa c’è sul tuo sedile?

29

Madeline aprì la portiera e sorrise. Nel sedile c’era una busta bianca
con una stampa del ritratto di Zia Frizzie dai capelli blu. Accanto, una
scatola di biscotti vuota dello scorso Natale.
– Daniel! – Madeline li prese e si sedette. Le porte della macchina si
chiusero silenziosamente.
– Cosa sono esattamente? – chiese Daniel.
– Sei terribile. Adesso voglio il mio bacio.
Mentre Daniel usciva dal parcheggio, Madeline iniziò a trasferire i bi-
scotti dentro la scatola.

30

IV

La Chiesa Tabernacolo d’Oro del Dominio Mondiale occupava una su-
perficie di otto ettari a Pacific Palisades, inclusa una lunga striscia di
spiaggia chiusa al pubblico.
Il cancello di sicurezza riconobbe l’auto e si aprì automaticamente.
Daniel lo superò e guidò tra i viali della chiesa circondati dalle palme.
Dopo l’ultimo incrocio apparve il santuario, immenso, con la sua
splendida cupola dorata che brillava alla luce del tramonto.
– Non sei in ritardo per la Riunione degli Uomini? – domandò Madeli-
ne. Era tutta concentrata a sistemarsi i capelli nello specchietto. – Oh,
spero tanto che oggi Doreathea non ci sia.
– Chi è Doreathea?
– Doreathea? La fondatrice e presidentessa dell’Antiquariato delle
Donne? – gli rivolse uno sguardo infastidito, come se Daniel avesse
dovuto ricordare a mente l’intera lista degli iscritti ai suoi gruppi ec-
clesiastici. – Odia chiunque abbia meno di sessant’anni, te lo giuro.
– Vai con un altro gruppo.
– Del mercoledì non me ne piace nessuno.
– Allora il mercoledì rimani a casa.
– E dargliela vinta così?
Daniel imboccò una stradina laterale che conduceva alle gigantesche
torri del parcheggio; la sua auto lo informò che al quindicesimo piano
c’era un posto ancora disponibile. Poi presero l’ascensore e attraver-
sarono il sentiero pavimentato del giardino fino all’imponente cupola
dorata.
– Ci vediamo più tardi – disse Madeline – fai il bravo con gli altri
ragazzi. – Gli piantò un bacino frettoloso sulle labbra e svoltò in dire-

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zione del Salone della Salvezza, una lunga costruzione giallo canarino
che a Daniel ricordava una merendina Twinkie.
Il Salone della Salvezza era di competenza del club delle donne. Esi-
stevano edifici per ogni sesso e gruppo anagrafico: l’Accademia degli
Angeli per le bambine, la Tana di Daniel per i bambini, altri due per
gli adolescenti e le adolescenti, questi ultimi posizionati alle estremità
opposte del Campus.
Per i loro salutari hobby mascolini, gli uomini avevano i Laboratori
del Santo Redentore, e anche il campo da golf, sebbene quello non
fosse formalmente chiuso alle donne, ma quella notte si svolgeva la
Riunione degli Uomini, e per l’occasione c’era bisogno dei sedili mas-
sicci del santuario.
Daniel entrò dal nartece occidentale dove i lucernari e le alte pareti
di vetro offrivano la vista del sole basso e massiccio che affondava
nell’oceano. Già dall’ingresso, la sala si presentava colma di uomini in
giacca e cravatta intenti a salutarsi l’un l’altro con una cordiale stretta
di mano più pacca sulla spalla sorseggiando tè freddo e succhi di frutta
del franchising Fishes ’N Loaves.
– Daniel, bello rivederti!
Daniel si voltò per salutare un insignificante viso calvo con un sorriso
a trentadue denti. Mentre stringeva la mano tesa e riceveva l’obbliga-
torio colpetto di rito sulla spalla, si sforzava di ricordare il nome di
quel tale.
– Ehi ciao… – e gli balenò proprio all’ultimo: Liam O’Shea – Liam!
– Ci sei mancato all’Esame della Rivelazione – disse l’uomo sorriden-
do e determinato a non vacillare – dove hai trascorso i tuoi martedì?
– Ne ho persi solo… tre. Mi dispiace. – Intanto cercava di ricordare
cosa facesse Liam nella vita. Qualcosa nell’ambito clericale. Servizi

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per Bambini e Famiglie, forse? Gestione del Benessere? Doveva essere
qualcosa di burocratico, ne aveva tutto l’aspetto.
– Siamo prossimi all’arrivo della Bestia. Cerca di non mancare, il Pa-
store John ha distribuito alcune guide speciali per la discussione.
– La prossima settimana non mancherò.
– Dovresti concentrarti molto di più sulla preparazione per la Fine dei
Tempi, Daniel. – O’Shea si stava avvicinando in modo preoccupante, e
intanto scagliava minuscole goccioline di saliva sempre più vicine alla
faccia di Daniel. Nel suo sguardo si accese un bagliore. – Alcune delle
profezie si sono già avverate. Non manca molto, Daniel.
– Me ne sto occupando. Tutti lo stiamo facendo. Ho anche avuto molto
lavoro in merito, Liam. C’è una guerra in corso, lo sai bene. E le informa-
zioni giocano un ruolo fondamentale sul fronte bellico. I nostri corag-
giosi uomini e donne in uniforme fanno affidamento anche su questo.
Il sorriso di Liam O’Shea vacillò, poi si piegò con riluttanza nel cipi-
glio serioso più appropriato al tema dei soldati in guerra. – Certamen-
te. Non dobbiamo dimenticarci dei nostri coraggiosi uomini e donne
in uniforme.
Scacco matto Liam, pensò Daniel.
Poi strinse mani e batté spalle e salutò persone almeno un altro centina-
io di volte, ma nonostante le sue manovre, Liam O’Shea riusciva sempre
a restargli alle costole, rivolgendogli occhiate furtive a ogni occasione.
Negli ultimi tempi non aveva neanche giocato a golf. Il suo nuovo hob-
by illegale aveva inglobato tutto il tempo libero; O’Shea doveva es-
sersene accorto, e adesso si sentiva obbligato a tenerlo d’occhio, per
il bene della sua anima. Se Daniel non avesse dimostrato sufficiente
devozione e senso corporativistico, O’Shea avrebbe perfino potuto
segnalarlo a uno dei Pastori laici, per una valutazione.

33

Per raggiungere la sua solita postazione alla Riunione degli Uomini,
la seconda fila, Daniel prese la via più tortuosa possibile, ma O’Shea
teneva il passo e lo seguì fino in fondo, sedendosi, appena Daniel si
unì al suo nuovo gruppo del golf, nella stessa fila. Gli altri uomini era-
no come lui, sulla trentina, stessi abiti, stesso taglio del barbiere del-
la chiesa. Si ricordava i loro nomi, ma di solito pensava a loro come
“l’avvocato”, “il dottore”, “il produttore televisivo”. Era più semplice.
Il mese successivo sarebbe stato affidato a un gruppo diverso.
Il santuario era disposto come un circo romano, circondato da tre
schiere di sedili con una capacità totale di novantamila posti. Su di
loro svettava il soffitto a cupola dorata, con il vertice troppo alto per
essere visto, che dava l’impressione di un infinito spazio luccicante
(Daniel si chiese se avessero migliorato l’effetto con degli ologram-
mi). Guardò in basso verso i piani sottostanti, al centro del santuario:
una successione di schermi giganti, alti quattro piani, affacciati al cen-
tro per riprodurre la scena in basso, ingigantiti in proporzioni tanto
grandi da rimpicciolire lo spettatore. In quel momento il Gruppo di
Banjo degli Uomini Benedetti stava interpretando la cover di un noto
brano pop, “Down on My Knees (For Him)”. Sei musicisti, ognuno
con il suo strumento, indossavano enormi cappelli di paglia con delle
croci dipinte a richiamare la bandiera americana.

Sono in ginocchio,
Pronto a ricevere,
Oh Signore, vieni a me…

– Daniel!
– Ehi Daniel! Novità?

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– Bello vederti, Daniel.
Daniel strinse mani, sorrise e diede pacche, ripetendo l’ennesimo
loop di convenevoli e risate e saluti, poi tornò al suo posto. Di questi
tempi, pensò, per sopravvivere bisogna comportarsi come maledet-
ti politici. Gli uomini continuavano a riversarsi da tutte le direzioni,
saranno stati diecimila. Ogni uomo dai diciott’anni in su non aspetta-
va altro che partecipare all’incontro settimanale della Riunione degli
Uomini. Non era obbligatorio, ovviamente. La Chiesa non aveva mai
richiesto espressamente nulla se non la fede e la disponibilità ad aiu-
tare il prossimo.
In pratica, La Chiesa del Nuovo Dominio era la “vera fede americana”,
promossa dal Dipartimento di Fede e Valori, e l’iscrizione era impli-
citamente richiesta per ogni tipologia di professionista autorizzato
(come un giornalista o uno storico) e ogni tipo di impiego riconduci-
bile al governo. Nel novantatreesimo emendamento della Costituzio-
ne, il titolo di “Difensore della fede” era stata aggiunto agli obblighi
del Presidente.
Tutti dovevano unirsi a un certo numero di gruppi e club. Le associa-
zioni più piccole svolgevano un ruolo vitale nel ricucire la congrega-
zione, assicurando che ogni singola pecora potesse essere dissuasa da
ogni idea di allontanamento dal gregge.
– Daniel!
– Che notizie ci porti, Daniel?

Rinuncio al mio orgoglio
Apri distese sconfinate,
Oh Signore, ti sento dentro al mio cuore…

35

Il gruppo concluse il brano tra gli applausi dal pubblico. Alcuni Pasto-
ri laici si alternarono al microfono con annunci e sermoni riguardanti
gli iscritti più meritevoli di riconoscimenti e lodi. Un uomo era stato
nominato Amministratore Delegato della sua azienda. Un altro aveva
acquistato una casa più grande, su una collina più alta. Il terzo aveva
donato una grossa somma di denaro per distribuire le Bibbie ai bam-
bini musulmani in Palestina, iniziativa che faceva parte degli ultimi
programmi del Pastore John.
E finalmente arrivò il turno del Pastore John Perrish, sommerso dagli
applausi e dagli apprezzamenti della platea. Daniel lo guardava sullo
schermo, il suo viso alto dieci metri, i capelli di un nero giovanile an-
che ora che aveva superato i sessanta. La bandiera della Nuova Ameri-
ca sul suo colletto recava un diamante lucente di Gesù Ichtiys al posto
della stella. Illuminato dai fari del palco, con i suoi penetranti occhi
blu elettrico, il Pastore John salutò la folla accennando un sorriso. Ri-
mase un passo indietro alla postazione, rivolgendo sguardi e cenni
discreti alla gente delle prime file. Lasciò che l’entusiasmo della folla
lo avvolgesse, rimanendo a distanza dal microfono e permettendo che
gli applausi scroscianti seguissero il loro corso.
Quando l’ondata si quietò, rimase dov’era a scrutare la folla con i suoi
occhi infiammati. Sollevò la mano destra e tese le dita. Un globo lumi-
noso bianco delle dimensioni di un uovo crebbe dalla punta del suo
indice e gli galleggiò sopra la testa. Il globo si dissolse e al suo posto si
materializzò una colomba incandescente con un’aura dorata che orbi-
tò sopra il Pastore John come lo Spirito Santo in ogni dipinto del bat-
tesimo di Cristo. Ovviamente era una illusione, un ologramma realiz-
zato da proiettori nascosti. Non ci si poteva fidare molto di quello che
si vedeva in una Chiesa Dominionista. Ma l’effetto era affascinante.

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La colomba volteggiò in ampi cerchi sopra la folla, librandosi nel gran-
de vuoto della cupola dorata sopra il santuario. Poi si trasformò, ap-
parvero lunghi artigli, l’apertura alare si estese, il becco si curvò in un
gancio appuntito. Era diventata un’aquila pelata delle dimensioni di
uno pterodattilo, che girava in ampie spirali all’interno della cupola,
illuminando verso il basso con i suoi occhi fiammeggianti la Riunione
degli Uomini e, verso l’alto, il paradiso. L’applauso riprese vigore e la
folla tornò a infervorarsi. Sopraffatto dall’energia travolgente del pub-
blico, anche Daniel applaudiva e urlava. Sempre meglio che restare se-
duti e attirare l’attenzione. Il Pastore John rimase in completo silenzio
fino a quando anche l’ultimo uomo non ebbe finito di applaudire. Solo
allora fece un passo avanti.
– Uomini del Dominio – esordì il Pastore John – bentornati nella Casa
di Dio. – Si levò un altro giro di applausi accompagnato dalle note di
chitarra del gruppo. Il Club del Bajo aveva lasciato spazio ai musicisti
personali del Pastore. – Preghiamo.
Diecimila teste si chinarono al cospetto della gigantesca immagine del
Pastore John.
– L’ottantanovesimo salmo. Oh Signore Dio onnipotente, chi è come
Te? – leggeva il Pastore dalla grande Bibbia in pelle sul podio – Sei
potente, Oh Signore, e la Tua fede Ti circonda. Tu domini i mari in
tempesta; quando crescono le onde, Tu sei presente. Con le Tue forti
braccia allontani i nemici. I cieli sono Tuoi, come Tua è la terra; Tu
hai fondato il mondo e quanto contiene. Potente il Tuo braccio, la Tua
mano è forte, la mano destra è alta. Giustizia e diritto sono il fonda-
mento del Tuo trono. Beato il popolo che ha imparato ad acclamarti e
cammina nella luce del Tuo volto, oh Signore – il Pastore John si inter-
ruppe per qualche secondo – oggi Ti ringraziamo per aver benedetto

37

le nostre vite. Così tanti nella nostra congregazione hanno ottenuto
grandi successi in questo mondo. Crediamo che sia così perché Tu
agisci per mezzo di noi, perché Tu desideri il meglio per i Tuoi figli
preferiti. Aiutaci a diventare servitori migliori, a entrare in contatto
l’uno con l’altro, a mantenerci forti nella fede. Oh grande e feroce giu-
dice del mondo, aiutaci a trovare chi dubita, in modo da tenerlo sem-
pre vicino al gregge. Oh potente sovrano di tutto, noi preghiamo che
Tu protegga i nostri coraggiosi uomini e donne in uniforme e che im-
ponga la distruzione e la morte di tutte le forze oscure che si oppon-
gono. E preghiamo che le anime perdute della giungla e del deserto si
avvicinino a Te, che Tu possa governarle per mezzo del Tuo popolo
eletto, la Tua nuova Gerusalemme, il Tuo Regno sulla Terra, la grande
nazione dell’immortale America. Nel nome del nostre Re, Amen.
– Amen – rispose la folla.
Il Pastore John alzò gli occhi. Sembrava misurare gli uomini con lo
sguardo.
– Signori, viviamo in un mondo ostile. Un mondo devoto a falsi dei, a
false ideologie. Un mondo che rifiuta di vedere la mano di Dio che si
avvicina, ma non rimane molto tempo, l’ora sta arrivando. Affrontia-
mo una nuova insurrezione in Egitto, un paese biblico. I pagani hanno
trovato la guida di un nuovo profeta che li anima di odio e violenza.
Lui predica un vangelo di morte e inferi, e si rivolge a orde di demoni.
Nella folla circolarono mormorii di disagio. Le immagini della guerra
e le notizie scoraggianti dal campo di battaglia in televisione erano
fortemente censurate a beneficio di donne e bambini, ma era stato ri-
tenuto importante mantenere aggiornati almeno gli uomini. Gli uomi-
ni di fede. Un volto dall’espressione grave riempì lo schermo gigante,
un arabo con una fronte bassa e pelosa e uno sguardo truce appena vi-

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sibile attraverso la barba a criniera come un leone nero. Daniel sapeva
che certe volte le immagini venivano alterate per rendere i nemici
ancora più feroci, oppure mixati con caratteristiche dei Neanderthal,
per farli apparire più barbarici. Era importante, aveva capito, portare
la minaccia fin dentro la casa di un popolo che troppo spesso sembra-
va appagato.
Fischi e urla di rabbia accolsero l’immagine.
– Quest’uomo si chiama Sheij Muhammad al Taba – continuò il Pa-
store John – e le indagini suggeriscono che potrebbe contare su quasi
centomila seguaci radicali, e probabilmente un altro mezzo milione
sparso in Nord Africa.
Un gemito della folla accompagnò quell’incredibile scenario.
– Capite cosa fanno queste persone? – riprese Pastore John – Conti-
nuano a tornare indietro. Continuano a marciare dicendo “vai e uc-
cidi”. Bene, io ho visto queste persone da vicino. Da Babilonia a Ge-
rusalemme, fino a metà strada verso Mosca, e li ho combattuti, li ho
studiati. – Alla parola “ studiati” il Pastore batté la mano sul podio. Da-
niel gli credeva. Il Pastore John aveva diverse medaglie Purple Hearts1
e Croci di Onore, conquistate per la maggior parte nelle strade e nei
deserti del Medio Oriente. Dai tempi di Columbus, l’Emendamento
Sulle Religioni False ed Estere richiedeva il certificato statale di tutti i
leader religiosi. La Chiesa del Nuovo Dominio preferiva quelli con un
buon curriculum di servizio militare. Una volta uno dei Pastori aveva
spiegato che il luogo in cui ci si può sentire più vicini a Dio era un
campo di battaglia.
– … e non avranno pace finché saranno costretti a pregare il loro falso
idolo alla Mecca! – la voce del Pastore John tuonava di rabbia. – Que-
sto è il grande conflitto, l’ultimo vero grande conflitto dell’umanità.

1 - decorazione delle forze armate statunitensi assegnata in nome del Presidente
a coloro che sono stati feriti o uccisi mentre servivano nelle forze armate

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O annientiamo i nostri nemici, oppure saremo costretti a piegare le
ginocchia cinque volte al giorno verso quella mostruosa scatola nera.
– Questo suscitò nella folla un boato di indignazione. – Quindi voglio
che si sappia che io sostengo questa nuova missione in Egitto. Proprio
in questo momento stiamo per mandare venti battaglioni al Cairo. E
per l’amore di tutto ciò che è sacro e santo, spero ne manderanno
altri venti. Questo estremista immondo deve essere fermato prima
che possa inviare il suo esercito su di noi. Con il vostro sostegno e le
vostre preghiere, il nostro coraggioso esercito abbatterà questo falso
profeta, questo corruttore di anime, questo nemico di Dio, e condur-
remo la santa luce della verità nei reami più oscuri del nostro mondo!
Daniel si ritrovò a fare il tifo insieme agli altri, con i pugni tesi per aria.
Il Pastore John continuò la sua arringa descrivendo nel dettaglio il suo
nuovo nemico, le sue leggi blasfeme, l’ossessione per la guerra, le folli
richieste di obbedienza, le ambizioni di dominio globale, le atrocità
contro il popolo innocente. Dopo il pieno di notizie sulla guerra e,
ogni svolta nella trama suscitava l’entusiasmo o la rabbia della folla, li
indusse al raccoglimento della preghiera.
– … e quindi preghiamo, Signore, che Tu possa renderci forti e re-
sistenti come i nostri antenati, sempre pronti a combattere nel Tuo
nome, fino a quando le milizie del diavolo non saranno cacciate da
ogni angolo della terra. Preghiamo affinché le nostre bocche non di-
cano altro che la verità, Signore insegnaci a sentire i sussurri di dis-
senso dentro di noi, quelle voci false e profane capaci di corrompere
i nostri cuori e confondere le nostre menti nel corso di questa grande
crociata. E quando le sentiamo, Signore, fa che siano un segnale della
presenza quotidiana del serpente, e il serpente deve essere schiac-
ciato sotto il tallone della giustizia. Aiutaci a estirpare le voci di quel

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malvagio inganno nella nostra comunità, Signore, e rendici un popolo
unito e forte dietro di Te. Signore, per favore proteggi e incoraggia il
nostro amato Presidente, e i nostri coraggiosi uomini e donne in uni-
forme mentre avanzano impavidi contro le forze del male. Nel nome
del nostro Re, Amen.
– Amen – disse Daniel. E la sua voce di perse in mezzo ad altre diecimila.

41

V

Quel sabato Madeleine aveva organizzato in giardino una sorta di sagra
del formaggio con le donne della Società del Giardinaggio Cristiano.
Una ventina di loro, dai venti ai sessanta e con marito al seguito, arri-
varono vestite tutte allo stesso modo. Le donne si accomodarono sulle
sedie a sdraio del retro per chiacchierare gustando Wisconsin e Brie.
Chissà cosa avevano da dirsi, sta di fatto che il loro chiacchiericcio
non si esaurì mai; per Daniel era diventato un cinguettio di cornacchie
sul sonnolento soft-jazz che si spandeva tra le rocce finte del giardino.
Gli uomini finirono esiliati dentro casa a guardare la partita dei Do-
dgers sulla videoparete. Come tutti gli uomini che hanno in comune
con gli altri uomini solo l’amicizia delle rispettive donne, parlarono
un po’ di sport e di automobili, tracannarono tutto il possibile, e rin-
graziarono che ci fosse la partita a tenerli impegnati dal momento
dell’arrivo a quello della partenza.
I Dodgers erano in vantaggio tre a uno contro i Pirates alla fine dell’ot-
tavo, e Daniel dava l’impressione di essere concentrato sul gioco. I
suoi occhi però puntavano l’angolo superiore dello schermo, dove
aveva sempre immaginato potessero nascondersi delle telecamere,
per quanto non ci fosse alcuna ragione di credere che fossero proprio
lì. Verosimilmente le telecamere invece erano microscopiche e sparse
sull’intera la superficie dello schermo.
Tutti sapevano delle telecamere; era palese ogni volta che si effettua-
va una video-chiamata, e alcuni schermi rispondevano anche al solo
gesto delle mani. Gli schermi più costosi, come quelli della GlobeNet,
seguivano perfino il movimento degli occhi, evidenziando e ingran-
dendo ogni dettaglio su cui si soffermava lo sguardo.

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Sulle telecamere era un continuo vociferare. Si diceva che il Dipar-
timento del Terrore fosse in grado di tracciare qualunque operazio-
ne online, dalle chiamate al pagamento delle bollette, alla visione dei
programmi; Nicholas non aveva dubbi, e non lo nascondeva. Aveva
sentito anche che il Terrore riusciva ad attivare le videocamere delle
case in qualsiasi momento per spiare le attività domestiche, anche a
schermo spento.
L’aspetto più agghiacciante era il timore che le telecamere stessero
registrando perennemente chiunque, e che il Terrore salvasse ogni bit
di registrazione in un maxi archivio secretato nel deserto o all’estre-
mo nord in Alaska o chissà dove nei monti Appalachi (il coraggio di
ammettere tutto ciò dipendeva dal tasso alcolico dell’interlocutore).
Così, se qualche individuo diventava di loro interesse, potevano ri-
controllare l’intera vita per scovare anche il minimo segno di mancato
patriottismo, o magari di indulgenza verso il nemico cercando di indi-
viduare parole-chiave segrete nelle conversazioni più intime.
Ma erano solo illazioni, nessuno immaginava di cosa il Terrore fos-
se realmente capace, perché il Terrore si trincerava dietro lo scudo
grave e invalicabile della sicurezza nazionale. Trapelavano solo indi-
screzioni e notizie occasionali, come: “Il Dipartimento del Terrore ha
arrestato un gruppo di terroristi di sinistra a San Diego”. E di sinistra
significava sempre sudamericani; Jihadisti, ovviamente, medio orien-
tali, invece “imperialisti” era sinonimo di cinesi.
Mentre i Dodgers guadagnavano il turno di lancio, il citofono di Da-
niel intonò una versione strumentale di “Jesus Loves the Little Chil-
dren” che suonava come un carillon eolico. Madeleine si rifiutava di
cambiare quel suono, anche se ce ne erano altri mille tra cui scegliere.
Dopo quattro anni, pensava Daniel, anche Gesù in persona si sarebbe
stufato di quella lagna.

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Daniel si diresse all’ingresso e dalla finestra della porta vide Sullivan
Stone. Sullivan gli fece un cenno, entusiasta come se fosse stato uno
degli invitati. Andò ad aprirgli un po’ perplesso, incapace di trovare
un ragione plausibile per cui Sully dovesse presentarsi alla festa di sua
moglie.
La casa identificò Sully e lo annunciò con voce melodica proprio so-
pra la sua testa: “Sullivan Stone insieme a Brandinwynne Hope. La
signora Hope non ha mai visitato casa tua prima d’ora: è una presen-
tatrice non tanto famosa. Sullivan è un tuo collega della GlobeNet.
Entrambi sono ospiti fuori programma”.
Daniel attese qualche secondo, alzò gli occhi, aprì la porta. Si ricorda-
va il nome di Brandiwynne Hope, fin troppo stravagante perfino per
una presentatrice. Era l’ultima dell’interminabile flusso di modelle,
cantanti, attrici che apparivano e scomparivano tra le braccia di Sully,
ognuna con la propria caratteristica seduttiva, e Sully sempre freddo
e noncurante mentre quelle andavano e venivano. Erano quel tipo di
ragazze ancora attratte da Los Angeles per la sua aurea mitica di capi-
tale mondiale dello spettacolo, posizione che in realtà aveva ceduto da
anni a Tokyo e Mumbai. Gli uomini del Terrore controllavano anche
gli studi cinematografici, ormai al collasso.
Tra i colleghi dell’ufficio, le insinuazioni sulle interminabili conquiste
di Sully rimanevano sospese, perché nessuno si permetteva di avan-
zare accuse legali di sesso prematrimoniale senza avere solide prove
e del resto Daniel dubitava che Sully provasse il benché minimo inte-
resse verso quelle splendide donne che lo accompagnavano.
Aprì la porta.
– Daniel! – mentre attraversava l’uscio, Sully infilò una bottiglia av-
volta in carta marrone nelle mani dell’amico.

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Dietro di lui, quel tipo di donna che Daniel si aspettava, lunghi capelli
biondi, occhi spalancati color mirtillo, la bocca un pizzico troppo ros-
sa per essere accettata nel gruppo religioso della moglie. Indossava
calzamaglie aderenti in tessuto jeans e stivali di pelle fino alle cosce;
uno stile sconosciuto a Daniel, se di stile si poteva parlare.
Scartò la bottiglia: Signorello, un vino di Napa del 2010.
– Hai portato un vino? – domandò Daniel.
– Vino e Brandiwynne – rispose Sully – vi conoscete? Sta registrando
una scaletta insieme ad Haisako. Un grande successo. O almeno lo
sarà, il mese prossimo.
– Piacere di conoscerti, uh, Brandy.
– Brandywynne – lo corresse – Brandywynne. Brandywynne Hope.
– Giusto. Che tipo di musica suoni?
– Rust.
– Sarebbe tipo… un genere?
– Ehi! – esclamò, indicando Daniel. Lui si voltò, pronto a ritrovarsi
di fronte a un roditore che gli cadeva in testa – tu sei quel tipo, vero?
Quello che viene prima di Sully.
– È così che sono conosciuto dalla grande audience di Los Angeles,
quello che viene prima di Sully.
– Wow! E quindi, sì, quali sono le notizie di oggi?
– Oggi sono libero. Il palinsesto del weekend è dedicato ai bambini,
almeno fino a quando saranno cresciuti abbastanza da rubarci il lavo-
ro. Andiamo di là, ti presento mia moglie.
Daniel li guidò attraverso il soggiorno, dove un paio di teste si voltaro-
no verso Brandywynne prima di ritornare rapidamente allo schermo.
Daniel rivolse uno sguardo interrogativo a Sully, che era stato a casa
loro solo una volta, il giorno dell’inaugurazione, quattro anni prima.

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Sully sollevò l’indice e inarcò il sopracciglio. Daniel non aveva idea di
cosa intendesse dire.
Alla vista di Daniel, Sully e Brandywynne, le donne del club del giar-
dino, che si erano suddivise in piccoli gruppetti chiacchieranti, si am-
mutolirono e fissarono la bella nuova arrivata con algido sospetto.
– Tutte voi signore conoscete Sullivan Stone a meno che, come Made-
leine, non evitate anche i miei telegiornali – seguirono un paio di ri-
sate, immediatamente represse dallo sguardo intransigente delle altre
donne – E lei è… Brandywynne Hope, un’emergente rockstar.
– Rust-star – lo corresse Brandywynne.
– A ogni modo, un genio della musica, per quello che si dice in giro.
Madeline stinse la mano di Brandywynne, ma quando incrociò lo
sguardo di Daniel i suoi occhi verdi lo incenerirono.
– Davvero lieta di conoscerti, sono Madeline. Siamo giusto nel bel
mezzo di una festa privata a base di formaggio.
– Sono mortificato signora Ruppert – intervenne Sully – ci trovavamo
di passaggio qui a Bel Air quando mi è venuto in mente che il mio ami-
co mi aveva parlato della sua festa e io in realtà, molto sinceramente,
avevo bisogno di vedere il finale.
– Il finale? – domandò Madeline.
– Siamo sopra di due, ma è ancora la fine dell’ottavo e i Pirates hanno
quel nuovo lanciatore, Marshall come si chiama…
– Va bene, va bene – lo interruppe Madeline – gli uomini alla tana.
Noi ci prenderemo cura della signora… Hope?
– Brandywynne. Brandywynne. Brandywynne Hope.
– E che tipo di musica canta?
Mentre si avviavano verso la porta, Sully sussurrò a Daniel – c’è uno
schermo nella tua camera da letto?

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– Certo – bisbigliò Daniel.
– Una stanza sicura?
Daniel visualizzò casa sua: schermo nella tana, schermo nella camera
degli ospiti, piccolo set di schermi da parete in cucina. – Seguimi.
Il seminterrato della casa era quasi interamente sottoterra, con pareti
e pavimenti di pietra fredda e levigata. In realtà si trattava di finta pie-
tra, ma molto realistica al tatto. Strisciò lungo la parete fino a quando
toccò il pannello di controllo e le lampadine del soffitto diedero vita
alla stanza. Sully chiuse la porta:
– Che succede, Sully?
– Questo posto è sicuro?
– Da cosa? – domandò Daniel.
Sully si limitò a fissarlo.
– No, non ci sono schermi qui.
– Nessun tipo di collegamento multimediale?
– Solo i miei vecchi mobili del college.
– Ascoltami Daniel – bisbigliò Sully – ho bisogno del tuo aiuto ma
prima devo sapere se sei capace di mantenere un segreto. Un segreto
molto importante.
– Sully ma di che cosa…
– Solo un secondo per favore, ok?
Le sue mani cominciarono a tremare. I suoi occhi schizzavano su e giù
da Daniel alla porta del seminterrato in cima alle scale.
– D’accordo Sully, ora calmati. Non può essere così terribile.
Sully emise un sospiro tra uno sbuffo e una risata.
– Così terribile, così terribile… ascolta Daniel, probabilmente hai ra-
gione tu. Diciamo che hai ragione. Allora mi aiuteresti?
– Gesù, Sully certo che ti aiuterei.

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– Mi posso fidare di te? Giuri su Dio e sulla bandiera?
– Io… sì, Sully, lo giuro. – Quell’espressione infantile era snervante.
Iniziò anche a lui a guardare furtivamente la porta, anche se in effetti
non aveva niente da nascondere. Ancora.
– Ok. Ti credo. Grande. – Sully tirò fuori dalla tasca una sottile stri-
scia di plastica e gliela porse. Riportava una lunga sequenza di nume-
ri e lettere.
– E questo sarebbe… cosa? – chiese Daniel – Un codice?
– Un codice di contatto. Basta inserirlo nell’interfaccia. Voglio dire,
non nella tua interfaccia. Non qui. Vai in un bar.
– Perché dovrei?
– Non adesso – e Sully lanciò un’altra occhiata alla porta. I suoi capel-
li, arruffati dal sudore, gli scivolarono sugli occhi. – Solo in quel caso.
– Non ti capisco, Sully.
– Nel caso accadesse a me! – urlò Sully, e poi si spaventò della sua
stessa voce. Quindi riprese a sussurrare, e sempre più vicino, disse
– se vengono per me. Se io scomparissi. Allora voglio che chiami. Da
una linea sicura. Chiamata vocale.
– Non esistono linee sicure. E io ho una moglie, Sully.
– Non la coinvolgere.
Daniel abbassò lo sguardo sulle quarantatré lettere e numeri. Era un
numero di telefono, ma nessuno utilizzava più i numeri. Semplice-
mente comunicavi allo schermo con chi volevi parlare. E lui chiamava.
– Chi mi risponderà?
– Un mio amico. Un ottimo amico, Daniel, e non voglio che gli accada
qualcosa. Se loro vengono a prendermi, chiama lui. Lui ti darà quello
che hai sempre voluto.
– Sarebbe?

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La porta del seminterrato si spalancò e apparve un uomo brizzolato
con un maglione beige e lo sguardo fisso su di loro.
– Oh – disse l’uomo, osservando i due uomini rannicchiati nel semin-
terrato – io stavo cercando… la… la stanza degli uomini…
– Seconda porta a destra – disse Daniel.
– Sì, grazie – l’uomo rimase impalato. – Devo richiudere la porta o… ?
– Fa niente – disse Daniel. Sentiva il cuore rimbombargli nelle orecchie.
– Grazie. – Prima di allontanarsi, l’uomo indugio su di loro con lo
sguardo ancora un po’ – Fai attenzione – sussurrò Sully. – Acqua in
bocca, e ricorda, solo se mi vengono a prendere.
Quindi Sully corse su per la scale, facendo perdere ogni traccia e la-
sciando Daniel sconvolto, giù nel seminterrato, con una striscia di pla-
stica in mano. “Quello che hai sempre voluto”. Che cosa voleva dire?

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VI

Domenica, dopo una messa molto lunga e dopo gli incontri dei gruppi
pomeridiani (Virtù e Doveri Femminili per le donne, Direzione Fami-
liare per gli uomini), Daniel suggerì di consumare l’usuale cena dome-
nicale al loro ristorante cinese preferito, il Drago Ridente. Madeline
si indignò.
– Non dimostreremmo uno scarso patriottismo in questo momento?
Hai sentito il Pastore John, i cinesi sono una minaccia.
– Gli Han non sono agenti cinesi – rispose Daniel mentre giravano a
Est su Wilshire - sono lì da sempre.
– Magari sono una cellula dormiente. Il Pastore John dice che le cellu-
le dormienti sono infiltrate ovunque.
– Quindi sono rimasti dormienti per quanto, cinque generazioni? Die-
ci? Pensi che i comunisti cinesi abbiano mandato gli Han a Los Ange-
les prima che Karl Marx fosse nato?
– Io sto allerta, Daniel. Tutti dovremmo stare allerta.
– Staremo allerta con il tè e gli involtini. Se ti fa sentire meglio, possia-
mo studiare i comportamenti sospetti del nostro cameriere.
– Finiscila! – disse mentre fissava infuriata fuori dal finestrino.
– Magari nel tuo biscotto della fortuna troverai un biglietto di propa-
ganda.
– Ok, ok, hai vinto. Ma dopo stasera non ci voglio più venire. Non vo-
glio che si pensi di me che non sono abbastanza americana.
A due isolati di distanza, Daniel vide il drago rosso gigante accucciato
sopra il tetto del ristorante. Il suo corpo serpentino era come un’onda
sinusoidale scarlatta.
Felice, il Drago, mascotte e attrazione turistica, aveva gli occhi soc-

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