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Con tutta probabilità, Laura avrebbe fatto meglio a rimanere a Roma e continuare a svolgere il suo lavoro di farmacista invece di tornarsene al paese natio. Però una delusione e soprattutto la morte della nonna, che le aveva fatto da madre, la induce al ritorno. Vorrebbe cambiare vita, tuttavia non è facile, specialmente quando diviene, suo malgrado, custode di un segreto. Segreto in cui parrebbe per qualche verso implicato anche - addirittura - il Museo Puškin di Mosca. Qualcuno, dunque, o forse più di uno, sembra sia al corrente di questo segreto e faccia di tutto per creare disagi alla giovane donna, servendosi persino di strumenti tecnologici e dell’aiuto di ambigui personaggi stranieri. Realtà, storia e fantasia si mescolano, coinvolgendo nella nuova vita di Laura antichi popoli italici e moderni abitanti dell’Abruzzo.

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Published by redazione, 2024-03-11 08:11:08

Arcre Tarincra, Mauro Salvadori

Con tutta probabilità, Laura avrebbe fatto meglio a rimanere a Roma e continuare a svolgere il suo lavoro di farmacista invece di tornarsene al paese natio. Però una delusione e soprattutto la morte della nonna, che le aveva fatto da madre, la induce al ritorno. Vorrebbe cambiare vita, tuttavia non è facile, specialmente quando diviene, suo malgrado, custode di un segreto. Segreto in cui parrebbe per qualche verso implicato anche - addirittura - il Museo Puškin di Mosca. Qualcuno, dunque, o forse più di uno, sembra sia al corrente di questo segreto e faccia di tutto per creare disagi alla giovane donna, servendosi persino di strumenti tecnologici e dell’aiuto di ambigui personaggi stranieri. Realtà, storia e fantasia si mescolano, coinvolgendo nella nuova vita di Laura antichi popoli italici e moderni abitanti dell’Abruzzo.

In uscita il 29/3/2024 (14,00euro) Versione ebook in uscita tra fine marzo e inizio aprile 2024 (3,99 euro) AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica della piattaforma a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.


MAURO SALVADORI ARCRE TARINCRA ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ ARCRE TARINCRA Copyright © 2024 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-653-7 Immagine di copertina: Shutterstock.com Prima edizione Marzo 2024


5 CAP. 1 – LA RICETTA Ingredienti 800 g di visciole mature 1 litro di vino rosso (Montepulciano d’Abruzzo) 500 g di zucchero 300 ml di alcol a 90° Gli occhi si soffermarono un attimo e lei ripensò alle centinaia di volte che aveva letto quelle righe. Procedimento Lavare le visciole ed eliminare il picciolo tagliandole in due, mettetele insieme al vino in un recipiente di vetro piuttosto grande che chiuderete con un panno così che il liquido potrà respirare e da esporre al sole per circa quaranta giorni, lasciando fermentare il tutto e rimestando periodicamente. Trascorso questo tempo, filtrate il composto e aggiungete lo zucchero e l’alcol. Mescolare bene e lasciate macerare per due settimane in luogo fresco, poi filtrare e imbottigliare. La grafia era nitida, Laura finì di leggere per l’ennesima volta la ricetta di nonna Egidia, indugiò, rigirò il vecchio foglio fra le mani, era sgualcito, da una parte anche mezzo strappato, alcune macchie rosso brunastre lo infiorettavano, sorrise, poi, seguendo le pieghe fatte chissà quando, lo rimise nella scatola di cartone dove l’anziana donna aveva conservato tutto il sapere culinario di una vita.


6 Però, potrebbe essere una soluzione, potrei tentare, tanto ormai che mi resta da perdere? Gliel’ho visto fare tante volte… e poi l’ho fatto anch’io, a suo tempo e devo dire che non era venuto male… per niente! Un’idea, forse una folle idea, le stava nascendo in testa. Era cresciuta con lei e il nonno dopo che, ancora bambina, i genitori erano deceduti in uno scontro automobilistico, ma adesso che anche nonna Egidia era andata a raggiungere il marito, lei era rimasta sola nella grande casa alla fine della strada: via Case Nuove. Diversi anni prima nonno Alvaro aveva fatto ristrutturare la vecchia casa contadina e in quasi tutto il podere aveva impiantato nuove viti. Era convinto che il vitigno scelto avrebbe trovato un’ottima accoglienza nel terreno sabbio-argilloso della sua tenuta, sapeva che l'areale ottimale sarebbe stata la valle Peligna ma la scommessa era riuscire a fare un ottimo vino anche lì, a Rapino. Da allora le stagioni si erano susseguite e il vecchio abruzzese aveva lasciato che la natura facesse il proprio mestiere e, alla fine, i risultati avevano dato ragione ad Alvaro: il Montepulciano abruzzese da lui prodotto non aveva niente da invidiare ad altri la cui fama era nota da tempo. Purtroppo, le sigarette fumate in tutta una vita avevano fatto il loro e lui se n’era andato dopo una inutile e dolorosa operazione ai polmoni. Egidia aveva allora preso in mano il podere ed era stata talmente in gamba da valorizzare ancor di più la produzione del nettare rosso. Nettare che però le serviva anche a produrre un ottimo liquore a base di ciliegie. La mattina seguente Laura aveva ripreso in mano la ricetta e rileggendola per l’ennesima volta, mentre osservava dalla finestra i due rigogliosi ciliegi sotto ai quali aveva sempre giocato da bambina, sempre più si convinceva di aver avuto una buona idea. Forse è una pazzia ma voglio mettermi a produrre su larga scala il Ratafià! La nonna non rispettava però la ricetta, lei non usava le visciole e neanche le nostre di ciliegie, era convinta che con le pugliesi, le ‘Ferrovia’, il liquore venisse meglio e, in effetti, da quando mi hanno


7 permesso di berlo mi è sempre piaciuto e non ne ho mai trovato uno più buono… ma forse ero di parte, forse c’entrava… c’entra l’amore per lei… o no? In fondo però so che dalle parti di Bari c’è un famoso produttore di liquori che fa anche il Ratafià quindi l’idea non è peregrina… comunque tra poco ci siamo, maggio si avvicina e posso cominciare a provare. Appoggiò il vecchio foglio su di un tavolino, si avviò verso la porta d’ingresso, indossò un gilet di lana e uscì di casa camminando sul vialetto di ghiaia per arrivare a fermarsi di fronte ai due alberi pieni di fiori bianco rosa. Staccò alcuni rametti così per fare, senza convinzione annusò il profumo dei fiori, cominciò a procedere avanti e indietro a piccoli passi sotto i due alberi sull’erba che copriva tutto il piccolo pezzo di terra fra il muro sulla strada e la casa e, mentre sulle labbra spuntava un sorriso, il pensiero rivedeva corse e capriole insieme alla vecchia Lea, la canina compagna inseparabile di giochi. Il nonno quando aveva ristrutturato il podere aveva lasciato tutto intorno alla casa una fascia di terra da adibire a giardino sul fronte, davanti alla strada, e a orto sul retro. Adesso quest’ultimo non era messo molto bene, con la repentina malattia della nonna era stato abbandonato, Laura si lasciò alle spalle i ciliegi e vi si diresse trovando radi cespi di insalata appassita fare capolino qua e là, erba dappertutto, piante di pomodoro ormai secche son riuscite a rimanere in piedi nonostante l’inverno agli occhi di lei, insomma, altro non si presentava che desolazione. E io non so niente di come si tiene in ordine un orto. Le avessi dato retta quando mi chiamava e voleva per forza insegnarmi mentre invece le rispondevo che non potevo con la scusa di dover studiare Vagabondò ancora per alcuni minuti fra le sterpaglie poi ebbe uno scatto e rivolse lo sguardo verso la siepe che delimitava la fine dell’orto dall’inizio delle vigne, là in fondo all’angolo settentrionale ove torreggiava ancora l’annosa quercia e vi si diresse chissà quanti anni ha accarezzandone il tronco rugoso neanche il nonno lo sapeva, ipotizzava più di duecento, secondo lui un tronco così non poteva averne di


8 meno… e poi diceva che questa pianta doveva stare lì dov’era finché la natura non avesse fatto il suo corso e che se si guardava il podere sulla collinetta di fronte se ne vedeva un’altra che non aveva voluto estirpare sacrificando un pezzo di terreno al momento dell’impianto delle nuove vigne…mah… chissà Ancora un guizzo come se altri pensieri le avessero invaso la mente e, spostato il cancelletto di legno vicino, entrò nei campi coltivati veri e propri; un mare di verde nascente brillava al sole: le piante di viti erano in pieno risveglio, forse anche quella sarebbe stata una buona annata per il Montepulciano d’Abruzzo. Camminò passando in mezzo a due filari, respirava a pieni polmoni, un misto di odori pervadeva tutto d’intorno, si sentiva l’odore della terra ancora umida per la pioggia di giorni prima e il fresco delle foglie in crescita ovunque. Iniziò a salire il lieve pendio e dopo poco, terminata la vigna, raggiunse la meta: l’altra quercia. Si ergeva solitaria in cima al poggetto, aspetto imponente, chioma larga, folta e frondosa, dando l’impressione di dominare tutto il terreno sottostante, e forse è proprio così, forse la padrona qui è lei e non io da quel punto si poteva vedere benissimo la casa, la strada, il paese e tutto d’intorno: dove non c’erano gli ulivi prosperava il bosco, soltanto la terra del nonno è coltivata a uva. Rientrata in casa si era messa a preparare con poca voglia e nessuna convinzione il pranzo non ho per niente fame e dopo aver aperto e chiuso più volte il frigorifero aveva deciso di mettere sul fuoco una pentola con dell’acqua mi farò una pastasciutta poi nel pomeriggio andrò in paese a fare la spesa, voglio comprare del pesce per stasera. Lo squillo improvviso del telefono interruppe i pensieri facendola trasalire chi può essere a cercarmi a quest’ora, quasi nessuno sa che sono qui: «Pronto, chi parla?» alzando la cornetta del vecchio apparecchio grigio di quelli ancora con il disco combinatore. «Buongiorno, la signorina Di Berardino?» una voce femminile chiara e all’apparenza sicura di sé. «Laura Di Berardino?»


9 «Sì, sono io,» rispose lei interdetta «ma chi parla?» «Buongiorno, non ci conosciamo, sono Marta Repetti, mi scusi del disturbo, avevo telefonato nei giorni passati ma non l’avevo trovata, sono la segretaria del notaio Sandro di Tarini, dello Studio “di Tarini e Associati” in Pescara e la chiamo perché il notaio ha bisogno di parlare con lei, perciò desidera incontrarla, quando posso fissarle un appuntamento?» «Notaio? Appuntamento? Ma io non conosco nessun notaio ‘di Tarini’, perché vorrebbe vedermi?» «Mi dispiace non glielo so dire, so soltanto che mi è stato chiesto di contattarla perché lo Studio ha delle comunicazioni che la riguardano, è libera domani pomeriggio, diciamo alle 16? Noi siamo in Corso Umberto 88, proprio all’angolo con Piazza Salotto, conosce Pescara vero?» «Comunicazioni che mi riguardano? C’entra per caso mia nonna?» «Le ripeto, signorina non so niente, allora le va bene domani?» Laura non sapeva cosa pensare, era stata colta di sorpresa da una chiamata del genere e sul momento rispose farfugliando che, sì conosceva Pescara, che sapeva dov’era Corso Umberto e sarebbe andata, al che la voce all’altro capo del telefono: «Bene, l’aspettiamo, arrivederci». Mise giù la cornetta, non sapeva cosa pensare, non si aspettava una telefonata del genere Notaio? Comunicazioni? Un notaio fa pensare a un testamento. Che la nonna lo abbia fatto? Ma perché? L’unica parente sono io, non ho nessun altro al mondo, c’era bisogno di un testamento? Se di quello si tratta. Già ma un notaio cos’altro potrebbe volere? Non voglio pensarci adesso, domani… domani… Tornò in cucina, l’acqua bolliva ormai da tempo, prese il pacco degli spaghetti e ne mise in pentola un pugnello facendo fatica a cacciare le ipotesi più svariate che la signora Marta aveva suscitato. Il pomeriggio passò senza che niente altro di particolare accadesse, uscì come aveva pensato per fare la spesa e si ritrovò all’ora di cena quasi senza accorgersene.


10 Al momento di andare a letto la telefonata sembrava svanita dalla sua mente. Aveva parcheggiato la Fiat 500L rossa in piazza della Repubblica, nello spiazzo davanti all’edificio dismesso della vecchia stazione di Pescara, voleva camminare un po’ prima di presentarsi allo Studio “di Tarini e Associati”, passeggiare e guardarsi intorno l’avrebbe aiutava a non pensare a cosa poteva aspettarla. Suonò il campanello cinque minuti prima dell’orario fissato e al citofono disse chi fosse. «Al terzo piano, prenda l’ascensore» sembrava la voce del giorno prima al telefono e uno scatto secco fece aprire il portone. Spinse la pesante anta, s’introdusse nell’ingresso, prese l’ascensore e salì al piano indicato. La porta dell’appartamento ove si trovava lo studio era accostata, chiese permesso e alla risposta: «Avanti» entrò accolta da una donna dai capelli candidi, lunghi, raccolti da una coda di cavallo e che le sorrideva. «La signorina Di Berardino, vero?» Al cenno di assenso da parte di lei continuò: «venga, il notaio la sta aspettando». E la condusse nella stanza del professionista che appena la vide si alzò dalla propria sedia, le andò incontro sorridendo e tendendole la mano: «Prego signorina, buongiorno, venga, si accomodi». Il notaio iniziò il discorso facendo le condoglianze per la morte della nonna avvenuta da un mese circa. «Sa, io la conoscevo bene, siamo stati amici fin dall’infanzia, abbiamo fatto le scuole fino all’università, lei aveva scelto la facoltà di Medicina ma ci incontravamo spesso, poi lei conobbe suo nonno e lasciò gli studi, peccato perché era brava, son sicuro che sarebbe diventata un ottimo medico. Peccato». Laura lo ascoltava meravigliata, la nonna non amava parlare della propria gioventù e quindi lei pur avendoci vissuto insieme fin da


11 piccola sapeva ben poco della donna che l’aveva cresciuta come una madre. «Sa, signor notaio, i nonni si sono sostituiti ai miei genitori dopo l’incidente d’auto in cui persero la vita e io ho sempre vissuto con loro, in pratica non ero una nipote ma una figlia, però mi hanno sempre raccontato poco della loro vita». L’uomo assentì: «Comunque veniamo al motivo per cui l’ho convocata. Sapeva che sua nonna aveva fatto testamento?» «No, non lo sapevo e mi chiedo anche perché, visto che l’unica parente sono io, per cui non vedo l’utilità di un testamento, a meno che la nonna non abbia l’intenzione di lasciare ad altri e non a me le sue cose, che so… un’associazione benefica… o altro». «No, signorina, stia tranquilla le disposizioni, e adesso le leggeremo, sono molto semplici, lei è l’erede del podere, della casa e dei soldi in banca, ma si tratta di tre righe mentre il motivo sostanziale della mia chiamata è un altro». «Cioè?» «Vede Egidia pochi mesi fa è venuta a trovarmi, sapeva che la fine era vicina ma era molto serena e, oltre al testamento, mi ha affidato questa». Estrasse da un cassetto una busta e la porse alla ragazza. «Questa per lei era importante, molto, più di tutto il resto, mi disse, e mi pregò di consegnargliela raccomandandosi che lei la legga con calma, possibilmente in privato, ecco tenga». Laura prese il plico con titubanza cosa potrà avermi scritto la nonna di così tanto importante? e mentre lo metteva nella borsetta il notaio aprì il testamento e lesse le poche righe che, come aveva preannunciato, designavano la ragazza erede di Egidia Costanzi. Non ci fu molto altro da dire per cui Laura salutò il vecchio amico della nonna e se ne andò.


12 Era curiosa, voleva aprire la busta consegnatale, e le venne in mente Camplone, la miglior pasticceria della città, vado da Camplone, è a due passi, mi siedo a un tavolino, prendo un tè e leggo. Non aveva fatto però i conti con la crisi economica che non finiva ancora di far sentire i suoi effetti nefandi: il glorioso esercizio, dove i nonni, da piccola, la portavano a comprare delle meravigliose pastine, aveva dovuto chiudere e al suo posto si era insediata una squallida panineria. Si accontentò di un bar in piazza Salotto che sembrava non aperto da molto ed entrò lì. Rapino, 10 gennaio 2014 Cara bambina mia, lasciati chiamare così, tanto lo sai che per me sei sempre stata la mia bambina, Quando leggerai queste righe io non ci sarò più ma tu non devi dispiacertene, So di andarmene in pace con tutti, So che nella vita ti farai strada, per cui non esser triste. Come ti avrà detto il notaio, il mio vecchio amico Sandro, lascio a te il podere con le vigne, la casa e quei pochi risparmi che ho in banca. So che ne farai buon uso. E so anche che ti prenderai cura delle viti del nonno, ma non è questa la cosa importante. Sappi che sei diventata la proprietaria di un meraviglioso tesoro. Quando avrai finito di leggere va nel podere, È meglio che porti con te la piccola vanga che usavo nell’orto, sai quella con il manico verde. E prendi anche una borsa, una sporta: ti servirà. Sali sulla collinetta e arriva alla vecchia quercia, quella che tuo nonno non ha voluto estirpare quando rifece la vigna. Mettiti con le spalle appoggiata al tronco: devi avere la Montagna Madre dietro di te a Sud Ovest e guarda in avanti, Se alzi gli occhi vedrai casa nostra, tua ormai, e più sotto il paese e la valle, ma tu guarda invece per terra. Guarda bene.


13 E vedrai che a un metro circa dal tronco, quindi dai tuoi piedi, osservando bene in mezzo all’erba, vedrai dei sassi. Sì, proprio dei sassi, tre, completamente sferici, posizionati a formare un triangolo. Bene. Prima di tutto, mi raccomando è importante, molto! Assicurati che nessuno ti veda, nessuno deve sapere ciò che fai, poi scava. Laura non credeva a ciò che leggeva, soprattutto non capiva il motivo di tanta segretezza, cosa doveva scavare, cosa c’era ai piedi della quercia di tanto prezioso? Troverai un involto di stoffa. Prendilo, non lo aprire, mettilo nella borsa e poi richiudi il buco in terra cosicché nessuno si accorga di niente, anche se nel nostro podere, nel tuo podere, non dovrebbe entrarci nessuno, è meglio chiudere tutto. Poi vai a casa. E ora ti chiedo di pazientare ma non ti dico altro. Troverai un’altra mia lettera dentro a ciò che avrai estratto dal terreno. Tua nonna Egidia


14 CAP. 2 – LA LAMINA Il rosso arancione del cielo sulle creste della Majella annunciavano che il crepuscolo stava per fare posto al buio della sera e la borsa che Laura aveva portato con sé era gonfia. L'involucro di stoffa di cui parlava la lettera di Egidia era effettivamente sottoterra, sotto la quercia sulla collina e tre sassi tondi, per dire il vero seminascosti dall'erba, le avevano indicato il posto giusto ove affondare la piccola vanga da giardinaggio. La ragazza aveva già ricoperto la buca fatta nel terreno e nessuno avrebbe detto che lì si fosse scavato. Si trattava di un involto di stoffa non tanto grosso e neanche molto peso io dico che non pesa più di un chilo legato con dello spago, l’aveva tastato però non era stata in grado di capirne il contenuto: al tatto, stringendo leggermente, si sentiva come scricchiolare qualcosa ma non si riusciva a intuire niente circa il contenuto. Non essendo abituata a lavori disagevoli le ginocchia stavano cominciando a farle male per la posizione in cui si era messa per scavare, si alzò con un po’ di sforzo, raddrizzò la schiena emettendo un prolungato sospiro di sollievo, scrutò d’intorno, guardinga, a controllare che nessuno fosse nei paraggi e potesse averla vista mentre rovistava fra la terra, passò gli scarponcini su e giù a cancellare ogni traccia e cominciò a scendere verso casa. Riflettendo gli ultimi raggi di sole, riverberi argentei scaturivano dal bosco al limitar della vigna. Era curiosa si chiedeva cosa potesse contenere il fagotto terroso appena estratto, un meraviglioso tesoro dice la nonna, chissà cosa sarà, non capisco il motivo per cui abbia interrotto la lettera e rimandato a quanto avrei trovato qui guardando la borsa poteva dirmi subito di cosa


15 si trattasse. O forse aveva paura che il suo amico notaio potesse leggere la sua missiva.? Ma tanto anche se lo avesse fatto avrebbe saputo anche lui quanto so io: per ora nulla. Entrò in casa quando ormai il buio della sera aveva vinto sul giorno, l’ingresso era buio ma proseguì sicura verso lo studio dove accese la piccola abat-jour della scrivania. Fece spazio ed estrasse il misterioso involucro dalla borsa. Terra e foglie umide si sparsero sul tavolo ma lei non se ne curò. Non ho mai impiegato così poco tempo per venire da Pescara è vero che incontrato poco traffico ma ho anche corso, speriamo di non aver preso nessun autovelox, comunque c’era un altro che correva come me, per un tratto ho anche pensato mi seguisse… sono curiosa muoio dalla voglia di sapere cosa c’è in questo pacco. Prese il paio di forbici che teneva sempre insieme al tagliacarte, recise lo spago e cominciò a srotolare la stoffa. Agiva con molta cautela un po’ per evitare di sporcarsi troppo e un po’ perché non sapeva ciò che aveva tra le mani. Tolto il primo imballaggio si ritrovò a maneggiare un sacchetto di iuta. Sfilò pure quello e capì il perché degli scricchiolii precedenti. Chi aveva confezionato la cosa l'aveva messa in un sacchetto trasparente di quelli che si usano per conservare i cibi sottovuoto. Hanno tolto l 'aria per impedire all'umidità di fare danni. Ma c’è ancora un altro sacco dentro! Tagliò la plastica e un sibilo fece riprendere forma e consistenza all’ovatta che era dentro. Certo l'hanno sigillato ben bene… Mentre si rigirava una volta ancora fra le mani l'oggetto misterioso e con delicatezza tolse il cotone, la cosa prese forma, una forma rettangolare ma avvolta in un panno di carta non carta ancora!!! Tirò via anche quella e finalmente: eccolo il tesoro!!! Una busta gialla di carta con sopra scritto “per Laura” e da cui estrasse un pezzo di metallo ma che roba è? Aveva in mano una tavoletta di metallo, di color marrone scuro con striature verdastre Rame? Bronzo? La poggiò, neanche lei sapeva


16 perché, il più delicatamente possibile sull'ovatta e sfilò dalla busta un foglio con la nota grafia della nonna Dunque, Laura eccomi qua di nuovo. Se stai leggendomi vuol dire che hai trovato quanto ti avevo preannunciato. E a adesso ti starai chiedendo il perché di tutto questo mistero, perché ti ho scritto in due volte, perché ho sepolto la tavoletta, anzi non sono stata io, è stato tuo nonno, nonostante la malattia ha voluto esser lui a seppellire ciò che hai fra le mani e io che avevo preparato queste righe l’ho aiutato. Devi sapere che si tratta di una lunga storia per cui cercherò di essere il più sintetica possibile. Sappi che ciò che hai dissotterrato è un bene archeologico, non dico unico al mondo, ma quasi, quindi il suo valore non è quantificabile. Tu sei venuta in possesso della seconda, su due, lamina appartenuta al popolo dei Marrucini e chi sono i Marrucini? l’ha trovata nel 2004 tuo nonno dalle parti della Bandita, nei pressi della cava dove lavorava. I cinghiali avevano smosso il terreno al limitare del bosco, mi disse che sembrava un campo di battaglia. Dovevano ampliare la cava per il pietrame e proprio lì aveva visto sporgere fra le zolle la lamina. Per fortuna direi, proprio per fortuna perché se fosse stato uno degli operai chissà che fine avrebbe fatto quel pezzo di bronzo. Come dicevo prima ha un valore inestimabile, non dico economico quanto storico, perché si tratta del più completo documento della cultura marrucina rinvenuto sino a oggi. Per quanto ne so il nonno non ne ha mai fatto parola con nessuno e io neppure, però ci siamo documentati. Tanto. Non mi vergogno a dire che in questo campo almeno, siamo diventati esperti. Siamo andati nei musei, nelle biblioteche, abbiamo spulciato tutto quanto siamo stati in grado di reperire sulla storia dei Marrucini e abbiamo scoperto che di loro esiste soltanto un altro documento del genere ma più incompleto, la cui storia è molto travagliata. Un’altra lamina, la prima.


17 Fu trovata nel 1841 da un archeologo tedesco e dopo trafugamenti, furti, scomparse e riapparizioni finì a un museo di Berlino mentre adesso si trova a Mosca al Museo Puškin perché, dopo la Seconda guerra mondiale, i sovietici portarono via dalla capitale tedesca un sacco di opere d’arte. C’è anche un altro reperto attribuibile a loro: si tratta della dea di Rapino, una statuetta, in bronzo anch’essa, trovata nella Grotta del Colle e ora custodita nel museo archeologico La Civitella, a Chieti. Io non so se tu sappia chi fossero i Marrucini no che non lo so per cui ti consiglio di documentarti, magari su internet, ci puoi giurare che lo faccio comunque ti dico che era una popolazione che abitava le nostre zone e che, a suo tempo, i Romani hanno sottomesso e poi sono scomparsi nella uniformità italica romanizzata. Insieme a tuo nonno abbiamo deciso di non dire niente a nessuno del ritrovamento, volevamo evitare quanto è accaduto con la prima lamina rinvenuta e, secondo noi, farai bene a continuare a mantenere il segreto. Un abbraccio, ti abbiamo amato come una figlia. Tua nonna Egidia Cessò di leggere, alzò la testa dal foglio, la sua faccia esprimeva tutta la perplessità possibile. Anche la sorpresa per quanto aveva trovato sottoterra era scomparsa di fronte allo sconforto che la stava prendendo. Un reperto archeologico, e pare anche importante… e ora? Che ne faccio? Posò la lettera senza finire di leggerla, prese in mano il bronzo, lo girò e rigirò più volte osservandone gli strani segni incisi. Cercava di confrontarli con i ricordi del liceo, l’alfabeto latino, quello greco, fonti di non poco sudore giovanile, ma trovava poche somiglianze è impossibile, non posso certo pretendere di capirci qualcosa riappoggiò la tavoletta sull’ovatta e andò alla scrivania.


18 Accese il pc portatile e iniziò una navigazione nel mare magno della storia antica dell’Abruzzo. Dopo più di un’ora sollevò gli occhi dallo schermo, poteva dire di essersi perlomeno fatta un’infarinatura sugli antichi abitanti di Rapino e dintorni. Si sentiva gli occhi stanchi, chiuse le palpebre per rilassarsi ma poi loe riaprì subito e decise che darebbe andata a letto a dormire. «Lauraaa, Lauraaa, dove sei? Vieni! Vieni a vedere cosa ti ha portato il nonno! Corri!» chiamava una voce di donna, la bambina dalle lunghe trecce color carbone che volava serena sull’altalena attaccata a un ramo del grosso ciliegio sfregò i piedi per terra per frenare la corsa e, in pochi attimi, scese e corse in casa. «Eccomi nonna, che c’è? Che cosa mi ha portato il nonno?» L’anziana donna le sorrideva: era la segretaria del notaio di Pescara incontrata il giorno prima. «Va di là a vedere» indicando con la mano il salotto. «Guarda Laura, cosa ti ho portato» disse il vecchio. La bimba gli andò incontro mentre il notaio rovesciava sul tavolo da un sacco di stoffa tante tavolette di cioccolata. «Sono buone, le ho prese per te, mangiane una». Laura ne scartò un pezzo impaziente di assaggiarne e vide che la piccola stecca marrone non era divisa a quadrati come di solito ma aveva strani segni incisi, li guardò curiosa e pensò che sembravano un bislacco alfabeto. Un abbaiare di cane la scosse, il nonno-notaio guardò dalla finestra: «Lea abbaia ancora al postino fuori, al cancello, ci deve essere posta». In quel momento si sentì suonare il campanello di casa…


19 La sveglia suonava, era giorno da un pezzo ormai, Laura aprì gli occhi e, per un attimo si chiese dove fosse, poi riconobbe i mobili della sua camera da letto: il respiro leggermente affannato. Rimase per alcuni minuti distesa sotto le lenzuola, la mente riandava, anche se con fatica, al sogno appena svanito e si chiese se potesse aver un qualche significato ma non si seppe dare una risposta. La nonna e il nonno con le facce del notaio e della sua segretaria… perché? Cosa vorrà dire? Vorrà dire qualcosa? I sogni… I sogni… Ripensò al giorno prima, la lettura del testamento, della lettera della nonna, la corsa in auto per tornare e scavare sotto la quercia, il fagotto, la lamina: il gran tesoro ... mah sarà anche vero ma io che me ne faccio? E poi perché tenerlo nascosto? Forse i nonni avevano paura di finire tra le mani di qualche tombarolo, qui in Abruzzo? Ma che tombaroli vuoi che ci siano qua. Bastava andassero a un museo. Eppure, la prima lamina è stata rubata... forse, poi ritrovata… ho deciso: metto tutto da una parte magari trovo un posticino in casa e lascio perdere tutta la faccenda. Sì! Ho deciso: faccio il Ratafià. Scese dal letto con lena, si preparò e dopo una mezz'oretta uscì di casa, destinazione la piazza del comune di Rapino. Li c'è un bar dove non andava da anni ma che sapeva esser stato preso in gestione da una vecchia compagna di scuola già dal tempo delle elementari. Voleva chiederle dove avrebbe potuto trovare da comprare i vasi di vetro necessari per l 'infusione forse dovrò andare a Guardiagrele, a Lanciano o magari tornare addirittura a Pescara Dopo aver rimesso la lamina nella carta non carta e fermatala con un elastico era andata in camera dei nonni e, aperto l’armadio, osservò quanto conteneva devo proprio pensare cosa farne di tutti i loro vestiti la nonna aveva conservato gli abiti del marito e proprio dentro la tasca interna di una giacca maschile mise la tavoletta poi ci penserò. Uscì di casa, aveva pensato di andare a piedi voglio proprio fare due passi, voglio godermi questa pace.


20 Mentre camminava si guardava intorno: nonostante il sole fosse già alto in cielo per la strada non c’era nessuno, si sentivano soltanto, in lontananza, il latrato di un cane e il chicchirichì di un gallo ritardatario. Arrivata davanti al Comune salutò due anziane signore, di cui una era la Maria la cui casa aveva l’orto che confinava con il suo, e che stavano andando a fare la spesa nel negozio di alimentari lì vicino, attraversò piazza Paolucci, fece per varcare la soglia del bar: «Ah, signorina, mi scusi» era la Maria che la chiamava, «è sua quella macchina verde scura ferma fra il mio e il suo cancello? Lì la strada si ristringe e quando viene il camion della spazzatura non ci passa». «No, mi dispiace, la metto in garage, non è mia, l’ho vista ma non so di chi sia, lo sa che non conosco nessuno tranne lei, vedrà che andrà via». «Speriamo». Si salutarono nuovamente e Laura entrò nel bar. L’insegna a caratteri rossi recitava “LITTLE BAR” Un cliente stava bevendo un caffè e dietro al bancone una giovane dai capelli rossi le rivolse un sorriso e le diede il buongiorno. «Desidera?» Laura non rispose subito non mi ha riconosciuto poi: «Solo questo? È vero che lontano dagli occhi lontano dal cuore, ma mi sbaglio o eri la mia migliore amica? Sono cambiata così tanto da non riconoscermi?» «Lauraaaa!!! Accidenti!!! Non ti avevo mica riconosciuta! Sei diversa! Sembri proprio un’altra. Ero abituata a vederti col tuo caschetto nero in testa e adesso invece… quei capelli così lunghi… però ti stanno bene… ma come stai? Vieni qua! Fatti abbracciare!» quasi correndo da dietro il bancone verso l’amica. Le due giovani si gettarono le braccia al collo l’un l’altra con foga, rimasero per alcuni istanti così poi: «Dai, siediti» indicando dei tavolini, «che ci fai qua? Come son felice di vederti! Vuoi qualcosa? Marco! Marco! Vieni a vedere chi c’è!» Da una piccola porta che dava sul retrobottega uscì un uomo, giovane, capelli e barba ricci, neri:


21 «Chi c’è?» con l’aria di “ma che vuoi adesso, ho da fare, chi sarà mai venuto”. Guardò le due donne e: «Laura! Non posso credere ai miei occhi! Laura Di Berardino! Sei proprio tu!» andandole incontro e abbracciandola con impeto. I tre si misero a sedere e fu Laura a prender per prima la parola. Raccontò della morte della nonna, del fatto che aveva deciso di lasciare il lavoro a Roma per trasferirsi definitivamente in paese e che voleva mettersi a fare il liquore di ciliegie. Naturalmente avrebbe curato la vigna e proseguito con la vendita del vino ma voleva creare un prodotto di nicchia - Magari lo vendo via Internet. - perché era sicura di aver tra le mani la miglior ricetta che ci fosse a giro. «Anzi, a proposito, dove posso trovare dei vasi, dei barattoli di vetro, grandi, pensavo a una trentina tanto per cominciare». «Ma come, hai lasciato la farmacia?» la interruppe l’amica, «ma se non hai pensato ad altro, mi ricordo bene quando ti sei laureata, sembravi la felicità in persona… e ora vuoi vasi di vetro? Dove puoi trovarli? Per fare? Aaaah il Ratafià? Boh! C’è la Rosina giù vicino all’ufficio postale, qualcosa dovrebbe avere ma di sicuro se vai a Lanciano trovi tutte le misure che vuoi. Ratafià! Mah! Non ti sei trovata bene nella capitale? Quando eri qua m’era sembrato che tu smaniassi per andarci». «No, per niente, non mi sono trovata bene, proprio per niente» e continuò dicendo che dopo alcuni anni trascorsi a giro per le farmacie del Lazio a fare la tappabuchi lavorando di notte, di festa, alla fine era capitata in una dove il vecchio proprietario aveva lasciato la gestione al figlio e alla nuora. Lì sembrava che tutto iniziasse ad andar per il meglio, quando il giovane dottore cominciò a metterle gli occhi addosso. «Insomma, Cristina» così si chiamava l’amica, «ci sono cascata come una pera cotta. Mi sono innamorata di lui come una liceale». «Ma non hai detto che era sposato?» «Appunto, la solita storia, lascio mia moglie, lascio mia moglie, ma non ci pensava nemmeno, poi è successo… un giorno lei ci ha trovati


22 insieme… insomma lui… di lasciarla neanche a parlarne e io alla fine mi sono licenziata e me ne sono venuta qua. Oltretutto la nonna se n’era andata da poco e dovevo prendere una decisione sul podere… per cui… eccomi qui… ma voi? Voi piuttosto, sapevo che vi eravate sposati… alla fine ce l’hai fatta… eh Marco?» rivolta all’uomo. «Fin da quando eravamo a scuola avevi in mente solo lei». «È stata dura, te lo devo dire, ma poi ha ceduto… questa qua… lo sai quanto è testarda» guardando con occhi adoranti la moglie, «adesso ci siamo messi in questa impresa, vogliamo far rinascere il bar, vorremmo attirare la poca gioventù rimasta… speriamo bene... » «Perché lo avete chiamato “Little”?» «Ci credi che non lo sappiamo bene neppure noi? Quando discutevamo sul nome da dargli non riuscivamo a trovarne uno, ci è venuta la parola little sulle labbra perché alla radio c’era Little Tony che cantava e allora…» Gli occhi di Laura furono attirati da un giornale poggiato sul tavolo, lo prese e iniziò a leggere la notizia in prima pagina. L’edizione locale del Centro, il quotidiano diffuso in Abruzzo, riportava sotto il titolo scritto a grossi caratteri quanto era accaduto il giorno prima a Chieti: RUBATA STATUETTA ANTICA AL MUSEO ARCHEOLOGICO LA CIVITELLA Sconosciuti si sono introdotti di notte, o forse si erano lasciati chiudere dentro eludendo i vigilanti, dal momento che son riusciti a disattivare gli allarmi ed hanno trafugato una statuetta antica senza nessun problema. Si tratta di un reperto da pochi anni in possesso del museo, parliamo della cosiddetta “Dea di Rapino” trovata nel sito archeologico della Grotta del Colle…. L’articolo proseguiva ponendo l’attenzione sul fatto che doveva trattarsi di un furto su commissione perché non era stato rubato


23 nient’altro, lei lo lesse tutto, rimise il giornale sul tavolino e non disse niente. «Laura? Ma che c’è? Cos’hai letto? Hai fatto una faccia? Che succede?»


24 CAP. 3 – I BARATTOLI DI VETRO Lasciati i due amici dopo una reciproca promessa di ricominciare a vedersi, si era recata nel negozio indicatole da Cristina ma non aveva trovato quanto desiderava, però ne era uscita con l’informazione che se fosse andata a Lanciano avrebbe soddisfatto ogni sua esigenza. Tornando a casa notò che l’auto verde non c’era più, varcata la soglia dell’ingresso andò diretta nello studio e si collegò subito a Internet per cercare tutto quanto era reperibile sulla statuetta rubata ed era trascorsa più o meno una mezz’ora quando squillò il telefono. E ora chi è? Riandò subito con la mente all’ultima e unica telefonata ricevuta da quando era tornata non può essere il notaio non dovrebbe avere nient’altro da dirmi. Alzatasi dalla sedia andò a rispondere e al suo pronto una voce maschile si presentò. Era la voce di un uomo all'altra parte del telefono che si qualificò come Ettore: «Si ricorda di me signorina? Sono la persona che aiutava i suoi nonni nel podere, ci siamo conosciuti alcuni anni fa quando lei venne una volta in tempo di vendemmia, sono quello che le ha insegnato come va raccolta l'uva, si ricorda? Si ricorda in quei giorni la sera cenavamo tutti insieme». «È vero... Ettore... mi ricordo... che belle serate... ma certo che mi ricordo di lei, come sta signor Ettore? Sua moglie? Mi dica, dica pure». Si trattava di colui che da quando erano state messe a dimora le piante di vite aveva seguito la loro crescita e curava il buon andamento del vigneto, con l'aiuto di alcuni operai avventizi concimava, potava, vendemmiava fino ad arrivare a fare il vino. Chiamava per capire le intenzioni di Laura, le domandò se pensasse di continuare a servirsi di lui o se aveva altri progetti ma ricevette subito


25 l'assicurazione che non c 'era la minima intenzione di fare cambiamenti, anzi la giovane lo pregò di passare il giorno successivo perché voleva porgli diversi quesiti. Fissarono così di incontrarsi la mattina dopo. Intanto, mi scrivo ciò che gli devo domandare e forse potrebbe la persona giusta a cui chiedere se faccio bene a imbarcarmi nell’avventura del liquore. Aveva appena riagganciato il telefono con un leggero senso di colpa ho l’impressione di esser stata troppo fredda e sbrigativa, speriamo che Ettore non se ne sia accorto, l’ultima cosa che voglio è inimicarmi chi può invece aiutarmi quando sentì iniziare a suonare nella stanza del computer le prime note della sinfonia L’Eroica di Beethoven il cellulare e adesso chi mi vuole? Andò di là, prese in mano l’apparecchio suonante e vide sullo schermo: notaio di Tarini. «Pronto…» «Signorina Di Berardino? Buongiorno, sono Repetti, Marta, ricorda? La segretaria del notaio, la disturbo?» «No, no, buongiorno, però… » voleva dire che non riusciva a capire il motivo della telefonata ma l’altra la precedette: «Si chiederà perché la chiamo di nuovo. Il notaio mi ha incaricata, e sto usando il suo cellulare, di informarmi se era tutto a posto. Se avesse per caso bisogno di chiarimenti riguardo al testamento di sua nonna o anche di qualche documento per la successione, sa… in banca… non esiti, siamo sempre a sua disposizione…» «No, no grazie, non ho bisogno di niente per il momento, quando mi muoverò, se avrò difficoltà, stia pur certa che chiamerò lo studio». «Bene, allora tutto a posto?» insistette la donna. «Sì, sì, grazie, arrivederci e mi saluti il notaio». Chiuse la telefonata con la sensazione anche questa volta di esser stata troppo brusca nel troncare la conversazione ma, al tempo stesso, si chiedeva come mai il notaio avesse voluto sincerarsi che tutto fosse a posto. Non sapeva darsi una risposta e forse una risposta non c'è forse lei è una buona segretaria che esegue gli ordini del suo capo e lui una


26 persona scrupolosa che vuol far bene il suo mestiere, in fondo era amico della nonna... Mentre pranzava cercò di mettere da parte i pensieri relativi al testamento, aveva deciso di andare a Lanciano a cercare i vasi di vetro, partirò verso le tre, per arrivare là ci vuole un’ora adesso vado in camera e sistemo un po' di biancheria. A Lanciano aveva trovato quanto voleva, l’indicazione avuta da Cristina si era rivelata giusta, poi aveva fatto un salto al Consorzio Agrario, così tanto per fare, non ho bisogno di niente in particolare per ora ma guardarsi intorno fa sempre bene, in fondo dell’agricoltura non conosco niente e fatto un giretto per il paese era tornata a casa con l'auto piena di barattoli di vetro che pensò di portare in cantina. Aprì la porta che immetteva al sottosuolo, accese la luce e cominciò a scendere le scale. Era sempre stato un posto dove da bambina non andava volentieri, le aveva sempre incusso non proprio paura ma timore sì. Quando qualcuno le chiedeva di andarci a prendere qualcosa trovava sempre una scusa per non farlo oppure diceva: «Vieni con me, non so dov’è, così me lo fai vedere». Sapeva bene che non c’era ragione di aver paura ma anche adesso, scendendo i gradini non era del tutto serena. In fondo poi erano anni che non andava in cantina. Arrivò nello stanzone enorme è sempre stato grande praticamente è sotto tutta la casa notò subito come fosse pieno di ogni tipo di oggetti non buttavano via niente, ‘porta giù potrebbe servire’ bottiglie vuote, tegami di alluminio, piatti, attrezzi per il giardino e l’orto, una vanga arrugginita e senza manico, un rastrello, tubi di gomma, sedie dall’impagliatura rotta e ammuffita, un tavolo con sopra posate vecchie, bicchieri opachi dalla polvere, un macinino a manovella per il caffè, insomma il paradiso per un rigattiere. Si mosse per cercare di individuare un po’ di spazio ove poter mettere le scatole con i barattoli quando si accorse di una cosa ma laggiù non


27 mi ricordavo fosse così profondo, non si vede la fine ed è anche tutto buio. Non si vedeva la parete perché a un certo punto finivano le pareti e iniziava una grotta scavata nella roccia hanno buttato giù il muro, la cantina finiva qui me lo ricordo bene, mi ricordo di questa nicchia nel muro, ci mettevo sempre la mia bambola… eh sì, si vede dov’era la parete che non c’è più, chissà perché l’hanno fatto, no, ora, ora capisco mentre procedeva con cautela e si guardava intorno queste botti... hanno voluto guadagnare spazio… e gli scaffali, guarda quante bottiglie di vino, ho trovato la “cantina” del nonno. La grotta, dunque, conservava le annate di Montepulciano d’Abruzzo prodotto dai nonni, ne prese un paio di bottiglie, di quelle che le sembravano le più impolverate, guardò l’etichetta ed ebbe la conferma: 2014, il primo raccolto lo voglio proprio assaggiare. Lasciò i sotterranei per andare al computer a controllare la posta elettronica chi vuoi che mi scriva e trovò una mail che non si aspettava. Era di Federico. Aveva già portato il cursore del mouse per eliminarla senza neppure aprirla quando invece premette il tasto per aprirla e leggerla. Era un accorato appello dell’uomo che le chiedeva di tornare con lui, che assicurava avrebbe lasciato la moglie, che l’avrebbe assunta a tempo indeterminato in farmacia ma lei non finì neppure di leggere che eliminò la mail. Le solite promesse, che non manterrà, quante volte me le ha fatte e poi… no, no, mi fa male ma va bene così. Il resto della giornata e di quelle seguenti fu impiegato da Laura a sistemare la casa, un po’ perché erano anni che non ci viveva in maniera stabile e un po’ per non pensare né a Federico né al ritrovamento della lamina. Si era imposta che il suo pensiero dominante fosse il Ratafià per cui andò al mercato per vedere se le ciliegie cominciavan ad arrivare. Voleva quelle della Puglia, la varietà Ferrovia, ma era ancora presto


28 devo aspettare forse la settimana prossima e allora si era messa a disegnare. Voleva creare un’etichetta da attaccare sulle bottiglie che fosse originale. Era sempre stata brava nel disegno e nel giro di poco realizzò quattro o cinque prove che la soddisfacevano. Aveva poi telefonato al magazzino di Lanciano dove aveva comprato i barattoli per ordinare un paio di centinaia di bottiglie bordolesi dal vetro scuro dicendo che sarebbe andata a ritirarle la settimana successiva. Secondo quanto si erano detti per telefono era andato a trovarla anche Ettore cui aveva confermato l’interesse di continuare a servirsi di lui per il podere. «Anzi, lei mi deve aiutare, dovrebbe far di più di quanto non facesse prima con i nonni, loro erano esperti mentre io… sa bene che non conosco per niente l’agricoltura». Gli aveva spiegato poi la sua idea per produrre il Ratafià, idea che a lui parve buona e per la quale le promise di aiutarla anche in quello. Il pomeriggio della domenica sera la vide impegnata a preparare la cena cui aveva invitato i due giovani amici del bar perché voleva riprendere i rapporti con loro e, nell’occasione, furono stappate, con estrema soddisfazione di tutti, alcune bottiglie prese in cantina. La serata fu molto allegra, a tutti e tre pareva di esser tornati indietro nel tempo quando, liceali, passavano ore e ore insieme, sembrava che il periodo di lontananza non fosse neppure esistito, ci fu soltanto un episodio, prima di cena, che per alcuni minuti turbò la mente di Laura. Mentre andava avanti e indietro fra la cucina e il tinello per apparecchiare la tavola aiutata da Cristina risuonò dalla tv accesa la sigla del telegiornale regionale e subito dopo una voce femminile esordì con enfasi:


29 «Ancora i ladri si accaniscono contro i nostri musei e il patrimonio archeologico abruzzese: rubati una stele e un altro frammento al Filippo Ferrari di Guardiagrele». «Iniziamo questo telegiornale» disse la giornalista «con la notizia di un nuovo furto. Questa volta purtroppo è toccato alla stele di Guardiagrele conservata nel piccolo museo di paese… » «Di nuovo qualcosa delle nostre zone» commentò a voce alta Laura bloccatasi con le posate in mano in mezzo alla stanza, davanti al televisore, non appena sentita la notizia». «Nessuna porta, nessuna finestra rotte,» riprese la giornalista dallo schermo tv «l’allarme spento, sembra lo stesso modus operandi di Chieti. I ladri però questa volta si sono accontentati di una copia, ben fatta ma sempre una copia perché l’originale della stele si trova al museo archeologico di Chieti. Comunque, dicevamo trattarsi di un doppio furto perché è stato asportato anche un frammento di statua rinvenuto a Rapino e questo non era una copia. Gli inquirenti non si pronunciano ma il responsabile dell’Archeoclub di Guardiagrele ci ha detto che la scomparsa dei reperti potrebbe esser legata a quella della Dea di Rapino trafugata alcuni giorni fa sempre a Chieti…» «Laura, che fai?» intervenne Marco, «che ti succede? Lo sai, hai la stessa espressione dell’altra mattina quando al bar hai letto la notizia del furto sul Centro». «No, no,» si riscosse la giovane, «niente, niente» e riprese a predisporre le posate sulla tovaglia ma ripensava a quanto aveva appena ascoltato. Cristina però, nonostante non si vedessero da tempo, riteneva di conoscere bene l’amica e: «No, tu sei rimasta colpita dalle notizie dei furti, non far finta di niente, non lo negare, ti conosco, che cosa c’è? O non ce lo puoi dire?» Laura esitò per alcuni istanti poi dopo essersi seduta:


30 «Mi dà un enorme fastidio veder scomparire così la nostra ricchezza, avete sentito? Ancora un oggetto di Rapino hanno rubato! Il nostro paese! Sapeste negli anni che sono stata a Roma e dintorni quante ne ho sentite, quanta indifferenza verso il nostro patrimonio, quanto menefreghismo c’è fra la gente comune e anche… anche fra coloro che ci dovrebbero governare, abbiamo delle risorse in Italia… ma lasciamo perdere… non voglio farmi il sangue amaro stasera, stasera ci siete voi e sono felice» si alzò, «vieni Cristina dobbiamo finire, la carne sarà cotta, andiamo». L’amica la seguì e Marco terminò di apparecchiare il tavolo. L’allegria dei due amici riuscì comunque in pochi minuti a farle accantonare ogni pensiero sui reperti rubati e la serata trascorse fra risate, “ti ricordi…”, prese in giro vicendevoli, racconti da parte di ognuno su quanto aveva fatto che gli altri non conoscevano fino a giungere a notte inoltrata quando Cristina e Marco se ne andarono per tornare a casa.


INDICE CAP. 1 – LA RICETTA...................................................................... 5 CAP. 2 – LA LAMINA .................................................................... 14 CAP. 3 – I BARATTOLI DI VETRO ................................................... 24 CAP. 4 – L’UCCELLO MECCANICO ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAP. 5 – LA PORTA APERTA ......... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAP. 6 – LA GROTTA DEL COLLE . ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAP. 7 – IL CARDELLINO È VOLATO VIA .. ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAP. 8 – LE INDAGINI .. ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAP. 9 – LA SCOMPARSA .............. ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAP. 10 – IL VASSOIO .. ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAP. 11 – NEVIO POMPULEDIO .... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAP. 12 – LA FONDAZIONE .......... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAP. 13 – IL LADRO .... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAP. 14 – ARCRE TARINCRA ........ ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO.


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