In uscita il 29/2/2024 (14,00euro) Versione ebook in uscita tra fine febbraio e inizio marzo 2024 (2,99 euro) AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica della piattaforma a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.
SILVIA LIONETTI L’INGANNO DEL RIFLESSO ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ L’INGANNO DEL RIFLESSO Copyright © 2024 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-648-3 Immagine di copertina: Shutterstock.com Prima edizione Febbraio 2024
Ai miei alunni.
Quello che l’attirava verso lo specchio non era la vanità bensì la meraviglia di vedere il proprio io. Milan Kundera L’insostenibile leggerezza dell’essere
CAPITOLO 1 LA SCOPERTA Celeste quel giorno non aveva voglia d’incontrare la sua amica in cortile. Abitava con i suoi genitori in una delle villette unifamiliari della periferia di una piccola città di provincia – a livello inferiore rispetto a quello della strada – sviluppata su tre piani: zona giorno, zona notte, soffitta con tetto spiovente. Dalla parte della camera da letto dei suoi, i balconi si affacciavano su un cortile comune e la strada, proprio lì di fronte, si piegava in un curvone che, biforcandosi, generava la stradina un po’ tortuosa che conduceva alle villette. Dalla parte della camera di Celeste, invece, sul lato opposto, dopo un’ampia aiuola comunale poco curata e circondata da qualche panchina arrugginita, c’era una vecchia pista da pattinaggio, ormai in disuso, ma che concedeva ai bambini di giocare a calcio o a pallavolo senza allontanarsi da casa. I ragazzini più grandi, invece, raggiungevano da soli il parco sportivo un po’ più avanti, proseguendo dopo il curvone. Qualche pino maestoso, residuo di un’antica pineta, abbelliva e rinfrescava le villette.
Come ogni pomeriggio, intorno alle 17:00, il citofono aveva squillato: «Sono Sara, Celeste può uscire?» «Celeste, c’è Sara! Se hai finito i compiti, scendi a giocare e, visto che ci sei, butta la spazzatura!» aveva urlato la mamma, ma lei, fingendo di non aver sentito, era scappata via e si era rifugiata in soffitta, chiudendosi dietro la porta; le aveva ripetuto cento volte che oramai il verbo “giocare” non le si addiceva più e detestava portare giù la spazzatura. Non capiva perché a volte si sentiva così, aveva bisogno di stare sola, senza nessun motivo particolare. “Saranno i miei dodici anni e mezzo” si disse, “avrà a che fare con quel discorso sulla pubertà che ci ha spiegato il prof, la pressione di essere figlia unica; avrei voluto tanto un fratellino tutto per me da torturare e schiavizzare”, pensò sorridendo. Poi d’un tratto tornò seria; le era venuta in mente la nonna, il pensiero della sua perdita era sempre in agguato. In quei giorni tornava a perseguitarla. Erano già passati diversi mesi dalla scomparsa. A quella storia, però, non voleva più pensarci, si era imposta di dimenticarla, aveva il terrore che l’immagine del cadavere nel canale, con quell’anello che aveva rivelato la sua identità, le si figurasse nella mente pur non avendola mai vista. Aveva cercato d’impedire alla sua immaginazione di produrla. Ma proprio lì, in soffitta, avevano portato alcuni scatoloni di oggetti vari, vecchi indumenti e libri che erano appartenuti alla cara nonna. Le raccontava sempre che non le avevano permesso di studiare ma, nonostante tutto, era riuscita ad assaporare, a comprendere quanto potesse essere sano il
piacere della lettura, potente il dono della conoscenza, dell’istruzione. «Cara nipote, quello che a me è stato privato, tu puoi averlo. Riesci a coglierne la bellezza?» «Non impazzisco per la scuola, nonna, ma mi piace leggere, se c’è un gene della lettura, l’ho preso da te» aveva risposto, mostrando alla nonna, compiaciuta, che aveva recepito un termine importante della lezione di scienze. La ragazza sospirò. “Perché non ci sei più? Tu eri l’unica che mi capivi davvero”. Distolse con forza il pensiero dalla tragedia. Si guardò intorno. Su una mensola erano stati sistemati dei libri. Cominciò a leggere qualche titolo: “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, ”Il nome della rosa”, “L’alchimista”. Prese in mano l’ultimo della fila, “La scimmia nuda” e sotto, a caratteri più piccoli: “Studio zoologico dell’animale uomo”. “A quanto pare l’animale uomo non è così furbo”, pensò e le venne in mente quella brutta storia di Černobyl, accaduta più di dieci anni prima. Ne avevano parlato in classe durante la lezione di tecnologia e ripreso in italiano, per un lavoro interdisciplinare. “La notte del 26 aprile 1986 alle ore 1:23:45 è avvenuto un terribile incidente in una centrale nucleare” aveva cominciato a scrivere nel tema assegnato in classe. “Spero che l’umanità ricordi per sempre quanto accaduto, e che possa essere da monito affinché non avvengano più simili atrocità. Riflettiamo tutti sulla pericolosità del nucleare e delle bombe atomiche che non sono solo un crimine verso tutti gli
equilibri ecologici, ma potrebbero determinare la scomparsa dell’umanità stessa” aveva concluso, meritando l’ottimo in italiano con tanto di complimenti della prof. La mamma alla porta la fece sobbalzare. «Celeste sei qui? Tutto bene? Ho detto a Sara che scendi tra poco, ok?» Celeste rispose di sì nel modo più convincente possibile, altrimenti la mamma non l’avrebbe lasciata in pace. Di nuovo sola, la ragazza si avvicinò agli scatoloni, ne aprì uno e cominciò a rovistare. Trovò tovaglie e centrini fatti a mano, rigorosamente imbustati e provvisti di descrizione: "Tovaglia rettangolare 145x290, lino, lavata”, “Set di due tovagliette in cotone da colazione”; in fondo alla scatola pescò qualche bambola di porcellana con vestitini ricamati a mano. «Da incubo» sussurrò con una smorfia. Se c’era qualcosa per cui era proprio negata era il cucito e le faccende domestiche in generale. Mentre cercava di rimettere tutto a posto, sollevando a fatica il fardello, urtò contro la parete. Il suono che riprodusse in quel punto era diverso, sembrava ci fosse del vuoto dietro. Vide una sorta di rientranza e scavò un pochino con un uncinetto che aveva trovato nella scatola e, sorpresa delle sorprese, scoprì che dietro un sottile strato di muratura c’era una piccola nicchia, e guardandovi all’interno intravide qualcosa che sembrava una scatola. All’improvviso sentì di nuovo la mamma che la chiamava: «Celeste, allora?» Coprì in fretta tutto con lo scatolone delle tovaglie e corse via, entusiasta di aver scoperto qualcosa di nuovo e misterioso. Eccitata, decise di non dirlo a nessuno e di
tornare quella notte stessa, quando avrebbe potuto fare le cose con calma senza essere disturbata. Salutò la mamma, prese il sacchetto della spazzatura, uscì di casa e raggiunse Sara, che la stava aspettando, imbronciata, seduta su una panchina. Dopo che si furono liberate del sacchetto, le ragazze s’incamminarono lungo lo stradone, verso il parco sportivo. «Che noiosa che sei oggi, Celeste» si lamentò Sara, vedendo l’amica persa nei suoi pensieri. «Sei più tra le nuvole del solito. Pensi ancora a tua nonna? Forza, purtroppo è così, anch’io ho perso la mia e me ne sono fatta una ragione.» Strinse le mani dell’amica, quasi a volerle dare vitalità. «Forza, che pizza! Da queste parti non passa nessuno, volevo tanto vedere Marco. Cavoli, mi dovrebbe notare oggi, ti piacciono i miei jeans nuovi? Sono Levi’s 501.» Celeste si sforzò di essere carina e annuì, sorridendo. No, non era interessata né a Marco né ad altri ragazzi. Non si piaceva. A suo giudizio aveva capelli troppo lisci, di un castano troppo comune; naso all’insù ma forse le narici avrebbero dovuto essere più strette; fisico troppo esile; bocca troppo larga; detestava quel terribile apparecchio! Eppure quando lo aveva messo, ne era stata contenta e si era divertita a scegliere il colore dei morsetti; ma allora era in quarta elementare. Solo gli occhi le piacevano, perché erano uguali a quelli della nonna. I pomeriggi trascorsi a ciondolare nel parco vicino casa, o le passeggiate strategiche per incontrare la periodica fiamma di
Sara, non la entusiasmavano. D’altro canto non le faceva piacere essere invisibile per i ragazzi. Sara aveva il seno ed era già sviluppata, lei non era proprio una tavola, ma del ciclo neanche l’ombra. Ne aveva tanto sentito parlare dalle sue compagne, più di metà della classe. Tutte quelle cerimonie per andare in bagno con la pochette ostentata, le richieste di tornare a casa per i dolori, il chiacchiericcio continuo durante le lezioni su quali assorbenti usare o l’abbigliamento da preferire in quei giorni lì. Il fatto era ormai evidente a tutti, soprattutto ai ragazzi, che le guardavano con evidente curiosità. Lei niente, mostrava disinteresse e pensava con sarcasmo, ma anche un pizzico di malinconia, ai giochi di qualche anno prima, gli spettacolini di pattinaggio artistico sotto casa, la raccolta dei gusci di chiocciole, le gare di corsa con i compagni e il mercatino dell’usato, grazie al quale riusciva a guadagnare quel poco che le consentiva di comprare qualche gelato in più. Inoltre, quel pomeriggio di primavera era particolarmente uggioso. Celeste non vedeva l’ora che arrivasse la sera. Dopo cena, sbrigate le faccende domestiche, i genitori si trattenevano in camera da letto a guardare un film. Da piccola si sdraiava sempre anche lei con loro nel lettone, e quando si addormentava il padre la portava nella sua stanza. Ora aveva perso quasi del tutto questa abitudine e quella sera, in silenzio, ne avrebbe approfittato per tornare in soffitta dalla sua scatola misteriosa.
«Eccolo, è lui! Ho visto Marco! Lo vedi? È proprio lì in fondo, vicino il market e parla al cellulare!» La ragazza saltellava e indicava il ragazzo. «Ok calmati, altrimenti ti nota tutto il mondo, non solo lui» replicò Celeste. Sara continuò: «Che figo! Ha solo tre anni più di noi, ma ti rendi conto che ha già un cellulare tutto suo? Ci credo, lui già lavora, dopo la terza media ha cominciato a lavorare nella ditta del padre, te l’avevo detto che era venuto con altri tizi a parlare a casa mia per i lavori di ristrutturazione? Chissà quanto guadagna! Si può permettere di certo computer e cellulari a gogò.» A Celeste parve un segno del destino. “Proprio oggi che ho intenzione di sfondare un muro incontro uno che lo fa di mestiere”, pensava. Sara aggiunse, seria: «Sai che ho visto una trasmissione in TV dove spiegavano che tra un po’ di tempo i cellulari li potranno comprare tutti, e potranno essere utili non solo per telefonare ma anche per fare fotografie, video, si potrà scrivere, fare calcoli e andare anche su internet!» «Sì, la tecnologia viaggia davvero veloce, forse troppo» affermò Celeste «ma a me non interessa, non sento il bisogno di portare sempre con me un telefono, non mi serve; poi in ogni momento ti potrebbero chiamare, sai che barba, paradossalmente potresti non essere mai sola per i fatti tuoi. In ogni caso, non mi piace chi si pavoneggia con i cellulari.» Si rese conto di essere stata troppo severa con l’amica, si conoscevano da piccoline, ed era l’unica che sopportava le sue
paturnie. Inoltre, quel Marco anche se sembrava un po’ arrogante, avrebbe potuto essere d’aiuto per capire come fare con quel buco in soffitta. Allora aggiunse: «Ma visto che a te lui piace e che, a quanto pare, è un bravo lavoratore, il che può essere anche utile, prova a conoscerlo. Se è piuttosto attratto da ’ste cose tecnologiche, fatti furba, potresti esordire parlando con lui proprio di questo, per renderti più interessante…» Sara annuì contenta, le prese la mano e urlò: «Andiamo!» Quando furono vicine al ragazzo, che aveva appena terminato la chiamata al cellulare, ostentando la cosa a voce più alta del dovuto, Sara cominciò a fare segno all’amica di parlare, perché lei non ce la faceva proprio. Celeste le lanciò un’occhiata di rimprovero; la situazione stava diventando molto imbarazzante; l’unica cosa che le veniva in mente era il buco in soffitta. «Scusa, fai lavori edili, vero?» esordì Celeste. «Quali in particolare?» Marco la scrutò per alcuni istanti, poi rispose: «La nostra ditta fa di tutto in casa, qualsiasi opera di ristrutturazione.» «Davvero? Allora se c’è una cavità nascosta dietro un muro, come faccio a romperlo e poi richiuderlo?» Mentre parlava, mostrava le dimensioni della scatola che aveva intravisto nella nicchia in soffitta. Sara la guardava meravigliata. Marco rispose con sicurezza: «Carina, a rompere non ci vuole niente, basta martello e scalpello; riparare è molto più complicato.» Cominciò con paroloni difficili a parlare di
muratura, cartongesso e altre cose incomprensibili. «Se ti serve una mano, questo è il biglietto da visita.» Le fece l’occhiolino. Sara le strappò il biglietto dalle mani; nel frattempo aveva preso coraggio e si era anche ingelosita, quindi esclamò: «Questo è il numero di un cellulare, vero? È un Nokia?» Iniziò la conversazione che le aveva suggerito prima Celeste, che non proferì più parola, sia per non togliere spazio a Sara che finalmente parlava con il ragazzo dei suoi sogni, sia perché si era messa a pensare a cosa prendere per aprire e soprattutto come fare per chiudere quel buco. Se avesse chiamato Marco di nascosto con la complicità di Sara per farlo riparare? Sì, ma avrebbe dovuto aspettare l’occasione giusta e soprattutto l’assenza prolungata dei suoi. Per adesso poteva stare piuttosto tranquilla, la mamma, da quando avevano portato gli scatoloni, non saliva mai in soffitta, diceva che era troppo doloroso vedere tutte quelle cose; il padre forse non c’era mai salito,se non per scaricare e prelevare del materiale. Marco la distolse dai suoi pensieri quando chiese, con aria sardonica e saccente: «Avete sentito parlare del Millennium Bug?» Le ragazze fecero cenno di no col capo e lui continuò: «È un catastrofico difetto informatico che si mostrerà al cambio di data della mezzanotte tra il 31 dicembre 1999 e il 1º gennaio 2000. Sembra che sarà l’apocalisse che manderà in tilt i computer e i grandi elaboratori di mezzo mondo. Dalla mezzanotte del 1° gennaio 2000 tutto si bloccherà, le banche, i
supermercati, le scuole e gli ospedali, perché già lavorano con i computer, si fermeranno persino ascensori e semafori.» Le ragazze lo guardavano impressionate, Sara chiese: «Perché?» Lui proseguì: «Il baco bloccherà tutti i computer al momento del passaggio dal 1999 al 2000, a causa della rappresentazione sintetica delle date, del tipo AAMMGG, nel quale AA rappresenta le ultime due cifre dell’anno, MM il mese e GG il giorno. Con l’avvento del nuovo millennio, i programmi potrebbero interpretare 00 come 1900 anziché come 2000. Allo scoccare del 2000, tutto ciò che funziona in modo informatico darà forfait, come se un “insetto” s’infiltrasse nel cervello elettronico per sballare l’orologio interno nel semplice passaggio da ’99 a ’00.» «Davvero?» esclamò Sara, con aria di ammirazione. *** Quella sera alle 22:00 in punto, Celeste salì in soffitta. Con una torcia nella mano destra illuminava la scatola che, finalmente, stava estraendo con la sinistra dalla nicchia. Aveva pensato a tutto; si era procurata martello e scalpello dalla borsa dei lavori del padre per aprire meglio il foro a grandezza scatola, come aveva suggerito Marco; paletta e busta per raccogliere i calcinacci e un poster, ne aveva recuperato uno dei Take That, per nasconderci dietro il buco, se mai qualcuno avesse spostato lo scatolone delle tovaglie; un po’
come aveva fatto il protagonista di quel bellissimo film “Le ali della libertà” per fuggire dal carcere. Sembrava una scatola da cucito, rigida ma un po’ imbottita e rivestita con una graziosa stoffa azzurra a pois, con un cuore rosso ricamato nella parte laterale. La aprì con l’eccitazione che illuminava i suoi già bellissimi occhi verdi. «Cavoli!» esclamò. La scatola conteneva una sorta di quaderno grande e spesso, con la copertina rossa un po’ sgualcita. Sopra c’era scritto con un pennarello a stampatello maiuscolo: “L’INGANNO DEL RIFLESSO – RIFLESSIONI ESTRATTE DA UN DIARIO”. All’interno era tutto scritto a macchina, i fogli e la copertina erano stati pinzati in maniera grossolana. C’erano anche alcuni disegni fatti a mano, che raffiguravano perlopiù donne. In qualche pagina c’era una data, ma solo giorno e mese, come fosse un diario, in altri un’intestazione, come fosse il capitolo di un libro. Impaziente, cominciò a leggere: UNA NUOVA LUCE Mi guardo allo specchio e ho deciso: la mia terapia sarà scrivere, scrivere e ancora scrivere. Mi guardo allo specchio e sono serena, tutto sommato niente male con i capelli in piega e un po’ di trucco, ho l’aria soddisfatta e decisa della donna che non sono mai stata. Persino il mio seno deformato, il destro, mi sembra più intonato con l’altro, che non ha subìto interventi e ha un timido capezzolo retratto.
Il mio fisico asciutto ma ben formato fa il resto per darmi un’aurea ancora piacente, elegante e ora ho voglia di liberarmi di tutto. Quando è cominciato il mio malessere? I ricordi della mia esistenza si accavallano e si scavalcano senza ordine, in confusione, ma io proverò a disciplinari in modo che si mettano in riga in ordine cronologico, oppure no, forse casuale, ma aspettino con pazienza il loro turno per poi palesarsi e figurarsi nella mia mente in modo chiaro e minuzioso. Sono vicina alla pensione, i miei studenti sapranno fare a meno di me… mi dedicherò a questa scrittura catartica e risolutiva, spero. Sì, ho deciso e mi sento bene, dallo specchio mi sorride la donna che avrei voluto essere; per ora forse è solo un inganno… ma il mio sguardo s’illumina di speranza.
CAPITOLO 2 LE INDAGINI «Dunque, per questi ultimi lavori di ricerca dell’anno scolastico, vi lascerò liberi di scegliere l’argomento. C’è qualcuno che ha già qualche idea in proposito?» Celeste alzò la mano, senza neppure pensarci e, quando la professoressa di lettere le diede la parola, con voce sicura dichiarò: «Vorrei fare una ricerca sulla casa in cui vivo, è una villetta unifamiliare di antica costruzione, vorrei capire chi ci abitava prima di noi e le modifiche che ha subìto lo stabile nel tempo.» S’interruppe, stupita lei stessa della sicurezza con cui si era espressa. Si sentiva allegra e più attiva del solito, nonostante quelle ultime notti si fosse addormentata tardi, presa dalla curiosità di capire chi fosse la strana donna del “diario-libro”; un’insegnante che aveva subìto un intervento al seno? Chissà, forse un tumore. Ma perché nascosto proprio a casa sua? L’unica ad avere la sensibilità per capire, cercare di aiutarla nell’impresa, sarebbe stata la nonna. A lei sì che avrebbe rivelato la scoperta, si sarebbero divertite insieme. “Come posso procedere da sola?” si era domandata.
In un primo momento aveva chiesto alla mamma, con la scusa di una ricerca di scienze, se ci fosse stato qualcuno in famiglia ad aver sofferto di tumori al seno. «No, grazie a Dio non nella nostra famiglia! In effetti si dice sia anche ereditario» aveva risposto la mamma, come al solito frettolosa e troppo presa dal suo lavoro di avvocato; nonostante negli ultimi tempi avesse ottenuto un part time, lavorava comunque anche da casa e dedicava alla figlia poco tempo. In compenso imponeva tante regole. Poi si era informata. Era riuscita a trovare indicazioni nell’enciclopedia di famiglia. I primi passi avanti nella prevenzione e cura del tumore al seno risalivano agli anni ’70, quando furono effettuati i primi interventi chirurgici di quadrantectomia, rimozione di una porzione di mammella comprendente una neoplasia. Quando la professoressa aveva proposto la ricerca, la lampadina si era accesa: avrebbe indagato su chi aveva abitato prima di loro in quella casa, otto anni prima. Forse il diario si trovava lì da molti anni. Avrebbe provato a individuare la scrittrice, andando a ritroso nel tempo. La docente aveva annuito, interessata. «Originale come argomento, va bene. Qualcuno vuole lavorare con Celeste? Avete la possibilità di svolgere la ricerca in coppia.» Celeste stava per esclamare che avrebbe volentieri fatto tutto anche da sola, quando una mano si alzò e la professoressa continuò: «Ok Luca, tu e Celeste lavorerete insieme.»
Non ci voleva credere, non pensava dovesse lavorare con qualcun altro, e chi poi? Un maschio e per giunta stranissimo, molto più di quanto potesse apparire lei… Taciturno, quasi muto, inserito solo da qualche mese nella loro classe e gli insegnanti erano molto permissivi con lui, in diverse occasioni lo avevano chiamato dalla Presidenza durante le lezioni, in classe c’era qualcuno che malignava fosse raccomandato. Avevano scambiato pochissime parole e non riusciva a capire perché si fosse proposto, mettendola in crisi. Come se non bastasse, già le compagne la guardavano con aria ironica e cominciavano a spettegolare sulla nuova “coppietta” che si era formata. All’uscita le toccava proprio, doveva prendere accordi con Luca: «Senti Luca, guarda che sei ancora in tempo, sono convinta che troveresti argomenti più interessanti con qualcun altro.» «Ok, nessun problema, tolgo il disturbo.» Alzò sulla testa il cappuccio della felpa e si allontanò, dirigendosi verso la collina dietro la scuola, quella con la grande quercia. Celeste rimase per un attimo ferma, indecisa, poi gli corse dietro: «Scusa Luca, guarda che non è perché non voglio lavorare con te…» «Ah no? Allora qual è il problema? Non ti montare la testa, guarda che scegliendo te ho solo scongiurato il male peggiore, tra le ochette chiacchierine, i calciatori formidabili e gli altri quattro idioti della classe che mi evitano come la peste.»
«Bene, grazie, mi sento lusingata» rispose ironica. «Comunque almeno sulle ochette della classe siamo d’accordo.» Dopo qualche attimo di silenzio continuò: «Scusami davvero, ma non pensavo si dovesse essere in due, questa cosa mi ha preso un po’ alla sprovvista…» «Scusami tu» la interruppe il ragazzo, il suo sguardo si era fatto dolce. «Non volevo essere invadente né prepotente, è solo che qui per me è piuttosto dura.» «Ti va di azzerare tutto? Per me va anche bene lavorare con te, tra l’altro non avrei alternative migliori; non ci resta che organizzarci e darci da fare» concluse, abbozzando un sorriso. D’un tratto, quel compagno un po’ misterioso le era sembrato così famigliare, come se lo avesse conosciuto da sempre. Nel pomeriggio s’incontrarono a casa di Celeste e lei scoprì tre cose: Luca non era niente male, tutto sommato anche simpatico; era formidabile nel disegno, in pochi minuti aveva riprodotto la facciata della casa in modo impeccabile, con tutti i particolari, arricchendola del chiaroscuro per conferirgli un’idea più reale; infine, avrebbe potuto essere davvero utile, dato che la madre, lavorando al Comune da quando si erano trasferiti, niente di meno che all’ufficio catastale, poteva fornire loro materiale prezioso per la ricerca. Si erano trattenuti su una panchina, di quelle arrugginite vicino l’aiuola sotto casa, dalla parte della camera di Celeste. Avevano preso appunti su cosa potesse servire per la ricerca, osservando la casa dall’esterno e poi il ragazzo, che si era portato dietro tutto l’occorrente, si era offerto di riprodurre una facciata.
Mentre Luca disegnava, concentrato e in silenzio, la ragazza lo guardava, meravigliata per come il tutto stesse prendendo forma in modo così rapido. Poi chiese: «Non sapevo fossi così bravo; in effetti negli ultimi tempi, da quando sei arrivato tu, nelle ore di educazione artistica abbiamo fatto solo storia dell’arte! Perché poi ti sei trasferito qui? Strano al secondo quadrimestre.» Lui si fermò un attimo e rispose sbrigativo: «Esigenze di famiglia.» *** La sera, sempre alle 22:00 in punto, Celeste salì di nuovo in soffitta, con la torcia in mano a illuminare il suo diario-libro, emozionata. Lesse tante pagine che descrivevano quello che era successo quando la donna aveva scoperto la malattia, da un nodulo al tatto, che aveva acceso il campanello d’allarme, all’intervento. L’esame istologico aveva confermato la presenza di un carcinoma, ma per fortuna circoscritto e non aggressivo, per cui dopo non era stato necessario effettuare una terapia troppo invasiva, solo radioterapia localizzata, e ovviamente i controlli periodici. 2 MARZO Attesa interminabile… ansia, ansia, ansia! Quella che mi strizza lo stomaco e mi appanna la mente. È la mammografia.
Si deve fare e basta, non si discute, ma ora è tanto brutta l’attesa e tutto il resto. Penso di non farcela. Tocca a me. Forza, forza, forza! Fatta mammografia. Altra attesa, quella del verdetto, la più terribile quando al primo sguardo cerchi di scrutare in chi ti sta di fronte la verità prima che la pronunci. In più anche l’ecografia. Il cursore si muove e tu non sai cosa fissare, Dio mio, non so se ce la posso fare… L’ansia è come un fluido oscuro che ci aleggia intorno, poi all’improvviso cala, s’impossessa del corpo e della ragione, soggiogandoli. È tutto passato, finalmente, tutto bene. «Se comunque dovesse riscontrare qualche anomalia al tatto in questi mesi, ci contatti subito…» Evvai! Promossa per un annetto, posso uscire da questo studio, generatore di sensazioni contrastanti, prima angoscia ora leggerezza e tornare alla vita.
CAPITOLO 3 DALLA PARTE DI LUCA Luca non poteva crederci che a tredici anni appena compiuti, la vita potesse essere così dura con lui. Violentemente sradicato dalla sua vita, quella bella. Odiava quella nuova città, la sua nuova casa, la sua nuova scuola, i nuovi compagni… tutto gli sembrava ostile. In realtà si rendeva conto che non faceva proprio nulla per farsi degli amici. Perché avrebbe dovuto? Stava meglio così, si sfogava correndo, da solo, oltre la collina con la grande quercia, verso il limite della città, lungo la strada sterrata che costeggiava i vitigni; oppure dipingeva, la sera, quando nessuno poteva vederlo, perché quella doveva restare una cosa solo sua. La mamma aveva fatto di tutto affinché s’inserisse nel nuovo ambiente. Aveva provato a iscriverlo a basket, in una squadra locale – perché prima giocava – ma non aveva funzionato: ci era andato solo una volta e finto di andarci altre due. Aveva invitato dei colleghi a casa con dei figli della sua età, ma Luca li aveva ignorati e aveva finto un terribile mal di testa pur di tornare in camera sua.
Era arrivata alle minacce: se non avesse provato a farsi un amico, a studiare con qualcuno, l’avrebbe costretto ad accompagnare il fratellino Fabio a casa del suo compagno di classe, che a sua volta aveva una sorella maggiore della sua età. Luca non ci pensava proprio, quella ragazzina era una smorfiosa che se la tirava da morire. Così, quando quella compagna dal nome strano aveva proposto la ricerca, si era buttato, “meglio lei di altri” aveva pensato. Gli sembrava un po’ impacciata, sempre persa nei suoi pensieri, ma dolce. Aveva notato gli occhi belli e sfuggenti, sembrava non guardasse mai nessuno, ed era distaccata dai vari gruppetti frivoli della scuola. Celeste si era rivelata simpatica, intelligente. Sì, gli occhi erano proprio belli e neppure il resto era male… Studiare con lei lo distraeva, gli permetteva di entrare in un’altra dimensione e dimenticare il resto. Un po’ di colore a rallegrare quel grigiore che si portava dentro. La sua vita precedente, in realtà era finita da prima che si trasferisse in quella nuova città. Aveva esalato gli ultimi respiri quando aveva compiuto i suoi dodici anni, ed erano iniziate le stranezze del padre. Urlava con la mamma come non aveva mai fatto, alzava i pugni e anche se non la colpiva faceva paura. Non scherzava più tanto e non riusciva a dormire. Una notte si era alzato per fare pipì e lo aveva trovato in piedi, al centro del corridoio, con le mani appoggiate al muro. «Depressione» aveva detto il dottore, lo aveva sentito, origliando, mentre la mamma lo raccontava, piangendo al
telefono con la zia. Eppure, che lui sapesse, il padre era un ingegnere di successo nell’azienda dove lavorava, ed era stato sempre bene in casa con loro. I bei ricordi dei giochi al parco, le corse tutti insieme in bicicletta, le vacanze felici in campeggio, si accavallavano nella sua mente. I suoi genitori ridevano e si baciavano, prima… Poi era arrivata quella maledetta notte. Si era svegliato, potevano essere le 02:00, aveva sentito un rumore, un oggetto andare in frantumi. Il rumore proveniva dalla stanza da letto dei suoi. Allora aveva visto: il padre che bloccava le mani della mamma, la lampada del comodino per terra in mille pezzi, lei che cercava di svincolarsi, dimenandosi. Era corso in soccorso della mamma e lui lo aveva allontanato, spingendolo con un calcio. Era caduto sbattendo la testa e perdendo i sensi. Al risveglio c’erano degli infermieri intorno e i poliziotti in casa. La mamma lo aveva abbracciato piangendo, e aveva detto: «Andiamo via di qui, andiamo via di qui, io tu e Fabio.» Poi il delirio per cambiare città, il processo, gli assistenti sociali e tutto il resto. «Divieto di comunicazione e di avvicinamento, non potrà vederci e sentirci per un po’, il tempo di curarsi e stare meglio» aveva spiegato la mamma a lui e Fabio, distrutta, dopo la sentenza. Da quella notte, il padre lo aveva visto solo una volta, quando era dovuto andare in tribunale, non sembrava neanche più lui per quanto era dimagrito e pallido.
Luca sentiva, forte, il peso della responsabilità per quello che era avvenuto; il dovere di aiutare la madre, visibilmente provata, anche per le cose pratiche in casa, come la spesa e il trasloco; la premura di non far pesare troppo la cosa al fratellino. Per fortuna quella notte lui non si era svegliato. *** Fine anteprima. Continua…
INDICE CAPITOLO 1 - LA SCOPERTA .............................................. 9 CAPITOLO 2 - LE INDAGINI .............................................. 21 CAPITOLO 3 - DALLA PARTE DI LUCA .......................... 27 CAPITOLO 4 - IL PRIMO SEGRETO ... Errore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO 5 - A CASA DI CELESTE .. Errore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO 6 - A CASA DI LUCA . Errore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO 7 - IL SECONDO SEGRETO ................ Errore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO 8 - L’AUTRICE ........ Errore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO 9 - GLI ULTIMI GIORNI DI SCUOLA Errore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO 10 - ANCORA DALLA PARTE DI LUCA ......................................... Errore. Il segnalibro non è definito.
CAPITOLO 11 - L’ULTIMA LETTURAErrore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO 12 - IN UN POMERIGGIO Errore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO 13 - DALLA PARTE DELLA MAMMA DI CELESTE........................ Errore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO 14 - A CASA DELLA NONNA ............ Errore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO 15 - LA NOTTE DELL’ULTIMO QUARTO ......................................... Errore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO 16 - RISOLUZIONE . Errore. Il segnalibro non è definito. RINGRAZIAMENTI ...... Errore. Il segnalibro non è definito.