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Emma, Camilla, Claudia e Remo. Quattro nomi, quattro persone, due coppie, all’inizio due storie poi una sola. Emma cerca lezioni di pianoforte e le trova insieme all’amore di Camilla che non ha paura di nulla se non della monotonia, a differenza di Emma che ha paura dei cambiamenti e di ciò che non conosce. Remo che ama Claudia e Claudia che ama Remo, ma non hanno il coraggio di incontrarsi se non quando cambiano perché nella vita si cambia e il cambiamento non è né positivo né negativo, è cambiamento e basta. Il senso della vita, il senso dell’amore che chi è fortunato trova, che chi è sfortunato non trova e, chi è ancora più sfortunato trova ma non capisce. Ambientato a Roma, ma senza un luogo preciso, ambientato nel cuore di chi scrive prima, nel cuore dei personaggi nel corso della storia e nel cuore di chi legge dopo.

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Published by redazione, 2024-03-11 08:09:13

Quattro personaggi in cerca d'amore, Giusi Maiuolo

Emma, Camilla, Claudia e Remo. Quattro nomi, quattro persone, due coppie, all’inizio due storie poi una sola. Emma cerca lezioni di pianoforte e le trova insieme all’amore di Camilla che non ha paura di nulla se non della monotonia, a differenza di Emma che ha paura dei cambiamenti e di ciò che non conosce. Remo che ama Claudia e Claudia che ama Remo, ma non hanno il coraggio di incontrarsi se non quando cambiano perché nella vita si cambia e il cambiamento non è né positivo né negativo, è cambiamento e basta. Il senso della vita, il senso dell’amore che chi è fortunato trova, che chi è sfortunato non trova e, chi è ancora più sfortunato trova ma non capisce. Ambientato a Roma, ma senza un luogo preciso, ambientato nel cuore di chi scrive prima, nel cuore dei personaggi nel corso della storia e nel cuore di chi legge dopo.

In uscita il 29/3/2024 (13,50euro) Versione ebook in uscita tra fine marzo e inizio aprile 2024 (2,99 euro) AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica della piattaforma a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.


GIUSI MAIUOLO QUATTRO PERSONAGGI IN CERCA D’AMORE ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ QUATTRO PERSONAGGI IN CERCA D’AMORE Copyright © 2024 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-653-7 Immagine di copertina: Shutterstock.com Prima edizione Marzo 2024


Ad Antonella, mia sorella. Che la bellezza invada sempre i tuoi occhi, che l’armonia invada sempre le tue orecchie, che la dolcezza invada sempre il tuo palato, che amore e gioia invadano sempre il tuo cuore.


7 CAPITOLO 1. EMMA Ero adulta quando cominciai a prendere lezioni di pianoforte. La passione per questo strumento nacque con il tempo. All’inizio non mi piaceva nemmeno. Non avevo mai suonato nulla in vita mia, anche se conoscevo la musica, sapevo leggere uno spartito e conoscevo il solfeggio. Ero sempre stata brava nella teoria, mai nella pratica. Cercavo qualcuno disposto a darmi lezioni, senza però richiedermi anche la parte teorica. Insomma, volevo andare dritta al punto. Trovai una giovane pianista che insegnava anche al conservatorio. Abitavo vicino a una scuola di musica, ma quella era la prima volta che ci mettevo piede. «Quindi niente teoria?» chiese l’insegnante a cui avevo domandato informazioni. Annuii. «Esatto.» «Perché ormai la conosce?» chiese, guardandomi perplessa. «Sì. Voglio solo imparare a suonare il pianoforte.» «Non ho mai dato lezioni private. Quindi mi dispiace» rifiutò subito la proposta, scuotendo la testa. «Non si deve preoccupare» dissi, cercando di riprendere le chiavi di casa dalla borsa, con il risultato di far cadere tutto a terra. «Chiedo scusa» commentai imbarazzata, chinandomi per raccogliere tutto. «Aspetti, la aiuto» si offrì lei, con tono gentile.


8 Prese il Cubo di Rubik da terra e se lo rigirò tra le mani per alcuni istanti. «E questo?» domandò poi. «Lo porto sempre con me per ingannare l’attesa quando devo aspettare» spiegai, con un sorriso tirato. «Lo sa risolvere?» chiese, incuriosita. Annuii sicura. «Sì, lo risolvo da quando ho quindici anni.» «Non mi dica!» esclamò, sgranando gli occhi. Quando ci fummo rialzate da terra, dopo aver raccolto tutto, mi fece una proposta inaspettata: «Facciamo una cosa: lei mi insegna a risolverlo, e io le do lezioni di piano.» Inarcai le sopracciglia, sorpresa. «Su internet ci sono un sacco di persone che insegnano algoritmi per risolverlo…» spiegai. «Se è per questo, ci sono anche tanti tutorial di lezioni di pianoforte… Quindi come la mettiamo?» Ero confusa. «Ha appena detto che non dà ripetizioni private. Non voglio essere lo strappo alla regola.» «Una volta a settimana, di più non posso.» Rimasi in silenzio per alcuni istanti, era davvero strano quel cambio d’atteggiamento. «Posso cercare qualcun altro» dissi. «Una volta, due ore a settimana» continuò, ignorando le mie parole. «Quindi è un sì?» «Ovviamente pretendo che a casa si eserciti, le due ore con me di certo non potranno bastare.» Mi ritrovai ad annuire, contenta. «Le posso subito pagare un mese intero» assicurai, aprendo di nuovo la borsa, in cerca del portafoglio. Lei mi fermò: «Chi ha detto che voglio essere pagata?» «Come no?» la guardai confusa.


9 «Lei mi insegna a risolvere quel maledetto rompicapo, e io le do lezioni di piano.» Mi sentii in imbarazzo. «Be’, non penso sia una cosa equa… Lei imparerebbe in una settimana al massimo.» Sorrise. «Sono molto lenta, glielo assicuro. E poi o così o nulla. Allora?» Era un ultimatum bello e buono, ma non mi lasciava molta scelta. «Come rifiutare?» risi. Pensai a come ancora una volta il mio Cubo di Rubik mi avesse aiutata. Al liceo lo risolvevo cercando di non essere scoperta dai professori. Lo avevo utilizzato una volta quando rimasi chiusa in ascensore, riuscendo in questo modo a non perdere la calma nelle tre ore passate lì dentro. «Ha una tastiera?» mi chiese poi. «Sì, l’avevo comprata.» «I tasti sono pesati?» Inclinai la testa, non afferrando la domanda. «Se i tasti sono pesati vuol dire che sono come quelli di un pianoforte, e il passaggio allo strumento quando suonerà qui non le darà problemi.» «Capisco, ma non saprei proprio cosa rispondere, vedrò di scoprirlo.» «Se non fosse così, le posso prestare la mia finché non se ne procura una. Così possiamo cominciare dopodomani, e intanto la esplora un poco da sola. Che ne dice?» Mi sistemai la borsa sulla spalla, a disagio. «E lei come farà?» «Crede che un’insegnante di pianoforte ne abbia solo una a casa?» ridacchiò. «Tenga, questo è il mio numero. Controlli e mi faccia sapere. Non mi ha detto come si chiama.» Mi porse un bigliettino da visita con il suo nome e il suo numero di cellulare.


10 Presi il bigliettino e mi toccai la fronte. «Oh, ha ragione, che sbadata. Sono Emma Russo.» «Piacere Emma, sono Camilla Costa.» Ci stringemmo la mano, e ci salutammo con un sorriso. Ciascuna delle due aveva ottenuto ciò che voleva. Tornai a casa e controllai la tastiera, e tutte le carte che c’erano nella confezione. Non era quella che mi serviva, quindi le mandai un messaggio. “L’aspetto a casa mia tra un’ora” scrisse, inserendo anche il suo indirizzo. Arrivai puntuale e suonai il campanello alla porta d’ingresso. «Arrivo!» disse una voce maschile. Quando l’uomo aprì la porta, mi sentii a disagio. «Forse ho sbagliato, cercavo Camilla Costa…» farfugliai. «Non ha sbagliato, è mia moglie. Sono Domenico» spiegò. «Ha lasciato questa per lei. Non è la ragazza che vuole prendere lezioni?» domandò, voltandosi verso un mobile alla sua sinistra, nascosto alla mia vista. «Sì, sono Emma. Oh cavolo!» esclamai quando vidi la tastiera tra le sue braccia. Sorrise. «È bella grande, lo so. Sono ottantotto tasti pesati. È come avere un pianoforte senza tutto il resto.» «Anche lei suona?» chiesi, ricambiando il sorriso. «No, ma essere sposato con una musicista ti fa imparare qualcosa. Se mi fa strada, l’aiuto a caricarla in macchina. Non ha una Smart, vero?» scherzò, facendo un passo in avanti.


11 Arretrai e sorrisi, incamminandomi verso la macchina. «Per fortuna no. È stato gentilissimo. Anzi tutti e due siete stati gentilissimi.» «Quando si tratta di musica non si può non esserlo» replicò con un sorriso. Mi aiutò a caricare la tastiera nell’auto, e poi salii a mia volta. «Be’ allora grazie di nuovo. Le auguro una buona giornata» dissi, salutando dal finestrino con una mano. Durante il tragitto fino a casa non feci altro che distrarmi guardando dallo specchietto retrovisore il mio nuovo strumento. Quando avevo acquistato la mia tastiera, avevo commesso l’errore di non farmi consigliare da un esperto. In ogni caso non mi dovevo affezionare. Ne avrei comprata al più presto una mia. Mi sentii in colpa per aver venduto il piano che avevamo in casa da bambina. Il fatto era che mi ero trasferita, e molte cose del mio passato le avevo lasciate in quella casa. *** Quando arrivò il giorno della prima lezione con Camilla, ero nervosa. Arrivai a scuola in anticipo rispetto all’orario concordato, e bussai leggermente alla porta socchiusa dove sapevo che l’avrei trovata. «Permesso? Salve.» Feci un passo in avanti, e quando lei mi guardò, domandai intimidita: «Possiamo quindi fare lezione qui, anche se non sono una studentessa a tutti gli effetti?» «Prego, si sieda» Mi sorrise e m’indicò una sedia accanto a lei. «Possiamo darci del tu? Siamo coetanee. Quanti anni hai?» mi chiese. «Trenta» sorrisi.


12 «Trentuno. Vedi, avevo ragione» sorrise anche lei. «Possiamo stare perché questa scuola è mia. Posso fare quello che voglio. Tu che fai, nella vita intendo, oltre a cercare maestri di piano?» Ridacchiai. «Faccio l’avvocato.» «Sposata?» Scossi la testa. «No, fidanzata.» «Figli?» Inarcai un sopracciglio, un po’ a disagio. «No… come mai tutte queste domande?» concessi un sorriso, ma privo di gioia. Si strinse nelle spalle. «Per conoscerci, ma hai ragione, troppe domande tutte insieme. A volte sono troppo diretta.» Abbassai lo sguardo, un po’ in colpa per essere stata così brusca. «Io sono l’opposto, sono molto introversa» tentai di spiegarle. «Mi ci vuole un poco per aprirmi. Non sai quanto mi ci è voluto per entrare qui e chiedere una semplice informazione.» Annuì, guardandomi con interesse. Poi si schiarì la voce e si voltò verso lo strumento. «Allora cominciamo, facciamo in modo che sia la musica a parlare per noi. Cominciamo a capire quali sono le note del pianoforte. Oggi potrai attaccare questi adesivi per riconoscerle. A casa ti allenerai e le memorizzerai. Basta imparare a riconoscere queste centrali perché le altre sono ottave sopra o sotto.» Guardai i tasti e domandai: «Tutto qui?» «Sì, percorri le note in avanti a partire dal DO fino a quello successivo, e poi torna indietro. Mentre lo fai, di’ le note ad alta voce. Prima guarda i tasti, e quando sarai sicura di te chiudi gli occhi e ripeti i passaggi. Non dovrai aver bisogno di cercarli. Dovranno essere il prolungamento delle tue dita.» Annuii. «Capito. Questo è già più complicato.» «Io resto accanto a te e ti osservo. Comincia a lavorare qui.»


13 Feci come mi aveva detto e andammo avanti per un po’. Il tempo sembrò scorrere via in un lampo, e quando udii di nuovo la sua voce, mi sembrò che fossero trascorsi solo alcuni minuti dall’inizio della lezione. «Mi dispiace, ma per oggi abbiamo finito» decretò. Alzai lo sguardo all’orologio, posto in alto di fronte a me, a forma di chitarra. Erano passate due ore e mezza. Mi sentii in colpa, forse le stavo rubando tempo per altro. «Perché non hai detto nulla? Mi sono scordata d’impostare la sveglia sul mio smartwatch. Lo faccio per la prossima volta. Perdonami.» «Non ho detto nulla perché mi piaceva vederti concentrata in quel modo» sorrise. «Hai uno strano modo di concentrarti. Il tuo respiro sembra bloccarsi quando sbagli. I miei allievi non sembrano tenerci così tanto.» Mi sistemai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, contenta e imbarazzata. Poi aprii la borsa sulle mie ginocchia. «Ecco tieni. Ti ho portato questo» dissi, dandole un portachiavi con Cubo di Rubik. «Così ci giochi a casa e la prossima volta cominciamo la lezione» sorrisi, imitando ciò che mi disse la prima volta che ci incontrammo. «Grazie, e tu?» «Pensi che ne abbia solo uno in casa?» «Afferrato» rise. «Allora alla prossima settimana» mi congedai, alzandomi e andando verso la porta. «Certo, ci vediamo.»


14 CAPITOLO 2. CLAUDIA «Quindi pensi che debba andare a questo incontro? Non ne ho tanta voglia però.» «Ma sono dieci anni che non vi vedete! Neanche un po’ di curiosità? Sapere chi si è laureato, chi lavora, chi ha due figli, chi cinque, chi viaggia, chi vive ancora con i suoi?» «Sinceramente, Remo? Non me ne importa un fico secco!» «Non vuoi neanche andare a vantarti della tua brillante carriera?» cercò di stimolare il mio ego. «Quale brillante carriera? Ho una libreria!» esclamai. Lo sentii sospirare. «No cara Claudia, tu vendi cultura che è diverso. Nessun venditore ha la capacità di vendere sogni. Tu riesci a consigliare un libro adatto a tutti, a ogni occasione e poi…» «Sarebbe tutto più facile se tu fossi con me…» commentai sconsolata. «Se vuoi ti accompagno…» si offrì, con tono dolce. Scossi la testa, frustrata, anche se non poteva vedermi. «Non si può, c’è scritto sul biglietto.» «Strano, di solito c’è il più uno.» «Preferirei vedere te, piuttosto. E se ci incontrassimo dopo questa odiosa festa?» «Quindi ci vai? Ti ho convinta?»


15 Le mie labbra si piegarono in un sorriso. «La tua voce mi tranquillizza sempre.» «Perché qualche volta non proviamo la videochiamata?» propose. «Dovremmo vederci di persona… abbiamo provato altre volte a incontrarci e non ci siamo mai riusciti.» «È vero, per un motivo o per un altro abbiamo sempre dovuto rimandare, ma forse la prossima è la volta buona.» «Va bene ma ti dispiace se ci pensiamo domani? Ora devo pensare a cosa mettere a questa diavolo di festa.» «Ti lascio riflettere su questo grande arcano ma prima dimmi se ti è arrivata la busta da parte mia.» «È arrivata ieri. Non pensare che mi sia dimenticata di ringraziarti. Ti ho risposto con una lettera. Dove lo hai trovato?» «Nella libreria di mio nonno ho trovato un volume, e dentro c’era questo bellissimo segnalibro. Era di legno, forse bambù, molto sottile. C’era un disegno di un drago intarsiato. Il fuoco sembrava reale, pronto ad abbracciare, avvolgere o bruciare qualunque pagina di qualunque libro nel quale fosse stato inserito.» «È uno tra i più belli della mia collezione. Ti ringrazio di cuore.» «Ancora non ho aperto tutti i volumi. Non sono un accanito lettore come te, ma se ne trovo altri te lo farò sapere.» Gli avevo risposto tramite una lettera e, come si faceva una volta, avevo lasciato sul foglio l’impronta delle mie labbra e una goccia del mio Interdit di Givenchy. Con Remo avevamo un bellissimo legame. Ci eravamo conosciuti da bambini, anche se non in circostanze felici. A lui tenevo più di ogni altra persona al mondo, e avrei voluto incontrarlo di persona per dirglielo, guardandolo negli occhi. Ogni volta che si avvicinava il momento d’incontrarsi, però, la paura prendeva il sopravvento. Non ci vedevamo da una vita, e


16 forse lo avevo idealizzato. Era davvero come lo immaginavo? E io, ero come lui m’immaginava?


17 CAPITOLO 3. REMO Non dovetti aspettare tanto per ricevere una risposta, dopo averle inviato il segnalibro. Saperla felice, per un gesto così piccolo, mi riempiva il cuore di gioia. Ci eravamo conosciuti da bambini, in ospedale. Io avevo dodici anni e lei otto. Avevo una malattia infettiva che mi riempiva la pelle di macchie, e ogni volta che ne toccavo una questa si duplicava. Mi avevano messo in isolamento e ci vedevamo sempre attraverso un vetro. Lei invece era stata ricoverata per un tumore. Era lì da diverso tempo, e per questo uscì prima. Andammo subito d’accordo e da allora mantenemmo i contatti. Quando lei fu dimessa dall’ospedale, le lasciai il mio recapito. Allora, nel 1990, non tutti avevamo un cellulare. Oggi, a distanza di venticinque anni abbiamo la possibilità di sentirci e di vederci, ma ancora questo passo non lo abbiamo fatto. Se devo dire la verità, non ho avuto neanche il coraggio di cercarla sui social, e mi domando se lei abbia avuto il coraggio di farlo invece. Nella lettera le sue parole erano garbate ed eleganti, ma quello che ho apprezzato di più, è che quel pezzo di carta aveva il suo odore e l’impronta delle sue labbra.


18 Sapevo che facevano così i miei nonni, e la cosa mi ha reso nostalgico di un periodo mai vissuto. Decisi di rispondere a quella lettera. Presi il mio profumo, quello che usavo di più era Invictus di Paco Rabanne, ne spruzzai un pochino. “Le piacerà?”. Presi anche un rossetto blu che avevo acquistato per la festa di Halloween e lo misi sulle labbra, lasciando l’impronta sulla lettera. I tempi erano cambiati, almeno in apparenza. Sarei riuscito a farla sorridere? Il mio obiettivo era sempre quello. Ci sarei riuscito? Presto ci saremmo incontrati, o come sempre la mia indole introversa avrebbe preso il sopravvento? Non so perché, ma avevo paura di questo incontro. Avevo paura di non essere alla sua altezza.


19 CAPITOLO 4. EMMA «Com’è andata la prima lezione?» mi chiese Ottavio, il mio fidanzato, mentre ci avviavamo verso il cinema. «Davvero bene» risposi entusiasta. «Siamo solo all’inizio ma per adesso Camilla sembra molto gentile.» «Perché non dovrebbe continuare a esserlo?» «Gli insegnanti di musica hanno una cattiva reputazione. Non lo sai?» «Dici davvero? Forse perché pretendono la perfezione» replicò, sentendosi toccato. «Anch’io sono molto bravo, peccato che insegni il flauto dolce. Come hai detto che si chiama la tua insegnante? Forse ho suonato in qualche orchestra con lei.» «Camilla Costa.» Si strinse nelle spalle. «Non mi dice nulla.» «Chiedo a lei. Magari ti conosce, dato che ora sei il direttore d’orchestra» sorrisi. Mi diede un rapido bacio e si voltò verso il tabellone del cinema. «Che film hai scelto?» «La scorsa volta hai scelto tu un film storico. Stavolta io ho scelto un thriller, così ti avvinghierai a me dalla paura» sorrisi. «Vorrei ribattere, ma penso che ogni scusa sia buona per tenerti tra le mie braccia, quindi non dico nulla.» Lo presi a braccetto ed entrammo. «Prendiamo i popcorn» proposi, indicando il bancone del bar.


20 «Ma che diavolo! Sta’ un po’ più attento» esclamò una donna che Ottavio aveva urtato per sbaglio, facendole cadere la Coca Cola addosso. «Scusami, non ti avevo visto» si scusò subito, rammaricato. La donna stava per inveire ancora contro di lui, ma poi alzò lo sguardo e la riconobbi. «Emma? Che ci fai qui? Che domande, lo so. È un cinema…» esordì, tutto d’un fiato. «Scusami davvero» ripeté Ottavio, guardandoci a turno. «Non fa nulla» replicò lei, cambiando radicalmente tono. Poco dopo Domenico, il marito di Camilla, si avvicinò a noi. «Che succede?» chiese. Poi mi vide e il suo sguardo s’illuminò. «Tu sei Emma, l’allieva di Camilla. Ciao!» Mi porse la mano e la strinsi, sorridendo. Indicai Ottavio, che era rimasto in silenzio. «Camilla, lui è il mio ragazzo, Ottavio De Luca.» Lei annuì, e indicò il marito. «Mio marito Domenico Ferrara, già lo conosci.» Ci scambiammo convenevoli ancora per qualche minuto, poi quando Camilla e Domenico ci dissero che avevano i biglietti per vedere lo stesso film che avevamo scelto anche noi, decidemmo di entrare insieme in sala. Quando prendemmo posto, Ottavio si chinò verso di me e mi sussurrò: «Alla faccia del gentile. Se non ci fossi stata tu, penso mi avrebbe sbranato. Dottor Jekyll e Mr. Hyde al femminile.» Ridacchiai. «No, dai. Anch’io mi sarei arrabbiata se qualcuno mi avesse fatto versare una bibita su questo bellissimo maglione.» «Ha la faccia d’angelo ma non mi sembra lo sia» commentò ancora. «Uh, esagerato!»


21 Erano seduti nella fila dietro la nostra, e anche se Ottavio aveva provato a baciarmi io mi ero tirata indietro. Mi vergognavo. «Che hai?» «Sono seduti proprio dietro di noi. Mi vergogno» sussurrai. Lui aggrottò la fronte. «Da quando ti fai questi problemi?» «Non lo so, ma ora mi sento a disagio. Ti prego.» Camilla era proprio dietro di me, la scorsi con la coda dell’occhio e non mi sentivo solo osservata ma anche giudicata. «Va bene» sospirò Ottavio. Durante l’intervallo si accesero delle flebili luci, e ne approfittai per alzarmi. «Vado in bagno» dissi, prendendo la mia borsa. Lui annuì. «Ok.» Per fortuna non c’era alcuna fila alla toilette. Andai in bagno, mi lavai le mani e poi tirai fuori dalla borsa il mio rossetto, guardandomi allo specchio per ripassare il trucco ed evitare sbavature. Ero così concentrata che non mi accorsi di Camilla alle mie spalle. Doveva essere entrata in bagno poco dopo di me. Andò al lavandino accanto al mio, e aprì il rubinetto per lavarsi le mani. «Sembrate proprio una bella coppia» commentò, scrutandomi a lungo, come faceva a lezione. «Perché sembriamo?» chiesi, richiudendo il rossetto e infilandolo di nuovo nella borsa. «Perché non vi conosco tanto da dire “siete una bellissima coppia”.» Sorrisi. «Allora anche voi sembrate una bella coppia» ricambiai quella specie di complimento. Abbassò gli occhi. «Abbiamo visto tante altre coppie baciarsi. Non devi essere timida.» Sgranai gli occhi. «Mi hai sentito?»


22 «No, ho ipotizzato. Chi ha scelto il film? Scommetto che lui ti ha costretto a vedere questo invece di uno strappalacrime romantico» azzardò, cambiando discorso. «In realtà l’ho scelto io. Tu sei stata costretta?» «No, a noi piace questo genere. Anche se a mio marito piacerebbe vedere i film a casa. Si annoia a uscire.» Chiuse il rubinetto e si asciugò le mani su un tovagliolino di carta. «Ora andiamo. Non vorrei perdermi qualche scena» disse, facendo un cenno con la testa in direzione della porta. *** Arrivò la seconda lezione. La seconda settimana con Camilla. «Vi è piaciuto il film?» chiese, mentre mi accomodavo al pianoforte. «Molto, anche se il finale mi è sembrato scontato.» «Sì, ma se ci pensi che altro finale potevano mettere? È il più scontato ma il più adeguato.» Annuii, poi decisi di cambiare argomento e andare dritta al sodo: «Ho fatto tutti gli esercizi. Penso che possa andare bene.» «Questo lo deciderò io. Sentiamo, chiudi gli occhi.» Feci come mi aveva detto e poi la udii di nuovo: «Benissimo. Ora aprili e seguimi con lo sguardo.» Iniziò a camminare di fronte a me, a destra e a sinistra nella stanza. Era difficile suonare senza guardare la tastiera. C’erano un sacco di distrazioni, e due o tre volte sbagliai. «Ottimo inizio» commentò poi. «Come ottimo? Ho sbagliato tre volte, se non di più.»


23 «L’esercizio che ti avevo assegnato l’hai fatto bene. Dobbiamo fare dei passi in avanti, è normale. Adesso resterò ferma, ma guarda solo me.» Sbagliai ancora. I suoi occhi non stavano fermi. Scrutavano il mio volto, le mie mani e le mie labbra che mordevo ogni volta che sbagliavo. «La prossima volta andrà meglio» assicurai, sentendo tremare il mio orologio. «Ma non sono finite due ore» mi rimproverò. «Lo so, ma ora tocca a me fare lezione a te.» «Ah capisco. Sei una di quelle che non vuole avere debiti. Va bene.» Tirò fuori il Cubo di Rubik dal primo cassetto della sua scrivania. «Ho provato a risolverlo, e questo è il risultato.» Era riuscita a completare solo una faccia, quella verde. «Allora, per cominciare ti consiglio di scegliere il bianco» iniziai, maneggiando il cubo. «Vedi che al centro ha questo disegnino? Serve per darti una guida iniziale. Poi non ti servirà più e potrai scegliere il colore che vuoi.» Lo presi e lo scombussolai tutto. «Vediamo cosa sai fare» dissi, porgendoglielo. «Solo perché ho completato un lato, non vuol dire che sappia farlo anche adesso. È capitato e ci è voluta tutta la notte.» «Diamo prima dei nomi alle sei facce, così sarà più facile memorizzare gli algoritmi. Anche se poi ti verrà naturale e non dovrai neanche pensarci, perché saranno le tue mani a muoversi.» Mi guardò divertita. «Un po’ come per il pianoforte.» «Esatto. La faccia in alto la chiamiamo A; quella in basso B; a sinistra S; a destra D; la faccia di fronte F; quella sul retro R» elencai, indicandole. «Le lettere A, B, S, D, F, R, possono essere


24 utilizzate per descrivere le mosse da fare sul nostro cubo. Questo ha tre strati. Poi abbiamo sei centri che identificano il colore della faccia che andrai a completare. Non possono essere spostati da una faccia all’altra. Possiamo dire che sono i nostri punti di riferimento. Abbiamo dodici spigoli che possono essere spostati su qualunque coppia di facce adiacenti. Hanno due colori e non potranno mai andare su un vertice. Infine, abbiamo otto angoli che possono andare a finire su qualunque terna di facce adiacenti. Hanno tre colori e non potranno mai andare su uno spigolo. In poche parole, i centri rimarranno centri, gli spigoli rimarranno spigoli e gli angoli rimarranno angoli. Sempre. Per la prossima volta dovrai ricordati questo.» Mi guardò un po’ confusa, con la fronte aggrottata. «Non sono mai stata brava in geometria, anzi non mi è mai piaciuta. Farò uno sforzo.»


25 CAPITOLO 5. REMO Facevo la guida turistica a Roma. È un bel lavoro. Sveglia mattina presto, colazione veloce e si parte. Ogni giorno è allo stesso tempo uguale e diverso dall’altro. Il turista solitario, le comitive, il gruppo di amici e le famigliole in apparenza felici. Mi piaceva quello che facevo. Raccontavo in inglese e in italiano la storia, la vita di quei monumenti e non mi pesava farlo. Ogni volta raccontavo un aneddoto diverso, ogni volta m’immergevo nel passato. Mi piaceva la storia ma non mi sarebbe piaciuto vivere in quel periodo. Adoro le comodità e tutti i traguardi che abbiamo raggiunto. Era ovvio, ma il monumento che mi piaceva di più a Roma era il Colosseo. “Che idiota!” lessi sul mio cellulare. Il percorso era alla tappa dei Fori Romani quando mi arrivò questo messaggio corredato da una faccina sorridente. «Che c’è?» chiesi. «Mi piace il tuo profumo.» «Il corriere è arrivato presto. Sono contento ti piaccia. Quando ci incontreremo allora metterò quello.» Non rispondeva da qualche minuto. Odiavo i puntini sospensivi delle chat. «Com’è andata la festa?» scrissi io per cambiare discorso. «Meglio del previsto, non me lo aspettavo.»


26 «Eri o no la più bella?» «Ma se neanche ci siamo mai incontrati!» «So che lo eri. Da bambina eri bellissima.» «Ti ringrazio, anche tu eri un bel bambino. Comunque ho rincontrato tutti, anche…» «Anche?» «Il mio ex Raffaele…» rispose incerta. Sentii la morsa della gelosia stringermi lo stomaco. «Ah, è migliorato o peggiorato?» «Rispetto a quando stavamo insieme, penso migliorato.» «Ti ha chiesto di uscire?» «Sì.» “Cazzo” mi dissi, “e pensare che l’ho convinta io ad andarci”. «Ho accettato» aggiunse senza che facessi io la domanda. Non la potevo biasimare. In fondo non mi sono mai fatto avanti. «Immagino che il nostro incontro sia rimandato» osservai. «Ti dispiace?» «No Claudia. Ci incontreremo un’altra volta» risposi, pensando che forse non le piacevo. In fondo l’ultima volta ero stato io a tirarmi indietro come un codardo. Le cose quella volta andarono più o meno così. Lei mi stava aspettando nelle zone della Fontana dei Quattro Fiumi. L’avevo vista, ero sull’autobus, c’erano solo tre persone in fondo al mezzo. Nessuno prenotò la fermata. Neanche io. Le passai davanti, la vidi e lei mi vide. Sorrisi e lei sorrise. Ero pietrificato, e non so per quale motivo, ma in quel momento mi era mancato il coraggio che avevo avuto quando da piccolo all’ospedale le diedi il mio numero. Non scesi. Non si era arrabbiata e non me lo aveva fatto pesare ma ci era rimasta male e al suo posto ci sarei rimasto male


27 anch’io. Non so cosa mi fosse preso, diedi la colpa all’autista quel giorno. Lei mi credette o fece finta di credermi. Anche perché io sarei potuto benissimo scendere alla fermata dopo e non lo feci. FINE ANTEPRIMA Continua…


INDICE CAPITOLO 1. EMMA ....................................................................... 7 CAPITOLO 2. CLAUDIA ................................................................. 14 CAPITOLO 3. REMO ...................................................................... 17 CAPITOLO 4. EMMA ..................................................................... 19 CAPITOLO 5. REMO ...................................................................... 25 CAPITOLO 6. CLAUDIAERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 7. REMO .....ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 8. EMMA ....ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 9. REMO .....ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 10. EMMA ..ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 11. CLAUDIA ............... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 12. REMO ...ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 13. CAMILLA ............... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 14. CLAUDIA ............... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 15. EMMA ..ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 16. REMO ...ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO.


CAPITOLO 17. CLAUDIA ............... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 18. EMMA ..ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 19. REMO ...ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 20. CAMILLA ............... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 21. REMO ...ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 22. EMMA ..ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 23. REMO ...ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 24. CLAUDIA ............... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 25. EMMA ..ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 26. REMO ...ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 27. EMMA ..ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 28. REMO ...ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 29. CLAUDIA ............... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 30. EMMA ..ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 31. CLAUDIA & REMO. ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 32. EMMA ..ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 33. REMO ...ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 34. CAMILLA ............... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO.


CAPITOLO 35. EMMA ..ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 36. CLAUDIA ............... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 37. EMMA ..ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO 38. CAMILLA ............... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO.


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