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Published by nicolettiwalter, 2017-03-11 19:28:53

VS Magazine

March 2017

OSCARS 2017: Casey Affleck’s Backstage Interview
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Caleb Casey McGuire Affleck-Boldt, meglio conosciuto come Casey Affleck è un attore,
sceneggiatore e regista statunitense. Ha esordito nel 1995 nel film ” Da Morire” Nel
2016 ha ricevuto il plauso universale per la sua performance nel film “Manchester by
The Sea”, per il quale si è aggiudicato il Golden Globe il BAFTA al miglior attore
protagonista e il Premio Oscar al miglior attore protagonista.

Di seguito l’intervista rilasciata nel backstage all’AMPAS:

CATEGORY: Performance by an Actor in a leading role
SPEECH BY:Casey Affleck
FILM: “MANCHESTER BY THE SEA”

Congratulazioni! Cosa ti è piaciuto di questo film a Boston?

Beh, mi piace lavorare lì, perché mi sento a casa.C’è anche una certa familiarità che aiuta.
Bella atmosfera del luogo e dei personaggi.

Cosa pensi dei discorsi del WGA?

Penso che ci siano state un bel po ‘di persone che hanno fatto discorsi circa l’attuale
situazione politica mondiale. Ma erano dichiarazioni da un punto di vista di artisti. Sono
alcune osservazioni fatte in maniera rispettosa e positiva. Personalmente, la mia testa era
completamente vuota, a causa dello shock di vincere il premio e il terrore di avere un
microfono per parlare di fronte a tutte quelle facce che ti fissano.

Ma come è cambiato vostra aspettativa per quello che si potrebbe fare come artista?
Come ha alimentato i tuoi pensieri futuri dove stai andando?

Se si vuole fare una buona prestazione è sempre meglio lavorare con buoni professionisti.
Il 90% del risultato finale dipende da tutto ciò.

Abbiamo davvero apprezzato quel momento fraterno tra te e Ben. Cosa ti ha detto
prima di salire sul palco?

Non ha detto nulla. Mi ha solo abbracciato. Ho imparato molto da lui, perché ha passato
molto tempo in questo mondo dell’intrattenimento con alti e bassi ed è stato sottovalutato.

Casey Affleck poses backstage with the Oscar® for Performance by an actor in a Leading
role, for work on “Manchester by the Sea” during the live ABC Telecast of The 89th
Oscars® at the Dolby® Theatre in Hollywood, CA on Sunday, February 26, 2016.
credit: Jeff Lipsky / ©A.M.P.A.S.





OSCARS 2017: Emma Stone’s Backstage Interview
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Emily Jean Stone, detta Emma (Scottsdale, 6 novembre 1988), è un’attrice statunitense.
Sale alla ribalta per i suoi ruoli in film come Benvenuti a Zombieland (2009), Easy Girl
(2011), Crazy, Stupid, Love (2011), The Help (2011), The Amazing Spider-Man (2012), The
Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro (2014) e l’acclamato film Birdman (2015), per
il quale riceve la sua prima candidatura al Premio Oscar nella sezione miglior attrice non
protagonista. Ha ricevuto il Golden Globe, lo Screen Actors Guild Award, il BAFTA e il
Premio Oscar alla miglior attrice.

Di seguito proponiamo solo alcune brevi dichiarazioni dell’attrice rilasciate all’Ufficio
Stampa dell’Academy, nel corso della cerimonia degli Oscar 2017:

CATEGORY: Performance by an Actress in a Leading Role
SPEECH BY: Emma Stone
FILM: LA LA LAND

Emma, congratulazioni!

Grazie.

Mi chiedo come farà a festeggiare stasera e chi chiamerai?

Mia madre di sicuro. E ho intenzione di uscire con un gruppo di miei amici e ballare e bere
champagne.

Sai che è un sogno ottenere un Oscar. Lo hai mai sognato?

Sì, naturalmente. Sono un attrice. Ho sempre sognato questo genere di cose, ma ancora
una volta, non in un contesto realistico. Ero abbastanza fuori di me.

Quanto costa un Oscar in termini di sacrificio e disciplina?

Io non lo so. Nella mia vita, sono stata fortunata di aver incontrato le persone intorno a me,
gli amici e la famiglia che mi ha sempre incoraggiato durante tutta la mia vita. E’ la grande
gioia della mia vita.

Ringrazi Emma Watson per aver rifiutato il ruolo?

Lei sta andando alla grande. Lei è la più bella.

CREDITS
Emma Stone poses backstage with the Oscar® for Performance by an actress in a leading
role, for work on “La La Land” during the live ABC Telecast of The 89th Oscars® at the
Dolby® Theatre in Hollywood, CA on Sunday, February 26, 2016.





Abbiamo incontrato… Lorella Cuccarini!

vocespettacolo.com/incontrato-lorella-cuccarini/

Walter Nicoletti

di Emanuela Del Zompo.
Dopo il successo di RAPUNZEL il musical, dal 2 marzo 2017 torna al Teatro Brancaccio Lorella Cuccarini in LA
REGINA DI GHIACCIO il musical, ideato e diretto da Maurizio Colombi, ispirato alla fiaba persiana da cui
nacque la Turandot di Giacomo Puccini.

Lorella Cuccarini interpreta il ruolo di una crudele e malefica regina, vittima di un incantesimo, nel cui regno gli
uomini sono costretti ad indossare una maschera per non incrociare il suo sguardo. Solo colui che sarà in grado
di risolvere tre enigmi potrà averla in sposa. Riuscirà il Principe Calaf, interpretato da Pietro Pignatelli, a
sciogliere il cuore di ghiaccio della regina con il calore e il fuoco del suo amore?

L’Opera lirica Turandot, incompiuta per la prematura scomparsa di Puccini, ebbe nelle varie edizioni dei finali
distinti. Il moderno adattamento in Musical di Maurizio Colombi, geniale regista che si conferma una delle menti
più creative del genere Musical (suoi Rapunzel, Peter pan), dà una nuova chiave di lettura fantastica, più vicina
alla sensibilità dei bambini, grazie all’inserimento di personaggi inediti: le tre streghe Tormenta, Gelida e Nebbia,
fautrici dell’incantesimo, in contrasto con i consiglieri dell’imperatore Ping, Pong e Pang; un albero parlante, la
Dea della Luna Changé, il Dio del Sole Yao. Un cast artistico formato da venti straordinari performer fra attori,
cantanti, ballerini, acrobati.

Alessandro Longobardi, direttore artistico del Teatro Brancaccio, produce per Viola Produzioni questo nuovo
grande musical, riconfermando la squadra vincente di Rapunzel: Maurizio Colombi, Lorella Cuccarini, oltre al
prezioso cast creativo: Davide Magnabosco, Alex Procacci e Paolo Barillari per le musiche, Giulio Nannini per i
testi, Alessandro Chiti per le scenografie, Francesca Grossi per i costumi, Alessio De Simone per il disegno luci,
Emanuele Carlucci per il disegno suono, Rita Pivano per le coreografie.
Non mancheranno in sala gli effetti speciali che abbattono la quarta parete coinvolgendo tutti gli spettatori, grazie
all’utilizzo di immagini video realizzate con le più moderne tecnologie.

La musica originale, composta da 18 emozionanti brani musicali, arrangiata e diretta da Davide Magnabosco,
mantiene dei riferimenti melodici ad alcune tra le più famose arie di Puccini, come il celeberrimo Nessun dorma,
rivisitato in chiave pop e di altri “grandi” dell’opera lirica.

Cosa rappresenta questo spettacolo?
Una fiaba ispirata alla Turandot di Puccini.
Cosa c’è di nuovo in questo spettacolo rispetto alla Turandot?
3 Streghe ( 3 bravissime cantanti oltre che attrici) che ci stupiranno attraverso gli effetti sperciali.
Può essere paragonato a Frozen?
No, anche se ci sono elementi simili ( il Ghiaccio). La storia è completamente diversa.
E ‘ adatta a quale tipo di pubblico?
Per tutti: è una favola per grandi e piccini ed il finale come tutte le favole è a lieto fine.
Che difficoltà si sono trovate nel realizzare lo spettacolo?
Sicuramente i costumi hanno richiesto un lavoro più complesso rispetto agli altri spettacoli così come le
musiche. Non volevamo avvicinarci alla lirica perché il confronto sarebbe stato assai difficile.
Che messaggio trasmette quest’opera?
Un messaggio moderno: è tolto agli uomini il privilegio di proteggere le donne. La donna ha subito un evoluzione
e gli uomini in un certo senso vengono sottomessi dalle donne.
Che ne pensi della Turandot?
Una donna affascinante perchè cattiva!

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intervista con DJ PROVENZANO

vocespettacolo.com/intervista-dj-provenzano/

di Michele Valente.

Ciao Amerigo! Grazie per essere ospite di Voce Spettacolo.

Sei conosciuto come uno dei dj e produttori Italiani con più esperienza nel panorama musicale
internazionale. Raccontaci un pò di te, com’è nata la passione per la musica e quando hai iniziato a fare
il dj?

Ciao e grazie per l’ospitalità sul vostro magazine. La passione per la musica è nata da giovanissimo
ascoltandola alla radio, era la fine degli anni ‘80. In quel periodo uscivano sul mercato delle produzioni incredibili,
ricordo la prima volta che ho ascoltato Technotronic Pump up the jam una vera e propria folgorazione. Da quel
momento in poi mi sono documentato, ho fatto ricerca, ho scoperto il mestiere di dj, ho raccolto un pò di
attrezzatura amatoriale e ho iniziato a fare le prime cassettine per gli amici. E’ iniziato tutto cosi.

Quali diresti siano state le tue maggiori influenze musicali all’inizio? A cosa t’ispiravi e cosa invece
maggiormente ti attira oggi, musicalmente?

Come detto sopra in quegli anni c’era un fermento enorme, musicalmente parlando, si passava dagli ‘80 ai ‘90
Era l’epoca dei primi video clip, c’era la dance ma c’erano anche fenomeni pop importantissimi come Michael
Jackson e i Duran Duran. Sono stati anni molto belli e innovativi credo di essere stato fortunato a crescere in
quel contesto, oggi faccio ancora molta ricerca ma il panorama musicale è molto cambiato ed è cambiata anche
l’industria discografica

Hai lavorato per artisti importanti come Greg Cerrone, Fedde Le Grand, Axwell, Sebastian Ingrosso,
Steve Angello, Laidback luke, Bingo Players, Fedde Le Grand e molti altri. Cosa significa per te
reinterpretare lavori di artisti di questo calibro? Che itinerario segui nel remixare pezzi molto spesso già
famosi?

Quando faccio un remix cerco di rispettare sempre il lavoro originale, soprattutto quando si tratta di artisti molto
importanti, come quelli che hai citato, poi ovviamente cerco di dare al brano un suo vestito per rendere il pezzo
adatto ad un contesto diverso rispetto all’originale e sicuramente cerco di trasferire il mio tocco personale, di
mettere la mia firma, in linea con quello che amo suonare in quel momento.

Attualmente conduci, insieme a Manuela Doriani e Leandro Da Silva, un noto programma radiofonico su
M2O, in onda dal lunedi al venerdì dalle 2 alle 4 del pomeriggio, “MUSIC ZONE”. Come ti sei avvicinato al
mondo radiofonico e quale ruolo credi che abbia oggi la radio, considerando l’esponenziale sviluppo dei
canali social media, sempre in crescita ed in grado di soddisfare esigenze sempre più specifiche?

La radio è sempre stata nella mia vita ma non avrei mai immaginato di farne parte. Il caso ha voluto che dopo un
corso professionale di midifonico finissi a fare uno stage formativo a Radio Dimensione Suono dove sono
rimasto 13 anni e dove ho imparato tutto quello che c’era da sapere sulla radio. Un tempo questo mezzo aveva il
compito di far arrivare al grande pubblico la musica nuova oltre a quello di informare e intrattenere. Oggi
l’avvento dei social media ha rivoluzionato molti settori e naturalmente anche il nostro, credo che l’ascolto in
auto rimanga ancora ad appannaggio delle radio mentre a casa o in ufficio ormai il web la fa da padrone. Oggi
secondo me occorre cercare di dare contenuti esclusivi per attirare il pubblico e portarlo a rimanere all’ascolto
della radio.

Come descriveresti la vita del Dj? Ti piace l’aspetto di essere sempre in movimento per esibirti nei tuoi
dj set?

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E’ una vita molto bella e ricca di soddisfazioni ovviamente ha anche un lato ‘normale’ che molti non si aspettano.
Durante la settimana il mio lavoro è principalmente la radio con orari quasi da ufficio, nel weekend e durante
l’estate i ritmi cambiano radicalmente, si incontrano tantissime persone e si viaggia molto. Suonare in consolle
rimane comunque il centro di tutto e la parte più bella.
Come giudichi l’Italia nel panorama dance, di fronte all’esplosione dei giovani fenomeni, soprattutto dei
paesi del nord Europa e di artisti globali, in grado di attirare masse di pubblico come in passato solo i
concerti erano in grado di fare?
L’Italia non manca di talento, fortunatamente abbiamo dimostrato negli anni e in tutti i campi artistici di essere tra
i primi al mondo. A noi purtroppo mancano le infrastrutture, le professionalità che dovrebbero affiancare gli artisti
e renderli globali, da noi la lingua inglese è ancora ostica ai più e certe strutture che hanno all’estero ce le
sogniamo, la differenza secondo me è tutta li.
Quali sono i tuoi programmi e progetti futuri? Puoi darci qualche anticipazione?
Sto lavorando a molti progetti discografici che usciranno nel corso dell’anno e che hanno ottenuto ottimi riscontri
a livello internazionale. Ci sono già in programma diversi tour per l’estate e siamo da poco partiti con le dirette
facebook del mio programma radiofonico. Praticamente il mio studio si è trasformato in un piccolo club.
Grazie Amerigo per il tempo dedicatoci. Voce Spettacolo ti augura i migliori successi per la tua vita e per
la tua carriera.

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Il Premio ANITA EKBERG 2017 ideato da Sara Iannone incanta
la Capitale

vocespettacolo.com/premio-anita-ekberg-2017-ideato-sara-iannone-incanta-la-capitale/

Walter Nicoletti
Si è svolta martedì 28 febbraio nei sontuosi saloni di Palazzo Ferrajoli di Roma la terza edizione del
pregiatissimo Premio ANITA EKBERG 2017, ideato da Sara Iannone, Presidente dell’Associazione Culturale
“L’Alba del Terzo Millennio”.
Una festa interamente dedicata al Cinema, in una location di grande valore artistico alla presenza di circa
duecento tra vip, artisti e nobiltà romana. Fin dall’inizio dell’evento, per gli ospiti è stato un susseguirsi di
magnifiche sorprese. Dalla scenografia della location, con preziose decorazioni a tema e mise en place
mozzafiato, all’allestimento di un set cinematografico per realizzare riprese e fotografie irripetibili.
Quest’anno i premiati sono stati: Walter Nicoletti, attore e fondatore di Voce Spettacolo, l’attore Matteo
Branciamore, il regista e attore Francesco Maria Dominedò, l’attrice Daniela Virgilio.
Tra gli ospiti del mondo dello spettacolo, oltre al padrone di casa Marchese Giuseppe Ferrajoli: il produttore
Pietro Innocenzi, Metis De Meo, Attilio Romita, Nadia Bengala, Camilla Nata, Saverio Vallone, Corrado Calabrò,
Fabia Baldi, Adele Mazzotta, Floriana Rignanese, Jacopo Sipari di Pescasseroli, Monica Setta, Liliana Ursino,
Angelo Abbate, Maria Monsè, Giulia Balajee, Luca Filipponi, Emilio Sturla Furlanò, Maria Rosaria Sangiuolo,
Ella Grimaldi, Roberto Grimaldi Colasanto, Maria Pia Cappello, Zina Bensalem, Marco Petrillo, Roberta Gulotta,
Fabrizio Mechi, Antonio Paris, Aida Abdullaeva e tanti altri.
Quest’anno anche la prestigiosa presenza del Rotary Club Roma Nord-Ovest in supporto dell’impeccabile
organizzazione e promozione.
Il premio ANITA EKBERG è stato istituito dalla Dott.ssa Iannone al fine di accendere annualmente i riflettori sulla
dignità del lavoro artistico e sulla promozione dei giovani talenti italiani e delle celebrità che hanno fatto grande
la storia del cinema italiano. Un’idea che si inserisce nel progetto “…In Arte precario…”; un’iniziativa
dell’Associazione Culturale che nel corso degli anni si è concretizzata attraverso i numerosi eventi, volti a
sostenere in modo innovativo progetti importanti e ambiziosi.
Una festa in grande stile, come garantiscono sempre gli eventi firmati Iannone, dove ogni particolare è curato
con attenzione, esperienza e creatività.
Chapeau!

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SORELLE: la nuova fiction di CINZIA TH TORRINI in onda su
RAI UNO dal 7 marzo

vocespettacolo.com/sorelle-la-nuova-fiction-cinzia-th-torrini-onda-rai-uno-dal-7-marzo/

SORELLE è la nuova attesissima fiction diretta da Cinzia TH Torrini che andrà in onda su Rai Uno a partire dal 7
marzo.
Sei episodi scritti da Ivan Cotroneo e Monica Rametta che narrano una nuova affascinante storia ambientata a
Matera, Capitale Europea della Cultura 2019. La protagonista è Anna Valle, affiancata da attori tanto amati dal
pubblico televisivo italiano: Loretta Goggi, Ana Caterina Morariu, Irene Ferri, Giorgio Marchesi e tanti altri.
L’intera fiction è stata girata interamente nella “Città dei Sassi”, ormai confermatasi set naturale a cielo aperto.
Ancora una volta Cinzia TH Torrini torna a parlare di donne, ma questa volta attraverso una regia che vuole
sottolineare temi fondamentali quali il thriller, la famiglia e l’amore. Un’ attenta osservazione sul mondo
femminile curata attraverso una regia sempre misurata con risultati encomiabili fin dal principio.
Chiara (Anna Valle) è un brillante avvocato che vive a Roma. Costretta a tornare nella sua città natìa Matera a
causa della scomparsa improvvisa di sua sorella Elena (Ana Caterina Morariu), in un crescendo di emozioni e
colpi di scena, cercherà di riallaccare i rapporti con la sua famiglia, in particolare con suo cognato e sua madre
per affrontare i fantasmi del passato, i parenti, e i segreti che si nascondono dietro la misteriosa sparizione.

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Franco Nero in Calibro 10, il decalogo del Crimine regia di
Massimo Ivan Falsetta

vocespettacolo.com/franco-nero-calibro-10-decalogo-del-crimine-regia-massimo-ivan-falsetta/

Franco Nero in Calibro 10, il decalogo del Crimine regia di Massimo Ivan Falsetta. Prodotto dall’ Aurelia Film ,
l’anteprima presentata da Emanuela Del Zompo, attrice e giornalista ( vestita da New Style) al Cinema
Caravaggio ha visto presenti in sala per l’attore internazionale, Orson Maria Guerrini, Saverio Vallone,
Giuseppe Convertini, Cristian Stelluti, Adriana Russo, Lorenzo De Luca, ed il cast del film da Armando Puccio,
Maurizio D’Agostino ed il Cavalier Alberto Raffaello che ha prodotto il film.
Franco Nero è Mosè, il Capo dei Capi in un film pulp sulla mafia. Un film diverso e particolare dice l’attore,
impegnato molto all’estero e arrivato in Italia proprio per la presentazione del il film.
Amo il mio lavoro, devo divertirmi nel farlo e mi piace aiutare i giovani. Spesso vengo in Italia per prendere parte
a dei cortometraggi o a produzioni indipendenti. Mio figlio fa il regista e capisco quanto possa essere difficile
fare questo mestiere e mi metto nei panni dei suoi coetanei. Vivo a Londra dove c’è la mia famiglia, ma viaggio
spesso in America dove lavoro con grandi registi. A breve inizierò un progetto con Vanessa Redgrave, mia
moglie dal titolo Rose in Winter, un film su un eroina morta nei campi di concentramento e che Papa Wojtyla ha
fatto Santa. Il Suo nome è Edith Stein.
Nel tempo libero che ho veramente poco amo trascorrerlo con gente comune e semplice al di fuori del cinema.
La pensione è ancora lontana, voglio ancora lavorare molto e viaggiare.
Calibro 10 è stato presentato nel 2015 in America, New York e Los Angeles dove ha vinto dei premi. Ed ora
arriva in Italia. E’ un film alla Tarantino.
Il film è distribuito nella sale da Pietro Sermon per la PS eventi è stato presentato al cinematografo da Gigi
Marzullo (RAI).
Credits: Gaia Ol, Giancarlo Fiori, Marco Bonanno

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CATERINA MILICCHIO nella fiction “IL BELLO DELLE
DONNE… Alcuni anni dopo” in onda su Canale 5

vocespettacolo.com/caterina-milicchio-nella-fiction-bello-delle-donne-anni-onda-canale-5/

Walter Nicoletti
Caterina Milicchio torna in tv nella fiction “IL BELLO DELLE DONNE… Alcuni anni dopo” durante il sesto
episodio andato in onda ieri sera su Canale 5 alle 21.10.
La giovane attrice esordisce nel cinema sin dall’infanzia. Ha affiancato Virna Lisi, ma anche Giancarlo Giannini,
Gabriel Garko e altri. Ha partecipato a numerosi programmi televisivi targati Rai e Mediaset, tra cui il
programma comico “Salvi chi può″ con Enzo Salvi. In qualità di conduttrice è stata al fianco di Antonio Giuliani,
Claudio Lippi, Pippo Baudo.
Protagonista femminile anche a teatro con lo spettacolo “Bagaglino a mano” del Salone Margherita e ancora
Gloria, personaggio femminile del film “Una notte da paura” con Maurizio Mattioli, Francesco Pannofino e tanti
comici di Zelig. Nel 2016 è stata in scena con lo spettacolo Doppia Coppia al fianco di Max Tortora e Francesca
Antonelli.

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Intervista con la modella. Sofia Valleri

vocespettacolo.com/intervista-la-modella-sofia-valleri/

di Walter Nicoletti.

Ciao Sofia! Benvenuta su Voce Spettacolo. Partiamo dalla prima domanda. La moda porta sempre alla
scoperta della propria interiorità. Perchè?

La moda è un mezzo di comunicarsi sia dell’individuo che di una collettività ed è sempre collegato ad una
determinata epoca. Tutti noi quando scegliamo un capo è perché dietro c’è qualcosa che vogliamo esprimere
agli altri o anche a noi stessi per sentirci più sicuri.

Quanto c’è di personale nel tuo lavoro?

C’è tutto di personale, intanto ci metti la faccia e questo è l’inizio, poi vi è il tuo modo di essere, di posare
davanti all’obbiettivo ed infine le scelte personali di vita. Direi che è un lavoro che si cuce su di te.

Cosa rende una modella una Top…

Il carattere. Decisamente, bisognerebbe divulgare che oltre alle belle misure bisognerebbe munirsi di grinta e
forza.

Il lavoro di modella si “scontra” con la vita privata o no?

Credo che il lavoro di modella sia molto rigido e che non crei per nulla problemi alla vita privata. Non c’è
differenza tra una modella e una donna lavoratrice comune. Bisogna essere ai casting la mattina, avere una
bella pelle essere puntuali a lavoro seri e professionali. Tutto ciò richiede uno stile di vita sano e bilanciato.

Un modello di donna o figura alla quale ti ispiri o ti piace pensare come rappresentante del mondo
femminile?

Sicuramente amo guardare le foto delle Dive come Sofia Loren , ma sono donne che ammiro per l’estetica e
carriera , in realtà non so chi siano nel privato , cosa che invece so delle donne della mia famiglia . Ecco quando
sono demoralizzata penso a mia nonna e al suo meraviglioso modo di affrontare la vita con il sorriso e cantando
o a mia mamma che ha la forza di un leone . Questi per me dovrebbero essere gli esempi.

Un sogno ricorrente…

Sono una sognatrice, ne faccio tutte le sere ed a volte anche ad occhi aperti ! Uno ricorrente non lo ho a dire il
vero!

Pregi e difetti…

Facciamo prima i difetti sono troppo sensibile , permalosa , ordinata e quando mi metto una cosa in testa ….. i
pregi sono gli stessi difetti in chiave positiva , diciamo che sono una persona che sa dare il cuore , in famiglia ,
con gli amici e nel’ amore.

Se la tua vita fosse un film, quale sarebbe? E perchè?

Non assomiglia molto ma mi vedo simile alla ragazza di Flashdance che è uno tra i miei film preferiti di sempre.

Ci sono stati momenti in cui stavi per mollare tutto?

Ma certo ci sono momenti nella vita di tutte le persone così ! Ma il bello che il tempo scorre verso il domani ed
ogni cosa negativa viene spazzata via.

1/2

Oggi, a chi diresti grazie?
Oggi dico grazie a mia madre tanto , al mio compagno che a volte è come un angelo per me . Poi vengono tutti
gli altri.
Pensi mai al futuro? Ti spaventa?
Si, il futuro mi ha sempre fatto un certo effetto. Il segreto lo avevo scoperto anni fa ed era quello di non
preoccuparsi affatto del futuro ma vivere il presente al meglio ponendosi meno domande possibili ! Ma è molto
difficile da fare siamo tutti portati a farci problemi!
Propositi per il nuovo anno?
Ne ho molti e questo anno sento che la mia vita cambierà radicalmente. Sono sicura mi aspettano tante cose
sorprendenti. Un saluto e un bacio a tutti i lettori!

2/2



INTERVISTA ALLO SCRITTORE FRANCESE ROMAIN
SLOCOMBE

vocespettacolo.com/intervista-allo-scrittore-francese-romain-slocombe/

Di Berta Corvi

Ho avuto l’opportunità di parlare con lo scrittore Romain
Slocombe a proposito del suo libro Première station avant
l’abattoir, pubblicato da Seuil in Francia. Dal mese di marzo il
romanzo, edito da Gremese, sarà nelle librerie italiane con il
titolo Le spie di Rapallo. Ecco i commenti che ho raccolto.
Romain Slocombe, Lei stupisce per la vastità dei Suoi
interessi in diversi ambiti. È scrittore, regista, traduttore,
pittore, illustratore, fumettista e fotografo. Quale
professione Le si addice di più?
Sono un autore che ha iniziato ad esprimersi attraverso il
disegno. Mio padre era un architetto, mia madre una pittrice.
Ci sono stati molti artisti nella famiglia. Immaginavo che sarei
diventato pittore o disegnatore di storie a fumetti. Quando
uscii dalle “Beaux Arts” di Parigi, diventai un illustratore.
Questo mi portò a frequentare il mondo dell’editoria, tra cui
Gallimard, perché facevo delle copertine per la collezione
Folio. Per prima cosa amavo i libri, la letteratura, e avevo
anche amici scrittori. Poi, il mio lavoro si è evoluto. In
passato, c’era il fumetto underground. Ero legato a un gruppo
di artisti grafici considerato un po’ punk, anche se questo non
era esattamente la realtà. A metà degli anni ’70, questo
gruppo grafico chiamato Bazooka, aveva una certa notorietà.
Mentre facevo il mio lavoro di grafico commerciale, realizzavo
anche molti libri illustrati con i miei disegni, spesso scegliendo
temi piuttosto strani legati all’erotismo medico e all’Asia.
Sono sempre stato molto attratto dal continente asiatico. Avevo illustrato il mio primo romanzo, che è uscito nel
1983, con 81 disegni in bianco e nero. Si svolgeva in parte durante la guerra del Vietnam, in parte negli “squat”
di Londra. Era davvero un bel romanzo, spirito punk. Ora sono diventato, in tutti i sensi, uno scrittore, ma mi
sono dedicato a tante altre professioni, sempre molto vicine alla creatività.

Ha rinunciato al resto?
Quasi. Continuo ad occuparmi di fotografia, ma non posso vivere con questo, perché i libri di fotografia sono
molto costosi da stampare. Non sono troppo addentro al mondo della fotografia d’arte contemporanea, perché è
un ambiente che non mi piace. Di tanto in tanto esce un libro delle mie foto ma, nel complesso, passo il mio
tempo a scrivere i miei romanzi. Dal momento che riscuotono interesse, posso vivere senza problemi. Mi rendo
conto che i miei libri sono un modo per estendere il mio lavoro visivo e per far affiorare delle immagini nella
mente del lettore.

1/8

Lei s’interessa alla storia del secolo scorso. Il Suo lavoro è, in qualche modo, uno studio del passato e
cerca di ricostruirlo attraverso fonti, materiali e personaggi reali della storia. Il Suo racconto tratta anche
di eventi e personaggi immaginari. A tutto questo si mescolano storie di spionaggio e la Sua storia
personale. Sono queste caratteristiche che troviamo nel Suo libro Le spie di Rapallo?
Questo è un buon esempio, ma anche un caso piuttosto speciale perché si basa su una personalità ben precisa,
reale. È quella di mio nonno, George Slocombe, che era un grande giornalista politico del periodo tra le due
guerre. Ho avuto qualche anno per conoscerlo perché è morto quando avevo dieci anni. Era un personaggio
incredibile. Ci volevamo molto bene, ero il suo unico nipote. Il suo passato politico e storico m’incuriosiva molto.
Alla fine della sua vita divenne uno storico. Scriveva le biografie di grandi personaggi del passato, ma era stato
soprattutto un giornalista. Aveva frequentato tutto l’ambiente politico del periodo tra le due guerre. Aveva fra
l’altro intervistato Gandhi in prigione e Hitler nel 1931 a Monaco di Baviera. Aveva anche avuto dei rapporti
contradittori con Mussolini, che conobbe nel gennaio 1922 alla Conferenza di Cannes. Era stato uno dei pochi
ad averlo intervistato. A Londra, quando era giovane, mio nonno aveva fatto la conoscenza di molti rifugiati
italiani rivoluzionari, in modo particolare di Malatesta. Lui e Mussolini ebbero un buon rapporto grazie a queste
conoscenze comuni perché in quel periodo il Duce era socialista. Ogni volta che Mussolini incontrava mio nonno
nelle conferenze internazionali era sempre molto gentile con lui. Capitava che ci fossero però delle forti
divergenze di opinioni. Ad esempio quando il deputato socialista italiano Giacomo Matteotti fu ucciso nel 1924
dai fascisti, mio nonno era il leader di una sorta di sciopero dei giornalisti che rifiutavano di intervistare Mussolini
come forma di protesta per i crimini fascisti che avevano avuto luogo in quel momento all’inizio della sua presa
del potere. Nelle memorie che mio nonno aveva scritto nel 1936, appena quarantenne, parlava di Mussolini, dei
suoi primi incontri con lui e di quella famosa conferenza di Genova. Per tornare al romanzo, va detto che questo
avvenimento aveva avuto una notevole importanza perché era la prima volta che i delegati della Repubblica
sovietica venivano per incontrare i diplomatici occidentali, nel tentativo di risolvere tutti i problemi legati alla fine
della prima guerra mondiale e anche al rimborso dei prestiti russi e dei danni di guerra. Facendo alcune ricerche,
mi sono reso conto che a quel tempo mio nonno, non solo conosceva queste persone, ma sembra che come
simpatizzante comunista, inviasse dal suo quotidiano informazioni segrete a Mosca via Londra. Era l’inviato
speciale a Parigi del “London Daily Herald”, un giornale dei sindacati britannici di sinistra che, pertanto, provava
simpatia per la Repubblica sovietica. È incredibile perché mio nonno, ovviamente, non ha mai parlato di questo.
È un po’ un segreto di famiglia ma io, come scrittore, potevo tentare di ricostruire tutto questo viaggio a Genova
che mio nonno ha fatto. A questo bisogna aggiungere quello che raccontava nelle sue memorie su Hemingway
con il quale aveva fatto il viaggio in treno e con cui aveva soggiornato nello stesso albergo.

I colpi di scena sono tanti, il ritmo è frenetico, siamo nel cuore di trame intricate, i personaggi non
accettano compromessi, ma nonostante questo caos di doppi agenti, di traffici, di spie, si capisce che
Lei conosce molto bene l’argomento. Rendere la storia credibile richiede sforzi? Le piace confondere il
lettore, rendergli la lettura difficile?
Non voglio rendere la lettura difficile, ma è vero che per capire bene questo libro, è necessario avere una certa
familiarità con la situazione politica, subito dopo la rivoluzione russa, ossia sapere chi erano i personaggi
principali nel governo russo, quali erano i problemi. Inoltre era il periodo della crescita del fascismo in Italia.
Siamo nella primavera del 1922, la marcia su Roma avviene nel mese di ottobre dello stesso anno, e poi ci sono
molti emigrati russi bianchi che vogliono tornare nella madre patria, reinsediare lo zar ed eseguire attacchi contro
i comunisti, compresi gli ambasciatori sovietici all’estero. In quel periodo c’erano molte cose che ruotavano
intorno al petrolio. Questa è una situazione che non conoscevo molto bene. Mi sono documentato
approfonditamente, ho letto numerosi libri su questo argomento, ma ho anche utilizzato i ricordi di altri giornalisti,
per esempio di persone che mio nonno aveva conosciuto, come il giornalista e scrittore americano Max
Eastman. Poi la trama racconta anche di spionaggio. Questo serve ad intrattenere il lettore. Si tratta di un
romanzo che lascia spazio a situazioni non solo drammatiche. Altri dei miei libri sono più intensi. Questo ha un
lato un po’ avventuroso, con colpi di scena e spie misteriose, ma la situazione si presta. Bisogna dire che la mia
storia è in parte di fantasia, mentre per altri aspetti ho cercato di creare un racconto abbastanza credibile
considerando che la maggior parte dei personaggi sono realmente esistiti o altri sarebbero potuti esistere. Per
me è importante che ci creda io.

2/8

Il titolo francese Première station avant l’abattoir (Prima tappa che precede il mattatoio) è allarmante. Le
spie di Rapallo lo è molto meno. Com’è avvenuta la scelta del titolo francese?
Quando ho scritto questo libro, sono stato molto colpito da un’espressione utilizzata dallo scrittore francese
Céline che non amo a causa della sua presa di posizione isterica contro gli ebrei, ma aveva un dono per trovare
formule come questa. L’autore ha utilizzato tale definizione a proposito dei bistrot parigini e dei lavoratori
francesi che li frequentavano per dire che il mattatoio era l’alcool. Questa espressione, “la prima tappa prima del
mattatoio”, coincideva con ciò che stava per accadere: eravamo vicini allo scoppiare della seconda guerra
mondiale. Il mio romanzo è il primo di una serie in cui il giornalista, protagonista della storia, vivrà avventure tra
gli anni ’20 e gli anni ’30, quindi tra le due guerre, periodo durante il quale tutti si dirigeranno verso il mattatoio.
L’idea era che questo romanzo fosse la prima fermata di tante altre e che ci si stesse avvicinando alla tragedia.
Per la Francia quel titolo poteva funzionare perché è un po’ intrigante e inquietante. Invece, il mio editore italiano
mi ha fatto notare che non diceva nulla agli italiani. Ho trovato che Le spie di Rapallo fosse un buon titolo proprio
perché in questo romanzo c’erano spunti che potevano interessare i lettori italiani, come la presenza di
Mussolini e il fatto che si svolgesse in gran parte a Genova e a Rapallo. Infatti la delegazione sovietica era stata
alloggiata in un hotel di lusso a Rapallo. In quegli anni ci fu anche il trattato di Rapallo che si concluse tra i russi
e i tedeschi con la delusione delle democrazie occidentali. E non bisogna dimenticare il ruolo che lo spionaggio
ebbe in queste vicende.

Una tale lettura potrebbe essere lunga e angosciante. Pensa di riuscire a catturare i profani?
Questa è la sfida per lo scrittore, parlare di cose reali che richiedono necessariamente una certa cultura da parte
del lettore, ma allo stesso tempo cercare di essere il più chiaro possibile. Rendere una situazione che, nella
realtà sarebbe complicata, la più esplicita in assoluto e giocare anche con questa tradizione del romanzo a
puntate. Non dice forse nulla agli italiani, ma gli scrittori francesi come Gaston Leroux, che ha creato il
personaggio del giornalista Rouletabille, o Maurice Leblanc, che ha dato vita al famoso Arsenio Lupin, sono un
po’ i miei modelli per questa serie. Ho anche immaginato che alla fine tutta questa collana con il giornalista
Ralph Exeter, cioè la “controfigura” di mio nonno, fosse una serie di manoscritti trovati in un baule,
probabilmente scritti in un’epoca precedente.
I racconti di questa serie sarebbero stati completati tra la fine degli anni Trenta e i primi degli anni Quaranta da
parte di un giornalista che avrebbe nascosto il proprio nome creando il personaggio di Ralph Exeter per fargli
vivere alcune avventure. Alcune volte sarebbe ricorso alla fantasia, mentre in alcuni casi avrebbe raccontato fatti
realmente accaduti, ma segreti. Il gioco è un po’ questo. Questo giornalista è un donnaiolo, un seduttore e
anche un alcolizzato. La prima cosa che fa quando arriva in un albergo o da qualche parte, si precipita al bar.
Non è neppure una spia professionista. È una spia dilettante. Avevo pensato all’inizio del libro che, dopotutto,
mio nonno avrebbe potuto farlo, avrebbe conservato il denaro che i russi gli pagavano per spiare i francesi. Dato
che lui è stato un bravissimo giornalista, avrebbe potuto inventare le informazioni politiche che poi si sarebbero
avverate. I russi erano molto soddisfatti di queste informazioni, presumibilmente segrete, e lui conservava i soldi
per pagare la sua vita notturna a Montparnasse e i regali per le sue amanti. Dato che era una spia dilettante,
quando successivamente incontrò davvero la polizia segreta sovietica che accompagnava i diplomatici russi a
Genova, ebbe ancora un po’ paura, perché temeva di essere smascherato. È anche vero che la polizia segreta
sovietica, la famosa Čeka, chiamata GPU, fu qualcosa di veramente terrificante. Nel libro racconto fedelmente i
metodi di tortura utilizzati dal GPU. In un certo senso, la descrizione è molto realistica ma fatta per scopi
d’intrattenimento.

In termini di scelte di edizione, c’è un motivo per il quale passa da una casa editrice ad un’altra?
Sono un po’ i casi della vita. Ovviamente, ho dei colleghi scrittori che sono fedeli ad un singolo editore, ma io
sono una persona che tiene molto alla propria libertà. Non vorrei essere un prigioniero di rapporti di assoluta
fedeltà che un singolo editore esigerebbe da me.
Ho conosciuto un sacco di gente, perché in qualità di illustratore in varie case editrici, non ero limitato ad un solo
editore. Questo mi ha permesso di conoscere Patrick Raynal che in quel momento dirigeva la “Série noire”

3/8





exemple?
C’est à la fois un bon exemple, mais aussi un exemple assez particulier car il est basé sur une personnalité bien
précise, réelle. C’est celle de mon grand-père, George Slocombe, qui était un grand journaliste politique de
l’entre-deux-guerres. J’ai eu quelques années pour le connaître car il est mort alors que j’avais dix ans. C’était
une figure très impressionnante. On s’aimait beaucoup, j’étais son seul petit-fils. Son passé politique et
historique m’intéressait beaucoup. À la fin de sa vie il est devenu historien. Il faisait les biographies de grands
personnages historiques, mais il avait été surtout journaliste. Il avait fréquenté tout ce milieu politique de l’entre-
deux-guerres. Il avait notamment interviewé Gandhi dans sa prison, ainsi que Hitler en 1931 à Munich. Il avait
eu aussi des rapports assez étranges avec Mussolini qu’il avait rencontré la première fois en janvier 1922 à la
Conférence de Cannes. Il avait été un des seuls à avoir interviewé Mussolini. À Londres quand il était tout jeune
homme, mon grand-père avait connu beaucoup de réfugiés italiens révolutionnaires, en particulier Malatesta.
Quand il a parlé à Mussolini de tous ces gens, que ce dernier avait connus car il avait été socialiste au début, ils
se sont bien entendus grâce à cela. Chaque fois que Mussolini rencontrait mon grand-père dans des
conférences internationales, il était toujours très aimable avec lui. Quelquefois il pouvait y avoir des dissensions,
par exemple lorsque le député socialiste italien Giacomo Matteotti fut assassiné en 1924 par les fascistes, mon
grand-père a été le meneur d’une sorte de grève des journalistes qui refusaient d’interviewer Mussolini en
représailles aux crimes fascistes qui avaient eu lieu à cette époque-là au début de sa prise du pouvoir. Mais quoi
qu’il en soit dans ses mémoires, que mon grand-père a écrits en 1936, donc assez jeune puisqu’il avait à peine
40 ans, il parle de Mussolini, de ses premières rencontres avec lui et de cette fameuse conférence de Gênes qui
a eu une très grande importance puisque c’est la première fois que les délégués de la République soviétique
venaient rencontrer des diplomates occidentaux pour essayer de résoudre tous les problèmes liés à la fin de la
première guerre mondiale et également au remboursement des emprunts russes et des dommages de guerre.
En faisant des recherches sur internet, je me suis rendu compte qu’à cette époque-là, mon grand-père non
seulement connaissait ces gens-là, mais il semble qu’en tant que sympathisant communiste, il envoyait des
informations secrètes à Moscou via Londres par son journal. Il était l’envoyé spécial à Paris du London Daily
Herald, un quotidien de la vraie gauche des syndicats britanniques, qui avait donc de la sympathie pour la
République soviétique. C’est extraordinaire parce que mon grand-père, bien évidemment, ne m’a jamais parlé
de cela. C’est un peu un secret dans la famille. Mais moi, en tant qu’écrivain, je pouvais essayer de reconstituer
tout ce voyage à Gènes qu’a fait mon grand-père et aussi ce qu’il raconte dans ses mémoires à propos de
Hemingway, qui a fait le voyage en train avec lui et qui est descendu au même hôtel.

Les rebondissements sont nombreux, le rythme est délirant, on est au cœur de complots emmêlés, les
personnages refusent tout compromis mais malgré ce tohu-bohu d’agents doubles, de trafics,
d’espions, on comprend que vous connaissez très bien votre sujet. Rendre le sujet crédible demande-t-il
des efforts ? Aimez-vous confondre le lecteur, lui rendre la lecture difficile?
Je ne veux pas rendre la lecture difficile, mais c’est vrai que pour bien comprendre ce livre, il faut avoir une
certaine familiarité avec la situation politique, juste après la révolution russe, c’est-à-dire qui étaient les
personnages principaux dans le gouvernement russe, quels étaient les enjeux et puis c’est l’époque de la
montée du fascisme en Italie. On est au printemps 1922, la marche sur Rome a eu lieu en octobre de la même
année, et puis il y a de nombreux émigrés russes blancs qui voudraient revenir en arrière, restaurer le tsar, faire
des attentats contre les communistes et notamment les ambassadeurs soviétiques à l’étranger. Il y a également
des tas de choses autour du pétrole. C’est une situation que je ne connaissais pas très bien. Je me suis
beaucoup documenté, j’ai lu beaucoup de livres sur ce sujet, mais aussi des souvenirs d’autres journalistes, par
exemple de gens que mon grand-père a connus comme le journaliste et écrivain américain Max Eastman, et
puis aussi parce que c’est un roman d’espionnage, un roman pour divertir le lecteur. C’est un roman qui ne se
prend pas totalement au sérieux. D’autres de mes livres sont plus graves. Celui-ci a un côté un peu
rocambolesque, avec des rebondissements et des mystérieuses espionnes, mais la situation s’y prête, c’est-à-
dire que mon histoire, quelque part, est une fantaisie par certains aspects, tandis que par d’autres, comme la
plupart des personnages ont réellement existé ou d’autres auraient pu exister, j’ai essayé de rendre une histoire
assez vraisemblable. Pour moi, il est important que j’y croie moi-même.

6/8

Première station avant L’abattoir est un titre alarmant. Le spie di Rapallo, l’est beaucoup moins. De votre
part, comment a eu lieu le choix du titre pour la version française?
J’ai été très frappé à l’époque où j’ai écrit ce livre par une expression qui a été employée par l’écrivain français
Céline qui est quelqu’un que je n’aime pas du tout à cause de ses prises de position hystériques contre les Juifs,
mais il avait un don pour trouver des expressions comme celle-là et cette première station avant l’abattoir, qu’il a
utilisée à propos des bistrots parisiens et des ouvriers français qui buvaient de l’alcool, donc l’abattoir c’était
l’alcool en fait, convenait tellement bien à ce qui allait se passer, c’est-à-dire à la seconde guerre mondiale. Mon
roman est normalement le premier d’une série où ce journaliste va vivre des aventures au travers des années
’20 et des années ’30, donc entre deux guerres, et tout le monde va se diriger vers l’abattoir. L’idée c’est que ce
serait justement la première station, que ce livre-là serait la première station de plusieurs stations où on se
rapproche de l’abattoir. Pour la France ça pouvait marcher ce titre, car c’est un peu intrigant, inquiétant et puis on
parle d’abattoir. Par contre, mon éditeur italien m’a fait remarquer que ça ne disait rien du tout aux Italiens.
Comme justement il y avait des choses qui pouvaient intéresser les Italiens dans ce roman, notamment la
présence de Mussolini et le fait que ça se passe en grande partie à Gènes et à Rapallo, la délégation soviétique
était logée dans un hôtel de luxe à Rapallo, il y a eu aussi le traité de Rapallo qui a été conclu entre les Russes
et les Allemands à la grande déception des démocraties occidentales qui étaient stupéfaites, et puis il ne faut
pas oublier le côté espionnage, j’ai donc trouvé que Le spie di Rapallo était un bon titre.

Pensez-vous parvenir à captiver les non-initiés car une telle lecture pourrait-être longue et affligeante?
C’est tout le challenge pour l’écrivain, c’est-à-dire de parler de choses réelles qui forcément nécessitent une
certaine culture de la part du lecteur, mais en même temps d’essayer d’être le plus clair possible, de rendre une
situation qui, dans la réalité était compliquée, la plus claire possible, puis jouer aussi avec cette tradition du
roman feuilleton. Ca ne dit peut-être rien aux Italiens, mais les écrivains français comme Gaston Leroux, qui a
créé le personnage du journaliste Rouletabille, ou Maurice Leblanc, qui a créé le fameux Arsène Lupin, ce sont
un petit peu mes modèles pour cette série-là. J’ai aussi imaginé que, finalement, toute cette série avec mon
personnage du journaliste Ralph Exeter, ce « double » de mon grand-père, serait une suite de manuscrits
retrouvés dans une malle par un autre personnage et que ce sont des romans qui auraient été écrits dans une
époque antérieure. Les romans de cette série auraient été écrits à la fin des années trente et au début des
années quarante par le véritable journaliste qui cacherait son nom et qui aurait créé ce personnage de Ralph
Exeter pour lui faire vivre des aventures. Certaines fois il inventerait et puis d’autres fois, il ferait une sorte de
roman à clé où il raconte des choses qui se sont réellement passées, mais qui sont secrètes. Donc, c’est un peu
ce jeu-là. Le personnage de Ralph Exeter est un homme à femmes, un séducteur, un alcoolique aussi. La
première chose qu’il fait quand il arrive dans un hôtel ou quelque part, il se précipite vers le bar, et puis ce n’est
pas un espion professionnel. C’est un espion amateur. J’avais eu l’idée au tout début du livre, qu’après tout mon
grand-père aurait pu faire, qu’il garderait l’argent que les Russes lui payaient pour espionner les Français.
Comme il était très bon journaliste, il inventait des informations politiques qui se réalisaient.
Les Russes étaient très contents de ces informations, prétendument secrètes, et il gardait l’argent pour payer sa
vie nocturne à Montparnasse ainsi que les cadeaux à ses maîtresses. Mais comme il est un peu un espion
amateur, quand il va vraiment rencontrer la police secrète soviétique qui accompagne les diplomates russes à
Gênes, il a quand même un peu peur parce qu’il redoute d’être démasqué, et puis c’est vrai que la police
secrète soviétique, la fameuse Tchéka, qui s’appelait le Guépéou, c’est quelque chose d’assez terrifiant. J’utilise
les méthodes du Guépéou, celles de torture. Elles sont utilisées assez fidèlement dans le livre. Par certains
aspects, c’est très réaliste, mais pour un but de divertissement en même temps.

En termes de choix d’édition, y a-t-il une raison pour que vous passiez d’une maison d’édition à une
autre ?
C’est un peu le hasard de l’existence. Évidemment, j’ai des confrères écrivains qui sont fidèles à une seule
maison d’édition. Mais moi, je suis quelqu’un qui tient beaucoup à sa liberté. Je n’aimerais pas être prisonnier
des rapports de fidélité absolue qu’exigerait de moi un éditeur. Comme que je connaissais beaucoup de gens en
tant qu’illustrateur dans diverses maisons d’édition, je n’étais pas limité avec un seul éditeur, mais c’est aussi à

7/8

cause de cela que j’ai commencé à être publié de plus en plus fréquemment au début des années 2000 par la
Série noire chez Gallimard parce que je connaissais Patrick Raynal qui la dirigeait à cette époque-là. Mes trois
premiers romans sont sortis chez eux et puis Patrick Raynal est parti. Il a eu des problèmes avec cette maison
d’édition, donc il est parti chez Fayard. Je ne m’entendais pas bien avec le jeune nouveau directeur de la Série
noire. Il était trop interventionniste, il voulait totalement changer le roman que j’écrivais pour eux à l’époque.
Je pense que le rôle d’un éditeur doit être d’améliorer, de faire des suggestions, ce n’est pas d’exiger de
l’écrivain qu’il refasse de fond en comble tout le livre, surtout quand il n’y a pas vraiment de raison. Donc, j’ai
suivi Patrick Raynal. Je m’entendais très bien avec lui, mais les livres chez Fayard ne se vendaient pas du tout,
alors qu’ils se vendaient très bien chez Gallimard. Chez Fayard, ils en ont eu un peu marre. J’ai donc continué à
publier chez d’autres éditeurs, à gauche, à droite. Comme mes livres, sans se vendre énormément, avaient
quand même beaucoup d’intérêt et une très bonne critique dans la presse, différentes maisons d’édition
voulaient m’avoir comme écrivain. Même si je ne faisais pas des best-sellers, ça marchait suffisamment bien
pour qu’ils me publient. Donc à droite, à gauche, je cherchais la maison d’édition qui soit la meilleure. Du coup,
je les ai presque toutes testées. Je connais les défauts et les qualités de sept, huit grandes maisons d’édition
françaises. Et puis, je me suis installé. Il y a eu le Seuil, mais finalement aussi Robert Laffont. Pour moi c’est ce
dernier qui est le meilleur éditeur.

Quel est selon vous le roman le plus abouti ?
C’est difficile de vous répondre parce que souvent on fait un livre extrêmement ambitieux, qu’on considère
comme très abouti, et puis il se vend très très mal. On a juste un succès d’estime, quelques journalistes disent
« Oh oui, c’est formidable ! » mais, au niveau des ventes, c’est quelque chose de ridicule, genre 900
exemplaires vendus. Et puis quelquefois, on fait un livre avec une histoire toute simple et forte, mais vraiment
simple, on écrit seulement deux cents pages et il a un succès incroyable. C’est arrivé à mon livre « Monsieur le
commandant », qui d’ailleurs est sorti en Italie chez Rizzoli, « Signor comandante ». J’ai vendu 50.000
exemplaires, je ne m’y attendais pas du tout. Ce livre a été publié dans divers pays, dont en Italie, mais aussi en
Angleterre, au Portugal, en Israël, en Grèce. On ne peut pas savoir. Quelquefois, il ne faut peut-être pas qu’un
livre soit trop abouti, il faut être parfois très simple. Mon problème c’est que j’aime raconter des histoires riches,
complexes. Donc, souvent autour de moi on me dit : « Mais non, fais un livre plus simple, plus rapide et, en plus,
ça se vendra mieux ». Les sujets de mes derniers romans, ceux qui parlent de l’Occupation en France, sont très
riches, très graves. Je pense que ce sont des sujets qui méritent d’avoir des livres relativement complexes.

Est-ce que ça demande des efforts ? Ca signifie que vous devez vous documenter, faire des recherches.
C’est peut-être ce qui est plus stimulant.

Moi, j’aime bien apprendre des choses. Par exemple, la conférence de Gênes, je ne la connaissais pas du tout.
Les débuts du fascisme et de la police secrète soviétique, je ne connaissais pas du tout non plus. Donc, j’avais
envie de savoir. Je lis souvent des récits ou des journaux intimes de gens que je privilégie, plutôt que les gros
livres d’histoire un peu ennuyeux qui, d’ailleurs, ne font que répéter souvent des erreurs. Je préfère trouver les
textes de l’époque parce que ce sont eux qui donnent plus le feeling de la période. Il y a plus de détails vrais, de
choses inédites que les gens ne connaissent pas. J’essaie de raconter l’histoire vivante, de faire vivre des
espèces de fresques historiques, pour faire vivre justement des époques. C’est ce qui me plaît le plus. Je
m’obstine à faire ce genre de livres. Ça commence donc à marcher.
Je termine en ajoutant que j’ai beaucoup voyagé quand j’étais plus jeune en Italie. C’est un pays que j’aime
beaucoup. J’aimerais que le public italien puisse découvrir mes livres, ça compte énormément pour moi.

8/8














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