The words you are searching are inside this book. To get more targeted content, please make full-text search by clicking here.
Discover the best professional documents and content resources in AnyFlip Document Base.
Search
Published by info, 2018-05-16 03:55:56

Rovigno d'Istria

Rovigno d'Istria

Gino Bandelli

ROVIGNO E IL SUO TERRITORIO
IN ETÀ ROMANA

In età romana il centro di Rovigno fece parte dell’agro L’eventuale denominazione particolare degli abitanti di 49
polense. Ammettendo (ma la cosa non è documentata) Rovigno e del suo territorio è, comunque, ignota.
che l’insediamento avesse lo statuto di vicus (e perciò Quanto all’assetto politico di tali gruppi, sembra vero-
una qualche autonomia sotto il profilo amministrati- simile che ad un originario policentrismo subentrasse
vo), bisogna subito aggiungere che ignoriamo l’esten- una qualche forma di unità “nazionale”. Ma sul compi-
sione del territorio che faceva capo ad esso. mento, per quanto relativo, di siffatta evoluzione gli
Dovendo circoscrivere l’indagine, abbiamo deciso studiosi divergono: l’affermarsi di un potere centrale,
allora di limitarla, convenzionalmente, all’area grosso rappresentato da quello che Livio definisce un regulus
modo triangolare, che ha per confini: a settentrione il o rex (il dominio del quale non appare comunque
Canale di Leme e la Val Draga, sua continuazione geo- senza limiti, essendo egli circondato da numerosi prin-
logica, fino a Due Castelli e Canfanaro; da nord-ovest cipes locali) (10), è fenomeno che alcuni ritengono
a sud-est la fascia di litorale tra l’imbocco del Canale precoce e autogeno, altri posteriore alla prima guerra
di Leme e Punta Barbariga; da sud-ovest a nord-est le istrica (221 a. C.) e favorito da Roma (11).
linee immaginarie che uniscono Punta Barbariga a Non è questa la sede per analizzare le vicende che
Valle e Valle a Due Castelli. determinarono la sottomissione degli indigeni alla
Si tratta di una regione che, già notevolmente popolata potenza italica (12), cioè le campagne del 221 (13) e
nelle varie fasi della protostoria, continuò ad esserlo del 178-177 (14) e le meno rilevanti operazioni del
fin dall’inizio dell’età romana. 129 (15): basti notare che il risultato di esse fu l’elimi-
È perciò del tutto casuale che, a parte l’isola di Cissa, nazione della pirateria nell’alto Adriatico, l’inquadra-
ricordata da Plinio il Vecchio, Ruginium e Vistrum mento definitivo degli Istri nel sistema di alleanze
appaiano per la prima volta solo in fonti altomedievali romano e l’intensificarsi di un processo di accultura-
come l’Anonimo Ravennate e Andrea Agnello. zione cominciato già nel 181, data di nascita della
colonia latina di Aquileia (16).
Le comunità indigene Se nella resistenza agli eserciti consolari - particolar-
mente accanita, quanto meno durante la guerra del 178
Il quadro etnico della penisola istriana alla vigilia dell’inter- -177, nell’Istria meridionale, dove sorgeva Nesactium,
vento di Roma nell’alto Adriatico fu l’esito di un lungo pro- la “capitale” del regulus Epulone - le popolazioni del
cesso, ricostruibile a grandi linee sulla base delle fonti Rovignese abbiano avuto un qualche ruolo, ci sfugge
archeologiche (1), linguistiche (2) e letterarie (3). del tutto.
Alle genti raccolte nelle centinaia di villaggi fortificati
d’altura, che nelle parlate romanze derivano il proprio L’età repubblicana
nome da castellum (donde “castelliere” e simili), in quel-
le slave da grad (donde “gradiæåe”, “gradina” e simili) Le testimonianze sulle prime fasi della penetrazione
(4), già Ecateo (VI secolo a. C.) (5) dà l’appellativo di italica nella regione istriana sono, per il momento,
Ístroi (donde il coronimo Istría) (6). scarse (17).
Nell’ambito di questi, o accanto ad essi, una tradizione Nel territorio di nostra competenza i dati più significa-
recepita da Livio distingueva delle comunità minori, defi- tivi provengono dalle alture di Tuian, a nord-ovest di
nite dallo storico civitates o populi (7), un certo numero Valle, dove nell’agosto del 1905 venne scoperto un
dei quali viene menzionato da fonti letterarie (Plinio il complesso eterogeneo di materiali (tra quelli numisma-
Vecchio ricorda i Fecusses, i Subocrini, i Catali, i tici un asse librale e alcuni vittoriati), la cui aggregazio-
Menoncaleni, i Carni) (8) o epigrafiche (un’iscrizione del ne incominciò, al più tardi, nel II secolo a. C. (18).
foro tergestino cita i Carni e i Catali, una del Carso istria- Del resto, quello della romanizzazione della costa occi-
no i Rundictes, una dell’agro polense i Polates) (9). dentale della penisola è problema che attende ancora

(foto V. Giuricin)

50 uno studio complessivo. Tutta una serie di elementi

giustifica però le conclusioni preliminari di uno storico

delle nostre terre: “La romanità non vi giunse portata 107 108 MANDRIOL
da forti nuclei di colonizzatori (i veterani dedotti a
Tergeste, Parentium, Pietas Iulia)... Ma arrivò ben +

prima e più lentamente, giorno per giorno, attraverso

rapporti meno traumatici ma continui...” (19). BETICA

Ciò non toglie che la costituzione di municipi e la BARBARIGA 103
deduzione di colonie rappresentasse “l’inizio di una

seconda fase della romanizzazione, intesa come un

processo di lunga durata” (20). E sia l’uno che l’altro 106 105 102
genere d’interventi rispecchia un organico progetto di
Gaio Giulio Cesare (anche se non dobbiamo escludere

che qualche sua parte venisse realizzata nel successivo 104
periodo triumvirale).

Il fatto più rilevante, come indice di acculturazione

delle genti locali, fu la promozione, dal 49 a. C., di

alcuni loro centri a municipia civium Romanorum, vale

a dire a comunità fornite di cittadinanza romana e INSEDIAMENTI DI EPOCA ROMANA
amministrazione autonoma. Il nuovo statuto venne NELLA ZONA DI BARBARIGA

concesso forse a Tergeste (comunque prima della sua 102 Maricchio - 103 Mandriol - 104 Barbariga, villa
trasformazione in colonia), sicuramente ad Agida 105 Barbariga, oleificio - 106 Località Casematte
(localizzabile sul Monte Sermino o a Capodistria?) ed 107 Località Tre Ville - 108 Stanzia Bræåifl

a Parentium. (MATIJAÆIfi, 1988)

Deduzioni coloniarie di veterani si ebbero a Tergeste

per iniziativa di Cesare (o prima del 52, nel qual caso

verrebbe meno l’ipotesi di una sua precedente condi-

zione municipale, o verso il 46) ed a Pola, ridenomi-

nata Pietas Iulia, per iniziativa di Cesare (46-45) o di

Ottaviano (42-41). La trasformazione in colonia di

Parentium fu invece più tarda (21).

È degno di nota che tali municipalizzazioni e deduzio- orientale della Decima incluse anche Agida,

ni avvenissero in una regione che faceva parte, allora, Parentium e Pietas Iulia (22).

non dell’Italia, ma di una provincia, quella Fin dal sorgere della colonia il Rovignese era stato

dell’Illirico. L’anomalia costituita dalla presenza di inglobato nel suo agro. Correggendo l’opinione di

numerose comunità di cives all’interno di una zona Pietro Kandler (23), una serie di ricerche ha dimostra-

soggetta venne però eliminata nel giro di qualche to che la centuriazione polense - cioè una completa

decennio. Già nel 42 a. C., con l’annessione della riorganizzazione del territorio fondata su di un sistema

Gallia Cisalpina all’Italia e il relativo spostamento del di assi verticali (kardines) e orizzontali (decumani)

confine di questa al Formio (il rio Ospo o, secondo che, incrociandosi ad angolo retto, costituivano una

l’opinione prevalente, il fiume Risano), Tergeste maglia di quadrati (centuriae) - non si fermava a sud-

venne accolta nello Stato romano. Più tardi Augusto, est di Valle, ma raggiungeva il Canale di Leme (24).

portato all’Arsia (Arsa) il confine dell’Italia (fra il 18 Anche la nostra zona, dunque, fu distribuita ai veterani

e il 12), ripartì questa in undici Regiones: la parte di Pietas Iulia.

INSEDIAMENTI DI EPOCA ROMANA L’Alto Impero 51
NELLA ZONA DI SAN POLO
Il nuovo assetto della regione mutò completamente la
122 Porto Colonne - 126 San Polo - 127 San Damian fisionomia del paesaggio agrario. Ciò emerge con evi-
128 Scoglio Pissuglio - 129 Monbrodo Gustigna denza da varie classi di testimonianze, delle quali esa-
130 Cisterna mineremo, in breve, quelle concernenti Rovigno e il
(MATIJAÆIfi, 1988, modificato) suo territorio.
Per quanto riguarda le denominazioni di luogo (25),
130 alle scarse tracce della situazione precedente, costituite
da toponimi come Cissa, Vistrum e altri minori (26), si
129 + aggiungono i dati, numerosi, di epoca romana: i più
cospicui fra tutti sono i prediali, cioè gli appellativi
127 + 126 denotanti una proprietà fondiaria (praedium) (27).
Uno dei tipi meno frequenti di essi, quello derivato dal
128 semplice nome di un antico padrone, spiegherebbe la
genesi del toponimo stesso di Rovigno che, a lungo
+ giudicato preromano, sembra invece da ricollegare ad
un Rufinius (28).
123 Di notevole consistenza l’elenco dei prediali più
comuni, quelli caratterizzati da un antroponimo
+ seguito dal suffisso latino -an- (donde le terminazioni
-anus, -ana, -anum) o da quello gallico -ac- (donde le
122 terminazioni -acus, -aca, -acum). Sono del primo
genere: nella zona di Rovigno, la contrada Cancian (da
Cantius, se non da Cantianus), la località Fasana (da
Faesius o Faecius?), il monte Morgnan (da Maurenius
o Murannius), la località Montignan (da Montanius), la
località Mumaian (da mons + Mallius o Mollius); nella
zona di Valle, il bosco Broggian (da Praecellius o
Parcilius?), la contrada Cisana (da Caesius), la contra-
da Lisan (da Lisius), la contrada Maiana (da Mallius),
la contrada Pinzana (da Pincius), il colle Tuian, la con-
trada Tuiana (da Tullius), la contrada Valenzan (da
Valentius, se non da Valentianus). Sono del secondo
genere: nella zona di Rovigno, l’isola Sturaga (da
Asturius?), la valle Zuenaga o Zuganega (da Lovianus)
(29).
All’epoca romana va riferito probabilmente anche
Falonega, presso Rovigno (da fullonica, “lavanderia”);
mentre per Caroiba (da quadruvia, “quadrivio”) non
può, in alternativa, escludersi un’origine romanza (30).
Tale quadro toponomastico si determinò in più fasi,
che però non sono ricostruibili. È certo invece che il
regime della proprietà fondiaria conseguente alle

52 distribuzioni fatte ai coloni di Pietas Iulia subì, col facevano capo, quasi di certo, al medesimo praedium.

tempo, delle modifiche. L’originaria lottizzazione, Dai testi epigrafici emergono comunque delle presenze

impostata su centurie di 20x20 actus (710x710 metri significative anche all’interno, soprattutto nella zona di

ca.), pari a 200 iugeri (50 ettari ca.), suddivise in quattro Caroiba (42).

unità di 50 iugeri (12,50 ettari ca.), ridotte o accresciute Il quadro insediativo che il complesso delle fonti lascia

in proporzione al grado raggiunto dai militari congedati intravvedere è quello di una regione discretamente abi-

(31), fu, almeno in parte, sconvolta da successive com- tata (43), con dei probabili addensamenti demografici a

pravendite e accorpamenti. La presenza di un Rovigno (vicus?), Vistro e, forse, Caroiba, e un popola-

proc(urator) Aug(usti) nella zona della Torre di Boraso mento sparso nel resto del territorio, dove la media pro-

è legata, quasi di sicuro, a possedimenti del Principe prietà, governata dalla villa schiavistica, poteva coesi-

(32). I due sacelli (fana) dedicati, nei primi anni stere con la piccola, a conduzione familiare (44).

dell’Impero, alla Fortuna e all’Histria da Gaius Vibius Tutto induce a pensare che nell’attività economica fon-

Varus e Quintus Caesius Macrinus implicano la vici- damentale, cioè l’agricoltura, la produzione più remu-

nanza di qualche loro praedium (33). L’iscrizione, fune- nerativa fosse, come nel resto della penisola istriana

raria od onoraria (II secolo d. C.), di un membro della (45), quella olearia, documentata non solo dal grande

gens dei Settidii viene, a ragione, messa in rapporto con impianto di Barbariga ma anche da ritrovamenti più

una vasta proprietà nelle campagne di Betica (34). modesti (46).

Ma che le dimensioni delle aziende agricole di età Fra le cave di pietra bianca dell’Istria (47) è noto che
imperiale fossero varie si ricava soprattutto dalla docu- vennero coltivate pure quelle del Rovignese, da
mentazione archeologica. Valsaline e Valfaborsa a Montauro e Vistro (48). A dif-
Facendo il bilancio di una più che secolare tradizione ferenza che nel Parentino (ad es., Cervera Porto e
di ricerca, inaugurata da Pietro Kandler (1804-1872) e Monte Loron) e nella Polesana (ad es., Val Bandon)
dai suoi corrispondenti (35), proseguita con Bernardo (49) mancano invece nella nostra zona tracce sicure di
Schiavuzzi (1849-1929), Alberto Puschi (1853-1922), una “industria” fittile (mattoni, tegole, coppi, anfore,
Hans Schwalb (1867-?), Anton Gnirs (1873-1933), ecc. ecc.) (50).
Attilio Degrassi (1887-1969) e altri (36), e ripresa, Come su tutta la costa occidentale (51) anche tra il
dopo la seconda guerra mondiale, grazie agli studiosi Canale di Leme e Punta Barbariga le molte insenature,
croati, Robert Matijaæifl ha potuto elencare, nel suo spesso attrezzate con moli, favorivano l’esportazione
fondamentale contributo sugli agri di Pola e Parenzo, dei vari generi (52).
non meno di una quarantina di siti (ville residenziali e E passiamo a qualche nota di storia sociale. Un primo
rustiche, impianti produttivi, moli), che appartengono fatto da rilevare è che, nel complesso delle oltre 750
al territorio da noi esaminato (37). La massima con- iscrizioni pertinenti all’Istria meridionale, per la mas-
centrazione di questi è rilevabile nella fascia litoranea. sima parte rinvenute nei centri urbani di Pola e di

Accanto a Rovigno (38) e Vistro (39), luoghi di aggre-

gazione dalla fisionomia non precisabile (nel caso del

primo si avverte la continuità con un preesistente

castelliere, in quello del secondo va segnalata la diffu- PIANTA
sa presenza di resti archeologici), una delle aree più DELL’ABITATO INSULARE DI ROVIGNO (Manoscritto)
interessanti è quella di Barbariga, dove, a breve distan-
za tra di loro, furono scoperti una ricca villa sul mare disegnata da G.G. Natorre nel 1851
(comprendente un settore “estivo”, con peristilio, e (Raccolta di tutte le antichità, stemmi e iscrizioni che esi-
uno “invernale”, a galleria) (40) e un edificio destinato
alla produzione dell’olio (che, nella sua prima fase, stevano e che tutt’ora esistono
disponeva di ventiquattro presse) (41). Le due strutture nella mia Patria di Rovigno)

La struttura dell’abitato rispecchia forse quella
di un originario castelliere

(TRIESTE, Biblioteca Civica)
(da G. Caprin, Trieste 1907, modificata)



54 Nesactium o nelle loro immediate vicinanze (53), il (62), i nomina documentati nel Rovignese (An[nius],

settore nord-occidentale dell’agro spicca per il numero Caesius, Campanius, Ennius, Fufidius, I(ulius?),

considerevole dei documenti (54), che, nel territorio cui Laevinius, Minicius, Orcivius, Pollent(ius), Pompeius,

si riferisce la nostra indagine, ammontano a più di una Pomponius, Sergius, [Settidius], Servilius, Tettius,

ventina (55). È soprattutto grazie a questo corpus, nel Vettidius, Vibius, Umbrius) paiono quasi tutti latini o

quale prevalgono le epigrafi sacre e funerarie (56), che italici (63), né tra i cognomina integri o, nonostante

riusciamo a cogliere molti aspetti della realtà locale. l’eventuale problematicità o frammentarietà, classifi-

Una certa persistenza della cultura indigena è dimo- cabili (Bes(idianus?), Cinio (?), Doris, Felicio, Firmus,

strata dalle dediche a Eia Augusta, Histria e Seixomnia Fronto, Gallio, Macrinus, Maxuma, Maxu[mus],

Leucitica (57), divinità sicuramente preromane (58), Optatus, Quarta, Sabina, Secunda, Varus, Verecundus,

che sopravvivono accanto a Fortuna, Iuppiter Victor, [- -]unda) se ne individuano molti di ascendenza certa-
Silvanus Augustus e Terra Mater (59) - anche per alcu- mente locale (64).
ni di questi culti è comunque certa (Silvanus Augustus) Stabilire quali dei nomina predetti risalgano alla dedu-
o probabile (Terra Mater) un’assimilazione (interpre- zione coloniaria (65) e quali a precedenti o successive
tatio) di numi epicorii (60). Quei Polates che, in una immigrazioni (66), è impossibile.
fase antecedente alla deduzione di Pietas Iulia, onora- Per quanto riguarda le condizioni giuridiche, nella
no Seixomnia Leucitica sono Istri e non Romani (gli misura in cui possono definirsi con certezza, i nati
abitanti della colonia si chiameranno Polenses) (61). liberi (67) prevalgono sui liberti e sugli schiavi (68).
Ma si tratta, nell’ambito qui considerato, delle uniche Del primo gruppo fanno parte due membri dell’ordine
testimonianze rilevanti di una tradizione autoctona: a senatorio. Gaius Vibius Varus, considerato che le iscri-
differenza di altre zone della penisola, e specialmente zioni che lo ricordano sono degli inizi dell’Impero (69),
del suo interno, che palesano tracce notevoli di questa è identificabile o con il triumviro monetale del 42 a.C.
(70) o con un suo immediato discendente. Che i Vibii

Vari fossero di origine bresciana (71) resta del tutto

ipotetico. Di certo avevano dei praedia nel Rovignese

DOLIUM (72). Il secondo personaggio, [T(itus) Settidius (Gai)
contenitore fittile per granaglie o liquidi, I secolo d.C. (?), f(ilius) P]upin(ia) Firm[us] [- -]cianus (73), esponente
di una famiglia tra le più ragguardevoli di Pola (74),
da Vestre fece una carriera prestigiosa, che lo portò al consolato
(ROVIGNO, Museo Civico)

e, forse, oltre.

Non sono invece documentati nella zona membri della

classe magistratuale della colonia.

A un diverso grado è significativo il caso di Lucius

Campanius Verecundus (75), cui la citazione della

tribù Pollia consente di attribuire con qualche fonda-

mento una provenienza non istriana (la tribù dei

Tergestini è, di norma, la Pupinia, quella dei Parentini

la Lemonia, quella dei Polensi la Velina) (76).

Trattandosi di un veterano morto a Caroiba tra la fine

del I e l’inizio del II secolo d.C., l’epigrafe illustra un

fenomeno bene attestato ad Aquileia (77) e nell’Istria

(78), cioè la propensione degli ex militari a scegliere

come residenza ultima della propria vita le fiorenti e

amene regioni dell’alto Adriatico.

MONUMENTO FUNERARIO 55
DI UNA MINICIA
I secolo d.C., da Vestre (CIL V, 8187 = InIt, X, 1, 647).
(ROVIGNO, Museo Civico)

ANFORA DI PRODUZIONE AFRICANA
contenitore cilindrico di medie dimensioni, (Keay XXV)

fine III - metà V secolo d.C., da Vestre
(ROVIGNO, Museo Civico)

56 Da un altro monumento funerario conosciamo Publius donde la loro successiva, prima comparsa nella

Fufidius Optatus, liberto di una donna, che il titolo di Cosmographia dell’Anonimo Ravennate (fine del VI -

sexvir (79) colloca in un ordine intermedio fra l’aristo- inizi del VII secolo) e nel Liber pontificalis di Andrea

crazia cittadina e la gente comune (80). Agnello (prima metà del IX) (89). Dalle parti di

Delle rimanenti lapidi, relative a soggetti non meglio Rovigno è forse da porre anche Cissa, una località

qualificati di vario stato giuridico, una soltanto, a mio menzionata già da Plinio il Vecchio (morto nel 79 d.

parere, offre lo spunto a qualche osservazione di carat- C.), in cui la Notitia dignitatum (fine del IV - inizi del

tere sociologico: è il frammento, disperso, che ricorda- V secolo) colloca una fabbrica statale di vestiario per

va un proc(urator) Aug(usti) (81), cioè, come abbiamo l’esercito: ma sull’effettiva pertinenza territoriale del

già visto, un amministratore, di condizione libertina o bafium Cissense non esiste alcuna certezza (90).

servile, di qualche possedimento del Principe (82). Alla crescita degli insediamenti litoranei fa riscontro il

secondo aspetto, quello della “ruralizzazione” dell’a-

gro. “La villa rustica nel senso residenziale... della

La Tarda Antichità parola” viene trasformata, o sostituita da edifici meno

spaziosi, abitati da coloni: “non si produce più per un

Il fatto più ragguardevole nella storia amministrativa vasto mercato, ma per un mercato locale” (91). Durante

del periodo è una conseguenza della nota riforma del- questa fase nel complesso di Barbariga, come in altri

l’imperatore Diocleziano che, nell’ultimo decennio del siti, la vita prosegue, ma in forme impoverite (92).

III secolo, pose fine alla divisione in Regiones La mancanza quasi completa di testi epigrafici (93)

dell’Italia, ripartendola in un certo numero di Province non permette alcuna valutazione di ordine sociologico,

(83). Il nostro territorio venne compreso in quella almeno fino al V secolo (94).

denominata Venetia et Histria (84). È tuttavia da rilevare la possibilità che, già intorno alla

Grazie alla sua posizione, defilata rispetto alle direttri- metà di quello precedente, la zona di Rovigno fosse

ci consuete delle invasioni di usurpatori e barbari (85), raggiunta dalla prima diffusione del Cristianesimo

esso rimase praticamente indenne fino alla riconquista nella penisola istriana (95): in una delle strutture perti-

bizantina del 539 (86). Il che non vuol dire che non nenti alla fase tardo-antica della villa di Barbariga si

fosse coinvolto nelle grandi trasformazioni che interes- propone di riconoscere un’aula del nuovo culto (96).

sarono l’Occidente. Pochi decenni dopo (97) esso appare, comunque, sal-

Dal punto di vista economico e sociale giungono a damente radicato nella vicina Betica, dove Branko

piena maturazione, in questa fase, dei processi in atto Maruæifl ha messo in luce quanto rimane di una straor-

da tempo. dinaria fabbrica della metà iniziale del V secolo, com-

Già nella seconda metà del I secolo d.C. l’agricoltura posta da una cella trichora e da una basilica a tre nava-

istriana aveva cominciato ad essere meno competitiva te (98).

rispetto a quella di altre province, come la Spagna Ormai al di fuori del nostro ambito cronologico

Betica: era entrata in crisi, di conseguenza, l’esporta- dovrebbe cadere la realtà evocata dalla Torre di Boraso

zione a vasto raggio dell’olio e di altri prodotti (87). (nel castelliere che sorge 2 chilometri a est del capo-

Sintomi delle mutate condizioni si colgono pure nel luogo) (99), se, come alcuni ritengono, si tratta della

Rovignese, dove, almeno dall’epoca tetrarchica, l’im- residenza di un ufficiale (magister militum) dell’eserci-

pianto di Barbariga subisce un ridimensionamento to bizantino (100).

(anche se continua ad esistere fino al VI secolo) (88).

Nasce allora un duplice fenomeno. Da una parte, alcu-

ni centri lungo la costa divengono dei poli di attrazione

per la gente delle campagne. È in questo periodo che

Rovigno e Vistro guadagnano maggiore importanza:

57

ab

BARBARIGA
Villa romana
a) pianta, b) mosaico, c) prospetto della parte centrale
(SCHWALB, 1902)

c

58 NOTE (2) CREVATIN 1991, pp. 51-88.

Ringrazio il dott. Robert Matijaæifl, direttore del Museo (3) VEDALDI IASBEZ 1992; VEDALDI IASBEZ 1994.
Archeologico di Pola, e le dott. Rita Chinelli, Patrizia Donat e
Federica Fontana per le informazioni e i consigli che mi hanno (4) Lo studio fondamentale su questo argomento rimane quello di
dato. MARCHESETTI 1903. Un aggiornamento bibliografico nelle opp.
citt. a nt. 1.

(5) HECAT., fr. 91 Jacoby = fr. 100 Nenci. Per gli autori successi-
vi cfr. VEDALDI IASBEZ 1994, v. Histri.

* Elenco delle corrispondenze tra la toponomastica italiana e quel- (6) Sull’ètimo di questi (e sulle varianti latine, con aspirata “inor-
la croata: Arsa = Raæa (Arsia); Barbariga, Punta B. = Barbariga, Rt ganica”, Histri e Histria): CREVATIN 1991, pp. 65-66.
B.; Betica, Betiga, Stanzia B. = Betika, Betiga, Stancija B.; Brioni
Grande = Veliki Brijun(i); Canale di Leme = Limski Kanal; (7) LIV., XLI, 5, 12 (civitates); 10, 3; 11, 9 (populi).
Canfanaro = Kanfanar; Caroiba = Karojba; Casematte, presso San Un’approfondita esegesi di tali passi in ÅAÅE 1978-1979, pp. 87-
Polo = Kazamate; Casematte, presso Punta Barbariga = Kazamate; 101, DOBESCH 1980, pp. 231-232, 233-234.
Cervera Porto = Åervar Porat; Colonne, Porto C. = Kolone, Uvala
K.; Cul di Leme = Vrh Lima; Due Castelli = Dvigrad; Gimino (8) PLIN., N. h., III, 133.
=Œminj; Gustigna, Punta G. = Gustinja, Rt G.; Isola Pis(s)uglio =
Otok Pisulj; Isola Rossa, Sant’Andrea = Årveni Otok, Sveti (9) Cfr., rispettivamente, CIL V, 532 = InIt X, 4, 31; CIL V, 698 =
Andrija; Maricchio = Marifl; Nesazio, Visazze = Nezakcij, Vizaåe InIt X, 4, 376; CIL V, 8184 = CIL I2, 2, 2218 = InIt X, 1, 642 =
(Nesactium); Parenzo = Poreå (Parentium); Pola = Pula (Pola, ILLRP 257 = CIL I2, 2, p. 1096. Sull’etnografia dell’Istria cfr., da
Pietas Iulia); Polari, Val P. = Polari, Uvala P.; Punta Croce = Rt ultimo, ROSSI 1992, VEDALDI IASBEZ 1994.
Kriœ; Rovigno = Rovinj (Ruginium); San Damian = Sveti Damijan;
San Giovanni in Pelago = Sveti Ivan na Puåini; San Paolo, San (10) LIV., XLI, 3, 12; 11, 1 (regulus); 4, 7; 11, 6; 11, 9 (rex); 11, 1
Polo = Sveti Pavle, Sveti Pavao; Sanvincenti = Svetvinåenat; Torre (principes).
di Boraso = Turnina; Val Draga = Limska Draga; Valle = Bale;
Val Saline = Uvala Soline; Vistro, Vestre, Porto V. = Viætar, (11) Prima teoria: DOBESCH 1980, p. 231 (a giudizio dello stu-
Veætar, Luka V. (Vistrum). I prediali sono identici, a parte l’even- dioso quello istrico è, addirittura, “das alte, vielleicht noch von der
tuale diversità delle grafie (ad es., Fasana = Faœana; Maian = einstigen Einwanderung her ererbte Stammeskönigtum”); ÅAÅE
Majan; Sturaga = Sturag(o); Valenzan = Valencan). Lo stesso vale 1988-1989 (l’“unità” sarebbe comunque anteriore al 221 a. C.).
per Cisterna, Ciubani, Loron, Mandriol, Monbrodo, Montauro, Seconda teoria: BANDELLI 1981, pp. 17-18.
Monte Lesso, Monte Paradiso, Val Bandon, Valfaborsa.
(12) Una rassegna bibliografica sulle guerre istriche in BANDEL-
(1) Al riguardo, i bilanci più autorevoli sono quelli di BATOVIfi LI 1983, pp. 171-172, BANDELLI 1987, pp. 443-445. Da ultimo:
1986-1987, GABROVEC, MIHOVILIfi 1987, CÀSSOLA GUIDA CÀSSOLA c. s. Per altre indicazioni cfr. le note successive del
1989, MIHOVILIfi 1991. Cfr., inoltre, il primo capitolo di questo presente capitolo.
volume.
(13) MARASCO 1986, pp. 96-98; ÆAÆEL KOS 1986, pp. 84-87;
ÅAÅE 1988-1989; MATIJAÆIfi 1991, pp. 235-237; COPPOLA
1993, pp. 63-70; CÀSSOLA c. s.

(14) GRILLI 1989; VEDALDI IASBEZ 1989, pp. 85-97;
MATIJAÆIfi 1991, pp. 237-240; ROSSI 1991b, pp. 203-207;
CÀSSOLA c. s.

(15) CORBATO 1989; VEDALDI IASBEZ 1989, pp. 93-103;
BANDELLI 1989; MATIJAÆIfi 1991, pp. 240-241; CÀSSOLA c.
s.; FONTANA (1991) c. s.

(16) Su questo avvenimento cfr. BANDELLI 1988, pp. 21-54.

(17) Per dei bilanci provvisori cfr. BANDELLI 1985, pp. 68-79,
MATIJAÆIfi 1991, pp. 242-243, 249-250 (dove un fondato scetti-
cismo sui dati relativi a Sipar e a Brioni).

(18) SCHIAVUZZI 1908, p. 97; A. Puschi in BENUSSI 1927-
1928, p. 256.

(19) ROSSI 1984, p. 48 (donde la citazione); MATIJAÆIfi 1991,
pp. 247-248, 250-251. Un’importante conferma in CÀSSOLA c. s.

(20) MATIJAÆIfi 1991, p. 250.

BARBARIGA (21) Su tale problematica, estremamente complessa e dibattuta,
Pianta dell’oleificio romano cfr., da ultimo, FRASCHETTI 1975, FRASCHETTI 1983, BAN-
(MATIJAÆIfi, 1982) DELLI 1986, pp. 55-59, ZACCARIA 1986, pp. 67-70, TASSAUX
1986, pp. 162-164, ROSSI 1991a, ZACCARIA 1991, pp. 425-429,
ZACCARIA 1992, pp. 151-152, 161-162. La colonia di Parentium

è databile, forse, agli anni di Tiberio o di Caligola: DEGRASSI 59
1954, pp. 71-72 (diversamente KEPPIE 1983, pp. 202-203). Un
altro municipio, quello di Nesactium, venne costituito fra il perio- DEDICA
do augusteo e quello flavio: DEGRASSI 1954, pp. 76-78; ZAC- di un Cn. Pollent (ius) a Eia Aug(usta)
CARIA 1986, p. 70, nt. 18. (dalla chiesa di Santa Sofia a Duecastelli).
(POLA, Museo Archeologico dell’Istria)
(22) Una recente analisi del provvedimento del 42 in ROSSI
1991a, pp. 503-514. Per lo spostamento del confine all’Arsia cfr. (JURKIfi, 1979-1981)
DEGRASSI 1954, pp. 54-60. La discussione concernente le
Regiones augustee viene riassunta da ZACCARIA 1986, pp. 72-81. (34) ÆAÆEL, ECK 1982 (“AÉ” 1984, 426); MARUÆIfi, ÆAÆEL
1986, pp. 331-332 (pp. 336-337), fig. 21.
(23) KANDLER 1858, fig. [2]; KANDLER 1866, fig. 9; P. (35) KANDLER 1858, pp. 1-3; KANDLER 1866, pp. 52-61; P.
Kandler in Pola 1876, fig. [4] f. t. I primi dubbi sui limiti fissati Kandler in Pola 1876, pp. 134-138, 212-216. Per il Rovignese cfr.,
alla griglia polense dallo studioso triestino furono espressi, già nel in particolare, le “escursioni” descritte in KANDLER 1849 e le let-
1869, da P. Deperis: BENUSSI 1927-1928, p. 255. Un’ampia ras- tere pubblicate in CERVANI 1972.
segna dei contributi posteriori in SCHMIEDT 1978, pp. 182-183. (36) SCHIAVUZZI 1908, B. Schiavuzzi in MATIJAÆIfi 1983-1984b;
A. Puschi in BENUSSI 1927-1928; GNIRS 1901, GNIRS 1904,
(24) SUIfi 1955; BRADFORD 1957, pp. 175-178; CHEVALLIER GNIRS 1906, GNIRS 1908, GNIRS 1911, GNIRS 1915 (per altre
1957; SUIfi 1976, figg. 46-47, pp. 101-102; KRIZMANICH 1981; indicazioni cfr. Gnirs 1931); SCHWALB 1902; DEGRASSI 1955.
CHEVALLIER 1983, pp. 67-69, tav. XVIII, 31; IMAMOVIfi (37) MATIJAÆIfi 1988 pp. 27-60, nrr. 102-109, 121-151 (dove
1986; MATIJAÆIfi 1990. La continuità fra le centuriazioni di Pola una rassegna bibliografica delle pubblicazioni croate dell’ultimo
e di Parenzo, che hanno uguale orientamento, solleva dei problemi quarantennio).
(come quello della posizione dell’umbilicus, cioè del punto d’irra- (38) CIL V, 308, 309 = InIt X, 1, 640, 641 (sulla discussa prove-
diazione del sistema, e quello, connesso al precedente, dell’origi- nienza delle due iscrizioni cfr. i relativi commenti; inoltre, GNIRS
naria dipendenza amministrativa di tutto il reticolo), a proposito 1904, p. 474); BENUSSI 1888, pp. 32-33 (elementi architettonici
dei quali cfr., in particolare, MATIJAÆIfi 1983-1984a, p. 231, nt. riferiti al Basso Impero); A. Puschi in BENUSSI 1927-1928, p.
2, IMAMOVIfi 1986. 253 (“embrici, mattoni e materia vitrea” dall’isola di Santa
Caterina); GNIRS 1904, p. 475 (frammenti di laterizi presso
(25) Sull’argomento cfr., in generale, SCHIAVUZZI 1908, B. l’Ospizio di San Pelagio); DEGRASSI 1955, pp. 855-856 (alcuni
Schiavuzzi in MATIJAÆIfi 1983-1984b, DE FRANCESCHI 1939- moli); ÆONJE 1980-1981, p. 103 (strutture e materiali presso la
1940. Riguardano specificamente il nostro ambito i repertori topo- chiesetta della Santa Trinità e sull’Isola Rossa); JURKIfi 1981, pp.
nomastici in dialetto rovignese pubblicati da RADOSSI 1969 e
PELLIZZER 1985.

(26) La raccolta più completa in CREVATIN 1991, p. 64 (Cissa),
p. 70 (Vistrum), pp. 54-60 (monte Arni, monte Carmagnasa, loca-
lità Grepone, località Lavaretum, peschiera Lavarè, coul da Lone,
ecc. ecc.).

(27) Al riguardo, le prime ricerche in ambito polense furono quelle
di P. Kandler: Pola 1876, pp. 215-216; DE FRANCESCHI 1939-
1940, pp. 126-127. Cfr., inoltre, A. Puschi in BENUSSI 1927-
1928, passim, B. Schiavuzzi in MATIJAÆIfi 1983-1984b, passim,
DE FRANCESCHI 1939-1940, pp. 128-130. Un aggiornamento
bibliografico alle note successive (con attenzione particolare alla
zona rovignese).

(28) DORIA 1981 = DORIA 1983, pp. 944-951; CREVATIN
1991, p. 102.

(29) Oltre ai bilanci preliminari di MATIJAÆIfi 1981, pp. 114-120
(Cisana, Majan, Malusan, Morinjan, Valencan), MATIJAÆIfi
1988, pp. 75-78 (Cisana, Majan o Manjan, Malusan, Morinjan,
Tujan, Valenzan), cfr. l’ampia rassegna di CREVATIN 1991, pp.
96-102, del quale riprendo anche le conclusioni etimologiche. Una
possibile aggiunta: contrada Quinzana (da Quinctius), nell’agro di
Valle (A. Puschi in BENUSSI 1927-1928, p. 256).

(30) CREVATIN 1991, p. 90.

(31) SUIfi 1955; KEPPIE 1983, pp. 91-96, 203-204, tav. IV.

(32) CIL V, 310 = InIt X, 1, 643.

(33) CIL V, 308, 309 = InIt X, 1, 640, 641.

60 92-93; JURKIfi 1981-1982, fig. 8, p. 25; MATIJAÆIfi 1988, p. 58, MONUMENTO FUNERARIO
del veterano L. Campanius Verecundus
nr. 140 (reperti vari, tra i quali una pressa olearia o vinaria, nella
zona dell’Ospedale). (dalla zona di Caroiba)
(ROVIGNO, Ginnasio, già Istituto Tecnico “Armando Diaz”)
(39) CIL V, 8187 = InIt X, 1, 647; SCHIAVUZZI 1908, p. 97
(“Rovine abbondanti” a Porto Vestre, “cisterna romana e altre EPIGRAFE
rovine” alle falde del Monte Lesso); A. Puschi in BENUSSI 1927- relativa ad un sacello di Fortuna,
1928, p. 254 (grande quantità di resti archeologici di vario genere iniziato da C. Vibius Varus e completato e dedicato
sulla spiaggia e sul colle); DEGRASSI 1955, pp. 855-856 (molo); da Q. Caesius Macrinus (da Rovigno o dintorni)
ÆONJE 1980-1981, p. 103; JURKIfi 1981, pp. 91-92; JURKIfi
1981-1982, pp. 22-24; MATIJAÆIfi 1988, p. 57, nr. 131 (ampia (VERONA, Museo Maffeiano)
rassegna delle strutture - tra cui una piscina - e dei materiali - tra
cui una pressa e due macine - provenienti da Porto Vestre, Monte
Vestre, Monte Paradiso).

(40) SCHWALB 1902; GNIRS 1904, col. 474; GNIRS 1908, pp.
141-143; GNIRS 1915, coll. 161-162; MATIJAÆIfi 1982, pp. 57-
58; MATIJAÆIfi 1988, pp. 50-52. I resti dell’edificio sono in parte
sommersi, a causa del bradisismo negativo, che ha provocato,
rispetto all’evo antico, un abbassamento della costa pari a 2 metri
ca.: DEGRASSI 1955, p. 822, ntt. 3-4; KOZLIÅIfi 1986.

(41) MLAKAR 1974, pp. 47-48, tav. IV; MARUÆIfi 1973-1975,
p. 340; MATIJAÆIfi 1982, pp. 58-59, fig. III, 6; MATIJAÆIfi
1988, p. 52, nr. 105.

(42) CIL V, 8184 = InIt X, 1, 642 (sacra), 8185 = 644 (funeraria),
8186 = 646 (funeraria).

(43) Sulle condizioni demografiche dell’Istria romana cfr., da ulti-
mo, MATIJAÆIfi 1988, pp. 93-96, MATIJAÆIfi 1992 (lo studioso
ritiene che nell’agro di Pola e Parentium ci fossero, in media, 58
abitanti per chilometro quadrato).

(44) Ad una realtà di quest’ultimo genere paiono attribuibili monu-
menti funerari come CIL V, 8185 = InIt X, 1, 637 (tra Valle e
Sanvincenti) e 311 = 648 (dalle campagne di Canfanaro).

(45) Oltre a DEGRASSI 1953, pp. 956-960, DEGRASSI 1956,
cfr., da ultimo, TASSAUX 1983-1984, pp. 225-226, ZACCARIA
1989, pp. 483-484, TASSAUX 1992, p. 138, nt. 33 (con aggiornati
rimandi agli studi anforologici). Circa il bilancio presentato in

LABUD 1990 occorre tener presenti le note di C. Zaccaria, in neata già in DEGRASSI 1933, p. 815, nt. 125. 61
“QGS”, XIII, 1-2, 1992 pp. 270-271. Meno importante risulta,
invece, la viticoltura istriana: DEGRASSI 1956, pp. 967-968. Non (55) Allo stato presente le iscrizioni relative all’ambito considerato
è un caso che nell’opera del maggior conoscitore dell’argomento in questo lavoro sono la seguenti: InIt X, 1, 637-656; MARUÆIfi
essa praticamente non compaia: TCHERNIA 1986, pp. 129, 133, 1971, p. 19, nrr. 1-3, tav. XX, 1-2 (la prima in “AÉ” 1983, 422);
192, 252. ÆAÆEL, ECK 1982 (“AÉ” 1984, 426) = ÆAÆEL 1992, pp. 191-
197, ripubblicata in MARUÆIfi, ÆAÆEL 1986, pp. 331-332, fig.
(46) A parte quelle di Barbariga (cfr. supra, nt. 41), presse olearie 21; MARUÆIfi 1984, pp. 302-303, nr. 8 (p. 319, nr. 8), tav. 2: 8;
(o vinarie) sono state rinvenute a Casematte, presso Barbariga MARUÆIfi, ÆAÆEL 1986, p. 323, nr. 23, tav. 4: 5. Un’epigrafe di
(SCHWALB 1902, col. 9, fig. 3; MATIJAÆIfi 1988, p. 52, nr. Vestre, data per dispersa (InIt 647, commento), è invece custodita
106), San Polo (MATIJAÆIfi 1988, p. 55, nr. 123), Ciubani (p. 57, nel Museo di Rovigno. Non escluderei che ai tre frammenti di
nr. 133), Rovigno (p. 58, nr. 140). “NSc” 1928, p. 408 = InIt X, 1, 638 debba collegarsi quello pub-
blicato in MARUÆIfi, ÆAÆEL 1986, p. 323, nr. 23, tav. 4: 5 (stessa
(47) DEGRASSI 1953, p. 961, nt. 71; BANDELLI 1988, p. 72, nt. 62. provenienza?, stesso marmo?, analoghe dimensioni dei quattro
spessori). Per quanto riguarda i bolli laterizi cfr. supra, nt. 53.
(48) BENUSSI 1888, pp. 5, 28, 143; A. Puschi in BENUSSI 1927-
1928, p. 254; ÆONJE 1980-1981, p. 103. (56) Sacre: CIL V, 308 = InIt X, 1, 640; 309 = 641; 8184 = 642;
InIt X, 1, 650, 651, 652, 653; CIL V, 313 = InIt X, 1, 656;
(49) Per le figuline di Cervera Porto e di Monte Loron: JURKIfi MARUÆIfi 1971, p. 19, nr. 1, tav. XX, 1 (“AÉ” 1983, 422).
1981, p. 84, nt. 32; JURKIfi 1981-1982, p. 19, nt. 33; MATIJAÆIfi Funerarie: CIL V, 8152 = InIt X, 1, 637; 158 = 639; 310 = 643 (?);
1988, p. 65, nr. 170 (dove altre indicazioni bibliografiche); per 8185 = 644; InIt X, 1, 645; CIL V, 8186 = InIt X, 1, 646; 8187 =
quella di Val Bandon, presso Fasana: A. Puschi in BENUSSI 647; 311 = 648; 312 = 649; ÆAÆEL, MARUÆIfi 1984, pp. 302-
1927-1928, p. 251; MATIJAÆIfi 1988, p. 46, nr. 83 (dove altre 303, nr. 8 (p. 319, nr. 8), tav. 2: 8. Incerte: InIt X, 1, 638; CIL V,
indicazioni bibliografiche). Cfr., inoltre, TASSAUX 1983-1984, 8188 = InIt X, 1, 654; 8189 = 655; MARUÆIfi, ÆAÆEL 1986, p.
pp. 204, 208, ZACCARIA 1989, p. 477, nt. 60. 323, nr. 23, tav. 4: 5. Dubbia è anche la natura (funeraria? onora-
ria?) dell’epigrafe che ricorda il senatore appartenente alla gens dei
(50) Tra i bolli finora pubblicati quelli di accertata provenienza Settidii (cfr. supra, nt. 34, infra, nt. 73).
locale (BENUSSI 1888, p. 28; GNIRS 1901, p. 85, nt. 1, GNIRS
1904, col. 44, II, da Barbariga; SCHWALB 1902, tav. IX, da (57) Eia Aug(usta): MARUÆIfi 1971, p. 19, nr. 1, tav. XX, 1
Barbariga; “NSc” 1928, p. 409, dalla zona di Betica; MATIJAÆIfi (“AÉ” 1983, 422) (PASCAL 1964, p. 132, nt. 3; DEGRASSI
1983, p. 966, da Porto Colonne, p. 969, da San Polo e Barbariga; 1970, p. 159; JURKIfi 1974, pp. 9-10, nt. 3-5; JURKIfi 1979-
MATIJAÆIfi 1987a, p. 510, nt. 56 (Q. CLODI AMBROSI), p. 519 1981, pp. 155-156, fig. 12; JURKIfi 1983-1984, pp. 10-11, fig.
(C. IULI AFRICANI), p. 520 (L. KARMINI), p. 522 (P. V. TE.), da 12). Histria: CIL V, 309 = InIt X, 1, 641 (PASCAL 1964, p. 91, nt.
Barbariga; MATIJAÆIfi 1987b, pp. 169-170, nrr. 108-117, da 2; DEGRASSI 1970, pp. 161-162; JURKIfi 1974, p. 10, ntt. 6-9;
Betica, pp. 170-171, nrr. 118-142, da Barbariga, p. 172, nr. 158, da JURKIfi 1979-1981, pp. 153-154, fig. 8; JURKIfi 1983-1984, pp.
Porto Vestre) sembrano tutti d’importazione. 9-10, fig. 8). Seixomnia Leucitica: CIL V, 8184 = CIL I2, 2218 =
InIt X, 1, 642 = ILLRP 257 = CIL I2, p. 1096 (PASCAL 1964, p.
(51) DEGRASSI 1955. 114, nt. 3, p. 133, ntt. 2-4; DEGRASSI 1967, p. 346; DEGRASSI
1970, pp. 160-161; JURKIfi 1974, p. 10, nt. 17; CREVATIN 1979;
(52) DEGRASSI 1955, pp. 855-858 (da nord a sud, Val Saline, JURKIfi 1979-1981, p. 156, fig. 15; JURKIfi 1983-1984, pp. 11-
Ospizio di San Pelagio, Portone dei Biondi?, Rovigno?, Isola di 12, fig. 15; CREVATIN 1991, pp. 51, 78, 84; CÀSSOLA c. s.).
Sant’Andrea?, Val Polari?, Porto Vestre, San Polo, Porto Colonne?,
Punta Barbariga?); SCHWALB 1902, fig. 1, col. 3; MATIJAÆIfi (58) Sui culti dell’Istria cfr., in generale, PASCAL 1964, passim,
1988, p. 59, nr. 142 (Val Saline), p. 58, nr. 173 (Polari), p. 57, nr. DEGRASSI 1967, DEGRASSI 1970, JURKIfi 1974, JURKIfi 1979-
131 (Vestre), p. 55, nr. 123 (San Polo), p. 55, nr. 122 (Porto 1981, JURKIfi 1983-1984, JURKIfi 1982-1985, CREVATIN 1991,
Colonne). Per il bradisismo negativo (cfr. supra, nt. 40) tutti questi pp. 84-85.
impianti sono da tempo sommersi. Tolta la Via Flavia, che percor-
reva la fascia orientale della nostra zona, lungo la direttrice Cul di (59) Fortuna: CIL V, 308 = InIt X, 1, 640 (PASCAL 1964, p. 28,
Leme-Valle (da ultimo, BOSIO 1991, pp. 225-226), la rete dei per- nt.5; DEGRASSI 1970, p. 164). Iuppiter V(ictor): InIt X, 1, 652
corsi terrestri è molto meno indagata. (PASCAL 1964, p. 17, nt. 4; DEGRASSI 1970, p. 166). Silvanus
Aug(ustus): InIt X, 1, 650 (PASCAL 1964, p. 174, nt. 5; DEGRAS-
(53) A quanto risulta da InIt X, 1, deve aggiungersi la documenta- SI 1970, pp. 173-174). Terra Mater: InIt X, 1, 653 (PASCAL 1964,
zione acquisita successivamente, per la quale cfr. TASSAUX p. 102, nt. 8; DEGRASSI 1970, p. 174).
1992, p. 142, nt. 4 (adde MARUÆIfi, ÆAÆEL 1986, p. 323, nr. 23,
tav. 4: 5, pp. 331-332, fig. 21). Insieme con i dati ricavabili dall’e- (60) PASCAL 1964, pp. 170-176 (Silvanus), pp. 102-103 (Terra
pigrafia lapidaria occorre poi tenere presente quanto è bollato, Mater).
dipinto o graffito su tegole, anfore e materiali diversi di uso comu-
ne: per i bolli, mancando a tutt’oggi un repertorio esauriente, cfr. (61) Polates: CREVATIN 1979 (che ritiene il documento posterio-
MATIJAÆIfi 1982-1985, BUORA 1985, MATIJAÆIfi 1987a, re alla fondazione della colonia); CREVATIN 1991, pp. 51, 67;
MATIJAÆIfi 1987b, ZACCARIA 1989, passim, TASSAUX 1992, CÀSSOLA c. s. (del quale accolgo la proposta cronologica).
p. 142, ntt. 5-6, I laterizi nordadriatici 1993, passim. Polenses: CIL V, 7 = InIt X, 1, 2; 19 = 29; 29 = 43; 31 = 45; InIt

(54) La consistenza del patrimonio epigrafico di Rovigno è sottoli-

62 idionimo e nomen “of Celtic origin” (CASTRÉN 1975, p. 153), è

piuttosto labile. Che in T. An[nius] T. l. Gallio (CIL V, 313 = InIt

X, 1, 656) il cognomen, appartenente a quelli “etnici” (KAJANTO

1965, p. 195), possa riferirsi ad un’ascendenza carnica o catala del

personaggio, resta una pura ipotesi.

(65) La mancanza di documenti epigrafici relativi ai coloni polensi
“de la première génération” è sottolineata in TASSAUX 1992, p.
137, che offre comunque un prudente bilancio sull’origo delle
famiglie di attestazione più antica.

(66) Per un’eventuale origo aquileiese di Annii, Caesii, Minicii,
Pompeii, Pomponii, Servilii, Vettidii, Vibii cfr. CALDERINI 1930,
pp. 443-577 (dove compaiono anche, ma sporadicamente, Ennii,
Fufidii, Sergii). Cfr., inoltre, TASSAUX 1992, p. 137. Notizie
generali sulla diffusione di Annii, Caesii, Ennii, Fufidii, Minicii,
Orcivii, Pompeii, Pomponii, Sergii, Servilii, Tettii, Vibii si trovano
in CASTRÉN 1975, passim.

(67) Ingenui certi: P. Orcivius C. f. Fronto, Vettidia C. f. Maxima,
Orcivia P. f. Quarta (CIL V, 8152 = InIt X, 1, 637); C. Vibius
Varus, Q. Caesius Macrinus (308, 309 = 640, 641); L. Campanius
L. f. Pol. Verecundus (8185 = 644); Laevinia C. f. Sabina (311 =
648); probabili: C. Ennius Maxu[mus], [- - - - ]unda (8186 = 646);
Minicia [- -], [- ?] Minicius Ti[- -], Pompeius (8187 = 647); Q.
Serg(ius), Sex. R[- -] (312 = 649); Maxuma Umbria (InIt X, 1,
651); L. I(ulius?) Bes(idianus?), Servilia Secunda (InIt X, 1, 652);
Sex. Tettiu[s] (InIt X, 1, 653); incerto: [- ?] Pomponius [- -] (CIL
V, 8188 = InIt X, 1, 654).

C(68) Liberti certi : P. Fufidius . l. Optatus (InIt X, 1, 645); T.
An[nius] T. l. Gallio (CIL V, 313 = InIt X, 1, 656); probabili: Cn.
DEDICA Pollent(ius) [- -] (MARUÆIfi 1971, p. 19, nr. 1), il nomen del
dei Polates a Seixomnia Leucitica quale, presente nella titolatura completa della colonia (Iulia Pola
(dalla zona di Caroiba) Pollentia Herculanea: CIL V, 8139 = InIt X, 1, 85), è, con tutta
(ROVIGNO, Ginnasio, già Istituto Tecnico “Armando Diaz”) verosimiglianza, quello che assumevano gli schiavi liberati della
colonia medesima (TASSAUX 1992, p. 141); (- - - ) Doris, (- - - )
X, 1, 103; CIL V, 83 = InIt X, 1, 104. L’analisi di F. Crevatin Felicio (CIL V, 158 = InIt X, 1, 639). Scarse le testimonianze rela-
dimostra che l’iscrizione dei Polates è linguisticamente ambigua, tive a personaggi di condizione servile, cui è riferibile con certezza
poiché ammette sia una lettura “indigena” che una lettura “latina”. solamente CIL V, 158 = InIt X, 1, 639 ([- - - ] servae suae). Il
(62) Sul problema in generale, cfr., da ultimo, RENDIfi proc(urator) Aug(usti) di CIL V, 310 = InIt X, 1, 643, un ammini-
MIOÅEVIfi 1981 = RENDIfi MIOÅEVIfi 1989, pp. 729-735, stratore del Principe (cfr. supra, nt. 32), era un liberto o uno schia-
TASSAUX 1985, pp. 135-138, TASSAUX 1986, pp. 162-164, vo; l’enigmatico Cinio (?) di InIt X, 1, 650 (cfr. supra, nt. 64),
KRIŒMAN 1991, pp. 97-179, TASSAUX 1992, pp. 136-137, ammesso che si tratti di un individuo, potrebbe considerarsi un
CÀSSOLA c. s. peregrinus (indigeno di condizione libera) o uno schiavo.
(63) Dati desunti dalle opp. citt. a nt. 55. Un’origine locale è pro-
babile per Laevinius, incerta per Ennius (CIL V, 311, 8186 = InIt (69) CIL V, 308, 309 = InIt X, 1, 640, 641 (nel commento alla
X, 1, 648, 646): TASSAUX 1992, p. 136. Il passaggio da un indi- prima le ragioni per un inquadramento di entrambe all’inizio del
geno Enno ad un latinizzato Ennius è documentato nell’epigrafia regno di Augusto).
di Ateste (LEJEUNE 1978, pp. 126-129, 131-132, 135-136, 138-
139). Inoltre: KRIŒMAN 1991, passim. (70) CRAWFORD 1974, I, nr. 494, pp. 502-511.
(64) Dati desunti dalle opp. citt. a nt. 55. Per tutti, meno Cinio (?) e
Doris, cfr. l’Index of personal names discussed in KAJANTO (71) ALFÖLDY 1982, p. 346, nr. ?? 2; GREGORI 1990, p. 198, A
1965, pp. 379-418; per Doris cfr. SOLIN 1982, pp. 536-537. Un 306, 013.
eventuale collegamento fra Cinio (?) (InIt X, 1, 650) e Cin(n)ius,
(72) Cfr. supra, nt. 33.

(73) La persuasiva restituzione della mutilatissima formula onoma-
stica è quella di ÆAÆEL, ECK 1982, p. 484 (“AÉ” 1984, 426) =
ÆAÆEL 1992, p. 194, confermata in MARUÆIfi, ÆAÆEL 1986, p.
332. Potrebbe trattarsi del cos. suff. 112 (W. Eck) o di un suo nipo-
te (J. Æaæel). Da notare che la tribù non è quella di Pola, ma quella
di Tergeste.

(74) ALFÖLDY 1982, pp. 330-331, nrr. ? 7, ? 8. Cfr. TASSAUX la zona tra Punta Gustigna e Punta Barbariga, SUIfi 1987 l’isola di 63
1983-1984, p. 220. Brioni Maggiore, MARUÆIfi 1990 di nuovo Barbariga. Altra
bibliografia nel terzo capitolo di questo volume.
(75) CIL V, 8185 = InIt X, 1, 644.
(91) MATIJAÆIfi 1983-1984a, p. 232 (donde la citazione);
(76) Cfr., rispettivamente, InIt X, 4, p. IX, InIt X, 2, p. IX, InIt X, MATIJAÆIfi 1988, p. 98. L’A. osserva che il fatto “non ha per
1, p. VIII. Che la tribù dei Nesactienses, ignota (InIt X, 1, p. 248), niente diminuito l’intensità dell’insediamento rurale”.
fosse la Pollia, sembra da escludere.
(92) Per il complesso di Barbariga: MARUÆIfi 1973-1975, p. 340;
(77) CALDERINI 1930, pp. 216-217. MATIJAÆIfi 1982, pp. 58-59; MATIJAÆIfi 1988, pp. 50-52.
Notizie relative ad un secondo impianto rustico di epoca tardoanti-
(78) Per Parentium: TASSAUX 1986, p. 172. Per Pola: TAS- ca (fine del IV - metà del VI secolo), posto nelle vicinanze della
SAUX 1992, p. 139. chiesa di Sant’Agnese a Betica, in JUROÆ - MONFARDIN 1986.
Per altri siti: MATIJAÆIfi 1988, passim.
(79) InIt X, 1, 645. Il numero dei sexviri e degli Augustales è piut-
tosto elevato a Pola, come risulta da InIt X, 1, 105-133. (93) Nessuna delle iscrizioni lapidarie del Rovignese (cfr. supra,
nt. 55) è riferibile con certezza al III o IV secolo. I testi musivi
(80) Un accenno al fenomeno in TASSAUX 1986, p. 170, nt. 35. paleocristiani di Sant’Andrea di Betica, pubblicati da MARUÆIfi,
ÆAÆEL 1986, pp. 329-331 (pp. 336-337), sono della prima metà
(81) CIL V, 310 = InIt X, 1, 643. del V secolo; esclusa quella di [T. Settidius C. f. P]upin(ia)
Firm[us] [- - -]cianus (cfr. supra, nt. 73), tutte le altre epigrafi sco-
(82) Cfr. supra, ntt. 32, 68. Sul problema in generale: TASSAUX perte in loco (p. 323, nr. 24, tav. 2: 4, p. 329, nr. 7, p. 332, IV, 6,
1992, p. 141. fig. 22) appartengono alla fase altomedievale.

(83) Indicazioni al riguardo in ZACCARIA 1986, p. 74, nt. 34. (94) La difficoltà riguarda la storia di Pola tardoantica in generale:
non è, credo, senza significato che l’importante ricerca di TAS-
(84) Ibid., pp. 73-78. SAUX 1992 si limiti alla società dell’Alto Impero.

(85) JURKIfi 1982, pp. 585-586 (con bibliografia sull’argomento). (95) Un bilancio sul problema in CUSCITO 1977, pp. 101-151. Cfr.,
inoltre, il terzo capitolo di questo volume.
(86) Che il “tesoro di Seuso”, uno dei più ricchi servizi di argenteria
del Tardo Antico, scoperto, forse, negli Anni Settanta e di recente (96) GNIRS 1911, col. 1, fig. 2; MARUÆIfi 1978, p. 556 (p. 569),
messo all’asta da Sotheby’s (“Archeo”, numero 62, aprile 1990, pp. fig. 5. Cfr. MATIJAÆIfi 1982, p. 57, nt. 26, MATIJAÆIfi 1988, p.
3-17), provenga non dal Libano, ma, come riportato anche dalla 51, nt. 208, p. 103, nt. 455 (con qualche dubbio, se intendo bene).
stampa locale (“Il Piccolo”, 9 novembre 1992, p. 6), da Barbariga,
dove sarebbe stato sepolto in un momento di pericolo tra il VI e il (97) L’affermazione del Cristianesimo nella zona di Pola tra il IV e il
VII secolo, è tutto da dimostrare. VII secolo è ricostruita in CUSCITO 1979, pp. 279-288. Cfr., inoltre,
MARUÆIfi 1978, passim.
(87) PANCIERA 1972, pp. 84-89, 107-108, 110-111. L’agricoltura
istriana, e in particolare l’olivicoltura, continuò a godere comun- (98) MARUÆIfi, ÆAÆEL 1986.
que di una relativa prosperità fino, quanto meno, al periodo gotico,
finito nel 539: cfr., da ultimo, JURKIfi 1981, pp. 77-79, 98-99, (99) KANDLER 1849, pp. 148-149, ripubblicato in BENUSSI
JURKIfi 1981-1982, pp. 9-11, 30-31, JURKIfi 1982, pp. 585-586, 1888, pp. 294-296; BENUSSI 1888, pp. 29-30; A. Puschi in
589-591 (accenni alla famosa descrizione di CASSIOD., Variae, BENUSSI 1927-1928, p. 253.
XII, 22 e notizie sugli ultimi sviluppi delle indagini archeologi-
che). Inoltre: MATIJAÆIfi 1983-1984a, pp. 233-236; MATIJAÆIfi (100) Cfr., da ultimo, MATIJAÆIfi 1988, p. 59, nr. 146.
1988, pp. 99-100.

(88) MARUÆIfi 1973-1975, p. 340; MATIJAÆIfi 1982, pp. 58-59;
MATIJAÆIfi 1988, p. 52, nr. 105.

(89) Ruginium: ANON. RAV., IV, 30, p. 68 Schnetz (Ruigno), IV,
31, p. 68 (Ruginio seu Ruigno), V, 14, p. 95 (Revingo). Cfr.
JURKIfi 1981, pp. 92-93, JURKIfi 1981-1982, p. 25, VEDALDI
IASBEZ 1992, p. 157, nt. 18, VEDALDI IASBEZ 1994, v.
Ruginio. Vistrum: AGNELL., Lib. pont. eccl. Rav., 74, pp. 192-
193 Testi Rasponi. Cfr. JURKIfi 1981, pp. 91-92, JURKIfi 1981-
1982, pp. 22-24.

(90) PLIN., N. h., III, 151; Not. Dign. Occ., IX, 67, p. 151 Seeck.
Per una localizzazione in prossimità di Rovigno cfr. KANDLER
1849, p. 143, ripubblicato in BENUSSI 1888, pp. 299-305 (con
una testimonianza inedita di Tomaso Caenazzo), BENUSSI 1888,
pp. 6, 31, 35: si parla di un’isola sommersa dalle parti di San
Giovanni in Pelago. Per una localizzazione “alla punta Cissana,
ora detta punta Barbariga” (G. Gravisi) cfr. CIL V, 11* = InIt X, 1,
12*, un falso epigrafico della seconda metà del XVIII secolo.
Degli autori più recenti ÆONJE 1980-1981, pp. 101-109, propone

Giuseppe Cuscito

DALLA TARDA ANTICHITÀ
ALL’ALTO MEDIOEVO

64 LA CRISTIANIZZAZIONE DEL TERRITORIO Perciò anche lo studioso che intenda occuparsi specifi-

ROVIGNESE. Non è possibile affrontare il problema camente di Rovigno è obbligato ad allargare il campo

della cristianizzazione di Rovigno limitatamente al d’indagine a un territorio più vasto per stabilire nessi e

piccolo centro sviluppatosi su un’isola della costa collegamenti con centri che, partecipi delle stesse

istriana a sud del Leme, perché la mancanza di mate- vicende storiche, si presentano però più forniti di

riali e il silenzio delle fonti non consentono una soddi- materiali e di testimonianze. Anche in questo modo

sfacente ricostruzione del quadro storico al di fuori di tuttavia non riusciamo a ritagliare un brano unitario e

una tradizione bisognosa di appoggi e di verifiche. completo di storia da inserire in un filone per così dire

Anche per Rovigno si registra infatti quella carenza di narrativo, ma piuttosto a enucleare problemi e momen-

dati che i cultori di antichità cristiane sono costretti a ti privilegiati per costituire una sorta di laboratorio

lamentare non meno degli storici della romanità per dove il lettore potrà tentare una sintesi da noi solo sug-

tanti insediamenti minori disseminati sul territorio di gerita sulla base delle prove storiche raccolte.

importanti e fiorenti municipi. Se - come osservava Del resto già il Benussi nel 1888 rilevava che, sebbene

Claudio Zaccaria - non mancano difficoltà per docu- notizie sicure e precise sulla storia di Rovigno non

mentare esaurientemente le fasi dell’insediamento risalgano oltre il sec. V, “pure un attento esame della

umano che precedono la romanizzazione in questo regione circostante ci permetterà di spingere lo sguar-

angolo nordorientale d’Italia, non meno deludente è lo do ben più addentro nei secoli”; in effetti le esplorazio-

stato della documentazione riguardante l’età romana, ni fino allora condotte assicuravano quello studioso

per la quale, data la generale carenza di documenti che “l’agro di Rovigno, nelle rovine e nei ruderi ivi

antichi relativi al territorio delle città, si sente il biso- esistenti, vuoi sepolti, vuoi all’aprico, conserva nume-

gno di un integrale e sistematico rilevamento sul terre- rose pagine, ancora non lette, della sua storia antica”

no che permetta una classificazione organica di tutti i (7). Rovine di caseggiati, di fornaci, di cisterne, di edi-

dati finora noti e uno studio non episodico del territo- fici balneari, iscrizioni e avanzi di monumenti attesta-

rio in esame (1). no la presenza di templi, di are, di coloni militari, di

Nel nostro caso specifico si tratta di prendere in consi- cittadini romani nella campagna di Rovigno attraversa-

derazione la zona nordoccidentale dell’agro colonico ta dalla via Flavia presso Caroiba di Valle

di Pola, dove resti architettonici di ville rustiche pre- (Quadruvium). Oltre che nell’agro, numerose tracce

sentano tracce della cultura tardoantica e indicano l’e- insediative si troverebbero anche lungo la costa, come

sistenza di complessi residenziali e produttivi, come a la fabbrica di vetro nell’isola di Serra e la tintoria di

Vistrum (2) e a Barbariga (3), o centri fortificati di un porpora sull’inabissata isola di Cissa (8), le cui estese

sistema di difesa hanno preso il posto di precedenti rovine sarebbero tuttora visibili nel fondo del mare (9).

castellieri in luoghi strategici, al momento della pres- In età romana dunque la campagna rovignese e le isole

sione barbarica sui confini delle Giulie, come a circostanti sarebbero già state abbondantemente popo-

Rovigno, a Valle (Castrum Vallis) e a Due Castelli (4). late con alcuni poli aggreganti, come Cissa, Vistro e

Per Due Castelli e forse per Valle, la recente scoperta Rovigno.

di una chiesa peleocristiana della seconda metà del La prima attestazione letteraria di Rovigno si trova -

sec. V rende possibile una datazione dell’insediamento com’è noto - nella Cosmographia dell’Anonimo

in epoca tardoantica (5), mentre la prosperità e lo svi- Ravennate, che, pur scrivendo nel sec. VII, sembra

luppo successivi hanno cancellato a Rovigno ogni trac- riprodurre le condizioni geografiche della fine del sec.

cia delle sue origini specie sulla sommità del colle V. Da ciò il Benussi riteneva di poter concludere che

(Mons Albanus) dove il duomo settecentesco ha preso Rovigno si venne formando fra il III e il V secolo d.C.

il posto della precedente chiesa altomedievale e forse e che allora probabilmente venne costruita quella cinta

anche paleocristiana attestata purtroppo solo da un di mura che circondava la spianata superiore del monte

pilastrino di recinzione presbiteriale (6). su cui furono erette la rocca e la chiesa primitiva dedi-

cata a S. Giorgio. Egli segnalava presso il Duomo due ALLE ORIGINI DELLA CHIESA DI ROVIGNO FRA 65
colonne di marmo antico certo provenienti da qualche TRADIZIONI AGIOGRAFICHE E MEMORIE
edificio preesistente e nelle muraglie della chiesa EPISCOPALI. Il culto e la tradizione di S. Eufemia di
frammenti marmorei del sec. VI (10) (fig. 1).
La campagna, aperta alle scorrerie nemiche, fu pro- Rovigno si fondano interamente sulla narrazione di un
gressivamente abbandonata e i suoi abitanti cercarono codice membranaceo (già nell’Archivio Capitolare di
rifugio nei luoghi più protetti della costa, preferendo Parenzo) con qualche appoggio di natura monumentale
quelli situati sulle isole come Rovigno. Queste ragioni nel marmoreo sarcofago di età severiana (fig. 2) vene-
e forse anche il presunto sprofondamento della fanto- rato in Duomo, di cui si è ultimamente occupata
matica isola di Cissa devono aver contributo all’incre- Renata Ubaldini (12). Il codice, già esaminato dal
mento demografico di Rovigno, che, negli ultimi tempi Kandler (13), dal can. Caenazzo (14), dal Benussi (15)
del governo bizantino in Istria, pagava alla camera e da Tomaso Caenazzo junior (16), che ne pubblicaro-
imperiale 40 solidi mancosi, cioè due terzi di quanto no con vario esito la parte storicamente più indicizzata
pagavano Trieste, Pola e Parenzo, le principali città del testo, non ha quel valore che gli si volle attribuire,
istriane (11): ciò spiega perché, nel Placito del Risano poiché si presenta come un centone che tramanda il
(804), Rovigno figurasse subito dopo i maggiori martirio di S. Eufemia calcedonese, la traslazione del
comuni della provincia. corpo della “beata Eufemia” al Mons Rubeus, il marti-
rio di S. Orsola con le undicimila vergini, quello di S.
Fig. 1 Giacomo l’Interciso e quello di S. Giorgio. Fu scritto
ROVIGNO, DUOMO con perizia calligrafica forse presso uno scriptorium di
materiale di spoglio sul fianco meridionale; Venezia in data imprecisabile tra il XIV e il XV secolo
in alto, pilastrino di recinzione presbiteriale (sec. V-VI) e fu convenientemente miniato secondo l’uso dell’epo-
ca. Per limitarsi all’esame delle venti pagine originarie
(foto V. Giuricin) che ci interessano, occorre subito precisare che non si
tratta di una copiatura di antichi manoscritti rinvenuti
nell’arca - come riferisce il racconto della traslazione
(iuxta corpus scripturam reperierunt) - o comunque
preesistenti nella chiesa di Rovigno, ma piuttosto di
una compilazione di testi per uso chiesastico a confer-
ma di tradizioni locali: non è un caso infatti che il
codice, oltre alle vicende di S. Eufemia, riporti anche
il martirio di S. Orsola e di S. Giorgio, che ebbero
chiesa e culto sul monte di Rovigno. S. Giorgio è il
primo santo tutelare di Rovigno, mentre si sa che la
chiesetta di S. Orsola già cadente fin dal 1719 fu
abbattuta nel 1724 per ampliare il Duomo; il suo culto,
proveniente da Venezia, fu conservato anche dopo
quella demolizione su un altare del Duomo. La presen-
za della Passio del martire persiano S. Giacomo
l’Interciso, sconosciuto a Rovigno e in Istria, resta
invece piuttosto enigmatica e forse si spiega con una
sostituzione di S. Giacomo apostolo tuttora qui venera-
to.
Perciò non sarà difficile intuire l’intenzione del com-
mittente, se consideriamo il fatto che le Passiones del

66 codice sono per lo più in rapporto al culto locale. colosamente guarito. Alla notizia di tali prodigi, accor-

Come è già stato rilevato, il codice riflette le cognizio- se il clero e il popolo di Pola e, sollevato il coperchio

ni agiografiche dell’alto Medioevo, senza alcuna origi- dell’arca, si potè vedere il corpo della santa adorna dei

nalità, così che per i nostri scopi conviene soffermarci suoi vestimenti (19).

sul secondo testo, quello che dicevamo appunto stori- Accanto a questa narrazione stilata secondo i caratteri

camente più indicizzato e che si legge a partire dal tipici dell’agiografia medievale, il cronista pensò di

foglio 5 del codice sotto il titolo Translatio corporis fornire anche qualche dettaglio di ordine pratico e

beate Euphemie (17). Esso sembra infatti adombrare il positivo col precisare quanto segue: “Mentre l’arca

supposto inabissamento di Cissa, pur senza nominarla: stava su di un erto scoglio...una notte i flutti del mare,

così il compilatore del sec. XIV - XV, preoccupato di contro il solito della stagione che era d’estate, comin-

non introdurre nella narrazione un elemento che a oltre ciarono ad inalzarsi a guisa di cavalloni e l’arca a

500 anni di distanza gli doveva apparire fantastico e discendere a poco a poco all’ingiù quasi per un dolce

restìo a fare il nome di Costantinopoli estraneo alla declivio (paulatimque ad ripe inferiora quasi per quo-

tradizione locale, tralasciò qualsiasi indicazione sulla sdam gradus). Ingrossando il mare, la scoscesa cima

provenienza del sarcofago, limitandosi al racconto del dello scoglio sul quale era posata l’arca franò repenti-
suo arrivo al Mons Rubeus, che invece si chiama Mons namente con grande fracasso (scopulosus ille vertex
Albanus, dove sorge appunto Rovigno. super quem archa consederat repentino fragore con-
La Traslazione è collocata (18) tempore Ottonis impe- crepuit)...Molti ch’erano accorsi a vedere tale fenome-
ratoris, messo per un anacronismo - a noi di grande no si stupivano come mai una rupe tanto solida e com-
utilità - fra i sovrani di casa Sveva (o Hohenstaufen), e patta si fosse d’improvviso squarciata senza l’opera
avviene nello spazio di una notte, mentre un violento dell’uomo e stimarono che l’arca marmorea che aveva-
uragano abbatte lo scoglio sul quale stava l’arca e la no veduta discendere all’ingiù sarebbe rimasta immo-
trasporta ad quandam insulam in ore montis qui bile per il suo grande peso...Ma le onde del mare pre-
Rubeus vocabatur, cioè una piccola insenatura dell’i- sero sopra di sè la pesante mole, la quale, non colloca-
sola dove sorgeva il castello di Rovigno, rimasto isola ta sopra alcun naviglio, nè spinta da vele, ma quasi
- com’è noto - fino al 1763. Il mattino seguente, all’al- presa fra le loro braccia, venne portata al luogo prede-
ba, molti degli abitanti, usciti dal castello e scesi alla stinato” (20).
spiaggia, poterono constatare l’impeto dello straordi- Secondo il Benussi, da qui dovrebbe trasparire la tradi-
nario uragano; ma quando cominciarono a calmarsi i zione del popolo rovignese, che non ricordava come
venti e a ritirarsi le onde, attratti da un vivo splendore un evento improvviso la catastrofe di Cissa: perciò,
in mezzo alla tempesta, scorsero l’arca ferma in un’in- allarmati dal franare di porzione dell’isola, i Cissani
senatura della spiaggia e tutta circondata di luce. E avrebbero avuto tempo di mettersi in salvo sull’isola di
mentre il popolo era incerto sul da farsi, alcuni eremiti, Rovigno, traendo con sè non senza grande fatica l’arca
venuti dalla prossima isola delle Orazioni - oggi S. marmorea col corpo della santa protettrice. I profondi
Caterina -, consigliarono di trasferire colà il sarcofago. solchi lasciati dalle gomene sugli spigoli del sarcofago
Ma, riuscito vano ogni sforzo, si tentò senza esito di dimostrerebbero “quanto ardua e lunga fatica avessero
sollevarne almeno il coperchio. Nella notte seguente avuto a durare i buoni Rovignesi per condurre l’arca
una santa vedova venne a sapere attraverso una visione lungo la Cal Santa, Sottomuro, e poi su su fino alla
che nell’arca giaceva il corpo di S. Eufemia e, consi- cima del monte”. Ma in quei lunghi giorni di lavoro e
gliata di aggiogarla a un paio di vaccherelle, riuscì a

farla trasportare sul monte, dove fu collocata sotto una

tettoia a lato dell’antica chiesetta di S. Giorgio lì esi- Fig. 2
stente; durante il trasporto, inoltre, un uomo, le cui ROVIGNO, DUOMO
ossa erano state fracassate dal peso dell’arca, fu mira- sarcofago marmoreo di Santa Eufemia
(prima metà del III sec. d.C.)

67

68 di preghiera - si chiede il Benussi, polemico circa la Vindemio, titolare di Cissa, è lo stesso che, catturato in

tradizione dell’episcopato cissense - dov’era il vescovo seguito dall’esarca Smaragdo assieme al metropolita

di Cissa, dal momento che il testo parla solo di clerus Severo, a Giovanni di Parenzo e a Severo di Trieste, fu

et populus? (21) È questo il punto in cui si accende condotto a Ravenna perché abiurasse lo scisma dei Tre

l’animato e persino animoso dibattito tra lui e il capitoli ed entrasse in comunione col vescovo ortodos-

Babudri, che aveva già sostenuto a spada tratta l’esi- so di quella sede. Paolo Diacono, che ci fornisce tale

stenza dell’antico vescovato istriano (22), esclusa da notizia, non designa la sede di Vindemio ma lo pone

tale possibilità la Cissa sull’isola di Pago in Dalmazia, tra i vescovi istriani: Quem (Severum) Smaracdus

tra l’odierna Caska sul vallone di Pago e Novaglia patricius veniens de Ravenna in Gradus, per semet

nuova, che i più ritengono sprofondata intorno al 361 ipsum e basilica extrahens Ravennam cum iniuria

d. C. Sarebbe stata dunque la Cissa istriana sede di duxit cum aliis tribus ex Histria episcopis, id est

quell’episcopato, la cui vita pubblica si attesta nella Iohanne Parentino et Severo atque Vindemio (28).

storia ecclesiastica durante il sec. VI. Lo Zeiller, forse ignorando l’esistenza della Cissa

Fra i tanti problemi sollevati dall’elenco dei vescovi istriana, attribuì Vindemio alla sede di Siscia in

intervenuti al sinodo provinciale di Grado il 3 novem- Pannonia: egli infatti partiva dal presupposto che tanto

bre 579 a conferma della fede tricapitolina, uno riguar- Plinio (III, 151) quanto l’Anonimo Ravennate (V, 24),

da la distribuzione delle sedi episcopali sul suolo parlando di Cissa, si riferissero all’isola dalmata e sup-

istriano: tale documento ci fa conoscere infatti, oltre poneva che Vindemio, fuggito all’appressarsi dell’inva-

alle sedi già altrimenti note di Trieste, di Parenzo e di sione avara, avesse ricercato asilo sulle coste adriati-

Pola, anche quelle di Cissa e di Pedena, sull’istituzione che; l’affermazione di Paolo Diacono che lo annovera

delle quali discordano i pareri degli studiosi, divisi tra tra i vescovi dell’Istria sarebbe condizionata dal fatto

quanti ne sostenevano la fondazione intorno alla metà che l’episcopato istriano ebbe una parte principale nella

del sec. IV e altri che preferiscono invece posticiparla controversia dei Tre Capitoli (29). Ma già il De Rubeis

alla metà del sec. VI, in relazione alla necessità di dare nel sec. XVIII, come del resto gran parte degli studiosi

giurisdizione territoriale a vescovi privati delle loro contemporanei, fra cui il Lanzoni, il Paschini e il de

sedi in Pannonia o in regioni finitime a seguito di Franceschi, si sono espressi in senso contrario (30).

devastatrici invasioni barbariche (23). Il Benussi, fedele al suo assunto, riteneva che l’esisten-

Il sinodo gradese è dunque il primo a fornirci con sicu- za di un supposto episcopato di Cissa fosse fondata

rezza la testimonianza degli episcopati istriani, dal essenzialmente sull’errore di un amanuense, il quale, al

momento che di essi non si fa esplicita menzione negli vescovo Vindemio prima e a Ursino poi, avrebbe appo-

Atti del concilio di Aquileia del 381, dove tuttavia si sto il titolo di Cissensis invece di Cenetensis, cioè di

leggono dei nomi senza indicazione di sede (24), men- Ceneda, l’attuale Vittorio Veneto (31).

tre i dati archeologici ed epigrafici - specie dopo le Ma il Babudri confutò energicamente tali opinioni

indagini ultimamente avviate dal Mirabella Roberti e (32), confortato dall’autorevole giudizio del Paschini e

dal compianto Æonje - concorrono a confermare per fondandosi soprattutto su uno studio del Friedrich, il

quell’epoca l’esistenza di una comunità ecclesiale quale, da un’analisi e da un confronto di tutte le

ormai matura sicuramente a Parenzo, ma con ogni varianti nelle sottoscrizioni sinodali, adottava senz’al-

verosomiglianza anche a Trieste e a Pola (25). tro come definitiva la lezione Cessensis. Nella difesa

All’assemblea sinodale di Grado sono presenti, accan-

to agli altri suffraganei radunati dal metropolita Elia,

Vindemius Cessensis, Hadrianus Polensis, Severus

Tergestinus, Iohannes Parentinus, Martianus Petenatis

(26).Tralascio Patricius Emolnensis probabilmente

identificabile col vescovo dell’Emona saviana (27).

CODICE MEMBRANACEO
(XIV-XV sec.)

Translatio Corporis Beatae Euphemiae
(POLA, Biblioteca Scientifica - Nauåna Biblioteka)

(foto V. Giuricin)



70 di questa tesi contro il Benussi, il Babudri andò Girolamo nella lettera 68a a Castriciano (42). Ed è per

tant’oltre da appoggiarsi persino a etimologie forzate e la stessa ragione che mi sento di escludere anche la

a conclusioni quanto meno bisognose di verifica (33). Cissa dalmata, nonostante i tentativi ultimamente fatti

Il Benussi sosteneva che Cissa, posta nell’agro coloni- dal Æonje (43), in quanto si sarebbe trattato di una dio-

co di Pola e da essa dipendente, non avrebbe potuto cesi dipendente dalla metropoli ecclesiastica di Salona

maturare una sua autonomia ecclesiastica in quanto e perciò estranea alla giurisdizione provinciale della

priva di istituzioni municipali (34); ma il Babudri, pur Chiesa aquileiese.

di fissare una fisionomia giuridica del territorio di Dopo lo studio di Tomaso Caenazzo junior sull’ubica-

Cissa e la sua indipendenza amministrativa dal vicino zione di Cissa non c’è molto da aggiungere, perché,

municipio di Pola, cercò di provare che la massa fon- come lamentava ancora ultimamente il Æonje (44),

diaria compresa tra il Canale di Leme e Porto Vestre mancano attente indagini di archeologia subacquea per

fosse un census imperialis, cioè una possessione impe- accertare l’esistenza di residui di edifici sommersi dal

riale con tintoria di porpora, ripetendo il fenomeno mare, specie nella zona superficialmente esplorata da

della massa fondiaria di Sipar (35): del resto la Notitia un palombaro nel gennaio 1890 (45): ma forse non era

dignitatum (36) non attesta un procurator baphii lontano dal vero il Caenazzo quando pensava che in

Cissensis Venetiae et Histriae? E non era la spiaggia origine il promontorio di Montauro si prolungasse in

rovignese, fin verso Valle, coperta per vasti tratti di una vasta penisola che, protendendosi verso mezzo-

frantumi di gusci di murici donde si estraeva la porpo- giorno, poteva occupare un’area estesa ben oltre l’at-

ra (37)? Lo stesso vescovo istriano Ursino, presente al tuale scoglio di S. Giovanni in Pelago e che la parte

sinodo romano convocato nel 680 da papa Agatone per occidentale di questa penisola scomparsa corrispon-

la questione monotelita, si sarebbe segnato - secondo il desse al posto dove sprofondò Cissa (46).

testo greco degli Atti conciliari - fra i vescovi Per quanto riguarda le ipotesi sull’origine di quell’epi-

dell’’επαρχíα ’Ιστρíας, come ’επíσκοπος Κε′νσου scopato, sulla sua fine e sulla sua sospetta traslazione

parola quest’ultima che il Babudri interpreta per il per breve tempo a Rovigno, il de Franceschi ha avan-

genitivo della voce greca κε′νσος, cioè del census zato delle ipotesi molto caute nel tentativo di far luce

imperialis noto col nome di Cissa in quella confinazio- sulle vicende ecclesiastiche dell’Istria nell’alto

ne territoriale. Lasciamo al Babudri la responsabilità di Medioevo, vicende quanto mai fortunose e oscure per

tale lettura e del rapporto etimologico Census - Cissa la complessa situazione storica della penisola istriana,

(38) e preferiamo ritenere col de Franceschi che il tra- al punto che mettere ordine fra queste scarse testimo-

scrittore, ignorando l’esistenza del minuscolo episco- nianze è opera ancor oggi nè agevole nè definitiva

pato di Cissa, non abbia saputo sciogliere correttamen- (47). Così, egli riteneva di poter fissare intorno al 550

te l’abbreviazione paleografica di Κεσσε′νσου, men- l’istituzione dell’episcopato di Cissa, appoggiandosi a

tre la sede ignota anche al traduttore latino venne letta una notizia del Liber pontificalis ecclesiae Ravennatis

con disinvoltura come Cenetensis (39). secondo cui, su richiesta dell’arcivescovo Massimiano

Dopo quanto detto si può ben comprendere quanto sia di Ravenna (546-556), Giustiniano stabilì l’apparte-

ardua questione stabilire l’origine e la fine dell’episco- nenza in perpetuo a quella Chiesa della foresta di

pato di Cissa, ma è ormai assodato anche dagli studi Vistro in Istria, circa la quale era sorta contestazione

più recenti sul discusso Placito Liutprandino del 743 (48). Ignoriamo chi abbia avanzato pretese sulla fore-

che la diocesi di Ceneda fu costituita appena tra il VII sta stessa, ma il fatto che la località così denominata

e l’VIII secolo (40), mentre non esiste nella provincia disti pochi chilometri in linea d’aria dal posto in cui si

ecclesiastica aquileiese di allora alcuna località cui si ritiene potesse sorgere l’isola di Cissa induce il de

adatti l’aggettivo toponimico Cessensis all’infuori Franceschi a supporre che il vescovo di quel centro, da

della Cissa istriana menzionata per la prima volta da pochi anni insediato, abbia preteso di costituire un’a-

Plinio (41), dalla Notitia dignitatum e forse da S. deguata base economica alla sua diocesi, arrogandosi

anche diritti su beni abbandonati o scarsamente utiliz- zione vuole che i resti scheletrici ivi accolti appartenga- 71
zati. Ma dati ancora più vaghi lamentava il de no al corpo di una vergine e martire Eufemia non
Franceschi per determinare l’epoca della scomparsa meglio identificata. Escluso per varie ragioni che si
della sede vescovile: contrariamente a quanto pensava tratti della martire calcedonese, il Caenazzo inclinava a
il Babudri, egli era persuaso che l’inabissamento del- credere che il martirio fosse avvenuto a Cissa, dove la
l’isola non fosse stato improvviso, come proverebbero presenza di una sede episcopale da lui supposta ma non
l’incremento demografico e l’importanza amministra- dimostrata fin dai tempi apostolici renderebbe verosi-
tiva avuti da Rovigno dopo la scomparsa di Cissa, oltre mile tale ipotesi (51). Viceversa si è visto come Cissa,
al recupero dell’arca marmorea collegata al culto di S. sprofondatasi, a quanto sembra, nella seconda metà del
Eufemia. sec. VIII, fosse sede di un episcopato attestato appena
Incompiuto nelle sue parti ornamentali, il sarcofago di dal sec. VI, così che non è da scartarsi neppure l’ipotesi
marmo greco sarebbe giunto in Istria nel periodo aureo radicale di chi ha tolto l’Eufemia di Rovigno dai santi
del dominio bizantino e la sua destinazione non poteva istriani, anche per la tradizione del suo sarcofago trova-
essere che una chiesa di notevole importanza o per la to prodigiosamente sulla riva del mare (52). È vero che
sepoltura di qualche cospicuo personaggio o per custo- l’Istria non è estranea a queste tradizioni di corpi santi
dire un corpo santo. Il de Franceschi riteneva quanto miracolosamente approdati alle sue rive, come si narra
mai verosimile che l’arca fosse stata accolta nella chie- ad esempio per S. Mauro di Parenzo, già ritenuto
sa episcopale di Cissa e che, avvertiti da gravi segni monaco africano. Ma, se a sfatare la leggenda del pre-
premonitori dello sprofondamento dell’isola, gli abi- sunto monaco africano intervengono - come si è visto -
tanti avessero avuto il tempo di abbandonarla con incontrovertibili dati archeologici che provano l’esi-
quanto era asportabile, senza dimenticare l’arca porta- stenza di un Mauro vescovo e martire locale (53), per
ta in salvo su uno zatterone di fortuna a Rovigno: il Eufemia di Rovigno non siamo assolutamente in grado
trasporto del sarcofago che sarebbe apparso galleggia- di stabilire con certezza l’identità.
re, perché il peso del marmo doveva tenere in gran
parte sommersa la zattera, avrebbe dato più tardi spun- IL COMPLESSO CULTUALE DI S. ANDREA A
to alla leggenda del prodigioso trasferimento a BETICA: DAL CULTO DELLE RELIQUIE A UN
Rovigno da Costantinopoli (49). IMPIANTO BATTESIMALE. Già lo Schiavuzzi nel
Tale leggenda, priva di accenni e di documenti anteriori
alla compilazione del codice più su ricordato, sembra 1908 segnalava la località di Betica presso Barbariga,
appoggiarsi alla tradizione locale e adombrare - come nella parte nordoccidentale dell’agro colonico di Pola,
si diceva - la catastrofe di Cissa, che peraltro non vi è per la presenza di numerose rovine romane apparte-
nominata. Il compilatore della narrazione infatti omise nenti a una grande villa rustica, se non anche a un abi-
ogni indicazione sulla provenienza del sarcofago, limi- tato più esteso. Gli scavi praticati cinque anni prima
tandosi al racconto dell’arrivo al Mons Rubeus. dal capitano del genio militare H. Schwalb avevano
All’infuori del nostro codice, che fa precedere alla confermato l’importanza dell’insediamento anche in
translatio - come già ricordato - la narrazione del mar- età bizantina, mettendo in luce alcune tracce di una
tirio della santa calcedonese senza trarne peraltro un chiesa che lo Schiavuzzi allora diceva “sparita” (54).
diretto nesso, nessun serio indizio esiste per identificare Dopo alcune scoperte occasionali tra le due guerre
il corpo santo. Da una libera analisi del testo, il (55), tale località è tornata alla ribalta in seguito agli
Caenazzo junior si limitava a concludere che a scavi sistematici condotti fra il 1975 e il 1977 dagli
Rovigno è venerato un corpo santo di martire riposto in
arca marmorea (50), di fattura istriana o ravennate e
probabilmente arrivato o trasportato da Cissa nel sec.
VIII per il rituale della fondazione della città. La tradi-

72 studiosi croati intorno al complesso cultuale di S. costruirono e ornarono di un tappeto musivo la tricora

Andrea (fig. 3), sviluppatosi progressivamente da una o almeno l’absidiola meridionale con l’altare, in onore

tricora, come a Concordia (56). dei beati sancti (59). Dal tenore dell’iscrizione resta

confermata anche la funzione di quell’ambiente triab-

sidato che si caratterizza così come memoria o marty-

La tricora rium per reliquie apostoliche lì conservate, secondo

quanto sembra suggerire la dedicazione a S. Andrea

La parte più antica del complesso risulta infatti la tri- più tardi attestata. Del resto, se nel corso del sec. V, il

cora (larga m. 7,80) a Est con absidi semicircolari arti- tipo architettonico della tricora risulta eccezionale sul

colate all’esterno da lesene e aperta verso occidente territorio istriano, il culto delle reliquie conservate nel

con uno spazio trapezoidale segnato da due muri lon- sepulcretum dell’altare è archeologicamente documen-

gitudinali leggermente divaricati. Il pavimento era tato a Trieste, a Pola, a Samagher presso Pola, a Due

ricoperto da un tappeto musivo bianco - nero solo par- Castelli e a Nesazio (60).

zialmente conservato nello spazio centrale attorno al

sepulcretum dell’altare (57) e nelle due absidiole late-

rali. Lo schema dell’ornato musivo nella parte centrale La basilica rettangolare a tre navate

(fig. 4) è essenzialmente geometrico con croci curvili-

nee e cerchi, secondo un partito decorativo che trova A Occidente e attorno alla tricora sono stati scavati

analogie nell’ambiente aquileiese ed altoadriatico da importanti resti di una grande basilica a tre navate di

Aquileia ad Emona e oltre (58), mentre nelle absidi pianta rettangolare (m. 29 x 11,10), cui è stato aggiunto

laterali sono campiti motivi vegetali e simbolici, come un portico con atrio (m. 18,60 x 11,10) e cisterna; i

l’albero della vita e girali con pampini. I guasti, i mal- muri in calcare istriano rivelano una tessitura meno

destri restauri e le sostituzioni con lastre di pietra sono curata e regolare che nella tricora, anche se dello stesso

un indizio dell’uso prolungato del tappeto musivo spessore (cm. 50), e si presentano lisci ad eccezione del

almeno fino al romanico avanzato o all’incipiente goti- fianco nordorientale da cui aggettano quattro lesene.

co, dal momento che tali interventi nascondono tracce Sulla facciata si aprivano tre porte, le cui soglie sono

della tipica scultura preromanica a intrecci (fig. 5). ancora in situ. Alla facciata interna sono immorsati due

A sud del sepulcretum, davanti all’absidiola meridio- pilastri corrispondenti a quelli dell’apertura occidentale

nale, un riquadro rettangolare (cm. 65x100; lettere cm. della tricora, sulla cui linea sono state scoperte delle

7-10), che interrompe lo schema geometrico di croci basi di colonne (sette a Nord e solo tre in situ a Sud) a

curvilinee e cerchi, accoglie la seguente iscrizione sostegno delle arcate che dividevano l’aula in tre navi; i

votiva (fig. 6): frammenti di colonna presentano un diametro di cm.

23. Tra le basi sono venuti alla luce dei muri conservati

[In] honore beat(orum) | sanctorum | [Fe]licianus quasi fino al livello del pavimento musivo della navata
centrale (61). Agli angoli della testata orientale e sul
.et | [Ing]enua pecca | [tores ni]mis fec(e)r(u)nt. passaggio tra l’absidiola sud della tricora e il fianco

Rispetto alle altre tre iscrizioni che - come vedremo - meridionale dell’aula si sono trovate tre tombe violate e

si leggono sul tappeto musivo della navata centrale, già ricoperte da un tappeto musivo, come in Africa set-

questa è la più interessante per il contenuto, per la sua tentrionale, ad Aquileia e a Grado (62). Sulla parte

collocazione presso l’altare e per la cronologia, che i occidentale del fianco nord si aprivano due porte latera-

dati archeologici complessivi (analogie con la tricora li parzialmente murate, in corrispondenza delle quali

di Concordia e col musaico del battistero di Emona) furono aggiunte all’esterno una cappella funeraria qua-

consigliano di fissare all’inizio del sec. V: allora dun- drata e un’altra semicircolare, dove furono trovate in

que due persone agiate come Felicianus et Ingenua situ due basi di sarcofago in pietra.

Il pavimento musivo dell’aula zi con una serie di otto foglie lanceolate e con caulicoli 73
con le iscrizioni dei donatori angolari (fig. 10), pilastrini di recinzione, frammenti di
plutei, di transenne e di mense d’altare che conferma-
Del tappeto musivo policromo che ricopriva lo spazio no alla prima metà del sec. V la datazione del com-
attorno alla tricora e la navata centrale, risultano parti- plesso con la costruzione quasi contemporanea della
colarmente significativi i resti di quest’ultima compre- tricora e dell’aula rettangolare, di cui la navata centrale
si in due campate: quella occidentale, incorniciata da poteva essere forse sub divo (64); l’aggiunta del qua-
una bordura a losanghe allungate, presenta una serie di driportico sarebbe da riferire - secondo i primi editori
cerchi concentrici disposti in file regolari orizzontali o dello scavo - a un periodo compreso tra la metà del V
verticali (fig. 7); la campata orientale racchiusa da una e la metà del VI secolo. Non sarebbe azzardato sup-
cornice quasi a treccia stilizzata, ripete lo schema geo- porre che la rapida diffusione del cristianesimo e l’im-
metrico a croci curvilinee e cerchi già osservato nella ponente attività edilizia registrata nella prima metà del
tricora, anche se arricchito da profili a dentelli e da una secolo V entro l’ambito della provincia ecclesiastica di
più ampia scelta di motivi ornamentali e simbolici. Aquileia abbiano modificato la prima intenzione del
È di particolare interesse rilevare che tre delle croci committente limitata a una memoria per il culto marti-
curvilinee accolgono altrettante iscrizioni di donatori riale e abbiano condizionato la trasformazione funzio-
su righe rosse, che anche J. Æaæel ha ritenuto opportu- nale della tricora in basilica per una larga cerchia di
no riferire alla prima metà del sec. V per analogia di fedeli, cui non pare estranea la figura del presbitero
forme e di stile con i tappeti musivi del battistero di Dalmatius, donatore di 300 piedi di musaico.
Emona e delle basiliche di Aquileia (Monastero e Non vi mancano però materiali più tardi, come un
Post-teodoriana sud), di Celeia e di Savaria (63). frammento di fronte di sarcofago (cm. 24,5 x 27 x 9;
Procedendo dal centro della navata verso l’altare, si lettere cm. 3,6 x 5,9) riferito al VI-VII secolo con l’i-
leggono dunque le seguenti epigrafi votive, che ci tra- scrizione lacunosa (fig. 11):
mandano il nome di agiati donatori e le misure non
piccole di musaico da essi offerte: ---hic re]quiescit --- | [in pa]ce et amo[re ---] | [---]it
et Pauli[---] | [---]suor[um ---].
- Flo|rentius cum | suis fe(ci)t p(edes) CC (fig. 8).
- Aquili|nus et V[r]ania | cum suis fece|runt | p(edes) Numerosi anche i frammenti di scultura altomedievale
CCC (fig. 9). con le tipiche decorazioni a intreccio che - come si
- Dalma|tius presbiter | fecet p(edes) CCC (fig. 9). diceva - confermano una volta di più la durata del
luogo di culto e un rinnovamento dell’arredo liturgico
Osservata la diversità fra i musaici della navata e quelli intorno all’inizio del sec. IX: a quest’epoca si riferisce
della tricora, come pure fra le rispettive iscrizioni spe- anche un importante frammento di cornice (cm. 38,5 x
cie per il segno grafico, lo Æaæel, in base ai dati archeo- 14 x 8) con un’iscrizione che, per quanto lacunosa,
logici generali, proponeva di anticipare all’inizio del consente tuttavia di riconoscere in S. Andrea il titolare
sec. V, l’epigrafe di Felicianus et Ingenua campita del complesso cultuale almeno dall’alto Medioevo
nella tricora. (65):

Resti di scultura architettonica

Tra i resti di scultura architettonica emersi dallo scavo, [---]le divi s(anctus?) Andreas fam[ulus? ---] | [---]rib
si segnalano alcuni materiali, come due capitelli corin- et matrem[---].

74 Altri ambienti di uso liturgico addossato al fianco meridionale del battistero intorno

alla seconda metà del sec. VII (68).

In questo momento si sarebbero insediati i Benedettini,

Sul fianco sud, tra la basilica e il portico, si appoggia cui gli scopritori, pur in mancanza di appoggi docu-

un ambiente orientato (m. 8,10 x 3,76) con abside mentari, hanno ritenuto di dover attribuire i numerosi

(profonda m. 1,45) semicircolare all’interno e poligo- “spazi monastici” disposti attorno al portico. Nella

nale all’esterno, costruito in funzione battesimale, fase benedettina, protrattasi dall’inizio del sec. VII al

come attestano lo spazio della piscina demolita davanti XII circa, il complesso cultuale, per la prima volta col-

all’abside - donde provengono alcuni frammenti ster- legato al patrocinio di S. Andrea dalla citata epigrafe,

rati di intonaco idraulico - e la canaletta di scarico con- registra nuovi interventi, come la chiusura dei due pas-

servata in situ. Fra le lastre del pavimento con tracce di saggi tra le navate laterali e lo spazio intorno alla trico-

recinzione, non mancano materiali romani e paleocri- ra con la costruzione di due absidiole semicircolari.

stiani riutilizzati, come l’iscrizione in onore di T. All’inizio del sec. IX, in relazione alle nuove correnti

Settidius Firmus che, se è originaria del posto può qui della cultura carolingia, si dovette metter mano anche

documentare il possedimento rurale di quella cospicua a una completa ristrutturazione dell’arredo liturgico, di

famiglia segnalatasi a Pola nel corso del sec. II (66). cui sono testimonianza i numerosi rinvenimenti di

Nell’abside sono venuti in luce resti di pitture murali, scultura preromanica anche con la riutilizzazione di

in cui si riconoscono una transenna e due cerchi con materiali paleocristiani.

una croce a raggi.

Il termine ante quem per stabilire la cronologia del

battistero è offerto dal mausoleo quadrato (m. 4,71 x

4,30; muri spessi m. 0,60) aggiunto sul fianco meridio- CONCLUSIONI. Nella difficoltà di ambientare storica-

nale: dei due sarcofagi in calcare violati e danneggiati mente questo significativo impianto di culto e di stabi-

lì venuti in luce, uno a spioventi e ad acroteri angolari lirne il ruolo nell’ambito dell’organizzazione ecclesia-

presenta le tipiche caratteristiche di sarcofagi ravennati stica del sec. V, gli studiosi croati hanno cercato ogni

a ornamentazione simbolica della seconda metà del riferimento cui potersi appigliare, tanto che i primi

sec. VI; anzi la decorazione a lisca di pesce nella croce editori dello scavo proponevano di riconoscere nel

a estremità espanse su uno dei fianchi consente forse complesso di S. Andrea di Betica quella basilica in

anche un lieve abbassamento alla fine del VI o all’ini- onore di S. Andrea ricordata nei due carmi di Venanzio

zio del sec. VII. Un simile motivo ornamentale è scol- Fortunato di cui ci siamo già occupati (69); ma la cro-

pito anche sulla parte di pilastrino inserita probabil- nologia proposta per l’impianto paleocristiano di

mente come prodotto di scarto nel muro absidale del Betica è di ostacolo a tale identificazione, se - come

battistero (67). pare - la tricora e l’aula da essa sviluppatasi si datano

Ora, se è abbastanza agevole stabilire la successione intorno alla prima metà del sec. V, mentre i carmi di

tra le costruzioni del portico, del battistero e del mau- Venanzio Fortunato si collocano tra il 553 e il 565.

soleo, la loro cronologia assoluta resta incerta; tuttavia A parte altre considerazioni già avanzate, non è senza

forse non ci si allontana dal vero collocando il battiste- significato che in questa zona nordoccidentale dell’a-

ro tra il VI e il VII secolo per la forma irregolare del- gro colonico di Pola, pur senza la possibilità di ricono-

l’abside, per la mancanza di pavimento musivo e per il scervi un insediamento vicano-paganico, l’esplorazio-

prodotto di scarto utilizzato nel muro absidale. Con ne archeologica abbia messo in luce un impianto cul-

tale punto di riferimento, i primi editori dello scavo tuale cristiano del sec. V su precedenti strutture roma-

hanno pensato di poter datare il quadriportico - cui in ne e abbia recuperato i nomi forse più ragguardevoli di

parte il battistero si appoggia - a un periodo compreso una comunità cristiana col suo presbitero, aggregati

tra la metà del V e la metà del VI secolo e il mausoleo intorno a un sacro deposito di reliquie: ancora una

duare sul posto un centro dotato di autonomia munici- 75
pale o almeno vicanica e tutto sembra confermare l’e-
Fig. 3 sistenza di una comunità rurale non meglio identificata
BETICA PRESSO BARBARIGA intorno a una villa rustica romana che ha lasciato trac-
complesso cultuale di S. Andrea ce sul terreno e fors’anche il nome alla località Tre
ville (71). La fase monastica supposta tra il VII e il XII
(MARUÆIfi, 1986) secolo è suffragata solo dalle scoperte archeologiche
attorno al quadriportico ma è priva per ora di supporti
volta torna alla memoria il caso di Concordia, dove nelle fonti letterarie e senza riscontri nella bibliografia
l’acquisizione delle reliquie apostoliche da parte del benedettina (72).
futuro vescovo affrettò la costruzione della basilica e Sta di fatto però che l’impianto sviluppatosi dalla tri-
l’erezione della diocesi (70). A S. Andrea di Betica cora precede di quasi due secoli il supposto insedia-
però non pare assolutamente possibile supporre l’esi- mento monastico, perché al sec. V sembrano rinviare -
stenza di una sede episcopale, pur presentandosi come si è visto - la tipologia dell’architettura e dei
attrezzato anche in tal senso l’impianto di culto da musaici nonché i partiti decorativi della scultura archi-
poco scoperto: manca qualsiasi riscontro per indivi- tettonica originaria. E poiché è molto probabile che
anche lo stesso battistero appartenga alla fase prebene-
dettina del complesso, non è fuori luogo supporre un
pur cauto collegamento fra il presbitero Dalmatius,
attestato nelle iscrizioni musive della navata per la
metà del sec. V, e l’impianto battesimale, tenendo pre-
sente che siamo di fronte a uno dei rari esempi docu-
mentati di organizzazione ecclesiastica della campagna
per un’epoca così alta.
Se l’impianto cultuale di Orsera (sec. IV-V) era ritenu-
to ipoteticamente dal Mirabella Roberti residenza esti-
va del vescovo parentino (73) e se la basilichetta di
Samagher presso Pola è connessa con un deposito di
reliquie conservate nel celeberrimo cofanetto eburneo
datato al 440 (74), a S. Andrea di Betica il culto dei
beati sancti venerati nella tricora pare all’origine di
una comunità cristiana organizzata attorno a un presbi-
tero e, in prosieguo di tempo, a un fonte battesimale,
secondo una linea di tendenza già osservata a S.
Canzian d’Isonzo (75) e a S. Giovanni del Timavo
(76). Anche a Rozzo presso Piquentum (Pinguente)
un’iscrizione della metà del sec. VI attesta un presbite-
ro, Vrsus, impegnato nel restauro di una cellola (77),
ma vi manca purtroppo qualsiasi riscontro archeologi-
co; qui invece alla figura del presbitero si affianca l’e-
videnza dell’ambiente battesimale che, se non è nato
nella fase monastica o se non è da collegare alla fanto-
matica sede episcopale di Cissa secondo una recente
proposta di R. Bratoœ (78), può documentare piuttosto

76 il nucleo primitivo di una comunità cristiana rurale

destinata a consolidare in breve arco di tempo la pro-
pria maturità organizzativa con un centro monastico
non meglio identificato.
Purtroppo, per quanto riguarda il complesso di culto
scoperto a Betica, manca qualsiasi notizia fornita da
fonti scritte per documentare eventuali rapporti inter-
corsi in epoca tardoantica fra una presunta istituzione
ecclesiastica e il territorio, dove tuttavia le recenti sco-
perte archeologiche offrono indizi non ancora suffi-
cientemente noti: sembra ripetersi anche qui il caso già
rilevato a Orsera (79), a Nesazio (80), a Iesolo sulla
fascia lagunare veneta (81), a S. Giorgio di Nogaro

Fig. 4 Fig. 6
BETICA, complesso cultuale di S. Andrea BETICA, complesso cultuale di S. Andrea

tricora (prima metà del sec. V) tricora (prima metà del sec. V)
tappeto musivo l’iscrizione votiva di [Fe]licianus et [Ing]enua interrompe
lo schema geometrico di croci curvilinee e cerchi a sud del sepulcretum
bianco-nero solo parzialmente conservato
nello spazio centrale intorno al sepulcretum dell’altare davanti all’absidiola meridionale

e nelle due absidiole laterali

Fig. 5
BETICA, complesso cultuale di S. Andrea

tricora (prima metà del sec. V)
nonostante i guasti, i maldestri restauri e le sostituzioni

con lastre di pietra, il tappeto musivo è stato usato
almeno fino al romanico avanzato

sull’Annia (82), e in tante altre località rurali istriane e Castelli e Valle, ricorda espressamente, fra i supradic- 77
dalmate come sull’isola di Brazza di fronte a Spalato ta loca, Ruvinii parochiam et duo Castella et Vallis
(83), dove incontrovertibili tracce archeologiche di (88), ma per le due ultime località non precisa il grado
attrezzature liturgiche attestano la presenza di comu- delle loro chiese.
nità cristiane consolidatesi in epoca tardoantica ma Infine, se trascuriamo due discutibili documenti rispet-
non offrono la possibilità di precisare il grado di orga- tivamente del 1040 e del 1060 ma identici nella forma
nizzazione ecclesiastica raggiunto. e nel contenuto che ripetono più o meno la formula del
983 (89), appena la conferma di papa Alessandro III al
INCASTELLAMENTO TARDOANTICO E CHIESE vescovo Pietro di Parenzo (1178) specifica propriis
BATTESIMALI A DUE CASTELLI E A VALLE. Ad vocabulis le precedenti concessioni, tra cui ecclesiam
de duobus Castellis cum ecclesiis suis, ecclesiam de
analoghe conclusioni ci porta l’esplorazione di un altro Valle cum capellis suis, canonicam de Rubino cum
edificio di culto dell’entroterra rovignese: S. Sofia di capellis suis, il monasterium S. Petronillae in duobus
Due Castelli nel vallone di Leme, al centro di un vasto Castellis e il monasterium S. Michaelis de Valle (90).
territorio molto abitato in età preromana e romana. Ma, se le fonti documentarie sono avare di notizie
Tale chiesa, posta sulla piattaforma centrale e più alta sulla prima cristianizzazione del territorio, gli esiti
della città diroccata, fu abbandonata per decreto del delle recenti esplorazioni archeologiche non mancano
vescovo parentino Antonio Vaira il 7 giugno 1714, di incoraggianti suggerimenti.
quando il capitolo e il pievano lasciarono il castello La basilica di S. Sofia di Due Castelli ha sollecitato
ormai completamente spopolato e si trasferirono nella l’attenzione di cultori di antichità fin dalla metà del sec.
chiesa di S. Silvestro a Canfanaro (84). XVII, quando il vescovo di Cittanova G. F. Tommasini,
Che Due Castelli, come Rovigno e Valle cui è spesso in una descrizione dell’edificio ancora in buono stato di
associata dai documenti medievali, abbia afferito in conservazione, lo riteneva di antichissima origine (91).
origine alla sede episcopale di Pola, lo proverebbe Dopo le osservazioni di G. R. Carli (92), di F. M.
innanzi tutto la sua collocazione entro il confine del- Polesini (93) e di W. Gerber (94), è meritevole di atten-
l’agro municipale polese compreso tra l’Arsa e il zione l’ipotesi di A. Gnirs, che per primo intuì le suc-
Leme (limes); inoltre non è trascurabile il fatto che, cessive fasi del monumento ricostruito più volte sulle
secondo il testo della Translatio corporis beate rovine di un edificio paleocristiano (95).
Eufemie (sec. XIV-XV), il clero di Rovigno, al giunge- I risultati dei sondaggi e delle ricerche sistematiche
re del santo corpo della vergine Eufemia, abbia atteso, condotte intorno alle rovine di S. Sofia tra il 1962 e il
per aprire l’arca in cui esso era custodito, l’arrivo del 1964 da parte degli archeologi croati, resi noti già in
clero e del popolo di Pola (85). diverse occasioni, confermano tale ipotesi (96). Così è
Purtroppo, a differenza di Rovigno, i più antichi docu- ormai accertato che nei resti delle strutture pervenuteci
menti che ricordano la località di Due Castelli non ne è da riconoscere una basilica romanica a pianta rettan-
precisano il ruolo nell’ambito dell’organizzazione golare (m. 26x 12, 75 ca.) con absidi inscritte, sorta su
ecclesiastica del tempo: così il diploma del 983, con una precedente fase altomedievale già riscontrabile
cui Ottone II confermava la donazione di Rovigno, nella parete di fondo della navata mediana (cui risulta-
Due Castelli e Valle fatta nel 965 dal patriarca aqui- no giustapposti e non organicamente legati i muri delle
leiese Rodoaldo al vescovo di Parenzo Adamo (86), navate laterali del successivo edificio romanico) e pre-
menziona semplicemente, oltre a Rovigno, un locus cisatasi meglio durante lo scavo. Allora, a cm. 36 del
qui dicitur duo Castella et Valles (87). E anche la suc- lastricato romanico, fu messa in luce la testata orienta-
cessiva bolla di papa Sergio IV (1009-1012), che assi- le di una chiesa più antica (m. 11 x 6,50), che risulta
cura al vescovo parentino il possesso di Rovigno, Due del tipo ad aula unica con pianta rettangolare e con tre
absidiole inscritte nel muro di fondo, secondo un parti-

78 to architettonico assai diffuso nell’Istria dell’alto In conclusione, possiamo dire che a Due Castelli tre

Medioevo (fig. 12). edifici di culto si succedono sullo stesso sito nel corso

Inoltre a cm. 45 dal suo pavimento in lastre di pietra di circa otto secoli senza scostarsi da quel tipo di archi-

irregolari, nell’ambito dell’absidiola meridionale, è tettura sacra che il Maruæifl definisce istriano, costituito

venuto in luce un precedente strato di cocciopesto col- dalla pianta rettangolare e dall’abside inscritta nel muro

legato al muro di un edificio più antico andato distrutto di fondo che prende l’avvio da Grado per giungere,

quando si procedette alla costruzione dell’aula prero- nella sua fase più matura tra il VI e VII secolo, alla

manica (97). Poiché mancano tracce di distruzione chiesa di Gurano e di S. Fosca presso Peroi (100).

violenta, il Maruæifl ha ritenuto che, se sullo scorcio A parte i numerosi problemi ancora aperti sugli esiti di

del sec. VIII la più antica chiesa di S. Sofia doveva tali indagini, ci basti aver qui sottolineato un altro

essere ormai così fatiscente da richiederne l’abbatti- esempio tipico di “pieve di castello”, ossia di una chie-

mento, la sua erezione fosse da collocarsi in epoca tar- sa presto promossa alla dignità plebanale per l’apporto

doantica, quando Due Castelli, per la sua posizione di popolamento e di prestigio derivato dall’esistenza di

strategica, era diventato un importante insediamento una fortezza, a conferma dello stretto legame già notato

fortificato ai confini settentrionali dell’agro polese. tra pieve e organizzazione difensiva del territorio fra

Motivi simili devono aver condizionato la costruzione l’età tardoantica e quella altomedievale (101).

di edifici paleocristiani a Nesazio e a Valle e probabil-

mente anche negli altri castelli che sorgevano qua e là

in Istria (98), come nel vicino Friuli (99). Valle (Castrum Vallis)

Del resto, al di là dello strato di pavimento in coccio-

pesto, altri materiali, purtroppo dislocati rispetto al sito Lo stesso fenomeno si può riscontrare a Valle (Castrum
originario, sembrano confermare la fase paleocristiana Vallis), situata nell’entroterra di Rovigno e sorta, come
di S. Sofia: si tratta, fra gli altri, di una mensa d’altare del resto gran parte dei castelli istriani, nei secoli
con cornice seghettata (fig. 13) e di un capitello con le inquieti della tarda antichità sul territorio di un prece-
superfici fittamente coperte da fori di trapano (fig. 14). dente castelliere preistorico (102). Qui è infatti attestata

per il 1391 una ecclesia Sanctae Mariae come plebania

Fig. 7 Vallis (103), le cui prime tracce sembrano potersi collo-
BETICA, complesso cultuale di S. Andrea care in un periodo compreso tra la fine del V e l’inizio
del VI secolo (104): siamo dunque di fronte a una chie-
resti del tappeto musivo policromo sa con intitolazione mariana, menzionata come sede
nella navata centrale (prima metà del sec. V)

plebanale appena in documenti del tardo Medioevo ma

fornita di tracce archeologico-monumentali di alta anti-

chità.

Tale impianto va ricercato sulla parte orientale del

castello, dove è situata la piazza con la chiesa parroc-

chiale ricostruita nel 1882 al posto di una più piccola

antiquissimae originis (105), già radicalmente rimaneg-

giata nel 1588, in cui si potè riconoscere una preceden-

te fase gotica a pianta rettangolare ma con navate più

strette e più basse (106) (fig.15). Per ulteriori indagini

sull’origine di questo edificio cultuale sono stati di

grande utilità alcuni frammenti di scultura architettoni-

ca trovati (1878) nei muri della fase gotica come mate-

riale di recupero.

Così, nel corso delle esplorazioni ultimamente condot- sec. VI, durante la pressione avaro-slava sui territori 79
te dal compianto B. Maruæifl, sono stati segnalati dei istriani.
frammenti di plutei - quasi sicuramente provenienti Pare dunque di poter concludere che le chiese battesi-
dalla recinzione presbiteriale della chiesa primitiva - mali di Rovigno, di Valle e di Due Castelli trovano la
che la cornice a denti di sega, il motivo combinato loro giustificazione nell’incastellamento tardoantico e
della croce a estremità espanse col monogramma cri- altomedievale (109), come generalmente avviene
stologico entro un clipeo bipartito e la decorazione a anche in Friuli, dove, ad esempio, nel centro fortificato
tralci di vite con grappoli e pampini resi piuttosto gof- di Invillino (Ibligo), l’iscrizione del presbitero
famente inducono a datare intorno alla fine del sec. VI, Ianuarius e le recenti esplorazioni archeologiche ci
in base ad analogie con la coeva scultura bizantina mostrano una chiesa battesimale inserita in un castrum
attestata a Pola, a Gurano presso Dignano, a S. Eliseo longobardo (110). Osservava infatti il Mor (111) che,
presso Fasana, a S. Fosca presso Gimino e a S. Quirino creatosi un distretto militare e conseguentemente giuri-
presso Juræifli (107). sdizionale, su di esso si andava facilmente svolgendo
In base a tali monumenti dunque, il Maruæifl riteneva anche la giurisdizione territoriale ecclesiastica, spe-
di poter attribuire la prima fase costruttiva della vec- cialmente in intensi momenti di missione evangelizza-
chia chiesa di Valle a un periodo compreso tra la fine trice, col creare un centro battesimale il loco, dove ci
del V e quella del VI secolo e rilevava che, se dovesse
trovare conferma la cronologia più bassa, la semplice Fig. 9
pianta rettangolare dell’edificio senz’abside sarebbe da BETICA, complesso cultuale di S. Andrea
collegare con i più antichi esemplari di architettura epigrafi di Dalmatius presbiter e di Aquilinus et V[r]ania
sacra del gruppo istriano ad absidi inscritte scoperti a
Gurano e nel circondario di Peroi (108). sul tappeto musivo
In definitiva i materiali raccolti e analizzati consenti- della navata centrale (prima metà del sec. V)
rebbero di riferire la fase più antica della chiesa di
Valle e dello stesso castrum al più tardi alla fine del

Fig. 8
BETICA, complesso cultuale di S. Andrea
epigrafe di Florentius
sul tappeto musivo della navata centrale (prima metà del sec. V)

80 fose un presidio militare da attrarre alla religione cat- do la grande miseria e calamità da cui era oppressa la

tolica o appena attratto da essa. chiesa parentina”, venne in suo aiuto con la discussa

donazione del 965 (114). È il documento con cui

LA DONAZIONE DEL TERRITORIO ROVIGNESE Rodoaldo, ad istanza dei vescovi suffraganei di Pola, di
ALLA CHIESA DI PARENZO - L’anarchia dominante Trieste e di Cittanova, concesse in potestate et dominio
alla chiesa di Parenzo quamdam terram...Rubinensi
nel regno italico dopo la morte di Carlo Magno, l’im- nomine di pertinenza della chiesa aquileiese.
possibilità di mantenere la sicurezza sul mare da parte I termini usati dal patriarca non sono del tutto chiari,
dei Franchi privi di navi da guerra e la debolezza dei come già il Leicht aveva osservato (115), ma il diploma
Bizantini prepararono un periodo disastroso per le città è della massima importanza perché, stabilito che non si
litoranee dell’Istria divenute bersaglio delle piraterie tratta di concessione di signoria temporale su Rovigno
dei Serbi Narentani, dei Croati e dei Saraceni. bensì solo di giurisdizione ecclesiastica e di percezione
Nell’876 gli Slavi capeggiati da Domagoi saccheggia- di decime di competenza vescovile, come hanno dimo-
rono Umago, Cittanova, Sipar e Rovigno (112) e, dopo strato il Babudri e il Benussi in base alla storia succes-
il periodo di tranquillità garantito dall’occupazione siva di quella pieve e ai suoi posteriori rapporti col
bizantina della Dalmazia e dalla vittoria veneziana, i vescovo di Parenzo (116), occorre rilevare che è qui
Narentani ripresero le loro scorrerie intorno al 930 e attestata sicuramente per la prima volta l’estensione
nel 964 Rovigno fu pressochè distrutta “dai nefandi della chiesa parentina sul territorio rovignese a Sud del
slavi e crudeli barbari” (113). Leme, che in origine avrebbe dovuto far parte dell’epi-
Questo stato di cose dovette compromettere il com- scopato di Pola in quanto compreso sul suo agro colo-
mercio marittimo lungo la costa istriana da Rovigno a nico (117). Da allora in poi, infatti, alla giurisdizione
Salvore e produrre un impoverimento degli abitanti e diocesana di Parenzo restò ammessa la zona nordocci-
delle chiese specie nei territori di Rovigno e di dentale dell’agro polese tra Rovigno, Due Castelli e
Parenzo, se il metropolita di Aquileia Rodoaldo - cui Valle ricordati nei successivi diplomi di conferma da
le chiese dell’Istria erano subordinate come suffraga- parte dell’autorità secolare (118). Con tale provvedi-
nee dopo il concilio mantovano dell’827 -, “conoscen- mento dunque il metropolita di Aquileia non avrebbe

fatto altro che uno spostamento di confini diocesani

Fig. 10 all’interno della sua provincia ecclesiastica per soccor-
BETICA, complesso cultuale di S. Andrea rere con nuove rendite la stremata chiesa parentina.
Se poi la terra Rubinensi nomine fosse già stata prece-
capitello corinzio emerso dallo scavo dentemente sottratta al vescovo di Pola e annessa diret-
(prima metà del sec. V)

tamente alla chiesa aquileiese, è un altro problema di

non facile soluzione che il tenore del documento sembra

insinuare quando Rodoaldo afferma di voler concedere

alla chiesa di Parenzo quamdam terram, quae de nostro

episcopatu, nobis nostraeque ecclesiae pertinet,

Rubinensi nomine (119): la terra Rubinensi nomine-ci si

chiede-apparteneva al patriarca di Aquileia in quanto

compresa nella sua provincia ecclesiastica come tutte le

chiese istriane dopo l’827 o era già venuta in diretto

possesso del patriarca dopo il discusso sprofondamento

di Cissa e l’estinzione del suo fantomatico episcopato,

come riteneva il Babudri (120)?

Pur respinta assieme a tutti gli studiosi l’autenticità del Grado si facesse forte di tale riconoscimento per riven- 81

diploma dell’803 con cui Carlo Magno avrebbe donato dicare a sè il diretto dominio sul territorio rovignese,

al patriarca di Aquileia Paolino sei vescovati compreso ottenne da Ottone II la desiderata conferma non solo di

quello di Rovigno (121), il Babudri sosteneva l’esi- quanto aveva avuto precedentemente dai re italici ma

stenza dell’antico episcopato istriano di Cissa sul terri- anche quella della donazione delle decime di Rovigno

torio di Rovigno fra Due Castelli e Valle e il suo pas- da parte del patriarca aquileiese Rodoaldo; tra le altre

saggio al metropolita aquileiese qui subentrato per concessioni - afferma il diploma imperiale - et

diritto al vescovo della cessata diocesi, cui sembrano Rubinum quantum ad episcopatum sanctae Parentinae

alludere i successivi diplomi (122). Il Benussi invece ecclesiae donatum est a nostris antecessoribus videli-

negò con tutti gli argomenti possibili l’esistenza di un cet in loco qui dicitur duo Castella et Valles ... confir-

episcopus Cissensis seu Ruginensis, sforzandosi di mamus (126). La polemica col Babudri verte sull’in-

dimostrare come arbitrarie manomissioni quei passi terpretazione di questo passo che, secondo il Benussi,

dei diplomi che lo lasciano supporre (123). non si riferisce al precedente episcopato di Cissa, ma

Così, per il diploma di donazione di Rodoaldo, il intende limitare alla sola subordinazione canonica il

Benussi preferiva alla lezione dell’Ughelli quella del territorio rovignese con Due Castelli e Valle donato

Kandler che fa cadere l’ipotesi del Leicht sull’esisten- alla chiesa di Parenzo con diritto di percepire le deci-

za di un episcopato rubinese, il cui ultimo titolare me ecclesiastiche; perciò il diploma dichiara: “confer-

sarebbe stato lo stesso Rodoaldo prima di salire alla miamo anche Rovigno, per quel tanto che fu donato

cattedra aquileiese negli anni dell’invasione slava: la alla chiesa parentina” (127).

distruzione avrebbe fatto sì che “Rodoaldo non Ma quanto il vescovo di Parenzo temeva si

avesse successori nella sua sede primitiva verificò per opera del patriarca di

e l’aggregasse poi, ridotta a semplice Aquileia che, non ritenendosi

pieve, al vescovado di Parenzo” obbligato alla cessione fatta da

(Leicht) (124). Rodoaldo nel 965, invase

Allo stesso modo il Benussi Rovigno assieme a Due

cercò di sfatare l’erronea Castelli e Valle. Perciò il

interpretazione proposta vescovo parentino

dal Babudri al passo Andrea si rivolse

indiziato di un diploma prima a papa

di Ottone II (983) con Silvestro III e poi a

cui il vescovo di Sergio IV, il quale,

Parenzo volle vedere con apposita bolla

sanciti i suoi diritti (1010), gli assi-

dopo che lo stesso curò il possesso

imperatore aveva della “parrocchia

confermato al di Rovigno”

patriarca di Grado (Ruvinii paro-

Vitale la giurisdizio- chiam), di Due

ne metropolitica sulle Castelli e Valle,

chiese istriane ricono- comminando l’ana-

sciutagli da Ottone I tema contro quanti

nel 968 (125). In effetti avessero ardito viola-

il vescovo di Parenzo, Fig. 11 re tale privilegio (128).
temendo che il patriarca di BETICA, complesso cultuale di S.Andrea Anche questo diploma

frammento di fronte di sarcofago

(sec. VI-VII)

82 pontificio non ha mancato di suscitare discussioni per NOTE

un inciso che, qualora se ne dimostrasse l’autenticità,

sarebbe di appoggio all’ipotesi del Babudri circa l’esi-

stenza di un episcopato di Rovigno erede di quello di

Cissa; infatti all’inizio del documento si legge: Notum

nobis pluries fecisti quod Iohannes Aquileiensis

patriarcha olim invasisset Ruvinii parochiam, ubi

quondam episcopatus dicitur fuisse (“Ci hai informato

più volte che Giovanni patriarca di Aquileia ha già

invaso la parrocchia di Rovigno, dove si dice che un

tempo ci fosse un episcopato”). Ma già il De Rubis e,

dopo di lui, il Benussi hanno creduto di poter ricono- (1) ZACCARIA, 1979, pp. 189-190.
scere, nell’aggiunta ubi quondam episcopatus dicitur (2) JURKIfi- GIRARDI, 1981-82, p. 24.
fuisse, una vera e propria interpolazione forse suggerita (3) Su Punta Barbariga, una volta chiamata Punta Cissana, e sulle
al negligente interpolatore da una frettolosa lettura del rovine romane lì emerse, cfr. SCHIAVUZZI, 1908, p. 104; l’A.
però non si avvede che l’epigrafe del purpurarius Tito Cornelio

passo et Rubinum, quantum ad episcopatum del citato Crisomalo era stata dimostrata falsa dal Mommsen (CIL V, p. 4).
diploma del 983 (129). Tuttavia si fa osservare che, se (4) MARUÆIfi, 1973-75, pp. 337-350.
anche l’inciso fosse autentico, la dichiarazione di
Sergio IV non potrebbe venir considerata una prova (5) Anche per la precedente bibliografia, cfr. MARUÆIfi, 1978, pp.

560, 571. BRATOŒ, 1989, p. 2377.
(6) Ibid.

sicura dell’esistenza, in un tempo vicino o lontano, di (7) BENUSSI, 1888, pp. 28-32.
un episcopato di Cissa-Rovigno: il papa infatti non fa (8) Il Dandolo (Chron. 7, 9) riporta per l’anno 754; Hoc tempore
che confermare il fatto allora esistente, cioè la donazio- terremotus horribilis factus est ita ut urbes aliquae ex parte sub-
ne del 965 e i diritti della chiesa parentina sulla parroc- mersae sint. Altro terremoto le fonti segnalano per l’anno 801; cfr.
BENUSSI, 1988, pp. 35-36, n. 1.

chia di Rovigno, limitandosi a registrare che “si dice” (9) BENUSSI, 1988, pp. 31-32, ritiene di poter collocare la tintoria
essere stata questa, una volta, un vescovato (130). di porpora di Cissa (baphium Cissense) sulla fantomatica isola di
La ripresa del commercio e della navigazione grazie fronte a Rovigno inabissatasi nell’alto Medioevo. Ma, come si
vedrà, la questione è tuttora aperta e molto dibattuta.

alle vittorie di Venezia sui pirati che infestavano (10) BENUSSI, 1888, p. 32.
l’Adriatico contribuirono ad aumentare la ricchezza (11) PETRANOVIfi - MARGETIfi, 1983-84, pp. 60-61, r. 29.
delle città costiere e l’importanza delle loro chiese, BENUSSI, 1888, p. 36
tanto che nel 1177 la chiesa di Rovigno doveva essere (12) UBALDINI, 1985, pp. 65-73.
(13) “L’Istria”, IV, 1849, p. 146 ss. CDI, ad an. 740: il Kandler

già stata elevata all’onore di “collegiata”, se papa considera avvenuto a Cissa quanto la leggenda narra sulla rovina
Alessandro III, nella bolla rilasciata al vescovo Pietro del ripido scoglio ove stava l’arca santa; questa sarebbe giunta a
di Parenzo con la quale prende in sua tutela quel Cissa da Costantinopoli nel 524 e da Cissa sarebbe stata portata a
vescovato, ne enumera le chiese ad esso pertinenti Rovigno verso il 750 in conseguenza dello sprofondamento dell’i-
menzionando la canonicam de Rubino cum capellis sola. Per il 754 il DANDOLO (Chron. 7, 9) ricorda un fortissimo
suis (131), che in un documento del 1183 risulta per la terremoto: Hoc tempore terremotus horribilis factus est ita ut
prima volta dotata di un praepositum (132). urbes aliquae ex parte submersae sint.
Il possesso delle decime di Rovigno procurò anche in (14) CAENAZZO, 1885, p. 303: dopo aver sottoposto a minuziosa
seguito seri imbarazzi al vescovo di Parenzo già illu- critica le fonti a disposizione, l’A. concludeva, in opposizione al
strati dal Benussi (133): a noi basta aver esaminato Kandler, che l’arca della presunta martire calcedonese era appro-
questi primi, problematici documenti al riguardo per data direttamente dal Bosforo a Rovigno.
chiarire l’appartenenza ecclesiastica del territorio rovi- (15) BENUSSI, 1888, p. 37 ss.: l’A. inclina per l’opinione del
gnese alla sede parentina e per fare un po’ di luce sulla Kandler, senza però accettare le sue epoche; del resto - secondo lui
questione del presunto episcopato di Cissa-Rovigno. - la questione, sino a nuovi argomenti, restava pur sempre sub iudice.
(16) CAENAZZO, 1932, pp. 247-270.
(17) Ibid., pp. 264-270: l’A. ha qui ripubblicato il testo senza quel-
le correzioni e quegli interventi apportati dai precedenti editori.
(18) BENUSSI, 1922, p. 148, n. 42. CAENAZZO, p. 249, n. 1.

(19) BENUSSI, pp. 149-150. to all’abitato di Ruven già popolato “dagli indigeni istrioti della 83
(20) Ibid., p. 150. massa peninsulare”. Ma si veda DORIA, 1981, pp. 26-33.
(21) Ibid., pp. 151-152. Osservava il CAENAZZO, 1932, p. 269, (34) BENUSSI, 1922, p. 135 ss.
n. 3: “Se clerus deve interpretarsi quale un ordo completo, non c’è (35) BABUDRI, 1926, pp. 124-131; ID., 1924, p. 389 ss.
ragione di sospettare - come s’è fatto - un vescovo per il solo clero (36) Notitia dignitatum Occ., XI, 67, ed. O. SEECK, p. 151.
polense, mentre a parità di premesse si può sostenere la stessa cosa (37) BABUDRI, 1919, p. 39. DE FRANCESCHI, 1970, p. 82.
anche per quello del Mons Rubeus, cosicchè all’apertura dell’arca (38) DORIA, 1972, p. 24, però ritiene che il toponimo Cissa
sarebbero stati eventualmente presenti due vescovi a capo dei (Κíσση) della città istriana “sede del vescovado, sprofondata nel
rispettivi cleri”. 740-745, ora denominazione di promontorio a S. di Rovigno”
(22) BABUDRI, 1913, pp. 35 - 61: l’A. analizza anche una serie di dipenda “probabilmente dall’appellativo gr. κíσσηα ghiandaia, al
documenti altomedievali, da cui risulterebbe che, cessato il vesco- quale si rifanno altri toponimi in Grecia stessa e nel golfo tracico”.
vato di Cissa nel sec. VIII, il suo territorio passò in giurisdizione (39) DE FRANCESCHI, 1970, p. 79. Ultimamente MARGETIfi,
del patriarca aquileiese; così la voce episcopatus Rubinensis non 1983, pp. 126-130, ha riproposto l’ipotesi in favore di Ceneda; ma
sarebbe che l’espressione commemorativa del cessato episcopatus si veda la recensione critica di R. BRATOŒ in “Zgodovinski åaso-
Cissensis (atta a indicare quel territorio che formava la diocesi di pis” XLI, 1987, p. 362, che rivaluta la lezione Cessensis anche in
Cissa con Rovigno, Due Castelli e Valle) dopo il tragico sprofon- base alla sottoscrizione del vescovo Ursino alla sinodo romana di
damento di Cissa e lo sviluppo del vicino centro costiero anche per papa Agatone (680) riportata dal Mansi, dove già F. Kos leggeva
l’acquisto del corpo santo. Κεíσου invece di Κ′ενσου ritrovandovi una radice assai vicina a
(23) DE FRANCESCHI, 1970, p. 84. Cissa, che escluderebbe la voce greca di census o l’abbreviazione
(24) CUSCITO, 1982, p. 208, n. 80; ID., 1986, p. 31, n. 78. paleografica di Κεσσε′νσου secondo l’ipotesi avanzata dal de
(25) Anche per la precedente bibliografia si veda CUSCITO, 1977, Franceschi. A questa recensione del Bratoœ ha risposto il Margetifl
p. 326 ss. Ma secondo il TAVANO, 1985, p. 26, la diocesi di (“Zgodovinski åasopis”, XLIV, 1990, p. 119), facendo osservare,
Aquileia avrebbe compreso “fino all’inizio del quinto secolo o più tra l’altro, che l’ordine geografico nell’elenco dei partecipanti al
verosimilmente alla fine del secolo quarto” numerosi centri che concilio romano del 680 (dove Cissa è posta fra Pola e Trieste) non
pure erano municipi, come Trieste; TAVANO, 1990, p. 56: sarebbe sicuro. Si veda ultimamente BRATOŒ, 1994, pp. 16-17;
Tergeste non sarebbe stata sede episcopale almeno fino al sec. V 1994a, pp. 68-69.
inoltrato o anche al VI. (40) TRAMONTIN, 1983, p. 34 ss.
(26) Si vedano le sottoscrizioni degli Atti gradesi portati al concilio (41) PLIN., Nat. hist., III, 151: iuxta Histrorum agrum Cissa
di Mantova nell’827, cfr. MGH, Legum sectio III, Concil., II, p. 588. Pullaria.
(27) Propendono per l’Emona saviana: BRATOŒ, 1981-82, pp. 44, (42) HIERON., Ep. LXVIII, ed. LABOURT, III, Paris 1953, p. 188.
49 e CARILE - FEDALTO, 1978, p. 315. (43) ÆONJE, 1980-81, pp. 87-130. R. BRATOŒ (“Zgodovinski
(28) PAUL. DIAC., Historia Langobardorum, III, 26, in MGH, åasopis”, XLI, 1987, p. 362) rifiuta l’opinione del Æonje e del
Script. rer. Langob. et Italic., p. 105. Margetifl e, avvicinandosi al Suifl (cfr. nota seguente), inclina inve-
(29) ZEILLER, 1918, p. 403. ce a riconoscere l’ubicazione dell’antica Cissa in Istria, tra Betica e
(30) LANZONI, 1927, p. 850. DE FRANCESCHI, 1970, p. 80: Brioni.
l’A. rileva inoltre che, nella serie di vescovi di Siscia stabilita dal (44) ÆONJE, 1980-81, pp. 87, 107-108. Ultimamente si è occupato
Farlati, l’ultimo è Costantinus del 532. del problema il SUIfi, 1987, pp. 185-219, che ritiene di dover collo-
(31) BENUSSI, 1888, app. IX, pp. 315-317; ID., 1897, p. 547, n. care l’antica Cissa nell’isola di Brioni; l’ipotesi di riconoscere l’ubi-
89. CUSCITO, 1977, p. 328, n. 4. cazione di Cissa sulla costa istriana è condivisa, come si è visto,
(32) BABUDRI, 1919, pp. 35-57; ID., 1926, pp. 119- 172. anche dal Bratoœ, ancora incerto però su una sua precisa collocazio-
(33) Secondo il BABUDRI, 1926, pp. 132-134, quella di Census ne topografica. Si veda ultimamente BRATOŒ, 1992, p. 298.
(Cessa, Cissa) sarebbe stata una “denominazione collettiva che (45) Cfr. POGATSCHNIG, 1919, pp. 58 - 61 e, per alcune diver-
comprendeva l’isola principale e insieme l’intera massa dei beni”; genze sul testo del protocollo commissionale nautico redatto nel
la città capoluogo dell’isola e della massa terriera si sarebbe chia- 1890, CAENAZZO, 1922, pp. 193 - 195.
mata Rubinum, detta anche Ruginum dalle radici rub e rug (46) DE FRANCESCHI, 1970, p. 81. DORIA, 1981, p. 29 e n. 1.
(Rubeus, rugeus = rosso) con palese riferimento all’industria della (47) DE FRANCESCHI, 1970, p. 83.
porpora; da questo toponimo sarebbero derivati anche gli aggettivi (48) MGH, Script. rer. Langob. et Italic., p. 328.
rubinensis e ruginensis applicati alla città, alla Chiesa e al vesco- (49) DE FRANCESCHI, 1970, p. 87.
vato di Cissa - Rubinum. Erroneamente tali aggettivi sarebbero (50) CAENAZZO, 1932, pp. 257-258: l’A. rileva dalla tradizione
stati interpretati come attributi di Rovigno, toponimo che ebbe agiografica che Eufemia di Calcedonia, figlia del senatore romano
sopravvento assai più tardi, nella seconda metà del sec. VIII quan- Filofrone, ebbe l’onore postumo di una grande cassa d’argento pul-
do, per evitare il dominio franco, gli abitanti della massa cessense cherrime fabricata e riposta nella magnifica basilica eufemiana di
avrebbero preso la via del mare raccogliendosi sul promontorio di Calcedonia. Trasportata a Costantinopoli, quest’arca rimase nel
Mons Albanus chiamato celticamente Ruven. Così in seguito, al tempio presso l’Ippodromo, mentre le reliquie avrebbero subíto
momento della catastrofe, i Rubinenses di Cissa, profughi di varie vicende fino a essere divise fra quelli che le riportarono da
Rubinum per sfuggire all’estrema rovina, avrebbero dato incremen- Lemno a Costantinopoli. L’A. osserva però che l’arca rovignese è

84 tutt’altra cosa, poiché è un sarcofago di marmo (non d’argento)

anepigrafe e aniconico, da lui ritenuto “lavoro posteriore al 450,

cioè dell’epoca della decadenza dell’arte marmorea occidentale”;

ma si veda la diversa collocazione cronologica della UBALDINI,

1985, pp. 65-73. L’A. si sforza poi di dimostrare che il corpo vene-

rato a Rovigno non può essere riconosciuto come quello della mar-

tire calcedonese, sul cui ritrovamento si moltiplicarono le relazioni

fantastiche a base di sogni, di apparizioni e di portenti dopo il 752,

in piena furia iconoclastica, quando Costantino V Copronimo gettò

in mare le reliquie della santa (pp. 258-263).

(51) Ibid., p. 263: ma queste conclusioni su un’eventuale organiz-

zazione vescovile a Cissa “fin dai tempi apostolici” non è in linea

col rigore critico dell’A. e ormai non convince più nessuno.

(52) CUSCITO, 1978, pp. 194-195.

(53) Ibid., pp. 190-191.

(54) SCHIAVUZZI, 1908, pp. 101-104; il toponimo Betica non è

di origine romana, ma gentilizia, di famiglia che nel sec. XVI-

XVII troviamo a Dignano. BENUSSI, 1927-28, p. 251. GUIL-

LOU, 1986, pp.407 -421.

(55) FORLATI TAMARO, 1928, p. 408. RISMONDO, 1937, p. 224.

(56) MARUÆIfi, 1978, p. 572. MARUÆIfi - ÆAÆEL, 1986, pp. 307

- 342. CUSCITO, 1993, pp. 35 - 57.

(57) Il sepulcretum già violato misura m. 1,25 x 1,60 x 0,65; il

fondo è costituito da terra rossa e le superfici interne delle pareti

spesse cm. 25 erano ricoperte d’intonaco. Al punto di attacco fra le

absidiole nord ed est furono trovati numerosi frammenti di un’am-

polla di vetro di color verde oliva.

(58) FARIOLI, 1975, p. 162.

(59) MARUÆIfi - ÆAÆEL,1986, p. 331.

(60) Ibid., p. 334, n. 10.

(61) Tali muri devono essere stati costruiti assieme alla basilica o

dopo, ma non prima di essa, considerato che i pilastri della facciata

interna risultano organici all’intera larghezza della stessa e non

consentono di supporre una fase più antica a navata unica con absi-

de triconca; cfr. MARUÆIfi - ÆAÆEL, 1986, p. 317. Muri tra le

0 5m N basi delle colonne si registrano nel sec. V anche nella fase primiti-
va di S. Maria di Grado e nella basilica concordiese nata dalla tri-

cora; cfr. BERTACCHI, 1988, pp. 296-297.

(62) BERTACCHI, 1980, p. 280.

CHIESA PALEOCRISTIANA (63) MARUÆIfi - ÆAÆEL, 1986, p. 324. PLESNIÅAR - GEC, 1983.
CHIESA PREROMANICA (64) MARUÆIfi - ÆAÆEL, 1986, pp. 322-323 e tavv. 1 -5.
BATTISTERO (65) Ibid., p. 323, n. 24 e tav. 2, 4.
CAMPANILE (66) Ibid., pp. 331-332.
BASILICA ROMANICA (67) Ibid., p. 326 e tav. 4, 2.
SACRESTIA GOTICA (68) Ibid., p. 328.
(69) CUSCITO, 1978a, pp. 209-225.

(70) Anche per la precedente bibliografia cfr. CUSCITO, 1984, pp.

69-88. TAVANO, 1989, pp. 43-51.

(71) MARUÆIfi - ÆAÆEL, 1986, p. 307.

(72) Il fatto che l’antico toponimo della zona di Betica sia scono-

sciuto rende impossibile per ora il riconoscimento del supposto

Fig. 12 complesso monastico nelle fonti storiche; cfr. OSTOJIfi, 1963.
DUE CASTELLI (73) MIRABELLA ROBERTI, 1979-80, pp. 33-61.
chiesa di Santa Sofia (74) GNIRS, 1908, pp. 5-48. GUARDUCCI, 1978, pp. 5 - 141.
rilievo delle fasi architettoniche (75) TAVANO, 1963, pp. 3-7.
(MARUÆIfi, 1972) (76) TAVANO, 1977, pp. 89-106.

(77) Inscriptiones Italiae, X, 3, n. 168. 85
(78) BRATOŒ, 1992, pp. 297-300.
(79) MIRABELLA ROBERTI, 1979-80. Fig. 13
(80) MIRABELLA ROBERTI, 1972, pp. 206-207. DUE CASTELLI
(81) CUSCITO, 1983, coll. 217-268. S. Sofia, mensa d’altare con cornice seghettata (sec. VI ?)
(82) CUSCITO, 1992, pp. 15-23.
(83) Ranokræflanski spomenici otoka Braåa, (Early Christian Fig. 14
Monuments on the Island of Braå), Split 1994, passim. DUE CASTELLI
(84) POLESINI, 1849, p. 123. TAMARO, 1893, pp. 511-512. S. Sofia, capitello con superfici fittamente coperte
SCHIAVUZZI, 1919, pp. 81-118. da fori di trapano (sec. VI ?)
(85) BENUSSI, 1897, p. 213, n. 28.
(86) BABUDRI, 1909, p. 41: “L’Ughelli e il Coletti narrano che
nel 965 [Adamo] fu investito dal patriarca Rodoaldo delle pievi di
Rovigno, Docastelli e Valle”. Ma di tali documenti-aggiunge l’A.-
il Vergottini dubita.
(87) BENUSSI, 1888, p. 42, n. 4; l’A. segue il testo pubblicato da
P. KANDLER, CDI, ad an. 983, anzichè quello lievemente diverso
trascritto dal TOMMASINI, p. 389.
(88) UGHELLI, 1720, p.——. BENUSSI, 1888, p. 43, n. 16.
(89) KANDLER, CDI, ad an. 1040 e 1060. BENUSSI, 1888, p. 43, n. 17.
(90) TOMMASINI, p. 392. Il BENUSSI, 1888, p. 44, n. 18, notava
che in questa bolla il pontefice distingue nettamente l’autorità
ecclesiastica dalla signoria territoriale: così, mentre di Orsera,
feudo del vescovo parentino egli conferma ecclesiam et castrum de
Ursaria, di Rovigno la conferma si limita alla canonicam de
Rubino cum capellis suis. A me pare anche degno di nota il fatto
che per Due Castelli la conferma riguardi la ecclesiam de duobus
Castellis cum ecclesiis suis anzichè cum capellis suis, come invece
si esprime il documento per altre località.
(91) TOMMASINI, p. 432.
(92) ZILIOTTO, 1911, p. 335.
(93) POLESINI, 1849, p. 123.
(94) GERBER, 1912, pp. 76, 78-79.
(95) GNIRS, 1914, pp. 86-89.
(96) MARUÆIfi, 1972, pp. 277-286; ID., 1975-76, pp. 11 - 138.
(97) Ibid., pp. 18, 59: il muro con la sua risega è parallelo a quello
che separa l’absidiola mediana dalla meridionale dell’aula prero-
manica ed è lievemente inclinato a Nord, così da suggerire la pre-
senza di un’abside.
(98) Ibid., pp. 59-60.
(99) MENIS, 1982, col. 47.
(100) MARUÆIfi, 1975-76, pp. 80-81.
(101) Si tratta di osservazioni già avanzate per il territorio friulano,
molto affine al nostro, dal MENIS, 1968, p. 101; ID., 1987, p. 45.
(102) MARUÆIfi, 1982-83, p. 20, n. 4.
(103) Ibid., p. 30.
(104) TAMARO, 1893, pp. 424-438, 472, 475-476. SCHIAVUZ-
ZI, 1908, pp. 94, 98. MARUÆIfi, 1982- 83, pp. 19-20.
(105) GNIRS, 1915, p. 161; l’espressione è tolta dalla cronaca
della parrocchia.
(106) Anche per la precedente bibliografia cfr. MARUÆIfi, 1982-
83, pp. 25-26.
(107) MARUÆIfi, 1977-78, p. 108.
(108) MARUÆIfi, 1977-79, pp. 95-108; ID., 1982-83, p. 30.
(109) MARUÆIfi, 1978, p. 571: “les églises de places fortes sont
situées au milieu des localités fortifiées de l’antiquité avancé, con-

86 (118) BABUDRI, 1919, pp. 50, 54-55; il fatto che in tutte le que-

stioni relative al possesso di Rovigno e delle sue decime attraverso

i secoli X, XI, XII e XIII i diplomi uniscono sempre con costante

esattezza Rovigno, Due Castelli e Valle come un tutto a sè, mai

scisso nè scindibile, sarebbe una prova che tale territorio costituiva

“il raggio giurisdizionale preciso dell’ex-vescovato di Cissa”. Ma

cfr. BENUSSI, 1922, pp. 159 -160.

(119) Si ripropone la lezione del De Rubeis e del Kandler preferi-

bili a quella dell’Ughelli.

(120) BABUDRI, 1919, pp. 51-52.

(121) DE RUBEIS, 1740, col. 390 ss. MGH, Dipl. Karol., I, n.

270. BENUSSI, 1922, p. 154.

(122) BABUDRI, 1919, pp. 52-54.

(123) BENUSSI, 1922, p. 156 ss.

(124) La lezione dell’Ughelli accolta dal LEICHT, 1911, p. 4, reci-

ta infatti: quaedam nostraque de nostro episcopatu nobis nostrae-

que ecclesiae primae, Rubinensi nomine ... praefatam nostram

concedimus. L’ipotesi del Leicht si appoggia alle parole nostrae-

que ecclesiae primae che andrebbero sostituite con nostraeque

ecclesiae pertinet secondo la lezione del De Rubeis e del Kandler:

insomma la chiave di tutto sta in quel primae scambiato per perti-

net dall’amanuense che lesse il documento usato dall’Ughelli.

Anche la data del diploma fissata dall’Ughelli al 961 è da respin-

gere e di conseguenza quella della distruzione slava al 960 propo-

Fig. 15 sta dal Leicht. Inoltre il BENUSSI, 1922, pp. 159-160 rileva che
VALLE nessuna dipendenza gerarchica esisteva da parte delle chiese di
ecclesia Sanctae Mariae Due Castelli e di Valle verso la chiesa di Rovigno, se tutte e tre le
rilievo della fase posteriore al 1588 troviamo immediatamente e direttamente subordinate al vescovato
(MARUÆIfi, 1982-83) di Parenzo nello stesso ordine di dignità ecclesiastica sui diplomi
che le riguardano.

(125) KANDLER, CDI, ad an. 974. MGH, Dipl. German., II, p.

struites “ex novo”. Il en était ainsi à Duograd, Bale et Rovinj...”. 86, n. 71. MGH, Dipl. ottoniana, n. 301, p. 357. BENUSSI, 1888,

(110) MOR, 1963-64, p. 367. FINGERLIN - GARBSCH - WER- p. 42; ID., 1922, p. 162.

NER, 1968, coll. 57-136. BIERBRAUER, 1987-88, passim. (126) KANDLER, CDI, ad an. 983.

(111) MOR, 1969, p. 180: l’A. osservava come nell’alto Medioevo (127) BENUSSI, 1922, pp. 162-163.

il comando militare comportasse anche l’esercizio dei poteri civili. (128) UGHELLI, 1720, p. 402. DE RUBEIS, 1740, col. 488. PL

(112) DAND., Chron., VIII, 24: Quia Sclavi cum navibus venien- 139, col. 1499: Hoc ergo cognoscens, supradicta loca, id est

tes Umagum, Ciparum, Aemoniam et Rubinum urbes Istriae depo- Ruvinii parochiam et duo Castella et Vallis, privilegii pagina tibi,

pulaverunt... sicut Sylvester praedecessor noster confirmavit, confirmo.

(113) BENUSSI, 1922, p. 156, n. 59: l’A. ritiene di poter fissare al (129) DE RUBEIS, 1740, coll. 488-489: Itaque certo novimus epi-

964 la distruzione di Rovigno in relazione al documento del scopalem hoc aevo sedem non fuisse Ruvinii, sed parochiam, quae

patriarca aquileiese Rodoaldo, che il 22 gennaio 965 donava-come de cathedra seu episcopatu Aquileiensis ecclesiae consensu

vedremo-quamdam terram ... Rubinensi nomine, quod etiam ... Rodoaldi patriarchae detracta, Parentinae cathedrae subiecta fue-

nuper a nefandis Sclavis ac duris barbaris destructum ... rat. BENUSSI, 1922, pp. 166-168. Viceversa il BABUDRI, 1919,

(114) UGHELLI, 1720, p. 401. DE RUBEIS, 1740, col. 467. pp. 55-56, si sforza di dimostrare l’autenticità del passo, afferman-

KANDLER, CDI, ad an. 966. Il BENUSSI, 1922, pp. 156 - 158, do che l’inciso aggiunto alla designazione Ruvinii parochiam non

rilevò che la lezione dell’Ughelli differisce in punti decisivi da sarebbe che la parafrasi logica della voce parochia usata in tutto il

quella del De Rubeis e da quella del Kandler, l’unica che corri- Medioevo col significato di episcopato, mentre le parrocchie odier-

sponde all’esemplare più corretto e autentico contenuto nei Libri ne erano chiamate plebes.

iurium episcopalium Ecclesiae Parentinae dell’archivio vescovile (130) BENUSSI, 1922, p. 168.

di Parenzo: l’unico errore sta nella data da riferire invece al 22 (131) TOMMASINI, p. 392. UGHELLI, 1720, p. 404. BENUSSI,

gennaio 965. 1888, p. 43; ID., 1922, p. 169. IAFFÈ, n. 12796. Per una preceden-

(115) LEICHT, 1911, p. 4. te, incerta conferma al vescovo parentino da parte di Enrico IV,

(116) BABUDRI, 1919, p. 54, n. 1. BENUSSI, 1888, p. 44, n. 18; cfr. BENUSSI, 1888, p. 43.

ID., 1897, pp. 226-227, n. 111; ID., 1922, p. 158. (132) KANDLER, CDI, ad an. 1183.

(117) BENUSSI, 1897, p. 213. Ma cfr. BABUDRI, 1919, pp. 51-52. (133) BENUSSI, 1888, pp. 44-48.

87

CAMPAGNA ROVIGNESE
(foto V. Giuricin)



Stefano Zucchi

ROVIGNO NELL’ETÀ DI MEZZO

L’Altomedioevo principali città dell’Istria (4). Un dato, questo, che 89

Estremamente oscura e problematica ci appare ancora attesta non solo la semplice esistenza del castellum
oggi la storia di Rovigno nei primi secoli dell’Alto Ruuingio (5) in epoca bizantina, ma anche la presenza
Medioevo; i pochi ed incerti dati materiali e le scarsis- di un centro, oramai, evidentemente consolidato e
sime fonti letterarie del tempo giunte fino a noi, non organizzato quale corpo autopolitico di non poco
sono di certo sufficienti a strappare e a riscattare dal- conto, tanto più che nel documento esso appare in una
l’oblio le vicende di questo antico centro istriano. posizione immediatamente successiva rispetto agli altri
Tuttavia sulla base di quanto finora emerso dai prece- grandi centri della provincia istriana. Tutto ciò ci per-
denti capitoli, è ragionevole supporre che il più antico metterebbe di intravedere, tra il VI e l’VIII secolo, l’e-
nucleo abitativo medievale sorto sull’originaria “isola” sistenza di un organismo municipale anche a Rovigno
di Rovigno (1), si sia andato sempre più sviluppando e avente una propria amministrazione e una propria
articolando forse in seguito alle invasioni barbariche magistratura eletta dall’adunanza del popolo.
del V e del VI secolo, in conseguenza cioè della fuga Del resto, sebbene il documento in questione non for-
delle impaurite popolazioni del contado verso la più nisca ulteriori indicazioni sul nostro centro e pur in
sicura costa. Resterebbe ad ogni modo da verificare con mancanza di appoggi di natura archeologica, è possibi-
più puntuali indagini l’impatto di tali invasioni sull’as- le delineare, sulla scorta dei dati offerti dall’indagine
setto sociale della penisola istriana. Purtroppo ci sono storico-istituzionale dell’Istria, magistralmente traccia-
sconosciuti i termini di questa prima realtà insediativa, ta dal Diehl, dal Mayer, dal de Vergottini e da altri (6),
così come lo sono quelli relativi agli ulteriori sviluppi a una ricostruzione abbastanza verosimile di quelle che
cui il centro sarebbe andato incontro, verso la metà probabilmente furono le condizioni politiche, sociali e
dell’VIII secolo, se è attendibile la notizia dell’inabissa- civili di Rovigno, le quali dovevano essere affini ad
mento della prossima isola di Cissa e il trasferimento altre e meglio conosciute realtà insediative dell’Istria
della sua popolazione a Rovigno. Ma al di là della vexa- marittima.
ta quaestio relativa anche all’ubicazione di Cissa e all’e- Nonostante la scarsità della documentazione per quel
sistenza problematica e discussa del suo vescovato - che periodo e la presenza di ancora numerose zone d’om-
rimangono tutt’oggi dei nodi storiografici ancora insolu- bra, tali contributi hanno permesso infatti di chiarire
ti -, nulla ci è dato di sapere attorno al più antico nucleo sufficientemente i processi storici, giuridici ed istitu-
abitativo rovignese, attestato, quale realtà insediativa di zionali susseguitisi in queste terre, poste da sempre ai
non poco conto, appena agli inizi del IX secolo. Il primo confini etnici e fisici dell’Italia, senza i quali non
ed importante dato informatore sulle vicende storiche, potremmo accedere nella più intima struttura della
politiche ed istituzionali di Rovigno è riferibile all’804 complessa e variegata società istriana medievale (7).
(2), quando nel celebre Placito del Risano, ravvisato dal Da tutto ciò emerge che, nonostante il mutarsi attraver-
de Vergottini come “uno dei più insigni documenti per so i secoli delle istituzioni municipali romane nelle
la storia medievale dell’Istria e dell’Italia intera” (3), città e nelle castella dell’Istria, la dominazione bizanti-
appare il toponimo Ruuingio. na, qui subentrata fin dal 539, aveva comunque garan-
Al di là delle numerose istanze e lamentele sollevate tito a questa provincia ampie libertà municipali e il
dagli Istriani contro le prepotenze e gli abusi personali rispetto delle antiche consuetudines di vita, già traccia-
del duca franco Giovanni, siamo informati dal docu- te molti secoli prima dallo stato romano. È lecito quin-
mento che la provincia istriana, negli ultimi anni della di intravedere, sulla scia del Benussi, che anche il
precedente dominazione bizantina, pagava alla Camera castellum di Rovigno - all’epoca appartenente all’agro
imperiale 344 solidi mancosi, di cui Rovigno versava giurisdizionale del municipio di Pola -, abbia avuto, al
40, cioè - come rilevava già il Benussi - due terzi circa pari delle altre città e castella istriane, una propria
di quanto pagavano Trieste, Pola , Parenzo, ossia le amministrazione con magistrature elette dall’adunanza
popolare: cioè i Tribuni ed i Giudici (Judices). Perciò

CODICE MEMBRANACEO DEL XIV-XV sec.
raffigurazione immaginaria di Rovigno in uno dei fogli allegati
alla Translatio Corporis Beatae Euphemiae
(POLA, Biblioteca Scientifica - Nauåna Biblioteka)
(foto V. Giuricin)

90 non stupisce che al Placito del Risano dell’804

Rovigno sia rappresentata quale corpo autopolitico da
un certo numero di membri del civico Consiglio (pri-
mates) e di grandi possidenti (homines capitanei) (8).
A questo proposito, sulla base dei 40 solidi mancosi
pagati da Rovigno al fisco bizantino, il Kandler (9)
supponeva che gli homines capitanei di questo castel-
lum intervenuti al Risano dovessero essere in numero
di venti.
Tuttavia con l’avvento del dominio carolingio in Istria
(788 circa), qui appunto rappresentato dal duca
Giovanni, le libertà costituzionali e i diritti consuetudi-
nari di questi provinciali stavano per essere gravemen-
te compromessi e limitati dal ben più restrittivo diritto
germanico, sul quale il nuovo dominio ampiamente si
fondava. Fu infatti abolito l’ufficio del magister mili-
tum, quello dei tribuni, dei vicari e della curia e venne
tolta qualsiasi partecipazione da parte del popolo alle
cariche pubbliche (10). Il potere in definitiva veniva a
cadere nelle mani del duca franco (11) e l’Istria fu
divisa in distretti con a capo i centarchi (12) da lui
nominati e la stessa aristocrazia locale si vide privata
delle dignità delle cariche civili e militari, così come
gli uomini liberi dei godimenti dei beni demaniali.
In questo nuovo panorama politico-istituzionale, è pre-
sumibile ritenere col Benussi (13) che anche Rovigno
sia caduta sotto le dipendenze dei centarchi, mentre al
castellum restava una seppur debole autonomia. Prova
ne sarebbe, infatti, la presenza di cives rovignesi al
Risano, i quali, al pari di tante altre città e castella
istriane, si muovevano, nonostante tutto, ancora nel-
l’ambito delle libertà municipali garantite per secoli
dalle amministrazioni romano-bizantina.
Non crediamo questa la sede adatta per analizzare più
da vicino gli esiti di quel Placito; ma giova ricordare
che la vecchia costituzione municipale, seppure per
qualche tempo probabilmente ripristinata (14), andava
comunque conformandosi ai rigidi archetipi della

SCALINATA E PORTA MEDIEVALE DI SAN BENEDETTO
(foto V. Giuricin, 1993)

Dal particolarismo feudale 91
alla fidelitas con Venezia

TRATTO DELLE MURA MEDIEVALI CITTADINE Settantadue anni dopo il Placito del Risano, e più pre-
erette sulla roccia cisamente nell’876, Rovigno ritorna ad essere menzio-
nata dalle fonti; infatti nella Cronaca veneziana del
nella zona di Dietrocastello (sec. XII) diacono Giovanni (21) veniva riportata la notizia che
(foto V. Giuricin, 1993) eo tempore domnus Ursus dux Iohannem filium suum
in dignitate sibi consortem fecit. Tunc Sclavorum pes-
società feudale. Quanto a Rovigno, anche se i docu- sime gentes et Dalmacianorum ystriensem provinciam
menti in nostro possesso non ci permettono di adden- depredare ceperunt; quattuor videlicet urbes ibidem
trarci nella storia specifica di questi secoli, è ragione- devastaverunt, id est Umacus, Civitas nova, Sipiares
vole pensare che, sotto il profilo costituzionale, il atque Ruinius (22) ... Questo passo getta, seppur di
castellum andasse assumendo forme più consone allo sfuggita, un po’ di luce sulle vicende poco felici
spirito del dilagante particolarismo della feudalità dell’Istria marittima, funestata dalle terribili incursioni
franco-germanica. della pirateria slava. In realtà, già a partire dai primi
Va rilevato al riguardo che l’Istria, sebbene nei primi decenni del IX secolo, stando a quanto ci informa la
decenni del governo franco formasse un’unità ammini- stessa cronachistica veneziana, le sorti di molti centri
strativa autonoma appartenente al regnum Italicum costieri dell’Alto Adriatico ebbero a subire sistematici
(un’unità , questa, che non fu spezzata neppure con e catastrofici saccheggi anche da parte della pirateria
l’unione dell’Istria prima al ducato di Baviera e poi a saracena, le cui conseguenze furono particolarmente
quello di Carinzia (15)) già a partire dai primi del sec. gravide di significato, soprattutto per i periodi imme-
IX venne inglobata alla grande Marca del Friuli, eretta diatamente successivi. Ben prima, quindi, dell’876 e
a baluardo contro gli Slavi (16). Al cadere di questo della distruzione cioè di Umago, Cittanova, Sipar e
pericolo, la penisola venne a far parte nell’830 della Rovigno ad opera di Domagoj duce degli Slavi (23), i
più limitata contea che comprendeva il Friuli e sotto- Saraceni avevano operato nell’819 saccheggi sulla
posta alla debole autorità dei marchesi friulani (17). costa istriana, per ritornare in zona nell’842 sotto la
Sarà utile sottolineare che i marchesi, prima, e i conti, guida di Saba (24), il quale, com’è noto, nella seconda
poi, si avvalsero di propri funzionari preposti al gover- festa di Pasqua prese e incendiò l’antica Ossero, situa-
no delle singole città e castella istriane: cioè i gastaldi ta nella vicina isola quarnerina di Cherso. Non sappia-
e i vicecomites (18) coadiuvati a loro volta dal nuovo mo se poi il saccheggio dell’846 (25) messo in atto da
istituto degli scabini (19), i quali già a partire dall’XI una squadra di Croati contro Caorle abbia potuto inte-
secolo ripresero il loro antico nome di iudices (20). ressare da vicino anche l’Istria marittima; tuttavia è
probabile che le ulteriori predazioni dell’865 e
dell’887 (26) fatte qui dai Narentani abbiano colpito
anche Rovigno o il suo territorio, se le cronache ci
informarono che la costa istriana venne devastata da
tali pirati, pur senza fare cenno di alcuna città in parti-
colare (27). Certamente la ricordata distruzione di
Rovigno dell’876 dovette essere particolarmente nefa-
sta e comunque non casuale. Infatti morto Eberardo o
Everardo (28) marchese del Friuli e dell’Istria, gli
Slavi sia Croati che Narentani, approffittando della
sopraggiunta decadenza dell’autorità imperiale e regia

92 venutasi qui a creare, iniziarono nuovamente a corseg-

giare nell’Alto Adriatico, divenendo particolarmente
temibili quando unirono le loro rispettive forze sotto il
principe croato Domagoi (29). Né le suppliche di papa
Giovanni VIII (30), né la pace conchiusa nell’865 tra
Croati e Veneziani (31) potè fermare quell’azione
devastante sull’Istria marittima. Per Rovigno dovette
cominciare un periodo di grande povertà e miseria, la
cui durata e gravità non è possibile conoscere con pre-
cisione, ma che ragionevolmente non fu lungo; infatti
la consolidata e vigile presenza navale di Venezia,
nonostante il riacutizzarsi della pirateria narentana
verso il 948 (32), favorì il ripristino di una certa tran-
quillità e sicurezza. Ne è prova anche l’erezione di una
nuova basilica dedicata a Sant’Eufemia nella prima
metà del X secolo: questo ed altro starebbero ad indi-
care le migliorate condizioni economiche e sociali di
questo centro. La rinnovata prosperità, di lì a poco, fu
improvvisamente interrotta: ancora una volta gli Slavi
nel 965 misero a ferro e a fuoco Rovigno, devastando
altresì il territorio parentino. Quest’ultimo atto fu pos-
sibile grazie al rilancio della potenza croata, che sotto
Cresimiro II e suo figlio Drizislao sembrò conoscere
un rinnovato vigore (33). Tale sopraggiunta calamità
avrebbe sollecitato il patriarca d’Aquileia Rodoaldo,
sotto cui Rovigno era in qualche modo subordinata
ecclesiasticamente, ad assegnare questa chiesa con i
suoi benefici a quella episcopale di Parenzo caduta in
magna inopia (34).
Comunque ben presto, la ben nota spedizione venezia-
na contro la pirateria nell’Adriatico, condotta con esiti
felici dal doge Orseolo II intorno al 1000 (35) fece sì
che alcune città e castella dell’Istria marittima, quali
Muggia, Umago, Cittanova, Parenzo e Pola entrassero
di proposito sotto la tutela della Serenissima, nonostan-
te i vincoli e i tributi di cui si sarebbero fatte carico.
Tuttavia, come già il Romanin (36) opinava, tali sotto-
missioni non erano da intendersi ancora in senso asso-

EDIFICIO MEDIEVALE
all’inizio di via Sanvincenti
(foto V. Giuricin, 1993)

TRATTO DELLE MURA CITTADINE (39). D’altra parte non si può sottacere del generale 93
del XII sec. tra la Porta e i Volti di S. Benedetto
risveglio a cui si avviava la stessa civiltà europea occi-
(foto V. Giuricin, 1993) dentale, nella quale, a partire dall’XI secolo, si andava-
no diffondendo nuove forme di vita associativa del
luto, ma solamente come un atto attraverso il quale tutto in antitesi con gli archetipi della rigida società
parte delle popolazioni istriane si metteva sotto la pro- feudale, grazie ad una diversa impostazione di modelli
tezione veneziana, entrando tutt’al più in una condizio- agricoli ed economici: in altre parole, le rinnovate
ne di vassallaggio. Che tra queste città ci fosse stata coscienze cittadine si preparavano a costituirsi in libe-
anche Rovigno, è cosa che già il Benussi (37) aveva re espressioni autonomistiche. In Istria, a causa di una
supposto, rilevando a sostegno di ciò quanto contenuto effettiva mancanza di grandi centri cittadini, questa
nel giuramento di fidelitas - come vedremo - di renaissance sarebbe iniziata più tardi rispetto a gran
Rovigno alla Repubblica veneziana nel 1149; infatti parte di tante altre realtà dell’Italia settentrionale;
l’espressione in amodo antea obedir beato Marco sem- infatti, sulla linea del de Vergottini (40), è possibile
brerebbe significativa per dimostrare l’esistenza di rela- ravvisare i prodromi dei nuovi orientamenti economici
zioni di vecchia data; ma, in mancanza di ulteriori e politici, appena dopo il 1100 quando cioè l’Adriatico
riscontri documentali il problema, a nostro avviso, si andava valorizzando grazie alle Crociate, che qui
rimane aperto, anche se non sarebbe del tutto da esclu- avevano il ponte di passaggio verso il Levante. Una
dere un’eventuale interpolazione del testo (38). eco di ciò può essere considerata la significativa
Comunque l’impresa del doge Orseolo II in Istria, descrizione delle fiorenti condizioni dell’Istria maritti-
nella Liburnia e nella Dalmazia sicuramente preparò e ma tracciata dal geografo arabo Edrisi nel cosiddetto
favorì un nuovo, tranquillo e fecondo sviluppo anche Libro del re Ruggero compilato verso la metà del XII
per Rovigno. Nonostante la già lamentata carenza di secolo, dove riscontriamo tra le altre notizie come
una documentazione che non ci consente di precisare Rovigno “che appartiene ai Franchi ... è città con din-
meglio le tappe della sua crescita dopo il Mille, è pos- torni ameni e molto popolata” (41). Anche i successivi
sibile intravedere verso l’XI e il XII secolo una effetti- trattati d’amicizia fra Rovigno e la città dalmata di
va ripresa della qualità della vita, grazie soprattutto Ragusa, confermati in un documento del 1188 (42) - il
all’intensificarsi dei traffici marittimi e commerciali, che ci induce a ritenere che le relazioni con questo
tanto che la città si accrebbe e divenne prosperosa centro risalirebbero a ben prima di questa data - sono
indizio non solo dell’importanza che Rovigno andava
via via acquisendo, ma anche come essa cercasse di
estendere delle relazioni commerciali ben oltre il lito-
rale istriano. Così del resto, stavano facendo anche
altre città dell’Istria, le quali, parimenti, firmavano in
quegli anni analoghi trattati di collaborazione e d’ami-
cizia con le altre città dalmate, come, ad esempio,
Pirano con Ragusa (1188) e con Spalato (1192) e
Parenzo con Ragusa (43).
Tutto ciò è indice di come alcuni centri, sentendo ora-
mai lontano il pericolo saraceno e slavo, cercassero di
estendere i propri commerci marittimi al di fuori del
controllo veneziano (44): essi, insomma, non sembra-
vano più disposti a riconoscere il consolidato diritto
che Venezia aveva ancora nel mantenere la sua funzio-
ne di polizia marittima. È presumibile ritenere che le

94 spinte autonomistiche raggiunte dalle civitates e dalle

castella della costa istriana tra l’XI e il XII secolo
affondassero le radici negli immediati decenni dopo il
Mille. Infatti, sebbene scarsissime siano al riguardo le
fonti, dai documenti finora pervenuti affiora tuttavia il
quadro di una Venezia lacerata dalle lotte intestine tra
le potenti famiglie oligarchiche dei Candiano e degli
Orseolo; questa crisi fu ulteriormente aggravata anche
dall’emergere della potenza marinara normanna
sull’Adriatico e dal rafforzarsi del predominio unghe-
rese su parte della Dalmazia (45). Tali fattori provoca-
rono probabilmente una momentanea stagnazione del-
l’egemonismo veneziano, con il conseguente libero
sviluppo dei centri costieri dell’Istria, nei quali è pos-
sibile già intravedere i prodromi di quell’autonomismo
municipale teso ad “affrancarsi da ogni dipendenza da
predominio straniero” (46).
Tuttavia verso la metà del XII secolo, grazie alle vitto-
rie riportate dalla Serenissima sui Normanni e sugli
Ungheresi e grazie anche alla nuova e felice combina-
zione politica in Oriente a causa delle Crociate,
Venezia andava riacquistando e rinsaldando la sua
influenza sui centri del litorale istriano (47), approfit-
tando nuovamente d’ogni occasione propizia per
imporre obblighi al fine di assicurarsi sempre più la
loro dipendenza (48). Difatti i reiterati tentativi delle
città istriane di estendere i traffici e i commerci al di
fuori del controllo di Venezia non fu senza conseguen-
ze: nel 1145 le civitates di Capodistria e di Pola dovet-
tero prestare solenne giuramento di fidelitas al doge
Pietro Polani (49). Come osservava il de Vergottini
(50), i due giuramenti contenevano un significato ben
diverso rispetto a quelli che finora erano stati dei sem-
plici tributi; infatti, attraverso le fidelitates, sia Pola
che Capodistria passarono di fatto ad essere, per
prime, strettamente vincolate alla politica commerciale

L’ANTICO VOLTO DELLE ZUIÈLE
in via Garzotto
(foto V. Giuricin, 1993)

di Venezia e costrette a seguirla nelle sue spedizioni 95
militari. Si verranno così a creare di lì a poco dopo
delle complesse sovrapposizioni di poteri e di ruoli
nelle civitates e nelle castella non solo del litorale -
suddite, come già detto, dell’Impero e del marchese
d’Istria -, che avrebbero caratterizzato gran parte della
storia di questa penisola per tutto il periodo del basso
Medioevo. Proprio per il fatto che tali atti di fidelitas
verso Venezia (sempre più convinta nel mantenere
l’assolutismo commerciale in Adriatico) significavano
in altre parole il riconoscimento della supremazia
veneziana e l’inizio del protettorato politico della
Dominante, parte delle civitates e castella non poteva
adattarsi così presto alla rinuncia della propria libertà e
fortuna sui mari (51).
“Le repubblichette istriane - come ancora notava il
Tedeschi - impedite di estendere il loro dominio nella
campagna baronale, avrebbero dovuto ben presto spe-
gnersi quasi soffocate in quel serra serra, se non aves-
sero avuto dinanzi il libero mare” (52). Un mare però
che era largamente diventato di monopolio veneziano,
dove, tra l’altro, la flotta commerciale della
Repubblica poteva liberamente entrare e uscire dai
porti istriani esentata da ogni dazio. È possibile intra-
vedere, sulla scorta del Dandolo il conseguente braccio
di forza tra queste due oramai antitetiche realtà, le
quali finirono inevitabilmente con lo scontrarsi nel
momento in cui gli Istriani commisero delle prepoten-
ze e dallo stesso Senato veneziano ben presto represse
(53). Infatti la città di Pola, la più recalcitrante, forse
approfittando della presenza dell’imperatore Corrado
III, qui reduce dalla II Crociata nel 1149 (54), riuscì ad
attirare a sè, nella lotta contro Venezia, anche Umago,
Cittanova, Parenzo e Rovigno. In quello stesso anno
ciò offerse il pretesto a Venezia di muovere contro di
esse con una flotta di 50 navi capitanate dal doge

INSEGNE DELLA NOTARIA GASTALDINA
DI ROVIGNO

poste in origine sull’edificio N. 14 di via Dietro la Caserma
ora nell’atrio del palazzo comunale (G.G. Natorre, 1851 op. cit.)

(TRIESTE, Biblioteca Civica)

96 Marco: Nos quidem omnes de Ruygio. Penco. et

Bertaldus. Techyco. Carlo. Dominicus. Andreas.
Iohanes de crescenco. Michil de agudia. D. debeco.
Andreas basilius. Alberto. Rapoto. D.iudex. Leo de
gruaria. Martinus. deyo. D.de plasio. I.despectus. I.de
plasio per consensum omnium vicinorum nostrorum
maiorum ac minorum iuramus super sancti Dei quat-
tuor evangelia. amodo in antea obedire beato Marco.
et fidelissimi permanere domino nostro Domenico
Mauroceno inclito duci veneciarum dum vixerit. et ei
qui post eum venerit similiter, iurare et fidelitatem reti-
nere debemus. Insuper omni anno quinque romanatos
ad opera sancti Marci deliberare debemus ... omnes
veneticos salvos et securos et sine omni datione in
omnibus partibus nostris retinebimus et manutenebi-
mus (56). Se da una parte Rovigno - come del resto
anche gli altri centri costieri - entrava in uno stretto
vassallaggio con Venezia, dall’altra si apprestava tutta-
via a vivere la sua esperienza comunale.

La formazione del Comune

TORRE MEDIEVALE IN VIA DIETROCASTELLO Crediamo opportuno riportare nuovamente l’attenzio-
con due stemmi di rettori della casata dei Corner (1440 e 1444) ne sul documento del 1149 relativo alla fidelitas di
Rovigno verso Venezia, nel quale in effetti compaiono
e interpolazioni gotiche i soli rappresentanti di Rovigno senza nessuna menzio-
rinascimentali e barocche (parte superiore) ne del gastaldo, già ricordato altrove come il rappre-
sentante dell’autorità marchionale e il reggitore delle
(foto V. Giuricin, 1993) sorti sia dei centri maggiori che di quelli minori.
Questa carica invece compare nuovamente nel citato
Domenico Morosini e da Marino Gradenico, i quali documento del 1188 relativo al trattato di amicizia e
riuscirono a domare per prima la stessa Pola, che collaborazione tra Rovigno e la città di Ragusa: infatti
dovette così rinnovare la fidelitas alla Repubblica (55). lì risultavano presenti alla firma sia homines de
Da qui l’armata fece poi vela nella vicina Rovigno, Rubinio che il gastaldo Bertaldus filius Siponis. Un
dove le rappresentanze cittadine dovettero giurare sui altro gastaldo di nome Bertoldus - forse lo stesso che
Vangeli di obbedire a S. Marco, di mantenersi fedeli al reggeva le sorti della cittadina nel 1188 - è attestato,
doge ed ai suoi successori, di concedere ai Veneziani assieme ad un certo numero di Rovignesi, in un suc-
qualsiasi sicurezza ed esenzione da ogni dazio e di cessivo documento relativo alla pace istituita fra
contribuire ogni anno 5 romanati alla chiesa di S. Rovigno e Pirano nel 1208 (57): sulla base di questo
fatto il Kandler (58) poteva concludere che il castellum
di Rovigno era castello soggetto a una qualche autorità
e non libero come la terra di Pirano. Tutto ciò permise
più tardi al de Vergottini (59) di avanzare l’ipotesi che

questa cittadina “terra di scarso sviluppo comunale” 97
nel 1188 e nel 1208 era ancora retta dal gastaldo, e che
agli inizi del XIII secolo “la vita comunale s’iniziava EDIFICIO CON RESTI DI STRUTTURE MEDIEVALI
appena”. alla fine di via Trevisol
Anche a Rovigno incontriamo il gastaldo di nomina un tempo a ridosso del Pumier
patriarchina, come attesta un documento forse impro- (foto V. Giuricin, 1993)
priamente riferito al 1208 (60), ritenuto fondamentale
non solo per la storia del nostro centro. Giova ricorda- Gorizia, che pretendevano qui un ben più largo godi-
re che appunto nel 1208 l’ultimo marchese d’Istria mento del beneficio delle decime (65), ma soprattutto
Enrico IV degli Andechs, complice dell’assassinio di l’affermarsi dell’egemonismo sia patriarchino che
Filippo di Svevia, fu messo al bando e la marca istria- veneziano in zona, dovettero creare non pochi ostacoli
na venne di conseguenza concessa dall’imperatore all’affermarsi del libero Comune.
Ottone IV al patriarca Volchero (61). Forti di ciò (e il Non a torto il Luciani (66) osservava come in realtà
documento che ci interessa espone appunto i diritti che Rovigno, per salvaguardare la propria libertà e la pro-
i patriarchi ebbero sull’Istria) i metropoliti aquileiesi pria autonomia, oscillasse politicamente per gran parte
cominciarono a nominare i loro gastaldi con funzioni del XIII secolo su più fronti, tanto che essa non fu
giurisdizionali e dal documento in parola si evince che
il patriarca anche in Rubinio... ponit gastaldionem
suum qui exercet omnes jurisdictionem...
Purtroppo, ancora una volta la scarsità dei documenti
ci impedisce di seguire più da vicino le vicende stori-
che e politiche susseguitesi a Rovigno tra il XII e il
XIII secolo; ciò non toglie tuttavia di poter intravedere
comunque una quale espressione municipale già a par-
tire dalla metà del XII secolo, che, se non del tutto
consolidata, sembra oramai indirizzata su forme di un
evidente autonomismo, del quale ancora oggi non è
possibile purtroppo valutare la portata e lo spessore.
Riteniamo del resto forse eccessivamente apologetiche
e in parte anacronistiche le ipotesi tracciate da B.
Vergottin (62), quando rilevava, sulla base del docu-
mento del 1149, che già allora i Rovignesi si governa-
vano da soli “con peculiari statutarie ordinazioni,
magistrature e presidenze, senza ingerenza alcuna siasi
de’ prelati Parentini o patriarchi Aquileiesi”. Ma, in
mancanza di ulteriori riscontri documentali, il proble-
ma rimane aperto, anche se siamo inclini a riconoscere
che l’autonomismo municipale rovignese deve essersi
manifestato con un procedere più lento (63) - o forse, a
nostro avviso, più disturbato - rispetto ad altri centri
dell’Istria.
Infatti l’affermarsi del potere spirituale dei vescovi
parentini su Rovigno e sul suo territorio (64), le suc-
cessive, talvolta violente, ingerenze dei conti di

98 conte di Gorizia Alberto (69). Sceso in Italia con un
esercito, il patriarca riuscì seppur momentaneamente a
SACRAMENTUM FIDELITAS RUIGINENSIS, 1150 ridurre all’obbedienza Pola, Valle, Parenzo e Rovigno.
(VENEZIA, Archivio di Stato, - Pacta, Reg.I, c. 139 [141]) Qui, nel 1265 prevaleva il partito patriarchino (70), ma
ben poco dovette durare questa disposizione in quanto
indipendente né dai patriarchini né dai Veneti, né del nell’anno successivo (71) Rovigno si diede ai
tutto indipendente. In altre parole, per dirla col Veneziani. Tuttavia, già dopo pochi mesi, forse nel
Benussi (67), questo centro - sebbene teso all’autono- tentativo di sottrarsi agli obblighi di vassallaggio verso
mia - sarebbe ricorso ora ai Veneziani per salvarsi dai Venezia (72), Rovigno si sarebbe rimessa nelle mani
patriarchi, ora ai patriarchi per salvarsi dai Veneziani. del patriarca. Si sa che questa ulteriore oscillazione
Tutto ciò si sarebbe, a nostro avviso, manifestato oltre- politica non solo a Rovigno, provocò una ferma presa
modo in seguito alla sopraggiunta debolezza della di posizione da parte della Repubblica veneta, che
signoria patriarchina, la quale palesò tutta la sua fragi- intimò nel gennaio del 1267 ai vari centri istriani di
lità tra il 1266 e il 1267, quando cioè la rivolta anti- soddisfare gli obblighi contratti (73).
aquileiese si andava dovunque estendendo. Il nuovo Nel frattempo Capodistria, che nel 1265 si era nuova-
patriarca Gregorio di Montelongo (68) (1251 - 1269), mente ribellata al patriarca (74), riprese con rinnovato
il primo presule italiano dopo tanti mitrati tedeschi vigore le sue mire espansionistiche sulla penisola
saliti sulla cattedra di S. Ermagora, pur dimostrando istriana, soprattutto quando il conte di Gorizia, rom-
alte capacità di governo, di fronte alle ribellioni di pendo l’alleanza col patriarca, aveva fatto prigioniero
Capodistria, Montona, Parenzo, Valle, Rovigno e Pola, lo stesso Gregorio di Montelongo (20 luglio 1267)
fu costretto ad allearsi con il suo più temibile vicino: il (75). Forte della nuova alleanza che la legava ora ai
conti goriziani, Capodistria, assieme a Isola e Pirano,
mise in atto i suoi fini espansionistici soprattutto sul
territorio parentino. Stretta d’assedio dalle masnade
capodistriane, Parenzo fu costretta a chiedere la dedi-
zione a Venezia: era la prima città che veniva stabil-
mente a passare sotto la signoria della Serenissima (27
luglio 1267) (76). Ricordiamo che anche Rovigno in
quell’occasione venne assalita dai Capodistriani
(1268) e la stessa sorte era toccata anche al castellum
di Montecalvo e di Castelvenere (77).
L’esempio di Parenzo fu seguito nel 1269 da Umago
(78), nel 1270 da Cittanova (79), nel 1271 da S.
Lorenzo (80), nel 1278 da Montona (81), nel 1279 da
Capodistria (82) e nel 1283 da Pirano (83).
Va rilevato che in quegli anni il nuovo patriarca
Raimondo della Torre (1273- 1299), nel tentativo di
liberare l’Istria costiera, si alleò, sulla scia del suo pre-
decessore, con il conte Alberto I di Gorizia nella lega
di Muggia (1283) con l’intenzione di muovere guerra a
Venezia, la quale in risposta ordinava al podestà di
Parenzo di prendere Rovigno sub perpetuo dominio
della Serenissima (84). Ricordiamo solamente che con
la successiva pace di Treviso (1291) la Repubblica di


Click to View FlipBook Version